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E. P. Thompson, L’economia popolare delle classi popolari inglesi del secolo XVIII, Sintesi del corso di Storia

Esame di STORIA SOCIALE DELL’ETÀ MODERNA (Università degli Studi di Napoli – Federico II)

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 02/10/2022

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Scarica E. P. Thompson, L’economia popolare delle classi popolari inglesi del secolo XVIII e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! RIASSUNTO COMPLETO DI E. P. Thompson, L’economia popolare delle classi popolari inglesi del secolo XVIII Esame di STORIA SOCIALE DELL’ETÀ MODERNA (Università degli Studi di Napoli – Federico II) Salvare il mondo così come lo conosciamo, o pensarne uno nuovo e diverso? Discutere del comportamento della folla nell’Inghilterra del ‘700 potrebbe sembrare inadatto a rispondere a questa domanda. Thompson però, dimostra come esso incarnasse una cultura alternativa al capitalismo liberista che con Adam Smith divenne dominante proprio in quegli anni. Per descrivere questa cultura, Thompson coniò il termine economia morale: una visione dei rapporti economici ispirata non al profitto dei singoli a alla ricerca del benessere collettivo. Il rinnovamento politico doveva passare attraverso un ripensamento che restituisse importanza all’essere umano, alla passione politica, e alla creatività personale, in netto contrasto sia con il socialismo sovietico, sia con il determinismo strutturalista allora in voga. In un articolo del 1956 intitolato Through the Smoke of Budapest, Thompson denunciò “la subordinazione delle facoltà morali e immaginative all’autorità politica e amministrativa, l’esclusione dei valori morali delle scelte politiche, la paura del pensiero indipendente […] la personificazione meccanica di inconsapevoli forze di classe e scapito del processo spirituale e intellettuale consapevole. The Making of the English Working Class del 1963, analizzava il processo sociale e culturale grazie al quale, contro l’oppressione politica e lo sfruttamento economico, i lavoratori inglesi iniziarono a concepirsi come una classe, unita da tradizioni, esperienze e aspirazioni radicali. Il libro si scontrava con una tradizione conservatrice che vedeva nell’assenza del conflitto sociale il tratto determinante dello sviluppo inglese, ma anche con l’interpretazione marxista ortodossa del concetto di classe. Per Thompson la classe era effetto di un processo culturale che prendeva forma nell’esperienza concreta delle persone. Il procedimento di Thompson consisteva nel rifiutare il giudizio a posteriori per comprendere le azioni e le idee dei singoli individui sulla base dei loro stessi valori, un’impostazione che richiamava l’antropologia e che offriva un modello per lo studio dei gruppi emarginati. Lo stile evocativo e anticonformista delle opere di Thompson riflette la sua intenzione di rivolgersi ad un pubblico non solo accademico. Thompson fu sempre un outsider. In quest’opera, Thompson offriva un’interpretazione radicalmente nuova dei tumulti alimentari nell’Inghilterra del ‘700: posta la fame, come si comportavano i rivoltosi e perché? Lo stesso senso della dignità dell’essere umano che guidava le scelte politiche di Thompson motivava anche il suo modo di pensare la storia come mossa non dal mero calcolo economico della modellistica economica o del determinismo marxista. Sulla base di una documentazione vastissima, il saggio individua due modelli economici antitetici, per qualche tempo coesistenti. Quello paternalista, che proteggeva il consumatore obbligando i produttori a vendere tutto o una parte del loro grano localmente e attraverso e attraverso il mercato al dettaglio. Già nel ‘600, cominciò ad affermarsi un modello opposto, basato sull’autoregolamentazione del mercato e sul non intervento dello stato, due principi che sarebbero poi diventati i capisaldi del liberismo. Per Adam Smith, il meccanismo della domanda e dell’offerta avrebbe impedito la carestia attraendo il grano dove era più scarso. Il grano è un bene di consumo particolare, tanto essenziale quanto l’acqua o l’aria. In un’epoca di forte crescita demografica, l’anelasticità della domanda incoraggiava la speculazione. Di fronte a gente che non poteva permetterselo, agricoltori e mercanti esportavano il grano laddove c’era meno povertà. Presso