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E se fossero persone? - Davide Carpaneto e Mirko Anzalone, Appunti di Geografia Politica

Riassunto completo del libro "E se fossero persone? Dalla teoria alle pratiche: un'analisi trasversale del fenomeno dell'accoglienza ai migranti in Italia. Libro di Davide Carpaneto e Mirko Anzalone

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 28/06/2023

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anna-merlo-5 🇮🇹

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Scarica E se fossero persone? - Davide Carpaneto e Mirko Anzalone e più Appunti in PDF di Geografia Politica solo su Docsity! E SE FOSSERO PERSONE? Dalla teoria alle pratiche: un’analisi trasversale del fenomeno dell’accoglienza ai migranti in Italia. (Mirko Anzalone, Davide Carpaneto). Introduzione L’immigrazione e l’emigrazione sono fenomeni in continua evoluzione che hanno coinvolto e che coinvolgeranno l’intera umanità nella sua storia e nella sua geografia. Questo libro tratta:  Uno spazio: l’Italia e il bacino del Mediterraneo;  Un tempo: l’ultimo decennio;  Una categoria ben precisa di persone: i richiedenti asilo e rifugiati  appartiene a questa categoria lo 0,9% della popolazione mondiale, ovvero circa 65 milioni di persone. Questo fenomeno non ingloba tutti quelli che intraprendono il viaggio, ma quelli che, giunti sul suolo italico, domandano asilo politico, e fino a che non verrà emesso un verdetto definitivo, verranno considerati richiedenti asilo fino a prova contraria. I giudizi sui migranti colpiscono indiscriminatamente ogni schieramento coinvolto, spesso senza pietà, senza mira, senza dignità, ma quasi sempre senza coscienza e senza una conoscenza adeguata. L’intento di questo testo è quello di offrire a qualunque lettore una visione d’insieme lineare, semplice e coerente dell’argomento. 1. Flussi e correnti Due principali “vie” africane (poiché, incrociando i dati ufficiali, cedono il passo ai maggiori flussi e risultano essere le più strutturate e organizzate):  Quella occidentale che passa per il Niger  Quella orientale che attraversa il Sudan Negli ultimi anni il nostro paese ha accolto un gran numero di persone provenienti da specifiche aree geografiche e geopolitiche: 1. Si riscontra un forte flusso, e quindi un ampio riscontro poi nell’accoglienza, per persone provenienti da Paesi della così detta Fascia Saheliana (Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Ghana, Cameroon, Guinea B., Guinea C., Gambia, Eritrea, Etiopia, Somalia). Pochi arrivano dal Nord Africa, solo negli ultimi anni le popolazioni magrebine hanno ripreso a solcare il Mediterraneo per giungere in Italia. Non risultano riscontri significativi dei Paesi del continente africano che si trovano sotto la linea dell’Equatore. 1 2. Ci sono anche due grossi flussi di origine asiatica: uno abbastanza costante nel tempo costituito da cittadini del Pakistan e Bangladesh, un secondo gruppo più discontinuo e meno intenso che a seguito delle diverse tensioni e instabilità nella zona del Medio Oriente e negli Urali è meno intenso ma in crescita, in cui troviamo protagoniste le popolazioni di Iran, Iraq, Afghanistan e Siria. Per molte persone provenienti da questi ultimi paesi, l’Italia non rappresenta quasi mai la nazione di arrivo o quella in cui desiderano stabilirsi al termine del loro esodo, tuttavia si trovano spesso bloccati nell’iter burocratico e giuridico delle norme e prassi dell’accoglienza. Le popolazioni bengalesi e pakistane tendono ad arrivare per via aerea nel continente africano (Libia soprattutto). - ci sono altre nazioni da cui fuoriesce un grande flusso migratorio (nello specifico, Iran, Afghanistan e Siria) a causa della situazione politico-militare che investe questi paesi. Tuttavia, dal 2016 questi flussi hanno trovato un forte sbarramento da parte della Turchia, sotto “richiesta” dell’Unione Europea. - il 18 marzo 2016 (e rinnovata nel 2017 e 2018) UE e Turchia hanno firmato un accordo di ampia portata sul controllo dell’immigrazione, ufficialmente, sotto forma di dichiarazione. - in cambio di 6 miliardi di euro (iniziali) e di concessioni politiche da parte dell’UE, la Turchia ha accettato di riprendere in carico tutti i “migranti irregolari” giunti sulle isole della Grecia  ci sono state molte critiche relative al rispetto dei diritti dei rifugiati su questo territorio (poiché la Turchia punta a rimandare persone verso Paesi in cui corrono il rischio di subire violazioni dei diritti umani o di perdere la vita). A prescindere dal Paese di origine, i viaggi “pre-Mediterraneo” si concludono prevalentemente nelle aree portuali libiche. 1.1 Le vie attraverso il deserto Sebbene le partenze siano molte e frazionate e i percorsi possano variare, ci sono alcune tappe fisse, punti di partenza e di arrivo che difficilmente possono essere evitati: si creano così dei veri e propri “porti” per l’attraversamento del “mare di sabbia” dove si sono sviluppati e consolidati pesanti indotti economici legati a questa transumanza umana. Per attraversare il Sahara, in funzione dell’area d’origine, sono state identificate due grandi rotte che, attraversando il deserto, raggiungono la Libia dall’Africa Occidentale e dal Corno d’Africa:  Rotta nigerina/occidentale Il Niger è popolato da circa 20.067.500 con un PIL pro capite e molti altri indici di benessere fra i dieci più bassi al mondo  lo Stato è diviso tra una stretta regione coltivabile a sud ed un’ampia zona arida che porta il Niger a vivere una costante situazione di insicurezza alimentare. Dalla sua indipendenza (1960) ha sofferto numerosi periodi di tensione politica in alcuni casi sfociati in veri e propri scontri armati tra governo e milizie tuareg, entrambe interessate alla gestione delle risorse minerarie (uranio) attorno ad Agadez e alle volontà indipendentistiche delle popolazioni tuareg a Nord. Questa contingenza storico-geografica, in aggiunta all’adesione del Niger all’ECOWAS (un’unione di Paesi dell’Africa Occidentale simile a Schengen) ha reso questa via preferibile e più legale rispetto al passaggio lungo la frontiera algerina, molto più instabile e pericolosa.  il passaggio continuo di persone creò opportunità occupazionali, ma l’UE, nell’ottica di contenimento dei migranti, spinse il governo nigerino a respingere le attività in questo settore con un conseguente incremento di azioni e sistemi illegali legati a questi viaggi e l’intensificazione dell’uso di nuove rotte sempre meno sicure (in questo contesto persiste una missione militare italiana poco pubblicizzata e sicura, ma approvata e ancora oggi finanziata). 2 Lacerata dalle lotte interne tra le milizie rivali (regionali e locali) ancora presenti nel territorio, dall’azione di un debole governo centrale e dalla comparizione dell’ISIS (poi sconfitta), la situazione sociopolitica del Paese rimase assai poco stabile e controllata. La partenza via mare Arrivati in Libia, i migranti affrontano abusi, furti o arresti da parte delle milizie e delle autorità (o sedicenti tali) libiche; molti si imbattono in una vera e propria compravendita di schiavi gestita da organizzazioni e gruppi a contatto con i trafficanti. Spesso sono gli stessi autisti a condurre i loro “clienti” presso altri trafficanti/presso milizie e polizie in cambio di denaro e/o favori: quando cadono in questa rete, i migranti si trovano nuovamente privati di ogni diritto, libertà ed eventuale proprietà; devono ricominciare da capo per imbarcarsi, e nel frattempo, sopravvivere. Kingsley (corrispondente del Guardian in Egitto) ha raccontato in maniera dettagliata il traffico illegale di migranti nel Mediterraneo Centrale: ha mostrato come ogni trafficante personalizzi la modalità di trasporto (chi usa grandi gommoni, chi barche in legno), ma quello che è sembrato essere omogeneo è il modo di trattare l’imbarco. - Il costo della tratta è risultato variabile a seconda dell’area politico-geografica di provenienza: un trafficante, in un’intervista, ha spiegato che i siriani, per esempio, pagano di più per avere maggior sicurezza nella tratta a differenza dei sub-sahariani che, essendo molto più poveri, non hanno grandi aspettative. - dall’intervista si evince che la banda di trafficanti intervistata accumulava circa 700mila euro a settimana. Come funzione l’imbarco: - i migranti ricevono una telefonata e vengono inviati in una zona predisposta e controllata dai trafficanti; - viene dato loro da bere e da mangiare, più la possibilità di usare il bagno, prima dell’imbarco, ma niente bagagli e niente cellulari; - poi si cercherà di riempire l’imbarcazione e di partire prima possibile, ma a volte prima di aspettare il momento opportuno bisogna aspettare giorni se non settimane. A questo punto inizia il viaggio per mare, ma prima (non sempre) vengono distribuiti un po’ di cibo e acqua, giubbotti salvagenti (spesso venduti a bordo), ennesimo passaggio di consegna, dal trafficante di terra allo scafista.  