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E. Scarpellini - L'Italia dei consumi, dalla Belle Epoque al nuovo millennio, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

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Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica E. Scarpellini - L'Italia dei consumi, dalla Belle Epoque al nuovo millennio e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! EMANUELA SCARPELINI L’ITALIA DEI CONSUMI Dalla Belle Époque al nuovo millennio (RIASSUNTO) CAP 1 – L’Italia liberale 1 la società italiana 1. un paese dai mille volti Il periodo tra 1870 e 1913 è considerato un periodo di grande trasformazione per l’Italia, anche se lenta. Il reddito pro capite era di 1499$ nel 1870 (1/4 sotto la media europea). Al di sotto di questa cifra le scelte dei consumi mutano. Ma la mutazione non è solo dovuta al reddito, in quanto importanti fattori sono anche la localizzazione del consumatore (in base alla geografia dell’Italia e alla frattura tra città e campagna). Altro fattore importante è il passaggio dal regime demografico dell’Ancien Régime (alti tassi di natalità e mortalità) a quello del XIX secolo (bassi tassi di mortalità e natalità). Questo regime demografico è ancora in uso oggi. Si assiste ad un innalzamento della vita media che passa da 35 anni nel 1880 a 43 nel 1900 e 47 nel 1910. Questo innalzamento determina un aumento della popolazione e un cambiamento nelle classi di età. L’aumento della popolazione rompe i legami abituali e spinge ad un esodo verso i nuovi centri industriali o all’emigrazione. Ciò favorisce l’adozione di nuove pratiche. Le scelte dell’individuo aumentano grazie anche ad una maggiore libertà e quindi uno spazio mai visto per le scelte di consumo. A livello di consumi nel periodo giolittiano il 60% era occupato dal consumo per l’alimentazione (su 60.650 milioni di lire 40.003 erano dedicati all’alimentazione; 8457 per abitazione ed energia; vestiario 5322; trasporti 667 e altre voci 6201). La spesa per il vitto non comprendeva una ricca e variegata alimentazione (scarsità di condimenti, grassi, generi voluttuari. Eccezione era il vino, sempre presente in tutte le tavole). Sul piano del micro la situazione si complica notevolmente a causa delle differenze sociali, territoriali e di contesto storico. 2. Contadini Gran parte della popolazione era impiegata in agricoltura. Le loro condizioni di vita erano molto dure. Le entrate erano scarse e venivano assorbite nella “triade” dei bisogni primari: casa, alimentazione e vestiario. La situazione era economicamente migliore per i contadini autonomi, fittavoli e coloni. Erano però in minoranza, rispetto ai braccianti e avventizi. L’alimentazione era diversa in base alla regione di appartenenza, alla disponibilità di prodotti locali, dai contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. L’unico aspetto comune era il basso apporto calorico e la scarsità di vitamine e proteine. Il fatto che i contadini avessero scarse disponibilità alimentari non voleva dire che fossero meno carichi di valore simbolico, anzi tutte le culture contadine assegnano grandissimo rilievo nell’organizzazione della vita sociale (es: il tempo di festa era scandito da una quantità e qualità di alimenti diversi da quelli del tempo del lavoro. Es2: il cibo si differenzia dal periodo di vita normale a quello di eccezionalità). Valore positivo nel cibo grasso (alimento privilegiato grassezza = felicità e ricchezza). Grande peso anche la religione, con le sue norme alimentari. L’alimento del grano, fondamentale nella dieta contadina, veniva talvolta personificato, diventando uno spirito che poteva assumere varie forme e significati. Il consumo del cibo era un atto collettivo, che confermava e differenti variazioni sociali e culturali. Mangiare e bere costituivano un’importante pratica culturale, che accompagnava molti momenti di socializzazione: le visite al mercato o alle fiere, le feste del villaggio, le soste in osteria o le riunioni serali attorno al fuoco. La seconda voce delle spese per il consumo è la casa. Nonostante le differenze vi sono due elementi comuni: il riferimento all’ambiente circostante l’uso esclusivo di materiali costruttivi locali; legame con il sistema di organizzazione produttiva. Nella pianura padana è diffusa la casa di corte (più famiglie insieme), in altri luoghi si preferisce quella unifamiliare povera, addossate le une con le altre in piccolo villaggi o sparse nei borghi dei latifondi. Ambiente importante è la stalla, luogo in cui si lavora e dove avvengono gli incontri sociali e di attività artigiane e sociali, soprattutto in inverno. Il cuore della casa è la cucina. Qui si trovano oggetti di uso quotidiano. In mancanza d spazi l’ambiente viene utilizzato per svolgere più mansioni. È uno spazio di produzione e di consumo insieme, uno spazio plurifunzionale, adattato alle molteplici esigenze della famiglia. Nella realtà rurale italiana coesistono famiglie estese o multiple e soprattutto famiglie nucleari. Si riscontra una forte gerarchia e una marcata divisione dei compiti (es padroni e servitù, ambienti maschili e femminili, arredi per i diversi figli, maggiori per il primogenito) spese per il primogenito sono più elevate precisa strategia familiare riguardo alla futura posizione dei figli. I bambini iniziano a non essere più considerati dei “piccoli adulti” ma fanno parte di un mondo a sé. Una delle fautrici di questo pensiero è Maria Montessori. Si ripensano i consumi dei più piccoli: ora si richiedono giochi, educazione, svaghi, abiti e pettinature adeguate. Tutti iniziano a pensare che l’attaccamento dei bambini ai giochi si possa tradurre in qualcosa di positivo. Altro aspetto fondamentale della borghesia è la rispettabilità morale. Su questo aspetto ci sono però importanti differenze legate al contesto geografico, dipendenti dal reddito e dal ruolo socio- professionale. Nei cafè si colloca la nascita di una sfera borghese, l’origine dell’opinione pubblica moderna. Alcune abitudini vengono adattate e trasformate (es il ballo o il mangiare fuori). Altra grande novità sono le associazioni sportive, che compaiono alla fine dell’800 e si sviluppano molto rapidamente. Non c’è dubbio che i fenomeni di massa (quali il ciclismo, l’automobilismo, il turismo) rispecchino i valori della nascente società di massa. 5. Aristocratici Il potere ha bisogno di mostrarsi. Ciò avviene tramite vestiti e gioielli lussuosi, palazzi, cerimonie. Il consumo gioca un ruolo importantissimo sulla legittimazione della loro posizione. C’è una rivalutazione del lusso (considerato una volta dalla chiesa come peccato, un eccesso, uno spreco). Adesso viene considerato come un mezzo di promozione del commercio e del benessere individuale e può entrare nella sfera economica pubblica come elemento positivo. Il lusso però viene legato all’idea dell’ozio e dello sperpero. La loro diffusione era molto disomogenea. Ve en erano di più in Toscana, Napoletano, Veneto, Piemonte, Sicilia e Lombardia. Per il 40% erano costituite da patriziato e nobiltà urbane. Le loro ricchezze si riducevano con molta difficoltà. Nonostante la decadenza economica e il restringimento numerico, l’impatto di questa fascia sociale sull’immaginario collettivo è ancora molto forte a cavallo del secolo, grazie al suo ruolo storico e alla sua “visibilità”. Le dimore ospitavano famiglie allargate. Ogni qualvolta vi era la necessità di costruire una nuova dimora, si ricorreva ad architetti famosi. Vi erano divisioni tra ambienti destinati alla famiglia e quelli dei domestici. L’arredamento degli ambienti destinati alla socialità è molto ricco. Il salon nobiliare è il luogo destinato alla mondanità. Qui la padrona di casa riceve gli ospiti. La casa signorile non ha uno scopo funzionale e pratico. Le stanze erano allineate sullo stesso asse al primo livello. Tra una camera e l’altra vi erano delle salette di passaggio. Spesso ogni camera aveva un tema o un colore predominante. Gli oggetti sono disposti secondo uno stile