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DOPPIA Dispensa Diritto Costituzionale (manuale "Lezioni di Diritto Costituzionale"), Dispense di Diritto Costituzionale

Resoconto degli argomenti nell'ordine di presentazione del manuale (con suddivisione per capitolo, paragrafi e sotto-paragrafi) Diritto costituzionale parziale: dispensa dei capitoli 1-2-10 Diritto costituzionale: dispensa dei capitoli 3-4-5-6-7-8-9 COMPRESO RESOCONTO DELLA TRATTAZIONE EMERGENZA COVID-19 Voto esame 27/30

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 22/07/2022

giada.bolognese
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Scarica DOPPIA Dispensa Diritto Costituzionale (manuale "Lezioni di Diritto Costituzionale") e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DIRITTO COSTITUZIONALE Capitolo 3 Sezione I La Costituzione Rilevato che ogni fonti del diritto deve trovare la propria legittimazione in una disposizione normativa di grado superiore, è necessario domandarsi quale sia la fonte sulla produzione che legittima la Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948→ potere costituente: attribuito ai 556 membri dell'Assemblea costituente eletta dal popolo nel 1946, ed incaricata di redigere il testo normativo apicale dello Stato, lasciando al suo posto solo potere costituiti, ovvero potere limitati dalla Costituzione stessa. Era già previsto che una volta approvata la Costituzione avrebbe rappresentato il vertice del sistema, e dunque ad un tempo la giustificazione ed il limite di ogni autorità da essa abilitato ad operare; due atti normativi: Decreto luogotenenziale n. 151/1944, art.1 Decreto luogotenenziale n. 151/1944, art.4 “Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, un'Assemblea costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato” “L'Assemblea costituente sarà sciolta di diritto il giorno dell'entrata in vigore della nuova Costituzione e comunque non oltre l'ottavo mese dalla sua prima riunione” → ulteriore interrogativo, in merito alla sorgente dalla quale tali atti normativi hanno a loro volta attinto valore. Essendo un interrogativo di straordinaria complessità, si deve probabilmente concludere che il fondamento della Costituzione, più che natura formale-giuridica, e di matrice storico-materiale (rintracciabile in quell’accordo intercorso tra le forze politiche che, al termine della guerra, accomunate dalla convinta volontà di reagire totalitarismi, si impegnarono solidalmente nella costruzione di un nuovo ordine Democratico). Rigidità della Costituzione: perché sia modificabile il testo costituzionale, si deve ricorrere ad un procedimento “aggravato”, rispetto a quello che si segue per l'approvazione delle leggi ordinarie; due motivi: a) Superiorità illusoria, se fosse possibile modificare il contenuto del dettato costituzionale attraverso l’iter di approvazione di leggi ordinarie (regole procedurali ad hoc, maggior riflessioni e più ampio consenso). b) Superiorità illusoria se non fosse stato previsto anche un rimedio alla violazione, da parte del legislatore ordinario, delle norme costituzionali (Corte costituzionale, autorità deputata al rispetto della Costituzione). Rapporto tra norme costituzionali e norme di rango legislativo approvate prima del 1948: La Corte Costituzionale ha fatto chiarezza su due aspetti cruciali: - Indipendentemente dal fatto che si tratti di leggi anteriori o successive alla Costituzione, in entrambi i casi quest'ultima “per sua intrinseca natura nel sistema di Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria”. - Competente nel regolare i rapporti tra Costituzione legge ordinarie è la Corte Costituzionale stessa: l'alternativa sarebbe stata attribuire tale funzione ai giudici comuni, che avrebbero abrogato le leggi ritenute incostituzionali, portando a risultati interpretativi tra loro contrastanti, con conseguenze negative sulla certezza del diritto e sull'effettivo primato della Costituzione. Le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali Con il particolare procedimento disciplinato dall’art. 138 Cost., è possibile approvare le leggi costituzionali→ a tale categoria di fonti sono riconducibili due tipologie di atti normativi: 1. Leggi di revisione costituzionale, il cui contenuto normativo incide sul testo della Costituzione, sostituendo disposizioni in essa contenute, abrogandole, modificandole, ovvero operando delle aggiunte (è la stessa Costituzione a contemplare la possibilità di essere sottoposta a revisione, risultato della volontà di non vincolare in modo permanente alle proprie decisioni le generazioni future). 1 2. Le altre leggi costituzionali sono fonti che si pongono al di fuori del testo della Costituzione, ma che hanno però come finalità quella di conferire alle discipline introdotte, perché ritenute di particolare rilievo, rango pari a quello della Costituzione. -) Quanto alla fase dell'iniziativa legislativa, si ritengono applicabili le regole comuni previste dall’art. 70 Cost., norma che, “riconoscendo l'iniziativa delle leggi al governo, a ciascun parlamentare, a 50.000 elettori e agli altri organi ed enti indicati dalle leggi costituzionali, detta una “disciplina generale” in cui non si opera alcun riferimento alla forza dell’atto che viene proposto” (sentenza 496/2000 Corte Costituzionale). I soggetti legittimati a presentare un progetto di legge costituzionale, dunque, sono i medesimi che hanno facoltà di presentare un progetto di legge ordinaria. -) La fase di approvazione è direttamente disciplinata, nelle sue specificità, dall’art. 138 Cost.: la norma delinea un procedimento che si definisce "aggravato", perché più complesse rispetto a quello descritto dall’art. 72 Cost. per l'approvazione delle leggi ordinarie → esigenza di sottrarre il testo costituzionale alla volontà delle mutevoli maggioranze semplici presenti in Parlamento, esigenza che prevede, infatti, che le leggi costituzionali siano adottate “con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi” e “ a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Sia la Camera che il Senato devono quindi esprimersi due volte sul medesimo testo di legge; la prima volta a maggioranza semplice (maggioranza presenti), la seconda a maggioranza assoluta (maggioranza componenti), con una deliberazione che non può intervenire prima che siano trascorsi tre mesi dalla precedente → riflettere sull'opportunità di proseguire nell'iter di approvazione di una legge tanto importante in quanto costituzionale. - L’intervallo di tempo di tre mesi intercorre tra le due deliberazioni della stessa Assemblea parlamentare (dunque, tra la prima e la seconda del Senato e tra la prima e la seconda della Camera dei Deputati) - Il secondo ramo del Parlamento non deve però necessariamente attendere la seconda deliberazione dell'altra Assemblea per avviare a sua volta il procedimento legislativo: dopo l'approvazione della prima delibera, l'altra camera inizia l'iter per la propria prima delibera (laddove siano apportati emendamenti, ovviamente, occorrerà un ulteriore passaggio presso il ramo del Parlamento in cui è iniziato il procedimento legislativo). Se nell'ambito della prima deliberazione ciascuna camera può approvare modifiche al progetto di legge costituzionale, questo potere correttivo è invece precluso nella fase della seconda deliberazione. - Potrebbe accadere che in Parlamento si riesca ad ottenere un consenso più ampio, per cui la Costituzione prevede che, se in seconda deliberazione si raggiunge, in ciascuna Camera, la maggioranza dei due terzi dei componenti (maggioranza detta “qualificata”), la legge può essere trasmessa direttamente per la sua promulgazione al Presidente della Repubblica, e successivamente pubblicata ai fini della sua entrata in vigore. Diversamente, se in seconda deliberazione le leggi costituzionali ottengono la maggioranza assoluta, l’art. 138 comma II Cost. prescrive che essi siano “sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali” → pubblicazione della legge, in questo caso, a scopo esclusivamente notiziale: occorre che i soggetti indicati dalla Costituzione siano messi a conoscenza dell'avvenuta approvazione in Parlamento, di un progetto di legge costituzionale, perché entro il termine di tre mesi possano fare eventuale richiesta di referendum. - Se il referendum non viene richiesto, la legge nuovamente pubblicata entra in vigore; viceversa, se viene richiesta (e conseguentemente indetta) una consultazione referendaria, l’art. 138 Cost. stabilisce che la legge “non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi” → “ipotesi meramente eventuale, attraverso la quale il popolo può intervenire successivamente solo come istanza di freno, di conservazione di garanzia, o di conferma successiva rispetto ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta che, in assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri effetti giuridici” (sent. 496/2000) La legge n. 352/1970, regolando il procedimento referendario stabilisce (art.16) il quesito da sottoporre agli elettori deve essere così formulato “Approvate il testo della legge costituzionale… concernente… approvato dal Parlamento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero… del…?”→ oltre al carattere formalmente approvativo 2 Il procedimento legislativo: la fase dell'iniziativa Il procedimento legislativo è l'insieme preordinato di quegli atti che si conclude con l'entrata in vigore di una legge; si compone di più fasi: 1) INIZIATIVA LEGISLATIVA, ovvero il potere di presentare proposte di legge, affidato a diversi soggetti (art. 71): - Iniziativa del Governo: i progetti di legge presentate dal Governo prendono il nome di disegni di legge; quella attribuita a tale organo è senza dubbio l'iniziativa legislativa di maggior rilievo, sia per il peso politico che questo riveste (il Governo si compone delle forze politiche che, in Parlamento, rappresentano la maggioranza), sia perché esso può proporre disegni di legge in qualsiasi materia (in alcuni casi tale iniziativa è del tutto riservata al Governo). Anche il disegno di legge è a sua volta il risultato di un procedimento che si svolge naturalmente internamente al Governo: lo schema del disegno viene predisposto dal/i Ministro/i competenti per materia ed è in seguito sottoposto alla delibera del Consiglio dei Ministri. Terminata questa fase, la presentazione del disegno di legge ad una delle due camere è autorizzata dal Presidente della Repubblica mediante decreto. - Iniziativa parlamentare: ogni deputato e ogni senatore ha titolo per presentare progetti di legge; possono essere i firmatari dello stesso progetto di legge anche più parlamentari: l'unico limite che questa prerogativa incontra è infatti l'impossibilità di sottoscrivere proposte di legge nelle materie riservate alla iniziativa governativa. - Iniziativa popolare: la Costituzione prevede che cinquantamila elettori possono presentare un progetto di legge redatto in articoli→ tale potere di iniziativa non è stato completamente esercitato fino all'entrata in vigore della legge n. 352 del 1970 , che ha disciplinato le modalità di raccolta delle firme e richiesto che il progetto ne illustrasse anche le finalità e le norme. L'iniziativa popolare incontra il solo limite rappresentato dall'impossibilità di sottoscrivere proposte di legge nelle materie riservate all'iniziativa governativa. → Si tratta di uno strumento di democrazia diretta che nella prassi ha trovato scarsissima applicazione, considerato il fatto che tali proposte hanno nella maggior parte dei casi ricevuto scarsa considerazione da parte delle Assemblee parlamentari. - Iniziativa delle Regioni (art. 121 comma II Cost.): i consigli regionali hanno la facoltà di presentare i progetti di legge senza alcuna delimitazione di oggetto, fatta eccezione per alcune materie di iniziativa governativa. - Iniziativa del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (art. 99): la Costituzione attribuisce a questo organo consultivo di ausilio al Parlamento ed al Governo, composto da "esperti rappresentanti delle categorie produttive", la facoltà di presentare progetti di legge e di "contribuire all'elaborazione della legislazione economica e sociale" (mentre la sua legge istitutiva elenca espressamente le materie sottratte alla iniziativa del governo, la riforma introdotta con la legge n.936/1986 tace a riguardo). Anche in questo caso va precisato che l'iniziativa del C.n.e.l non ha di fatto mai assunto un rilievo sostanziale. Per completezza si ricorda che (art. 133 Cost.) "Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e le istituzioni di nuove Provincie nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione"→ non si tratta di un potere di iniziativa legislativa vero e proprio, poiché i comuni fanno semplicemente una richiesta, spettando la relativa iniziativa legislativa i soggetti indicati dalla Costituzione. 2) APPROVAZIONE DELLA LEGGE (art. 72 Cost.), procedimento che richiede che entrambe le Camere, essendo il nostro un bicameralismo paritario perfetto, si esprimono favorevolmente sul medesimo testo. - Una volta che il progetto di legge viene approvato da una delle due Camere, è trasmesso all'altro ramo del Parlamento; due possibilità: ● La seconda Camera approva il testo di legge → iter per entrata in vigore 5 ● La seconda Camera approva degli emendamenti→ il testo torna alla prima Camera per una nuova approvazione (cosiddette navette) - Il procedimento legislativo vede sempre coinvolte le Commissioni parlamentari permanenti è più precisamente quelle competenti per la materia di volta in volta considerato dal progetto di legge→ la ragione per cui la Costituzione richiede il passaggio in una Commissione ed è rinvenirsi nell’esigenza di affidare ad un organo a composizione ristretta lo svolgimento dell'istruttoria sul testo normativo proposto: attraverso l'istruttoria le Commissioni acquisiscono tutti gli elementi utili ad una consapevole deliberazione da parte del Parlamento (necessità di intervento legislativo, costi, obiettivi e coerenza degli strumenti predisposti allo scopo, valutazione sugli oneri conseguenti). A seconda del ruolo che la Commissione permanente è chiamata a svolgere nell'ambito dell'iter di approvazione della legge, si possono distinguere tre diverse modalità di approvazione: a) Procedimento ordinario (o normale): prevede che la proposta di legge sia prima esaminata articolo per articolo e approvata dalla Commissione competente per materia, e che venga esaminata articolo per articolo e approvata dall’Assemblea nella sua composizione plenaria. La Commissione permanente (che opera in “sede referente”) procede ad una discussione di tenore generale sul progetto di legge, per passare all'esame di singoli articoli con la possibilità di approvare emendamenti al testo→ il progetto di legge, insieme ad una relazione di accompagnamento, viene affidato ad un relatore, incaricato dalla Commissione di riferire all’Assemblea e di sintetizzare le posizioni emerse durante i lavori. In Assemblea, dove i lavori godono di una pubblicità massima, il progetto di legge è oggetto di una discussione sulle linee generali, nella quale possono emergere anche questioni pregiudiziali di legittimità costituzionale e di merito; solo in un secondo momento si apre la discussione e la votazione articolo per articolo, con l'eventuale proposta di emendamenti con i quali si procede alla modifica del testo oggetto del progetto di legge. Emendamenti Per primi ad essere messi in votazione sono gli emendamenti (soppressivi) la cui approvazione precluderebbe logicamente l'esame di quelli ulteriori (modificativi); per ultimi sono messi ai voti gli emendamenti aggiuntivi. Una prassi problematica è quella della presentazione dei "maxi-emendamenti":può accadere che una proposta di legge inizialmente strutturata in più articoli sia ridotta ad un articolo unico, al cui interno vengono inserite tutte le disposizioni normative prima separate (particolarmente problematico quando i precetti normativi accorpati sono numerosi e tra loro eterogenei)→ rischio di incidere negativamente sulla qualità del testo definitivamente approvato, dando luogo a successive incertezze: la Corte Costituzionale non ha mai direttamente censurato questa tecnica legislativa, ma ha avvertito dei rischi che si producono quando il maxi-emendamento si accompagna alla presentazione da parte del Governo di una questione di fiducia, atto che ha l'effetto di bloccare la discussione parlamentare, obbligando le Camere a votare sul testo accorpato del maxi-emendamento. Votati i singoli articoli del progetto, l’Assemblea procede alla votazione finale dell'intero testo legislativo: questa fase, preceduta dalle dichiarazioni di voto (palese, maggioranza semplice), è necessaria perché il parlamentare potrebbe essere insoddisfatto del complessivo risultato finale e decidere di esprimersi negativamente sulla legge. b) Procedimento decentrato (art. 72 comma III): in alcuni casi la Commissione (in “sede deliberante o legislativa”), può approvare definitivamente la legge senza bisogno di una votazione dell’Assemblea: non si limita a svolgere una funzione istruttoria. ma le è affidato anche il compito di giungere ad una deliberazione conclusiva. 6 Si tratta di una procedura per alcune materie espressamente esclusa (elencate art. 72 comma IV),e per le quali è previsto un procedimento ordinario (“riserva di Asssemblea”) Fino al momento della sua approvazione definitiva, il progetto di legge affidato alla procedura decentrata può essere rimesso all’Assemblea laddove ne facciano richiesta il Governo un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione. c) Procedimento misto: non essendo disciplinato direttamente in Costituzione, si tratta di un procedimento che trova il suo ancoraggio normativo nei regolamenti parlamentari → tipologia intermedia tra procedimento ordinario e decentrato: alla Commissione (“sede redigente”) è rimesso l'esame del progetto ed il voto sugli eventuali emendamenti, mentre all’Assemblea spetta unicamente la votazione sui singoli articoli e sul test finale, senza possibilità di approvare emendamenti. Si tratta di una procedura per alcune materie espressamente esclusa (elencate art. 72 comma IV), ed esclusa anche nei casi in cui soggetti legittimati(art.72 comma III) facciano richiesta di procedimento ordinario. → Sono previsti anche (art. 72 comma II) procedimenti abbreviati per progetti di legge (urgenza) 3) PROMULGAZIONE ED ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE, per attribuire perfezione formale alla legge approvata dal Parlamento, si rende necessario procedere alla sua promulgazione: il Capo dello Stato, cui spetta tale competenza, documenta la volontà espressa delle due Camere, verificando la corrispondenza dei testi pervenutigli→ la promulgazione interviene entro 30 giorni dall'approvazione della legge, a meno che le Camere ne dichiarino l’urgenza, abbreviando il termine. Quella della promulgazione è anche l'occasione per l'eventuale esercizio del potere di rinvio: il Presidente della Repubblica può chiedere alle Camere, con messaggio motivato, di pronunciarsi nuovamente sulla legge già approvata. → Si procede quindi alla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale ad opera del Ministro di Giustizia, che vi appone il proprio visto (la legge presenta la data del decreto di promulgazione ed il numero con il quale è stata inserita in Gazzetta Ufficiale); trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione, la legge entra in vigore, a meno che non sia essa stessa a prevedere un diverso termine. Le leggi atipiche e leggi rinforzate ATIPICHE, leggi che, pur avendo la forma della legge ordinaria, sono dotate di una peculiare forza, ovvero di una particolare capacità di innovare l'ordinamento attraverso l'abrogazione, la modifica o la deroga di disposizioni normative vigenti (forza attiva) o di una particolare capacità di resistenza rispetto all'abrogazione, alla modifica o alla deroga operate da altre fonti diritto (forza passiva). Necessariamente previste dalla Costituzione o da altre fonti di rango costituzionale, sono una categoria comprensiva di differenti tipologie di diritto. RINFORZATE, rientranti nella categoria più ampia di leggi atipiche, si tratta di leggi per la cui adozione è richiesto un procedimento diverso da quello disciplinato dall’art.72 Cost.; tali atti (non da confondersi con le leggi di revisione costituzionale o altre leggi costituzionali) sono fonti cui la Costituzione attribuisce una determinata competenza normativa→ dotate di una peculiare forza passiva, per cui non possono essere abrogate o modificate da una legge ordinaria ma solo attraverso il procedimento prescritto per la loro approvazione. Gli atti governativi aventi forza di legge Sono atti governativi aventi forza di legge il decreto legislativo ed il decreto legge, che si collocano sullo stesso livello gerarchico della legge approvata dal Parlamento → possono essere abrogati/modificati/derogati da leggi successive, mentre non sono abrogabili/modificabili/derogabili da parte di fonti subordinate alla legge. Allo stesso tempo sono idonei ad abrogare/modificare/derogare una legge precedentemente approvata, con un'eccezione: il Governo non può approvare un decreto legislativo che contenga disposizioni in contrasto con la legge del parlamento che ha provveduto a conferire la relativa deroga. 7 come abilitato ad adottare “in casi straordinari di necessità e d’urgenza, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge”. Il decreto legge è dunque soggetto ad una serie di restrizioni, riguardanti, oltre ai presupposti di adozione, l’efficacia del provvedimento: esso ha natura provvisoria, per la quale se non viene convertito in legge, entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, dal Parlamento perde efficacia sin dall’inizio. Il decreto legge è assunto sotto la responsabilità non solo politica ma anche giuridica del Governo, che potrebbe essere chiamato a rispondere in sede civile, penale, o amministrativa delle conseguenze prodotte dal decreto. 1) Presupposti del decreto legge L’art. 77 Cost. si riferisce a situazioni per far fronte alle quali non è possibile attendere il Parlamento, con gli ordinari tempi di approvazione della legge. Nella prassi applicativa si ha avuto scarso rispetto delle condizioni costituzionali, interpretate in maniera molto elastica dai governi, che ricorrendo in modo massiccio alla decretazione d’urgenza, hanno spesso agito in tal senso al solo scopo di evitare il lungo ed insidioso procedimento legislativo ordinario. La Corte Costituzionale ha man mano affinato le tecniche di individuazione dei fattori indicativi dell’assenza, alla base del decreto legge, dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, tra cui: a) Sospetta presenza nel decreto di una disposizione del tutto estranea rispetto alla materia oggetto di intervento b) Intervento dettato dalla volontà di dare un nuovo complessivo assetto ad una materia di carattere ordinamentale, le cui esigenze e problematiche, che dovrebbero essere note con largo anticipo, devono essere affrontate con discipline meditate a lungo e non elaborate nella contingenza. Quanto agli ulteriori presupposti del decreto legge, l’art. 15 della legge 400/1988 segnala a) Il divieto per il Governo di ricorrere a decreti legge: - Al fine di conferire deleghe legislative - Al fine di intervenire nelle materie per le quali è prevista una riserva di assemblea → Già il testo costituzionale impone che talune materie siano regolate (solo) attraverso il procedimento legislativo ordinario - Al fine di regolare rapporti sorti sulla base di decreti legge non convertiti (principio che discende dall’art. 77 Cost., che riserva alla legge del Parlamento la possibilità di intervenire in tal senso) - Che ripristinino l’efficacia di disposizioni dichiarate incostituzionali per vizi sostanziali (ciò costituirebbe una violazione del giudicato costituzionale, protetto dall’art. 136, e delle stesse disposizioni costituzionali per la cui inosservanza la legge riprodotta era stata censurata dal Giudice costituzionale) - Che rinnovino disposizioni di precedenti decreti di cui sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere → l’elusione di questo limite comporta la violazione della natura stessa del decreto legge quale strumento di eccezione. b) L’obbligo nei decreti legge di introdurre misure di immediata applicazione dal contenuto specifico ed omogeneo → Illegittimi sono i decreti legge che introducano una disciplina ad efficacia differita nel tempo o per la cui effettiva operatività si rende necessaria l’approvazione di ulteriori atti normativi: tuttavia la giurisprudenza costituzionale ha segnalato come, a certe condizioni, il decreto legge possa fondarsi sulla necessità di “provvedere con urgenza”, anche laddove il risultato sia “per qualche aspetto necessariamente differito”. → Non è affatto inusuale l’inserimento di norme riguardanti molteplici materie: la presenza di norme eterogenee, rispetto al titolo ed al contenuto complessivo del decreto, potrebbe essere sintomatica del suo essere sprovvisto dei requisiti di necessità ed urgenza, in violazione dell’art. 77 Cost. 2) Procedimento di approvazione e conversione in legge Il decreto legge deve essere adottato su deliberazione del Consiglio dei Ministri, successivamente presentato al Presidente della Repubblica per l’emanazione e immediatamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, pubblicazione che ne sancisce l’entrata in vigore. Il giorno stesso il Governo è tenuto a presentare al Parlamento un disegno di legge di conversione, che si compone di un solo articolo (“il decreto legge… n…, recante disposizioni urgenti in materia di…, è convertito in legge”). 10 L’art. 77 Cost. prevede che le camere, anche se sciolte, siano appositamente convocate per riunirsi entro cinque giorni: i regolamenti di Camera e Senato prevedono procedimenti particolari per garantire un esame tempestivo nell’approvazione delle leggi di conversione dei decreti legge. Controllo parlamentare dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza Modifica del regolamento del Senato (2017), che ha permesso un avvicinamento delle discipline previste dai due rami del Parlamento → eliminazione del vaglio preventivo che al Senato era appositamente svolto dalla Commissione Affari costituzionali, prevedendosi ora, come lo era già per la Camera dei deputati, la possibilità che un capogruppo o un certo numero di parlamentari possano chiedere all’Assemblea di pronunciarsi su una specifica questione pregiudiziale. Va segnalato che alla sola Camera dei deputati è previsto un passaggio del testo al Comitato per la legislazione, chiamato a svolgere una valutazione in ordine al rispetto delle prescrizioni sancita dall’art. 15 della legge 400/1988, rendendo parere alla Commissione competente per materia. a) Una volta presentato al Parlamento, tre sono le ipotesi che si possono verificare: - Il Parlamento non esaurisce l’iter legislativo di conversione entro 60 giorni dalla pubblicazione. - Il Parlamento, in sede di votazione, non approva la legge di conversione. → In entrambe le due ipotesi il decreto legge decade e perde i suoi effetti “sin dall’inizio” (ex tunc), a partire dalla sua stessa entrata in vigore; di ciò è data notizia mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ed il decreto legge deve intendersi come non adottato. Talvolta le situazioni regolate sulla base del decreto legge decaduto vengono compromesse in modo irreversibile dal venir meno dei suoi effetti: è previsto che il Parlamento possa approvare un’apposita legge, detta “legge di sanatoria”, finalizzata a regolare i rapporti sorti durante la vigenza del decreto legge. - Il Parlamento, in sede di votazione, approva la legge di conversione b) Effetti della conversione in legge stabilizzano la provvisorietà degli effetti prodotti dal decreto legge: le Camere possono anche apportare delle modifiche alla disciplina ordinaria del decreto legge, facoltà che si comprende immediatamente ove si consideri che, una volta approvato il decreto governativo, il Parlamento torna ad esercitare la propria funzione legislativa. Tale potere incontra un limite, non potendo il Parlamento inserire nel testo della legge di conversione norme del tutto eterogenee rispetto all’oggetto ed alle finalità del decreto legge. A meno che la legge di conversione non disponga diversamente, le modifiche parlamentari producono effetti “ex nunc”, precisamente (art. 15 legge 400/1988) a partire dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge stessa (non è prevista vacatio legis) → questione controversa per emendamenti soppressivi o sostitutivi (per loro contenuto normativo interpretabili come implicito rifiuto parziale di conversione): in questo caso le modifiche approvate dal Parlamento comportano la perdita di efficacia sin dall'inizio della specifica norma del decreto da considerarsi non convertita. 