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Economia Aziendale Riassunto, Appunti di Economia Aziendale

Economia Aziendale, ottimi riassunti per il corso di economia

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 07/02/2017

serena_ferri
serena_ferri 🇮🇹

4.4

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Scarica Economia Aziendale Riassunto e più Appunti in PDF di Economia Aziendale solo su Docsity! _______________________________________________________________________________________ 1 L’economia aziendale L’economia aziendale é una scienza economica e, come le altre discipline, affronta dei problemi economici. Cosa s’intende per problema economico? Un problema è economico quando non c’é corrispondenza tra le esigenze, i problemi e gli obiettivi che ci si pone e le risorse necessarie per affrontarli, risolverli o conseguirli. Quando le risorse a disposizione non sono sufficienti per soddisfare i bisogni, per conseguire gli obiettivi, e risolvere i problemi, siamo di fronte ad un problema economico. Per questo motivo, serve l’ausilio di una scienza economica. Se noi potessimo avere tutto e subito non ci servirebbero le discipline economiche. In particolare, l’economia aziendale si occupa dei problemi economici che riguardano le attività produttive attuate per rispondere ai bisogni umani intese in senso lato (manifatturiere, servizi) ovvero di tutte le attività che possono essere realizzate per rispondere ai bisogni avvertiti dall’uomo. Le attività produttive si devono basare sul principio che può essere alternativamente denominato della economicità, convenienza o razionalità economica. Siccome in molti campi dell’agire umano le risorse disponibili sono limitate rispetto all’ideale illimitatezza dei bisogni da soddisfare, per definizione c’é una discrasia tra risorse disponibili e bisogni soddisfabili. Il contributo di una attività produttiva può essere meritevole di esistenza se si svolge in condizioni di economicità ovvero ciò che si produce deve valere di più delle risorse che si sono utilizzate per svolgere quella determinata attività. Il valore che si crea producendo deve essere superiore al valore che si consuma producendo. Ciò, pur non annullando il problema economico, consente di affrontarlo nel modo più appropriato possibile in quanto consente di impiegare al meglio le scarse risorse disponibili al fine di dare risposta ai bisogni che si vogliono soddisfare. In particolare, l’economia aziendale studia le aziende, ovvero lo strumento che l’uomo utilizza per agire in campo economico. Per azienda si intende una unità di produzione di beni o servizi destinati al consumo finale o intermedio per soddisfare bisogni individuali e/o collettivi che si caratterizzano per autonomia, economicità e durabilità. L’economia aziendale utilizza propri concetti, propri modelli teorici e di analisi, una propria terminologia e simbologia ed è per questo motivo che viene considerata una disciplina autonoma. Ciò significa che, nel momento in cui l’economia aziendale si occupa di un argomento di cui si interessano altre discipline, é possibile che vengano utilizzati termini e significati propri diversi da quelli utilizzati dalle altre discipline. L’economia aziendale si occupa delle attività produttive che possono riguardare la produzione di beni e servizi, di tipo industriale ma anche di tipo finanziario, commerciale, agricolo e così via. Dal punto di vista dell’output, le attività produttive possono dare luogo a prodotti dotati di fisicità (beni) ma anche privi di fisicità, oppure, in presenza di elementi fisici, un insieme di prodotti immateriali che qualificano quella produzione (servizi, es. copertura assicurativa, pernottamento albergo). Mentre vi sono casi in cui la distinzione tra beni e servizi é evidente ce ne sono altri, invece, che la differenza é molto labile. Difficile immaginare un servizio di ristorazione senza la fornitura di pietanze. Quello che conta maggiormente é l’insieme degli elementi (contesto, qualità ...) che arricchiscono la pietanza in sé da renderla secondaria rispetto a tutto. Questa distinzione é sempre più labile in quanto sempre più, a partire dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento, in modo progressivamente crescente, la società si é terziarizzata e la produzione di beni ha incorporato quote crescenti di servizi. I beni e i servizi possono essere destinati al consumo finale, ovvero al consumo dei singoli o della collettività per