unitario. In molti casi adattano lo stile alla funzione della stanza. Lo stile usato è quello Impero, Gotico. Nelle camere da letto c’è il letto a baldacchino e arredi antichi. Le stanze riservate alla servitù erano molto diverse. Nell’800 iniziò ad avere sempre più attenzione l’igiene. Vengono associati a ordine e pulizia e associate alle classi superiori, in contrapposizione alla sporcizia materiale e morale dei ceti subalterni. Altro elemento importante era la cucina. Era un luogo d’incontro per le donne, soprattutto per le domestiche. Cosa mangiavano e come mangiavano i nobili? Si erano diffuse le buone maniere (che comportavano, a livello sociale, un processo di autocontrollo verso tutte le emozioni e gli impulsi). Le regole che informano la vita quotidiana, l’etichetta e il galateo non sono quindi semplici consuetudini o curiosità del passato; modellano il processo di “civilizzazione” dell’Occidente e creano regole di condotta appropriate per la vita degli stati moderni. La forchetta diviene uno strumento moderno (e contrappone il moderno al primitivo). C’è un senso di uniformità (piatti, bicchieri, posate ecc..). Si inizia la giornata con la prima colazione, verso le undici una colazione, si pranza alle sei (con antipasto, prima portata, intermezzo, portata principale, dolci frutta e formaggi. Tutto accompagnato con vini). Appare l’importanza estetica del piatto. Molti dei piatti avevano dei nomi francesi, i quali poi vengono italianizzati. Ci sono i primi libri di cucina, per avere una cucina nazionale. Nei palazzi avevano luogo feste, balli, vestiti alla moda. La nobiltà a cui tutti facevano riferimento era quella romana. L’aristocrazia piemontese riveste un ruolo di primo piano nel Regno d’Italia. I nobili mantengono un distacco sociale. A Milano la nobiltà era impiegata nelle attività mercantili e imprenditoriali e il distacco sembrava minore. Nelle differenze i sono anche degli aspetti comuni relative alla sfera del leisure. Divertimenti esclusivi sono le esplorazioni in paesi lontani, già popolari sull’onda del colonialismo. Vi sono poi gli sport. Anche l’abbigliamento è codificato. Molta importanza all’equitazione e alla pesca, su ispirazione inglese. Ritornano al passato: l’anacronismo diventa segno di distinzione. Lo spazio dei loro consumi è transnazionale. 2 Lo Stato e i consumi pubblici In questo quadro i singoli attori, i consumatori, non sono elementi passivi che agiscono coattivamente, ma agenti attivi, in vario modo consapevoli del significato delle loro azioni. Non è una varietà di pratiche del consumo ma miseria contro abbondanza. C’è da considerare il fatto che i consumi non sono soltanto privati ma vedono anche dei consumi pubblici, i quali divennero uno dei principi cardini delle politiche governative del Novecento. Ancor prima dell’unificazione si può vedere un intervento dello stato a favore della produzione industriale. Dopo l’unità l’intervento era legato alle questioni economico-sociali relative alle condizioni di povertà di diversi ceti sociali (quali contadini e operai), le quali potevano essere motivo di destabilizzazione sociale. Con l’unità sia la Destra che la Sinistra storica avevano fatto molto per la realizzazione di infrastrutture e dell’apparato amministrativo del neonato Stato Italiano. Un esempio dell’intervento dello stato è l’assistenza; dapprima legata alla condizione economica del malato arriva, attraverso varie riforme come quella della sanità del 1888 di Crispi, all’assistenza sanitaria di ogni malato da parte degli organi rappresentativi dello stato. Durante il periodo giolittiano vediamo la lotta contro malattie come la tubercolosi, il colera o la malaria, le quali epidemie, erano dovute a condizioni igienico-sanitarie molto precarie un povero si ammala meno, è assistito grazie alla statalizzazione delle opere pie e inizia a impiegare parte del suo salario nell’acquisto di materiale per la sua igiene e salute. Negli ultimi decenni dell’800 nasce l’industria farmaceutica, la quale porterà alla creazione di un nuovo settore di consumi: i prodotti farmaceutici di larga commercializzazione. Per quanto riguarda a previdenza, essa era affidata a società private di mutuo soccorso e ispirate ad ideologie operaie o cattoliche. Solo nel 1898 con Turati (e successivamente con Giolitti) furono approvate delle norme per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, la Cassa per l’invalidità e la vecchiaia e tutela per donne e bambini lavoratori. Per quanto riguarda l’istruzione, la quale ha sempre visto avvantaggiato il ceto medio-alto, si hanno le prime leggi per l’istruzione obbligatoria con Casati (1859 con 2 anni di elementari) e Coppino (1877 con 4 anni d’istruzione obbligatoria). Nonostante questo, nel 1911 il tasso di analfabetismo era solo del 38%, tasso più elevato nel sud Italia e per le femmine, anche nei livelli più alti. Per quanto riguarda le politiche tributarie, fino alla GG, la metà delle entrate proveniva delle imposte dirette, l’altra metà da quelle indirette (le quali colpivano i prodotti sotto forma di imposte di fabbricazione. Tra queste troviamo il sale, il tabacco, il macinato, spiriti e zucchero). Alcuni prodotti (quali sali, tabacchi, chimino, veri e il lotto) erano sotto il monopolio statale. La pressione fiscale di quest’epoca è stata tra le più elevate. Possiamo dire che alcuni consumi, hanno fatto insorgere uno spirito patriottico, dato il loro uso massiccio nelle politiche di rafforzamento dell’identità culturale italiana (prima fra tutti la scuola). 3 Il mondo della produzione Contano di più i consumatori o i produttori? Quanto contano i produttori? Di sicuro moltissimo in quanto producono beni da immettere nel mercato, nel quale poi i consumatori andranno a scegliere il prodotto. Ci sono però due importanti correttivi: le importazioni dell’Italia, anche se limitate e l’autoconsumo (non recensito nei dati statistici dell’epoca). È importante segnalare alcune tendenze di lungo periodo riguardo ai prodotti consumati. Si passa dal consumo di beni primari a quello di beni industriali (esempio è quello degli alimenti). Tutto questo vuol dire che si assiste al trasferimento alle industrie di queste operazioni, prima legate all’ambito familiare. Ciò avviene per vari fattori tra i quali sociali, economici e tecnologici. Vi è inoltre, un passaggio dai beni non durevoli a quelli durevoli. In entrambi i casi siamo solo agli inizi dei processi. In una tipica dispensa dell’epoca gli alimenti vengono conservati in vasetti di vetro, cassette di legno e ben avvolti in stracci o carta. Prevalgono i cibi secchi o sotto sale, dal soffitto pendono salami e ci sono forme di formaggi a stagionare. Vi sono poche etichette. Grande quantità di beni primari, erbe del giardino e conserve ci dice che oltre all’autoconsumo, la produzione di questi prodotti è locale. Dalla produzione locale dei beni di consumo, alcune aziende iniziano a meccanizzarsi, producendo grandi quantità di prodotti, che inizieranno ad essere esportati su scala maggiore. Questi prodotti diventano standardizzati e costano molto meno. Dato che i produttori devono fare i conti con la distribuzione a larga scala, nascono le prime politiche di marketing, che porterà poi alla nascita della marca. Inizialmente essa rappresentava il semplice marchio proprietario, poi divenne il mezzo per caratterizzare la merce e qui assume una duplice funzione: • Informativa • Valoriale (tramite il valore aggiunto) La costruzione del marchio si basa sulla pubblicità. Importante è anche l’aspetto del packaging. Se tutto questo funzionava, la merce riusciva ad essere distribuita capillarmente. Continuando sulla dispensa si vede la pasta confezionata (prodotta d Barilla, De Cecco, Buitoni, Agnesi), gli amaretti Lazzaroni, vi è poi del cioccolato (Perugina o prodotto a Torino), conserve (Cirio, Del Gaizo, Polli, Arrigoni), formaggi (Locatelli, Invernizzi con il “Bel Paese”, Latterie Soresina), olio e riso (non di marca ma ancora prodotti a mano). Vi sono birre, spumanti, vini aromatizzati e marsala. Tra le marche straniere troviamo Nestlé, Knorr, Liebig. Per quanto riguarda l’arredamento esso è in prevalenza di buona fattura e prodotto artigianalmente. I primi mobili industriali sono le sedie “viennesi”. In Inghilterra la produzione industriale di prodotti artigianali andava molto avanti, invece, in Italia, molti mastri vetrai, ad esempio, erano ancora legati alle antiche tradizioni. Consumatori e produttori sono, dunque, all’interno del medesimo processo; e dei consumi finali, oltre alla funzione culturale e politica, va tenuta ben presente la funzione economica. 