3) Controllo sugli abusi nella decretazione d’urgenza La giurisprudenza costituzionale è intervenuta più volte a sanzionare prassi chiaramente distorsive del dettato costituzionale, sia per abusi commessi dal Governo, che per abusi commessi dal Parlamento. a) Verifica dei presupposti, la Corte Costituzionale ha preliminarmente dovuto chiarire di poter procedere a tale verifica, confutando la tesi secondo cui un simile giudizio sarebbe precluso dalla valenza della valutazione governativa squisitamente politica → la Corte ha però precisato che per potersi configurare un vizio di legittimità costituzionale, la carenza dei requisiti richiesti deve essere evidente, in modo che il giudizio della Corte non si sovrapponga alle valutazioni di natura prettamente politica che legittimamente spettano prima al Governo e poi al Parlamento. Il sindacato della Corte può estendersi anche alla legge che abbia convertito un decreto legge sprovvisto dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza (difficilmente altrimenti la Corte riuscirebbe ad intervenire per scrutinare il decreto legge prima che intervenga la legge di conversione) 11 - In un primo momento la Corte ha affermato di poter sindacare entrambi (decreto e legge) - Un altro filone giurisprudenziale ha affermato che i vizi del decreto legge vengono “sanati” dal Parlamento con la legge di conversione, sulla quale non può ricadere nessun sindacato in merito alla sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza → prevalenza della prima tesi (sentenza 171/2007), per cui i vizi del decreto legge si trasformano in vizi in procedendo della legge di conversione; diversamente significherebbe “attribuire al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie”. Qualora la questione di legittimità sorgesse con riferimento al decreto legge, la Corte potrebbe trasferire d’ufficio il proprio controllo anche sulla legge di conversione. b) Verifica sulle modifiche apportate in sede parlamentare, in merito di omogeneità (sentenza 22/2012): la Corte ha sanzionato la tendenza parlamentare a modificare il contenuto originario del decreto, mediante l’inserimento di emendamenti “del tutto estranei al suo oggetto e finalità”, pena l’illegittimità del decreto legge Non si tratta solo di rispondere ad un’esigenza di buona tecnica normativa, ma anche di punire qualsiasi violazione dell’art. 77 Cost.: l’iter parlamentare previsto per convertire i decreti legge è molto più celere (dovendo rispettare il termine di 60 giorni previsto per Costituzione), ma questo non giustifica l’utilizzo dello stesso decreto per altri fini, prassi che aggirerebbe la Costituzione medesima. c) Reiterazione, in passato i governi hanno dato luogo ad una forma di abuso della decretazione d’urgenza, prassi oggi arginata per effetto di un fondamentale intervento di censura da parte della Corte Costituzionale (sentenza n.360/1996): scaduto il termine dei 60 giorni, il Governo adottava un nuovo decreto, con contenuto identico a quello del decreto non convertito e contenente una clausola di retroattività (salvi gli effetti prodotti dal decreto non convertito) → la Corte ha dichiarato incompatibile la reiterazione “con la natura provvisoria della decretazione d'urgenza e con il carattere straordinario dei requisiti della necessità e dell’urgenza, il che incide sugli equilibri costituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l’attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento” Il Governo può intervenire a regolare la stessa materia di un decreto non convertito, purché il nuovo decreto sia caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi o se fondato su presupposti giustificativi nuovi e comunque straordinari. → I controlli ed i rilievi in merito al rispetto dell’art.77 Cost., possono essere effettuati oltre che dalla Corte Costituzionale anche dal Presidente della Repubblica, sia in sede di emanazione del decreto legge, sia in sede di promulgazione della legge di conversione. Il referendum abrogativo Fonte di diritto di rango primario (fonte atto avente forza di legge in quanto abilitato ad abrogare leggi o atti aventi forza di legge)→ si tratta di un istituto di democrazia diretta grazie al quale è possibile per i cittadini (5.000 elettori o 5 Consigli regionali) abrogare totalmente o parzialmente direttamente leggi o atti aventi forza di legge, e che viene considerato come strumento eccezionale rispetto alla connotazione rappresentativa della democrazia (e spesso come strumento di reazione immediata a scelte parlamentari ritenute inopportune). Nella storia del nostro paese le forze politiche hanno sempre guardato con un certo timore a gli esiti delle referendum, come dimostra il ritardo con cui fu approvata la legge n.352/1970 che, disciplinando compiutamente l'istituto referendario previste dai Costituenti, ne ha reso possibile la sua completa operatività più di vent'anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione. Il procedimento di indizione 1) Fase dell'iniziativa referendaria La differenza con l’iniziativa referendaria prevista dall’art. 138 Cost. è che in tale procedimento la titolarità dell’iniziativa referendaria spetta anche ad un quinto dei membri di ciascuna Camera ● (Art. 32 e 31 legge n. 352/1970) Le richieste referendarie, corredate dalle 500.000 firme o dalle delibere dei Consigli regionali, devono essere depositate (entro tre mesi dall'inizio della raccolta/dall'approvazione della delibera) presso l’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione tra il 1 gennaio e il 30 settembre di ogni anno; 12 Secondo l’interpretazione data dell’Ufficio centrale per il referendum tale preclusione opererebbe solo quando la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità, mentre nel caso in cui il referendum sia fallito per mancata partecipazione di almeno la metà degli aventi diritto, è possibile attivare nuovamente il procedimento referendario anche prima che sia trascorso il periodo indicato dalla norma. I regolamenti parlamentari I regolamenti parlamentari sono gli atti che dettano, per ciascuna delle Camere di cui si compone il Parlamento, la disciplina di organizzazione e funzionamento delle attività che sono chiamate a svolgere (regole di comportamento di deputati senatori, regole di organizzazione degli organi interni a ciascuna Camera, regole che riguardano i rapporti di ciascuna Camera con il proprio personale dipendente ma anche con soggetti esterni come, ad esempio, il Governo) → l’art. 64 Cost. stabilisce che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento “a maggioranza assoluta dei suoi componenti”: questo potere di autoregolamentazione è ritenuto la massima espressione dell'autonomia delle Camere rispetto agli altri poteri dello Stato, e la richiesta della maggioranza assoluta costituisce una garanzia per le minoranze politiche presenti nell'Assemblea parlamentare. I regolamenti parlamentari sono qualificabili come fonti di diritto primarie a competenza riservata, essendo precluso alla legge ed a qualsiasi altra fonte di intervenire→ i regolamenti, come gli atti aventi forza di legge, sono pertanto allineati sullo stesso piano gerarchico, e i loro rapporti si dispiegano in forza del criterio di competenza. Secondo differenti dottrina i regolamenti ne sarebbero dotati di forza giuridica avere propria, intendo questa lettura la Corte Costituzionale ha parlato di “fonti di ordinamento generale della Repubblica produttive di norme sottoposti a riordinare i canali interpretativi”, escludendo inoltre che i regolamenti potessero costituire, al pari delle altre leggi, oggetto del giudizio di costituzionalità sulle leggi. Il mancato rispetto del regolamento parlamentare non può essere invocato di fronte alla Corte Costituzionale, poiché regolamento parlamentare stesso non può fungere da parametro: l'unica eccezione si ha se la norma regolamentare violata costituisce la sostanziale riproduzione di una norma costituzionale relativa al procedimento legislativo Sezione III Le leggi statutarie delle Regioni ordinarie Gli Statuti delle 5 Regioni speciali hanno rango di fonti superprimarie, mentre gli Statuti delle 15 Regioni ordinarie rientrano nella categoria delle fonti atipiche, essendo un particolare tipo di leggi regionali (denominate anche leggi statuarie regionali), in quanto (art.123 Cost.): - Sovraordinate alle fonti di legislazione ordinaria regionale: viene affidata agli Statuti la competenza a determinare le regole che delineano i rapporti tra gli organi di indirizzo politico della Regione e quelle essenziali di carattere organizzativo a) Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi (legge per cui non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo, il Governo della Repubblica può solo promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali, davanti alla Corte costituzionale, entro 30 giorni dalla loro pubblicazione) b) La legge statutaria regionale deve essere approvata con 2 deliberazioni successive, con intervallo non minore di 2 mesi e con maggioranza assoluta→ lo statuto così approvato, dopo essere stato pubblicato, può essere: -) Impugnato dal Governo entro 30 giorni per sottoporre al controllo di costituzionalità della Corte costituzionale -) Oggetto di una richiesta di referendum entro 3 mesi: i soggetti abilitati a presentare la richiesta sono una porzione della popolazione regionale (1/50 degli elettori della regione interessata) o una minoranza politica (⅕ dei componenti del Consiglio regionale): per superare il vaglio referendario deve essere approvato con maggioranza dei voti validi. 15 - Subordinate alla Costituzione: la disciplina all’interno dello Statuto deve essere in armonia con la Costituzione, che significa che gli Statuti, oltre ad essere soggetto alle singole norme della prima, possono essere sottoposti anche ad un controllo teso a verificare se, oltre al formale rispetto di queste norme, il senso della loro disciplina ha l’effetto di aggirarle. Le norme di carattere generale talvolta contenute negli Statuti regionali, e che potrebbero essere considerate illegittime se prese sul serio, non sono considerati tali dalla Corte costituzionale in quanto proclamazioni da collocare sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello Statuto. Le leggi regionali Tutte le regioni hanno competenza ad adottare leggi efficaci soltanto nel territorio della singola Regione, dotate di rango primario → l’organo competente ad approvare le leggi regionali è il Consiglio regionale (art.121 Cost.), che segue il procedimento delineato nei rispettivi statuti. Per le Regioni ordinarie, le regole che definiscono il reparto di competenze sono fissate dall’art.117 Cost. (in caso di contrasto con le leggi ordinarie dello Stato, che sono sullo stesso livello gerarchico, viene fatto valere il criterio di competenza), che prevede tre forme di competenza legislativa: 1. Competenza legislativa esclusiva dello Stato (art.117 comma II): materie in cui solo lo Stato è autorizzato ad intervenire perché richiedono una disciplina unitaria su tutto il territorio nazionale 2. Competenza legislativa concorrente (art.117 comma III): materie su cui sia lo Stato che le Regioni hanno titolo ad intervenire → lo Stato deve dettare i principi fondamentali (disciplina in base generale ed omogenea), mentre le Regioni hanno il compito di regolamentare queste materie nella parte di dettaglio (disciplina adeguata alle proprie specificità) 3. Competenza legislativa residuale regionale (art.117 comma IV): la Regione disciplina le materie che non sono elencate nei commi precedenti →si tratta, quindi, di una clausola residuale Tuttavia, è possibile individuare le cosiddette “materie trasversali”, per cui il legislatore statale può dettare norme che invadono aree di competenza regionale Per quanto riguarda le Regioni a Statuto speciale, le materie in cui possono intervenire sono previste dai loro Statuti, sui quali comunque prevale il riparto previsto dall’art.117, se maggiormente favorevole all’autonomia regionale; tali statuti prevedono, in alcuni settori, una competenza primaria delle Regioni (quelle ordinarie non hanno) in altri una concorrente, ed in altri una facoltativa che dipende dalla volontà dello Stato. Sezione IV I regolamenti del potere esecutivo I regolamenti del potere esecutivo sono fonti secondarie: ne fanno parte i regolamenti governativi ed i regolamenti ministeriali e interministeriali, entrambi, secondo il principio di legalità, subordinati alla legge e, in questa, obbligatoriamente chiamati a trovare fondamento. I regolamenti ministeriali e interministeriali, sono però sottoposti anche ai regolamenti governativi, perché devono rispettare le statuizioni. La disciplina di questi regolamenti del potere esecutivo è contenuta nell’art.17 della legge n.400/1988, anche se implicitamente vengono riconosciuti anche dalla Costituzione, che tuttavia non ne detta una specifica disciplina in materia → il regolamento viene proposto dal Ministro o dai componenti per materia e viene deliberato dal Consiglio dei ministri; successivamente viene sottoposto ad un parere, non vincolante, del Consiglio di Stato, emanato con decreto del Presidente della Repubblica e sottoposto al controllo di legittimità della Corte dei conti, che procede alla registrazione del regolamento, che viene poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Esistono cinque diversi tipi di regolamenti governativi: 1. Regolamenti di esecuzione delle leggi, dei decreti legislativi e dei regolamenti comunitari: adottati quando via sia la necessità di specificare il contenuto delle disposizioni di una legge, di un decreto legislativo e di un regolamento comunitario; non hanno una portata innovativa, non sono necessarie specifiche autorizzazioni legislative per l’adozione (in quanto rispetto alla legge hanno una posizione accessoria, 16 strumentale e servente) e non possono intervenire in materie coperta da riserva di legge assoluta (ad eccezione di regolamenti di stretta esecuzione) 2. Regolamenti di attuazione e di integrazione delle leggi e dei decreti legislativi che recano norme di principio: hanno portata normativa innovativa, non possono intervenire nelle materie coperte da riserva assoluta di legge e, affinché il Governo possa adottarli, è necessario che la legge detti i principi a cui l’attività regolamentare deve attenersi. 3. Regolamenti indipendenti: intervengono nei settori in cui manca una disciplina legislativa (la materia in questione non deve essere coperta da una riserva di legge→ caso in cui anche qualora il Parlamento non intervenga a regolare la materia, la lacuna non potrà essere colmata da un regolamento) 4. Regolamenti di organizzazione: intervengono a disciplinare tutto ciò che riguarda il personale, le strutture ed il funzionamento dei pubblici uffici, nel rispetto di quanto disposto dalla legge; esiste in materia una riserva di legge relativa, dove la legge deve determinare i principi fondamentali della materia 5. Regolamenti autorizzati (o delegati o di delegificazione): vengono adottati sulla base di leggi che delegano un successivo regolamento ad intervenire in materie che non sono coperte da riserva di legge assoluta→ la legge in questione deve fissare i principi generali della materia e disporre che l’entrata in vigore delle norme regolamentari comporta l’abrogazione delle norme di legge vigenti (di conseguenza tale materia non sarà più disciplinata da una fonte di rango legislativo, ma da una di grado regolamentare) Attraverso il loro utilizzo si cerca di porre rimedio al fatto che, nel nostro ordinamento, la maggior parte delle regole giuridiche è contenuta in leggi e, sostituirle con regolamenti, consente di semplificare il procedimento necessario ad aggiornare le discipline normative Regolamenti ministeriali e interministeriali: sono adottati dal Ministro o ministri che si occupano delle materie oggetto del regolamento ed assumono la forma di decreto ministeriale o interministeriale. Occorre sempre il parere del Consiglio di stato e il controllo di legittimità della Corte dei conti, anche se di questi atti, prima della loro emanazione, bisogna dare comunicazione al Presidente della Repubblica, che potrebbe decidere di sospendere l’adozione per rimetterla alla decisione del Consiglio dei ministri Esistono altre tipologie di regolamenti, adottati da altri organi della Pubblica Amministrazione, che vengono citati nell’art.4 delle Preleggi e che sono detti “regolamenti di altre autorità”: essi non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Sezione V I regolamenti regionali La Costituzione (art. 117 comma VI Cost.) prevede che le Regioni possano adottare un regolamento (fonte al di sotto delle leggi regionali) in tutte le materie in cui queste hanno competenza legislativa concorrente o residuale→ è lo stesso Statuto regionale che indica se i regolamenti devono essere adottati dall’organo legislativo (Consiglio) o dall’organo esecutivo (Governo) della Regione. Gli atti normativi degli enti locali (statuti e regolamenti delle Città metropolitane, Province e Comuni) “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”(art.114 comma II Cost.) Anche gli enti locali hanno potestà legislativa dal momento che possono adottare statuti e regolamenti (i secondi gerarchicamente subordinati ai primi) (art. 4 della legge n.131/2003 e articoli 6 e 7 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) - Statuti: hanno competenza a fissare le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente, ma possono intervenire anche su altri profili in ordine istituzionale o garantire il rispetto di alcuni diritti e principi di cardine; per l’approvazione dello statuto è richiesto al Consiglio dell’ente locale un procedimento speciale 17 abbia la responsabilità di accertarlo e, soprattutto, nulla dice in ordine a quali siano gli strumenti normativi adottabili per farvi fronte e a chi spetti tale compito → ciò non significa, però, che la Costituzione non offra coordinate cui riferirsi anche in simili situazioni: escluso il riferimento all'art. 78 Cost., disposizione che regola lo «stato di guerra» (deliberato dalle Camere, che hanno poi il compito di affidare al Governo i poteri conseguenti), ma certamente rilevante, ai nostri fini, è invece l'art. 77 Cost., che contempla e regola l'evenienza che il Governo adotti fonti aventi forza di legge in «casi straordinari di necessità ed urgenza. Oltretutto, in quanto atti aventi forza di legge, i decreti-legge rientrano tra le fonti sottoponibili, laddove ricorrano i presupposti per l'attivazione del relativo giudizio, al sindacato della Corte costituzionale: non si tratta, ben vero, dell'unico strumento previsto nel nostro ordinamento al fine di fronteggiare emergenze, ma ulteriori atti si collocano ad un livello inferiore nella gerarchia delle fonti e non rinvengono il loro fondamento nella Costituzione, bensì in previsioni normative ad essa subordinate. L'emergenza sanitaria ha posto in tensione il sistema delle fonti del diritto anche ad un altro livello: in alcuni momenti si è infatti assistito ad un caotico rincorrersi di provvedimenti statali e deroghe regionali (ulteriormente limitative o, all'opposto, finalizzate ad un allentamento delle misure adottate dal centro)→ ci si è domandati se la situazione emergenziale e gli ambiti materiali da essa coinvolti abitassero in via di esclusiva l'intervento centrale dello Stato o se, per alcuni aspetti, fossero le Regioni, anche in considerazione della differente intensità del contagio nelle aree del Paese, ad avere titolo di approvare discipline normative per 'appunto differenziate. Sul tema, che rimane per vero controverso, ha avuto modo di intervenire la Corte costituzionale, che, pur avendo ricordato che le autonomie regionali partecipano alla gestione delle crisi sanitarie in ragione delle competenze concorrenti "tutela della salute" e "protezione civile", ha affermato che il grave pericolo per l'incolumità pubblica richiede che esse agiscano nei limiti delle misure straordinarie adottate dallo Stato, al quale spetta il compito di regolare la profilassi delle malattie infettive, con la conseguenza che esso può «imporre criteri vincolanti di azione, e modalità di conseguimento di obiettivi che la medesima legge statale, e gli atti adottati sulla base di essa, fissano, quando coessenziali al disegno di contrasto di una crisi epidemica» La disciplina prevista dal Codice della protezione civile e i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri Nel nostro ordinamento, la gestione delle situazioni di crisi emergenziali è affidata al "Servizio nazionale della protezione civile", la cui disciplina si rinviene nel già citato Codice della protezione civile→ il codice distingue tre tipologie di emergenze, in tutti casi imputabili ad eventi calamitosi naturali o di origine umana - La prima emergenza è quella che può essere fronteggiata in via ordinaria da singole amministrazioni - La seconda richiede invece il coordinamento tra più amministrazioni e il ricorso a poteri straordinari, disciplinati a livello regionale - La terza tipologia di emergenza, infine, in ragione della propria estensione o intensità, assume rilievo "nazionale" → anche in questo caso è prevista l'adozione di "poteri straordinari" - da impiegare per limitati e predefiniti periodi di tempo - indispensabili a fronteggiare la situazione con "immediatezza di intervento". L’art. 24 del Codice protezione civile prescrive l'adozione della «deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale», che deve determinare la durata dell'emergenza (comunque non superiore ai 12 mesi e prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi) e relativa estensione territoriale, compete al Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, formulata anche su richiesta del Presidente delle regioni o Province autonome. Le ordinanze in questione devono essere emanate «acquisita», l'intesa delle Regioni territorialmente interessate: l'emergenza, infatti, pur assumendo rilievo nazionale, potrebbe localizzarsi su una porzione specifica del territorio, e pertanto giustificare il coinvolgimento degli enti regionali direttamente interessati. → Quanto al profilo soggettivo, l'art. 5 del Codice protezione civile stabilisce che sia il Presidente del Consiglio a detenere i poteri di ordinanza in questione, prerogativa esercitabile per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile: tuttavia, come meglio si dirà nel paragrafo che segue, durante l’emergenza sanitaria si è deciso di ricorrere, con indubbia maggior frequenza, a strumenti normativi diversi dalle ordinanze del Codice della Protezione civile, ovverosia a decreti adottati direttamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri (dPCM), fonti dalla natura 20 ambigua, tanto che un primo interrogativo sollevato concerneva la riconducibilità di tali atti al sistema normativo della protezione civile; sul punto la dottrina si è divisa, taluni ritenendo che certamente i dPCM, a dispetto della forma, sarebbero nella sostanza assimilabili alle ordinanze di cui all'art. 25 del Codice protezione civile, per altri sis collocherebbero al di fuori del potere di ordinanza previsto e disciplinato dal codice di protezione civile, come attesterebbe la stessa deliberazione dello stato di emergenza, e la differenza dalle ordinanze della protezione civile, non richiederebbero l'acquisizione di un'intesa con le autonomie regionali. Va infine notato che anche nella prassi i dPCM hanno richiamato a proprio fondamento nelle rispettive intestazioni e nei relativi preamboli, non già Il codice di protezione civile, ma i decreti legge adottati dal Governo durante l'emergenza. Sezione VIII Fonti internazionali: introduzione L'Italia fa parte di una comunità di Stati sovrani che intrattengono tra loro rapporti giuridicamente regolati, retti da un sistema di fonti normative che, pur risultando tra "esterne” al nostro ordinamento, vi dispiegano effetti in quanto dallo stesso recepite (mediante un adattamento automatico o mediante specifici atti normativi interni di volta in volta appositamente adottati)→ si tratta di fonti-fatto che vengono dall’Italia riconosciute come produttive di effetti giuridici ed alle quali l’Italia si adatta secondo regole proprie. Il rango che le fonti degli ordinamenti internazionali assumono all'ingresso nel nostro ordinamento è variabile: la regola generale è che esso corrisponde al rango della fonte di diritto interno responsabile del loro ricevimento. E quindi necessario introdurre la distinzione tra il rinvio FISSO, che richiama una specifica “disposizione” straniera senza attribuire rilievo alcuno ad eventuali sue modifiche MOBILE, che richiama una determinata “fonte” del diritto straniero, comportando un adattamento automatico del nostro sistema alle eventuali correzioni che siano nel tempo apportate a quella disciplina. Norme di diritto internazionale generalmente riconosciute Si tratta di regole non scritte vincolanti per tutti gli Stati membri della comunità internazionali, che assurgono al rango di fonte del diritto nel momento in cui, contestualmente, siano venuti a verificarsi due condizioni: a) Elemento oggettivo: regola di condotta in esame viene osservata dalla generalità degli Stati costantemente b) Elemento soggettivo: il comportamento è conformativo in ragione della convinzione degli Stati a doverlo tenere in forza di un obbligo giuridico A questa categoria sono ascrivibili poche basilari regole di elaborazione secolare (consuetudini internazionali), che assumono rilievo nel nostro ordinamento (art. 10 comma I Cost.), adeguandosi ad esso automaticamente, mediante rinvio mobile → la circostanza per cui l’adattamento avvenga per il tramite di una norma costituzionale ha come ulteriore conseguenza che alla cosnuetudime internazionale sia riconosciuto il rango di fonte superprimaria. Un problema costituzionale è quello per cui la consuetudine internazionale sia o meno in grado di sfuggire a qualsivoglia limite, oppure sia sottoposta, al pari di una legge costituzionale, alla barriera dei principi supremi caratterizzanti l’ordinamento costituzionale italiano→ la Corte Costituzionale (sentenza n.238/2014) ha chiarito che tutte le consuetudini internazionali incontrano il limite del necessario rispetto dei principi supremi, per cui la Corte stessa ha affermato che, nell’ipotesi in cui una consuetudine internazionale contraddica principi e diritti inviolabili del sistema costituzionale "non opera il rinvio di cui al primo comma dell'art 10 Cost." Norme di diritto internazionale pattizio Trattati o convenzioni internazionali, ovvero fonti scritte che vincolano unicamente quei paesi (due o più di due, a seconda che si tratti di trattati bilaterali o multilaterali) che li abbiano specificamente sottoscritti e ratificati. Il procedimento che porta la formazione di un trattato internazionale si articola in più fasi: - Negoziati: si concludono con