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Duccio di Buoninsegna, Dispense di Storia dell'arte medievale

Duccio di Buoninsegna e la pittura trecentesca

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 12/02/2023

stefano2808
stefano2808 🇮🇹

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Scarica Duccio di Buoninsegna e più Dispense in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! 1. Duccio Di Buoninsegna A Siena, dove già nella seconda metà del Duecento si era manifestato una particolare tendenza della pittura locale verso forme di espressione essenzialmente cromatico-lineari (Guido da Siena), operano in questo periodo forti personalità di artistiche che, senza staccarsi dal gusto della tradizione, danno vita a un linguaggio nuovo ed originale, più soggetto alle suggestioni del gotico transalpino che alle forme realistiche giottesche cui si andava convertendo quasi tutta l’arte italiana del Trecento. Sue caratteristiche costanti sono l’attenuazione del dato sensibile e la subordinazione dei valori di volume e di spazio a quelli lineari e cromatici, cioè di una composizione basata sul ritmo di linee e colori, con effetti essenzialmente di superficie, propri della pittura bizantina e gotica. Tali elementi non hanno più, tuttavia, come nell’arte medievale, un valore assoluto, ma sono assunti in funzione di una nuova forma d’espressione, viva e concreta, in cui si può rivenire l’apporto spirituale ed estetico della grande rivoluzione giottesca. Il primo grande pittore senese è Duccio di Buoninsegna che assume un ruolo determinante tra Duecento e Trecento di cui abbiamo informazioni dal ‘78. A partire da questo momento è un vero e proprio maestro e commissiona in proprio, da questo periodo sono datate le sue prime opere come la Madonna di Crevole del museo dell’Opera. In essa appaiono ancora determinanti gli elementi iconografici (figura a mezzobusto), e stilistici (risalti cromatici, panneggio schematico e lumeggiato in oro) della pittura aulica bizantina, a cui si sovrappongono tuttavia molteplici influssi della tradizione storica locale di Guido da Siena, della miniatura gotica francese e della pittura Fiorentina di Cimabue. Una madonna che, con una mano stilizzata, indica il bambin Gesù e ricorda gli esempi di maniera greca che riprende un modello iconografico bizantino. Oltre questo dato, Duccio non solo rielabora la grande tradizione dei modelli medievali delle icone, ma anche esempi di grandi pittori dell’Italia centrale come Cimabue e la sua pittura vibrante, ben evidente nella madonna e nella veste del bambino giocata su effetti luminosi che la palesano trasparente, con una sottigliezza esecutiva del tutto originale e una dolcezza che si manifesta con il gesto del bambino che tocca la madre, profondamente umanizzante. La seguente Madonna dei francescani del 1284-85 è un esempio della profonda originalità del pittore che riesce a tenere insieme due mondi distanti come quello greco e quello dei moderni esempi francesi. Palesa ancora un’evidente matrice bizantina che non si esaurirà mai sia nei modelli come nei fraticelli rappresentati in proskinesis secondo le usanze greche, sia nel tipo di pittura, un fondo scuro e carico dal quale emergono le tre figure tratteggiate da effetti luminosi con evidenti macchie di colore. D’altra parte, rinnova profondamente le basi greche inserendo dietro la madonna un grande drappo d’onore che riprende la miniatura francese dell’epoca di san Luigi IX. Da ciò si evince che Duccio è tra i primi pittori italiani che carpisce i grandi cambiamenti dell’arte del nord Europa. La madonna dimostra come Duccio abbia fatto propri i canoni rappresentativi dell’arte francese, rappresentata nella sua parte superiore in contrapposizione a quella inferiore (il braccio ed il volto verso sinistra e le gambe verso destra) in una curva ad S che permette di creare una sorta di equilibrio dinamico alla figura rappresentata con una dolcezza e preziosità del tutto nuova, ben evidente anche dal filo dorato che contorna i drappi sinuosi. La Madonna Rucellai del museo degli uffizi, commissionata dalla compagnia dei laudesi nel 1285, rappresenta già un’opera dell’età più matura di Duccio. Questa grande immagine mariana doveva decorare la chiesa di santa Maria Novella e riproduce la madonna in trono sorretto dagli angeli e rappresenta quel confronto continuo già osservato precedentemente con il pittore più importante dell’Italia centrale, La Madonna Stoclet (1300) del Metropolitan museum, rappresenta l’indirizzo di una nuova strada da parte di D. tendendo a rappresentare le figure in senso più verosimile ed affabile che si esprime in una maggiore unità affettiva e umanizzazione delle figure. La madonna è posta in diagonale e la sottile ombreggiatura del panneggio danno l’idea di una corporeità fisica mentre il bambino accarezza morbidamente il velo della madonna. In basso compare una trabeazione sostenuta da piccole mensole che permettono all’osservatore di entrare all’interno della rappresentazione sacra; la fonte di queste soluzioni illusionistiche appare evidente nella basilica superiore di Assisi, Giotto ed il nuovo modo trecentesco di intendere la pittura murale come qualcosa che si realizza dietro uno sfondato architettonico. Duccio riesce quindi ad includere le diverse tendenze culturali ed artistiche senza mai rinunciare ad una propria matrice identitaria bizantina e gotica. Un elemento significativo che caratterizza tutte le opere