la gente comune, l’economia morale nasceva da identità e costumi locali fortemente caratterizzati dalla coltivazione e dalla produzione del pane, dalla diffidenza di fronte a ogni innovazione commerciale e dal sospetto atavico nei confronti del mugnaio adulteratore e imbroglione. Questa cultura declinava l’analisi delle autorità in termini di diritti della gente e, incitando alla rivolta, finiva con lo stravolgere i presupposti sociali del paternalismo. Le rivolte si rivelano come azioni disciplinate che si ripetevano seguendo lo stesso copione in tutto il paese. Il loro obiettivo non era il saccheggio, ma la fissazione del prezzo del grano, poi regolarmente corrisposto ai suoi produttori. Il tumulto era visto come un mezzo per applicare la legge, non per sovvertirla, tant’è che spesso la folla costringeva le autorità ad assistere alle sollevazioni. Scopo della folla era minacciare i ricchi e spingerli a rispettare il modello paternalistico classico Il tumulto non era violenza irrazionale ma strumento di un negoziato sofisticato con le autorità e i detentori del grano. Qui stava la sua efficacia, e anche una differenza sostanziale con i tumulti dell’Europa continentale, che venivano regolarmente repressi nel sangue. Del ‘700 inglese vi si delinea, nell’opera, soprattutto un modo, radicalmente nuovo e straordinariamente influente, di studiare l’azione collettiva: è difficile oggi ricordarsi che ci fu un tempo in cui le rivolte venivano interpretate come semplici reazioni pavloviane alla fame, dominate dall’irrazionalità e dalla violenza cieca. Al di là del contenuto del saggio, II – Possiamo parlare di relazione tramite il pane (bread nexus) per il secolo XVII: il conflitto tra campagna e città si manifestava sul problema del prezzo del pane e quello tra tradizionalismo e nuova economia politica era incentrato sulle leggi del grano. Nel secolo XVIII la classe lavoratrice inglese entrava più prontamente in azione contro il carovita. Il periodo d’oro dell’espansione agricola coincise con una coscienza del consumatore particolarmente esasperata: proprio quegli anni furono costellati dai tumulti, dalle insurrezioni e sollevazioni dei poveri. Questo settore dell’economia capitalistica in espansione si reggeva su un mercato eccitabile. Le fortune economiche di queste pur forti classi capitalistiche dipendevano, in ultima analisi, dalla vendita di cereali, carne, lana; e i primi due prodotti dovevano essere smerciati, senza troppi passaggi intermedi, a milioni di consumatori. Per questo motivo i conflitti sulla piazza del mercato ci introducono in uno dei punti cruciali della vita della nazione. Nel secolo XVIII i lavoratori non vivevano di solo pane, ma molti di essi vivevano essenzialmente di questo. Possiamo ipotizzare che dal 1790 almeno due terzi della popolazione si alimentasse di frumento. Il modello di consumo rifletteva, in parte, i relativi gradi di povertà e, in parte, le caratteristiche agricole delle varie zone. Durante il secolo egualmente andò crescendo il consumo di pane rispetto alle altre varietà integrali più scure. Si trattava in parte, ma non unicamente, di una questione di prestigio sociale che venne attribuito al pane bianco. Per i fornai e i mugnai era conveniente vendere pane bianco e farina raffinata, perché, con questi prodotti, essi avevano maggiori possibilità di profitto. Nelle città, dove si era particolarmente sensibili al pericolo dell’adulterazione, era forte il sospetto che il pane nero nascondesse più facilmente additivi nocivi. I tentativi della autorità di imporre, nei periodi di penuria, la produzione di qualità più scadenti incontrarono diverse difficoltà e, spesso, anche le resistenze dei mugnai e dei fornai. È probabile che i lavoratori abituati al pane bianco stentassero realmente a lavorare se costretti a passare a miscugli più scadenti. Quando i prezzi salivano, oltre la metà del bilancio settimanale di una famiglia di lavoratori veniva speso per il pane. Come passavano questi cereali dai campi alle case dei lavoratori? C’è il frumento: è raccolto, trebbiato, portato al mercato, macinato al mulino, cotto e mangiato. Ma in ogni fase di questo processo si creano complicazioni a catena, occasioni di estorsione, scintille che fanno divampare rivolte. È difficile proseguire senza delineare, seppure in modo schematico, il modello paternalistico del processo produttivo