4 Gli spazi del commercio La Parigi dell’800 doveva essere davvero un grandioso spettacolo. Solo Londra e Vienna, potevano essere paragonate ad essa. Era la capitale del XIX° secolo. L’abitante metropolitano, secondo G. Simmel, aveva un atteggiamento intellettuale e distaccato. Nella città tutto si basa su un’economia monetaria che misura ogni cosa, trasforma la qualità in quantità, monetizza il tempo, muta le relazioni in contrattazioni. Tutto questo si materializza nei bazar e nei magazzini di novità. Essi erano luoghi coperti e di passaggio, lussuosamente arredati. Varcando la soglia di questi luoghi, non era necessario comprare in quanto essi si proponevano anche come luoghi d’incontro e di ritrovo. Il richiamo di questi luoghi era affidato anche alla nuova tecnologia (vetro e ferro). Le gallerie iniziarono a diffondersi in tutte le principali città europee, diventando un polo d’attrazione e di vanto. Una tra le più importanti in Italia è senz’altro alla Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, la più grande al mondo, era architettonicamente e tecnologicamente moderna ed innovativa. Qui presero subito posto i negozi più prestigiosi della città e i bar più alla moda. Era una chiara rappresentazione di ciò che la città voleva diventare. Il passo successivo alle gallerie furono i grandi magazzini. Esso è una novità assoluta in grado di attrarre anche intellettuali e scrittori. I grandi magazzini sono una svolta nella storia dei consumi e del commercio. 4.1 Mercanti, negozi e botteghe Il ruolo del commercio è quella di essere un mediatore per eccellenza. Nella realtà, però, si è sottovalutato il ruolo degli spazi commerciali ma influiscono sul comportamento di consumo in misura altrettanto grande, perché determinano le modalità pratiche dell’atto di acquisto e creano una cornice di significato e di valore per la merce. La storia dei consumi è anche la storia del commercio. Le fiere furono grandi occasioni di commercio e per questo, lo sviluppo urbano investe con la forza anche queste strutture, costruendo mercati coperti. Il processo non comportò l’eliminazione dei mercati aperti, bensì una loro evoluzione. americana, su base europea, che porta alla creazione di apparati per l’aiuto e l’elevazione degli operai). L’interessamento di questa fascia di consumi è legato al cambiamento epocale in atto: il tempo libero è per tutti e non solo per l’élite. La presa di coscienza del tempo libero e delle attività da svolgere in esso è legata alla borghesia e al pensiero del non sprecare tempo, perciò ogni momento diventa utile per qualcosa ora i consumi culturali ricreativi prendono posto accanto ai servizi di base tradizionali. Insieme alle associazioni del dopolavoro, importante diventano le attività culturali promosse dal fascismo, tra esse il teatro, lo sport (anche femminile), la radio e il cinema. Tutto questo ha portato ad una presa di coscienza e alla sensazione che tutti questi servizi fossero un diritto di ogni cittadino. Grazie a tutto questo sorgeva una domanda: c’è solo il modello dettato dallo stato o ve ne sono altri? Il modello che il regime invitava a seguire era quello dell’aristocrazia, la quale però è inimitabile. Essa compare su riviste ed è al centro delle informazioni. Vi è però un altro modello: quello hollywoodiano con la donna protagonista della scena. Qui i consumi passano attraverso una cultura commercializzata. Ma il modello è irraggiungibile. Più vicino è il nazismo tedesco il quale, nonostante fosse accusato di limitazione dei consumi privati, ha invece incrementato i consumi simbolici. Da qui nascono le premesse per il consumo di massa, orientato verso la tecnologia e una fruizione domestica, che troverà la sua realizzazione del dopoguerra. 2 La vita quotidiana nel fascismo Il testo prende l’esempio dell’incontro tra Pizarro e Atahulpa per parlare di come gli oggetti più semplici della nostra quotidianità possono essere capiti ed usati solo all’interno di un contesto che dia loro significato. Dobbiamo imparare ad usarli e conoscere il valore culturale di questo uso, non hanno senso di per sé stessi. Non c’è dubbio che il progresso tecnologico sia un elemento fondamentale nei processi di consumo, soprattutto in età contemporanea. 2.1 Casa Nell’esempio si è scelta una casa dell’alta borghesia medio-alta in una grande città. Sono in un elegante condominio. L’abbigliamento del signore è un completo giacca e pantalone (realizzato da un sarto) con una camicia con cravatta e un impermeabile trench (tutto di matrice industriale). Indossa un cappello, simbolo dell’appartenenza al ceto medio. La cameriera indossa un camice azzurro e tacchi bassi. essa accompagna i bambini a scuola. La signora, invece, indossa un vestito elegante a fiori aderente con un cappottino scuro e al collo una pelliccia. È sobrio come abbigliamento se non fosse per le calze velate con cintura centrale indietro e il cappellino. Calze e vestito sono prodotto dell’introduzione delle nuove fibre artificiali. La signora segue la moda, cosa che il regime non disprezza. Nella casa regna l’ordine, grazie anche all’utilizzo dei nuovi prodotti per la pulizia della casa e della biancheria. Non mancano le bibite rinfrescanti e frizzanti. Nella cucina troviamo un nuovo oggetto: la cucina economica. Vi sono i fornelli al piano superiore, mentre sotto c’è un ampio forno e lo sportello dove introdurre il carburante. La forma è squadrata e moderna, l’uso è molto semplice. Seppur il nome economica, la cucina costa molto. Notiamo due stufe: una vecchia e una nuova ed elettrica. Non mancano un bollitore e la luce dal lampadario segno che c’è elettricità, acqua corrente e forse il gas, forniti da istituti di gestione nazionale. La cucina è uno spazio femminile associato alla casalinga, ruolo incoraggiato dal fascismo a seguito del matrimonio della donna. In cucina troviamo anche elementi dediti alla cura del cibo e al vestiario (macchina da cucire Singer e un ferro da stiro elettrico). Il salotto ha sempre la composizione solenne del passato ma abbiamo degli elementi delle telecomunicazioni. In primis la radio, che, grazie alla musica, porto all’uso diffuso del grammofono. Anche il telefono è diffuso. Tutte queste nuove tecnologie, però, sono solo per le famiglie di un certo reddito. È sì vero che sono aumentati i consumi dei beni durevoli, ma siamo ancora lontani dalla media europea in quanto il loro elevato costo, li rende dei prodotti solo per determinate fasce di reddito. Nel bagno troviamo una vasca in ghisa e uno scaldabagno. Sono allineati tutti i saponi vari. C’è la comparsa dell’armadietto dei medicinali. 2.2 Trasporti I futuristi furono i primi a esaltare l’utilizzo dell’automobile. Il loro entusiasmo era condiviso da molti altri, fin dall’apparizione delle prime automobili. Esse riducono i tempi di percorso, permettendo viaggi lontani. Negli anni 20 in Italia si contavano 36 case automobilistiche. La prima vettura prodotta in serie fu la Tipo Zero nel 1912 dalla Fiat. Successo di quegli anni fu la Fiat 508 (o Balilla) che era capace di arrivare a 85km/ h. lanciata nel 1932 a 10.800 lire, era per la classe media (e pertanto ancora un bene di lusso). Nel 1924 viene inaugurato il tronco iniziale della Milano-Laghi, prima autostrada d’Europa. Altro elemento di lusso sono i piroscafi, utilizzati per crociere con tour organizzati di qualche settimana, nelle quali si svolgeva una frenetica vita di società. ancor più selettiva era la crociera per i trasporti aerei. Nel 1938 i passeggeri aerei sono solo 10.000 in quanto gli sforzi del regime si concentravano più sull’aviazione militare che quella civile. I treni son invece il mezzo di trasporto più utilizzato. Nel 1938 si contano 157 milioni di passeggeri. Viene utilizzato per gli spostamenti di lavoro e per le vacanze in montagna o al mare, sogno che si realizza per i ceti medi. I bagni termali e marittimi sono sempre più attrezzate sul modello di Bath (GB) e di Spa (BEL). La classe popolare è ancora esclusa da tutto questo ma il regime offre loro la possibilità di andare nelle località marine grazie ai treni popolari. Unico mezzo per tutti è la bicicletta. Questa è, per molti, la migliore tecnologia acquistabile. 