soddisfare la maggior parte dei bisogni, nonché al consumo intermedio, se realizzati per il consumo di altre aziende. Questa distinzione riguarda non tanto la natura di ciò che viene consumato ma la destinazione della produzione. I bisogni che vengono soddisfatti possono essere individuali, se riguardano bisogni avvertiti dalle singole persone, collettivi se riguardano bisogni avvertiti da una comunità più o meno ampia di persone. Nell’ambito _______________________________________________________________________________________ 2 dei bisogni individuali rientrano quelli quotidiani delle persone. I bisogni collettivi sono circoscritti a determinati ambiti, ristretti per lo più all’intervento pubblico che agli agenti economici. Il bisogno, pur avvertito dal singolo, viene collettivamente soddisfatto (es. illuminazione pubblica). Rientrano nei bisogni collettivi tutte le infrastrutture materiali e immateriali. Spesso tra prodotti che soddisfano bisogni individuali e collettivi c’è una certa corrispondenza: se previamente non vengono soddisfatti bisogni collettivi non possono essere soddisfatti determinati bisogni individuali (es. aeroporto). L’attività produttiva, così definite, a rigore può rientrare nel concetto di azienda. Tuttavia, affinché possa essere qualificata come unità produttiva, l’attività deve presentare alcuni caratteri. In primo luogo, deve presentare il carattere della economicità, ovvero deve svolgersi in modo economicamente razionale, in particolare facendo in modo che il valore del prodotto sia superiore al valore consumato per produrre. In secondo luogo, l’attività produttiva deve presentare i caratteri dell’autonomia e durabilità. L’economicità ne é il presupposto. Solo una attività produttiva conveniente potrà svolgersi autonomamente, ovvero senza bisogno del supporto o di condizionamenti da parte di qualcun altro. Solo un’attività produttiva economicamente conveniente e in grado di sopravvivere autonomamente può essere durevole perché se é priva di razionalità economica, oltre a perdere l’autonomia, perde anche la possibilità di funzionare con continuità, venendo prima o poi a mancare le risorse per svolgerla. Le aziende e le non aziende Tuttavia non tutte le unità produttive hanno queste caratteristiche. Possono essere distinte in: 1. aziende, sono unità di produzione che operano rispondendo ai caratteri di autonomia, economicità e durabilità. Le aziende possono essere classificate come imprese e non imprese. Le imprese, infine, possono essere classificate come imprese private ed imprese pubbliche. 2. non aziende sono unità di produzione prive di dei caratteri di autonomia, economicità e durabilità. Le non aziende quindi, possono essere controllate da qualcun altro (es. SPA controllata da una capogruppo e solo formalmente autonoma), possono essere prive di economicità e autonomia (es. l’impresa pubblica sussidiata e tenuta in piedi per finalità sociali; il singolo istituto scolastico che opera come unità decentrata del MIUR). Le imprese Le imprese sono aziende che producono beni e servizi destinati allo scambio di mercato per conseguire un surplus, ovvero un beneficio economico, attraverso cui soddisfare i bisogni e le aspettative di chi le ha promosse. L’impresa realizza, quindi, una soddisfazione indiretta dei bisogni, ovvero soddisfa il beneficio economico di chi partecipa nella stessa. Il caso più tipico è l’impresa capitalistica pura, dove l’azienda è stata costituita al fine di garantire la remunerazione di un capitale di rischio investito in quella attività. Si investe al fine di ottenere un beneficio economico e non per soddisfare un bisogno del consumatore. Tuttavia, se non viene soddisfatto il bisogno del consumatore non si realizza il bisogno dell’impresa. Un alto caso è l’impresa cooperativa, dove l’azienda è costituita per soddisfare altri tipi di benefici come, per esempio, per assicurare ai soci determinate condizioni di lavoro e di benessere. In questo caso, il _______________________________________________________________________________________ 5 A partire dalla Prima Rivoluzione Industriale, l’attività di produzione si sviluppa con alcune caratteristiche:  utilizza il sapere e la conoscenza di tipo tecnico, tecnologico e del mercato. Con la rivoluzione industriale, si passò dalla produzione artigianale – con collocazione al mercato locale o al limite in grado di fornire a mercanti la loro produzione – a fabbriche dove si realizzano elevati volumi di produzione che non possono essere semplicemente collocati in un mercato locale, ma in mercati più ampi e distanti. Per far ciò, occorre conoscere i mercati e i gusti dei consumatori.  