e della compra-vendita. In base a questo modello la vendita doveva essere il più possibile diretta, dal produttore al consumatore, i mercati dovevano essere controllati. Il povero doveva avere la possibilità di comprare per primo in piccole quantità, con l’uso di pesi e misure debitamente controllati. E soltanto quando i bisogni dei poveri erano stati soddisfatti si doveva suonare un’altra campana e i grandi commercianti potevano iniziare i loro acquisti. In effetti i commercianti erano vincolati da parecchie restrizioni. Per la maggior parte del secolo XVIII il mediatore rimase una figura sospetta a livello legale e le sue operazioni continuarono, almeno in teoria, a essere severamente regolamentate. Dal controllo del mercato passiamo alla difesa del consumatore. I mugnai e, ancor di più, i fornai venivano considerate persone al servizio della comunità. Molti poveri avevano la possibilità di comprare il grano direttamente al mercato oppure di ottenerlo come integrazione del salario o con la spigolatura, di portarlo a macinare al mulino, dove il mugnaio poteva esigere la tradizionale molenda, e poi di cuocersi il loro pane. A Londra e nelle altre città dove tutto questo aveva smesso di essere la regola, la ricompensa o il profitto del fornaio era calcolato precisamente secondo le ordinanze del Tribunale del pane, per mezzo delle quali sia il prezzo che il peso della pagnotta venivano stabiliti in base al prezzo corrente del frumento. Si pensa spesso che la vendita del grano su campione fosse una pratica generale già intorno alla metà del secolo XVIII. Ma, anche se in parecchie contee molti grossi agricoltori vendevano su campione già allora, i vecchi mercati pubblici erano ancora diffusi e sopravvivevano persino nei dintorni di Londra. Gli agricoltori erano giunti al punto di evitare il mercato e di trattare sulle porte delle loro case con grossisti e intrallazzatori; altri agricoltori si recavano ancora al mercato, ma vi portavano un solo carico mentre in realtà i loro affari principali li facevano con piccole quantità di frumento, chiamate “campioni”. La tendenza, infatti, era questa. Molti piccoli agricoltori però seguitarono come un tempo a portare il grano al mercato; e il vecchio modello rimase nella mente delle persone come fonte di risentimento verso le nuove procedure di compra-vendita, che vennero ripetutamente contestate. I paternalisti e i poveri continuarono a protestare contro il diffondersi di pratiche di mercato, che noi tendiamo a giudicare inevitabili e naturali, ma quello che adesso può sembrarci inevitabile non era necessariamente un fatto scontato nel secolo XVIII. Nel 1768 un pamphlet, caratteristico dell’atmosfera inglese di quegli anni, si scaglia indignato contro la pretesa libertà dell’agricoltore di disporre come gli pare dei suoi prodotti. Sarebbe questa una libertà naturale e non civile. La presenza dell’agricoltore al mercato, insomma, è parte concreta dei suoi doveri e non gli si dovrebbe permettere di nascondere o di vendere altrove la sua merce. Abbiamo seguito l’affermarsi della vendita su campione per mettere in rilievo lo spessore e la peculiarità dei dettagli, la diversità tra le consuetudini locali e il modo in cui poteva svilupparsi il risentimento popolare al mutare delle vecchie pratiche di mercato. Il modello paternalista, senza dubbio, stava andando a pezzi in molti punti. Il Tribunale del pane controllava i profitti dei fornai ma si limitava a registrare il prezzo corrente del frumento e della farina senza poterlo minimamente influenzare. I mugnai sono ormai dei veri e propri imprenditori, talvolta anche commercianti di grano e di malto oltre che produttori di farina su vasta scala. Fino a che punto le autorità si resero conto che il loro modello non corrispondeva più alla realtà dei fatti? La risposta varia con il progredire dl secolo e a seconda delle autorità interessate; ma in linea generale si può dire che normalmente i paternalisti erano consapevoli del mutamento in atto, anche se in caso di emergenza ritornavano a questo modello. In questo furono parzialmente prigionieri del popolo, che adottò alcune parti del modello come proprio diritto e proprio patrimonio. Si ha persino l’impressione che questa ambiguità fosse effettivamente gradita: durante i periodi di carestia, infatti, permetteva ai magistrati di tenera aperti alcuni spazi di manovra nelle