2.3 Magazzini popolari Rispetto al periodo precedente non vi sono drastiche rotture. Il numero degli addetti delle vendite al minuto è nel 38 di 1.220.000, di cui 220.000 ambulanti. I 2/3 sono impiegati nell’alimentare e il restante in quello non alimentare. Ciò ci fa dimostrare che vi sono numerosi e piccoli negozi con predominanza al settore alimentare. Alcuni dati ci permettono di illustrare una gerarchia del lusso. I negozi dell’alimentare sono sì i più numerosi, ma sono anche i più poveri (nel 30 rendita lorda di circa 12.000 lire annue). Per i droghieri la situazione migliora un po’ (19.000 lire annue), andava peggio per i rivenditori di frutta e verdura (6.500). a livello medio troviamo i pubblici esercizi ma con molte differenze: in alto gli alberghi (39.000); al livello intermedio bar caffè e pasticcerie (da 16 a 21 mila), da ultime le trattorie (10.000). al vertice i non alimentari (con una media di 21.000) con al vertice i negozi di tessuti (40.000) poi valigerie pelliccerie, ferramenta ecc. (più di 18.000) e in basso cartolerie, librerie e materiale elettrico (14.000). abbiamo così davanti ai nostri occhi un quadro ben preciso che ci mostra un triangolo nel quale, i consumi delle classi agiate, si trovano al vertice seguite a livello intermedio per la vita sociale, in basso i consumi primari. Per quanto riguarda i grandi magazzini notiamo che non ci sono mutamenti. Stesso discorso per le catene. L causa del ristagno risiede nel basso potere d’acquisto dei consumatori, accentuato dalle ricorrenti crisi economiche e dalla politica del contenimento del regime. Dal 1926 il regime intraprese una politica di controllo delle imprese, introducendo la licenza d’apertura prima dei negozi, successivamente anche alle industrie. Fu solo revocata nel periodo di guerra. La legge è stata realizzata per razionalizzare una crescita che non si verifica. I commercianti, inoltre, sono preoccupati per i magazzini a prezzo unico, novità assoluta. Il primo fu l’UPIM aperto a Verona il 22/10/1928. Era molto diverso dallo sfarzo della Rinascente e coerente con il messaggio “magazzini per tutti”. La catena è stata creata dal proprietario della Rinascente (sen. Borletti), il quale, voleva creare una catena parallela per distinguere i due marchi. L’UPIM si rivolge ad una clientela popolare-piccolo borghese. Punta su articoli di ampio consumo e si sviluppa secondo una diversa geografia. Essi consentono ai consumatori di costruirsi un variegato paniere di consumi, di minor qualità e prezzo, ma ugualmente rispondente a uno schema di consumi ormai introiettato. Subito concorrente dell’UPIM fu la Standa e poi Ptb. I tre magazzini crearono un patto che portò alla formazione di un oligopolio. Ciò portò ad un rallentamento della crescita della grande distribuzione. Sarà però la guerra a congelare tutta questa situazione. Da lì a poco la situazione peggiorerà drasticamente. È un destino al quale non ci si può sottrarre. CAP 3 – Il miracolo economico. 1 la società nell’età del l’oro e del capitalismo 1. la rivoluzione dei consumi se i decenni tra la fine dell’800 e la prima guerra mondiale sono quelli della trasformazione, gli anni 1945-73 sono l’“età d’oro” del capitalismo. Crescono il reddito pro capite, il reddito nazionale e le esportazioni. Le cause sono molteplici: a. operano la liberalizzazione dei mercati e l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico, sovrinteso da organizzazioni internazionali e saldamente ancorato al dollaro. Ruolo fondamentale in questo punto ce l’hanno gli USA (grazie alla loro leadership, agli aiuti concessi in Europa, e spinta d’integrazione politico economica occidentale); b. Politica economica coscientemente perseguita per promuovere lo sviluppo all’interno dei singoli stati anche a livello nazionale. Questo sviluppo consiste in una crescita economica di tipo quantitativo che porta a consumi più alti, migliora la qualità della vita e la conflittualità sociale obiettivi sono gli investimenti in capitale fisso e quelli in capitale umano; c. Insospettabili spazi di crescita economica e di mutamento che si aprono con la ricostruzione. la resistenza al cambiamento viene spazzata via dalla guerra. I danni materiali provocati dalla guerra si possono rilevare un incentivo (non a caso i paesi con le migliori performance economiche sono Germania, Italia e Giappone ovvero, gli sconfitti e i più danneggiati). L’Italia, nel 50 era l’ultima delle nazioni europee. Al 1973 il suo reddito pro-capite triplicò e raggiunse la media europea ed internazionale, facendo ora risultare possibili dei confronti. d. Baby boom della generazione del dopoguerra ha provocato un aumento demografico e ad una crescita delle classi d’età più giovani. Ciò è dovuto alla crescita economica e alla ripresa delle migrazioni interne e internazionali, soprattutto quelle intereuropee. La fase di aumento si chiuderà negli anni 70. Dalla guerra c’è stato anche un aumento dela speranza di vita. e. Ripresa dei flussi migratori. Non da intendersi come quelle pre-guerre. Ora ci si sposta dal sud al nord (in Italia e in Europa). In Italia queste migrazioni comportano ad un cambiamento del profilo demografico con una ricaduta sui consumi ne aumenta la domanda. Ci sono le premesse sociali per un mutamento nella struttura dei consumi f. Cambiamento culturale. Le persone abbandonano il moro modo rurale per venire a contatto con inusuali spazi geografici e una cultura urbana. Si ridefiniscono i ruoli della famiglia. ciò che cambia radicalmente è che se durante gli anni della ricostruzione si andava a risparmio, successivamente ci fu una malattia proveniente dall’America per cui tutti erano convinti che la propria condizione potesse migliorare tramite l’acquisto di “cose”. Nell’Italia del boom era venuta l’ora di comprare la felicità. cosa comprano gli italiani? In termini complessivi la spesa per i consumi privati passa dai 10.000 miliardi del 1950 ai 30 del 1970. Ciò permette ai consumi di crescere a ritmi record. All’interno troviamo dei cambiamenti radicali: per la prima volta il primo posto per la spesa non è per i generi alimentari bensì scendono addirittura al 44%. Cambia la dieta: scendono i consumi di alimenti poveri (risone, legumi ecc.) e salgono quelli ricchi raddoppiano i prodotti caseari e le uova, crescono i consumi di birra e vino e salgono 3 prodotti simbolo: carne bovina, zucchero e caffè. Non vengono però abbandonati gli alimenti della tradizione culinaria italiana. Crescono i condimenti e libero sfogo ai caffè e ai dolci. Abbiamo ora un consumatore che apprezza i una dieta ricca e variegata, con molti alimenti calorici, e con un alto consumo di prodotti freschi. Del restante 56% del denaro, che cosa ne fa? 9% in calzature e vestiti, 12% per i beni della casa, 10% comunicazioni, 6% beni durevoli, 8%igiene e salute e 11% per altri beni e servizi. Novità all’interno delle famiglie è la presenta die beni durevoli. Troviamo frigoriferi e televisore, lavatrice, automobile aspirapolvere, motocicletta e pochi hanno già la lavastoviglie. Le famiglie più povere prediligono il televisore al frigorifero, non hanno forse l’aspirapolvere ma cresce il possesso di motocicletta. La lavastoviglie era uno status symbol per le famiglie più agiate. Se paragonata però