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E. Morgagni, A. Russo (a cura di), L'educazione in sociologia. Testi scelti, Bologna, CLUEB,1997, Appunti di Sociologia

I riassunti comprendono: saggi di Durkheim, Weber, Bourdieu, Rosenthal-Jacobson, Collins, Woods

Tipologia: Appunti

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Scarica E. Morgagni, A. Russo (a cura di), L'educazione in sociologia. Testi scelti, Bologna, CLUEB,1997 e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! SOCIOLOGIA L'EDUCAZIONE IN SOCIOLOGIA E. Morgagni, A. Russo (a cura di) L'educazione, la sua natura, la sua funzione Emile Durkheim Il termine educazione è stato usato sia in senso stretto per indicare tutte quelle influenze della natura o degli adulti sulla nostra intelligenza o volontà, sia in senso più ampio comprendendo anche le leggi, le forme di governo... Una definizione troppo ampia da poter essere utilizzata che può generare confusione proprio perché l'azione che le cose esercitano sugli uomini, è diversa dall'azione compiuta dagli uomini stessi. Secondo Kant lo scopo dell'educazione è di sviluppare in un individuo la perfezione delle sue possibilità; mentre J. Mill evidenzia che l'educazione ha per oggetto il fare dell'individuo come strumento di felicità per se stesso e gli altri. Ogni definizione parte dal postulato che esista un'educazione ideale, valida per tutti gli uomini e che si cerca di teorizzare. La storia, infatti, mostra come l'educazione ha variato infinitamente secondo i tempi e i paesi. In effetti ogni società, considerata ad un momento determinato del suo sviluppo, ha un sistema di educazione che si impone agli individui e che è il risultato di differenti cause storiche: religione, organizzazione politica, livello di sviluppo delle scienze... Ciò che ci interessa maggiormente è, invece, l'azione che gli adulti esercitano sui più giovani: questo l'aspetto che per Durkheim può essere preso in considerazione quando si parla di educazione. Per determinare ciò che l'educazione deve essere, quindi, è necessario comprendere prima di tutto quali fini deve avere: ha come obiettivo di allevare dei giovani. Come anticipato, Durkheim sottolinea che prima di dare una definizione di educazione, è necessario esaminare i vari sistemi educativi per evidenziarne i caratteri comuni. La somma di questi potrà costituire una giusta interpretazione. Inoltre, ritiene importante perché si abbia educazione che vi sia: - una generazione di adulti e una di più giovani; - gli adulti esercitino un'azione sui giovani. Resta quindi da capire quale è la natura di questa azione. Esistono, infatti, tante specie diverse di educazione quanti sono i diversi ambiti sociali in questa società. Ogni società costruisce il suo ideale di uomo, quello che deve essere tanto dal punto di vista intellettuale che fisico e morale. Questo ideale è lo stesso per tutti i cittadini e si differenzia solo a seconda dei contesti presenti nella società stessa. Definizione di Durkheim: l'educazione è l'azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle non ancora mature per la vita sociale. Vuole sviluppare nel fanciullo certi stati fisici, intellettuali e morali che a lui sono richiesti. Risulta quindi che l'educazione consiste in una socializzazione metodica della giovane generazione ed esprime il carattere sociale dell'educazione. Il soggetto è fatto di stati mentali, che si riferiscono a noi stessi e alle nostre esperienze, ovvero all'essere individuale; ma anche di sentimenti, idee e abitudini che esprimono in noi, non la personalità, ma il gruppo o gruppi a cui apparteniamo. L'insieme di entrambe le cose forma l' essere sociale. Costruire questo essere in ciascuno di noi è lo scopo finale dell'educazione. La società, per mezzo dell'educazione, non vuole comprimere, snaturare l'individuo, ma renderlo un essere veramente umano. Vista la definizione data per la quale l'educazione ha una funzione sociale e collettiva, quello che il fanciullo riceve dai