regioni più inquiete e di assicurarsi il consenso ai loro tentativi di ridurre i prezzi con la persuasione. Lo stillicidio di processi che si può osservare durante tutto il secolo non si esaurì minimamente. In realtà, è chiaro che essi avevano un significato simbolico, perché servivano per dimostrare ai poveri che le autorità agivano nel loro interesse con attenzione particolare. Il modello paternalista, quindi oltre ad avere un’esistenza ideale, era presente nella realtà, anche se in modo episodico: cadeva nell’oblio in anni di buoni raccolti e di prezzi contenuti per poi tornare in vita non appena i prezzi salivano e i poveri diventavano turbolenti. III – La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, come modello della nuova economia politica, non deve essere inteso solo come un punto di partenza, ma anche come un punto di arrivo fondamentale in cui convergono importanti contributi di discussione presenti alla metà del secolo XVIII. Il dibattito degli anni tra 1767 e il 1772, poi culminato nella revoca della legislazione contro gli accaparratori, segnò la vittoria in questo campo del laisser-faire quattro anni prima della pubblicazione dell’opera di Smith. Si rattava di un modello negativo: la “nuova economia” segnò la de-moralizzazione, ossia la messa in crisi dei fondamenti morali della teoria dello scambio e del consumo, con effetti non minori, anche se questa venne più ampiamente dibattuta, dell’abrogazione delle restrizioni sull’usura. Con il termine de-moralizzazione voglio sottolineare che la nuova economia venne liberata dalla soggezione a imperativi morali sentiti come estranei. In pratica il nuovo modello funzionava così: il naturale esplicarsi della domanda e dell’offerta avrebbe massimizzato la soddisfazione di tutte le parti e fondato il bene comune. Il mercato non è mai meglio regolato di quando viene lasciato regolarsi da solo. Nel corso di un anno normale il prezzo del grano avrebbe trovato i suoi punti di equilibrio attraverso il meccanismo di mercato. In questo modo, senza nessun intervento dello Stato, le scorte nazionali di frumento sarebbero state distribuite facilmente lungo tutto l’arco dell’anno in base al meccanismo dei prezzi. Nella misura in cui i mediatori intervenivano e contrattavano in anticipo i raccolti dell’agricoltore, essi portavano questo meccanismo di distribuzione a un livello di ancora maggiore efficienza. L’unica minaccia reale per questa economia autoregolata era costituita dalle fastidiose interferenze dello Stato e dal pregiudizio popolare. Il grano deve passare liberamente dalle regioni in cui è sovrabbondante a quelle in cui manca; ecco perché il mediatore gioca un ruolo non solo utile e apprezzabile, ma necessario. Smith liquidò bruscamente i pregiudizi contro gli accaparratori come superstizioni simili alle credenze nella stregoneria. Interferenze nel modello naturale di scambio possono provocare carestie locali scoraggiare gli agricoltori dall’aumentare la produzione. Alla fine del secolo, quando i strettamente collegate a quella, considerata in precedenza, che veniva avanzata contro quegli agricoltori che non portavano più le merci al mercato aperto. In effetti, i commercianti iniziarono a muoversi di più da Londra e a partecipare con maggiore assiduità ai mercati provinciali, e siccome potevano offrire prezzi molto vantaggiosi e comprare grosse quantità, agli agricoltori non interessava più soddisfare le piccole ordinazioni dei poveri. Di conseguenza il bracciante doveva rivolgersi al piccolo dettagliante e pagare prezzi più alti. Così i vecchi mercati tramontarono oppure, nei luoghi in cui continuarono a esistere, cambiarono le loro funzioni. Il fatto che alla fine del secolo il povero comprasse meno grano al mercato aperto indica, fra l’altro, l’importanza assunta dal mugnaio. Per molti secoli il mugnaio ha avuto un molo importante nella tradizione popolare; un ruolo per certi versi invidiabile, per altri molto meno. Da un lato aveva la fama del libertino di successo. A un estremo abbiamo ancora il piccolo mugnaio di campagna, che riscuote la molenda secondo le sue usanze. Da quando i mugnai cominciarono a dedicarsi di più al commercio e si diedero a macinare grano per proprio conto per vendere la farina ai fornai, essi ebbero sempre meno tempo per i piccoli clienti che si presentavano con uno o due sacchi di grano spigolato; per questo