assume carattere organizzato perché l’attività produttiva comporta grandi quantità di prodotti.  assume carattere capitalistico perché occorrono ingenti capitali. Sarà possibile avere quei capitali se si garantisce un certo livello di remunerazione. Per realizzarlo, però, occorre acquisire capitali per poter investire nei mezzi produttivi.  assume una valenza sociale. L’impresa determina rilevanti cambiamenti sociali ed, in passato, ingenti flussi migratori verso le aree dove si concentrava l’attività produttiva. Questi flussi migratori hanno permesso la nascita di insediamenti abitativi e, di conseguenza, lo sviluppo di città, intorno alle fabbriche. L’attività economica dell’impresa trova nella produzione il suo momento centrale e, nell’imprenditore, il protagonista. L’imprenditore È l’imprenditore che, in base ad una idea vincente ed alla sua creatività:  apporta o mobilità capitali;  congegna risposte produttive rivolte al mercato;  gestisce la produzione. È l’imprenditore che decide di produrre un bene o servizio atto a soddisfare un bisogno, che decide di entrare in un mercato dove ci sono altre aziende competitive. Se la creatività non é sostenuta da una idea vincente, l’attività produttiva non avrà lunga vita. Egli deve trovare sul mercato flussi di domanda sufficienti a garantire un equilibrio economico e finanziario alla specifica attività produttiva. Sono ingredienti dell’agire imprenditoriale:  capacità innovativa. Egli svolge essenzialmente una attività innovativa. Occorre la capacità di individuare modi nuovi per realizzare dei beni o dei servizi già esistenti. L’imprenditore deve essere capace di introdurre elementi di cambiamento nel processo produttivo o nel mercato;  capacità decisionale. Chi svolge attività imprenditoriale si trova costantemente alle prese con la necessità di decidere. Le decisioni devono essere assunte in un contesto di razionalità. É evidente che per svolgere la funzione imprenditoriale occorre sia capacità innovativa sia capacità decisionale. Entrambi sono ingredienti essenziali;  propensione al rischio. Qualsiasi attività é caratterizzata da aleatorietà. Svolgere una attività comporta una disponibilità al rischio. Ciò perché si può anche essere creativi ma non avere futuro. Qualsiasi decisione incorpora elementi di rischio. Ogni decisione può portare ad un miglioramento o peggioramento dello stato di salute dell’azienda. L’imprenditorialità Nell’accezione oggi prevalente, l’imprenditorialità é la capacità di una o più persone di governare l’impresa. Tale capacità é legata ad attitudini soggettive innate (fattori psicologici). Non tutti possono diventare buoni imprenditori. Queste attitudini possono essere favorite da fattori economici e sociologici sia _______________________________________________________________________________________ 6 individuali che generali. Se una persona con elevate doti di creatività e buona determinazione difficilmente riuscirà a costituire una impresa se non ha capitale. Da questo punto di vista, sarà più agevole la nascita di imprese in un contesto ricco piuttosto che in un contesto depresso dove non ci sono capitali da investire. Inoltre, la nascita di una impresa potrà essere favorita da un certo quadro sociologico e normativo finalizzato ad incentivare l’iniziativa economica. L’imprenditorialità, inoltre, consiste nel progettare e realizzare formule imprenditoriali. Per formula imprenditoriale s’intende tutto ciò che viene offerto al mercato combinando tra loro i bisogni da soddisfare, le risorse e le risposte produttive, mobilitando e remunerando capitali e le risorse impiegate. Alcune necessarie distinzioni Occorre distinguere tra:  Imprenditore: é colui che esercita la funzione imprenditoriale, che solitamente congegna risposte produttive e governa l’impresa, apportando o mobilitando capitali.  Capitalista: è colui che si limita ad investire capitale a proprio rischio. L’imprenditore può anche essere capitalista. Il capitalista può essere solo un finanziatore che non dà alcun contributo all’attività di governo dell’impresa.  Soggetto giuridico dell’impresa: é la persona fisica o il gruppo di persone fisiche o la persona giuridica nel cui nome viene esercitata l’attività e a cui compete diritti e obblighi da essa derivanti. In una società di capitali, il soggetto giuridico é la società. In una società di persone, invece, il soggetto giuridico é il gruppo dei soci.  