con gli altri membri dell’CE, l’Italia è ancora ultima. Questo quadro ci fa lanciare dei dubbi: questo periodo è a dette di molti, ricco di luci, del boom economica ma le cronache di allora parlano di problemi dell’immigrazione, di speculazione edilizia, degli operai, dell’arroganza dei nuovi ricchi, dei sacrifici giornalieri. Sono le cronache di allora a non vedere i risultati sul lungo periodo o quegli anni sono stati strumentalizzati come antitesi positiva al seguente periodo di crisi? Ci fu sì un lungo dopoguerra con un modesto tenore di vita e scarse speranze di cambiamento, un miglioramento ritardatario rispetto agli altri paesi europei e che quando questo avvenne, fu selettivo non riguardò tutti e lo si vede dal ritardo e dal consumo di beni durevoli che segue una precisa stratificazione sociale. Nel boom economico, è solo la classe media a migliorare rapidamente i suoi consumi, mentre operai e agricoltori restano in gran parte esclusi. Negli anni del boom l’Italia è ancora un paese dai mille volti. Questo si va a sommare alle profonde spaccature tra i ceti e alle aree geografiche. Lo stesso fenomeno venne vissuto in modo diverso dei suoi protagonisti. La cultura materiale fornisce una parte importante della costruzione delle nuove identità., materializza valori e comportamenti, diventa il tramite per rapportarsi e cercare un’integrazione sociale. Ci sono anche le trasmissioni popolari (ad esempio Lascia o raddoppia?). essa sembra combinare la radio con il cinema. L’Italia, a livello europeo, sarà sempre la prima nel consumo televisivo, anche quando ci si avvicina nel resto alla media. I nuovi media rafforzano la cultura del consumo e lo fa in due modi: indirettamente (mostrando prodotti materiali desiderabili) e direttamente (con l’introduzione del Carosello. Questo divenne in breve popolarissimo. È la nuova fase della pubblicità: nuova, limitata, divertente e istruttiva). Su un tavolino ci sono delle riviste (life, gioia, Annabella ecc.). vi sono delle differenze tra queste ma tutte mostrano una certa vivacità anche su temi come la morale e i consumi. Anche le riviste aiutano a costruire nuove identità. La casa-esempio è solo uno dei possibili percorsi dell’epoca che si possono prendere in considerazione. È delimitato da barriere sociali ed economiche. Non è di certo la baracca messa fuori città. Anche le donne emigrate hanno reazioni molto diverse nei confronti di questa nuova domesticità e dei suoi simboli: alcune l’accentuano, altre la rifiutano, rafforzando i comportamenti culturali tradizionali, per altre ancora si verifica un’accezione selettiva. 4. i giovani nella casa presa come esempio troviamo una stanza con dei colori molto vivaci ed un disordine “creativo”. È la stanza del figlio adolescente. Troviamo un poster di James Dean. Vicino al letto c’è una scrivania con molti oggetti: radiolina, libri di scuola, Coccoina, ritagli di giornale, fumetti, riviste, un’enciclopedia e un registratore. In un cesto ci sono i giochi abbandonati: Topo Gigio, Paperino, i soldatini, automobiline, biglie, i Lego (di moda anche le Barbie). Nell’armadio troviamo vestiti “classici”, i blue jeans della Levi’s, magliette bianche e a righe, un giubbotto con la chiusura a lampo e uno di pelle nera. La stanza è in contrapposizione al resto della casa. in questi anni c’è una vera e propria costruzione identitaria dell’età giovanile. Nel fascismo c’era la contrapposizione tra giovani e vecchi, ma solo negli anni ’50 e ’60 i giovani si riconoscono come generazione . Questi cambiamenti sono legati sia ai cambiamenti in corso e in parte ad un movimento culturale che investe l’occidente e che guarda con occhi diversi il mondo giovanile. Le industrie culturali vedono proprio nei giovani i nuovi potenziali clienti e iniziano a produrre beni specifici per le proprie esigenze. Secondo un’inchiesta del 64 i giovani italiani (6.6 milioni) disponessero di ben 250 miliardi di lire e in ordine venivano spesi per: prodotti voluttuari (bibite, dolciumi, sigarette con 50 miliardi), per l’acquisto di Vespe o Lambrette (50), per abbigliamento, cosmetici e acconciature (25), per la musica (23.5), per i trasporti (22), per gli spettacoli cinematografici e sportivi (21), per libri, quotidiani, riviste e fumetti (20.5) e per altre spese (38). Ovviamente vale ancora quello che abbiamo detto per le altre categorie: sono identità polisemiche, variabili, complesse, che si basano su fratture di reddito, geografiche, urbane e di genere. Qui la cultura materiale ha giocato un ruolo molto rilevante sia come codifica interna del gruppo, sia come codifica interna al gruppo sia come forma di autorappresentazione sociale, cioè di visibilità della subcultura giovanile. Nel 56, a seguito di un sequestro in una scuola elementare da parte di due ventenni, l’opinione pubblica inizia a vedere l’emergere della delinquenza giovanile, a cui vengono dedicati ampi spazi all’interno dei media. Per la popolazione i giovani non sarebbero vittime della società ma viziati dai genitori pessimi, hanno poca voglia di lavorare e sono plagiati da film e fumetti i quali andrebbero censurati. I dati sulla criminalità però ci mostrano uno scenario diverso: l’aumento della criminalità giovanile è collegata all’aumento della criminalità in generale. I reati non sono più legati a lesioni su persone o all’omicidio (anche se al diminuire dell’omicidio volontario aumenta quello colposo) ma vedono l’aumento di furti e rapine. Il fenomeno succede in tutta Europa: all’aumento del patrimonio aumentano i reati contro il patrimonio e calano quelli contro le persone. La maggiore ricchezza materiale e l’ostentazione ai beni di consumo sono certamente forti incentivi ai reati. Stessa cosa per l’aumento delle leggi, che ne fa aumentare l’infrazione. Scende la violenza collettiva. Perché c’è l’allarmismo sui reati giovanili? Il legame dell’opinione pubblica è questo: i film del dopoguerra raccontano storie di giovani ribelli, la letteratura si ispira ai giovani dannati, i fumetti hanno personaggi ambigui (Batman e l’Uomo Ragno). Si forma un cliché ricorrente: il giovane sbandato. Anche in altri paesi si manifesta la cosa e hanno una sola spiegazione: il panico morale. Le paure suscitate dai giovani sono in realtà metafore di una profonda inquietudine che attanaglia la società e che deriva dalle trasformazioni in corso. Le trasformazioni creano di un maggior benessere e fiducia nel futuro ma mirano profondamente i valori e i comportamenti tradizionali. In Italia la situazione non è così estrema, almeno fino al 68. Da parte loro, i giovani, vedono le cose molto diversamente: il loro comportamento è un modo per esprimersi come soggetti, per divertirsi e stare insieme. La loro identità trova una prima costruzione intorno ad alcuni oggetti e ad alcuni luoghi. Il primo è la cameretta, soprattutto per le ragazze. Quello principale è però l’ambiente extra-domestico. Il ragazzo che vive nella casa, essendo pomeriggio potrebbe essere al cinematografo, in un bar (a giocare a flipper o al juke-box) a ballare (nelle balere e discoteche al pubblico o anche in qualche casa privata). Possibilmente ci si sposta con la moto. La musica è il vero linguaggio dei giovani. Si inizia con il boogie-woogie, poi il jazz, ma la vera voce giovanile è quella del rock’n’roll proveniente dalla gran Bretagna con i nuovi miti: i Beatles (storico il loro arrivo a Milano il 24 giugno 65), Rolling Stone, the Doors, Rockes. Anche la musica melodica italiana inizia ad adattarsi alla novità. A Roma, in piazza di spagna, a sconvolgere i turisti arrivano i capelloni, che ascoltano solamente della musica e stanno in compagnia. Fra gli oggetti elencati prima troviamo i segnali distintivi: abbigliamento, taglio di capelli. I ragazzi hanno i capelli lunghi, jeans, magliette ì, giacche attillate, maglioni a righe o camicie bianche e colorate. Le ragazze hanno i capelli o lunghi o a caschetto, miniabiti, jeans, cinture vistose, scarpe e stivali con il tacco. Vanno di moda le fantasie geometriche cosmonautiche