la stipula dell'accordo da parte di un rappresentante del Governo - Ratifica: mediante la quale lo Stato dichiara di aderire al testo della convenzione - Responsabilità: scambio tra Stati interessati dei rispettivi strumenti di ratifica, sorge gli uni verso gli altri. - Ordine di esecuzione: determina la produzione di effetti giuridici all'interno dell'ordinamento (italiano) 21 La fase della ratifica e dell'esecuzione sono disciplinate diversamente da ciascun ordinamento, nel caso italiano è il Presidente della Repubblica a cui è assegnata la competenza a ratificare, mediante decreto, i trattati internazionali (ad eccezione dei trattati di natura politica, o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni di territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi, la cui ratifica deve essere autorizzata, seguendo la procedura ordinaria, con legge del Parlamento che non può essere abrogata per via referendaria e che contiene anche il proprio ordine di esecuzione) Per le fonti pattizie il rinvio operato dall'ordinamento italiano è fisso: il recepimento, infatti, non si riferisce alla fonte internazionale in sé considerata, ma alla specifica disciplina in essa prevista, per cui successive correzioni alla fonte necessiteranno di una nuova apposita procedura di recepimento. → Il rango delle fonti pattizie si determina guardando alla fonte interna che ha provveduto all’adattamento Contrasto con una disposizione contenuta in un trattato internazionale La regola è contenuta nell’art. 117 comma I Cost., che per effetto della riforma costituzionale intervenute nel 2001, oggi statuisce che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni… nel rispetto dei vincoli derivanti… dagli obblighi internazionali”→ in ragione di tale previsione la Corte Costituzionale (sentenza n. 348 e 349/2007) ha chiarito che nel nostro ordinamento le fonti internazionali pattizie godono di una maggiore forza di resistenza rispetto alle altre leggi ordinarie: esse sono dunque subordinate alla Costituzione, ma si collocano in una posizione intermedia tra questa e le fonti primarie. Essendo dunque “norme interposte”, il giudice che si trovi di fronte ad un conflitto tra una legge statale ed una norma internazionale convenzionale dovrà sollevare un giudizio di legittimità costituzionale che vedrà il prevalere dell'ultima sulla prima → il giudice non può in alcun modo procedere alla disapplicazione della norma interna, essendo indispensabile l’intervento della Corte Costituzionale (tenendo presente che, nel caso in cui la norma internazionale collida con i principi supremi dell’ordinamento sarà compito della stessa Corte “espungerla dall’ordinamento giuridico italiano”) 1. CEDU (atto di diritto internazionale pattizio recepito in Italia tramite legge; catalogo di diritti fondamentali della persona): istituzione di un organo - la Corte europea dei diritti dell’uomo - a cui viene appositamente domandato di interpretare e applicare le disposizioni della Convenzione dalla quale è istituito→ il giudice italiano che riscontri un’antinomia tra disciplina interna e norma della CEDU, prima di sollevare questione di legittimità, dovrà tentare un’interpretazione della disciplina nazionale conformemente alla CEDU 2. Carta sociale europea (catalogo di diritti sociali che ha trovato ingresso nell’ordinamento italiano per tramite di una legge, presentando spiccati elementi di specialità rispetto ai normali accordi internazionali): non vale quanto la Corte Costituzionale aveva affermato riferendosi ai vincoli discendenti dall’interpretazione che della CEDU fornisce la Corte Europea dei diritti dell’uomo, poiché - pur prevedendo la Carta un organismo deputato ad accertare violazioni da parte degli Stati delle disposizioni della Carta stessa - la Corte Costituzionale ha ritenuto che “le pronunce del Comitato, pur nella loro autorevolezza, non vincolano i giudici nazionali nell’interpretazione della Carta” Sezione IX L’Unione Europea All’indomani della seconda guerra mondiale, con l’obiettivo di aprire una nuova pacifica fase di convivenza, alcuni Stati europei si resero promotori dell’avvio di un progetto di reciproca collaborazione e integrazione; l’origine di questo importante processo volto all’edificazione di un’Europa unita ha coinciso con l’adozione di alcuni trattati: - Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 (istitutivo della CECA); - Trattati di Roma del 25 marzo 1957 (istitutivi dell’EURATOM e della CEE) Nel corso del tempo questi accordi hanno subito importanti correttivi e la cooperazione tra gli Stati si è conseguentemente rafforzata → tappe fondamentali: ❖ Trattati di Maastricht del 1992 e Amsterdam del 1997 ❖Trattato di Nizza del 2000 con cui è stata proclamata la «Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» ❖Trattato di Lisbona del 2007 (entrato poi in vigore nel 2009) che ha simboleggiato un importante salto di qualità nella fortificazione dell’alleanza, in quanto: a) Ha allargato gli ambiti entro i quali gli Stati si assoggettano a regole comuni 22 - Camera alta: storicamente di nomina regia, svolge un ruolo di ponderazione rispetto alle scelte adottate dalla Camera bassa, potendo al più esercitare una funzione di controllo soppressivo (motivo per cui viene anche identificata come “Camera di raffreddamento”) Funzione a cui si contrappone quella (tipica degli Stati federali e degli stati con forti autonomie territoriali) di rappresentare le istanze degli enti territoriali, per cui le Camere alte possono essere titolari di una potestà legislativa limitata agli ambiti di competenza territoriale. → A fare eccezione è il sistema italiano, caratterizzato da un bicameralismo paritario che vede le due Camere del Parlamento, formate in modo sostanzialmente analogo, svolgere le stesse funzioni. Sezione II Come si eleggono i parlamenti: i modelli e le varianti dei sistemi elettorali Al fine di formare i parlamenti, è indispensabile la presenza di un sistema elettorale, grazie al quale i voti ricevuti dalle forze politiche da parte degli elettori durante le elezioni possono essere trasformati nel numero di seggi che andranno ad occupare nell’Assemblea rappresentativa → due diversi obiettivi non sempre tra loro compatibili, motivo per cui ogni sistema elettorale mira a determinare un punto di equilibrio: 1. GOVERNABILITÀ, capacità di rendere le assemblee elettive in grado di esprimere maggioranze stabili 2. RAPPRESENTATIVITÀ, capacità di rendere le assemblee elettive uno specchio fedele delle diverse posizioni politiche presenti nel Paese, espresse dai cittadini nelle urne e degli orientamenti politici presenti all’interno delle Assemblee elettive. Esistono molteplici varianti di cui tenere conto per definire i sistemi elettorali: → Numero dei seggi che è possibile ottenere all’interno dei collegi elettorali (collegi uninominali o plurinominali) → Il modo in cui i seggi vengono ripartiti all’interno del collegio (sistemi maggioritari, proporzionali o misti) I collegi e le circoscrizioni elettorali sono gli ambiti in cui viene diviso il Paese al fine di attribuire i seggi. Maggioritario puro Proporzionale puro I seggi vengono attribuiti alla forza politica che ottiene più voti all’interno del collegio. 1) Vantaggio: avendo effetti «selettivi», il maggioritario favorisce la formazione di maggioranze più stabili (maggiore governabilità). 2) Svantaggio: Parlamento rispecchia meno fedelmente tutti gli orientamenti politici presenti nel Paese. I seggi vengono attribuiti in proporzione dei voti ricevuti da ciascuna forza politica 1) Vantaggio: Parlamento rispecchia più fedelmente tutti gli orientamenti politici presenti nel Paese (accesso minoranze politiche alle Assemblee elettive) 2) Svantaggio: avendo effetti proiettivi, conducono alla formazione di Assemblee politicamente più frammentate, mettendo a rischio la governabilità. I sistemi maggioritari prevedono generalmente che sia assegnato un solo seggio per collegio I sistemi proporzionali prevedono che siano attribuiti più seggi per circoscrizione. Gli effetti dei sistemi elettorali puri (maggioritario o proporzionale) possono essere temperati a) Dalla previsione di un sistema misto (parte dei seggi in quota maggioritaria e resto in in quota proporzionale) b) Della previsione di alcuni correttivi, tra i quali: - Soglia di sbarramento: al fine di escludere i partiti meno rappresentativi, si prevede che partecipino alla ripartizione dei seggi solo le forze politiche che hanno raggiunto una determinata percentuale di voti. - Premio di maggioranza: al fine di garantire maggiore governabilità, si attribuisce una quota di seggi aggiuntiva alla forza politica che vince le elezioni o che raggiunge una determinata percentuali di voti. - Introduzione del doppio turno: nell’ambito dei sistemi maggioritari, l’elezione può svolgersi in un solo turno, o in un doppio turno (si parla anche di ballottaggio): in quest’ultimo caso, solo i candidati più 25 votati, tra quelli che si erano originariamente presentati alle elezioni, possono partecipare al secondo turno, al quale seguirà l’attribuzione dei seggi. Le varianti concernono la possibilità che gli eletti siano scelti direttamente dai cittadini (come disposto dagli artt. 56 e 58 Cost., rispettivamente per la Camera e il Senato), oppure l’ipotesi che i cittadini eleggano rappresentanti intermedi, che poi sceglieranno il titolare della carica (elezione di secondo grado) Nei sistemi plurinominali, i cittadini possono indicare direttamente quali candidati vogliono eleggere (preferenze), oppure possono esprimere il voto soltanto per la forza politica, la quale avrà precedentemente predisposto la lista e l’ordine dei candidati (voto per liste bloccate) → L’applicazione dei sistemi elettorali, puri o corretti, può comportare risultati differenti a seconda di altre variabili (ampiezza di collegi elettorali o il numero di seggi messi in palio in ciascun collegio); inoltre qualsiasi sistema elettorale dovrà sempre fare i conti con il concreto assetto politico-partitico, e dunque con il numero di forze politiche ed il loro concreto atteggiarsi nel momento della presentazione agli elettori. Elezione del Parlamento italiano: dal proporzionale al Mattarellum (1948-2005) In Costituzione non si rinviene alcuna scelta legata al sistema elettorale → l’Assemblea Costituente «pur manifestando, con l’approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell’elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria». → Dal punto di vista Costituzionale, oltre alle norme che stabiliscono che Camera e Senato devono essere eletti a suffragio universale e diretto (artt. 56 e 58 Cost.), l’unica norma che disciplina l’elezione del Parlamento è l’art. 57 Cost., che dispone che l’elezione dei componenti del senato deve avvenire a base regionale, ovvero dispone che il sistema elettorale del Senato si basi su circoscrizioni regionali, al cui interno deve avvenire l’elezione dei senatori. I Costituenti decisero, con due leggi ordinarie (legge n. 6 del 1948 per la Camera; legge n. 29 del 1948 per il Senato), di adottare per entrambi i rami del Parlamento sistemi elettorali sostanzialmente proporzionali senza correttivi In questo contesto (crisi della centralità di partiti fino a quel momento indiscussi), i sistemi proporzionali rimasero in vigore fino a quando, nell’aprile del 1993, con un referendum abrogativo che vide la partecipazione massiccia della popolazione (votò il 77% della popolazione e oltre l’82% si espresse per l’abrogazione), i cittadini italiani decretarono la fine della «stagione proporzionale» → l’accorto uso manipolativo dello strumento referendario effettuato dai promotori del referendum stesso, fece sì che i cittadini si esprimessero contestualmente per la sostituzione del sistema proporzionale con un sistema misto prevalentemente maggioritario 1) MATTARELLUM (leggi nn. 276 e 277/1993): il Parlamento, preso atto del risultato referendario, modificò le leggi elettorali per l’elezione della Camera e del Senato, introducendo un sistema misto, denominato Mattarellum (dal nome dell’attuale Presidente della Repubblica, allora deputato che propose il testo della legge). Contenuto: il 75% dei seggi, sia della Camera sia del Senato, veniva attribuito con il sistema maggioritario, mentre il restante 25% con il sistema proporzionale→ alla Camera era previsto, per l’assegnazione dei seggi con sistema proporzionale, una soglia di sbarramento del 4% come correttivo (solo i partiti che conseguivano almeno il 4% dei voti a livello nazionale partecipavano all’assegnazione dei seggi), oltre all’applicazione dello scorporo. Scorporo al Senato Scorporo alla Camera SCORPORO TOTALE Nei calcoli necessari all’attribuzione dei seggi con metodo proporzionale (¼ dei seggi), si sottraggono dalla somma di tutti i voti quelli ottenuti dai candidati eletti col sistema maggioritario (valido per ¾ dei seggi). SCORPORO PARZIALE Si sottraggono dalla somma di tutti i voti quelli ottenuti dai candidati arrivati secondi nel sistema maggioritario, con l’aggiunta di 1 (voti necessari a far vincere i candidati eletti) 26 Lo scorporo, nato con la finalità di impedire a chi prevaleva nell’attribuzione dei seggi col sistema maggioritario di prevalere anche nell’attribuzione dei seggi col sistema proporzionale, produceva l’effetto distorsivo di penalizzare i «vincitori» (i partiti dei candidati maggiormente votati) e di favorire gli «sconfitti». La configurazione di tale sistema elettorale ha di certo influenzato anche il contesto politico, orientatosi verso un sostanziale bipolarismo (anche se al Mattarellum va attribuita la positiva alternanza tra forze politiche al potere, con una maggiore stabilità dei governi rispetto all’esperienza del proporzionale) La stagione del proporzionale con premio di maggioranza 2) PORCELLUM (legge n. 270/2005): sistema elettorale proporzionale, con un significativo premio di maggioranza per la lista o la coalizione di partiti che otteneva più voti, (non necessario raggiungimento soglia minima di voti); denominato Porcellum (dal nome di “porcata” che lo stesso ideatore, l’on. Calderoli ne aveva dato) Contenuto: il meccanismo del Porcellum ha favorito la formazione di ampie coalizioni, non sempre omogenee, con l’unico scopo di ottenere il premio di maggioranza (non ha quasi mai garantito la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento → forte rischio di ingovernabilità) Premio di maggioranza al Senato Premio di maggioranza alla Camera Al Senato, eletto su base regionale, il 55% dei seggi attribuiti in ogni Regione veniva assegnato alla lista o coalizione che, a livello regionale, otteneva più voti (anche uno solo in più) Alla Camera venivano attribuiti 340 seggi (il 55% del totale) alla lista oppure alla coalizione di partiti che otteneva, a livello nazionale, più voti. (anche uno solo in più) La legge n. 270 del 2005 prevedeva, inoltre, un complesso sistema di soglie di sbarramento congeniato in modo da favorire la formazione di coalizioni. Il Porcellum prevedeva altresì le “liste bloccate”, per cui l’elettore non poteva esprimere il voto di preferenza e di conseguenza i candidati venivano eletti esclusivamente in base alla posizione occupata all’interno della lista, decisa dalla segreteria del partito. → Intervento della Corte Costituzionale: sollevate questioni in merito alla legge n. 270 del 2005, con riferimento: a) Assegnazione del premio di maggioranza b) Previsione del sistema delle liste bloccate. Parametri di costituzionalità evocati dal rimettente (sentenza n.1/2014 → dichiarazione di incostituzionalità): - Principio di sovranità popolare (artt. 1, 56 e 58 Cost.): non consentiva all’elettore di esprimere alcuna preferenza, e dunque di scegliere il «proprio» rappresentante, violando il principio della libertà del voto e della natura diretta del suffragio - Uguaglianza del voto (artt. 3 e 48 Cost.) e di rappresentanza democratica (forte «distorsione» del voto); Meccanismo legislativo irragionevole in quanto: 1. Incentivava gli accordi tra le liste, ma non assicurava la governabilità (i partiti coalizzati che ottengono il premio possono rompere il vincolo politico anche all’indomani delle elezioni) 2. Era la stessa attribuzione del premio a livello regionale, per il Senato, a poter impedire il raggiungimento dell’obiettivo della governabilità. - Libero mandato parlamentare (art. 67 Cost.): si riteneva violato il divieto di mandato imperativo, in quanto le liste bloccate determinavano che l’eletto fosse nominato dai partiti (non dal corpo elettorale). La legge elettorale per la sola Camera e la sua incostituzionalità Tra le previsioni contenute nella riforma costituzionale “Renzi-Boschi” (poi bocciate dal corpo elettorale nel referendum del 2016), vi era la riforma del Senato, i cui membri non sarebbero più stati eletti dai cittadini, ma dai Consigli regionali → il Parlamento approva (2015) la legge n.52 27 Bicameralismo paritario: origini ed elementi di differenziazione Il bicameralismo perfetto come disegnato nella Costituzione italiana non esiste in altri ordinamenti (raggiunto grazie ad un compromesso tra due contrapposte tesi emerse durante i lavori dell’Assemblea Costituente Sinistre Liberali e cattolici Modello monocamerale: l’unica Camera sarebbe stata rappresentativa degli elettori (principio democratico della sovranità popolare come valore imprescindibile ed incondizionabile da un’altra Camera che non fosse rappresentativa della volontà popolare) Modello bicamerale: garante dell’integrazione della rappresentanza popolare (rappresentanza, in Senato, delle Regioni o delle categorie professionali) e della possibilità di una maggiore ponderazione delle deliberazioni della prima Camera. Compromesso che ha visto il Senato come “Camera di raffreddamento”, dotata degli stessi poteri della Camera dei Deputati, ed eletta dal popolo (evitare depotenziamento della sovranità popolare). → I parlamentari sono eletti a suffragio universale e diretto e ciascun parlamentare rappresenta la Nazione → Le differenze che esistono tra le due Camere non sono in grado di dare vita ad organi portatori di interessi diversi ❖ Il Parlamento si compone 1. Camera dei Deputati - Composta da 400 membri, di cui 8 eletti nella circoscrizione estero Prima 630 membri, di cui 12 eletti nella circoscrizione estero - Elettorato passivo, 25 anni - Elettorato attivo, 18 anni 2. Senato della Repubblica (eletto «a base regionale») - Composto da 200 membri, di cui 6 eletti nella circoscrizione estero Prima da 315 membri, di cui 6 eletti nella circoscrizione estero - Elettorato passivo, 40 anni - Elettorato attivo, 25 anni - Integrata da membri non elettivi (massimo cinque), i senatori a vita (coloro che hanno rivestito la carica di Presidente della Repubblica e coloro che hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti”) → Notevole appesantimento del processo decisionale, che ritarda di molto l’approvazione di una legge (“navette”): il rifiuto degli elettori alle proposte di modifica al bicameralismo perfetto, può esserci quella legata al fatti che in entrambe le occasioni la revisione costituzionale riguardava anche altri elementi del nostro assetto istituzionale, rispetto alla cui modifica non si è però ancora maturato un consenso generalizzato. In questa legislatura è stata approvata anche la legge costituzionale n. 1/2000 che ha previsto la riduzione del numero dei parlamentari modificando gli articoli 56 e 57 della Costituzione: grazie a questa riforma avremo in futuro 400 deputati e 200 senatori → pur apparentemente neutra, la riduzione del numero dei parlamentari rischia di alterare la rappresentanza politica a discapito delle forze partitiche meno rappresentative. La riforma, inoltre, potrebbe avere conseguenze negative sulla stessa operatività del Parlamento (è infatti importante che le regole poste dai Regolamenti interni vengano adeguate alla nuova composizione). La durata della legislatura, proroga e prorogatio Originariamente la durata della legislatura era diversa, per la Camera (5 anni) e per il Senato (6 anni). La legge costituzionale n. 2/1963 ha tuttavia parificato la durata delle due Camere in 5 anni (art. 60. comma 1, Cost.)→ la durata delle Camere (o di una di esse) può essere abbreviata in caso di scioglimento anticipato disposto dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 88 Cost. «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura» → Il Presidente non è vincolato all’opinione dei Presidenti delle due Camere (deve ascoltarli ma può valutare se tenere conto o meno del loro intervento) 30 → Ultimi sei mesi definiti “semestre bianco”, Presidente della Repubblica ormai uscente, quasi depotenziato PROROGA (art. 60 comma II Cost.), prolungamento della durata della legislatura disposta «per legge» (limite formale) e soltanto «in caso di guerra» (vincolo di merito) PROROGATIO (art. 61 comma II Cost.), fino all’insediamento delle nuove Camere (periodo abbastanza lungo che può durare fino a 90 giorni), le precedenti si vedono prorogati i propri poteri → si tratta di un caso che si verifica naturalmente ed automaticamente al termine di ogni legislatura, in risposta al principio per cui il nostro ordinamento non può sopportare periodi di interruzione del potere legislativo (continuità del Parlamento). Poteri delle Camere durante il regime della prorogatio: -) Prima tesi: le Camere non sarebbero, in questa fase, titolari di pieni poteri,ma dovrebbero limitarsi all’ordinaria amministrazione motivo per cui durante il periodo della prorogatio non è possibile l’elezione del Presidente della Repubblica. -) Seconda tesi: le Camere sarebbero in pienezza di poteri (art. 77, comma 2, secondo il quale le Camere, anche se sciolte, devono essere convocate e riunirsi entro cinque giorni al fine di dare avvio al procedimento per la conversione dei decreti legge). L’autonomia del Parlamento Caratteristica storica e principale dell’organo parlamentare è la sua autonomia (formale e sostanziale)→ capacità dello stesso di autodeterminarsi, autoorganizzarsi ed amministrarsi liberamente, senza ingerenze da parte di altri organi nella sua sfera di attività. Nel caso dell’autonomia delle Camere da ogni altro potere dello Stato si esplica in diverse forme: a) Autonomia normativa-regolamentare (art. 64 comma I, «Ciascuna camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti»): trattandosi di una diretta conseguenza del bicameralismo paritario che caratterizza il nostro ordinamento, non sono ammesse ingerenze da parte di nessuna delle due Camere nei confronti dell’altra. → Ai regolamenti parlamentari è affidata la disciplina del funzionamento e dell’organizzazione interna, nonché gran parte della disciplina del procedimento legislativo (art. 72 Cost.) - In generale, ogni competenza attribuita dalla Costituzione alle Camere deve trovare le indicazioni relative alle modalità di esercizio nei regolamenti parlamentari, i quali disciplinano tutto ciò che concerne l’organizzazione e il funzionamento delle Camere, ovvero ambiti di competenza molto ampi: proprio la possibilità di regolamentarli in modo esclusivo (fatti salvi gli ambiti già disciplinati dalla Costituzione a cui anche i regolamenti parlamentari devono conformarsi) evidenzia il rilievo che l’autonomia del Parlamento riveste nel nostro ordinamento. - Sono inoltre previsti, in entrambe le Camere, regolamenti usualmente definiti “minori”, volti a disciplinare alcune specifiche attività del Parlamento o delle sue articolazioni → essendo stati approvati con le stesse deliberazioni richieste dall’art.64 sono equiparabili a quelli generali - Vi sono infine alcuni “regolamenti di amministrazione”, che disciplinano ambiti interni alle Camere b) Autonomia organizzativa e funzionale: possibilità per le Camere di organizzarsi liberamente con riferimento a tutto quanto attiene alla articolazione interna dei propri organi e allo svolgimento delle proprie funzioni c) Immunità della sede: nessuna persona estranea può introdursi in Aula, ferma restando la possibilità per le Camere di ammettere chi ne faccia richiesta all’interno delle sedi parlamentari → “nessuna autorità estranea può far eseguire coattivamente propri provvedimenti rivolti al Parlamento ed ai suoi organi”, senza autorizzazione del Presidente. → Divieto per tutte le persone estranee al Parlamento di introdursi nell’Aula dove siedono i parlamentari; gli operatori della stampa ed il pubblico possono assistere dalle apposite tribune, ma devono rigorosamente astenersi da ogni comportamento che possa turbare lo svolgimento dei lavori. d) Autonomia contabile: gestione delle risorse riservata agli organi interni alle Camere e sottratta al controllo di altri organi, tra i quali la stessa Corte dei Conti (appositi regolamenti di amministrazione e contabilità in cui sono delineate le regole di spesa, di rendicontazione e di controllo interno). 31 e) Autodichia: definita come “giustizia domestica” implica l’esistenza di un foro interno per le controversie con i propri dipendenti, nonché con i terzi che a vario titolo entrassero in rapporto con le Camere. → Notevoli critiche, considerando che i dipendenti delle Camere, a differenza degli altri lavoratori, non possono rivolgersi ad un giudice per risolvere le controversie con il loro datore di lavoro, ma devono fare ricorso ad organi interni alle Camere stesse - Corte Europea dei diritti dell’uomo ha segnalato un difetto di imparzialità che ha portato una modifica ai regolamenti parlamentari volta ad avvicinare questi rimedi interni a quelli offerti da una vera e propria giurisdizione → questione rimasta controversa - Corte costituzionale ha ribadito di non poter verificare la legittimità costituzionale dei regolamenti nell’ambito dei giudici sulle leggi → strada della Corte di cassazione - Corte di cassazione ha sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, lamentando come le norme sull’autodichia avrebbero compromesso, ledendo lo spazio costituzionalmente riservato all’autorità giudiziaria, la propria sfera di competenza → la Corte costituzionale ha risolto la questione in favore delle Camere, dal momento che se le stesse hanno il porter di darsi regole speciali inerenti l’organizzazione, allora devono riconoscersi anche autonomia di interpretazione e applicazione delle stesse regole concernenti i rapporti di lavoro con i propri dipendenti L’autonomia delle Camere nella verifica dei poteri f) Verifica dei poteri (art.66 Cost.): giurisdizione esclusiva delle Camere in ordine ai «titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità»; controllano: 1) Se coloro che sono stati eletti avevano titolo, al momento dell’elezione, a conseguire la carica. A seguito dello svolgimento delle elezioni, i candidati che risultano eletti vengono proclamati deputati dall'ufficio circoscrizionale centrale, o senatori dall’ufficio elettorale regionale: la posizione dell’eletto, che a seguito della proclamazione può svolgere in pienezza tutte le funzioni parlamentari, non è definitiva fino a quando la camera di appartenenza non effettua la convalida dell’elezione. Le camere svolgono contestualmente due diversi controlli: verificano che le operazioni elettorali si siano svolte correttamente e accertano che gli eletti siano titolari della capacità elettorale passiva. - In un primo momento la Giunta delle elezioni effettua il controllo di delibazione, ovvero la verifica dei documenti elettorali (in certi casi sollecitata da ricorsi di candidati non eletti, o, al Senato, da cittadini elettori del collegio), in cui potrebbe sorgere la necessità di svolgere un esame più approfondito che contempli la revisione delle schede elettorali, che porti alla convalida o contestazione dell'elezione. CONVALIDA: l'assemblea ne prende atto, senza sottoporre questa proposta al voto CONTESTAZIONE: se la Giunta propone la contestazione si apre il giudizio di contestazione che si svolge presso la giunta stessa; questo prevede una seduta pubblica in cui si apre un contraddittorio orale tra le l’eletto cointestato e gli altri interessati al giudizio stesso→ la Giunta decide e propone l’annullamento dell’elezione o la sua convalida. - La decisione definitiva deve essere presa dall'Assemblea: i regolamenti di camera e senato presentano qualche differenza sulle modalità con cui le due Assemblee devono esprimersi Senato Camera L'assemblea voterà soltanto qualora vi sia una richiesta da parte di 20 senatori; in caso contrario, senza lo svolgimento del voto, la proposta della Giunta si intenderà approvata Pur essendoci la possibilità per l’aula di respingere la richiesta dei venti deputati, lo stesso procedimento vale solo per questioni legate ad accertamenti meramente numerici (negli altri casi il voto è sempre previsto) → L'annullamento dell'elezione non ha effetto retroattivo, per cui non vi sono conseguenze sulle attività svolte dal parlamentare fino al momento dell'annullamento (attività che resteranno valide). 