Soggetto economico dell’impresa: é la persona fisica o il gruppo di persone fisiche che esercita il potere volitivo, che assume le decisioni strategiche e che definisce gli obiettivi di fondo. In alcune occasioni, soggetto giuridico e soggetto economico coincidono come, per esempio, nella ditta individuale e in alcune società di persone; in altre occasioni, invece, soggetto giuridico e soggetto economico non coincidono come, per esempio, nelle società di capitali (soci - amministratore delegato). La funzione imprenditoriale La funzione imprenditoriale può essere esercitata da figure espresse sia:  dalla proprietà dell’impresa (un soggetto può investire capitale nell’impresa in modo da diventare proprietario e dirigente dell’impresa);  dal management (in via esclusiva o complementare il governo dell’impresa é demandata ad una figura professionale dai proprietari dell’impresa, i quali reclutano un soggetto adatto ad esercitare la funzione imprenditoriale). Ci sono casi in cui le due figure sono combinate. Ciò dipende da due variabili:  dal carattere concentrato o diffuso della proprietà. Quanto più la proprietà é concentrata nelle mani di pochi, tanto più é probabile che la funzione imprenditoriale sia esercitata dai proprietari dell’impresa. Quanto più piccole sono le dimensioni aziendali tanto più é probabile che la funzione imprenditoriale sia esercitata dai proprietari. Cresce, invece, la probabilità che la funzione imprenditoriale sia esercitata da una figura professionale quanto più è grande l’impresa. Risponde al modello delle public company, ovvero l’azienda è retta da una società in cui la proprietà é frammentata in tantissimi azionisti che detengono azioni non sufficienti a tenere il controllo dell’azienda.  dalla capacità e dalle motivazioni dei proprietari. Alcuni sono elementi oggettivi altri, invece, sono caratteri soggettivi dei proprietari. _______________________________________________________________________________________ 7 La funzione distintiva dell’impresa L’impresa ha una funzione distintiva di produzione di beni e servizi utili, destinati allo scambio di mercato. Offre convenienti opportunità di impiego delle risorse del sistema rispondendo ai criteri di efficacia ed efficienza. Questa funzione si concretizza nel momento in cui crea valore in condizioni di economicità. La creazione di valore La creazione di valore che l’impresa realizza sul mercato corrisponde all’utilità che il mercato riconosce ai beni e servizi prodotti pagando un prezzo per poterne disporre. La creazione di valore di una produzione può essere calcolata moltiplicando le quantità vendute per i relativi prezzi di vendita (Q x P). Questa espressione ci suggerisce la quantità dei prodotti dell’impresa che il mercato è disponibile ad acquisire ed a quale prezzo. Il prodotto tra queste due grandezze segnala complessivamente il valore e l’utilità che il mercato attribuisce all’attività produttiva realizzata dall’impresa. Comunica il valore che l’impresa crea. Nell’ambito di processo di attribuzione di valore entrano in gioco tre grandezze chiave. Facendo riferimento alla singola unità prodotta, si distingue:  valore d’uso. E’ il valore soggettivo corrispondente all’utilità procurata ad un soggetto dalla disponibilità di un determinato prodotto o servizio. Per quanto soggettivo, questo valore é importante perché esprime l’utilità che la disponibilità di quel bene o servizio genera in chi ne abbia la disponibilità.  valore di scambio. E’ il prezzo al quale quel bene o servizio può essere scambiato sul mercato. Di per sé questo é un valore soggettivo ma, nel momento in cui riguarda prodotti comunemente diffusi sul mercato, tende a diventare un valore di riferimento tendenzialmente oggettivo. Tra il valore d’uso e di scambio esiste una relazione logica tale per cui il valore d’uso rappresenta la soglia oltre il quale il valore di scambio non può salire. Questo vale assumendo quantomeno l’ipotesi ragionevole che nel sistema socio economico e sul mercato si muovono operatori razionali. Il valore di scambio, infatti, non può superare il valore d’uso perché, nel caso contrario, nessun operatore sarebbe disponibile a pagare un prezzo più elevato del suo valore d’uso riconosciuto e, quindi, comporterebbe un mancato guadagno da parte dell’impresa. Nel momento in cui si determina il prezzo di