con accostamenti con tinte forti. Usano molto il trucco su modello delle ragazze del Pier. Arriverà poi l’ondata hippy. L’abbigliamento mostra chiaramente l ricerca di nuovi modelli estetici, oltre che “politici”. Riscoperta e valorizzazione del corpo, sia maschile che femminile: non è più occulto ma esposto, all’insegna della praticità e della sessualità. Presenti nell’abbigliamento i nuovi materiali: plastica e fibre sintetiche (i collant e le fibbie). Come lo dobbiamo interpretare? Secondo alcuni sociologi i giovani assemblano: prendono materiali diversi, che possono venire dai media, dalla moda, dalla pubblicità consumistica, dall’esempio dei coetanei, dall’estro personale, e creano un nuovo insieme finale, dei rituali. Gli oggetti così cambiano significato perché vengono decontestualizzati. È così che nasce uno stile, il cui fine è quello di costruire un’identità specifica. Un’affermazione che compare molte volte che l’Italia sembra percorsa da un’ondata di giovanilismo. Dato che l’Italia ha una bassa mobilità sociale e dato che i meccanismi di ricambio sono stati intaccati dal fascismo e della seconda guerra mondiale, si è così creata un’occasione per il rinnovo della classe dirigente, contribuendo all’illusione di una società giovane e protesa verso il futuro. Non tutti i consumi sono ugualmente approvati dalla società e non tutti i consumi sono leciti. La linea che traccia il confine non è sempre univoca e cambia con il tempo. Il quadro normativo vede spesso il susseguirsi di cicli di tolleranza e di repressione. I beni che abbiamo visto ci hanno detto che è nella vita quotidiana che si definiscono pratiche, relazioni, significati e che la grande trasformazione degli anni 1950-70 è passata anche nelle case, oltre che nelle fabbriche, città e campagne. Qui ha dato voce ai giovani, ha messo in atto i micro-affrancamenti femminili, ha mutato orizzonti e aspirazioni degli immigrati. Ha prodotto nuove identità e, al tempo stesso, nuovi importanti soggetti economici. Premesse per far si che il cambiamento possa scendere anche nella politica. 2. politica, cultura e “welfare state” Il termine consumi fece il suo ingresso nel dibattito pubblico e politico negli anni ’50 in quanto il loro ruolo nei processi di crescita e trasformazione è talmente evidente da non poter essere ignorato. Il problema è come giudicarlo. Molti si disinteressano del problema perché non attiene alla politica alta e all’economia. Non tocca direttamente le ideologie. Altri temono che i mutamenti sul piano della quotidianità possano portare ad un’influenza nel lungo periodo e portino a forme di omologazione. Pareri tra di loro discordi. Alcuni ritengono che gli italiani debbano acquistare i beni di prima necessità, e poi passare agli altri beni. È post molta enfasi sui consumi privati, fruiti individualmente, anziché sui consumi collettivi di base, per i quali dovrebbe intervenire efficacemente lo stato. Il suggerimento è quello di reprimere i beni di lusso per concentrarci sui consumi collettivi. Inoltre, a svantaggio dei consumi, c’è la diffusione del concetto “sviluppo come crescita”, ovvero la convinzione che il benessere sia automaticamente dipendente dal suo tasso di crescita economica e che quindi gli investimenti abbiano una priorità assoluta. I consumi limitano il risparmio e bruciano queste preziose risorse. Anche a livello politico avversità nei consumi (tra questi DC e PCI). Pier Paolo Pasolini: come le lucciole sparite per l’inquinamento, così l’intero “vecchio universo agricolo e paleocapitalistico” cede il posto a una nuova civiltà, totalmente altra, la civiltà dei consumi. Si verifica perciò una mutazione antropologica degli italiani cominciata dai ceti medi (es: le campagne viste come luogo del weekend e di seconde case). Vi sono numerose inchieste e analisi sui beni e consumi. Vi sono studi sul campo (esempio inchiesta sulla televisione fa vedere come, per i contadini, sia un bene per migliorare la loro conoscenza del mondo. Emerge quindi una concezione incentrata sul divertimento, che si va a contrapporre alla tradizionale etica del lavoro). L’esempio va ad individuare la presenza di una nuova cultura del consumo. È una cultura che nasce dai nuovi oggetti, si sviluppa sul piano della quotidianità, investe le famiglie e individui, forma identità trasversali, crea differenti priorità di valori, dà voce a nuovi soggetti, inventa linguaggio e simbolismi. È una cultura che spiega perché gli italiani acquistano nuovi beni di consumo, seguendo modelli di comportamento simili a quelli dei paesi più sviluppati. Il tono prevalente all’inizio è una critica al consumismo ma più avanti iniziano a ricredersi in quanto i beni di consumo diventano un indicatore fondamentale del benessere raggiunto. Accanto ad una crescita sfrenata e quasi anarchica, si dispone di un enorme apparato di industrie statali e della potente leva dei consumi pubblici. DC e PSI volevano la redistribuzione del reddito e l’uguaglianza sociale porta alla creazione del welfare state. 3 punti fondamentali del welfare state: a. continuità con i periodi precedenti discorso sui consumi pubblici nasce nell’800 e arriva fino al fascismo. L’Italia repubblicana mantiene buona parte degli apparati createsi precedentemente (ad esempio l’INPS rimane, togliendo solo la f del fascismo). L’unico cambiamento è che nella repubblica i benefici non sono solo per singole categorie, ma per tutti. b. Welfare è l’elemento costitutivo della democrazia nel dopoguerra. Nacque ufficialmente nel rapporto Beveridge del 42 c. Struttura delle spese assistenziali in Italia simile a quella europea. Con queste premesse tra 50 e 73 la spesa pubblica crebbe notevolmente e si edificò il welfare italiano. Alcune spese diminuiscono in percentuale (amministrazione e difesa) ma altre crescono (istruzione, sanità, assistenza e previdenza). La presenza dello stato in queste aree alleggerisce la concorrenza privata, facendo aumentare altri consumi. Negli anni del dopoguerra l’istruzione per un ragazzo è abbastanza buona. Nel dopoguerra le spese per l’istruzione superano addirittura quelle per le opere pubbliche. I motivi sono vari. C’è un aspetto di equità sociale e uno pratico. I livelli di analfabetismo e abbandono dell’istruzione sono ancora alti, nonostante il boom economico richieda sempre più manodopera qualificata. L’istruzione basilare e tecnica vengono viste come prerequisito per una maggiore occupazione e per la formazione del “capitale umano”, il quale viene visto da molti teorici come necessario per garantire lo sviluppo economico. Si inizia con le scuole elementari (nel 68 istituiti gli asili e nel 71 gli asili nido) con 5 anni di frequenza e un esame finale, poi si va alla scuola media (dal 62 sostituta della scelta tra proseguimento degli studi o l’avvio al lavoro). La scuola media permette la frequenza di 8 anni di scuola e favorisce l’accesso agli studi superiori, ancora divisi tra liceo e tecnico-professionale (più scelto nell’epoca perché permetteva le basi per un futuro lavorativo). I movimenti studenteschi del 68 portano all’esame di maturità provvisorio e consente l’accesso all’università. L’università viene presa d’assalto (non però ancora di massa) e le aule diventano inadeguate. Professori insegnano con moltissimi assistenti. Molti studenti vengono da lontano e c’è un incremento della presenza femminile (40%). Molti lasciano l’università a causa degli alti costi di mantenimento della città e del fatto che ormai il pezzo di carta non garantisca una mobilità sociale. Lo stato offre anche la sanità. Una persona malata è probabilmente iscritta ad una delle casse mutue pubbliche o professionali. Si rivolge per una prima diagnosi al medico di base, per i casi più gravi va negli ospedali. Il sistema è però ancora molto frammentato (ministero della salute istituito solo nel 58). È finita l’epoca delle grandi malattie ma si registra un aumento di quelle degenerative pertanto, si sposta l’attenzione sulla prevenzione. Nel 68 gli ospedali diventano enti di