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Crisi e ricostruzione economica dopo la prima guerra mondiale, Appunti di Storia

La crisi economica e finanziaria che colpì l'Europa dopo la prima guerra mondiale, causata dalla mancanza di risorse pubbliche e dalla dipendenza dalle importazioni extraeuropee. La crisi ebbe importanti conseguenze, tra cui l'indebitamento verso gli Stati Uniti, la dipendenza dalle importazioni extraeuropee, l'aumento del tasso di disoccupazione e l'emigrazione. anche le trasformazioni sociali e le ideologie che emersero in questo periodo.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 15/12/2023

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Scarica Crisi e ricostruzione economica dopo la prima guerra mondiale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! CRISI E RICOSTRUZIONE ECONOMICA La fine della prima guerra mondiale causò circa 17 milioni di caduti e dispersi, tra militari e civili, mentre più di 20 milioni furono i feriti gravi e i mutilati. L'Italia perse 650.000 soldati. Inoltre, ad aggravare il già pesante bilancio si propagò in Europa un'epidemia influenzale che infettò più di mezzo miliardo di persone nel mondo, con tassi di mortalità fino al 70%. Tale epidemia fu chiamata “la spagnola” poiché per primi ne parlarono i giornali spagnoli che non erano soggetti alla censura mentre negli altri paesi europei i giornali ne parlarono come una semplice epidemia che riguardava la sola penisola iberica, anche se in realtà era partita dagli Stati Uniti. Infine il disegno dei nuovi confini sollevò il problema dei profughi e delle minoranze etniche. Inoltre l'Europa si trovò povera anche di risorse economiche. Con la fine del conflitto la spesa pubblica era crollata e le industrie erano state costrette a provvedere in tempi brevi a una riconversione produttiva, cioè a passare da un'economia di guerra a un'economia di pace. Ma questa operazione fu rallentata dalla mancanza di risorse pubbliche e dalla caduta generale del tenore di vita. Quindi i paesi europei dovettero continuare a importare grandi quantità di beni dai paesi extraeuropei, senza peraltro aver modo di pagarli. Questa situazione determinò un generale rialzo dei prezzi e una rapida inflazione. Tutti i paesi europei furono dunque investiti nel dopoguerra da una forte crisi economica e finanziaria. In particolare, in Italia i problemi del dopoguerra assunsero caratteri particolarmente critici perché andavano a innestarsi sugli squilibri già presenti nel tessuto economico e sociale. La situazione era aggravata anche dalle difficoltà finanziarie che affliggevano le banche italiane, le quali durante il conflitto avevano effettuato consistenti prestiti a lungo termine ai colossi dell'industria e ora facevano fatica a recuperarli. La crisi ebbe il suo culmine nel 1921 quando vi fu il fallimento di alcuni grandi trust, l'accorpamento di grandi imprese dello stesso indirizzo produttivo in un complesso economico unitario, che provocarono il crollo di importanti istituti bancari. In Germania la disastrosa situazione economica postbellica era aggravata dalle richieste di risarcimenti di guerra avanzate dei paesi vincitori, ma la Germania non era in grado di tener fede ai pagamenti. La richiesta della Germania era quella di ritardare i pagamenti, ma tale richiesta fu rifiutata dalle potenze alleate che miravano a metterla in ginocchio definitivamente. Questa crisi economica e finanziaria post bellica ebbe alcune importanti conseguenze. L'indebitamento verso gli Stati Uniti e la dipendenza dalle importazioni extraeuropee determinarono il crollo della centralità dell'Europa nel mondo e l'ascesa degli Stati Uniti a potenza mondiale, l’intervento dello Stato nella gestione delle dinamiche economiche si fece ancora più ampio, l'aumento del tasso di disoccupazione, unito all'aumento del costo della vita. La disoccupazione, infatti, aumentò vertiginosamente in tutti i paesi che erano stati coinvolti nella guerra. Inoltre, in Italia riprese il fenomeno dell’emigrazione. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, erano usciti dalla prima guerra mondiale in una posizione dominante e la loro industria e la loro finanza si erano affermate come le prime al mondo. Alla conclusione del conflitto, nei famosi “Quattordici punti”, il presidente democratico Wilson cercò di creare le condizioni per cui gli Usa potessero esercitare un'egemonia anche politica in ambito internazionale, ma il cosiddetto “Wilsonismo” non risultò vincente, poiché fu accolto con estrema diffidenza dall'opinione pubblica americana, che lo considerava troppo pericolosa in quanto comportava una piena adesione alla Società delle Nazioni. Si crearono così le premesse per un rovesciamento dell'indirizzo di governo, infatti le elezioni presidenziali del 1920 premiarono il candidato repubblicano Warren Harding. In politica estera il nuovo presidente si rifiutò di prendere parte ai lavori della Società delle Nazioni e di ratificare i trattati di Parigi, mentre in politica interna adottò misure protezionistiche, imponendo la rigorosa applicazione di altre tariffe doganali a difesa del prodotto nazionale, favorendo in questo modo le grandi imprese e le grandi concentrazioni industriali e finanziarie. Questa politica dovette presto a fare i conti con la necessità del paese di garantirsi aperture sui mercati internazionali. I rischi infatti dall'interruzione degli scambi con l'Europa si erano già manifestate tra il 1920 al 1921, quando l'economia americana conobbe una crisi di sovrapproduzione, in seguito alla diminuzione delle esportazioni di guerra. Di conseguenza gli Stati Uniti ripresero l'esportazione dei loro prodotti in direzione del vecchio continente, senza escludere i paesi dell'Europa centrale, i quali erano rimasti privi dei mezzi finanziari necessari per una rapida ricostruzione della loro economia. Si diffuse