suoi genitori non basta in quanto sono solo delle facoltà molto generali. Lo Stato assume così un ruolo di primo piano; si deve fare garante sia dell'educazione impartita nelle scuole, sia degli educatori che ne fanno parte, non può disinteressarsi. Emerge l'esigenza di guidare i giovani verso la libertà: essere liberi non vuol dire fare quello che ci pare, ma essere padroni di se stessi, saper agire in base alla ragione e fare il proprio dovere. È proprio verso questo aspetto che l'autorità dell'educatore deve rivolgersi nella sua attività di educazione. Durkheim sottolinea che il fanciullo non può conoscere il dovere se non per il tramite dei suoi maestri e/o genitori, per cui devono essere dotati un'autorità morale. Essa non va intesa come qualcosa di violento o repressivo, ma consiste interamente in un certo ascendente morale che l'educatore deve avere sul fanciullo perché quest'ultimo sappia in futuro comprende il suo dovere e agire secondo morale. Il giovane si trova infatti naturalmente in uno stato di passività, per cui è maggiormente soggetto al “contagio morale” tramite l'esempio e l'imitazione. --- Tipi di poteri e tipi di educazione Max Weber 1. I tre tipi di potere legittimo Secondo Max Weber è impossibile analizzare i sistemi di istruzione e i mutamenti che essi hanno subito nel corso del tempo senza tener conto della stratificazione sociale e degli interessi e dei conflitti che essa crea. In Weber vi è un nesso forte tra cultura, potere ed educazione. Weber, a differenza di Marx, presenta un quadro multidimensionale della società, in cui economia, politica e cultura interagiscono tra loro (senza che nessuna di esse abbia un primato aprioristico sulle altre) e così definiscono l’organizzazione della società e le caratteristiche dei suoi vari gruppi. Weber definisce il potere da una parte come quella capacità di un soggetto sociale di esercitare un controllo sul comportamento degli altri individui, anche senza il loro consenso, per cui le loro decisioni ne risultano condizionate, questa è la potenza. Dall'altra il potere, inteso come potere legittimo (quello che ci interessa), è “la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto”; ovvero che le relazioni sociali si fondano sulla presenza di un soggetto debole che accetta le decisioni altrui perché le riconosce valide e legittime. C’è naturalmente un nesso stretto tra potere ed educazione in Weber, ma a differenza di Marx, il potere è la risultante della combinazione di vari fattori (economici, culturali, politici). Ogni tipo di potere (come vedremo) ha una sua specifica base di legittimazione e definisce quindi anche un suo specifico ideale educativo. Di conseguenza, partendo da quest'ultimo aspetto, è opportuno distinguere i tipi di potere a seconda della loro pretesa di legittimità. Per Weber, infatti, i tipi fondamentali di potere sono tre: razionale, tradizionale, carismatico. Per ogni tipo di potere vi è un diverso ideale educativo e necessita di un apparato amministrativoche agisca da tramite tra chi detiene il potere ed i sottomessi. • Al potere razionale corrisponde l’ideale dello specialista. Esso poggia sulla credenza della legalità di potere degli organi istituiti (legati alla burocrazia) e del diritto di comando di quei soggetti che sono chiamati ad esercitare questo potere (politici). Esso, infatti, si esplicita attraverso le leggi e le norme che si è obbligati a seguire (tipico delle società moderne). • Al potere tradizionale corrisponde l’ideale dell’uomo colto. Esso legittima nella tradizione il proprio potere; per cui si obbedisce alla persona designata dalla tradizione come “potente”. La legittimità si fonda su regole garantite dal ripetersi di determinate tradizioni, per cui la legittimazione può avvenire per trasmissione ereditaria e determinati soggetti possono essere investiti di questo potere indipendentemente dalle loro competenze. Il rispetto delle regole è dato, Gli stessi insegnanti, che risultano essere il prodotto di una