32 Ai sensi dell’art. 67 Cost., «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» → i parlamentari non devono curare gli interessi dei collegi nei quali sono stati eletti o altri interessi particolaristici, bensì l’interesse generale, e svolgono la funzione senza essere vincolati alle istruzioni provenienti dagli elettori (rappresentanza politico-elettorale non presenta perciò nessuna analogia con l'istituto privatistico della rappresentanza). Parlamentari e partiti: i parlamentari non sono vincolati alla disciplina di partito (sentenza n. 14/1964) come ha stabilito la Corte costituzionale (“il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito ma è anche libero di sottrarsene”) → questo non esclude che il partito possa adottare provvedimenti negativi nei confronti del parlamentare, ma si tratterà di questioni inerenti unicamente i rapporti tra il partito ed il parlamentare, che non possono quindi incidere sulla titolarità dello status Transfughismo o trasformismo Fenomeno che ha assunto nel corso del tempo dimensioni molto significative: nonostante la sua legittimità, una simile prassi presenta certamente elementi patologici, che mettono in evidenza la mancanza di coerenza e l'opportunismo dei parlamentari ed il tradimento della volontà dei cittadini. → Sono state proposte modifiche all'art. 67 Cost., ma in una società dinamica come quella attuale, i cinque anni di durata di una legislatura sono davvero un periodo di tempo particolarmente lungo, durante il quale possono cambiare radicalmente le situazioni in essere al momento delle elezioni, prospettiva nella quale diventa irragionevole vincolare il parlamentare alle promesse fatte ai propri elettori durante la campagna elettorale. → Nel 2017, con la riforma del regolamento del Senato, si è posto un argine alla prassi vietando la costituzione, durante la legislatura, di gruppi diversi da quelli formatisi all'indomani delle elezioni Le garanzie parlamentari INSINDACABILITÀ (art. 68 comma I Cost.), «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» → l’obiettivo è quello di garantire al massimo livello di espressione possibile la libertà del dibattito parlamentare. Tale previsione implica irresponsabilità assoluta per qualsiasi affermazione effettuata nello svolgimento della funzione parlamentare: in nessun caso, nemmeno al termine del suo mandato, il parlamentare potrà essere oggetto di un’azione giudiziaria per quanto ha dichiarato o per i voti che ha espresso. L’insindacabilità rappresenta una garanzia dell’Assemblea e non del parlamentare in quanto tale; infatti, il parlamentare non può rinunciarvi, ma è la Camera di appartenenza del parlamentare che delibera sulla sussistenza dell’insindacabilità che perdura anche dopo il termine del mandato parlamentare (in riferimento ai voti dati e alle opinioni espresse durante il mandato) ed opera in qualsiasi sede (civile, penale, disciplinare). Interventi legislativi 1. Sentenza 10/2000 La linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della libertà delle Camere e della libertà di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, è fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale, finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro libertà di manifestazione del pensiero, con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parità di opportunità fra cittadini nella dialettica politica. → La semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse in sede parlamentare non può bastare a fondare l'estensione alla prima della immunità che copre le seconde. → Nemmeno può bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca. In questo senso va precisato il significato del "nesso funzionale" che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilità, tra la dichiarazione e l'attività parlamentare: le dichiarazioni potrebbero dunque essere coperte dall'immunità solo in quanto sostanzialmente riproduttive di un'opinione espressa in sede parlamentare 2. Legge 140/2003 Il legislatore ha tentato di specificare cosa si debba intendere per esercizio della funzione parlamentare, dandone 35 una interpretazione ampia, comprensiva anche delle attività di «divulgazione, di critica e di denuncia politica» → L’art. 3 della legge prevede che: a) Se il giudice ritiene l’opinione coperta da insindacabilità definisce il processo a favore del parlamentare b) Se il giudice ritiene l’opinione non coperta da insindacabilità, sospende il giudizio e trasmette gli atti alla Camera di appartenenza del parlamentare, perché essa deliberi in merito. - Se la Camera ritiene l’opinione non coperta da insindacabilità, il giudice può proseguire nel processo - Se la Camera ritiene l’opinione coperta da insindacabilità, e il giudice concorda, definisce il processo a favore del parlamentare. - Se la Camera ritiene l’opinione coperta da insindacabilità, e il giudice non concorda può sollevare un conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Camera che ha deliberato. 3. Sentenza 120/2004 Interpretazione della legge in senso restrittivo: le attività indicate rientrano nella insindacabilità solo per il nesso funzionale (sentenza di rigetto con interpretazione) → Nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte, è enucleabile un principio, che è possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilità, e con ciò stesso delle virtualità interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non può mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunità dalla giurisdizione conseguente alla mera “qualità” di parlamentare. Alla Camera non spetta stabilire se l’opinione resa dal parlamentare abbia conseguenze sul piano della responsabilità giuridica: all’Assemblea parlamentare spetta valutare se esso sia correlato alle funzioni parlamentari, e dunque tale da rendere l’opinione del parlamentare insindacabile. Necessaria la sussistenza del nesso funzionale tra l’espressione e l’adempimento del mandato parlamentare, ovvero l’esistenza di un legame tra la dichiarazione incriminata e l’esercizio della funzione parlamentare. Sussiste quando si è in presenza di opinioni espresse nel corso dei lavori della Camera o del Senato, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi tra le attività legate alla funzione parlamentare; unica eccezione è il turpiloquio (I regolamenti parlamentari negano ingresso nei lavori delle Camere agli scritti o alle espressioni «sconvenienti»; l’uso del turpiloquio non fa parte del modo di esercizio delle funzioni parlamentari, le stesse espressioni non possono essere ritenute esercizio della funzione parlamentare) → L’art. 68 comma I Cost. non copre tutte le opinioni espresse nello svolgimento dell’attività politica, ma opera solo in presenza di collegamento tra la dichiarazione e un precedente atto inerente l’esercizio della funzione parlamentare (non è sufficiente una comunanza di argomento, ma una sostanziale corrispondenza tra contenuti) INVIOLABILITÀ (art. 68 comma II e III Cost.), senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza; analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. Fino all’entrata in vigore della legge costituzionale n.3/1993, la Costituzione richiedeva l’autorizzazione anche per sottoporre il parlamentare a procedimento penale: la riforma del 1993 fu legata alle sdegnate reazioni che ebbe l’opinione pubblica a seguito dell’uso eccessivo e ingiustificato che il Parlamento fece di tale prerogativa soprattutto all’inizio degli anni ’90 → attualmente, invece, questo limite non esiste più: il parlamentare in carica può essere sottoposto a procedimento penale ed anche condannato. Ratio: garantire il corretto svolgimento della funzione parlamentare (anche con riferimento all’integrità numerica delle Assemblee), mettendo le Camere al riparo da eventuali azioni persecutorie della magistratura. L’autorizzazione può essere negata se la Camera di appartenenza ritiene sussistente un “fumus persecutionis” 36 Intercettazioni telefoniche L’art. 68, comma III, Cost. richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza anche per sottoporre i membri del Parlamento ad «intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni». Intercettazioni dirette Intercettazioni indirette Intercettazioni casuali Sulle utenze in uso al parlamentare -) Necessaria autorizzazione ex ante -) Scarsa utilità dello strumento Sulle utenze in uso a soggetti che intrattengono usualmente conversazioni telefoniche con i parlamentari -) Necessaria autorizzazione ex ante, (per l’intercettazione diretta a svolgere indagini nei confronti del parlamentare) -) La garanzia non si rivolge a favore di altri intercettati Sulle utenze in uso a soggetti estranei al parlamentare che coinvolgono incidentalmente il parlamentare stesso -) Necessaria autorizzazione (ex post) all’uso della documentazione nei confronti del parlamentare -) Non serve autorizzazione per utilizzare l’intercettazione nei confronti dei terzi intercettati INDENNITÀ (art. 69 Cost.), «I membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge»→ prevista per consentire a tutti, indipendentemente dalle proprie capacità economiche, di accedere alla carica elettiva, nonché di svolgere la funzione in modo indipendente e senza condizionamenti esterni. Secondo quanto riportato dal sito della Camera l'indennità netta mensile dei deputati ammonta circa a 5.000 euro, cui deve aggiungersi una diaria a titolo di rimborso spese di trasporto e soggiorno a Roma fino ad un massimo di 3.500 euro mensili (da cui vengono decurtati 200 euro per ogni giorno di mancata presenza in aula)→ considerando che generalmente le retribuzioni più alte sul mercato del lavoro sono riservate alle professionalità più qualificate, evidentemente l’indennità parlamentare mira ad escludere il rischio che tali professionalità possano non essere interessate. Sezione V Presidente di Assemblea e ufficio di presidenza I principali organi delle Camere sono: -) Presidente dell’Assemblea: ad esso sono attribuite funzioni, che possono distinguersi a seconda che abbiano esclusivamente rilevanza interna o esterna alla Camera di appartenenza; tra le più importanti vi sono: 1- Il Presidente della Camera presiede il Parlamento in seduta comune 2- Il Presidente del Senato supplisce il Presidente della Repubblica nelle ipotesi di impedimento (art. 86 cost.) 3- Il Presidente del Senato e quello della Camera devono essere entrambi sentiti dal Presidente della Repubblica prima che prenda la decisione di sciogliere anticipatamente le camere 4- Il Presidente del Senato e quello della Camera rappresentano la propria camera (assicurando il buon andamento dei lavori, facendo osservare il regolamento, dirigendo e moderando la discussione, mantenendo l’ordine, annunciando l’esito delle votazioni (stabilire l’ordine del giorno)). Elezioni Maggioranze alla Camera Maggioranze al Senato Primo scrutinio: ⅔ dei componenti Secondo scrutinio: ⅔ dei presenti Terzo scrutinio: maggioranza assoluta Primi due scrutini: maggioranza assoluta dei componenti Terzo scrutinio: maggioranza dei presenti → Nessuno raggiunge la maggioranza: ballottaggio tra i due più votati al terzo scrutinio 37 Sezione VI Principi generali di funzionamento «Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti (cd. quorum strutturale), e se non sono adottate a maggioranza dei presenti (quorum funzionale), salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale» (art. 64 comma III Cost.) La norma tratteggia due diversi requisiti di validità: 1. QUORUM COSTITUTIVO, detto anche numero legale, pari alla metà più uno dei componenti, necessario perché l’Assemblea possa considerarsi regolarmente costituita → solitamente è dato per presupposto, a meno che non vi sia la richiesta, da parte di un gruppo di parlamentari (20 deputati/12 senatori) o dal Presidente di Assemblea, di verificarne l'esistenza, e laddove se ne accerti la mancanza, di rinviare la seduta. → Il numero legale richiesto per Costituzione vale solo per le deliberazioni: ogni volta che le Camere si riuniscono senza che siano previste votazioni, il numero legale non è neppure necessario. 2. QUORUM DELIBERATIVO, per le deliberazioni, per cui è generalmente richiesta la maggioranza semplice. Maggioranze Assoluta Semplice Qualificata Dei componenti: richiede il voto favorevole della metà più uno dei componenti il collegio Dei presenti: richiede il voto favorevole della metà più uno dei voti espressi Maggioranza più elevata di quella assoluta, come la maggioranza dei ⅔ o ⅗ dei componenti il collegio → Astensione: disciplina per la quale regolamenti di Camera e Senato si sono da ultimo allineati (riforma del Senato del 2017); gli astenuti non hanno preso nel conteggio, valutandosi ai fini della delibera unicamente il numero di voti favorevoli e il numero di voti contrari (in precedenza l’astensione era considerata al Senato alla stregua di un voto contrario) → Espressione del voto: le riforme dei regolamenti parlamentari del 1988 hanno fortemente ridotto la possibilità di utilizzare il voto segreto (oggi previsto obbligatoriamente solo quando si delibera su persone, e, a richiesta, quando si vota su questioni attinenti i diritti fondamentali), modalità di voto considerata come eccezione al voto palese, che costituisce invece la modalità generale (per alzata di mano, appello nominale oppure con dispositivo elettronico). → Le Camere si riuniscono generalmente in sedute pubbliche, in modo da favorire la trasparenza della propria attività e il controllo sul proprio operato da parte degli elettori (trasmesse sui rispettivi siti internet) Programmazione dei lavori (riforma 1971): la scelta legata ai provvedimenti di calendarizzare nei lavori parlamentari è fondamentale per garantire l'attuazione del programma di Governo, e spetta alla Conferenza dei Capigruppo. - Alla Camera: il regolamento richiede che la conferenza raggiunga sulla programmazione dei lavori un consenso tra i gruppi che rappresentano almeno i ¾ dei deputati; in assenza, la competenza a predisporre la programmazione spetta al Presidente dell'Assemblea. - Al Senato: il regolamento richiede che sulla programmazione dei lavori si raggiunga l'unanimità in sede di Conferenza dei Capigruppo; in assenza, il Presidente elabora uno schema di lavori settimanali, che deve essere necessariamente approvato dall’Assemblea. Gli strumenti della programmazione sono tre: - Programma: validità massima di tre mesi alla Camera e due al Senato, fissando gli argomenti da discutere, e indicando le priorità ed il periodo nel quale si intende iscrivere tale argomento all'ordine del giorno. - Calendario: approvato mensilmente al Senato ed ogni tre settimane alla Camera; specifica le previsioni del programma, indicando, per ciascun argomento da trattare, il numero e la data delle sedute ad esso dedicate - Ordine del giorno: ha cadenza giornaliera e viene predisposto dal Presidente sulla base del calendario, e comunicato al termine della seduta precedente, salvo i casi di comunicazione a domicilio. 40 Funzione legislativa La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Cost.) → non si tratta di una prerogativa esclusiva del Parlamento (come per gli atti aventi forza di legge, in cui partecipano sia il Governo che il Parlamento, e per la legislazione regionale, esercitata dai Consigli regionali), ed il suo esercizio concretizza anche la funzione di indirizzo politico, in quanto le Camere possono contribuire in modo decisivo alla realizzazione degli obiettivi che lo Stato, in un determinato momento, si pone. Funzione di indirizzo politico Funzione che ha come scopo la determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica interna ed esterna dello Stato→ negli stati costituzionali, tale funzione trova un punto di riferimento nei principi e nei valori supremi affermati nelle Costituzione ai quali si dovrà dare attuazione e implementazione E’ quindi possibile perseguire gli interessi generali secondo scelte effettuate in base ad una determinata linea politica, predisposta e realizzata in collaborazione e nel concorso tra Governo e Parlamento (inteso come la maggioranza parlamentare; si parla di continuum Governo-Parlamento). 1. Approvazione della fiducia iniziale accordata al Governo con mozione motivata 2. Concretizzazione della fiducia, principalmente con l’approvazione di leggi, mozioni, risoluzioni e ordini del giorno 3. Esaurimento della fiducia (mozione di sfiducia motivata, dimissioni del Governo o rinnovo delle Camere) Tra le leggi che concorrono in modo importante la funzione di indirizzo politico, occorre ricordare quelle che disciplinano la procedura di bilancio (art. 81 Cost.): ogni anno le Camere devono approvare con legge il bilancio preventivo dello Stato ed il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. Tramite la legge di bilancio il Parlamento indica il modo in cui dovranno essere ripartite, tra le varie attività dello Stato, le somme di cui lo Stato stesso dispone grazie alle entrate tributarie→modifica (2012)dell’art.81, per cui non è più vietato stabilire nuove spese e tributi con la legge di bilancio (divieto che richiedeva l'approvazione contestuale di un'altra legge che apportasse modifiche alle leggi di spesa): la legge di bilancio contiene dunque tutte le decisioni relative alle entrate e spese pubbliche. L'approvazione della legge di bilancio avviene entro il termine (31 dicembre) di un percorso detto ciclo di bilancio che prevede che entro il mese di aprile di ogni anno il Governo presenti in Parlamento un documento di programmazione (DEF: documento di Economia e Finanza) ed entro settembre una nota di aggiornamento Atti di esercizio dell’indirizzo politico - Mozione di fiducia iniziale (art. 94 Cost.): le Camere votano una mozione che fa riferimento al programma presentato dal Governo: l’approvazione determina l’entrata in carica del Governo stesso con pieni poteri. - Mozioni di sfiducia (art. 94, u.c.): su proposta di un decimo dei deputati o dei senatori, se viene approvata determina il venir meno del rapporto di fiducia e l’obbligo delle dimissioni. - Questioni di fiducia poste dal Governo (disciplinate dai regolamenti parlamentari): proposte su votazioni che il Governo ritiene fondamentali per l’attuazione del suo programma; il Governo stesso può chiedere la fiducia al Parlamento → l’approvazione comporta il venir meno della discussioni di altri emendamenti, mentre la mancata approvazione della fiducia determina le dimissioni del Governo. - Mozione: mira ad aprire una discussione su un tema e promuovere una deliberazione dell’Assemblea; deve essere presentata da un numero minimo di deputati (dieci oppure dal Presidente della Camera) o senatori (otto) → il Parlamento chiede al Governo di agire in un determinato modo su quel tema. - Risoluzione: simile alla mozione, può essere però proposta dal singolo parlamentare, sia in Commissione sia in Assemblea, che manifesti un orientamento su un determinato tema e che impegni il Governo a prendere i relativi provvedimenti→ solitamente chiude un dibattito. - Ordine del giorno: solitamente approvato nell’ambito del procedimento legislativo, impegna il Governo ad adottare un determinato indirizzo in futuro sulla materia oggetto della legge in discussione (distinto dall’ordine del giorno come atto di programmazione dei lavori) 41 → Solo gli strumenti del rapporto fiduciario hanno conseguenze effettive rispetto alla sorte del Governo; viceversa, mozioni, risoluzioni e ordini del giorno, pur specificando l’indirizzo politico del Parlamento, non hanno effetti vincolanti nei confronti del Governo, ma hanno effetti politici Funzione di controllo La funzione di controllo può essere legittimamente operata sia dalle forze di maggioranza, per verificare se l'azione esecutiva che il Governo svolge corrisponde a quel programma sul quale il Governo stesso ha ricevuto la fiducia da parte del Parlamento, sia da quelle di opposizione, per verificare come il Governo abbia affrontato questioni di rilevante interesse generale, all'evidente scopo di segnalarne pubblicamente l'inadeguatezza. Gli strumenti tradizionalmente utilizzati dal Parlamento per l’attività di controllo sono: a) Interrogazione: qualsiasi parlamentare può, con una semplice domanda, chiedere per iscritto al Governo informazioni o spiegazioni su una determinata questione, al fine di sapere se e quali provvedimenti il Governo abbia adottato o intenda adottare in merito. b) Interrogazione a risposta immediata: una volta alla settimana, alle interrogazioni di parlamentari presentate entro le ore dodici del giorno che precede quello della seduta in cui è programmato il question time, viene data immediatamente la risposta dall'esponente del Governo→ lo scambio avviene in tempi molto serrati (non più di 7-8 minuti totali per la domanda, la replica e la risposta) ed è generalmente trasmesse in diretta televisiva; secondo i regolamenti lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri dovrebbe partecipare almeno una volta al mese alla Camera, ed una volta ogni due mesi al Senato. c) Interpellanza: uno più parlamentari possono chiedere al Governo e le ragioni che lo hanno portato, o lo porteranno, ad assumere una determinata condotta su un singolo fatto su una specifica questione, al fine di obbligare il Governo a rendere pubbliche le ragioni delle sue azioni→ si svolgono solo in Assemblea proprio in ragione della loro elevata di rilevanza politica. Strumenti conoscitivi del Parlamento Le Camere possono fare ricorso ad una serie di strumenti che consentono loro di meglio esercitare la funzione legislativa (Commissione di inchiesta; interpellanze e interrogazioni; audizioni e indagini conoscitive…), nonostante la maggior parte della dottrina non riconosca al Parlamento una vera e propria funzione conoscitiva. Capitolo 5 Sezione I Formazione del Governo Soltanto cinque articoli della Costituzione (dal 92 al 96) sono dedicati al Governo, motivo per cui si richiede anche lo studio della prassi, delle convenzioni e delle consuetudini costituzionali succedutesi nel tempo → si tratta di un organo costituzionale complesso che esercita la funzione esecutiva, nonché l’attività di indirizzo politico (alla quale contribuisce anche il Parlamento che ne determina la formazione e le sorti attraverso gli istituti fiduciari) e al quale sono attribuiti importanti poteri normativi. La disciplina costituzionale e la prassi “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri” (Art. 92 comma II)→ il procedimento di formazione del Governo può avvenire all’inizio della legislatura oppure in corso alla legislatura, a seguito di crisi di Governo (evenienze che si verifica tutte le volte in cui il Governo in carica presenti le proprie dimissioni). Prima di provvedere alla nomina del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica deve compiere una serie di attività che non sono disciplinate dalla Costituzione ma che trovano fondamento in una prassi ormai consolidata, che ha assunto rango di consuetudine costituzionale 42 b) Le consultazioni a seguito di una crisi di governo durante la legislatura Quando sovviene una crisi di Governo durante la legislatura, il ruolo del Presidente della Repubblica è sempre fondamentale e la fase delle consultazioni è decisiva al fine di individuare il Presidente del Consiglio. (nelle ultime due legislatore, governi Monti nel 2011, Renzi nel 2014, Gentiloni nel 2016, Conte II nel 2019, Draghi 2021). Il Presidente della Repubblica, infatti, deve accertare se sussistono le condizioni politiche per il conferimento di un nuovo incarico e la formazione di un nuovo Governo, oppure se è necessario sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni→ in una forma di governo parlamentare le dimissioni del Presidente del Consiglio non comportano necessariamente nuove elezioni. Sezione II La composizione del Governo: organi necessari e non necessari Il Governo è un organo complesso (data la presenza di una pluralità di organi al suo interno) ed ineguale (data l’esistenza di una differenziazione tra organi in termini di struttura, funzioni e rapporti reciproci) La legge ha fissato attualmente in 65 il numero massimo dei componenti del Governo, compresi i ministri con e senza portafoglio, sottosegretari e viceministri. Esso è composto da: Organi necessari 1. Presidente del Consiglio: organo individuale chiamato a presiedere il Governo 2. Ministri: organi individuali al vertice di singoli ministeri o dicasteri 3. Consiglio dei ministri: organo collegiale dove siedono sia il Presidente del Consiglio che i singoli ministri Organi non necessari 1. Vice presidente del Consiglio: con funzioni solo suppletive, spesso, nel novero della coalizione, è espressione di un partito diverso rispetto a quello che esprime il Presidente Possono essere nominati anche più vice presidenti, la cui proposta spetta al Presidente del Consiglio; la delibera è del Consiglio dei ministri (in caso di pluralità la supplenza spetta al più anziano di età) 2. Ministri senza portafoglio: ministri non preposti ad un Ministero, bensì responsabili di un dipartimento della Presidenza del Consiglio o incaricati a svolgere funzioni delegate dal Presidente del Consiglio → siedono a pieno titolo in Consiglio dei Ministri al pari dei Ministri dotati di portafoglio La nomina spetta al Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri 3. Sottosegretari di Stato: coadiuvano il Ministro ma non fanno parte del Consiglio dei Ministri ed esercitano i compiti loro conferiti tramite delega → possono intervenire, quali rappresentanti del Governo, alle sedute delle Camere e delle Commissioni parlamentari, sostenere la discussione in conformità alle direttive del Ministro e rispondere ad interrogazioni ed interpellanze. La nomina avviene con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, di concerto con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare. 4. Viceministri: sottosegretari cui vengono conferite deleghe relative all’intera area di competenza di una o più strutture dipartimentali o di più direzioni generali→ possono partecipare al Consiglio dei Ministri ma non spetta loro il diritto di voto 5. Commissari straordinari di Governo: nominati al fine di realizzare specifici obiettivi o nel caso si presentino particolari e temporanee esigenze di coordinamento tra amministrazioni statali. 6. Comitati interministeriali: organi collegiali in cui si riuniscono solo determinati ministri, dotati di competenza trasversale sulla materia oggetto del comitato interministeriale stesso→ sono istituiti con legge - che ne fissa composizione e competenze - e deliberano su determinati oggetti in via definitiva, o dpcm, se hanno compiti temporanei; vengono definiti anche Comitati di ministri. 