dopo numerosi arresti, queste persone oggi agiscono per interposta persona, ovvero non salgono più sulle imbarcazioni che devono coprire solo piccoli tratti di navigazione, ma lasciano che sia un migrante, con minime competenze nautiche o semplicemente disposto a guidare l’imbarcazione in cambio di un passaggio gratuito, il sostituto dello scafista. Mentre un tempo gli scafisti giungevano direttamente con le barche sulle nostre coste, oggi si avvantaggiano dalle norme di diritto internazionale, lasciando imbarcazioni alla deriva, oltre le acque territoriali libiche, puntando all’attivazione normativa ed umanitaria di un processo di recupero e salvataggio che vede l’intervento di organi terzi che portano i migranti sulle nostre coste. 2. Regole e Convenzioni Uno Stato (e il proprio governo) ha il dovere di agire sulla base delle leggi interne in vigore e degli accordi internazionali che ha deciso di scrivere, sottoscrivere e ratificare (gli accordi internazionali vengono scritti e approvati dagli Stati stessi dopo lunghe trattative). Costituzione Art. 10: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.  3 punti fondamentali:  Ci sono persone che hanno diritto d’asilo in Italia;  L’Italia riconosce i trattati internazionali che riguardano questo tema e si impegna ad agire in linea con questi;  Per i “dettagli” ci devono essere specifiche leggi ordinarie. Immaginiamo un individuo proveniente da un luogo qualsiasi: ancora prima di iniziare il viaggio, gode del diritto di muoversi in giro per il mondo per via della Carta dei diritti dell’uomo (art. 13 e 14). Nessuno ha l’obbligo di accoglierlo, ogni Stato decide chi e come accettare. 5 Questo individuo ha anche il diritto di poter farsi riconoscere come rifugiato qualora scappi dal proprio Paese per motivi di persecuzione, grazie alla Convenzione di Ginevra del 1951 (art. 1). Tale Convenzione obbliga anche gli Stati ad applicare 2 principi importanti pensati per la tutela delle persone perseguitate:  Non rifiutare l’accesso al Paese e non rispedire indietro l’individuo prima di verificare se sia un vero rifugiato (principio di non refoulement);  Nel caso di dubbi o comunque fino all’accertamento dello status di rifugiato, va considerato tale (in Italia in questa fase vengono definiti richiedenti asilo). Esistono altre Convenzioni per quanto riguarda la Comunità Europea. Quando l’individuo cerca di entrare in Europa, si imbatte nelle Convenzioni di Dublino = una serie di trattati tra gli Stati Europei in tema di diritto di asilo, che regola “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)”. Questo individuo, una volta sbarcato in Italia, anche qualora voglia andare in un altro Paese europeo, deve obbligatoriamente fare richiesta di asilo in Italia e aspettare l’esito della propria istanza (nelle modalità previste dalle leggi italiane). Ci sono altre Convenzioni internazionali utili a capire come mai i migranti che vengono salvati vengono molto spesso portati in Italia. Convenzioni di Amburgo (1989) e Montego Bay (1994) = pilastri del diritto internazionale marittimo che regolano anche il “dovere di soccorso” in mare e il Search and Rescue (SAR), azione che si basa su due indicazioni specifiche:  Distress = valutazione dello stato di difficoltà dell’imbarcazione da soccorrere e il potenziale pericolo dei suoi passeggeri;  Place of safety = portare l’imbarcazione o l’equipaggio presso il porto sicuro più vicino. Ogni imbarcazione deve segnalare un natante in difficoltà avvistato e prestare soccorso secondo le istruzioni delle autorità competenti (qui il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, attraverso l’IMRCC di Roma – Italian Marittime Residue Coordination Center). Le acque SAR italiane (dove l’Italia ha obbligo di intervento) sono estese oltre 500 mila kmq => il place of safety più sicuro e vicino ai confini libici sarà quasi sempre un porto italiano. - Malta possiede acque SAR molto ampie, ma ha limiti alla ricezione (ha ottenuto dai trattati una speciale esenzione rispetto all’accoglienza dovuta alle ridotte dimensioni del suo territorio); - Libia e Tunisia non sono membri delle Convenzioni e i loro non sono considerati porti sicuri. Quindi, questo individuo che ha raggiunto un porto libico e si è imbarcato su un natante, viene spinto nelle acque SAR italiane; per forza delle leggi italiane che riprendono gli accordi internazionali, verrà portato in Italia (Conv. Amburgo e Montego Bay), sarà trattato come un possibile rifugiato (Conv. Ginevra) e dovrà volente o nolente fare richiesta di asilo in Italia (Conv. Dublino). L’Italia non può cambiare le regole internazionali da sola senza incorrere in sanzioni da parte degli altri Stati membri, né può prescindere dal dialogare con le altre Parti Contraenti. La pregnanza e il valore etico e legale che certi trattati internazionali contengono all’interno delle proprie righe, tendono spesso a scivolare in secondo piano lasciando spazio ad una incompletezza di certo più accattivante, ma molto meno onesta intellettualmente. 3. Chi agisce in mare? 3 attori principali del soccorso marittimo: Capitaneria di Porto, Frontex e Ong (senza dimenticare gli attori occasionali che partecipano al fenomeno: le navi mercantili). 3.1 Scafisti Inizialmente gli scafisti si occupavano direttamente del trasporto e del pilotaggio delle imbarcazioni: tassisti abusivi del mare che traghettavano le persone da una costa all’altra, utilizzando finché possibile la stessa imbarcazione. Con l’aumento di arresti e sequestri, gli scafisti cambiarono strategia: per un periodo intermedio, furono soliti abbandonare su zattere o gommoni i passeggeri a ridosso delle coste italiane. Stando ai dati della Guardia Costiera Italiana, appare chiaro come oggi queste figure siano più simili ad armatori che si occupano dell’allestimento e carico dei barconi governati dai migranti a cui viene offerto il viaggio. 6 Queste persone/organizzazioni lavorano sempre più “in rete” con altri operatori del settore (autisti…), realtà locali (milizie…) e con la criminalità organizzata. Gli scafisti fanno di questo espediente un’attività di impresa applicando modelli di massimizzazione del profitto, utilizzando imbarcazioni fragili, inoltrando le partenze in condizioni di mare mosso… => aumento del fattore di rischio per i migranti. 3.2 Capitaneria di Porto Questo assetto rappresenta il mondo istituzionale navale italiano che ricopre sostanzialmente due ruoli: coordinamento e azione (sebbene l’azione venga portata avanti da diverse realtà che comprendono Marina Militare, Guardia di Finanza, Carabinieri e non solo). Al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto viene affidato il compito di assicurare l’organizzazione efficiente dei servizi di ricerca e salvataggio (SAR)  il Comando Generale assume le funzioni di IMRCC (Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo): questo coordinamento coinvolge tutti gli attori, civili, militari, forze dell’ordine nazionali e internazionali, rendendo l’IMRCC di fatto un punto di raccolta per le richieste di aiuto che ha il dovere e l’autorità di gestire e destinare i diversi assetti navali nei vari “porti sicuri”. Esso costituisce anche il punto di coordinamento con Frontex, l’altro attore istituzionale. 3.3 Frontex Frontex è l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Coordina le operazioni marittime (es in Grecia, Italia e Spagna) alle frontiere terrestri esterne, tra cui Bulgaria, Romania, Polonia e Slovacchia. È anche presente in numerosi aeroporti internazionali europei. Frontex non dispone di attrezzature o guardie di frontiera proprie: quando coordina operazioni congiunte, si affida ai paesi dell’ex UE per la fornitura di guardie di frontiera, navi, aerei e altre risorse, rimborsando i costi. È il punto di coordinamento fra le diverse realtà nazionali in materia di lotta alla criminalità transfrontaliera (traffico d’armi, di droga, tratta umana…). Ha diversi ambiti di competenza, che riguardano sia aspetti pratici (come l’invio di squadre internazionali o lo scambio di informazioni) e teorici (come l’analisi dei rischi sulle possibili azioni criminali transfrontaliere e l’azione di intelligence). Nonostante le similitudini, le attività dell’IMRCC si focalizzano maggiormente sul salvataggio, mentre quelle di Frontex prediligono la lotta alla criminalità. 