cultura aristocratica, sono portati ad accettare e seguire i valori di questa pedagogia. Essi, facenti parte di questa élite, sono orientati nel loro giudizio da indici di appartenenza come il modo di vestire o lo stile espressivo... ciò avviene perché la scuola trasmette ed esige che i suoi studenti possiedano una certa cultura aristocratica. Un sistema scolastico così organizzato durerà fino a quando recluterà e selezionerà individui dotati di quel capitale culturale che la scuola richiede. Esso entrerà in crisi quando accoglierà: o soggetti appartenenti alla classe borghese ma che non sapranno padroneggiare bene con il loro bagaglio culturale; o studenti provenienti da classi sociali culturalmente deprivate. Dando alle persone speranze scolastiche strettamente correlate alla posizione sociale (il figlio di un operaio non potrà mai fare studi classici) e operando una selezione, ovvero “accetta”3 in modo non esplicito solo studenti che rispondono a certi criteri culturali, la scuola consacra e ratifica le disuguaglianze = ecco che il sistema formativo non fa altro che operare una conservazione dei privilegi culturali. --- Pigmalione in classe Roberth Rosenthal – Leonore Jacobson (si fa riferimento al sistema scolastico americano) I due autori evidenziano che nella società americana i bambini provenienti da classi sociali inferiori hanno per lo più un basso rendimento scolastico che si ripercuote nella loro vita futura risultando sempre svantaggiati. L'idea diffusa è che il basso rendimento sia dovuto proprio al fatto che provengono da situazioni familiari disagiate, mentre Rosenthal e Jacobson sostengono che vi è un'altra causa: il bambino ha un basso rendimento scolastico perché è proprio quello che ci si aspetta da lui. Le sue deficienze possono essere dovute NON tanto dalle caratteristiche etniche, culturali e economiche della famiglia o dell'ambiente di origine, ma dalla risposte, dagli atteggiamenti che l'insegnante ha di fronte a queste caratteristiche. Ciò porta ad una importante riflessione sul ruolo degli educatori/insegnanti presenti nella scuola e sulle loro aspettative nei confronti degli alunni. Rosenthal e Jacobson realizzano anche degli esperimenti che evidenziano come alcuni studenti, che gli insegnanti credevano potessero migliorare durante l'anno perché indicati e suggeriti dagli stessi autori durante dei test, dopo alcuni mesi sono veramente migliorati. E la scelta degli studenti indicati agli insegnanti è stata casuale e non sulla base dei test. Si parla di profezia che si auto-adempie: la predizione fatta da una persona sul comportamento di un'altra, alla fine si realizza. Tale predizione può essere avvertita solo dalla persona che la fa, ma più spesso accade che l'aspettativa di chi fa la predizione venga comunicata in vari modo alla persona interessata e che questa modifichi i suoi comportamenti. Anche su questo Rosenthal e Jacobson hanno operato degli esperimenti. Es: esperimento dei topi affidati a degli studenti = a 12 studenti di psicologia vennero affidati 5 topi. A 6 studenti venne detto che loro topi erano molto veloci a correre; agli altri 6 venne detto che i loro topi si muovevano a fatica per motivi genetici. Il loro compito era quello di addestrarli a percorrere un labirinto. I topi con le prestazioni migliori, confermarono alla fine dell'esperimento buone prestazioni. Gli studenti con loro si erano comportati in modo amichevole, con entusiasmo. Di contro, gli studenti con i topi meno prestanti e più lenti fecero pochissimi progressi. Erano ritenuti soggetti poco simpatici e poco vivaci, tanto che il contatto fisico con loro fu del tutto assente. Rosenthal e Jacobson decisero di stabilire le stesse condizioni in alcune classi della Oak School. Cercarono di creare delle aspettative basate solamente su ciò che era stato detto agli insegnanti per escludere giudizi creati da osservazioni precedenti. 