7. Consiglio di Gabinetto: coadiuva il Presidente del Consiglio nell’esercizio delle sue competenze costituzionali, ed è composto dai soli ministri designati dal Presidente del Consiglio 8. Comitati di ministri: possono essere istituiti dal Presidente del Consiglio al fine di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, di esprimere pareri su direttive delle attività del Governo e sui problemi di rilevante importanza da sottoporre al Consiglio → non adottano atti di rilevanza esterna, a differenza dei comitati interministeriali → Spesso le nomine dei sottosegretari, dei ministri senza portafoglio e dei viceministri servono a regolare gli equilibri politici delle coalizioni governative. 45 Le competenze del Consiglio dei ministri, del Presidente del Consiglio e dei ministri PRESIDENTE DEL CONSIGLIO Secondo l’art.95 comma I Cost., il Presidente del Consiglio dei Ministri ha diverse competenze (ulteriormente specificate dall’art. 5 della legge n.400/1988): - Indirizza ai Ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri nonché quelle connesse alla propria responsabilità di direzione della politica generale del Governo - Coordina e promuove l’attività dei Ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del Governo - Può sospendere l’adozione di atti da parte dei Ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative, sottoponendoli al Consiglio dei Ministri nella riunione immediatamente successiva - Concorda con i Ministri interessati le pubbliche dichiarazioni che essi intendano rendere ogni qualvolta, eccedendo la normale responsabilità ministeriale, possano impegnare la politica generale del Governo - Adotta le direttive per assicurare l’imparzialità, il buon andamento e l’efficienza degli uffici pubblici e promuove le verifiche necessarie; in casi di particolare rilevanza può richiedere al Ministro competente relazioni e verifiche amministrative - Promuove l’azione dei Ministri per assicurare che le aziende e gli enti pubblici svolgano la loro attività secondo gli obiettivi indicati dalle leggi che ne definiscono l’autonomia e in coerenza con i conseguenti indirizzi politici e amministrativi del Governo - Esercita le attribuzioni conferitegli dalla legge in materia di servizi di sicurezza e di segreto di Stato - Può disporre, con proprio decreto, l’istituzione di particolari Comitati di Ministri, con il compito di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell’attività del Governo e su problemi di rilevante importanza da sottoporre al Consiglio dei Ministri, eventualmente avvalendosi anche di esperti non appartenenti alla pubblica amministrazione - Può disporre la costituzione di gruppi di studio e di lavoro composti in modo da assicurare la presenza di tutte le competenze dicasteriali interessate ed eventualmente di esperti anche non appartenenti alla pubblica amministrazione - È titolare delle iniziative relative all'apposizione della questione di fiducia dinanzi alle Camere e gli spetta il compito di convocare il Consiglio stesso, stabilendone l'ordine del giorno. MINISTRI I ministri sono posti a capo, ciascuno, di un ramo dell’amministrazione (art. 95, comma II Cost)→ sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. In generale, i Ministri si incaricano di promuovere, proporre e gestire, all’interno del Consiglio dei Ministri, tutti gli atti relativi al loro ambito di competenza; particolare rilievo hanno i regolamenti ministeriali (art. 17, legge n. 400/1988); hanno inoltre poteri di vigilanza su enti ed istituzioni pubbliche che agiscono nel settore di competenza del Ministro → il Presidente del Consiglio può comunque sospendere l’adozione di atti da parte dei Ministri competenti in ordine a questioni politiche amministrative, sottoponendoli al Consiglio dei Ministri nella riunione immediatamente successiva. CONSIGLIO DEI MINISTRI Secondo l’art.2 della legge n.400/1988, il Consiglio dei Ministri: - Determina la politica generale del Governo e l’indirizzo generale dell’azione amministrativa - Delibera su ogni questione relativa all’indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere - Dirime i conflitti di attribuzione tra i Ministri - Ha la parola definitiva su tutti: ❖ I disegni di legge ❖ Gli atti normativi ❖ Gli atti che lo Stato può essere chiamato a compiere verso le Regioni e le autonomie locali ❖ Sulle linee di indirizzo in tema di politica internazionale e comunitaria ❖ Gli atti concernenti i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose 46 I rapporti tra Presidente del Consiglio e ministri Esistono due prevalenti tesi in dottrina sul ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri: a) Tesi del «primus inter pares» (art.92 Cost., e sentenza della Corte costituzionale n. 262/2009), supportata da almeno tre distinte ragioni: - Impossibilità di revocare i ministri → nella prassi, il ministro può essere al più “indotto” a dimettersi dal Presidente del Consiglio (di recente, casi Lupi e Guidi), ma in governi di coalizione la sostituzione di un ministro può essere più complessa, in quanto può alterare gli equilibri interni tra le forze che sostengono il governo stesso (in ogni caso, la maggioranza parlamentare che sostiene il governo ha comunque il potere di sfiduciare il singolo ministro) - Principio di collegialità (mera attività di coordinamento)→ il potere di direzione del Presidente del Consiglio dei Ministri deve essere bilanciato con la considerazione per cui, almeno nei governi di coalizione, i Ministri mostrano di rispondere alle direttive del partito cui appartengono, più che al Presidente del Consiglio “Governo dei feudi”: dove i feudi sono i misteri, di cui i ministri rappresentano e fanno valere le posizioni dei partiti della coalizione che sostiene il Governo. - Responsabilità collegiale dei singoli ministri per atti approvati dal Consiglio dei ministri b) Tesi della «preminenza» del Presidente del Consiglio (art. 95, comma II Cost.): - Direzione della politica generale del Consiglio dei Ministri e mantenimento dell’unità di indirizzo politico - Competenze specifiche (individuazione e proposta dei nomi dei singoli ministri) - Conseguenze delle dimissioni: crisi di Governo → Il rafforzamento del ruolo deriverebbe dalla necessità di dare all’azione di Governo la necessaria stabilità e continuità di indirizzo e dalla rilevanza del Presidente in sede europea → Il rafforzamento della personalizzazione delle campagne elettorali con l’inserimento dei nomi dei candidati alla carica di Presidente nei simboli delle coalizioni delle schede e le conseguenti maggioranze guidate dai leader più influenti → I poteri presidenziali di direzione della politica generale del Governo, di coordinamento e di promozione delle attività ministeriale, pure previsti esplicitamente dalla Costituzione, devono essere bilanciati con la considerazione per cui, almeno nei governi di coalizione, i ministri conservano comunque un potere sostanziale molto forte che consente loro di rispondere alle direttive del partito cui appartengono, più che a quelle dello stesso Presidente del Consiglio. Al fine di attuare l’art. 95 Cost. e adeguare l’art. 5 l. 400 del 1988, venne proposta una riforma (legge Madia, n.124/2015) in cui si richiede al Governo di adottare uno o più decreti legislativi al fine di rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio, tentativo che tuttavia non ha al momento avuto nessun seguito. Sezione III Mozione di fiducia e questione di fiducia Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia al Governo mediante mozione motivata e votata per appello nominale, entro dieci giorni dalla sua formazione; l’Esecutivo si presenta prima ad una e poi all’altra Camera per ottenerne la fiducia a seguito dell’esposizione del proprio discorso programmatico, ad opera del Presidente del Consiglio in Parlamento → la mozione di fiducia si sostanzia nell’adesione alle dichiarazioni programmatiche. -) L'appello nominale consente il più alto grado di trasparenza rispetto alla scelta del singolo parlamentare di concedere o meno la fiducia, mediante la quale le stesse Camere esprimono consonanza rispetto all’indirizzo politico che il Governo propone di svolgere. Il permanere della fiducia tra Parlamento e Governo può essere oggetto di verifica anche nel corso della legislatura → due ulteriori istituti fiduciari: 1. QUESTIONE DI FIDUCIA, non essendo prevista in Costituzione, si tratta di uno strumento affermatosi in via di prassi e ora disciplinato dai regolamenti parlamentari, che stabiliscono che essa - Viene posta dal Governo su un atto che viene ritenuto essenziale per il perseguimento del proprio programma politico → se l’atto non viene approvato, il Governo dovrà dimettersi 47 Procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera di appartenenza (o al Presidente del Senato se il ministro non è contestualmente anche un membro del Parlamento). Se la Camera competente non si oppone (la Corte ha stabilito che in presenza di reati comuni, il Parlamento non ha alcun diritto ad essere informato dall’autorità giudiziaria), il processo continua regolarmente, altrimenti, il processo termina con l’archiviazione per mancanza di procedibilità. Sezione IV I ministri come vertici delle amministrazioni centrali dello Stato I ministri hanno una duplice funzione: da una parte, quali membri del governo, hanno un ruolo di direzione politica, dall’altra, in qualità di organi apicali dei ministeri, sono responsabili dell'attuazione dell'indirizzo politico espresso da Governo e Parlamento → pubblica amministrazione: ogni articolazioni dello Stato deputata a provvedere alla concreta realizzazione degli interessi pubblici determinati dalle leggi, mediante l'adozione di concreti provvedimenti autoritativi (l'obiettivo è quello di concretizzare gli obiettivi che lo Stato intende perseguire e conseguire e che vengono identificati dal governo e dal legislatore come interessi pubblici) I ministeri, intesi come insieme di mezzi, uomini ed uffici, costituiscono una parte rilevante della pubblica amministrazione con il compito di svolgere tutte le funzioni amministrative che spettano allo stato e che non siano assegnate ad altri enti pubblici (decreto legislativo n. 300/1999) I principi costituzionali sulla pubblica amministrazione Si richiede (art.97 Cost.) che l’organizzazione e l’attività di tutti gli uffici della pubblica amministrazione siano regolate dalla legge, in modo tale da assicurare due presidi costituzionali fondamentali: IMPARZIALITÀ, più significativa espressione della differenza che dovrebbe sussistere tra l'attività politica di Governo, per sua natura di parte, ed attività amministrativa che presuppone che, in applicazione del principio di uguaglianza, venga garantito pari trattamento a tutti i soggetti che vengono a contatto con la pubblica amministrazione BUON ANDAMENTO, concetto per cui la pubblica amministrazione dovrebbe sempre agire al fine di conseguire gli obiettivi posti dallo Stato secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia. → Il legame tra tali presidi è molto stretto e tutto l’agire della pubblica amministrazione dovrebbe essere improntato al rispetto degli stessi: in tale prospettiva può anche leggersi l'art.98 comma I Cost., secondo cui gli impiegati della pubblica amministrazione, lungi dall'essere condizionati da interessi personali di parte, devono essere al servizio esclusivo della Nazione. → Il nesso tra tali concetti si riflette anche sugli aspetti relativi alle modalità di selezione e assunzione del personale (concorso pubblico), che evitano che si verifichino assunzioni di favore, garantendo l'accesso a persone qualificate, allo scopo di evitare che l'esercizio del mandato possa consentire di ottenere promozioni e vantaggi ingiustificati Al fine di evitare commistioni tra politica ed alcuni particolari settori della pubblica amministrazione, l’art 98 Cost. consente alla legge di limitare il diritto di iscrizione ai partiti politici a particolari categorie di pubblici impiegati a organismi che ne potrebbero influenzare l'operato: si tratta dello spoil system, un meccanismo per cui i dirigenti pubblici, che svolgono funzioni amministrative autorizzative degli indirizzi politici, vengono automaticamente revocati e sostituiti per cause estranee alle vicende del rapporto d'ufficio, indipendentemente da qualsiasi valutazione dei risultati conseguiti. Le autorità dipendenti Allo scopo di limitare ulteriormente la possibile incidenza della politica su alcuni settori sensibili dell'amministrazione sono stati istituiti alcuni organi, detti autorità indipendenti, caratterizzati da uno spiccato profilo di indipendenza rispetto al potere esecutivo→ alcuni di questi enti sono dotati di ampi poteri di regolazione, vigilanza e controllo in ambiti estremamente rilevanti della vita economica, altri sono preposti alla tutela di specifici diritti di libertà o interessi di natura costituzionale. Da un punto di vista di diritto costituzionale, è evidente che le funzioni delle autorità indipendenti pongono alcune questioni molto problematiche, dal momento tali enti godono di un particolare regime di autonomia rispetto 50 all’Esecutivo ed agli altri poteri dello Stato: alcuni di essi, infatti, si trovano nella condizione di svolgere il ruolo di regolatori dei diversi settori cui la loro attività è preordinata, e sono per questo dotati di ampi poteri di normazione e di poteri sanzionatori (con il conseguente rischio di mettere in discussione il principio di legalità) È stata quindi elaborata un'accezione peculiare del principio di legalità, ritagliata sulle specificità delle autorità indipendenti, che esercitano legittimamente i propri poteri normativi se e in quanto sia garantito un “principio di legalità procedimentale", da intendersi nel senso di “necessario rafforzamento delle forme di partecipazione al procedimento di formazione dell'atto normativo dei soggetti interessati”; resta comunque il fatto che si consenta ad un'autorità, priva di legittimazione democratica, di regolare, in assenza di un fondamento legislativo sostanziale, settori delicati che comportano anche la limitazione di libertà dei cittadini, i quali conservano comunque la possibilità di ricorrere di fronte al giudice amministrativo qualora ritengano che l’autorità indipendente abbia violato i loro diritti ed interessi legittimi. Capitolo 6 Sezione I Il mandato presidenziale Trattandosi di un organo monocratico, al di là delle funzioni esplicitamente previste dalla Costituzione, deve fare inevitabilmente i conti con la necessità di confrontarsi con le diverse prassi seguite dai singoli Presidenti che si sono succeduti nella storia repubblicana, nonché con lo stile che ha caratterizzato ciascun mandato Durante i lavori dell’Assemblea costituente non si è nemmeno discusso rispetto al ruolo che il Presidente della Repubblica, in qualità di garante della Costituzione e di rappresentante dell’unità nazionale (art. 87 comma I Cost.), avrebbe dovuto rivestire nel nostro ordinamento → molti sostennero il riconoscimento a tale figura di meri compiti notarili, ipotesi rivelatasi estremamente inadeguata: tutti i Presidenti della Repubblica italiana sono stati infatti al centro della scena politica ed istituzionale (una delle funzioni del Presidente è proprio quella di garantire l’armonico funzionamento dei poteri politici e di garanzia che compongono l’assetto costituzionale della Repubblica) Il Presidente della Repubblica viene collocato dalla Costituzione al di sopra di tutte le parti politiche: i suoi interventi sono volti solo alla ricerca ed all’individuazione di soluzioni in grado di sbloccare fasi di stallo e di risolvere le situazioni più critiche; egli è inoltre: - Garante della Costituzione: argine a scelte sospette di incostituzionalità di altri attori istituzionali - Rappresentante dell’unità nazionale: pur nel legittimo ed auspicabile pluralismo delle idee, i valori comuni della nazione devono essere quelli contenuti in Costituzione: il Presidente, non assumendo posizioni di parte, garantisce, attraverso il sapiente esercizio delle sue funzioni, che il disegno complessivo approntato dalla Costituzione non subisca fratture e disgregazioni Il collegio elettorale e le modalità di elezione La modalità di elezione del presidente è coerente con la forma di governo dell’ordinamento italiano: un Presidente eletto dal popolo, infatti, dovrebbe necessariamente, in ragione della legittimazione popolare, intervenire nella determinazione dell’indirizzo politico del Paese, compito che in Italia spetta solo al Parlamento ed al Governo 1) «Le operazioni per l'elezione del Presidente della repubblica devono iniziare 30 giorni prima della scadenza del mandato presidenziale; entro questo termine il Presidente della Camera dei deputati deve convocare in seduta comune il Parlamento ed i delegati regionali» (art. 85 comma II e III Cost.) Si precisa che se in quel momento le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla lora cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove→ evitare che le Camere in uscita dal loro mandato eleggano il nuovo Presidente 2) «Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato». (Art 83, comma I e II, Cost.) 51 Collegio elettorale speciale, formato dal Parlamento in seduta comune integrato da delegati regionali eletti dai rispettivi Consigli (tre per ogni Regione, ad eccezione della Val d’Aosta che ne ha uno solo) Confrontando il numero complessivo dei membri del Parlamento in seduta comune (a seguito della modifica della legge costituzionale n.1/2020, ammonta a 600, esclusi i senatori a vita), a quello dei delegati (in tutto 58) ci si avvede come questi ultimi rappresentino il 10% del totale degli elettori presidenziali → testimonianza, anche al momento dell’elezione, del ruolo di rappresentante dell’unità nazionale attribuito al Presidente della Repubblica La designazione dei delegati Regionali spetta ai Consigli regionali che devono assicurare la rappresentanza delle minoranze; le modalità di elezione sono disciplinate dai singoli Statuti regionali 3) «L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea; dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta» (art. 83 comma III Cost.) Vengono richiesti: - Quorum elevati a testimonianza della necessità di una convergenza politica trasversale → occorre sottolineare che in sistemi elettorali maggioritari o ad effetti maggioritari, in un contesto bipartitico, il quorum rende agevole il raggiungimento della maggioranza assoluta (in contesti politici frammentati si richiede necessariamente un accordo tra forze politiche) - Scrutinio segreto per garantire maggiore libertà dell’elettore e maggiore indipendenza al Presidente della repubblica nei confronti dei partiti politici→momento particolarmente delicato e dall’esito spesso imprevedibile (franchi tiratori: parlamentari che, grazie alla segretezza del voto, non seguono le indicazioni provenienti dal gruppo parlamentare di appartenenza e votano in modo difforme da quanto stabilito dal gruppo stesso, sia per evidenziare la contrarietà in ordine alla linea politica del gruppo, sia per evidenziare quanto possa essere significativo il peso della propria corrente politica in virtù di successive decisioni) I requisiti di eleggibilità, al durata del mandato e la rieleggibilità «Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici». (art. 84, comma I Cost.) → i requisiti per essere eletto (non essendo necessario essere un parlamentare) sono dunque: ✓ Il possesso della cittadinanza italiana ✓ Il compimento dei 50 anni (il Presidente più giovane eletto è stato Cossiga, 57 anni, i più anziani Pertini, 82 anni, e Napolitano, primo mandato a 81, secondo mandato ad 88 anni) ✓ Il godimento dei diritti civili e politici L’incarico presidenziale, incompatibile con qualsiasi altra carica, è di sette anni (art. 85 comma I Cost.)→ la durata rende indipendente il Presidente della Repubblica dalle maggioranze parlamentari, risultando più lunga di quella delle Camere che lo hanno eletto. Tale durata garantisce inoltre continuità nell’esercizio delle funzioni presidenziali La possibilità di rielezione di un Presidente della Repubblica è una questione molto aperta in dottrina, sino alla rielezione di Napolitano a Presidente della Repubblica (2013) → pur non essendo espressamente vietata in Costituzione, per molti (Mortati, Paladin) si trattava di un evenienza inopportuna che avrebbe finito con il personalizzare eccessivamente un ruolo di garanzia che invece richiederebbe il ricambio al termine del settennato. Non sono mancate anche tesi contrarie (supportate dalla successiva prassi) a favore di tale possibilità che rivedevano in tale divieto un eccessivo irrigidimento del dettato costituzionale (Martines), tenendo presente che per il presidente vige il divieto di sciogliere le Camere nel semestre bianco. Gli impedimenti e la cessazione di ufficio Impedimento temporaneo o supplenza: «Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato». (art. 86 comma I Cost) Qualora l’impedimento fosse permanente: «In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice l'elezione del nuovo Presidente della 52 Atti presidenziali riconducibili al potere esecutivo a) Nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei ministri b) Emanazione dei decreti aventi valore di legge e dei regolamenti Considerata collegata al potere esecutivo in ragione del soggetto competente all’adozione di tali norme c) Nomina, nei casi indicati dalla legge, dei funzionari dello Stato La legge n.13/1991 ha precisato che i funzionari la cui nomina spetta al Presidente sono quelli di grado più elevato (sottosegretari di Stato, commissari straordinari del Governo, presidente del CNEL, governatore della Banca d’Italia, alti ufficiali delle Forze Armate)→ l’individuazione e la relativa proposta di tali soggetti, tuttavia, sono di competenza del Governo d) Accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici Potere che il diritto internazionale attribuisce tradizionalmente ai Capi di Stato, espressione del “potere estero” del Presidente della Repubblica, attraverso il quale egli attribuisce formalmente la qualità di diplomatici agli agenti italiani e riconosce ed accetta come tali i diplomatici stranieri e) Ratifica dei trattati internazionali, previa, quando necessaria, autorizzazione delle Camere Anche questa funzione esprime il potere estero del Capo dello Stato, chiamato ad effettuare tutte le formalità successive alla stipulazione dei trattati internazionali conclusi dall’Italia e che determineranno per il nostro Paese l’obbligo di rispettarne i contenuti f) Comando delle Forze Armate Ruolo puramente simbolico ed onorifico, del quale non è possibile desumere l’esistenza di un rapporto gerarchico nei confronti degli appartenenti alle Forze Armate → non si esclude che il Presidente possa avere, in virtù di tale potere, la possibilità di impartire ordini alle truppe militari. g) Presiede il Consiglio supremo di difesa Si tratta di un organismo con funzioni consultive sui temi di difesa e sicurezza, composto dal Presidente del Consiglio dei ministri, alcuni ministri (esteri, difesa, interni, economia, attività produttive) e dal Capo di Stato maggiore della difesa → per alcuni il ruolo del Presidente della Repubblica è meramente simbolico, per altri attributivo anche di funzioni sostanziali (lettura che pone una serie di dubbi in ragione del ruolo esercitato dal Governo nell’ambito dello stesso Consiglio) h) Dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere Anche questa funzione è connessa alla figura di rappresentante della nazione ricoperta dal Presidente della Repubblica: in dottrina si ritiene che la dichiarazione presidenziale abbia effetti rispetto all’ordinamento internazionale, dove la deliberazione delle Camere ha solo efficacia interna Il Presidente non può comunque esimersi dall’effettuare tale dichiarazione una volta che su una questione tanto delicata abbiano preso posizione le Camere (l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, art.11) i) Conferisce le onorificenze della Repubblica Attribuire le decorazioni al valore a coloro che si sono distinti per particolari meriti o capacità personali (27 diverse onorificenze attribuibili dal Quirinale) Atti presidenziali riconducibili al potere giudiziario a) Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura Si contrappongono due tesi in merito al ruolo del Presidente della Repubblica nel CSM - Esercizio di funzioni tipiche del Presidente della Repubblica (poteri di controllo e indirizzo sul CSM) - Mero primus inter pares, con ruolo di presidenza solo formale. Nella prassi la direzione delle attività quotidiane è delegata al Vicepresidente, ma il Presidente della Repubblica è costantemente informato di ciò che accade e talvolta interviene ed esercita poteri di impulso (tesi intermedia, accolta incidentalmente da Corte Costituzionale con sentenza n.1/2013). Ne La dottrina ritiene inoltre che l’attività presidenziale si fonda con quella del collegio→ gli atti del CSM vengono formalmente qualificati come atti del Presidente del CSM e non come atti del Presidente della 55 Repubblica, sebbene la prassi riconosca al Capo dello Stato un generico potere di supervisione e rinvio, ad esempio nel caso di irregolarità formali. b) Concessione della grazia e commutazione delle pene Esercizio di “poteri clemenziali” su persone singole (a differenza di amnistia e indulto, provvedimenti di portata generale, adottati dal Parlamento con legge approvata a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti): esse si distinguono in quanto: - Grazia: estingue la pena (condono totale o commutazione della pena irrogata) - Commutazione: la pena irrogata si trasforma in una pena diversa → Corte Costituzionale sentenza n. 200/2006: la funzione della grazia è, dunque, in definitiva, quella di attuare i valori costituzionali, consacrati nel terzo comma dell'art. 27 Cost., garantendo soprattutto il «senso di umanità», cui devono ispirarsi tutte le pene, e ciò anche nella prospettiva di assicurare il pieno rispetto del principio desumibile dall'art. 2 Cost., non senza trascurare il profilo di «rieducazione» proprio della pena Il suo impiego deve essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria, per superare il dubbio che il suo esercizio possa dare luogo ad una violazione del principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione. → In alcuni casi l’atto di clemenza deve tener conto anche di valutazioni generali di carattere politico (delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e dunque di stretta cooperazione in funzione dei comuni obiettivi di promozione della democrazia e di tutela della sicurezza) Altre funzioni presidenziali a) Nomina di cinque giudici costituzionali Il Presidente della Repubblica dovrebbe in qualche modo bilanciare le scelte del Parlamento e delle supreme magistrature rispetto all’eventuale assenza, nel collegio, di giudici dotati di una determinata cultura politica o di giudici competenti in alcune particolari materie b) Scioglimento dei Consigli regionali e rimozione dei Presidenti delle Giunte regionali Poteri esercitabili qualora gli organi regionali commettano atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni della legge→ possono essere anche adottati per ragioni di sicurezza (art. 126 Cost) nazionale: la proposta deve provenire dal Governo ed il provvedimento presidenziale essere adottato dopo l’emanazione di un parere da parte della commissione parlamentare per le questioni regionali (d.lgs. n. 149/2011) c) Potere di esternazione libero Pur non essendo codificato in Costituzione tale potere, dalla presidenza Einaudi, e con una tendenza ad una esposizione sempre più frequente, è stato ampiamente utilizzato dai Presidenti della Repubblica al fine di esprimere la propria idea o posizione au aspetti di attualità del dibattito politico → il rischio è quello di sottoporre il Capo dello Stato alle critiche degli attori politici e dell’opinione pubblica, mettendo in discussione la sua funzione di rappresentante dell’unità nazionale Sezione III Classificazione degli atti presidenziali in base al soggetto che ne decide il contenuto Tale classificazione è intrinsecamente connessa alla previsione dell’art.89 