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Dostoevskij e la sofferenza degli innocenti, Guide, Progetti e Ricerche di Letteratura Russa

si analizza uno dei temi più delicati del pensiero di Dostoevskij, quello della sofferenza degli innocenti; tema la cui riflessione principale compare nel suo capolavoro: "I Fratelli Karamazov"

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2019/2020

Caricato il 03/03/2023

Deddos20
Deddos20 🇮🇹

5

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5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dostoevskij e la sofferenza degli innocenti e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! – LA SOFFERENZA DEGLI INNOCENTI IN DOSTOEVSKIJ: COME PUÒ L’UOMO VIVERE IN UN MONDO IN CUI SI SOFFRE INUTILMENTE? “Ammesso che tutti debbano soffrire per conquistare con la sofferenza l’eterna armonia, ma cosa c’entrano quì i bambini? Non si capisce assolutamente a che scopo debbano patire anche loro e perchè debbano conquistarsi con le sofferenze quell’armonia.Per quale motivo sono serviti anche loro per concimare la futura armonia a vantaggio di altri?” (I fratelli Karamazov, pg.255) Prima di incominciare questo discorso sarebbe bene riflettere su tali parole pronunciate da Ivan Karamazov durante il suo dialogo con il fratello Alëša, poichè proprio quí si concentra il fulcro del discorso: come può un uomo accettare di vivere in un mondo in cui esiste un tipo di sofferenza inutile? Il tema della sofferenza inutile è uno dei più delicati e tormentati della poetica dostoevskiana, ma allo stesso tempo uno dei più attuali e moderni. Partiamo dal fatto che la sofferenza in generale, all’interno dell’ideologia dell’autore è un qualcosa di benefico: l’uomo riesce realmente a liberarsi dal male e dal dolore solo toccando l’abisso della sofferenza, così da potersi elevare e raggiungere il bene solo passando dal male e distruggendo quest’ultimo sino alle sue radici tramite il dolore e il tormento; dunque la sofferenza nell’uomo trova una spiegazione di fondo, ha un suo posto nel mondo, per lo stesso Dostoevskij la vita è prima di tutto espiazione di una colpa per mezzo del dolore. Tuttavia l’analisi dell’autore non poteva fermarsi quí, da bravo pensatore qual è stato e a mio parere, anticipando di gran lunga una traccia di inquietudine dell’uomo moderno, Dostoevskij va oltre il discorso della sofferenza rigeneratrice e riscattatrice, portando alla luce il concetto di “sofferenza inutile”, trattato anche in maniera impeccabile da Luigi Pareyson nel suo saggio sull’autore; ora con questo concetto Dostoevskij vuole rappresentare quella sofferenza che o per eccesso del dolore o per incapacità del paziente non può diventare nè via alla purificazione e alla redenzione, nè mezzo di maturazione interiore; è una sofferenza che si esaurisce in sè stessa e nella propria inanità, e che in quanto tale appare come assurda e senza senso. Le figure nelle quali è più pertinente e più si concentra l’analisi di questa sofferenza inutile sono quelle degli animali, degli idioti e dei bambini. L’autore, pur essendo molto legato a tutte e tre e pur riconoscendo a tutte tale ingiustizia, non ci nasconde la sua maggiore focalizzazione sulle figure dei bambini, delle quali le sue pagine pullulano. Ora bisogna aprire quí una parentesi, uno sguardo alla letteratura d’Europa che già da molto tempo aveva dato prova dell’eccellenza nell’affrontare tematiche quali l’abuso dei minori, lo sfruttamento dei bambini e le loro tragiche e spietate sofferenze: così ad esempio Charles Dickens è diventato il paladino degli umili, degli oppressi della società, cantore di quella semplicità e spontaneità contrapposta alla corruzione e alla violenza dei potenti, e in questo modo ci ha regalato capolavori della letteratura quali “Hard Times” oppure “Oliver Twist”, ad egli si ricollegano poi autori come il britannico Thomas Hardy, o anche opere