3 Tutti gli studenti possono andare a scuola, ma il sistema scolastico così come era all'epoca strutturato e descritto da B. non faceva altro che evitare di trovare strumenti e metodi per l'apprendimento di tutti in modo indistinto. La Oak School era frequentata prevalentemente da studenti provenienti da classi medio basse e Rosenthal e Jacobson decisero di creare solamente l'aspettativa che certi allievi potevano migliorare. Nel 1964 chiesero agli insegnanti di poter somministrare agli studenti un test che valutava il rendimento scolastico e i progressi intellettuali dei bambini, che l'università di Harvad avrebbe analizzato. In realtà i due studiosi diedero agli allievi un semplice test di Flanagan. Al termine del test vennero forniti i risultati e indicati agli insegnanti i nominativi degli studenti con maggiore possibilità di miglioramento. La selezione fu fatto in modo casuale e la differenza tra questi e quelli non scelti rimase nel corso del tempo sempre e solo nella testa degli insegnanti. Il test fu ripetuto a distanza di tempo a tutti gli studenti. I risultati mostrarono che gli studenti “scelti” e indicati con potenzialità di miglioramento, migliorarono veramente, soprattutto quelli della prima classe e della seconda classe. Ma non solo. Emersero altri due aspetti interessanti: - Gli studenti “scelti” vennero percepiti dai loro maestri come simpatici, più vivaci e autonomi intellettualmente; - gli studenti “non scelti”, ma che ebbero comunque un miglioramento grazie alle loro doti cognitive, difficilmente vennero considerati degli insegnanti come ben adatti e promettenti. La spiegazione di questo fatto va probabilmente cercata nella sottile interazione insegnante- studente. Attraverso una comunicazione verbale e non-verbale, il maestro può comunicare le sue aspettative che percepite dallo studente lo orientano nei suoi comportamenti, nelle sue scelte e nello sviluppo delle sue capacità cognitive. Infine, i miglioramenti più significativi avvennero nella prima classe e nella seconda classe perché si trattava di bambini più piccolo, maggiormente malleabili e ancora poco consapevoli della dimensione scolastica. L'esperimento sottolinea come alcune deficienze debbano essere ricercate prima di tutto nella scuola e nell'atteggiamento degli insegnanti verso i bambini. Rosenthal e Jacobson, infine, parla di effetto Hawthorne in nome degli stabilimenti Hawthorne, dove, alcuni esperimenti volti al miglioramento della produzione con cambiamenti nei sistemi di lavoro, dimostrò l'innalzamento della produzione e della soddisfazione degli operai. --- Istruzione e stratificazione: teoria funzionalista e teoria del conflitto Randall Collins L'analisi è rivolta a due teorie per individuare i legami esistenti tra istruzione e stratificazione: - teoria funzionalista: che insiste sull'importanza della crescente domanda di competenze delle società industrializzate; - teoria del conflitto, di stampo weberiano, che vede nello sviluppo dell'istruzione il risultato delle lotte fra ceti. In America alcune ricerche hanno dimostrato che a parità di origine sociale, il livello di istruzione raggiunto influisce in modo determinante sul successo professionale. Inoltre, le stesse ricerche evidenziano che il livello di istruzione e di successo professionale dipendono dall'origine sociale; mentre il successo dei diplomati e dei laureati, indipendentemente dall'estrazione sociale, varia a seconda del prestigio di scuola superiore o universitaria frequentata. Vi è sempre più la tendenza a richiedere un certo livello di istruzione sia per occupazioni di élite che per lavori ai gradini più bassi, per cui, come osserva Collins, c'è la tendenza crescente di modellare la carriera all'interno del sistema scolastico. La teoria tecno-funzionalista si fonda sulle premesse della teoria funzionalista che riguardano: - le varie occupazioni richiedono determinate capacità di esecuzione; - tali capacità possono essere innate o acquisite. Nella prospettiva funzionalista i bisogni della società vengono visti come ciò che determina il comportamento degli individui