Cost. che prevede che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità ” → coinvolgimento, nella predisposizione ed adozione degli atti presidenziali di un soggetto terzo a) Atti formalmente e sostanzialmente presidenziali Il Presidente della Repubblica decide il contenuto sostanziale degli atti e la controfirma ministeriale si limita ad attestare la legittimità formale e la provenienza presidenziale dell’atto, per cui il ministro che controfirma non è quello proponente ma quello competente → sono atti strettamente presidenziali: - Convocazione straordinaria delle Camere - Nomina di cinque senatori a vita - Promulgazione e rinvio al Parlamento della legge 56 - Invio di messaggi alle camere - Concessione della grazia - Nomina di cinque giudici costituzionali b) Atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi Il Governo decide il contenuto degli atti e la controfirma ministeriale attesta proprio che l’atto è stato deciso dal Governo (al Presidente spetta comunque la facoltà di controllo rispetto alla conformità alla Costituzione, e il conseguente rifiuto in caso di contenuto illegittimo) → si annoverano in questa categoria: - Emanazione e promulgazione di decreti legge, decreti legislativi e regolamenti - Autorizzazione alla presentazione dei decreti legislativi di iniziativa governativa alle Camere - Nomina dei ministri - Nomina degli alti funzionari - Accreditamento dei rappresentanti diplomatici - Ratifica dei trattati internazionali - Conferimento delle onorificenze - Comando delle Forze Armate - Presidenza del Consiglio supremo della difesa - Dichiarazione dello stato di guerra In alcuni casi, le prese di posizione del Presidente della Repubblica possono rendere le cose pù complesse c) Atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente complessi Il contenuto sostanziale degli atti è deciso sia dal Governo che dal Presidente della Repubblica e la controfirma ministeriale attesta che l’atto è il frutto dell’incontro delle volontà dei due organi →atto riconducibile a tale categoria è proprio la nomina del Presidente del Consiglio e lo scioglimento anticipato delle Camere (anche se per molti in dottrina sarebbe riconducibile alla sola volontà del Presidente) d) Atti dovuti Atti in merito ai quali non è riscontrabile alcuna discrezionalità né rispetto all’adozione, né rispetto ai contenuti → rientrano in tale categoria: - Promulgazione in caso di riapprovazione della legge - Scioglimento delle Camere al termine dei cinque anni della legislatura - Indizione delle elezioni delle nuove Camere e) Atti di incerta classificazione Si tratta di atti oggetto di ampio dibattito dottrinale (scioglimento anticipato delle Camere, nomina dei ministri, scioglimento dei consigli regionali ed atti assunti dal Presidente della Repubblica come Presidente di organi collegiali quali in CSM o il Consiglio Supremo di Difesa) Controfirma ministeriale Gli atti presidenziali non possono mai essere adottati se non vi è il controllo da parte del potere esecutivo→ si rende necessaria la firma di un componente del Governo, la cui assenza determina l’invalidità degli atti presidenziali La norma costituzionale individua poi la figura dei ministri proponenti, oltre a definire l’irresponsabilità del Presidente della Repubblica e l’assunzione di responsabilità in capo al ministro controfirmante Le origini storiche dell’istituto risalgono all'Inghilterra del basso medioevo, durante la monarchia assoluta, periodo in cui la figura del sovrano era considerata immune da errori ed inviolabile (“The King can do no wrong”), affiancata dalla decisa convinzione che la responsabilità dovesse essere attribuita ad uno dei ministri che firmava l’atto (“The King cannot act alone”)→ la controfirma non ha sempre lo stesso valore, ma svolge funzioni diverse a seconda del tipo di atto di cui la controfirma rappresenta il requisito di validità. a) Valore sostanziale, se l’atto è sostanzialmente governativo. b) Valore formale, se l’atto è sostanzialmente presidenziale. Per gli atti complessi, la controfirma ministeriale ha la funzione di attestare che l’atto è frutto dell’incontro delle volontà dei due organi (in questi casi viene apposta dal Presidente del Consiglio) 57 Anche i Pubblici Ministeri sono assegnati ad uffici incardinati nei tre gradi di giudizio: le Procure della Repubblica (Tribunali), le Procure generali (Corti di appello) e Procura generale (cassazione) Ad oggi, giudici e pubblici ministeri fanno parte di un ordine unico che fa riferimento allo stesso organo di garanzia, il Consiglio Superiore della Magistratura; periodicamente si torna però a discutere della possibilità di separarne almento la carriera rispetto a quella dei giudici (scelta che apre costituzionalmente ammissibile), al fine di eliminare ogni possibile commistione tra soggetti che esercitano funzioni notevolmente differenti Al momento si è provveduto solo a rendere meno agile, sebbene sia ancora possibile, il passaggio del magistrato dalla funzione giudicante e quella requirente e viceversa. Al fine di mettere in primo piano la centralità della Magistratura ordinaria, si è affermato il divieto di istituire: -) Giudici straordinari: selezionati ad hoc per ❖ Occuparsi di fatti già commessi ❖ Celebrare un certo processo ❖ Limitato periodo di tempo -) Giudici speciali: competenti a risolvere esclusivamente controversie vertenti in determinate materie, e diversi da quelli la cui disciplina è ricavabile dalle norme sull’ordinamento giudiziario→ la disposizione costituzionale si limita a vietarne la costituzione ex novo, ammettendo la sopravvivenza (come fecero i Costituenti) di alcuni giudici speciali ❖ Consiglio di Stato: giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. ❖ Corte dei Conti: giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e delle responsabilità patrimoniali dei funzionari pubblici che abbiano causato danno allo Stato (giudizi dal carattere inquisitorio, promossi dai Procuratori regionali e dal Procuratore generale della Corte dei Conti), e delle controversie in materia di pensioni (giudizi promossi dalle parti interessate). Contro le sentenze emesse dalle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti, può essere proposto ricorso alle Sezioni giurisdizionali centrali. ❖ Tribunali militari: in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge, mentre in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate Per via del ridotto carico di lavoro oggi assegnato a questa giurisdizione, da tempo si ragiona sulla possibilità di intervenire per abolirla. -) Sono ammesse nel nostro ordinamento anche altre autorità preesistenti alla Costituzione di cui la VI Disposizione finale e transitoria aveva disposto la revisione entro cinque anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale→ decorso questo tempo, al fine di non lasciare sguarniti di un’autorità giurisdizionale specializzata settori di particolare tecnicità, si scelse di ritenere il termine quinquennale ordinatorio e non perentorio, per cui si procedette a dichiarare la cessazione dei soli giudici speciali preesistenti privi dei requisiti di indipendenza -) Le giurisdizioni speciali si differenziano dalle sezioni specializzate, che sono articolazioni degli organi di giurisdizione ordinaria, specializzate nella trattazione di determinate materie: si tratta di organi che possono vedere la propria composizione integrata da soggetti esterni, il cui compito è quello di portare all’interno del collegio competenze specifiche che i membri “togati” non saprebbero autonomamente coprire. Dalle sezioni specializzate vanno tenute distinte le sezioni in cui si articolano, unicamente da un punto di vista organizzativo, gli uffici giudiziari. Sezione II Il Consiglio Superiore della Magistratura: ruolo, composizione, funzioni Quello tra i concetti di autonomia e indipendenza è un rapporto di strumentalità: i magistrati svolgono la propria funzione non solo perché messi al riparo da possibili ingerenze direttamente incidenti sul processo della cui celebrazione siano incaricati, ma anche perché indipendenti da un punto di vista istituzionale nei percorsi di carriera 60 Trattandosi di provvedimenti che potrebbero astrattamente condizionare i comportamenti del magistrato, la scelta del soggetto cui spetta assumerli può influenzare di molto le modalità attraverso le quali viene materialmente svolta nelle aule la funzione giurisdizionale. Il Consiglio Superiore della Magistratura è considerato lo strumento di garanzia dell’autonomia (e dell’indipendenza) previsione di un organo cui è affidata la gestione amministrativa della magistratura, corrispondente alla gestione autonoma dell’organizzazione dell’ordine giudiziario, ma non alla determinazione delle regole di gestione. ★ Composizione: si compone di tre membri di diritto (Presidente della Repubblica, che presiede l’organo, il primo Presidente della Corte di cassazione ed il Procuratore generale presso la Corte di cassazione) e di una parte elettiva “mista”, che per due terzi è composta da magistrati eletti dai magistrati (membri togati), mentre per un terzo da soggetti estranei eletti in Parlamento in seduta comune (membri laici) - Membri togati = 16: eletti in tre distinti collegi nazionali, 10 posti a magistrati con funzione giudicante, 4 a magistrati con funzione requirente e 2 a magistrati che svolgono funzioni di legittimità presso la Corte di cassazione e la Procura generale presso la Corte di cassazione. Caratterizzano la composizione del Consiglio in ragione delle funzioni ad esso assegnate - Membri laici = 8: si tratta di professori ordinari di Università in materie giuridiche, oppure di avvocati che abbiano alle spalle almeno 15 anni di esercizio della professione, la cui elezione si effettua in Parlamento con delibera a scrutinio segreto a maggioranza dei ⅗ dei componenti per i primi due scrutini, mentre dalla terza tornata di voto a maggioranza dei ⅗ dei votanti → necessaria partecipazione alla scelta delle minoranze politiche Evitano la costituzione di un organo completamente autoreferenziale - Presidente della Repubblica: volontà di non sganciare del tutto il Consiglio dalle altri componenti della Repubblica→ non è nella sua materiale possibilità svolgere a pieno il ruolo di Presidente dell’organo, per cui tale funzione viene affidata al Vice-presidente, pur rimanendo di grande importanza e garanzia. I componenti del CSM rimangono in carica per quattro anni e non sono rieleggibili; inoltre per la durata della carica non possono essere iscritti ad albi professionali, far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. E’ stata prevista per loro una garanzia di insindacabilità, non esplicitamente prevista dalla Costituzione, ma introdotta con una previsione che la Corte Costituzionale ha giudicato coerente con la posizione costituzionale del CSM e dunque legittima. ★ Funzioni: il CSM svolge funzioni che, prima dell’entrata in vigore della Costituzione, erano affidate ad un organo politico, ossia al Ministro della Giustizia → si tratta di competenze disciplinate da tre articoli della Costituzione: - Art. 105 Cost.: sono di sua competenza le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati Riserva di legge per evitare arbitrii (secondo le norme dell’ordinamento giudiziario), funzionale a contenere il potere normativo del Governo in una materia che si vuole affidare alla decisione del Parlamento, ed a ridurre la totale discrezionalità dell’organo deputato a garantire quell’autonomia. - Art. 106 Cost.: compito di designare all'ufficio di consiglieri della Corte di cassazione alcune categorie di soggetti non appartenenti all’ordine giudiziario - Art. 107 Cost.: poteri di dispensare, sospendere dal servizio o destinare ad altri sedi e/o funzioni i magistrati, nel rispetto di talune garanzie o con il loro consenso Va precisato che le delibere del CSM prendono normalmente la forma del decreto del Presidente della Repubblica, in modo da assumere la forma di atti amministrativi, suscettibili di un controllo di tipo giurisdizionale→ coloro che abbiano a dolersi di una lesione provocata da tali atti possono impugnarli davanti al Tribunale amministrativo del Lazio, ed in secondo grado, davanti al Consiglio di Stato (per provvedimenti assunti in materia disciplinare è prevista la possibilità di ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione). ★ Riforma del CSM: materia dell'ordinamento giudiziario interessata in questa stagione da importanti progetti di riforma, che si sviluppano lungo due differenti direttrici: - Deleghe al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di 61 eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura - Separazione delle funzioni/carriere; composizione ed attribuzioni dei Consigli giudiziari e presentazione delle candidature "togate" al Consiglio Superiore della Magistratura Gli ambiti di competenza del Ministro della Giustizia Al Ministro della Giustizia è richiesto oggi di occuparsi dell’organizzazione, del funzionamento e dei servizi relativa alla giustizia (art. 110 Cost.)→ il Ministero è chiamato a predisporre e garantire l’adeguatezza delle strutture, delle sedi, del personale amministrativo, della strumentazione di lavoro, organizzando gli uffici giudiziari, attraverso la determinazione del numero dei magistrati da destinare a ciascuna sede. Al Ministro spetta anche un potere di osservazione sull'efficienza degli uffici giudiziari, che può essere strumentale all’eventuale attivazione del potere di promozione dell’azione disciplinare versi i magistrati Gli incarichi direttivi vengono solitamente conferiti dal Consiglio Superiore della Magistrature previo concerto con il Ministro: il problema sorge in caso di divergenza tra le due autorità, motivo per cui la Corte Costituzionale si è espressa in favore che l’attività di “concerto” richiesta dalla legge non può risolversi un una formula vuota, ma deve necessariamente trasformare in ricerca, mediante “un esame effettivo ed oggettivo di tutti gli elementi” della scelta più idonea → sancito il principio di leale collaborazione è al CSM che è riconosciuto il diritto all’ultima parola: l’organo potrà scontrarsi con il Ministro e giungere comunque al conferimento dell’incarico, purché motivando adeguatamente la scelte. Sezione III L’indipendenza del magistrato nel suo percorso di carriera Strumentali all’indipendenza funzionale (esercizio della funzione giurisdizionale) del magistrato sono a) Ingresso in Magistratura tramite concorso La nomina per concorso, oltre a tutelare l’indipendenza della magistratura (escludere la nomina da parte di un’altra autorità), serve a garantire la preparazione tecnica necessaria per adempiere al proprio ruolo→ la Commissione giudicatrice è composta in modo tale da assicurare un’elevata qualificazione tecnica: i candidati, cui sono richiesti titoli ulteriori alla laurea in Giurisprudenza, devono superare un esame composto da tre prove scritte (diritto civile, penale ed amministrativo) ed una orale (materie giuridiche) Esistono delle eccezioni al concorso: su designazione del CSM possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri della Corte di Cassazione per meriti insigni professori universitari in materie giuridiche e avvocati che abbiano 15 anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori (nella prassi è una procedura davvero eccezionale e scarsamente utilizzata). Inoltre per il reclutamento dei magistrati ordinari, individuati a seguito dell’emanazione di un bando pubblico ed esito di una valutazione, è indispensabile la laurea in Giurisprudenza, mentre gli altri titoli posseduti costituiscono solo elementi utili per la formazione della graduatoria. b) Assegnazione di sede e funzione ed inamovibilità del magistrato Regola che mette i magistrati al riparo da rischi di trasferimenti arbitrari (celanti interessi politici); il principio conosce tuttavia delle eccezioni come quella per cui il magistrato acconsenta al trasferimento, oppure, in assenza di consenso, il trasferimento sia adottato per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giuridico → due ipotesi di trasferimento: - Trasferimento disposto in ambito di procedimento disciplinare, adottabile sia in via cautelare, e quindi durante il procedimento in via provvisoria, sia all’esito del procedimento in via definitiva. Il CSM conserva un margine di apprezzamento nel valutare se ricorrono meno le esigenze di un trasferimento del magistrato sanzionato disciplinarmente. - Trasferimento per incompatibilità ambientale: per evitare abusi, frequenti nel corso del tempo, per cui il magistrato poteva essere assegnato ad altra funzione o trasferito in altra sede per qualsiasi causa anche indipendente da sua colpa, la Corte Costituzionale oggi ha disposto l’ammissibilità del 62 Il Parlamento ha ridisegnato il sistema della responsabilità disciplinare pre-determinando le fattispecie di illecito e restringendo in tal modo i margini di discrezionalità del Consiglio Superiore della Magistratura Nell’esercizio delle funzioni a) Inosservanza dell'obbligo di astensione b) Grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile o c) Travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile d) Reiterato, grave (oltre il triplo dei termini previsti) e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni. Fuori esercizio delle funzioni a) Uso della qualità di magistrato per ottenere vantaggi ingiusti per sé o altri b) Ottenimento di vantaggi di natura finanziaria da parte di soggetti indagati o dei loro difensori c) Frequenza persone sottoposte a procedimento penale. Titolari dell’iniziativa sono il Ministro della Giustizia (facoltativa) e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione (obbligatoria), mentre la competenza nel gestire il procedimento spetta al Csm (sezione disciplinare) Vanno inoltre segnalate la natura «paragiurisdizionale» del procedimento disciplinare, la piena garanzia del diritto di difesa del magistrato, e la ricorribilità delle decisioni presso la Corte di cassazione. Sezione V Il diritto di difesa e le garanzie del processo La disciplina costituzionale che si occupa della tutela giurisdizionale dei diritti è racchiusa in diverse disposizioni: 1. Diritto di difesa (art. 24 e 113 Cost.): si tratta di un diritto inviolabile, posto a garanzia dell'individuo che può così difendersi avverso qualsiasi atto→ uno degli ostacoli è costituito dai costi della tutela giurisdizionale: ci si preoccupa di assicurare ai “non abbienti” i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, con l’istituzione del patrocinio a spese dello Stato. 2. Diritto al giudice naturale (art. 25 Cost.) precostituito per legge, dal quale nessuno può essere distolto: l’ufficio giudiziario competente per materia e territorio deve essere individuato prima dell'insorgere della controversia, seppur a certe condizioni, sia possibile sostituire il giudice inizialmente individuato, purché si tratti di interventi a carattere generale o indispensabili al fine di evitare gravi turbamenti della pubblica tranquillità e della pacifica convivenza dei cittadini 3. Garanzia del giusto processo: il contraddittorio deve svolgersi in condizioni di parità tra le parti e di fronte ad un giudice terzo ed imparziale, assicurando una ragionevole durata del processo (l’Italia è stata spesso sanzionata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo) Ogni provvedimento giurisdizionale deve essere inoltre motivato allo scopo di consentire alla parte del processo di impugnare il provvedimento che reputi ingiusti dinanzi ad un organo giurisdizionale di grado superiore; con riguardo al processo penale, vale il principio “contraddittorio nella formazione della prova”, derogabile solo su consenso dell’imputato o quando sussistano ragionevoli motivi → possibile incidenza sulla libertà personale implica altri principi: - Principio di legalità: postula la necessaria determinatezza della norma penale e la tassatività della norma penale che preclude l’arbitrio del giudice nell’applicazione della sanzione penale; inoltre introduce anche il principio dell’irretroattività della norma penale. - Principio della responsabilità penale personale: vieta che si possa essere chiamati a rispondere penalmente per un fatto commesso da altri; inoltre richiede un nesso di colpevolezza oggettivo e soggettivo con il fatto commesso. - Principio della presunzione di non colpevolezza: esprime un senso di civiltà giuridica; non è l’imputato a doversi dimostrare innocente, ma l’accusa che ne deve provare la colpevolezza. - Principio della finalità rieducativa della pena: la pena non solo non può essere contraria al senso di umanità, ma deve avere come finalità primaria il reinserimento a fine pena del reo nella società → la pena deve quindi essere proporzionata alla gravità dell’offesa sottostante la 65 condotta criminosa: una pena eccessivamente severe vanificherebbe il fine educativo e potrebbe indurre il reo a non aderire al programma di rieducazione offertogli dall’ordinamento. La finalità rieducativa della pena trova applicazione anche per i detenuti condannati all'ergastolo per reati particolarmente gravi: a costoro deve essere garantito un reinserimento sociale durante l’esecuzione della pena attraverso la concessione di alcuni benefici penitenziari (beneficio della liberazione anticipata, accesso al lavoro fuori dal carcere) Capitolo 8 Sezione I L’organizzazione decentrata dello Stato italiano L’Organizzazione regionale italiana è stata oggetto di un'importante opera di revisione tra il 1999 ed il 2001, che ha profondamente modificato l’impianto originario → in Assemblea costituente le forze politiche più inclini ad un assetto rigidamente centralizzato dello Stato, furono in minoranza rispetto a quelle che ritenevano invece indispensabile accostare all’apparato statale centrale delle identità territoriali di autonomia; maggiori ostacoli ad una intesa si registrarono però quando si trattò di individuare l’esatto modello da adottare: - Da una parte un sistema federale - Dall’altra un sistema a debole decentramento, in cui gli enti territoriali sarebbero stati privi di poteri normativi e dotati solo di quelli amministrativi Si fece strada una soluzione mediana: l’art.5 Cost., da una parte fissa il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, dall’altra stabilisce che questa “riconosce e promuove le autonomie locali” e “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo” → la scelta della nostra Costituzione è stata dunque quella di istituire uno Stato regionale, contrassegnato da un più limitato decentramento politico, ma comunque fondato sull’idea che, accanto ad interessi unitari infrazionabili e, quindi, rimessi alla responsabilità dello Stato, che rimane autorità sovrana, esistono “interessi regionalmente localizzati” che meritano di essere “affidati alla cura di enti di corrispondente estensione territoriale”. Alle 20 Regioni italiane è attribuita un’autonomia che ha intensità e forme diverse a seconda che si tratti di Regioni a Statuto ordinario o Regioni a Statuto speciale (Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Sardegna, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia), a cui viene riconosciuta un’autonomia più accentuata, tanto che queste particolari condizioni di autonomia sono fissate in “statuti speciali adottati con legge costituzionale” (art.116). Alle regioni ordinarie sono, invece, demandati poteri espressivi di un’autonomia più contenuta: ● In primo luogo, agli Statuti delle Regioni ordinarie era affidata solo la competenza a definire le norme relative all’organizzazione interna e la disciplina sull’iniziativa legislativa e sul referendum regionale. Agli statuti era, inoltre, imposto l’obbligo di porsi in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica; soprattutto, l’originario art.123 stabiliva che lo statuto fosse deliberato dal consiglio regionale a maggioranza assoluta e che fosse “approvato con legge della Repubblica” ● Potestà legislativa regionale: l’art.117 conferiva alle Regioni la competenza ad intervenire in un circoscritto ambito di materie, e comunque sempre e soltanto nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato e in queste, inoltre, potevano esercitare funzioni amministrative. Anche l’autonomia finanziaria era molto circoscritta, perché doveva esplicarsi nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi statali di coordinamento con la finanza centrale. Le Regioni hanno potuto iniziare ad operare solo dal 1970 perché, la loro effettiva attivazione, era stata a lungo osteggiata dalle maggiori forze politiche, che temevano un proprio indebolimento in caso di risultati elettorali regionali in controtendenza rispetto a quelli nazionali → solo con la legge n.108/1968, a distanza di 20 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, fu approvata la disciplina statale che conteneva le regole per l’elezione dei consigli regionali che consentirono, il 7 giugno 1970, lo svolgimento delle prime elezioni regionali. Per consentire alle Regioni di funzionare concretamente, occorreva dare attuazione a quanto previsto dalla VIII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, che demandava a leggi dello Stato il compito di regolare il 66 trasferimento alle regioni stesse delle funzioni amministrative e il conseguente necessario passaggio di funzionari e impiegati statali alle dipendenze regionali; lo Stato ottemperò con ulteriore ritardo: in epoca più recente, con la Riforma Bassanini (1997), lo Stato implementò, a Costituzione invariata, il ruolo delle Regioni e degli altri enti locali, per cui le Regioni, che avrebbero dovuto esercitare funzioni amministrative nelle sole materie in cui, ai sensi dell’art.117, avevano potestà legislativa, si trovarono a gestire settori molto più ampi di amministrazione, con la sola eccezione degli ambiti alla sfera di competenza statale → tendenza al potenziamento dei livelli di governo decentrato che trovò un’ulteriore importante spinta a livello costituzionale grazie a due riforme: 1. Legge costituzionale n.1/1999: si decise di trasformare l’organizzazione istituzionale delle Regioni, introducendo, soprattutto, il potere di queste di stabilire in autonomia, attraverso i propri Statuti, i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, nonché la forma di governo regionale 2. Legge costituzionale n.3/2001: venne ampliato il novero delle competenze legislative regionali, attraverso una rivisitazione del modello originario (elenco tassativo delle materie di competenza esclusiva statale, ed elenco delle materie di competenza concorrente, mentre per quelle non indicate la competenza a legiferare era rimessa alla Regione) L’intervento del legislatore ha toccato anche altri ambiti di interesse regionale: - È stato formato il principio di sussidiarietà in materia amministrativa (art.118), con la conseguenza che ora le funzioni amministrative spettano, di norma, all’ente territoriale più prossimo ai cittadini (i Comuni), “salvo che, per assicurare l’esercizio unitario”, si decida di conferirle a livello più alto - Fu ampliata l’autonomia finanziaria delle Regioni, attraverso l’eliminazione di alcuni originari vincoli Allo stato attuale le Regioni a Statuto ordinario si vedono costituzionalmente garantite: un’autonomia statutaria in ambito organizzativo ed istituzionale, che si esplica nel potere di scegliere attraverso il proprio Statuto la propria forma di governo; una potestà normativa (legislativa e regolamentare), necessaria a determinare il proprio indirizzo politico; una funzione amministrativa, attraverso cui poter dare concreta attuazione alle scelte legislative; una forma di autonomia finanziaria, funzionale a consentire alle Regioni di dotarsi dei mezzi necessari a perseguire i propri fini. Infine, è importante prendere in considerazione che è prevista per le Regioni a Statuto ordinario la possibilità di attivare un procedimento finalizzato ad ottenere dallo Stato il riconoscimento di condizioni ulteriori di autonomia, riferite ad alcune materie espressamente elencate dall’art.116 comma III → procedimento che si instaura su iniziativa della Regione, sentiti gli enti locali interessati e nel rispetto del principio di equilibrio di bilancio, e che si conclude con l’approvazione di una legge statale, adottata a maggioranza assoluta dalle Camere, sulla base di un’intesa tra lo Stato e la Regione stessa. Le Regioni: gli organi Gli organi che fanno necessariamente parte dell’organizzazione istituzionale delle regioni sono: CONSIGLIO REGIONALE, organo a cui è attribuito il potere di approvare le leggi Regionali (art.121 comma II); gli compete anche una funzione di indirizzo e di controllo nei confronti della Giunta, in virtù della facoltà, assegnata al Consiglio regionale stesso, direttamente dalla Costituzione, di sfiduciare il Presidente della Giunta. Si tratta dell’organo rappresentativo della comunità regionale, che viene eletto direttamente dai cittadini della Regione, per una durata di 5 anni (espressivo del principio di sovranità popolare) → ciò non comporta un’equiparazione dei Consigli regionali alle 211 Camere che compongono il Parlamento, poiché questo è “la sola sede della rappresentanza politica nazionale”. 