quindi la convinzione che un consistente aiuto finanziario fornito ai paesi vinti, in primo luogo la Germania, avrebbe innescato benefiche conseguenze. A partire dal 1924 divenne esecutivo il cosiddetto “piano Dawes”, ideato dal banchiere politico americano Charles Dawes. Il piano si basava sull'idea di far affluire capitali statunitensi verso la Germania al fine di permettere la ripresa dell'economia tedesca e quindi indirettamente anche di quella degli altri paesi. Il piano Dawes ebbe successo, infatti il denaro americano rivitalizzò l'economia europea e permise ai paesi vinti di ripagare i paesi vincitori, i quali poterono finalmente estinguere i debiti contratti con gli Stati Uniti. L’intensificarsi degli scambi internazionali determinò un enorme giro di affari che in breve tempo contribuì a un notevole sviluppo economico, destinato a sfociare in un vero e proprio boom, i cui maggiori vantaggi furono goduti proprio dagli Stati Uniti. TRASFORMAZIONI SOCIALI E IDEOLOGIE La crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione e l’elevato costo della vita colpirono principalmente i ceti popolari. Nelle fabbriche crebbero gli scontri tra operai e datori di lavoro, gli scioperi subirono una forte impennata prima in Germania e Regno Unito e poi anche in Italia e Francia. Anche nelle campagne la situazione divenne sempre più esplosiva. Il quadro sociale generale era aggravato dalla questione dei reduci, ovvero coloro che furono chiamati alle armi dall'inizio del conflitto e i quali dopo la guerra si ritrovarono a occupare ruoli inferiori a quelli ricoperti durante il conflitto o addirittura senza un’occupazione. La crisi economica post bellica fu dunque anche una crisi d'identità della società della cultura europea. Il sentimento è più diffuso tra i ceti popolari e borghesi era la sfiducia verso la classe dirigente verso la stessa cultura liberale. Questo stato di instabilità prese due strade diverse e contrapposte: ★ Da una parte dette origine a forti spinte nazionaliste, autoritarie e antidemocratiche; ★ Da un'altra parte andò a rafforzare le ideologie socialiste e rivoluzionarie. La reazione antisocialista della borghesia portò alla diffusione di ideologie nazionaliste che individuavano nella violenza il modo per risolvere i conflitti sociali. Caratteri distintivi di queste ideologie furono l’avversione per le libertà civili e politiche e l’antisemitismo. Il movimento operaio conobbe una fase di grande espansione grazie alla crisi economica e sociale che ingrossò le fila dei movimenti e dei sindacati di matrice socialista, al loro interno infatti andò sempre più accentuandosi la divisione tra la corrente legata all'ideologia socialdemocratica riformista e quella che si rifaceva al pensiero comunista rivoluzionario. Negli Stati Uniti l'indirizzo isolazionista si tradusse anche in una chiusura politica e sociale, a partire dai provvedimenti contro l'immigrazione straniera limitata. La scelta di simili provvedimenti restrittivi fu determinata anche dal crescente timore di infiltrazioni comuniste dall'Europa e da un nazionalismo che raggiunse punte di estrema violenza xenofoba e razzista. Si tratta degli anni del cosiddetto “terrore rosso”, cioè con la paura che dietro ogni straniero si nascondesse un rivoluzionario comunista. Inoltre all'inizio degli anni Venti torno a far parlare di sé anche la setta segreta del Ku Klux Klan (KKK), una società di carattere esplicitamente razzista, che si era costituita nel 1866 nel Tennessee in reazione alla concessione dei diritti politici alla popolazione di colore. Nel 1919 fu inserito un emendamento alla costituzione degli Stati Uniti con cui si proibiva la produzione e la vendita di alcolici, il cosiddetto proibizionismo. Tale provvedimento però non fece altro che alimentare un traffico illegale di alcolici, controllato dalla criminalità organizzata. Quelli furono “anni ruggenti” anche per le bande criminali guidate da gangster leggendari, come Al Capone. Ci vollero più di 10 anni per prendere atto del fallimento del proibizionismo, che fu abolito nel 1933. GLI ANNI VENTI: BENESSERE E NUOVI STILI DI VITA La guerra e la crisi economica del dopoguerra modificarono profondamente i costumi e il modo stesso di pensare. La guerra in un certo senso aveva abbattuto le tradizionali barriere sociali e culturali. La società che quindi usciva dal conflitto era pertanto una società più dinamica, più aperta alle novità e ai cambiamenti. I sentimenti di paura e di depressione lasciarono ben presto il posto a un nuovo ottimismo e anche a una nuova voglia di vivere, che divennero più forti in seguito alla generale ripresa economica negli anni Venti. Uno dei più evidenti segnali di tali mutamenti riguardo il nuovo ruolo sociale delle donne. Durante il conflitto esse erano uscite dall'isolamento domestico e avevano assunto nuove responsabilità in vari settori, avevano operato in zone di guerra e avevano sostituito gli uomini impegnati al fronte. Avevano maturato una nuova indipendenza e femminilità, anche nel modo di vestire: capelli corti, gonne sopra il ginocchio, in generale abbigliamento più disinvolto e colorato. Gli interpreti più esemplari della moderna società nata dalle rovine della guerra furono gli Stati Uniti. La società americana, infatti, attraversata alla metà degli anni Venti da un vero e proprio boom economico, conobbe delle importanti trasformazioni. Si assistette a un enorme incremento dei consumi. Uno dei simboli di questa trasformazione fu la diffusione dell'automobile, sostenuta dalla politica industriale di Henry Ford. Un altro simbolo delle molteplici innovazioni fu l'impresa di Lindbergh, autore della prima traversata in aereo dell'oceano Atlantico in solitario, nel maggio 1927. Il boom economico aveva inoltre determinato la nascita di nuove attività di servizi tipiche di una società
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