3.4 Marina mercantile, pescherecci e altri natanti privati Ogni natante ha il dovere e l’obbligo di prestare soccorso a chi è in difficoltà e di mettersi a disposizione dell’IMRCC. È per questo che si sente parlare di navi mercantili o pescherecci con a bordo profughi e migranti. Le navi mercantili possono attivarsi di propria iniziativa se ricevono una richiesta di soccorso , altrimenti possono essere chiamate ad intervenire dalla Capitaneria di Porto, se l’imbarcazione risulti essere la più vicina al luogo dell’incidente. 3.5 Organizzazioni Non Governative Le Ong sono pilastri delle attività di cooperazione allo sviluppo e dell’azione umanitaria, devono condividere l’assenza dello scopo di lucro e un telos umanitario. Oggi costituiscono un universo assai variegato che esercita enormi differenze in termini di: grandezza, esperienza, anzianità, ampiezza di attività, etica, deontologia e modus operandi; talvolta sono neutrali, altre volte sono schierate e solidali con specifici gruppi, fazioni politiche o religiose. Partecipano alle attività SAR nel bacino mediterraneo: Moas (con a bordo elementi della Croce Rossa Italiana), Seawatch, Sos Mediterranee, Sea Eye, Medici Senza Frontiere, Proactiva Open Arms, Life Boat, Jugend Rettet, Boat Refugee e Save the Children  queste organizzazioni hanno allestito ed equipaggiato le rispettive imbarcazioni con le risorse umane e logistiche necessarie per gestire il salvataggio in mare. Alcune Ong svolgono diverse attività, tra cui il SAR nel Mediterraneo, altre sono nate con questa crisi e con il solo scopo di salvare i naufraghi. 7 3. Giornalisti e Ong hanno descritto come gli atteggiamenti e le modalità di intervento/ingaggio della Guardia Costiera libica stiano creando forti tensioni nelle azioni di soccorso congiunte. Di fatto, con l’ingresso di questo nuovo attore, i numeri da agosto 2017 ad agosto 2018 ci dicono che  Gli sbarchi in Italia sono diminuiti;  Il numero dei morti e dispersi in mare è aumentato;  Cresce la preoccupazione per il sovraffollamento dei luoghi di detenzione in suolo libico in funzione delle naturali e disumane conseguenze che tutto questo può comportare. 4.3 Tra il dire e il fare, c’è di mezzo… Oltre alle criticità legate alla Guardia Costiera libica, con l’inizio dell’estate 2018 e l’insediamento del nuovo Governo italiano, è sbocciata una serie di episodi controversi che hanno coinvolto non solo i migranti e le imbarcazioni che li hanno salvati, ma una parte della Comunità Europea. Caso della nave Aquarius della Ong “SOS Mediterranee”: la nave, in collaborazione con l’IMRCC (quindi le autorità italiane), aveva accolto e salvato 629 persone sul limitare delle acque libiche. In via mediatica il Governo dichiarava la chiusura dei porti: questione impraticabile non solo su testimonianza e ammissione della Guardia Costiera italiana, ma poiché metterebbe l’Italia a rischio sanzioni per infrazione dei trattati. La realtà dietro al fatto fu che il Governo prese semplicemente tempo, cercando di utilizzare una sofistica giuridica* nel tentativo di coinvolgere le autorità maltesi. * nessun porto può essere chiuso arbitrariamente senza che vengano evidenziate determinate criticità in materia di place of safety Passati i giorni, mentre l’IMRCC era in procinto di dichiarare lo stato di necessità e forzare l’attracco, è intervenuto il primo ministro spagnolo che si p interposto alla diatriba italo-maltese lasciando attraccare la nave in porto spagnolo. 5. Le origini dell’accoglienza Dalla fine degli anni 90 ad oggi, l’Italia ha vissuto gli effetti di mutamenti, cambiamenti e trasformazioni delle dinamiche migratorie in cui spesso non si capisce se sia stata attrice o spettatrice, e al contempo artefice o vittima delle proprie difficoltà nell’affrontare tali dinamiche. In Italia, è nata la legge sull’immigrazione nel 1990 (legge Martelli), con la grande revisione del 1998 (Turco- Napolitano e Testo Unico dell’Immigrazione), seguita da altre rielaborazioni nel 2002 (Bossi-Fini). La regolamentazione si è sviluppata anche attraverso norme non direttamente legate al tema, come il pacchetto sicurezza del 2009. Il 7 aprile 2011 viene proclamato lo stato di emergenza tramite decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Già da prima della crisi si presentavano migranti in cerca di prospettive lavorative: invitati più o meno consapevolmente a colmare aree lavorative non sfruttate dagli italiani, giunsero nordafricani, est europei, balcanici, sudamericani, asiatici e subsahariani, ognuno con le proprie peculiarità, accompagnati da differenti dinamiche migratorie. Il panorama internazionale attorno al Mediterraneo si è trasformato, con nuovi conflitti armati, nuovi scontri tra grandi potenze per l’estensione delle proprie influenze e dei propri interessi economici  di conseguenza, iniziarono a cambiare anche i moti migratori: nuove zone di instabilità partorirono o favorirono l’impoverimento di intere regioni a causa dei conflitti in atto. Prima i migranti venivano soccorsi e salvati nei pressi della costa italiana, ora gli scafisti-armatori portano (o meglio, fanno portare) il carico umano oltre le acque libiche, tunisine o egiziane, in attesa che qualcuno vada a recuperarlo, sfruttando il sentimento umanitario e normativo che spinge i nostri servizi navali istituzionali e le Ong ad aiutare chi è in difficoltà. 2014: - anno della grande esplosione del fenomeno dell’accoglienza in territorio italiano; - anno in cui sono nati i tre pilastri normativi che hanno portato ad un cambiamento gestionale del fenomeno e che guidano le maglie dell’accoglienza contemporanea. - dal 2014, con la stesura del relativo Piano Nazionale, viene palesata una presa in carico dell’emergenza, prevedendo un intervento correttivo biennale (o più rapido se necessario) in attesa dell’esaurimento della stessa. 10 Dopo oltre 4 anni, attraverso fragili incoraggiamenti, le istituzioni ammettono uno spaesamento ancora preoccupante. Al Piano del 2014 si è aggiunto un altro documento correttivo/integrativo, chiamato “Roadmap Italiana” (una tabella di marcia attraverso cui l’Italia si è impegnata a seguire le disposizioni europee in materia di asilo).  la Roadmap italiana ha in pratica cercato di ricalcare e giustificare il Piano del 2014, offrendo una risposta effimera, oltre che certificata con estremo ritardo. Decreto Minniti-Orlando (2017): abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, abolizione dell’udienza, estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari, introduzione del lavoro volontario per i migranti (ci sono state diverse critiche di incostituzionalità).  il decreto Minniti-Orlando, così come il Fondo Africa, non sembrano proporre alternative o integrazioni sostanziali alle prassi nazionali rispetto al Piano del 2014 e alla Roadmap del 2015. 5.1 Tre livelli Gestione della prima accoglienza ai richiedenti asilo politico in Italia: in questo processo, si sovrappongono 3 realtà = quella della potenza, quella dell’azione e quella della vita reale.  Vi sono delle direttive, leggi, decreti e convenzioni che descrivono una visione a monte, legislativa e normativa, potenziale quindi del fenomeno (potenza teorica);  Vi è poi la messa in atto formale di queste linee guida (azione teorica);  Infine, vi è il mondo reale in cui si agisce (vita reale);  Vi è poi una zona d’ombra in cui si muovono dinamiche irregolari, illegali o immorali.  Le narrazioni potenziali, o intenti formali, saranno una trasposizione delle normative delle diverse istituzioni;  Quelle d’azione, o prassi normative materiali, descriveranno l’implementazione delle direttive da parte degli organi preposti alla gestione e presa in carico del fenomeno;  Quelle relative alla vita reale, o sostanziali, accompagneranno l’analisi delle pratiche. Esempio: insegnamento della lingua italiana ai richiedenti asilo  Formalmente si richiede che ogni soggetto, al termine del percorso, abbia acquisito una sufficiente competenza linguistica;  Materialmente ogni bando prefettizio può richiedere o meno un certo ammontare di ore d’insegnamento per migrante;  Sostanzialmente non esiste alcun programma ministeriale didattico a cui far riferimento, per cui una struttura può, in base ai vincoli del bando, disporre tanto di docenti preparati e abilitati, quanto di persone volonterose ma impreparate. 