1) Il numero massimo dei consiglieri regionali è stabilito con una legge statale, che ha introdotto il criterio del rapporto tra il numero di abitanti di una regione e quello dei suoi consiglieri 2) Il sistema di elezione dei Consigli regionali (art.122) è definito da ciascuna Regione con una propria legge, i cui contenuti devono però rispettare i principi fondamentali stabiliti in materia dalla legge n.165/2004, che disciplina innanzitutto l’imposizione al legislatore regionale di conformarsi ad alcuni criteri in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri. 67 Frutto di un compromesso tra le istanze autonomiste territoriali e la permanenza di una forza di attrazione centripeta statale: attualmente, in capo agli enti territoriali è esplicitamente previsto un potere di “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” da esercitarsi, per effetto del successivo intervento legislativo correttivo apportato dalla legge costituzionale n.1/2012, “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci” e dei vincoli economici che derivano dall’appartenenza all'UE→ potestà tributaria: questa autonomia, che si esplica non solo nelle forme della compartecipazione al gettito dei tributi statali, ma soprattutto nella facoltà di applicare tributi propri (cioè istituiti autonomamente dalle Regioni con proprie leggi), viene però limitata dalla necessaria osservanza dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, principi che devono essere stabiliti da una legge statale, ferma quindi oggi la competenza regionale a dettagliare ed integrare i contenuti di questi principi di coordinamento Per molto tempo questa legge di principio statale si è fatta attendere, lasciando un vuoto che ha determinato l’inoperatività dell’art.119 Cost→ con la legge n.42/2009, intitolata “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”, il vuoto è stato in parte colmato, anche se con una disciplina che lascia in realtà pochi margini per l’istituzione, da parte delle Regioni, di tributi regionali definibili come “propri”, oltretutto, la giurisprudenza costituzionale intervenuta a dirimere il contenzioso intorno alla corretta lettura dell’art.119 ha progressivamente contribuito a limitare gli spazi di autonomia finanziaria regionale, avallando l’adozione, da parte della Stato, di norme non solo di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ma anche dal contenuto più pervasivo. I rapporti tra lo Stato e le Regioni I rapporti tra Stato e Regioni sono importanti al principio di leale collaborazione, che non è esplicitato nel testo costituzionale, ma che ha trovato riconoscimento nella giurisprudenza costituzionale ormai da diverso tempo: in forza di questo criterio si pretende che Stato e Regioni cerchino di esercitare le proprie competenze, soprattutto dove vi è il rischio di sovrapposizioni e di contenzioso, attraverso forme di collaborazione che consentono un contemperamento dei diversi interessi → una delle forme più importanti di questo principio è il sistema delle conferenze (Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano - o Conferenza Stato - regioni, che insieme alla Conferenza di Stato, città ed autonomie locali può essere chiamata a formare la Conferenza Unificata). La Conferenza Stato Regioni è presieduta dal Presidente del Consiglio e vi partecipano i presidenti delle regioni e delle province autonome: per l’approvazione di alcuni atti, potenzialmente suscettibili di incidere sull’autonomia delle Regioni, il Governo deve riunire la conferenza, al fine di trovare un accordo (intesa) più o meno vincolante, in base al tipo di competenza da esercitare, con l'obiettivo di evitare che, attraverso operazioni unilaterali, lo Stato e le Regioni esercitano le proprie competenze ledendo gli interessi dell’altra parte. Nell’ambito degli istituti relativi ai rapporti tra Stato e Regioni vanno ricordati anche quelli che mettono lo Stato nella condizione di controllare l’operato delle Regioni ed eventualmente di imporre la propria autorità sulle stesse, in particolare, il potere sostitutivo stabilito dall’art.120 Cost: il Governo, seguendo una procedura disciplinata dalla legge, può sostituirsi agli organi delle Regioni dove questi si rendono responsabili di violazioni di norme e trattati internazionali o del diritto dell’UE, o dove lo richiede la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica → l’esercizio di questo potere penetrante è garantito dalla legge n.131/2003 che, come sancisce l’art.120 comma II, deve improntare le procedure atte a consentire l’esercizio del potere esecutivo non solo nel rispetto del principio di sussidiarietà, ma anche del principio di leale collaborazione: infatti, a meno che non ricorrono situazioni di urgenza, si è stabilito che il Consiglio dei Ministri, dove lo Stato riscontri la sussistenza di elementi che giustificherebbero l’attivazione del potere di sostituzione, deve primariamente attribuire all’ente interessato “un congruo termine”, per tentare di porre spontaneamente rimedio alle proprie inadempienze attraverso l’adozione dei provvedimenti dovuti. Messo in mora l’ente e scaduto il termine fissato dal Governo, questi potrà adottare le misure che si rendono necessarie, oppure provvede a nominare un commissario (a condizione che l’organo interessato sia stato 70 previamente sentito e che, il Presidente della Regione abbia partecipato alla riunione del Consiglio dei ministri). Inoltre, la legge richiede che i provvedimenti sostitutivi siano “proporzionati alle finalità perseguite” Un altro potere statale che presume un’attività di controllo della Stato sulle modalità attraverso cui le Regioni esercitano le proprie funzioni, è disciplinato dall’art.126 comma I Cost., norma che prescrive che il Presidente della Repubblica può scegliere il Consiglio regionale e rimuovere il Presidente della Giunta in presenza di “atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge” (forma di scioglimento anticipato del Consiglio Regionale che non deve essere confusa con lo scioglimento che può ricorrere di diritto per motivi “funzionali” se il Presidente eletto a suffragio diretto è stato sfiduciato)→ ipotesi di scioglimento e di rimozione di natura sanzionatoria, che si fondano sul riscontro di gravissimi comportamenti da parte degli organi di indirizzo delle Regioni. Gli enti locali La Repubblica è costituita, oltre che dallo Stato e dalle Regioni, da enti definiti dall’art.114 “autonomi” e dotati di “propri statuti”: naturalmente, si tratta di un livello di autonomia nettamente inferiore a quello riconosciuto alle Regioni, che costituiscono le sole entità territoriali che compongono la nostra Repubblica capaci di esprimere un potere legislativo → anche gli enti locali hanno un potere normativo, ma solo di livello regolamentare, attraverso cui essi possono dettare regole della propria organizzazione e quelle di gestione delle loro funzioni Per ciò che concerne le forme di Governo, l’art.117 comma II assegna alla competenza statale esclusiva la disciplina sulla “legislazione elettorale”, sugli “organi di governo”, oltre che sulle “funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane”; per quanto riguarda gli organi, è poi lo Stato dell’ente locale stesso ad avere il compito di dettarne le specifiche attribuzioni, mentre le loro principali competenze sono state direttamente individuate dal legislatore statale COMUNI, gli organi che ne fanno parte sono il Consiglio, la Giunta comunale ed il Sindaco; per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 81/1983, il Sindaco dei Comuni è eletto, contestualmente all’elezione del Consiglio comunale, a suffragio universale e diretto, da parte di coloro che risiedono nel territorio del Comune stesso. Mentre il Consiglio è un “organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo”, il Sindaco è il soggetto responsabile dell’amministrazione del Comune e, a questo spetta nominare gli assessori della Giunta che è chiamato a presiedere→ la regola del contestuale rinnovo del Sindaco e Consiglio comunale, e lo specifico sistema elettorale costruito dal legislatore, hanno l’obiettivo di dare vita ad organi capaci di lavorare stabilmente insieme. Se il Consiglio sfiducia il Sindaco con un voto a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ciò determina anche lo scioglimento del Consiglio stesso (principio del simul stabunt simul cadent). PROVINCE, se in passato si articolavano in organi formati sostanzialmente secondo le stesse regole degli organi comunali, negli ultimi anni queste sono state al centro di interventi legislativi che ne hanno profondamente mutato il volto istituzionale→ a ridefinire le regole in materia di Province, è stata la legge n.56/2014 che le ha trasformate in enti di secondo livello dal momento che, i rispettivi organi di indirizzo, non sono eletti a suffragio universale e diretto, ma da Sindaci e consiglieri dei Comuni che fanno parte del territorio. CITTÀ METROPOLITANE, sono enti territoriali di nuovo conio che non erano previsti nell’originario testo della Costituzione: i loro organi sono, in prima applicazione, eletti indirettamente anche se la legge prescrive che il singolo statuto possa prevedere l’elezione diretta di questi soggetti (la Corte costituzionale ha stabilito che la circostanza che essi non siano eletti direttamente e abbiano solo una legittimazione indiretta non determina una violazione della Costituzione). Capitolo 9 Sezione I La Corte Costituzionale come garante della rigidità della Costituzione La Corte Costituzionale è l’organo supremo di garanzia della Costituzione proprio perché è ad essa demandato il compito di assicurare l’osservanza dei precetti costituzionali da parte di ogni potere dello Stato→ presidio della rigidità costituzionale e quindi della formale sovraordinazione della Costituzione e delle leggi costituzionali rispetto 71 alle leggi ordinarie: ruolo che si evince chiaramente anche dalla collocazione della sua disciplina nella rubrica “Garanzie costituzionali” del Titolo VI della Parte II della Costituzione. A differenza del Presidente della Repubblica, seppur entrambi organi costituzionali, la Corte Costituzionale esercita, da organo collegiale, la sua funzione di controllo con criterio e metodo giurisdizionale. Le origini del controllo di costituzionalità delle leggi L’introduzione di strumenti che consentano di rimediare alle ingiustizie del legislatore ha origini molto diverse in Europa rispetto a quelle che ha negli Stati Uniti d’America→ le differenze tra i due sistemi sono state determinate dal diverso ruolo e dal diverso rapporto tra Legislatore e Giudice: negli Stati dell’Europa continentale, a lungo, si è registrata una sostanziale “onnipotenza” del potere legislativo, in molti casi potere arbitrario ed iniquo. Tuttavia, in seguito, nelle concrete esperienze costituzionali del Novecento, si assiste ad un avvicinamento ed una contaminazione tra i due modelli, dovuti anche al diverso ruolo del potere giudiziario nell’esperienza costituzionale delle democrazie europee. Il primo sistema di giustizia costituzionale si affermò negli Stati Uniti d’America con la sentenza Marbury vs Madison, occasione nella quale, durante un giudizio concreto, la Corte Suprema federale ebbe modo di affermare il principio di costituzionalità secondo cui una legge, statale o federale, in contrasto con la Costituzione, deve considerarsi una “non legge” → la Costituzione diventa quindi fonte di rango superiore, che prevale su tutte le altre Conseguenze nei due ordinamenti Modello americano Modello europeo Il controllo viene svolto da tutti i giudici che, chiamati a risolvere un contenzioso, e qualora si trovino ad applicare una norma di legge di cui accertino l’incostituzionalità, devono disapplicarla Il controllo e sindacato viene svolto da un organo ad hoc, non appartenente al potere giudiziario, che può accertare la difformità della legge rispetto alla Costituzione e annullarla, dichiarandola incostituzionale La disapplicazione ha effetti limitati al caso concreto: la legge non viene espunta dall’ordinamento e potrà essere applicata da altri giudici che la reputino non incostituzionale →modello diffuso: attribuzione a qualunque giudice del potere di riscontrare l’eventuale non conformità della legge alla Costituzione L’annullamento ha effetti erga omnes e solo per il futuro: la legge annullata viene espunta dall’ordinamento e non potrà trovare più applicazione da parte di altri giudici →modello accentrato (di giustizia costituzionale) Sezione II Il modello italiano di giudizio sulle leggi In Italia prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, non esisteva un controllo di costituzionalità delle leggi, in quanto la legge ordinaria era ritenuta capace di derogare allo Statuto albertino del 1848 che, in ragione di tale caratteristica, veniva definito una costituzione di tipo “flessibile”→ la formalizzazione della rigidità costituzionale impose all’Assemblea Costituente di ragionare degli strumenti necessari a garantirla e quindi all'introduzione di un controllo di costituzionalità delle leggi: vi era l’esigenza di prevedere un efficace mezzo di tutela delle libertà costituzionali, e quindi una giurisdizione costituzionale delle libertà. Nonostante i Costituenti non avessero conoscenze particolarmente approfondite dei diversi modelli di giustizia costituzionale, furono in grado di coglierne le rispettive caratteristiche: in Assemblea prevalse quindi l’opzione per un sindacato di tipo accentrato, e pertanto per l’istituzione di una Corte Costituzionale quale organo ad hoc, non facente parte della Magistratura (pregiudizio nei confronti del potere giudiziario) Si esaminarono, dunque, le differenti forme di accesso alla Corte Costituzionale: 1. Via incidentale: la questione di legittimità costituzionale sorge nel corso di un giudizio concreto e la relativa decisione ha effetti ad esso limitati, potendo eventualmente assumere valenza generale su richiesta di 72 Sezione III La nozione di giudice e di giudizio La questione di costituzionalità, per giungere alla Corte costituzionale, deve sorgere “nel corso di un giudizio” e, quindi, in occasione dell’applicazione della legge: spetta al giudice del caso concreto attivare il sindacato della Corte costituzionale, dopo la verifica della sussistenza delle condizioni di proponibilità della questione di legittimità costituzionale (rilevanza della questione e non manifesta infondatezza). Il giudice rimettente viene metaforicamente definito come il “portiere” del giudizio di costituzionalità→ la legittimazione a sollevare la questione spetta all’autorità giurisdizionale nel corso di un giudizio, per cui l’ammissibilità della questione dipende, prima di tutto, dalla presenza di questo requisito preliminare. Le nozioni di giudice e di giudizio sono state interpretate in modo ampio dalla Corte costituzionale a) Giudice: non soltanto l’autorità giurisdizionale incardinata nell’ordinamento giudiziario, ma “l’organo chiamato a prendere una decisione in modo terzo ed imparziale, in contraddittorio tra le parti interessate” b) Giudizio: non soltanto il processo o il procedimento giurisdizionale, come strumenti di risoluzione di controversie, ma qualsiasi sede anche non contenziosa in cui l’organo giudicante prende una decisione facendo obiettiva applicazione di norme giuridiche. La giurisprudenza costituzionale su questi requisiti non è però stata sempre lineare: inizialmente, anche per consentire l’accesso al sindacato del maggior numero di questioni possibili, la Corte costituzionale ritenne sufficiente anche soltanto una delle due condizioni→ la questione sarebbe dunque ammissibile quando è sollevata nell’ambito di un qualsiasi procedimento qualificabile come “giudizio”, anche davanti ad organi di per sé non giudiziari (criterio o requisito oggettivo), sia in presenza di qualsiasi procedimento, anche non giurisdizionale, davanti ad un “giudice” che appartiene all’ordinamento giudiziario (criterio o requisito soggettivo). In questo modo, la Corte ha riconosciuto la legittimazione anche in capo ad organi che, pur svolgendo funzioni non propriamente giurisdizionali, o di incerta natura, sono stati ammessi a sollevare questione di costituzionalità per via della loro posizione qualificata nell’ordinamento o del tipi particolare di procedimento caratterizzato dall’applicazione obiettiva del diritto. Dopo gli anni ’80, l’aumento pletorico del contenzioso di fronte alla Corte costituzionale ha comportato un maggiore rigore della giurisprudenza costituzionale sul rispetto delle regole processuali→ la Corte ha cominciato infatti a richiedere la presenza di entrambi o requisiti di giudice e di giudizio, ai fini dell’ammissibilità della questione, anche se comunque ha riconosciuto delle deroghe. In generale, si può conclusivamente osservare che la Corte costituzionale, mossa dall’intento di evitare l’esistenza di “zone franche” dal proprio controllo, ha mantenuto aperta la porta in tutti quei casi, anche dubbi, in cui la questione difficilmente sarebbe arrivata per altra via, mentre è stata più rigorosa tutta le volte in cui si intravedevano strade più corrette per sollevarla. La rilevanza della questione La questione di legittimità costituzionale sorge “nel corso un giudizio” (all’art.23 comma II, della legge n.87/1953, secondo cui il giudice può sollevare la questione di legittimità costituzionale “qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”) → il requisito di rilevanza della questione trova quindi espresso fondamento normativo nella legge ordinaria, anche se è comunque già implicito nella logica dell’incidentalità di costituzionalità. RILEVANZA come nesso di pregiudizialità che intercorre tra il giudizio a quo, cioè il giudizio comune in cui sorge la questione di legittimità costituzionale, e il giudizio di costituzionalità: infatti, il primo non può essere definito o non può proseguire senza la risoluzione della questione di costituzionalità. La questione di legittimità può dirsi rilevante quando i dubbi di costituzionalità investono una norma di legge che il giudice deve applicare per la prosecuzione o la definizione del giudizio pendente davanti a sé, e quando 75 la decisione della Corte costituzionale sulla fondatezza o meno dei dubbi influisce sulla decisione del giudice rimettente → il controllo della Corte costituzionale in ordine al requisito della rilevanza si è fatto più rigoroso alla fine degli anni ’80, proprio a causa dell’aumento del contenzioso; attualmente, costituisce giurisprudenza pacifica l’orientamento che richiede sia la sussistenza della rilevanza, sia la presenza di una motivazione in punto di rilevanza: la Corte può dichiarare inammissibile la questione, quindi, non solo perché irrilevante, ma anche perché il giudice ha omesso di motivare la rilevanza o non lo ha fatto in modo adeguato. Inoltre, la questione è inammissibile per irrilevanza anche per difetto di attualità: - Attuale: questione che investe la norma che il giudice deve applicare in quello stadio del giudizio, perché giudice competente per quella fase procedurale - Prematura: questione sollevata da un giudice che non deve applicare nella sua fase di competenza quella norma che, tutt’al più, potrà trovare applicazione in una fase successiva ad opera di un giudice diverso - Tardiva: questione sollevata dal giudice che ha già fatto applicazione della norma della cui legittimità dubita In entrambi gli ultimi due casi, la questione è irrilevante perché la decisione della Corte costituzionale non sarebbe idonea a produrre effetti utili nell’ambito del giudizio principale Pertanto concerne il regime della rilevanza della questione con riguardo alle norme penali di favore, cioè le norme che prevedono un trattamento più favorevole per il reo: il problema si pone perché l’annullamento di norme penali di favore produrrebbe effetti pregiudizievoli per l’imputato, sicché, se la Corte accogliesse la questione di legittimità, il giudice dovrebbe comunque fare applicazione della norma illegittima più favorevole al reo, in forza del principio di irretroattività delle norme penali in malam partem → il giudizio della Corte, non influenzando quello principale, sarebbe inutile: invece, la Corte costituzionale ha ritenuto prima di tutto che l’applicazione della norma illegittima nel giudizio a quo dipende dall’operatività del principio di irretroattività che regola la successione delle leggi penali del tempo, e non della riespansione di efficacia della norma illegittima; in secondo luogo questa ha precisato che non è vero che la decisione della Corte costituzionale sarebbe priva di effetti nei confronti del giudizio principale, perché inciderebbe sulla motivazione della decisione di proscioglimento dell’imputato e anche sul dispositivo; infine la Corte ha spiegato che, il modo di reagire ad una decisione di incostituzionalità, dipende comunque dalle valutazioni del giudice a quo. In generale, bisogna osservare che il merito della questione ha potuto influenzare profondamente il modo in cui la Corte sindaca l’esistenza della rilevanza; inoltre appare opportuno considerare ciò che accade qualora, dopo la rimessione della questione di legittimità costituzionale, sopravvengano fatti o eventi nuovi che possano incidere sulla permanenza della rilevanza della questione→ si distinguono due ipotesi diverse a seconda che interessino il processo a quo oppure il sistema normativo complessivamente considerato a) Gli eventi nuovi riguardano il processo a quo (ad esempio la sua estinzione): in linea di principio la Corte costituzionale non pronuncia inammissibilità per sopravvenuta irrilevanza, essendo il giudizio in punto di rilevanza soddisfatto se questo questo requisito sussiste al momento della rimessione della questione di costituzionalità b) Di fronte allo “ius superveniens”, la Corte costituzionale rimette con ordinanza gli atti al giudice a quo, affinché questo procede ad una nuova valutazione in punto di rilevanza della questione di costituzionalità: nel corso di questa valutazione, il giudice a quo, tenuto conto delle modifiche che hanno interessato il quadro normativo, potrà sollevare una seconda volta la questione, ma soltanto se la ritiene nuovamente rilevante e non manifestamente infondata La non manifesta infondatezza e l’interpretazione conforme a Costituzione Allo stesso modo, la legge n.87/1953 prevede che la questione di legittimità costituzionale può essere sollevata non solo quando questa è rilevante, ma anche quando il giudice “non ritiene che la questione sollevata è manifestamente infondata” → filtro di merito giustificato dall’esigenza di prevenire il rischio che l’incidente di costituzionalità venga utilizzato a meri scopi dilatori dalle parti del giudizio principale, ma anche il rischio che la Corte si trovi a giudicare un numero copioso di questioni del tutto infondate 76 NON MANIFESTA INFONDATEZZA è definita come il dubbio che la norma da applicare sia incostituzionale: non è allora necessario che il giudice sia convinto della fondatezza della questione (convinzione da dimostrare tramite la motivazione) e nemmeno che il giudice sia persuaso del contrario, ma soltanto che esistano oggettive ragioni di incertezza della compatibilità costituzionale della norma di legge. Non sono dunque ammissibili questioni pretestuose, cioè patentemente infondate, né questioni interpretative, perché è compito del giudice risolverle. ❖ Nella valutazione sulla non manifesta infondatezza, il giudice esplicherà un giudizio di merito di carattere sommario, limitandosi a rilevare il dubbio con un giudizio prima facie (diversamente invaderebbe la giurisdizione esclusiva della Corte costituzionale come unico giudice preposto a dichiarare la fondatezza o meno delle questioni di costituzionalità); la Corte costituzionale invece controlla che il giudice abbia valutato il requisito della non manifesta infondatezza attraverso la motivazione contenuta nell’ordinanza di rimessione. ❖ Inoltre, il giudice deve motivare adeguatamente anche la decisione opposta, quella con cui respinge l’eccezione costituzionale posta da una parte, per manifesta irrilevanza o infondatezza. La Corte costituzionale aveva individuato un altro requisito per poter sollevare la questione di costituzionalità, la cosiddetta “interpretazione conforme a Costituzione” (interpretazione adeguatrice) il cui esperimento è richiesto dal giudice a quo ai fini dell’ammissibilità della questione: nella giurisprudenza della Corte costituzionale è sempre stato affermato il principio in forza del quale, tra due possibili interpretazioni di una disposizione, una sola delle quali è compatibile con la Costituzione, si deve optare per quest’ultima. Con la sentenza n.356/1996 la Corte costituzionale ha ancora più densamente valorizzato il ruolo del giudice a quo, affermando che “in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” → la Corte richiede quindi che che sia esplicito anche nell’ordinanza di rimessione il tentativo di interpretazione conforme, senza cui la questione viene dichiarata inammissibile: questo orientamento del giudice costituzionale si spiega con l’intento di “diffondere” nel modo più ampio i valori costituzionali e il loro peso nell’ordinamento costituzionale, ma ha creato anche una “fuga” dal sindacato accentrato che, negli ultimi anni, ha mostrato i suoi riflessi negativi dal momento che, talvolta, i giudici tendono a risolvere da soli la questione, accedendo a letture piuttosto forzate della disposizione, in modo da evitare di sollevare la questione di legittimità (la Corte è tornata su questo orientamento, riassorbendo il requisito dell’interpretazione adeguatrice e ritenendolo già implicito nella valutazione sulla non manifesta infondatezza). L’ordinanza di rimessione: norma oggetto, norma parametro e tipologia dei vizi Una volta verificata la rilevanza, la non manifesta infondatezza, e tentata inutilmente l’interpretazione adeguatrice, il giudice a quo redige un’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale in cui espone 1. I termini ed i motivi della questione 2. Le norme di legge oggetto del dubbio di legittimità e le norme costituzionali che si assumono violate 3. La motivazione sulla rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione e sospende il giudizio in corso, fino alla decisione della Corte costituzionale → si tratta dell’atto introduttivo del giudizio di costituzionalità, in cui viene definito il thema decidendum su cui la Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi, che deve essere definito e non può limitarsi ad una generica contestazione della legge da parte del giudice a quo, e non può nemmeno sollevare questioni di costituzionalità ponendole