e le relative ricompense. Secondo tali premesse si cerca di spiegare l'importanza dell'istruzione nella società moderna. Le sue tesi fondamentali riguardano: 1. il livello richiesto dalle occupazioni nelle società industriali cresce gradualmente per lo sviluppo delle tecnologie. a) Vi è una tendenza all'aumento della percentuale dei posti di lavoro che richiedono un alto livello di qualificazione e, parallelamente, una tendenza alla diminuzione di quelli che ne richiedono uno basso. b) Vi è una tendenza degli stessi posti di lavoro a un costante innalzamento del livello di qualificazione richiesto 2. l'istruzione scolastica fornisce sia competenze tecniche che le capacità per svolgere attività specializzate; 3. il livello di istruzione richiesto nelle occupazioni cresce costantemente e una percentuale sempre maggiore della popolazione deve passare periodi sempre più lunghi nella scuola. Collins, analizzando le varie statistiche, prende in esame i primi due punti (1a, 1b e 2) per evidenziare che in realtà tali riflessioni funzionaliste forniscono solo in parte una spiegazione adeguata. Per il punto 1a), si osserva che solo per il 15% il livello di istruzione è correlato alle trasformazioni nella struttura dell'occupazione. L'aumento dei livello di istruzione per l'85% è, invece, avvenuto all'interno delle stesse categorie occupazionali, come indicato dal punto 1b). Per il punto 2), si mostra che i dati rilevano che gli occupati con un livello di istruzione più alto, non sono in generali più produttivi degli altri. Ma soprattutto la maggior parte degli operai specializzati acquisiscono le loro competenze durante il lavoro, più che a scuola: soprattutto la formazione professionale deriva maggiormente dall'esperienza lavorativa. Vi sono, ovviamente, alcune professioni che sono “vincolate” al livello di istruzione: il medico, l'ingegnere, l'insegnante... Per Collins, dunque, la teoria tecno-funzionalista dell'istruzione non fornisce una spiegazione adeguata dei dati disponibili. Non vi sono prove precise del contributo dell'istruzione allo sviluppo economico, al di là della soglia dell'alfabetizzazione di massa. Ai suoi livelli più astratti, l'analisi funzionalista non riesce a fornire nessuna spiegazione verificabile che determinati gruppi ascritti possono dominare determinate occupazioni. Ad esempio Weber, esaminando la storia della pubblica amministrazione in Prussia, evidenzia che le richieste di alcuni livelli di istruzione nella burocrazia, sono il risultato degli sforzi dei laureati di monopolizzare determinate occupazioni e migliorare il loro status. Per questo motivo Collins rivolge lo sguardo alla teoria del conflitto per cercare di spiegare la relazione tra istruzione e stratificazione occupazionale. Alla base della teoria del conflitto, ritroviamo la visione di Weber che pone l'accento su alcuni postulati delle società moderne. - I ceti: le unità fondamentali della società che hanno in comune determinate culture o subculture. Per weber possono avere varie origini: - differenze negli stili di vita fondate sulla situazione economica; - differenze nelle condizioni di vita basate su posizioni di potere; - differenze nelle condizioni di vita basate condizioni o istituzioni culturali, come le origini geografiche, l'appartenenza etnica... - Lotta per le risorse: nella società si svolge una continua lotta per il possesso di vari beni, come la ricchezza, il potere o il prestigio. L'intensità di tali conflitti è in relazione diretta alla profondità delle differenze culturali tra i gruppi e dipende anche dalla risoluzione dei conflitti precedenti. ostentazione. Tutta questa attrezzatura viene chiamata da Goffman «facciata» (front). Tutto ciò ha portato Goffman (nel suo famoso libro Asylums, 1961) a interessarsi in modo particolare alle strategie e agli adattamenti attraverso cui le persone fanno fronte alle situazioni. Quindi un approccio simbolico interazionista pone l'accento su: - gli individui come costruttori delle proprie