6. Il piano d’azione italiano Iter che i migranti devono affrontare una volta sbarcati in Italia. Dalla fine degli anni Novanta, fino al 2010/2011, la rete dell’accoglienza si nutriva principalmente di stato e istituzioni e veniva gestita per lo più dai centri di prima (CARA, CDA…) e seconda (SPRAR = sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) accoglienza. Con l’arrivo in Italia dei migranti sub sahariani in fuga a causa del conflitto libico (2011/2012), la rete ordinaria si trovò completamente sovraccarica, fatto testimoniato dall’apertura delle prime strutture temporanee in stile emergenziale (a volte vere e proprie tendopoli).  la natura straordinaria del fenomeno venne percepita con ritardo dalle autorità, che nel 2012 decisero di istituire, sotto la supervisione della Protezione Civile, i primi centri speciali di accoglienza per quella che fu chiamata “Emergenza Nord-Africa”. Nacquero dei nuovi centri d’accoglienza temporanei: questo sistema, precursore dei contemporanei CAS (Centri di accoglienza straordinaria) può essere considerato la chiave di volta che ha rivoluzionato la gestione nazionale del fenomeno emergenziale.  quindi, fino a quel momento (tra il 1998 e il 2012/2013), quando un cittadino straniero inoltrava richiesta di asilo politico in Italia si attivava un percorso di prima accoglienza (schedatura, raccolta informazioni…) ospitando il migrante in grandi strutture (CARA…); in attesa dell’esito giuridico della sua richiesta, il sistema SPRAR provvedeva poi al suo sostentamento, integrazione, orientamento ed educazione/formazione. In un clima di emergenza prevedibile, ma non calcolata, arriviamo al Piano Nazionale 2014, promotore di 3 livelli separati di accoglienza: 11  Una fase di soccorso (Centri di primo soccorso e assistenza nelle regioni di sbarco o limitrofe);  Una fase di prima accoglienza e qualificazione (Centri-Hub regionali e/o interregionali);  Una fase di seconda accoglienza ed integrazione (Sistema SPRAR). Ogni volta che un cittadino straniero non-comunitario e non-Schengen entrava in Italia in maniera non regolare, cioè senza un visto dell’ambasciata del Paese di provenienza, si dovrebbe attivare un processo giuridico (normativo) ed esecutivo (operativo) rappresentato dallo schema proposto nel capitolo primo del Rapporto sulla Protezione in Italia del 2014. Il Piano relativo al percorso attivo fino al 2014 ricalcava le 3 fasi principali del precedente operativo-normativo nazionale: 1. Prima assistenza e identificazione 2. Prima accoglienza o 2bis. Procedura di espulsione. 3. Seconda accoglienza, ma rispetto al modello precedente, propone nuove posizioni e procedure non sempre chiare ed effettive. 12 Questo sistema oggi si vede modificato e sregolato nella prassi: aver spostato in avanti il momento della domanda, dal soccorso alla prima accoglienza, senza aver tenuto conto della preparazione e del controllo necessari durante lo spazio e il tempo in cui gli operatori pongono questa domanda, ha portato verso una cristallizzazione operativa. 7.2 La non accoglienza Coloro che, in questa fase post-soccorso, non vengono giudicati idonei per effettuare richiesta d’asilo, o le cui condotte palesano problematiche o accertamenti identificativi, vengono condotti nei CIE o CPR  i CIE attivi dal 2014 sono diminuiti, ma con la riforma Minniti-Orlando stanno venendo ampliati o convertiti in CPR. CIE/CPR non sono stati creati solo per i non aventi diritto di asilo immediatamente segnalati, ma raccolgono principalmente i così detti immigrati irregolari = coloro che, scaduto il permesso di soggiorno, ricevuto e scaduto l’ordine di abbandonare autonomamente l’Italia, vengono fermati dagli organi di polizia privi di permesso. A questo bisogna aggiungere che, chi viene inviato ai CIE/CPR dovrebbe essere trattenuto per un massimo di 90 giorni, ma la permanenza è estendibile fino ai 12 mesi senza l’attivazione di alcun processo davanti ad un giudice.  reclusione amministrativa: la permanenza di cittadini stranieri nei CPR corrisponde di fatto ad una detenzione, in quanto sono privati della libertà personale e sono sottoposti ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, impedisce loro di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale.  i CIE/CPR rappresentano una realtà ben diversa da quella dei centri di accoglienza: questi centri costituiscono dei veri e propri luoghi di detenzione il cui scopo ultimo è l’allontanamento, non l’inclusione o l’integrazione. 8. Il sistema dell’accoglienza Nel 2014 il numero di persone che hanno fatto domanda per ottenere la protezione internazionale è stato 64.886, a fronte di un preventivo della rete SPRAR attiva (ovvero i posti accreditati) per il triennio 2014-2016 che stimava circa 16.000 posti, aumentati in seguito, fino a raggiungere un totale di 31.270. Il sistema CARA, SPRAR… era, almeno in parte, un sistema qualificato, regolato, controllato, che non solo permetteva ai richiedenti asilo di ricevere una valida assistenza poliedrica, ma accordava alla cittadinanza e agli enti locali sicurezza, controllo e integrazione, senza contare che il controllo e la supervisione venivano gestiti dallo Stato e dal Ministero dell’Interno attraverso funzionari esperti. Si è attivata una rete emergenziale per gestire la discrepanza di numeri tanto alta tra domanda (richieste di protezione) e offerta (posti a disposizione), ma la strada intrapresa dal Piano Nazionale del 2014, ripresa nella Roadmap del 2015 e dal decreto Minniti-Orlando appare sempre più contorta e buia. L’emergenza ha distrutto i confini tra ordinario e straordinario, tra prassi sistemica e accomodamento circostanziale, portando il sistema normativo (Governo) e operativo (enti locali ed enti gestori) verso una crasi spesso indistricabile. Il percorso prevede oggi che, dopo la parentesi presso gli Hotspot, i migranti vengano trasferiti entro 48h presso gli Hub regionali  il più delle volte accade questo, tuttavia in circostanze non isolate, vengono direttamente affidati ai CAS.  questa tendenza evidenzia ancora una volta uno sbilanciamento progressivo dell’accoglienza nazionale che converge verso l’emergenza e quindi sui CAS. Modalità di distribuzione dei richiedenti asilo rispetto al territorio: avviene secondo parametri stabiliti per ciascuna regione, secondo una tabella percentuale definita a monte in base a specifici parametri demografici, socio-economici e geografici. 8.1 La “primissima” accoglienza Il Piano Nazionale e le sue evoluzioni palesano la prima grande incongruenza tra intenti e prassi nell’ambito della prima accoglienza. └ vediamo apparire diverse sigle: CPSA, CDA, CARA  ciò che accomuna questi centri è la guida e la gestione: strutture governative a cui lo Stato, tramite gara d’appalto, affida il servizio di gestione ad associazioni, cooperative e privati. Rispetto ai loro predecessori, gli Hub si trovano maggiormente distribuiti sul territorio (uno per regione) e la loro capienza passa attraverso numeri ridotti, fino a grandi affollamenti, senza presentare uno schema predefinito od omogeneo d’intervento. 15 Passaggio dai centri pre-2014 agli Hub regionali: lo Stato ha affidato la gestione e la responsabilità alle Prefetture, che assieme ai Comuni si trovano ad amministrare e spesso autoregolare un sistema liquido e isolato. Questa sovrapposizione di linee guida, convenzioni, e circolari, affiancate da una stratificazione di vuoti normativi, continui a formare un’area di instabilità attorno a tutti gli attori coinvolti nel fenomeno della prima accoglienza.  in linea generale:  la rete “ordinaria” (SPRAR) fa capo principalmente ai Comuni e all’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani);  la rete “straordinaria” è stata in mano alle Prefetture che gestiscono i nuovi centri nati dall’emergenza (Hub e CAS) attraverso appalti o affidamenti diretti, in maniera autonoma e molto diversificata per approcci e tecniche sul territorio nazionale. - i centri Hotspot vivono ai margini delle due sponde. Gli Hub, rispetto ai centri precedenti, svolgono una funzione di “primissima accoglienza”, poiché di fatto sono delle aree di sosta che si frappongono tra i centri Hotspots e i CAS.  essendo un accomodamento temporaneo, i servizi richiesti e offerti restano minimi, sebbene il concetto di temporaneo sia spesso relativo. 