in modo alternativo, cioè ipotizzando diverse interpretazioni della disposizione, che conducono a diverse questioni, né richiede al giudice costituzionale di risolvere un dubbio solo interpretativo. Può accadere che il dubbio di legittimità costituzionale riguarda solamente alcune parti del contenuto normativo e non l’intera disposizione normativa (la questione di legittimità costituzionale sarà sollevata dal giudice a quo, rispetto alla disposizione oggetto della questione di costituzionalità “nella parte in cui prevede qualcosa” oppure “nella parte in cui non prevede qualcosa”.) → il modo in cui il giudice ha imposto la questione è nella maggior parte dei casi determinante anche ai fini della decisione della Corte costituzionale che però, talvolta, opera delle correzioni rispetto all’impostazione del giudice, ed in qualche caso amplia l’oggetto del giudizio, potendo 77 c) Soggetti che, entro il termine di 20 giorni liberi prima della data fissata per l’udienza pubblica, possono depositare presso la cancelleria della Corte le proprie memorie o porre documenti. La Corte, per l’acquisizione di documenti, di atti, dati statistici, può ricorrere a poteri istruttori (utilizzati molto di rado)→ il giudizio (che dovrebbe essere, ai sensi dell’art.18 della legge n.87/1953, in sentenza quando la Corte si pronuncia in via definitiva, e in ordinanza negli altri casi) trova la sua conclusione con il deposito della pronuncia presso la cancelleria della Corte, cui segue la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Sezione IV Il processo costituzionale può chiudersi con decisioni di diverso tipo Le decisioni di inammissibilità Adottate dalla Corte, con ordinanza o con sentenza, quando la questione di legittimità costituzionale non può essere esaminata nel merito per la presenza di vizi processuali, oppure quando la questione prospettata richiede alla Corte di assumere una decisione che esorbiti dalla sua giurisdizione, implicando valutazioni di natura politica o un sindacato sull’uso del potere discrezionale del legislatore → motivi di inammissibilità di ordine processuale: 1. Carenza di legittimazione del giudice remittente a sollevare la questione di legittimità costituzionale 2. Carenza di rilevanza della questione di legittimità costituzionale 3. Motivazione insufficiente in punto di rilevanza o di non manifesta infondatezza 4. Omessa interpretazione conforme a Costituzione o omessa motivazione sul punto 5. Incorretta individuazione o definizione del thema decidendum (inidoneità dell’oggetto o del parametro) 6. Sopravvenuta carenza dell’oggetto 7. Natura interpretativa della questione sollevata. Il difetto di inammissibilità si verifica quando la Corte è chiamata a decidere la questione invadendo le scelte politiche del legislatore,e può aversi: a) Quando la Corte si trovi a sindacare la costituzionalità di una norma penale (tema da non confondere con le norme penali di favore), il cui annullamento produrrebbe effetti malam partem e contrasterebbe quindi con il principio di stretta legalità informante la materia penale b) Quando, pur rilevando che la norma oggetto sia lesiva di uno o più parametri costituzionali, ritiene prioritario l’intervento del legislatore sia in ragione della necessità di riscrivere in modo organico e sistematico la disciplina in esame, sia in ragione dell’ampio margine di manovra che viene riconosciuto al legislatore stesso quando occorre contemperare più diritti e principi in gioco→ dove sono individuabili una pluralità di soluzioni tutte compatibili con la Costituzione, la Corte riconosce che una simile scelta compete solo al legislatore. Di fronte all’inerzia del legislatore, la Corte ha corretto la propria giurisprudenza, ritenendo che il carattere discrezionale della soluzione da adottare a seguito della riconosciuta incostituzionalità non è più sempre necessariamente da considerarsi un automatico impedimento all’intervento della Corte stessa, che comunque non è autorizzata a decidere a propria discrezione la disciplina da introdurre in sostituzione di quella dichiarata incostituzionale→ cerca di individuare soluzioni già rinvenibili nell’ordinamento (grandezza predate) Quanto agli effetti delle decisioni di inammissibilità, queste vincolano solo il giudice rimettente (efficacia inter partes), che potrà sollevare la medesima questione, cioè negli stessi termini, nell’ambito del medesimo giudizio, soltanto se il vizio accertato dalla Corte è sanabile, quindi rimovibile (ad esempio nel caso di difetti di motivazione accertati dalla Corte: in questi casi, il giudice potrà sollevare nuovamente la questione, completando l’ordinanza in punto di motivazione; non sono invece sanabili i vizi sostanziali e, tra quelli processuali, il difetto di rilevanza, la carenza dell’oggetto, la carenza della legittimazione del giudice a quo). Le decisioni di rigetto La Corte adotta una decisione di rigetto quando la questione di legittimità costituzionale non è fondata → può anche accadere che la Corte giudichi la questione come manifestamente infondata, pronunciandosi con ordinanza, quando l’infondatezza del dubbio si possa apprezzare prima facie. 80 Anche la decisione di rigetto ha efficacia soltanto inter partes, quindi altri giudici potranno sollevare la medesima questione di costituzionalità: l’unico vincolo sta nei confronti del giudice a quo, che non potrà riproporre la stessa questione all’interno del medesimo giudizio, però non gli preclude di riproporre una questione diversa sulla medesima norma: occorre precisare, tuttavia, che la sentenza di rigetto non fa acquistare alla norma impugnata un marchio definitivo di conformità a Costituzione, poiché l’infondatezza riguarda soltanto quella determinata questione su cui si è svolto il giudizio e in quel determinato contesto normativo e momento storico, non invece, in assoluto, la norma. Le decisioni di accoglimento La Corte decide con sentenza di accoglimento quando viene dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma oggetto, perché la questione di legittimità costituzionale è fondata. Anche il giudice costituzionale, come ogni giudice, è soggetto al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sicché la Corte può pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle sole norme oggetto indicate nell’ordinanza di rimessione (la Corte dichiara quali sono le disposizioni illegittime)→ una deroga a questa regola si ha con l’istituto dell’illegittimità consequenziale: la Corte ha il potere di dichiarare l’illegittimità costituzionale anche di quelle ulteriori disposizioni legislative “la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”: in generale, la Corte ha utilizzato questo strumento in modo limitato: sono rari, infatti, i casi in cui il giudice costituzionale se ne è servito per ampliare in modo evidente i confini del proprio giudizio. Effetti temporali delle decisioni di accoglimento La decisione di accoglimento ha efficacia erga omnes e retroattiva: l’estensione erga omnes dell’efficacia delle pronunce dichiarative dell’incostituzionalità si pone coerentemente in linea con il principio della sovraordinazione della Costituzione, alla base del sindacato di costituzionalità delle leggi e della stessa rigidità della Costituzione Si è discusso se gli effetti della decisione di accoglimento dovessero essere retroattivi o valere solo per il futuro: il problema è stato risolto con la legge n.87/1953 che afferma: “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”→ la dichiarazione di incostituzionalità ha effetto anche nei confronti di tutti le situazioni ancora giuridicamente instabili, anche se sorte precedentemente alla dichiarazione di incostituzionalità. D’altra parte, gli effetti retroattivi della dichiarazione di incostituzionalità, sono una conseguenza della natura incidentale del giudizio costituzionale (art. 1 legge costituzionale n.1/1948): sarebbe illogico imporre al giudice che ha sollevato la questione, evidentemente con riguardo ad una res iudicanda anteriore, di applicare una norma dichiarata incostituzionale, perché ciò determinerebbe il venir meno dell’interesse concreto a sollevare la questione stessa→ il solo limite è quello dei rapporti esauriti, cioè dei rapporti che non sono più sottoponibili ad un giudizio di merito per il sopravvenire di fatti impeditivi, quali il giudicato, la prescrizione, la decadenza (la cui decisione di applicazione, in ogni caso, è rimessa al giudice ordinario, anche se ci sono stati interventi della Corte). In un solo caso, espressamente previsto dalla legge n.87/1953, la decisione di incostituzionalità travolge anche i rapporti esauriti dal giudicato penale, ovvero “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali”. L’efficacia generale e retroattiva delle decisioni di incostituzionalità ha, tuttavia, creato molti problemi, soprattutto nel caso in cui queste decisioni comportassero, direttamente o indirettamente, costi per il nostro ordinamento. Questo effetto ha determinato, in molti casi, una rinuncia da parte del giudice costituzionale all’accoglimento di importanti, ma troppo costose, questioni; si cercarono, quindi, strumenti che consentissero di limitare retroattivamente o solo per il futuro l’efficacia della pronuncia (come nell’ordinamento tedesco): - Sentenza n. 10/2015: modifica dell’art.81 (2012), che riguardava il rispetto dell’equilibrio di bilancio, la Corte pronunciò che questa aveva valenza solo pro futuro; questo comportò una serie di interrogativi che riguardavano la possibilità di recidere il nesso di pregiudizialità tra giudizio a quo e giudizio costituzionale, dal momento che i suoi effetti non si sarebbero prodotti sul giudizio su cui era sorta la questione (seppure, 81 nello specifico caso concreto, il giudice a quo non si sentì vincolato e risolse il giudizio come se avesse prodotto effetti retroattivi). - Sentenza n. 41/2021: dopo aver dichiarato l’illegittimità della previsione che attribuisce ai giudici onorari la funzione di giudice collegiale nelle corti di appello, la Corte ha affermato di riconscerle una “temporanea tollerabilità costituzionale” (fino all’ottobre del 2025), al fine di agevolare il legislatore nel riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria; decisione che genera perplessità, in quanto viene protratta la vigenza di una previsione a tutti gli effetti incostituzionale Ulteriori modelli decisori La Corte costituzionale ha elaborato ulteriori tecniche decisorie, che è possibile sistematizzare in due modelli: 1) Decisioni interpretative di rigetto o di accoglimento: si fondano sulla possibilità che una disposizione di legge consenta più di un’interpretazione→ la Corte costituzionale può rifiutare l’interpretazione prospettata dal giudice a quo ed elaborarne una propria, sicché la questione è dichiarata infondata perché basata su una diversa interpretazione della norma oggetto. Le decisioni interpretative adottate dalla Corte non vincolano i giudici diversi dal giudice rimettente, che sono soggetti soltanto alla legge: se la giurisprudenza comune non si adegua all’interpretazione suggerita dalla Corte costituzionale, questa sarà indotta, nelle successive occasioni, a rivedere la propria decisione, pervenendo, se del caso, ad una pronuncia di accoglimento. Nonostante le pronunce interpretative di rigetto siano state il principale strumento con cui la Corte costituzionale adeguava le leggi anteriori ai principi costituzionali, accadeva che i giudici, soprattutto la Corte di Cassazione, non si confermassero a queste interpretazioni, motivo per cui spesso le questioni sono tornate davanti al giudice costituzionale, che ha dovuto pronunciarsi per l’incostituzionalità dell’interpretazione davanti a due giudici comuni → in simili ipotesi si è avuto un passaggio da una decisione interpretativa di rigetto ad una interpretativa di accoglimento. 2) Decisioni manipolative di accoglimento, la Corte non dichiara la semplice incostituzionalità della norma, ma con ritagli o aggiunte, ne modifica il significato, adeguandolo ai principi costituzionali→ decisioni manipolative, grazie a cui la Corte dichiara l’incostituzionalità di una disposizione di legge non nella sua integrale portata normativa, ma solo nella parte in cui prevede qualcosa (accoglimento parziale o riduttive), o nella parte in cui non prevede qualcosa (sentenze additive), o nella parte in cui prevede qualcosa anziché qualcos’altro (sentenze sostitutive). Tra esse si possono inserire le pronunce - Di accoglimento parziale: la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale nella disposizione legislativa non nella integrità, ma “nella parte in cui prevede che…”, individuando così direttamente la parte della norma su cui la declaratoria di incostituzionalità produrre i propri effetti. - Additive: impiegate dalla Corte costituzionale per colmare una lacuna costituzionalmente rilevante: la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata “nella parte in cui essa non prevede che…”, cioè quando la disposizione manca di un contenuto normativo costituzionalmente necessario. Additive di principio: si differenziano, rispetto alle sentenze additive classiche, per l’assenza di un intervento della Corte costituzionale, volto a stabilire il contenuto normativo regolatori da aggiungere alla disposizione impugnata, limitandosi somma ad individuare i principi che devono ispirare il successivo intervento regolatori del legislatore → nella pronuncia, quindi, la Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità di una norma nella parte in cui non rispetta un principio costituzionale: la Corte non aggiunge alla disposizione una norma direttamente applicabile, ma si limita a fissare un principio generale che dovrà essere attuato solo attraverso un intervento successivo del legislatore Questo pone alcune questioni problematiche per ciò che riguarda il periodo nel quale una volta resa la dichiarazione di incostituzionalità il legislatore debba ancora intervenire, in particolare su come si debbano comportare i giudici (sospendere il processo, negare il diritto, applicare direttamente il principio affermato dalla Corte pur in assenza di una regola precisa?) 82 precede che, dopo la doppia approvazione da parte del Consiglio regionale, il Governo possa promuovere questioni di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte entro 30 giorni dalla pubblicazione. L’unico soggetto legittimato a ricorrere contro le delibere statutarie è il Governo→ il compito affidato alla Corte non è diverso dal controllo sulle leggi effettuato in via principale (art.19 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale prevede espressamente che, a questo tipo di giudizio si applichino le previsioni valide per il giudizio in via principale): il ricorso deve contenere l’indicazione delle norme costituzionali asseritamente violate e la motivazione intorno alle relative ragioni. Per quanto riguarda il termine entro cui il Governo può promuovere il ricorso, la Corte ha precisato - in mancanza di una chiara previsione normativa - che la pubblicazione a cui fa riferimento l’art.123 Cost. è quella utile a far decorrere il termine per l’eventuale svolgimento del referendum popolare e non la pubblicazione che, al termine del procedimento, porta all’entrata in vigore della legge statutaria (controllo in via preventiva, cioè prima dell’entrata in vigore degli statuti); la Corte ha precisato che se il vizio di illegittimità dello Stato sopraggiunge e si consolida soltanto dopo la scadenza dei termini previsti, il Governo può utilmente ricorrere al conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni → in relazione alla formulazione del ricorso e alla prospettazione del thema decidendum, sono inammissibili le censure che riguardano le norme programmatiche contenute negli statuti, ritenute dalla Corte proposizioni di natura esclusivamente culturale o politica, ma non normativa. È, inoltre, importante ricordare che il Governo può dedurre qualsiasi vizio di illegittimità costituzionale, anche se particolare rilievo assume l’armonia con la Costituzione di cui parla l’art.123 Cost.: la Corte ha precisato che questa locuzione comporta, da parte degli statuti, il puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione. Sezione VI I conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato I giudizi sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato (giudizi per conflitto interorganico) sono domandati alla cognizione della Corte costituzionale dall’art.134 Cost., allo scopo di garantire che venga rispettato il quadro delle competenze che la Costituzione attribuisce ai diversi poteri che compongono lo Stato→si parla anche di conflitti di natura costituzionale e si evoca la necessità che il conflitto abbia un “tono costituzionale”: si può dire che la risoluzione di questi giudizi ha come fine principale quello di mantenere l’equilibrato disegno realizzato dal costituente in ordine alla separazione dei poteri dello Stato. -) I soggetti legittimati ad essere parte del conflitto: l’art.134 Cost. parla genericamente di “poteri dello Stato”, senza precisare altro, ma soccorre l’art.37 della legge n.87/1953, che mette in evidenza come questo conflitto sia risolto dalla Corte “se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri a cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzione determinata per i vari poteri da norme costituzionali”. ● “Poteri dello Stato”(legislativo,esecutivo e giudiziario) ● Poteri a cui la Costituzione attribuisce una o più specifiche competenze (il Presidente della Repubblica, il ministro della Giustizia, la Corte dei Conti, il CSM, la Corte costituzionale…), che possono anche essere estranei allo Stato-apparato (caso dei promotori del referendum abrogativo), ma devono pur sempre esercitare poteri che rientrano nello svolgimento di più ampie funzioni, i cui atti finali sono imputati allo Stato-autorità ● Non sono invece ritenuti poteri dello Stato i partiti politici o il singolo parlamentare, gli enti locali o le associazioni dei consumatori. La differenziazione tra potere e organo ha come scopo quello di distinguere i “poteri-organo”, che sono quei poteri che si esauriscono in un solo organo (il Presidente della Repubblica), dagli “organi-potere”, che sono invece poteri che si estrinsecano in più organi: quindi, tutti gli organi abilitati a dichiarare in via definitiva la volontà del singolo potere a cui appartengono, possono sollevare un conflitto di attribuzione. -) L’oggetto del conflitto: l’art.37 della legge 87/1953 parla di “delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per vari poteri da norme costituzionali”, mentre all’art.38 della stessa legge si dispone che, la Corte, risolva il conflitto “dichiarando il potere a cui spettano le attribuzioni in contestazione e, dove è stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla”→ dal combinato di queste due norme si deducono, quindi, i“profili oggettivi” 85 del conflitto: un potere dello Stato può sollevare conflitto di attribuzione se ritiene che un altro potere ha emanato un atto o ha tenuto un comportamento lesivo delle competenze a questo attribuite dalla Costituzione. La Corte è chiamata a verificare se quel determinato atto o comportamento ha effettivamente leso le competenze che la Costituzione attribuisce al potere ricorrente: in definitiva, può essere oggetto del conflitto qualunque atto comportamento imputabile ad un potere dello Stato; a tal punto va segnalato che la Corte ritiene possibile sollevare conflitto in relazione ad un atto legislativo soltanto in via del tutto eccezionale, cioè solo nei casi in cui esiste un giudizio dove la legge, da cui deriva la pretesa lesione delle competenze, può trovare applicazione ed essere impugnata in via incidentale. → Il parametro del conflitto è la norma costituzionale attributiva della specifica competenza. Conflitti da usurpazione Conflitti da interferenza (menomazione) Il potere ricorrente ritiene che un altro potere abbia esercitato una competenza a sé esclusivamente riservata (vindicatio potestatis) Il ricorrente non rivendica la titolarità di un’attribuzione ma censura le modalità con cui la competenza spettante ad altro potere è stata esercitata, poiché tali modalità sarebbero lesive delle proprie competenze Nel primo caso il conflitto riguarda proprio la spettanza dell’attribuzione, mentre nel secondo caso il modo con cui un diverso potere ha esercitato le proprie competenze -) Gli aspetti processuali: va segnalata l’assenza di termini di decadenza per instaurare il ricorso→ la Corte ritiene infatti che sia sufficiente che permanga l’interesse a ricorrere da parte del ricorrente. Il giudizio si svolge in due fasi autonome: DELIBERAZIONE dell’ammissibilità: si svolge in assenza di contraddittorio e in Camera di consiglio; la Corte effettua un primo sommario controllo sull’ammissibilità del conflitto stesso, verificando la sussistenza dei profili soggettivi (se ricorrente e resistente sono poteri dello Stato) e oggettivi (se il conflitto riguarda attribuzioni costituzionali di poteri dello Stato): - In caso negativo, la pronuncia di inammissibilità conclude il giudizio. - In caso positivo: la Corte dispone l’ammissibilità del conflitto ed invita il ricorrente a notificare il ricorso al resistente nel termine perentorio che la stessa Corte indica nella decisione di ammissibilità (non preclude però che, a seguito del contraddittorio, la Corte possa comunque dichiarare il conflitto inammissibile) Notificato il ricorso, questo va depositato in cancelleria a cura del ricorrente entro 30 giorni dall’ultima notificazione: il mancato rispetto di questi termini comporta improcedibilità del conflitto, che comporterà l’impossibilità di riproporre il medesimo conflitto: secondo la Corte, il giudizio deve essere concluso in termini certi e non rimessi alla disponibilità delle parti. Entro i successivi 20 giorni dal termine per il deposito, le parti possono costituirsi in giudizio e, a questo punto, verrà fissata l’udienza pubblica, a cui possono partecipare soltanto gli organi dei poteri in conflitto (unica eccezione è quando l’esito del giudizio può pregiudicare le posizioni di un soggetto privato ad esso estraneo). La decisione viene presa in Camera di Consiglio e, successivamente, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale → la tipologia di decisioni è ridotta rispetto ai giudizi: oltre ai provvedimenti di inammissibilità e improcedibilità - a cui devono aggiungersi le decisioni con cui si estingue il processo a causa della rinuncia al ricorso accettata dal resistente - la Corte deve adottare sentenze con cui, risolvendo il conflitto “dichiara il potere a cui spettano le attribuzioni in contestazione”; ovviamente, solo nel caso in cui la decisione accoglie il ricorso, l’atto impugnato sarà annullato. I conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra le Regioni I conflitti di attribuzione domandati al giudizio della Corte costituzionale possono sorgere tra Stato e Regione e tra le Regioni (conflitti tra enti, o conflitti intersoggettivi)→ l’art.39 della legge n.89/1953 afferma che se la Regione invade un suo atto di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato, cioè ad altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente interessate possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di 86 competenza; del pari può produrre ricorso la Regione la cui sfera di competenza costituzionale è invasa da un atto dello Stato: i soggetti legittimati a ricorrere sono quindi lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Analogamente al giudizio in via principale, il ricorso deve essere preceduto da una delibera dell’organo politico e, anche in questo caso, il contenuto del ricorso dovrà coincidere con quello della delibera. -) L’organo legittimato a proporre il ricorso e a rappresentare in giudizio lo Stato è il Presidente del Consiglio dei ministri (rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato), mentre l’organo che rappresenta in giudizio le Regioni è il Presidente della Giunta regionale: ciò determinava un particolare problema quando le Regioni impugnavano un atto giurisdizionale (era, infatti, solo il Presidente del Consiglio a difendere nel giudizio davanti alla Corte le attribuzioni e le competenze degli organi giurisdizionali, il che poteva risultare paradossale, vista la posizione di indipendenza e autonomia riconosciuta agli organi giudiziari)→ allo scopo di evitare queste situazioni, la Corte nel 2004 ha modificato l’art.25 delle Norme Integrative stabilendo che, quando l’atto che si ritiene lesivo delle attribuzioni regionali o provinciali è emanato da autorità diverse dal Governo, il ricorso predisposto dalle Regioni deve essere notificato non solo al Presidente del Consiglio, ma anche all’organo che ha emanato l’atto. -) Quindi, tramite il conflitto tra enti è possibile risolvere le controversie relative alla competenza, statale o regionale, per le quali opera il giudizio in via principale: pertanto, ad eccezione delle leggi e degli atti avente forza di legge, qualsiasi atto, statale o regionale, può essere oggetto di conflitto intersoggettivo, atti che sono sindacabili solo perché ledono effettivamente la competenza dell’ente ricorrente e, come costantemente afferma la Corte, deve trattarsi di atti dotati di efficacia e rilevanza esterna. Anche per i conflitti intersoggettivi vi è la stessa distinzione rilevata per i conflitti interorganici: vi sono, quindi, conflitti da usurpazione, in cui verte sulla spettanza della competenza, e conflitti di menomazione, in cui controverse sono le modalità di esercizio delle competenze attribuite → la Corte costituzionale esclude l’ammissibilità di ricorsi per conflitto di attribuzione proposti contro atti meramente consequenziali, cioè confermativi, riproduttivi, esplicativi o esecutivi, di altri atti anteriori non impugnati. -) Il parametro, nel conflitto tra enti, non si rinviene solo nelle norme costituzionali attributive di competenza, ma anche in quelle norme di legge ordinaria che integrano le norme costituzionali, come i decreti di attuazioni degli statuti speciali: dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, non è infrequente l’evocazione, quale parametro, del principio di leale collaborazione (principio di rango costituzionale ricavato dalla giurisprudenza costituzionale e che deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni e si sostanzia nella necessità di dare luogo ad un reciproco coinvolgimento istituzionale tra Stato e Regioni e di coordinare i livelli di Governo statale e regionale) -) Deve poi sussistere un interesse attuale e concreto al conflitto: la Corte deve essere adita con l’obiettivo di far venir meno la violazione delle competenze dell’ente ricorrente (ricorrente l’affermazione secondo cui anche i conflitti di attribuzione tra enti devono presentare un “tono costituzionale”)→ non sono ammissibili conflitti in cui il ricorrente lamenti che l’atto impugnato è solo il frutto di un’erronea applicazione della legge (solo violazioni delle competenze attribuite dalla Costituzione). -) Per quanto riguarda gli aspetti processuali, il giudizio va promosso con un ricorso da notificare alla controparte entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione o dalla pubblicazione o dall’avvenuta conoscenza dell’atto da impugnare; entro 20 giorni dall’ultima notificazione il ricorso deve essere depositato presso la cancelleria della Corte, entro lo stesso termine la parte resistente può costituirsi in giudizio. Il ricorso deve indicare oggetto e parametro, cioè “l’atto da cui sarebbe invasa la sfera di competenza, nonché le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono violate”: anche nei conflitti di attribuzione fra enti può essere chiesta la sospensione, se il ricorrente ritiene sussistenti il periculum in mora e il fumus boni iuris (gravi ragioni). 87
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