picaresche considerati classici della letteratura spagnola come “Lazarillo de Tormes” , dove si intravede la storia di un bambino orfano che diventa man mano, per influenza di padroni indifferenti e spietati proprio come essi, quindi un’anima pura e innocente stroncata e consumata dalla malvagità degli adulti. Ora se queste opere rappresentano una letteratura di denuncia verso una società spietata e un ambiente dove i potenti avevano la meglio, in Dostoevskij l’analisi di questo tema si fa più profonda, esistenziale, si apre all’animo umano; numerosissimi sono i bambini sofferenti presenti nelle sue pagine: dalla bambina che vaga in preda alla disperazione per le vie di Londra in “Note invernali su impressioni estive”, il personaggio della piccola Nelly, protagonista di “Umiliati e offesi”, bambina orfana e povera che viene adottata da uno scrittore di bassa fortuna, la scena della fanciulla all’inizio di “Delitto e castigo” svestita, ubriaca, che è stata buttata sul marciapiede dopo essere stata stuprata; la vicenda della povera Matrëša, la bambina dodicenne vittima del sadismo e della perversione assoluta di Stavrogin, che sfocia nello stupro; tale ragazzina nella sua innocenza ed incoscienza non si rende conto della gravità dell’accaduto e ritiene persino di essere lei la colpevole di tutto, per questo non molto tempo dopo si impiccherà per l’umiliazione, tutto ciò sotto l’impassibilità spietata di Stavrogin che ammette anche di aver aspettato e quasi desiderato le conseguenze del suo gesto abominevole. Dostoevskij si concentra sulle anime infantili che “hanno visto quadri cupi e si sono abituate a forti impressioni, che resteranno in loro, certo, in eterno e li perseguiteranno in sogni terribili per tutta la vita”; ne “L’adolescente”, il romanzo del ‘75, l’autore tratta la questione delle cosiddette “famiglie casuali”, cioè quelle famiglie sfaldate, incapaci di trasmettere valori saldi, idee forti, presso cui spesso bambini sventurati orfani trovano alloggio, ne è l’esempio lo stesso protagonista Dolgorukij, che vive una vera e propria crisi d’identità causata dalla sua illegittimità e da un mondo che lo disprezza per questa sua condizione sventurata; nel “Diario di uno scrittore” Dostoevskij sembra enucleare una riflessione su ciò che concerne lo statuto del bambino dal punto di vista giuridico, sociale, seppur limitandosi a delle considerazioni personali: il mondo infantile non aveva una voce, era un’istanza muta che subiva passivamente, da inerme, i duri colpi che la società infliggeva. Il bambino era equiparato allo status di adulto da un punto di vista giuridico e si è ancora lontanissimi da una, seppur minima, enucleazione dei diritti dei bambini; il capitolo iniziale del diario, dal titolo “l’ambiente”, ad esempio, presenta l’analisi di svariati casi giudiziari che vedono come protagonisti bambini vittime di violenze e abusi di vario genere e che generalmente si concludono con troppo facili e frettolose assoluzioni degli aguzzini: un caso si riferisce ad una bambina che assiste al suicidio della madre, a sua volta vittima del marito; un altro racconta di una madre violenta che si adopera per far placare i pianti della figlioletta di dodici mesi mettendo le manine sotto l’acqua bollente di un samovar. Tuttavia,il fiore della profondità di questo tema lo si raggiunge con il personaggio estremamente complesso e forse meglio riuscito, di Ivan Karamazov, in cui questa sofferenza inutile degli innocenti assume il significato di ribellione: l’uomo non può accettare di vivere in un mondo in cui mentre la sua sofferenza e il suo peccato vengono purificati, dall’altra parte una bambina inconsapevole e incosciente è costretta dalla madre a prostituirsi. Significativi sono gli esempi di estrema crudeltà descritti da Ivan: ecco ad esempio le crudeltà dei turchi in Bulgaria: bambini strappati con i pugnali dalle viscere materne, lattanti