8.2 I CAS e l’accoglienza emergenziale I CAS sono stati istituiti con Circolare del Ministero dell’Interno n. 104 dell’8 gennaio 2014, redatta in risposta all’incapacità di sopperire da parte della rete ordinaria alle domande d’asilo effettuate nel nostro Paese. Per quanto nascano con l’intento di permettere una transizione temporanea a causa della saturazione dei centri ordinari e dello SPRAR, oggi rappresentano il vero nervo, talvolta aperto, nella gestione della prima e seconda accoglienza (sebbene una circolare del Ministero dell’Interno del 19 marzo 2014 richiedeva alla Prefettura di stipulare convenzioni che non andassero oltre il 30 giugno 2014 in previsione di una rapida ripresa del circuito ordinario). Nel caso in cui le strutture ordinarie si trovassero al completo, il prefetto può indirizzare l’accoglienza in strutture temporanee, ovvero i CAS. L’accordo tra Stato ed enti locali è un accordo volontario  nessun Comune può essere obbligato ad accogliere, o per lo meno, nessun Comune può essere obbligato ad indire un bando CAS. La distribuzione per quote regionali è obbligatoria e assegnata statalmente, ma l’assegnazione locale resta spesso conflittuale o occasionale. Iter dell’accoglienza: una volta che i migranti vengono trasferiti negli Hub di riferimento, si dovrebbe controllare se vi siano posti liberi all’interno di un progetto SPRAR, ma poiché ormai i posti sono praticamente presi d’assalto dall’eccedente domanda, si valuta quasi sempre l’inserimento diretto in un CAS. Quasi tutti i neoarrivati vengono quindi dirottati verso il primo posto utile CAS in funzione delle divisioni territoriali e dei bandi acquisiti, a meno che non vi siano arrivi diretti provenienti dagli Hotspot. A differenza dei progetti SPRAR che prevedono parametri e intenti ben definiti, la realtà dei CAS gode di un approfondimento e di una specificità normativa decisamente più morbida. - gli standard qualitativi, come i servizi offerti, sono molto più bassi rispetto a quelli previsti dalla rete ordinaria; - nella richiesta tecnica troviamo raramente un’istanza di integrazione e orientamento sociale, mentre al personale che opera all’interno di questo sistema non è imposta generalmente alcuna formazione specifica nel campo umanitario, giuridico, educativo e culturale. Ciò che viene richiesto ad un CAS infondo è quello per cui è stato progettato: 1. provvedere a informare il migrante relativamente alle azioni giuridiche che lo coinvolgono; 2. garantirgli uno standard di sopravvivenza “dignitosa”, in attesa di un’assistenza più approfondita, che tuttavia dal 2014 in poi sopraggiunge con maggiori difficoltà. Per quanto riguarda il tempo di permanenza di ciascun ospite all’interno di un CAS, troviamo un’altra forte incongruenza. Nati per gestire il flusso, in attesa di passaggio presso un posto SPRAR, nella grande maggioranza dei casi i richiedenti asilo trascorrono in CAS tutto il tempo che impiega la Commissione a decretare in ultimo grado se il richiedente asilo otterrà o meno un permesso umanitario. Durante questo lungo iter che vedremo nei seguenti paragrafi 16 (indicativamente si tratta di almeno 12-20 mesi, a volte oltre 2 anni), alcuni ospiti riescono ad entrare all’interno della rete SPRAR quando si liberano dei posti nelle aree di medesima afferenza. - Giungere in un CAS virtuoso consentirà ad ogni ospite di poter inseguire un futuro aperto, positivo e costruttivo; - mentre entrare in uno meno virtuoso, intento solo a “parcheggiare” i propri ospiti, rinunciando ad ogni attività, non porterà mai nulla di buono, sia per i migranti che per le comunità che li accolgono. Teoricamente i rifugiati e titolati di protezione internazionale dovrebbero avere tutti, al di là delle inclinazioni personali e delle capacità/volontà di apprendimento, lo stesso bagaglio:  conoscenze sul “sistema italiano” (civiltà, leggi, regole, modo di vivere);  competenze linguistiche (A2-B1);  pacchetto di controlli medici;  documentazione;  possibilità di inserimento sociale e quando possibile lavorativo. Inizialmente i CAS sono stati creati e lasciati liberi di proliferare senza una verifica della qualità e dell’affidabilità del servizio, a causa di quell’urgenza di parcheggiare le persone definite come “umanità in eccesso”. Un’altra nota dolente legata ai CAS si lega alla scelta dell’istituzione di controllo: la Prefettura, garante e committente, che al di là del lato burocratico, possiede davvero al suo interno figure che conoscono le dinamiche sociali, pedagogiche, migratorie e culturali? 8.3 I possibili effetti negativi della gestione emergenziale Operazione “Mafia Capitale”: protagonista di una macro-operazione delle forze dell’ordine sulle dinamiche mafia- politica-appalti diventata pubblica fra il 2014 e il 2015. L’operazione ha smascherato una vera e propria organizzazione criminale che operava su diversi piani lucrando su appalti non del tutto regolari, fra i quali quello del CARA di Mineo. Secondo le intercettazioni, per i membri dell’organizzazione i migranti avrebbero prodotto più introiti che il traffico di droga. Le accuse sono molteplici, dalla turbativa d’asta alla truffa ai danni dello Stato, e disegnano la seguente dinamica: alcune cooperative si sono aggiudicate l’appalto per la gestione del CARA; grazie ad accordi sottobanco gonfiavano i numeri degli ospiti, incassando indebitamente denaro extra, e poiché le cooperative non possono ridistribuire il denaro tra i soci in quanto no profit, subappaltavano il servizio ad un privato di cui erano soci intascando i soldi destinati alla gestione e assistenza dei soggetti fragili, spesso non erogando il servizio o gonfiando le parcelle. (esempio: affidi 10 euro ad una persona X per assicurarti che i tuoi figli mangino adeguatamente alla mensa scolastica; ma X non ha nessuno strumento di catering e perciò affida per 5 euro il lavoro ad A e per 5 euro il lavoro a B. A e B investono 2 euro ciascuno per far mangiare cibo scadente ai tuoi figli (che hai pagato come prima qualità), e poiché X è socio sia di A che di B si prende una fetta del totale di 6 euro di avanzo di A e B). Le novità introdotte nel Piano Nazionale del 2014 con il seguente cambio nella gestione della prima e seconda accoglienza non hanno placato questo rischio che è ancora fresco a causa di una realtà in cui vi è ancora insufficiente controllo e una insufficiente trasparenza.  la causa di questa fragilità, più che nelle associazioni e cooperative, va ricercata in un assenteismo istituzionale, una mancanza di pianificazione, implementazione e controllo che rende facilmente aggirabili certi limiti. 8.4 Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello territoriale gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Con l’acronimo SPRAR si intende un sistema di organizzazioni, associazioni, cooperative che operano in ambito sociale, disseminate nel territorio che, certificata l’idoneità previo bando pubblico, formano il sistema di seconda accoglienza integrata ordinaria.  questo servizio mira alla riconquista dell’autonomia individuale dei richiedenti/titolari di asilo o protezione internazionale (andando oltre al minimo vitto-alloggio) attuando progetti, interventi e percorsi di inclusione sociale (es mediazione linguistica/culturale, orientamento e accesso ai servizi del territorio…). 17 Nemmeno l’aumento delle Commissioni del 2014 è stato in grado di ridurre questo deficit che è continuato a crescere nel tempo. L’intervento operato dal decreto Minniti-Orlando potrebbe puntare a normalizzare questa emergenza poiché i tempi di attesa oggi verificati si attestano sui 12/18 mesi  in quei 12/18 mesi in cui il nostro richiedente asilo attende presso il sistema di accoglienza (CAS o SPRAR) la convocazione da parte della Commissione, dovrà recarsi in Questura ogni 6 mesi circa per farsi rinnovare il permesso di soggiorno, provvedere al rinnovo dell’iscrizione all’ASL con relativa esenzione e con meno ciclicità, fare l’iscrizione anagrafica e la carta di identità. 9.3 L’audizione davanti alla Commissione Una volta convocato, il richiedente asilo può incontrare la Commissione e raccontare la sua storia, spiegare le motivazioni del perché non si sente sicuro nel suo Paese e/o spiegare sulla base di quali ragioni si senta perseguitato. L’audizione avviene in solitudine, è ammesso solo l’interprete che viene fornito dal CAS o che può essere scelto dal richiedente asilo stesso. La Commissione può fare domande e valuta la documentazione per comprendere se la storia del nostro richiedente asilo risulti attendibile. Oltre alla qualità dell’informazione, la Commissione valuta soltanto gli aspetti legati alla protezione internazionale, che possiamo riassumere con:  se esiste un agente persecutorio;  se è parte di una o più categorie per le quali è perseguitato o perseguitabile;  se nel Paese di origine sussistono condizioni tali per cui il rischio di vita sia reale e concreto;  se la persona ha situazioni personali, come malattie e infortuni, che potrebbero metterla in pericolo di vita se rientrasse nel proprio Paese. L’esito non è immediato > la Commissione deve vagliare la storia e confrontarla con le notizie e le documentazioni alle quali può accedere.  