azioni - le varie componenti del sé e il modo in cui interagiscono - le indicazioni date al sé, i significati attribuiti, i meccanismi interpretativi, le definizioni delle situazioni...per poter agire - assumere il ruolo dell'altro: gli individui calibrano le loro azioni su quelle degli altri Su queste aree della vita sociale si può far luce, secondo Woods, con lo studio e l'osservazione dei contesti, delle prospettive, delle culture, delle strategie e delle carriere, sia in maniera separata che nella loro interrelazione. Metodo chiave della ricerca è l'osservazione partecipativa: ciò implica prendere parte alla vita quotidiana del gruppo o dell'istituzione che si sta studiando e osservare sia il gruppo che se stessi. La partecipazione permette quella complessa interazione tra l'Io, il Me e gli Altri: quindi un'analisi delle proprie reazioni, dei motivi e delle intenzioni. Non è un metodo di ricerca semplice per cui molti hanno preferito utilizzare un metodo di osservazione non partecipativa. Contesti La scuola presenta un certo numero di contesti e di situazioni differenti, che sono stati interpretati a loro volta in modo diverso. Si pensi, ad esempio, alla distinzione goffmaniana tra zone «di facciata», ovvero quando ogni soggetto mette in scena il suo ruolo (l'insegnante fa l'insegnante e l'allievo rappresenta colui che in apprendimento) e zone «nascoste», ovvero quelle zone in cui i ruoli istituzionali decadono. Chiaramente la sala insegnanti e il cortile possono essere considerate in questa prospettiva. Il contrasto tra «zona di facciata» e «zona nascosta» si evidenzia spesso nel linguaggio. Quello della zona nascosta è un linguaggio in cui ci si da del tu, di decisioni prese in comune, uso del dialetto o di un linguaggio gergale... La situazione non è semplicemente la scena dell'azione. Deve essere conferito loro un significato. Persone diverse possono dunque vedere nella stessa situazione cose diverse oppure interpretare le stesse cose in modo diverso. Possono cercare di manipolare alcuni aspetti della situazione per influenzare l'interpretazione altrui. La «definizione della situazione» è quindi di importanza cruciale. Dopo tutto, le situazioni sono come noi le rendiamo. Le situazioni vengono dunque costruite ed è compito dell'interazionista scoprire come sono costruite e non darle per scontate. Prospettive Esse si riferiscono alle strutture attraverso cui le persone danno senso al mondo. E attraverso di esse che allievi e docenti costruiscono le loro realtà e definiscono le situazioni. Le persone non vedono universalmente un'unica realtà oggettiva. La loro visione della realtà passa piuttosto attraverso un filtro, un codice interpretativo che essi impiegano per capire il mondo. Queste prospettive aiutano a definire la situazione, a identificare e situare l'«altro». Nell'interazionismo il termine «prospet- tiva» deriva soprattutto dal lavoro di Becker e dei suoi colleghi: si usa il termine "prospettiva" per definire un insieme articolato di idee e azioni che vengono utilizzate da una persona quando deve affrontare alcune situazioni problematiche, con riferimento al modo di pensare, di sentire e di agire ricorrente in tali situazioni. In altre parole, le prospettive nascono quando le persone affrontano delle scelte. Quando l’individuo viene chiamato ad agire e le sue scelte non sono costrette, egli comincia a sviluppare una prospettiva. Se un tipo particolare di situazione si ripete di frequente, la prospettiva diventerà probabilmente una parte stabile del modo con cui una persona affronta il mondo. Tuttavia, come ha sottolineato Lacey, le azioni e il sistema di azioni-idee sono meglio classificabili utilizzando la nozione di strategia, mentre la prospettiva si riferisce più a un insieme di idee, alla struttura della mente attraverso cui fluiscono i processi del pensiero. Come abbiamo già notato, situazioni differenti possono dare avvio a prospettive differenti. Vediamo ora il nesso tra le prospettive e le