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Eredità europea della prima guerra mondiale: Conseguenze sociali, economiche e politiche, Appunti di Storia

Le conseguenze principali della prima guerra mondiale in Europa, con un focus sui mutamenti sociali, economici e politici che seguirono il conflitto. Le pagine coprono la massificazione della società, la gerarchizzazione sociale, il mutamento del sistema produttivo e il cambiamento economico. Vengono trattati anche i movimenti socialisti e operai, la crisi finanziaria europea e la ripresa economica.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 17/03/2022

ELEVI
ELEVI 🇮🇹

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Scarica Eredità europea della prima guerra mondiale: Conseguenze sociali, economiche e politiche e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Eredità europea della prima guerra mondiale Le conseguenza principali della grande guerra sono riscontrabili in Europa poiché il conflitto mondiale vide come teatro di guerra il “vecchio continente” perciò i paesi che andarono incontro alle conseguenze principali furono i paesi europei. Le conseguenze furono di tre tipi: sociali, economiche, politiche. Mutamenti di carattere sociale Massificazione della società: la guerra mise in moto un processo di mutazione e trasformazione della società inarrestabile. La guerra fu un esperienza di massa senza precedenti: 60 milioni di uomini vennero tolti al loro lavoro e mandati in guerra o di supporto alla guerra; altri erano stati coinvolti indirettamente. Non vi fu una famiglia in Italia che non abbia avuto morti o mutilati nella prima guerra mondiale. L’esperienza di massa e mobilitazione fu senza precedenti. Gerarchizzazione della società: La società in guerra subì una gerarchizzazione: violenza, morte, gerarchizzazione. I soldati tornati alla loro vita cercando diritti, cercando svago, cercando di compensare il tempo perso e le sofferenze subite; in particolare i giovani che hanno vissuto il divertimento della libera uscita (soldati americani che avevano la libera uscita). Nasce l’idea del tempo libero che nell’800 era solo per i borghesi: i costumi e l’usanza del tempo libero entra nella società. Inoltre al fronte ci fu una contaminazione nelle modalità di vita (contadini del sud si incontravano con chi viveva nelle città del nord assimilando i costumi). Reinserimento dei reduci di guerra, la massificazione della politica e l’ordine nuovo: i reduci di guerra non riescono a reintegrarsi nella società: tornare al proprio lavoro ripetitivo, alla solita vita monotona. Nascono le associazioni “ex combattenti” dove si parla di guerra, di forza, di sforzi eroici. La politica diventa esperienza di massa: si allarga il consenso al partito socialista, il partito comunista, il partito cattolico di Don Sturzo (futura Democrazia Cristiana). Obiettivo di questi partiti è contestare i partiti liberali che non guardano “la massa”, che non fanno gli interessi della massa, ma solo quelli dei borghesi e industriali. Vengono accusati di essere traditori delle masse. I movimenti totalitari fascismo e nazismo nasceranno come partiti di destra che criticheranno questo aspetto, non occuparsi del popolo. Nasce un desiderio di un ordine nuovo, una nuova visione del mondo, desiderio di superamento del vecchio ordine, di una società più giusta, di un ordine diverso da quello che aveva portato l’Europa in guerra. Mutamenti nel sistema produttivo: l’inserimento delle donne nel tessuto sociale: La guerra porta alla trasformazione dei costumi: in particolare il sistema produttivo e nel ruolo delle donne. Le donne avevano subito indirettamente la guerra ma di fatto andarono a sostituir gli uomini impegnati al fronte. La donna sostituisce l’uomo in molti lavori nei campi, nelle fabbriche ecc . ed entra nel tessuto sociale e acquista consapevolezza. Inizia un processo che le porterà alle rivendicazioni di autonomia ed emancipazione sia all’interno della famiglia, dove di fatto sostituisce l’uomo come “capofamiglia” sia a livello politico, con la rivendicazione principale del diritto di voto (partirà un movimento dal nord Europa: Gran Bretagna 1918, Germania 1919, Stati Uniti 1920). Entra in parte in crisi il sistema patriarcale: istruzione, emancipazione, salario