l’esito della Commissione, notificato dalla Questura, può essere:  positivo, nelle sue tre forme (rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria)  una volta ottenuta la protezione, ci riferiremo al caso come beneficiario di protezione internazionale per le protezioni sussidiarie e umanitarie, e come rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951;  negativo, vale a dire che per la Commissione il richiedente asilo non possiede tutti i requisiti necessari per ottenere l’asilo  in questo caso, il percorso si allunga, così come l’accoglienza. 9.4 Il ricorso avverso il risultato della Commissione In caso di esito negativo la legge prevede la possibilità di ricorso al tribunale ordinario. Sarà un giudice a valutare se la Commissione abbia affrontato correttamente il caso.  il richiedente asilo potrà volontariamente presentare il proprio ricorso entro i 30 giorni dalla notifica del negativo avvalendosi di un avvocato di sua fiducia o scelto tramite l’ente che lo ospita (CAS, SPRAR). Il ricorso sospende l’esito del risultato della Commissione, lasciando il richiedente asilo nuovamente in uno stato giuridico transitorio, ancora sotto l’ala dell’accoglienza, ma in attesa della sentenza. > questo procedimento non è immediato: le attese per comparire di fronte al giudice superano abbondantemente i sei mesi di attesa. Durante quest’altro periodo di stallo il nostro richiedente asilo proseguirà il suo percorso legato alle regolari incombenze legali dovute alla necessità di rinnovo dei permessi di soggiorno semestrali ecc così come la sua vita presso i centri di accoglienza. Di fatto il ricorso allunga di circa 6 mesi la permanenza presso il CAS o lo SPRAR in cui è accolto. Il giudice in questo passaggio può confermare quanto stabilito dalla Commissione oppure valutare errata un’interpretazione e cambiare il tipo di protezione assegnata o ribaltarne totalmente l’esito. L’esito del ricorso è totalmente imprevedibile sia per quanto riguarda le tempistiche (settimane/mesi) che i risultati. Anche in questo ambito la Minniti-Orlando è intervenuta modificando alcuni aspetti procedurali e aprendo delle “sezioni specializzate in migrazione” nei tribunali.  L’attribuzione del diritto d’asilo non sarà più stabilita da un giudice monocratico, ma sarà un collegio di giudici a prendere la decisione finale. La trattazione rimane tuttavia competenza di un solo giudice. 20  Al richiedente viene data la possibilità di chiedere al giudice di essere ascoltato in prima persona. Rimane comunque a discrezione del giudice decidere se accogliere tale richiesta o limitarsi semplicemente alla visione della videoregistrazione come previsto dal procedimento regolare. > sostanziali critiche costituzionali gravitano attorno a questi due cambiamenti introdotto dalla Minniti-Orlando. 9.5 La scomparsa dell’appello All’esito negativo del ricorso fino all’avvento della Minniti-Orlando, si poteva ricorrere in appello, così come previsto dall’ordinamento italiano. La norma voluta dal Governo nel 2017 decise di eliminare questo grado che, visti i tempi, avrebbe allungato ancora di più i tempi valutativi. Già in passato non era una pratica particolarmente impiegata, inoltre, ne limitavano la pratica alcune difficoltà oggettive:  Materiali ed economiche: le spese sono a carico del richiedente asilo (contrariamente al ricorso);  Formali e pratiche: (il tipo di avvocato necessario deve essere abilitato per poter andare in appello);  Sostanziali e pragmatiche: senza forti elementi non è facile trovare professionisti per avviare la procedura. Negli aspetti pratici dell’accoglienza, l’appello creava grosse problematiche: la normativa SPRAR, infatti, prevedeva il mantenimento dell’accoglienza mentre nei CAS la permanenza all’interno del progetto diventava una interpretazione dei Funzionari della Prefettura.  questo non è un problema venuto del tutto meno, infatti, coloro che hanno iniziato il percorso prima dell’entrata in vigore della Minniti-Orlando si trovano a poter esercitare l’iter così come era in passato. 9.6 Gli esiti Ci sono sostanzialmente 4 possibili esiti in tutti i gradi, 3 positivi e 1 negativo:  Nei primi 3 casi (positivi) il nostro richiedente asilo dovrà recarsi in Questura per riconfermare le impronte digitali e registrare i dati sul permesso di soggiorno elettronico. Ottenuta la protezione o lo status di rifugiato potrà godere dell’assistenza ai richiedenti asilo ancora per 6 mesi se possibile, all’interno di un progetto SPRAR. Molti richiedenti asilo, a partire soprattutto dal 2014, hanno iniziato e terminato la loro esperienza all’interno del sistema CAS (poiché non gli è stato garantito un posto). Il nostro titolare di protezione/rifugiato acquisisce i diritti degli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio per motivi di lavoro e non troppo dissimile dagli italiani.  Se l’esito della Commissione o del Giudice è negativo la situazione si complica: avrà 30 giorno per avviare la pratica successiva di ricorso, appello o cassazione, dopodiché il nostro ex richiedente asilo dovrà abbandonare in maniera repentina il centro di accoglienza (24 ore dallo scadere del 30simo giorno). Non è ancora irregolare poiché ha ancora il permesso di soggiorno valido e non ha ricevuto nessun foglio di via => dovrà abbandonare in autonomia il territorio italiano entro la scadenza del permesso, altrimenti diventerebbe irregolare e, se fermato dalla polizia, riceverebbe il foglio di via. 10. Gli aspetti sociali del percorso legale Attorno al percorso legale si generano diverse dinamiche che influiscono in maniera significativa sulla vita dei richiedenti asilo in accoglienza. La problematica più generale è la sospensione della progettualità indotta dal costante stato di incertezza che di fatto colpisce tutti i richiedenti asilo > il percorso legale rappresenta un’attesa oscillante tra regolarità e clandestinità che rende complesso solo pensare ad organizzarsi. 10.1 Sul lavoro Le tempistiche, oltre ad essere molto lunghe, hanno margini di incertezza enormi, il che significa non sapere in tempi ragionevoli se l’eventuale status si otterrà in 12, 24 o 36 mesi. Sebbene dopo 6 mesi i richiedenti asilo possono iniziare a lavorare (per diritto), il loro status di incertezza li rende poco collocabili e appetibili al mercato del lavoro regolare. L’ombra del lavoro in nero, o dello sfruttamento spesso piomba su queste persone. Se il nostro richiedente asilo riuscisse ad inserirsi in un lavoro stabile e regolare, non potrebbe chiedere/ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro come i così detti “migranti economici”  questo impedimento normativo nacque per evitare che qualcuno usasse la prima richiesta per ottenere poi la seconda, ma oggi tale presupposto andrebbe ridiscusso. 21 10.2 L’identità C’è un’altra fragilità legata al percorso legale: quella dell’acquisizione o riacquisizione della propria identità, dovuta in parte ad una diffusa assenza di documentazione scritta, in parte alle oggettive difficoltà di chi trascrive i nomi all’ingresso in Italia o ad una errata traduzione del concetto di “cognome”. Inoltre, spesso i richiedenti asilo ignorano il proprio giorno di nascita, per cui per prassi si è deciso di inserire in questi casi in fittizio “primo gennaio”, creando un gran numero di compleanni il primo gennaio e tecnicamente un numero cospicuo di codici fiscali identici (somigliandosi anche i nomi) che finiscono per bloccare il sistema di attribuzione  questo diventa un problema perché i richiedenti asilo ricevono un codice fiscale temporaneo univoco solo numerico che non viene letto dai sistemi informatici, il che impedisce loro di fatto la fruibilità di dozzine di servizi. 10.3 La vendita delle storie Nel corso degli ultimi anni ci si è trovati di fronte ad un nuovo fenomeno deviante: la vendita delle storie. Essendo impreparati alla burocrazia italiana e sentendo che “qualcuno lo ha fatto ed ha funzionato”, o perché si tende a fidarsi più della rete di connazionali che dei propri operatori, un numero abbastanza alto di richiedenti asilo utilizza in chiave di compilazione di C3 e di narrazione davanti alle Commissioni storie preconfezionate valutate idonee per raggiungere l’esito positivo.  