diritto pubblico. Solo con l’avvento delle regioni c’è una riforma sanitaria. Nel 78 creato il sistema sanitario nazionale i cittadini sono tenuti ad iscriversi obbligatoriamente, create le USL, uguaglianza di trattamento, prevenzione e attenzione su determinate problematiche. Vera spesa pubblica è quella redistributiva. Si preferisce dare il denaro alle famiglie che investirli nei servizi collettivi. La struttura è ancora quella fascista con una miriade di enti e patronati diversi. Il punto più forte della previdenza sociale sono gli enti parastatali. Migliorano le pensioni passando al sistema retributivo e way of life e rappresenta la libertà di scelta. Raffigura l’idea del benessere e dell’abbondanza illimitata, segnando la fine del periodo di penuria. Al tempo stesso c’è la paura all’omologazione. In Italia difficile la sua instaurazione a causa della rete dei piccoli negozi, che ha conosciuto un’espansione con i flussi migratori e con l’accrescimento del potere della popolazione. Nell’alimentare crescono i negozi che vendono prodotti freschi e di pregio. In difficoltà però ci sono gli empori non qualificati. Nel 1971 ci sono 607 supermercati (2/3 al nord). Dopo l’esperienza di Roma il self-service si applicò ma senza grossi risultati. Sono ancora di origine americana. Nel 73 Rockefeller con i Bernando, Caprotti, Brunelli e i Crespi (del corriere della sera) fondano al “Supermarkets Italia spa”, aperta con molte difficoltà burocratiche e continue polemiche. (lunga descrizione dei primi supermercati che sono uguali a quelli di oggi. L’unica cosa che cambia è un po’ di scetticismo della clientela e moltissime novità, tipo la carne già confezionata e i surgelati e il carrello, dove gli addetti, nei primi giorni, dovevano correre dietro ai clienti, convinti che bisognava portarselo a casa e riportare la prossima volta). La reazione dei primi consumatori alla novità è molto differenziata. Ci sono giovani e anziani (che diventano, stranamente, i clienti più affezionati), preferibilmente del ceto medio (alla ricerca dei prezzi migliori). Molti sono gli immigrati (in quanto per loro è più facile comprare qui). Le donne sono le protagoniste dei supermercati, risparmiando tempo trovando prodotti già pronti. Sono presenti non solo come clienti ma anche come commesse (non si sa molto della loro vita ma dato l’andamento generale dovevano essere sempre presenti, non sposate e con un aspetto ordinato e pulito. I salari erano però alti e questo ne faceva aumentare le richieste). Come vera sorpresa troviamo gli uomini. Nel 61 l’azienda venne acquistata interamente da Caprotti e divenne Esselunga. Andare a fare la spesa non era ancora routine ma solleticava la curiosità, facendo scoprire prodotti nuovi (provenienti anche da lontano ad un costo conveniente). La scelta del cibo non riguarda più solo il genere femminile, bensì si trasforma in un bricolage culturale, indica uno stile di vita). Diventa un rito di famiglia, dato che serve il marito per fare la spesa, la quale viene concentrata una volta a settimana. In pochi anni compaiono altri supermercati sulle realtà regionali (Romana supermarket, Gs, Garosci, Bennet, Pam, Gioel) e si espandono i grandi magazzini della Rinascente e Standa. La rinascente punta su Sma (supermercati) e gli affianca all’Upim. La Standa punta sul fatto che all’interno ha tutto. Si aggiungono anche il commercio associato (unione volontaria tra commercianti e grossisti) e le cooperative (nel 71 Coop- Italia e nel 62 la Conad di Bologna). Nel 71 su 607 supermercati il 56% era della grande distribuzione, il 32 per i commercianti indipendenti e il 12 alle cooperative. Si sviluppano anche nuovi grandi magazzini (Coin). Abbiamo i supermercati grazie all’azione tra sindacati, organismi pubblici e partiti di governo-opposizione. Il supermercato ripropone una rivoluzione simile a quella dei grandi magazzini dell’800. Contribuisce a mutare abitudini, rende diretto e immediato il rapporto con la merce, rafforza il ruolo delle marche sul mercato, fa conoscere nuovi prodotti, esalta il packaging, accelera i processi di trattamento industriale degli alimenti, è la testa di ponte di varie multinazionali in Italia. Non è succube delle industrie italiane e mette in atto sue specifiche politiche di vendita e di produzione, rivoluzionando anche i prezzi. Gli intellettuali se la prendono un po’ con i supermercati: Warhol con la merce, in Italia Bianciardi e Calvino. Molti teorici hanno ipotizzato che una delle caratteristiche della società moderna sia il kitsch, inteso come espressione storica di un’abbondanza di merci in grado di appagare i desideri di tutti. Una cosa è certa: supermercati, grandi magazzini negozi ecc. mutano il paesaggio urbano. Sono luoghi di ritrovo, disegnano nuove geografie in quanto si insediano nelle periferie, contrariamente ai negozi ricci del centro storico, facendone, a volte, diminuire il numero. I commerci vanno un po’ a seguire il percorso delle industrie nella trasformazione del paesaggio urbano. L’impatto del modello americano in questi anni è enorme e si estende sull’economia, sulla cultura, sulla società. l’Italia ha costruito una sua forma di americanizzazione. Il risultato è un ibrido. CAP 4 – La società affluente 1. L’impatto della società sui consumi 1. dagli anni ’70 al nuovo millennio Dopo lo straordinario periodo di crescita, gli anni 70 rappresentano in brusco risveglio per tutta l’Europa. Inizia con un periodo segnato dalla depressione economica a seguito dello shock petrolifero del ‘73. I consumi sono la prima vittima. Con la crisi economica si proietta un’ombra oscura sullo sviluppo futuro. Si passa dall’infinito sviluppo agli interrogativi sul porsi un limite allo sviluppo. La nuova parola d’ordine diventa il risparmio. Inizia l’era dell’austerity. Bisogna limitare i consumi di petrolio, pertanto ridotta la circolazione delle automobili. Negli anni 80 nuova fioritura dell’economia. II miracolo economico. C’è una seconda ondata di consumi, non più di sussistenza ma di viaggi, vacanze, moda, cosmetici, seconde auto, palestre, seconde case, beni voluttuari. La pubblicità rappresenta quegli anni. Gli italiani non sono mai stati meglio. I loro consumi sono agganciati a quelli medi europei. È un momento storico. Non durò a lungo perché negli anni ’90 vari fattori si riflettono in un’attitudine più ponderata nel campo dei consumi, che vede l’emergere di nuovi prodotti tecnologici e conosce un forte diversificazione. Viene messo in ombra il concetto di classe, preferendo il concetto di diversi stili di vita. I consumi sono parte imprescindibile dello stile di vita occidentale, ma il loro ruolo culturale è in trasformazione. Questa è l’immagine che ci si presenta nell’ultimo scorcio del XX secolo. Poche ricerche su questi anni ma possiamo fare delle ipotesi: a. anni 70: sono gli anni della crisi, degli anni di piombo, uno dei periodi più difficili nella storia italiana. Nonostante questo, i consumi privati crescono per tutto il decennio (solo nel 75, anno della vera crisi, ci sono delle diminuzioni). C’è una certa crescita nel periodo 73-93. Ovviamente, rispetto agli anni precedenti la crescita è limitate e viene vista come una crisi totale. Se sommate alla crisi politica, ovviamente il bilancio diventa negativo. In questi anni però i consumi si diffondono anche tra i ceti popolari. Questo avviene con un ventennio di ritardo rispetto all’Europa. Il possesso dei beni non è più indicativo dello status sociale. La differenziazione si sposta sui beni più costosi, sui servizi e sugli svaghi. b. Anni ’80 e ’90: la pubblicità acquista un ruolo mai visto prima, rimbalzando da un media all’altro. I consumatori giustificano le loro scelte e determinano la propria soggettività. Il periodo è etichettato con gli slogan pubblicitari, (come la Milano da bere della Ramazzotti). C’è benessere e lavoro per tutti. Ruolo della pubblicità ampliato grazie alle televisioni private, promuovendone lo sviluppo. Nell’84 la Fininvest (odierna Mediaset) di Berlusconi si configura