ecc. Mutamenti economici Gravi dissesti finanziari: l’Europa che usciva dalla guerra era sconvolta sia da un punto di vista sociale, geografico (mutamento dei confini, disgregazione di imperi ecc) ma soprattutto economico. I governi per far fronte alle gravi perdite economiche ricorsero inizialmente all’inasprimento delle tasse, poi lanciando prestiti nazionali e indebitandosi con gli Stati Uniti allargando enormemente il debito pubblico. Inflazione e intervento statale: né tasse né prestiti riuscirono a risanare le finanze dei governi, così ricorsero alla stampa della carata moneta in eccedenza provocando un rapido processo di inflazione che crebbe in maniera esponenziale creando uno sconvolgimento nella distribuzione delle ricchezze. In particolare per quanto riguarda posizioni economiche consolidate che vennero distrutte. L’intervento statale fu inevitabile sia per calmierare i prezzi dei generi di prima necessità sia per riconvertire le industrie belliche in industrie “di pace”. Questi aiuti furono emessi soprattutto con dazi, facilitazioni creditizie ecc. L’intervento statale permise all’industria di mantenere i livelli produttivi della guerra, ma fu un’espansione forzata e artificiosa che portò a tensioni sociali e successiva depressione. Calo dei commerci: gli scambi internazionali calarono notevolmente danneggiando in particolare le economie europee. Al libero scambio proposto da Wilson nei 14 punti si contrappose un periodo di nazionalismo economico e protezionismo. Mutamenti politici Il problema delle minoranze: La sconfitta dei quattro grandi imperi comportò la creazione di nuove compagini statali dando vita a quell’utopia di convivenza pacifica tra stati sovrani e indipendenti come dichiarato dai 14 punti di Wilson. Questo si rivelò molto problematico soprattutto nella compagine orientale europea dove convivevano realtà etniche e linguistiche molto diverse tra loro. l’applicazione del principio di nazionalità in una situazione del genere fu sicuramente imperfetto e problematico. Venticinque milione di persone divennero “minoranze” che scatenarono, paradossalmente, altri conflitti, all’interno delle compagini statali che si erano affermate. Questo “problema” delle minoranze presenti nei nuovi stati europei portò all’innescarsi di nuovi conflitti e “pulizie etniche”, fino all’eliminazione fisica pianificata di un intero popolo. Biennio Rosso: tra la fine del 1918 e il 1920 in quasi tutta Europa i partiti socialisti e i movimenti operai ebbero un’avanzata politica importante, talvolta con caratteri rivoluzionari. I vari sindacati europei (CTG confederation national du travaille, trade unions, cgl) impennarono il loro numero di iscritti. Insieme ai sindacati gli operai diedero il via ad una serie di scioperi e proteste che portarono al miglioramento dei loro salari e della giornata lavorativa di otto ore (obiettivo che figurava tra i primi punti dei movimenti socialisti che venne raggiunto in tutta Europa simultaneamente dopo la fine della guerra). Le mobilitazioni vennero fatte su modello dei soviet. L’esperienza russa inoltre provocò aspirazioni più radicali relative al potere nelle fabbriche e dello Stato. Si formarono su modello dei Soviet consigli di operai, che si proponevano come organi di governo di una società socialista. In Francia e Gran Bretagna conservatori e moderati riuscirono a controllare la situazione. In Germania, Austri e Ungheria, paesi sconfitti e sottoposti sia al trauma della sconfitta che ai cambiamenti di regime, il biennio rosso prese una piega più rivoluzionaria, sedata però rapidamente. In Russia tuttavia venne sancita la scissione interna al partito operaio tra la compagine rivoluzionaria-bolscevica e social democratici. Il già partito comunista di Russia costituì a Mosca nel 1919 il Comintern ovvero l’Internazionale comunista o Terza internazionale. Il congresso della Dopoguerra in Gran Bretagna Conservatori e liberali, le forze politiche che avevano guidato il paese durante la guerra trovarono conferme con le elezioni de dicembre del 1918. La nuova legge elettorale aveva introdotto il suffragio universale, estendendo il diritto di voto al proletariato e alle donne. L’ampliamento della base elettorale comportò, in prima istanza, l’entrata di un nuovo soggetto