Sono narrazioni spesso molto simili tra loro che fanno leva su alcuni punti chiave come il pericolo di morire se si tornasse in patria o l’essere perseguitato per qualche motivo religioso o politico.  Storie troppo simili e poco nitide che finiscono per non essere ritenute credibili dalle Commissioni. 11. Europa, Italia e Ministeri Ora affronteremo il tema dei costi del fenomeno migratorio nell’accoglienza sul territorio nazionale, osservando ed analizzando le cifre più rilevanti dal punto di vista economico, gestionale, operativo e sociale. Cerchiamo di suddividere la questione su 3 livelli: 1. Al vertice si collocano i fondi europei e statali messi a disposizione degli enti locali per gestire il fenomeno dell’accoglienza; 2. Al livello successivo troviamo la gestione dei contratti di appalto tra enti locali e organizzazioni o privati; 3. Infine, vedremo come questi enti privati gestiranno le risorse assegnate dagli appaltatori quali Comuni e Prefetture. Funzionamento: a fine anno (o all’inizio) il Governo presenta un documento contabile preventivo, comunicando al Parlamento le spese e le entrate pubbliche previste per l’anno successivo in base alle leggi vigenti. È il Parlamento che fa le leggi e il Governo decide “solo” entro quei limiti come, quanto e dove distribuire il denaro pubblico. Il Governo deve vedere approvata la legge di stabilità e la legge di bilancio. Lo strumento economico principale è il DEF (Documento di Economia e Finanza), in cui si delineano gli scopi che il bilancio pluriennale dello Stato intende perseguire, mostrando la direzione per costruire così il bilancio annuale. Alla fine di ogni anno, il Ministero dell’Economia e Finanza con la Ragioneria Generale dello Stato presenta i dati effettivi relativi alle spese dell’anno passato. I dati da noi trattati saranno quindi una sintesi di preventivo e consuntivo (valori preventivi = stime e previsioni; valori consuntivi = dati effettivi). Lo Stato rende nota annualmente la spesa relativa al fenomeno migrazioni e accoglienza, un fenomeno che è costato:  2.74 miliardi di euro nel 2015  3.43 miliardi nel 2016  4.3 miliardi nel 2017 Questi fondi sono stanziati dal nostro Paese, al netto delle risorse attive che l’UE versa alle casse dello Stato per fronteggiare l’ordinario e lo straordinario  questi valori trattano quindi fondi nazionali (= parte delle nostre tasse). L’Europa finanzia ogni Paese attivo nell’accoglienza in maniera proporzionale al numero di persone in ingresso, per cui i fondi sono spesso ritoccati in corsa in base ai flussi. Per quanto in Italia abbiamo una percezione del fenomeno spesso disastrosa e soprattutto italo-centrica, in realtà non siamo né la nazione che accoglie più persone né quella che ne ospita di più percentualmente. 22 SAR (Ong-Marina Italiana…) hanno messo ripetutamente in crisi i soccorsi e in pericolo i migranti, tanto che il tasso di mortalità per mare è aumentato 3 volte in un anno, mentre un affollamento delle aree “contenitive” libiche continuerà a provocare esplosioni sociali o rivoluzionarie in un Paese già altamente instabile. Due gravi contingenze:  Giustificando e stimolando le azioni delle milizie di questi Paesi presso le frontiere terrestri o marittime, la speranza di vita (in assenza di diritti) di chi intraprende quei percorsi si assottiglia;  I trafficanti possono ricevere più volte il denaro per organizzare i trasferimenti senza accusare alcun danno: parte del denaro investito, dall’Italia come dall’Europa, finirà senza scampo per prima o per seconda intenzione nelle tasche dei trafficanti, intoccati trionfatori di questo nuovo meccanismo. Negli ultimi anni si sono pensate due strategie d’intervento per “aiutarli a casa loro”: 1. Finanziare stati, regnanti o milizie auspicando che risolvano autonomamente il problema; 2. Favorire un sistema inclusivo di cooperazione, sviluppo, educazione, istruzione e lavoro. Entrambi i sistemi non garantiscono la diminuzione dei flussi migratori a lungo termine sebbene inferiscano in modo molto diverso sulla vita di queste “persone in eccesso”. 12. La gestione degli accordi sul territorio Per quanto riguarda i servizi di accoglienza sul territorio troviamo un piano d’azione diviso nella pratica su due livelli di gestione e distribuzione del fenomeno, in cui ordinario ed emergenziale si fondono e confondono. I progetti SPRAR sono mediamente limitati a poche utenze, i CARA superano diverse centinaia di posti, i casi sono totalmente eterogenei (da poche decine a migliaia di ospiti). La leadership nella gestione delle fasi dell’accoglienza, oggi, è cambiata: non è più lo Stato protagonista, bensì le Prefetture e gli enti locali che gestiscono e modulano direttamente i bandi, gli accreditamenti e le assegnazioni lampo. Ovviamente vi sono leggi, decreti e circolari interne che regolano la natura di ciascun bando, ma ogni prefettura ha una discreta libertà di creare i diversi contratti in modo consono alle proprie abitudini e prassi operative.  Questo permettere da un lato di manovrare l’iter dell’accoglienza in modo più snello per le burocrazie locali, dall’altro però carica di responsabilità un sistema che gode di molta libertà, ma anche di un forte isolamento. 12.1 L’(ab)uso della rete emergenziale Non risulta ancora oggi un protocollo estremamente rigido e chiaro attorno al percorso che i migranti seguono dopo aver lasciato gli Hotspot (strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, fotosegnalare le impronte digitali dei migranti). Oggi la tendenza è quella di utilizzare gli Hub o le strutture similari per offrire quella fase che abbiamo chiamato di primissima accoglienza – una sistemazione temporanea che permette di svuotare in fretta gli Hotspot e offrire ai Comuni e alle Prefetture la possibilità di organizzare la distribuzione dei migranti tra i diversi CAS che presentano posti liberi.  Lo SPRAR viene privilegiato per l’assegnazione di casi difficili o per minorenni o per gli inserimenti di quelle persone che hanno dimostrato attitudini positive e collaborativi, in modo da fornire loro gli strumenti informativi, etici ed educativi per integrarsi dignitosamente nel nostro Paese.  Anche se in realtà alla fine i tre quarti transitano e concludono il loro percorso all’interno dei CAS, confermando la centralità del ruolo di prima e seconda accoglienza ricoperte dai centri straordinari (= grande responsabilità e al contempo un grande rischio). Infatti, a livello locale si continua a puntare molto sui CAS, perché semplice attivarli e gestirli e perché una volta vinto il bando, le Prefetture hanno il pieno controllo dei rapporti con i vari gestri, il che rende agevole dialogare e controllare tali organizzazioni.  Quindi ogni realtà territoriale gestisce con estrema autonomia il fenomeno schierando le risorse che possiede; sia chiaro che i finanziamenti restano ministeriali; quindi, i Comuni non usano fondi propri: lo Stato paga, le Prefetture presentano un bando e gli enti gestori che se lo aggiudicano attivano il servizio. Vi è poi una terza intenzione in questo processo di assegnazione finanziaria che si distribuisce all’interno della comunità ospitante. Altra grande criticità si avverte attorno alla natura dei controlli, svolti dagli operatori della Questura e della Prefettura. Per quanto riguarda i controlli istituzionali (ovvero censimento delle presenze nelle strutture, documenti personali, 25 regolarità del servizio ecc.) si trova un risconto sufficiente; quello che invece resta spesso poco funzionale riguarda i controlli di qualità sugli intenti e sui risultati delle attività messe in atto dagli enti gestori. Manca una visione d’insieme strutturata e multilaterale, le istituzioni stesse faticano a valutare i diversi segmenti attivi promossi dal rapporto ente committente: non sanno di preciso cosa e come controllare. 12.2 Una svolta necessaria La fase della prima e della seconda accoglienza restano il momento più critico dal punto di vista giuridico, sociale, psicologico, etico e pedagogico di questo processo. La qualità e la sensibilità del nostro agire in quei momenti, condizionerà il rapporto presente e futuro tra i richiedenti asilo e i diversi sistemi sociali e istituzionali del nostro Paese. Se si agisce nel modo sbagliato si rischia di perdere la fiducia e il contatto con il soggetto rendendo vano ogni intervento successivo. In questo contesto, la rete SPRAR resta nel sistema nazionale un positivo riferimento che si offre come esempio virtuoso per i CAS.  