di questa seconda fase è il velo: fino ad allora la madonna indossava una cuffia rossa desunta dalla tradizione greca, ora sostituita da questo elemento capace non solo di contribuire ad una forte affezione ed umanizzazione tra le due figure, e che tra l’altro ricorda anche una andamento gotico della decorazione del panneggio, ma che costituisce anche una grande importanza dal punto di vista iconografico e di allusione alla passione; nel medioevo, infatti, il velo ricorda l’andata al calvario di Gesù e nello specifico quando la vergine accorre per coprirgli l’inguine con il proprio velo che funge quindi da perizoma, il medesimo della crocifissione. Questa sostituzione che ha come soggetto il velo sarà un importante contributo iconografico soprattutto per l’arte senese, la cui importanza è simboleggiata dal fatto che lo stesso Giotto adopera l’eliminazione della cuffia di tradizione bizantina, ma non ne elabora alcuna sostituzione, e non così significativa come D. Nel Trittico del 1300 conservato nella collezione reale inglese non solo si confermano i cambiamenti di questo periodo più maturo dell’artista, con una maggiore umanizzazione tra le figure e l’attenzione alla costruzione dei volumi tridimensionali o l’indelebile cifra stilistica bizantina con una serie di crisografie e filamenti dorati; ma perviene un nuovo senso del colore con una gamma cromatica sensibilmente diversa. Gli angeli ed il trono sono decorati con toni vivaci, radiosi, sofisticati e originalmente variati, non giocati più sulla trasparenza ma nella loro corposità, che si discostano dai colori cupi della madonna di Crevole di vent’anni prima. In questi anni D. si dedica, insieme a Giotto, anche all’invenzione un nuovo tipo destinato agli altari come testimonia il Polittico della chiesa di San Domenico del 1305, e rappresenta, insieme al polittico di Badia di G., l’opera più antica di tal modello che innerverà la produzione artistica per più di un secolo e mezzo. Il polittico a scomparto gotico ha una strutturazione e concezione diversa dei dipinti su tavola del XIII secolo come è ben evidente nel confronto con il dipinto di Guido da Siena del 1260: mentre quest’ultimo è un dossale orafo dall’andamento unitario ed orizzontale con un coronamento a spioventi realizzato con un unico campo figurato, il polittico è fatto di più parti, in questo caso cinque, tenuti insieme da una carpenteria, sistema di cornici tipicamente architettonico di morfologia gotica che riprende appunto la struttura delle facciate delle chiese. Nell’esempio di Giotto è ben chiaro che i santi sono posti al di sotto di una loggia architettonica spiccatamente gotica alla quale mancano però pinnacoli e cartoni. L’opera più nota di D. è la Maestà del duomo di Siena del 1311, composta da una parte centrale, con la madonna in trono attorniata dalla corte celeste di angeli e dei quattro santi e protettori di Siena, da una predella in basso, con scene della gioventù di cristo, ed un coronamento in alto, decorato da pinnacoli e cuspidi. Essa rappresenta una sorta di evoluzione del polittico vero e proprio, in un modello atipico ed unico, non a caso il dipinto su tavola più grande della storia dell’arte del Trecento. Esso si articola inoltre di una parte posteriore (composto quindi da una doppia faccia, opisclofalo): sul retro, nella predella vengono rappresentate, in continuità con l’altra faccia, le vicende della vita pubblica di Cristo, mentre sul corpo centrale trovano posto le scene della passione. Nel suo insieme permane questo senso di una figurazione che ha ancora delle radici nella tradizione bizantina: l’estrema eleganza delle soluzioni formali si esprime attraverso la bellezza sopraffina delle figure degli angeli che si dispongono intorno alla maestà, i loro volti ricordano ancora la pittura greca ma i capelli sono micrograficamente rappresentati con ondulazioni gotiche ed i volti sono realizzati con una modulazione chiaroscurale così fine e sottile che permette alle figure di emergere nella loro tridimensionalità. Duccio riesce a tenere insieme la tradizione su cui si è formato e le novità contemporanee del suo tempo, cercando di comprenderle, rielaborarle e coniugarle con un tipo di pittura di raffigurazione distante, ieratica e sacrale, che si esprime nella realizzazione di angeli isocefali, con le teste della medesima grandezza, posti sulla stessa linea seguendo la pittura alla greca, non disponendosi in modo chiaro nello spazio, ma in una specie di teofania; ed ancora, in alto, gli apostoli appaiono in una sorta di teoria di santi, distanti ed isolati dall’architettura della scena. D’altra parte, però, D. sviluppa quegli aspetti già visti della sua produzione più matura: il trono perfettamente centralizzato con una base poligonale scorciata di evidente gusto giottesco, un effetto strutturale ed illusivo un po’ smorzato dal grande telo dorato che viene buttato sopra, in una sontuosità e raffinatezza che emerge dalla pittura realizzata sull’oro. Emerge quindi una dialettica radicata nella precedente tradizione ma aperta sempre a nuove sperimentazioni, che però non sempre vengono applicate con cura ed attenzione, dimostrando che la costruzione tridimensionale, per quanto ben maneggiata e curata, non fosse al centro delle riflessioni dell’artista. Ne è esempio una delle storiette della predella posteriore che raffigura la tentazione di cristo sul tempio. Una scena che si svolge su di
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