potevano verificarsi ritardi interminabili o poteva anche succedere che quando la farina veniva consegnata al cliente, questa in realtà fosse di un cereale diverso, di qualità inferiore. Questi piccoli mugnai, però, costituivano una categoria insignificante nella realtà del ‘700. I mugnai non cadevano sotto la giurisdizione del Tribunale del pane e potevano scaricare direttamente sul consumatore qualsiasi aumento del prezzo del grano. Anche l’Inghilterra del secolo XVIII ha le sue banalités non celebrate, tra cui la sopravvivenza dei diritti feudali dei mulini, che esercitavano un monopolio assoluto sulla molitura del grano e sulla vendita della farina in ricchi centri industriali. Nella maggioranza dei casi i feudatari che possedevano i diritti, li vendevano o li davano in concessioni a speculatori privati. Anche nei luoghi in cui i diritti feudali non erano in vigore un mulino poteva vessare una popolosa comunità e poteva spingere la gente a compiere gesti violenti con un aumento improvviso del prezzo o un evidente deterioramento della qualità della farina. I mulini, insomma, furono il bersaglio visibile e concreto dei più pericolosi tumulti urbani del secolo. A prima vista uò sembrare strano che uno degli obiettivi privilegiati delle rivolte fosse ancora il mugnaio visto che i lavoratori si erano abituati ad acquistare il pane dal fornaio e avevano smesso di andare al mercato a comprare il frumento o la farina. Ma non si deve sottovalutare la complessità della situazione e degli obiettivi popolari. Naturalmente ci furono molti disordini fuori dalle panetterie e spesso il popolo fissava il prezzo del pane, Ma il fornaio era l’unico che stava a contatto quotidiano con il consumatore; ed era molto più protetto degli altri dall’apparato paternalistico. Infatti, il Tribunale del pane limitava in modo chiaro e pubblico le sue possibilità legali di profitto e così, in una certa misura, lo proteggeva dalla rabbia popolare. La funzione psicologica del Tribunale era quindi molto rilevante. Il fornaio poteva tentare di accrescere i suoi profitti al di là del limite stabilito dal Tribunale soltanto con piccoli stratagemmi, alcuni dei quali erano punibili ai sensi della legge e rischiavano si suscitare rappresaglie immediate da parte della gente. In realtà il fornaio doveva talvolta occuparsi delle sue pubbliche relazioni addirittura fino a cercare di portare la popolazione dalla sua parte. Senza dubbio i fornai, i quali conoscevano i loro clienti, talora si giustificavano dicendo che non potevano ridurre i prezzi e dirottavano la folla sul mulino sul mercato del grano. Ma in molti casi la folla sceglieva fin dall’inizio i suoi bersagli e trascurava intenzionalmente i fornai. È chiaro a questo punto che abbiamo a che fare con un modello di azione assai complesso, che non può essere ridotto a uno scontro faccia a faccia tra popolo e singoli mugnai, commercianti e fornai. V – Se cerchiamo di individuare le forme caratteristiche dell’azione diretta, dobbiamo rendere in considerazione le vere e proprie “sollevazioni popolari”. Ciò che va notato a proposito di queste “insurrezioni” è, anzitutto, la loro organizzazione e, in secondo luogo, il fatto che esse rivelano un modello di comportamento dalle origini remote, modello che nel ‘700 anziché semplificarsi diventa più complesso, che si ripete in modo apparentemente spontaneo in diverse parti del paese e, magari, dopo un lungo periodo di tranquillità. L’elemento centrale di questo modello non è il saccheggio dei granai nemmeno il furtarello di grano o di farina, ma piuttosto la volontà di “imporre i prezzi”. Ciò che è veramente straordinario di questo modello è che esso riproduce, talora con grande precisione, le misure di emergenza per i periodi di carestia, il cui funzionamento, negli anni tra 1580 e i 1630, era stato codificato nel Books of orders. In sostanza, questo dava ai magistrati la podestà di ispezionare le riserve di frumento nelle rimesse e nei granai; di ordinare quanto grano doveva essere mandato al mercato e di applicare con rigore la legislazione sulla compra- vendita, sulle licenze e sull’incetta. Gli orders del 1630 non affidavano in modo esplicito ai magistrati il compito di imporre i prezzi, ma prescrivevano di sorvegliare il mercato e di garantire che i poveri fossero riforniti del grano necessario. Nelle situazioni critiche il potere di imporre