culture. Culture Le prospettive derivano dalle culture, non esistono in sé e per sé, ne sono create nel vuoto. A loro volta le culture si sviluppano quando le persone si riuniscono per scopi specifici, in maniera più o meno intenzionale. Le persone creano forme distinte di vita modi di fare o non fare le cose, forme del discorso e della comunicazione, argomenti di conversazione, regole e codici di comportamento, valori e credenze, cose su cui si è d'accordo o in disaccordo. Attraverso i normali processi di socializzazione le persone sono messe a contatto con certe culture, magari con quella di una determinata classe sociale, di una religione, di una professione, di una etnia. Talvolta possono subire uno «shock culturale» come si dice con un termine che descrive la sensazione di straniamento e confusione che emerge se si è posti di fronte a forme culturali totalmente nuove, come nel caso di molti bambini che iniziano la scuola, di docenti che iniziano a insegnare o di chi viene messo in prigione per la prima volta. Non si tratta solo, o principalmente, di imparare nuove conoscenze e abilità. Si tratta piuttosto di impratichirsi, di imparare i trucchi del mestiere, di escogitare i modi con cui cavarsela, di scoprire come fanno gli altri, di adattarsi... Come ha notato Lacey, Becker e i suoi colleghi enfatizzano troppo l'omogeneità della cultura studentesca e l'influenza inesorabilmente costrittiva della struttura istituzionale. Essi ne deducono che esistano poche variazioni nelle prospettive degli studenti. Come hanno invece mostrato un precedente lavoro di Lacey e uno studio di Hargreaves, le subculture studentesche possono costituirsi contro la cultura formale scolastica, ed esistere, a volte con difficoltà, a volte più facilmente, al suo interno. Strategie Le prospettive, derivate dalle culture, sono legate all'azione tramite determinate strategie. Questo viene sempre di più considerato come il concetto chiave dell'approccio interazionista, in quanto è qui che l'intenzione individuale e le costrizioni esterne si incontrano. Le strategie sono modi per raggiungere degli obiettivi: per un insegnante tali ostacoli possono venire, ad esempio, da risorse inadeguate, da classi numerose, dalla natura recalcitrante di alcuni allievi, dall'organizzazione della scuola, dalla competizione tra colleghi e così via. L'insegnante deve quindi prendere in considerazione questi ostacoli e escogitare, adottare delle strategie. Tanto più alto è l'obiettivo tanto più complessa è la strategia; e tanto più alto è l'obiettivo tanto maggiore è il rischio. La scuola è un luogo che invita a strategie complesse poiché gli ideali sono alti, ma lo spazio che separa gli ideali dalla pratica è notevole proprio a causa dei problemi che abbiamo già menzionato. Per quanto riguarda gli allievi, diverse prospettive portano a differenti orientamenti verso la scuola e il «lavoro». Le definizioni delle situazioni variano e gli allievi mettono in atto diverse strategie per affrontarle. Qual è la relazione tra culture, prospettive o strategie? Secondo Lacey «quando un gruppo di individui sviluppa o raggiunge il senso di uno scopo comune, l'insieme di strategie che viene adottato acquista un elemento comune. E questo elemento comune che permette alla prospettiva del gruppo di emergere. Quando la prospettiva si sviluppa sul lungo periodo e le situazioni che il gruppo deve continuamente affrontare hanno un elemento comune, a quel punto si consolidano e si sviluppano le condizioni per produrre una sub-cultura». Negoziazione Prendere in considerazione separatamente le prospettive e le strategie comporta il rischio di minimizzare l'interazione tra persone. Ma né gli insegnanti né gli allievi si limitano a questi tipi di attività. La vita scolastica è piuttosto un continuo processo di negoziazione. E a scuola ci si può quindi aspettare che per tutta la giornata si verifìchino negoziazioni di diverso tipo. Prima di tutto le «negoziazioni» non sono sempre pacifiche ne caratterizzate