politico, il partito laburista, garante degli interessi dei ceti più umili. Negli anni 20 il consenso dei laburisti si consolidò, superando i liberali, ma senza scalzare il consenso dei conservatori che rimasero alla maggioranza. L’allargamento del consenso ai laburisti fu un effetto della crisi economica che interessò l’Inghilterra nel dopoguerra: una economia salda come quella inglese subì un duro colpo soprattutto per il ristagno della domanda europea. Il calo della produzione comportò licenziamenti ai quali i lavoratori risposero con ondate di scioperi. I laburisti, anche in momenti di forte tensione, seppero guidare la classe operaia senza mai sfociare in senso rivoluzionario. Significativo fu il grande sciopero dei minatori del 1926 indetto dalle Trade Unions contro riduzioni salariali. Si profilò un momento di altissima tensione sociale che si riuscì a sedare con trattative tra governo e sindacati. Il partito laburista guadagnò forti consensi e si accreditò come forza politica in grado di difendere i diritti dei lavoratori facendo ricorso ad una politica di concertazione (confronto dialettico). Oltre alla delicata situazione interna la Gran Bretagna si trovò a fare i conti con la cosiddetta questione irlandese. Lo scoppio della guerra aveva lasciato in sospeso la questione dell’Home Rule, ovvero un movimento che sosteneva la necessità di uscire dalla gran Bretagna e istituire un governo autonomo. Dal 1866 in Irlanda vigeva una forma di autogoverno che agli inizi del 900 non risultava più sufficienti ai nazionalisti irlandesi (riuniti nel partito SINN FEIN, noi da soli). Il sinn fein passò alla lotta armata tramite l’organizzazione paramilitare dell’IRA (armata repubblica irlandese) innescando una vera e propria guerra contro la Gran Bretagna che rispose occupando l’isola militarmente. Il conflitto si protrasse dal 1919 al 1921. Il primo ministro Lloyd George concesse all’Irlanda la creazione di uno stato libero autonomo in regime di dominion (ovvero istituzioni parlamentari proprie ma sottomesse alla corona britannica). Dall’accordo erano escluse le regioni dell’Ulster che andarono a costituire l’Irlanda del nord continuando a far parte del regno unito. Da un punto di vista commerciale la Gran Bretagna perse il primato mondiale che l’aveva caratterizzata. La sua potenza venne ridimensionata sia in relazione agli Stati Uniti che si posero come soggetto emergente negli equilibri mondiali (conferenza navale di Washington stabilì il tonnellaggio delle flotte al pari di quella statunitense), sia in relazione al suo vastissimo impero. La riorganizzazione dell’impero avviato già agli inizi del secolo con il riconoscimento di status di dominion ad Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e Terranova. Queste nazioni chiedevano ora l’indipendenza dalla GB, a fronte del grosso sforzo e aiuto che avevano dato durante la guerra alla madrepatria. nel 1931 con lo Statuto di Westminster venne creato ufficialmente il British Commonwealth of Nations, confederazione di Stati sovrani aventi uguale status di dominion e parità, e fedeli alla Corona. Del Commonwealth fanno parte la GB, l’Irlanda, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sudafrica, Terranova. Un percorso molto complesso fu quello indiano, la più importante colonia britannica di grande valore economico e commerciale. Durante la guerra fornirono circa un milione e 300 mila uomini dietro la promessa di una crescente autonomia per il paese. Tali aspirazioni alla fine del conflitto furono disattese: all’India non venne riconosciuto lo status di dominion alimentando ancora di più le tensioni. A partire dal 1919 iniziarono le manifestazioni di protesta nelle quali risultò essenziale ed incisiva la predicazione non violenta di Mohandas Karamchand Gandhi, noto come Mahtma, ania grande. Gandhi era un leader del partito del congresso indiano convinto che la politica dovesse basarsi sulla verità attraverso la pratica delle disobbedienza civile, ovvero non riconoscere le leggi inglesi ritenute ingiuste opponendosi in modo pacifico. Le manifestazioni non violente che vennero organizzate furono mirate ad una consapevole violazione pubblica di norme e leggi senza ricorrere ad atti violenti.
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