i prezzi del grano e della farina restava a metà strada tra la costrizione e la persuasione. Questa legislazione di emergenza era caduta in disuso nel corso delle guerre civili, ma la memoria popolare è straordinariamente lunga. Gli orders erano in parte essi stessi una risposta alle pressioni esercitate dai poveri. Ciò che colpisce delle azioni popolari è la loro compostezza e non il disordine, e non c’è dubbio che esse riscuotessero un consenso popolare straordinario. Infatti, è profondamente radicata la convinzione che nei periodi di carestia i prezzi debbano essere regolati e che lo speculatore si metteva fuori dalla società da solo. Ogni tanto la folla cercava, o con la persuasione o ricorrendo alla forza, di utilizzare un magistrato, un conestabile della parrocchia o atre autorità per presiedere alla taxation populaire. In realtà per mettere in discussione la concezione unidimensionale e spasmodica dei tumulti alimentari basta evidenziare questo motivo ricorrente dell’intimidazione popolare, il fatto cioè che uomini e donne vicini all’inedia assalissero i mulini e i granai per non rubare il cibo, ma per punire i proprietari. Molto spesso il grano e la farina venivano semplicemente sparsi, gettati o sprecati. I poveri avevano una buona conoscenza dei fatti del luogo molto meglio della piccola nobiltà e in molti casi si diressero senza esitazioni verso i magazzini segreti di grano, di cui i giudici di pace, in buona fede, ignoravano l’esistenza. Se le voci spesso avessero ingrandito le cose oltre ogni limite, esse avrebbero avuto sempre una sia pur piccola base di fatto. I poveri sapevano che l’unico modo di far cedere i ricchi era quello di costringerli con la forza. VI – Molto spesso erano le donne che davano il via ai tumulti. In dozzine di casi documentati si verifica la stessa cosa: le donne colpiscono un commerciante impopolare con le sue patate, o astutamente combinano insieme la collera con la consapevolezza di una qualche maggiore impunità rispetto agli uomini. Le donne erano, ovviamente, anche le più coinvolte nella contrattazione individuale al mercato, particolarmente attente ai prezzi e quanto mai abili a scoprire se i commercianti rubavano sul peso o rifilavano prodotti di qualità scadente. È probabile che fossero le donne a far precipitare le agitazioni spontanee. Altre azioni, però, erano preparate in modo accurato. Talvolta venivano affissi dei manifesti alle porte delle chiese o delle taverne. Le azioni spontanee, su piccola scala, potevano svilupparsi in un’atmosfera rituale di urla e di imprecazioni alla porta delle botteghe; oppure potevano nascere perché veniva intercettato un carro di grano o di farina che attraversava un centro abitato; o, ancora, da un semplice assembramento minaccioso. Si trattava di situazioni che potevano trasformarsi moto facilmente in un’occasione di contrattazione: il proprietario delle merci sapeva benissimo che se non accettava di sua spontanea volontà il prezzo imposto dalla folla rischiava di perdere l’intera partita. Che si trattasse di una contrattazione era ben chiaro ad ambedue le parti; e i commercianti, i quali dovevano mantenere la clientela sia nelle annate buone che nei periodi di carestia, spesso cedevano al primo segno di agitazione da parte della folla. Viceversa, nelle agitazioni su vasta scala, una volta formato un nucleo di persone, il resto della massa veniva spesso radunato al suono dei corni e dei tamburi. Il punto decisivo era la formazione del nucleo traente. Il ruolo determinante dei minatori di carbone non si spiega soltanto con la loro virilità o con il fatto che essi erano particolarmente esposti allo sfruttamento in quanto consumatori, ma anche pensando alla loro forza numerica e alla disciplina propria dell’attività mineraria. La composizione occupazionale della folla non ci dà grosse sorprese. Sembra che i mestieri tipici dei ceti inferiori delle zone in rivolta fossero tutti ben rappresentati durante le sollevazioni. Non si può comunque dire che i tumulti alimentari richiedessero un alto grado di organizzazione. Essi esigevano piuttosto il consenso e l’appoggio della comunità e un modello di azione trasmesso ereditariamente con i suoi obiettivi e le sue regole. VII – Probabilmente nel breve periodo i tumulti e la politica di imposizione dei prezzi furono perdenti. Talvolta succedeva che gli agricoltori rimanessero