dalla buona volontà e dall'aspirazione al raggiungimento di un terreno comune. Spesso sono invece negoziazioni conflittuali, contraddistinte da rancori e da sentimenti negativi, animate dalla preoccupazione non soltanto di ottimizzare i propri interessi, ma anche di sminuire quelli altrui. In secondo luogo, in questa prospettiva, si è portati a valutare il relativo potere delle due parti in causa. Gli insegnanti e gli allievi hanno posizioni e status differenti. Gli insegnanti stabiliscono lo scenario, le regole fondamentali e le mete, con l'obiettivo di trasformare gli allievi attraverso conoscenze nuove; mentre gli allievi sono invece costretti ad operare sul terreno voluto dall'insegnante, seguendo le sue regole, e ciò viene compensato soltanto dalla forza dei numeri e da certe capacità di recupero insite nella loro cultura di fondo. L'interazionista si occupa dunque della scoperta delle regole informali che sottendono la negoziazione. In altre parole, tutto ciò fa parte di un'attività di negoziazione tra insegnanti e allievi. «Ridere», «lavorare», «fare i lavativi», «far confusione» sono dunque cose importanti per la comprensione reale della vita scolastica, forse le più importanti, dal punto di vista degli allievi; mentre invece, dal punto di vista dell'insegnante, sono rilevanti anche i momenti di relax rubati nella sala insegnanti e gli intervalli nella giornata. Ancora di più l'approccio interazionista, che sviluppa la sua analisi dall'interno delle esperienze e delle costruzioni dei soggetti in questione, solleva dei problemi che riguardano la stessa attività manifesta. Che cosa fanno allora realmente gli insegnanti e gli allievi e perché lo fanno? Carriere per rispondere alla domanda precedente è importante introdurre il concetto di carriera. Esso implica una «successione di lavori collegati tra loro, che si susseguono in una gerarchia di prestigio, attraverso cui le persone si muovono in una sequenza ordinata e prevedibile». Per gli insegnanti una struttura di carriera tipica va dal tirocinante all'insegnante assistente, poi a una maggiore specializzazione fino al vice e, eventualmente, al capodipartimento, oppure a ruoli di consulenza come quelli di tutor annuale; successivamente si passa alla posizione di insegnante senior, di vicepreside ed eventualmente di preside. Ma questo è solo lo scheletro della struttura formale della carriera. Se noi chiediamo alle persone come vivano realmente le loro carriere, invariabilmente le cose non appaiono altrettanto ordinate e sistematiche. Una carriera individuale può non corrispondere a un progresso lineare e letterale verso l'alto, ma può invece essere «la prospettiva in movimento nella quale una persona vede la propria vita e interpreta il significato dei vari compiti, attività ed altro che gli è accaduto di fare». Questa «carriera soggettiva» è al centro dell'interesse degli interazionisti. Due aspetti importanti della carriera sono l'«impegno» e l'«identità». Parte del lavoro dell'insegnante consiste nell'influenzare lo sviluppo dell'allievo sia nel senso dell'individualità e dell'iniziativa (come avviene nelle ideologie progressiste) sia nel senso della conformità e della cooperazione (come avviene nelle ideologie tradizionaliste). Questi due tipi di sviluppo non sono necessariamente incompatibili. L'incoraggiamento all'iniziativa è nell'interesse dell'affermazione dell'individuo e solo successivamente della società. Tuttavia, gli strumenti pedagogici usati dall'insegnante appaiono legati ad una cultura specifica, cosicché, per molti di quegli allievi che sono cresciuti all'interno di culture differenti, l'insegnante è colui che sembra colpire la loro vera identità. Per alcuni il lavoro principale della costruzione dell'identità è eseguito negli interstizi della giornata scolastica tra le lezioni, negli intervalli, durante il pranzo, etc. - e nelle «zone nascoste» l'aula degli insegnanti, il cortile, i corridoi.
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