come un’impresa di rilievo con tre canali nazionali (Canale 5, Italia 1 e Retequattro), una società di videoproduzione (Videotime), una gestione della rete di trasmissione e una per la pubblicità (Publitalia ’80). Il suo impatto sull’immaginario collettivo è enorme, non solo per la massiccia pubblicità ma anche per il tipo di programmazione. Il consumo televisivo raggiunge picchi elevatissimi (229 minuti a testa nel 99, quasi un record in Europa). I consumi si tendono a trasformare da familiari ad individuali. Importanti cambiamenti demografici: cala la natalità e la dimensione della famiglia si va sempre più riducendo. La famiglia cambia culturalmente e tipologicamente. Sempre più in aumento gli anziani. La rappresentazione ottimistica degli ultimi anni del 900 merita qualche critica. La caratterizzazione degli individui non discende solo dalla posizione sociale della famiglia d’origine, ma influita da altri fattori. Le grandi differenziazioni strutturali della società hanno oggi poco significato e siamo più liberi di crearci il nostro destino. Le persone scelgono il loro modo di essere e i consumi esprimono le loro scelte. Queste teorie sono state utilizzate nelle ricerche di mercato. Ma secondo altre teorie e ricerche sul campo non è così: una persona è ancora influenzata dalla sua origine sociale e ne determina ancora il suo destino. Non vale nel discorso femminile, in quanto le donne, nell’ultimo secolo hanno ridotto il gap dagli uomini ma hanno assommato il lavoro alla famiglia e questo le spinge a posporre il matrimonio e a limitare/evitare i figli quindi in parte la differenza si è attenuata e in altre no. Anche per i giovani c’è un discorso ambiguo. Che è nato negli anni ’90 ha un livello di scolarizzazione più alto ma si distinguono per il ritardo dell’ingresso nel mondo del lavoro e un lungo periodo di precariato o semi occupazionale. È vero che il restare in famiglia offra dei vantaggi ma comporta uno stato di dipendenza e ha ripercussioni negative su carriera e sulla possibilità di creare una famiglia. i giovani nati verso la fine del 900 vivono per molti versi, in una condizione più difficile. Ancora determinante il fattore geografico. Questi elementi sono fondamentali per lo studio del lavoro. Detto questo analizziamo le principali tendenze in atto. I consumi delle famiglie continuano a crescere, sia pure con ritmi diversi. C’è una riduzione delle spese alimentari. A livello qualitativo si preferisce una dieta vegetariana e variata, a livello quantitativo, si avvicina al resto d’Europa. Si contrae anche la voce per l’abbigliamento. Casa e combustibili mostrano un’impennata con una crescita concentrata soprattutto nell’ultimo periodo. Spostamento spesa verso la casa. comunicazioni e trasporti aumentano e salgono anche le altre spese (in modo più contenuto). Tra questi spicca il consumo dei beni tecnologici e per la comunicazione. Si assiste una decisa stabilità nelle differenze di consumo fra le grandi aree geografiche del nord, centro, sud e isole, che conferma la tradizione geografica. La crescita non ha cambiato la ripartizione territoriale dei consumi. L’ultima notazione riguarda il fenomeno dell’immigrazione. L’immigrazione di stranieri in Italia ha influenzato la percezione del paesaggio urbano e anche l’immaginario legato ai consumi. Nelle città sono fioriti negozi specializzati. Questi, con il turismo e i media, portano alla scoperta di cibi internazionali e dal gusto etnico da parte degli italiani di fine millennio, contribuiscono a integrare nel paesaggio dei consumi quello che una volta veniva definito esotico. Da non dimenticare che anche gli immigrati sono consumatori. Anche gli immigrati sono consumatori. Le loro spese riguardano casa, vestiario, trasporto. Il 14% è fatto di rimessa, mandate al paese d’origine. Il bene posseduto da tutti è il telefono cellulare, televisore, lavatrice, impianto Hi-Fi, videoregistratore. Ne esce un quadro che risente dei prezzi dei beni e indica una speciale attenzione al risparmio e ai beni di comunicazione e socializzazione. Conferma anche l’eterogeneità delle provenienze sociali e il cosmopolitismo di molti nuovi immigrati. I consumi sono aumentati e si sono diversificati merceologicamente: abbiamo tutti più cose e diverse, anche se non nella stessa misura. 1.2 politica e consumerismo quali sono le cadute a livello politico a fine del Novecento? Continua il supporto alle politiche per il consumo. Si va incontro alla liberalizzazione e a molte riforme per ridurre i costi dello stato sociale, con il coinvolgimento di enti no profit. Continua ad avere valenza d’integrazione sociale, di cittadinanza nel senso indicato da Marshall. Agli inizi del III millennio la politica basata sui consumi sembra essere in difficoltà per via delle crescenti problematiche economiche e sociali e di occupazione giovanile. Negli anni 90 la politica è messa a dura prova anche dagli scandali alimentari. Crescono in tutta Europa le manifestazioni e azioni individuali e collettive, con un sottofondo politico: scioperi della spesa per protesta, si boicottano dei marchi per ragioni etiche (danni ambientali o sfruttamento) o si acquistano prodotti che garantiscono il rispetto dei diritti del lavoro. Da queste manifestazioni si possono osservare due aspetti: a. i principali protagonisti di queste campagne sono soggetti sottorappresentati all’interno della politica alta b. i luoghi dell’azione sono molto diversi: luoghi, centri commerciali, internet. Il consumo politico è l’unica modalità, per alcuni gruppi, di esprimere la loro posizione etica e politica. Ciò che viene messo in crisi sono le forme e i luoghi tradizionali della partecipazione politica. 3. nuovi prodotti emergono i distretti industriali: conglomerati locali dello stesso settore. Esso si innesta su un tessuto sociale e comunitario vivo da tempo, e famiglie e imprese divengono un continuo. Simili realtà diventano la “via italiana” allo sviluppo, in contrapposizione al declino delle imprese fordiste. Questi distretti sono i veri protagonisti del made in Italy, capaci di coniugare la qualità alla produzione in serie, unitamente a prezzi contenuti. I settori nel quale sono presenti sono spesso i settori dei beni di consumo finali. Questi beni sono sia per l’export che destinati ai mercati nazionali. I prodotti vengono notevolmente valorizzati grazie alla pubblicità. Due settori anno avuto un forte impatto: a. beni tecnologici è una nuova rivoluzione ma non si capisce ancora bene l’impatto sul futuro. Ogni categoria d consumatore ha un approccio diverso alla tecnologia. I colossi dell’informatica (Intel, Hp, Apple e Microsoft) creano prodotti con particolari caratteristiche ma non sono scritte nelle specifiche, facendo si che i consumatori li piegano alle loro esigenze. Il computer è utilissimo. Aiuta per il lavoro e per lo svago. In Italia, nel 2005 il 40% delle famiglie aveva un computer. L’Italia inizia a vedere una diffusione delle tecnologie graduale, inizialmente ostacolata dall’alto prezzo. Il computer è il simbolo della nuova era, un po’ come lo era stata l’automobile. Il vero strappo è il cellulare, usato da tutti gli strati sociali, con record europei. Costano poco e sono facili da usare. Essi hanno provocato una vera e propria rivoluzione nelle telecomunicazioni. Successo ricorda al binomio lavatrice/frigorifero e tv. Ha accelerato il mondo della comunicazione globale. Molti studi hanno confermato il suo ruolo come oggetto affettivo. b. Nuovi beni: nuovi derivati delle plastiche, l’edilizia, trasporti, fibre tessili ecc. Va ricordata anche la lunga catena che ci permette di avere gli alimenti sulle nostre tavole. Ci sono 3 tipi di gruppi alimentari: i cibi che vengono modificati per ragioni dietetiche, di comodità o salutistici; i prodotti tipici (DOP o IGP. Esistono da secoli ma non avevano mai assunto questo significato. Sono simbolo dell’italian eating); prodotti biologici (molto di nicchia). Negli alimenti si assiste
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