talmente repressione era giustificata agli occhi delle autorità centrali e di molte autorità locali dal trionfo della nuova ideologia dell’economia politica. La “natura delle cose” che un tempo imponeva almeno una qualche solidarietà simbolica tra i governanti e i poveri nei periodi di carestia, adesso prescriveva la solidarietà tra i governanti e l’investimento di capitali. IX – Ho tentato di descrivere non uno spasmo involontario, ma un modello di comportamento. È difficile ricostruire i presupposti morali di un contesto sociale storicamente diverso e non è affatto semplice, per noi, concepire che possa esserci stato un tempo in cui, in una comunità più piccola ma più integrata, sembrava innaturale che qualcuno potesse trarre profitto dai bisogni degli altri e in cui si dava per scontato che, nei periodi di carestia, i prezzi dei beni di prima necessità dovessero rimanere al livello normale nonostante la scarsità. La morte della vecchia economia morale dei sussidi, come la fine delle interferenze paternaliste nell’industria e nel commercio andarono per le lunghe. Infatti, il consumatore difese la sua antica concezione del giusto con la stessa caparbietà con cui difese il suo rango professionale come artigiano. Queste concezioni del giusto erano articolate con chiarezza e per lungo tempo portarono l’imprimatur della chiesa. Gli antichi insegnamenti morali divennero sempre più un patrimonio esclusiva da un lato della piccola nobiltà agraria e dall’altro delle plebi ribelli. Oggigiorno tendiamo a minimizzare i meccanismi di estorsione di un’economia di mercato non regolamentata, soprattutto perché, per molti di noi, essi provocano soltanto piccoli inconvenienti o situazioni di sofferenza poco vistose. Ma non era così nel XVIII secolo, allorché le carestie erano vere carestie e i prezzi alti significavano ventri gonfi e bambini malati, per i quali il pane di cattiva qualità preparato con farina stantia era l’unico cibo. Ma se il mercato era il luogo in cui i lavoratori sentivano più spesso di essere esposti allo sfruttamento, era anche quello in cui potevano darsi un’organizzazione con maggiore facilità. Nella società industriale matura il mercato ha assunto un carattere vieppiù impersonale. Ma nel ‘700, sia in Gran Bretagna che in Francia, il mercato costituiva un nesso non soltanto economico ma anche sociale. Era il luogo in cui avvenivano infinite transazioni sociali e personali, dove circolavano le notizie o giravano le voci e i pettegolezzi; ed era nelle bettole e nelle cantine vicine alla piazza del mercato che si discuteva di politica. Il mercato, insomma, era il luogo dove il popolo si accorgeva di essere numeroso e, per un momento, si sentiva forte. I conflitti di mercato in una società preindustriale sono ovviamente più universali di qualsiasi esperienza nazionale. E anche gli elementari precetti morali del prezzo ragionevole hanno un carattere ugualmente universale. Invero, si può ipotizzare per la Gran Bretagna la sopravvivenza di immagini pagane che toccavano livelli assai più profondi del simbolismo cristiano stesso. Per queste comunità la carestia continuò a rappresentare un profondo trauma psicologico, e quando essa era accompagnata dalla coscienza di disuguaglianze e dal sospetto di manipolazioni, allora il trauma si trasformava in furore. All’aprirsi del nuovo secolo si rimane colpiti dal crescente simbolismo del sangue e dalla sua assimilazione alla domanda di pane. Questo furore del grano fu l’apice, davvero singolare, dell’età del progresso agricolo. Negli anni ‘90 del secolo XVIII la stessa piccola nobiltà di campagna era alquanto imbarazzata. Dopo le guerre tutto quello che era rimasto di essa fu la beneficenza e il sistema Speechamland. Ci volle più tempo perché morisse anche l’economia morale del popolo: essa, anzi, venne ripresa dai primi mulini cooperativi e da qualche socialista e, per anni, covò da qualche parte nelle viscere della Società cooperativa per la vendita all’ingrosso. Un sintomo del suo definito decesso è che noi si sia potuto accettare così a lungo un quadro riduttivo e d economicistico dei tumulti alimentari, interpretati come risposte immediate, convulse e irrazionali alla fame; un quadro che è esso stesso un prodotto tipico dell’economia politica, la quale ridusse gli scambi umani al rapporto salariale.
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