Nel 2016 (nel Piano Nazionale di ripartizione dei richiedenti asilo e rifugiati) si è data l’opportunità ai Comuni che aderivano volontariamente alla rete SPRAR di non vedersi obbligati dalle Prefetture ad aprire altre forme di accoglienza straordinaria.  Sembra che la mancanza di un assetto nazionale d’impatto abbia innescato (già prima del 2017) un processo di auto – assestamento e di autoregolazione, colto solo di recente dagli organi governativi. Questo rappresenta un invito alle autonomie locali, alle quali viene richiesta una maggiore attenzione alla qualità dei servizi erogati per riequilibrare il sistema CAS – SPRAR. Anche se la mancanza di un supporto metodologico e di strumenti teorici e pratici che mettano realmente gli enti locali in condizioni di allinearsi a queste prospettive difficilmente risolverà il problema. 13. Un confronto tra ruoli, finanziamenti e offerte Un’evoluzione positiva degli accordi (Bandi e Convenzioni) tende a verificarsi quando si presentano principalmente quattro condizioni: 1. Continuità del servizio; 2. Professionalizzazione degli enti gestori (associazioni o cooperative); 3. Cooperazione tra gli enti locali e privati; 4. Dialogo con il territorio. Quando le prefetture utilizzano bandi annuali invece che triennali, per esempio, quando i vincitori di tali bandi interrompono il servizio per mancanza di preparazione effettiva. È possibile farsi un’idea della proporzione tra servizi offerti, spese e finanziamenti ottenuti osservando alcuni estratti campionari di bandi e capitolati, focalizzandosi sulla natura: - Degli stanziamenti (l’attendibilità dei finanziamenti); - Dell’offerta tecnica; - O delle richieste tecniche (per mostrare cosa si finanzia). 26 Poniamo l’accento su tre principali aspetti su cui concentrare la nostra analisi: 1. Ruolo: momento del processo d’accoglienza; 2. Finanziamento: quanto viene stanziato giornalmente per la presa in cura di ciascun ospite; 3. Offerta tecnica: servizi da erogare. Queste due strutture (Hotspot e Hub regionale) hanno ruoli differenti, il primo è contiguo e propedeutico al soccorso, l’altro si occupa della fase successiva di prima accoglienza. Anche se sembra che i servizi richiesti agli enti gestori coincidano in larga parte. Nonostante ci si trovi in due momenti assai diversi del percorso, le necessità organiche appaiono equivalenti. In entrambi i casi si parla di strutture in cui i migranti si troveranno a sostare per un tempo previsto più limitato possibile, ma mentre la prima rileva una situazione di emergenza legata al soccorso, la seconda si immette nel percorso della primissima accoglienza. 14. SPRAR e CAS Passiamo ora a confrontare come le istituzioni si rapportino con un progetto della rete SPRAR e come con un CAS, mettendo in evidenza l’enorme diversità fra le richieste, restando concentrati sugli importi di finanziamento e sull’offerta di servizi richiesti (con confronto relativo al personale e alla gestione economica). È importante, inoltre, ricordare che il bando CAS è emesso e gestito dalla Prefettura, mentre quello SPRAR dal Comune. (Estratto Capitolato SPRAR – Provincia di Cagliari) 27 de cambi vestiari completi stagionali, lenzuola, coperte e asciugamano, cuscino e il necessario per provvedere alla minima igiene personale.  Fornitura di servizi di varia natura: parliamo di biglietti del servizio di trasporto.  Spese per la gestione delle pratiche sanitarie e amministrative: questa voce raggruppa le spese sanitarie (medicinali, eventuali consulenze speciali, ecc.). Queste sono le spese maggiormente condivise all’interno delle principali fasi e strutture che accompagna l’accoglienza in Italia. È giusto anche ricordare che la politica d’integrazione che guida l’agire dello SPRAR e di alcuni CAS che stanno cercando di seguirne la direzione, comportano ulteriori costi. Abbiamo già visto che c’è una corrispondenza nei servizi d’assistenza condivisi dal servizio Hotspot, Hub e CAS, a discapito della forte spinta integrativa ed emancipante proposta invece dalla rete SPRAR. 14.3 Uno più uno fa tre… Seguendo le otto voci di spesa riportate precedentemente potremmo osservare come ciascuna di esse possa creare una forbice relativa al rapporto costi – qualità. Quando si riduce la spesa si elimina o peggiora un servizio. 1) Retribuzione del personale amministrativo e operativo: i grandi problemi relativi a quest’aria sono legati al fatto che non si hanno indicazioni precise relativamente alla gestione delle strutture. Associazioni e cooperative godono di grandi spazi di manovra in ambito di stipulazione dei contratti, il che conduce quasi sempre verso la ricerca di un facile ribasso a discapito delle qualità del servizio offerto. 2) Affitto locali, manutenzione e logistica interna: questa è una voce binaria: o si rispettano le regole, o si imbroglia. Per cui fino a che si lavora con regolarità non si trovano problemi. 3) Logistica di seconda intenzione e fornitura di varia natura: le ogni organizzazione deve rendicontare le proprie finanze e anche qui si può essere onesti oppure no. 4) Vitto: anche per la distribuzione dei pasti non esiste una regolamentazione, per cui ogni ente gestore può predisporre il budget che ritiene più opportuno. 5) Pocket money: è un diritto di ciascun ospite, ma anche in questa situazione non sono rari i casi in cui le somme vengono trattenute. 6) Vestiario e lettereccio: anche in questo caso, se il capitolato non lo evidenzia, la qualità e quantità di beni acquistati e consegnati ai beneficiari è assai variabile da momento a momento. 7) Spese per la gestione delle pratiche sanitarie e amministrative: l’obiettivo deve essere sempre quello della promozione della salute e la tutela della stessa. Ignorare un mal di pancia per risparmiare qualche medicinale, o non dare il giusto peso ad esternazioni di malese per vitare sovraccarichi agli operatori, sono rischi inaccettabili. Conclusioni Di fronte al non previsto e intenso aumento dei richiedenti asilo sul nostro Paese le istituzioni e la politica hanno trattato il problema attivando strategie emergenziali fondate sulla speranza di una temporaneità molto più breve di quanto la realtà abbia dimostrato nei fatti. Nonostante i recenti inviti a superare i limiti di quelli che finivano per diventare dei “parcheggi di persone”, le autorità istituzionali non hanno saputo/voluto concedere al sistema CAS gli standard necessari a raggiungere i risultati offerti dalla rete SPRAR. Lasciando alle singole Prefetture la responsabilità e la gestione dei bandi relativa all’accoglienza si è generata una varietà sconnessa di approcci metodologici – la conseguenza cardine è un percorso di integrazione inutile, assente o dannosa. La presenza diffusa dei richiedenti asilo che incrociano la nostra quotidianità agli angoli delle strade, non è solo uno degli effetti di questa fatalità, ma ne è anche il principale sintomo visibile al cittadino. Aver confuso la malattia con un suo sintomo ha portato le comunità locali a riversare una crescente insofferenza nei confronti dei migranti, invece di chiedere conto alle istituzioni che hanno portato la gestione dell’accoglienza a diventare un vero e proprio problema. Questa politica dell’accoglienza – parcheggio a discapito dell’accoglienza – integrazione sta pesando progressivamente sulle realtà locali che si trovano a dover affrontare da sole i costi che nascono dall’assenza di politiche e pratiche formative, educative e integrative. La posizione più estrema davanti all’accoglienza resta quella dell’opposizione totale si mostra attraverso manifestazioni di piazza e un ostracismo burocratico nei confronti degli enti gestori operando un rallentamento o una complicazione. 30 Altre amministrazioni prediligo la ricerca di un artificio tecnico che consenta loro di procrastinare l’arrivo di nuovi richiedenti asilo sul proprio territorio opposizione silenziosa. La quale in realtà non ostacola gli arrivi in senso lato, ma cerca un modo per ridurre o controllare da vicino i flussi. Le realtà locali che supportano e favoriscono invece l’accoglienza ordinaria o emergenziale rispondono a motivazioni di tipo economico e/o umanitario. Abbiamo urgente bisogno di un Piano Nazionale regolatore, serio ed efficace, che sappia tendere un occhio e una mano agli obbiettivi oltre che ai mezzi, un progetto in cui riunire le forze del Paese per garantire a tutti, cittadini e richiedenti asilo: assistenza, sicurezza e integrazione. 31 32
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