lanciati in aria e fatti divertire per capirne la fiducia, e sfracellati con quella stessa pistola ch’essi nel confidente abbandono del gioco tentano di afferrare con le manine; ecco una coppia di genitori “istruiti e bene educati”, che diabolicamente posseduti dalla passione di torturare gli indifesi percuotono la loro piccolina di cinque anni, riducendone il corpicino a un solo livido, e rinchiudendola per intere notti nel gabinetto, al freddo e al buio, dove, poiché essa non chiama in tempo, la imbrattano dei suoi stessi escrementi costringendola a mangiarli... Ivan è l’esempio dell’uomo scettico e rivelatore, che si rende conto dell’ingiustizia enorme che permane in tale ordine costituito, che non trovando una spiegazione logica a tutto ciò, si ripiega ad una teoria di un “Dio ingiusto”, sfociando poi in una pretesa di ateismo. Ora ciò che fa Dostoevskij non è di certo convincere l’uomo a dubitare della propria fede, anche perché dopo le parole di Ivan seguono quelle intrise di religiosità da parte di Alëša, il quale è d’accordo con il fratello nel considerare la sofferenza come uno scandalo, tuttavia questo viene meno se confrontato con il fatto straordinario del redentore che libera l’umanità dalla sofferenza trasportandola interamente su di sè e vivendola fino in fondo, quindi propone l’immagine del Dio sofferente, senza il quale il dolore rimarrebbe senza senso; ogni altro scandalo cessa se anche Dio soffre e vuole soffrire. Tuttavia le parole di Ivan , di fatto, sollevano un interrogativo e un’ inquietudine, a mio parere tutt’oggi moderna in quanto tutt’oggi vissuta e sofferta, quella dell’inspiegabilità delle ingiustizie umane, verso le quali l’uomo adotta approcci e soluzioni che scaturiscono dall’animo, pertanto se da un lato l’uomo può trovare sicurezza e conforto nel messaggio di Alëša, dall’altro peró può anche agire come Ivan, quindi tormentandosi trovando qualcuno da incolpare, poiché il peso di tale sofferenza è fin troppo grave e in quanto tale deve essere ricondotto a qualcuno; per questo motivo si può tranquillamente trasferire una situazione del genere nella società moderna, nella quale l’uomo continua ad essere una figura tormentata nell’animo. E proprio in questo modo si sente il padre del bambino morto di cancro a quattro anni dopo mesi e mesi di sofferenza, che si ritrova o a dare la colpa a Dio oppure a sè stesso, si chiede il perché Dio non abbia fatto morire lui invece di un bambino che aveva tutta la vita davanti e che poteva dimostrare tanto alla vita, forse più di quanto avesse dimostrato il padre stesso nei suoi tanti anni di esistenza; allora perché Dio decide di far vivere e di far addirittura scarcerare lo stupratore o l’omicida quando poi fa morire milioni di bambini perché vittime della guerra; perché Dio preferisce dare una possibilità di purificazione e redenzione al ladro e al peccatore, ma non permette di darla al bambino che inconsapevolmente si lascia sfruttare o in altri casi abusare. Su quali basi si decide che io posso vivere nei miei peccati e nel mio benessere mentre dall’altra parte del mondo un bambino (probabilmente con più aspettative e più capacità di me) compie un viaggio di migliaia di chilometri solo per andare a prendere un po’ d’acqua per lui e la sua famiglia per non rischiare di morire di sete? Dov’è il senso di tutto ciò? Dove finisce il dilemma? Come si può vivere con tale inquietudine? Dostoevskij è un maestro nel sollevare gli interrogativi “senza tempo” più struggenti e commoventi dell’animo umano, ai quali tuttavia non lascia trapelare una risposta definitiva, o meglio una soluzione; probabilmente non vi è neppure una soluzione, non c’è via d’uscita, e siamo costretti ad accettare un mondo fatto di ingiustizie innocenti; però nello stesso tempo sono molteplici nell’autore i momenti di illuminazione dell’animo, momenti di
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