vendita occorre tenere presente il limite del valore d’uso. E’ chiaro che, a parità di volume di prodotti venduti, tanto più elevato é il valore di scambio, tanto migliore é il risultato che l’impresa potrà conseguire. Se l’impresa potesse autonomamente scegliere il valore dei prezzi, il bene o servizio verrebbe scambiato con il risultato economicamente migliore possibile. In molti casi il valore di scambio finisce per essere fissato in una misura sensibilmente inferiore al valore d’uso. Se ci troviamo in un mercato concorrenziale, in presenza di una pluralità di imprese che offrono al mercato quel tipo di prodotto, queste competono tra di loro per assicurarsi quote di mercato e volumi di vendita. Uno degli strumenti tipici della concorrenza é il prezzo. Per rendere i propri prodotti preferibili, una della possibilità è proprio ridurre il prezzo di vendita dei propri prodotti.  costo di produzione del prodotto. Corrisponde al valore consumato dei fattori produttivi che l’impresa ha utilizzato per realizzare e vendere quel prodotto (es. materie prime, lavoro, servizi). Il costo di produzione dà luogo ad un sacrificio economico ad un consumo del valore del bene o servizio prodotto. Idealmente, così come il valore d’uso rappresenta il limite oltre il quale il valore di scambio non può andare, lo è altrettanto per il costo di produzione, il quale non può scendere oltre. Infatti, se il prezzo del bene o servizio é inferiore al costo di produzione, l’impresa otterrebbe un risultato economico negativo dalla vendita dello stesso. Ciò metterebbe in discussione la stessa ragione d’essere dell’impresa. Per questo motivo, in generale, é ovvio affermare che il valore di scambio debba essere superiore ai costi di produzione. Il valore di scambio dovrebbe, quindi, posizionarsi tra il valore d’uso ed i costi di produzione. _______________________________________________________________________________________ 10 Non basta che l’azienda generi un utile, ma occorre che questo sia sufficiente a soddisfare congruamente le aspettative di coloro che hanno investito nell’impresa. Se l’impresa riesce a soddisfarle stabilmente significa che la stessa é economicamente stabile. L’equilibrio finanziario L’equilibrio finanziario si realizza quando l’impresa é in grado mantenere in equilibrio le entrate e le uscite monetarie senza compromettere l’equilibrio economico, ovvero è in grado di fare sistematicamente e convenientemente fronte ai suoi impegni finanziari. Anche l’equilibrio finanziario può essere espresso matematicamente: Kmt-1 (capitale monetario) + E (entrate) = U (uscite) + Kmt (capitale residuo) Posto che il capitale residuo può essere maggiore o uguale a zero, é evidente che le entrate devono essere almeno pari alle uscite. L’equilibrio finanziario, infatti, é correlato all’equilibrio tra entrate ed uscite. L’equilibrio economico attiene al finalismo dell’impresa, ovvero si riferisce al fatto che l’impresa riesce a soddisfare la sua ragione d’essere. L’equilibrio finanziario, invece, non ci dice nulla sul fatto che l’azienda riesca o meno a soddisfare la sua ragione d’essere; tuttavia, se l’impresa perde l’equilibrio finanziario, fallisce e cessa di esistere, perché non riesce a mantenere i suoi impegni finanziari. Ci sono casi in cui l’equilibrio economico e l’equilibrio finanziario sono in sintonia tra loro ed altri caso, invece, in cui i due sono divergenti tra loro. Ci possono essere casi in cui, nonostante il buon equilibrio economico, l’impresa fallisce per mancanza di equilibrio finanziario (es. eccesso di crediti non incassati). Il capitale e il reddito Agli equilibri economico e finanziario si legano due grandezze chiave che ruotano intorno all’economia dell’azienda: capitale di funzionamento e reddito d’esercizio. Il capitale di funzionamento è il complesso degli elementi patrimoniali attivi e passivi che l’impresa ha a sua disposizione. Il capitale o patrimonio netto è il saldo tra elementi patrimoniali attivi (elementi a disposizione dell’impresa) e elementi passivi (elementi che l’impresa deve a terzi). Il capitale di funzionamento è una grandezza istantanea che può essere calcolata in qualsiasi momento. Normalmente, il capitale viene calcolato alla data di chiusura del reddito d’esercizio, pari ad un anno e, in alcuni casi, ad un anno civile. La data di chiusura del reddito d’esercizio, é possibile verificare il capitale netto dell’impresa e la determinazione della ricchezza dell’impresa in quell’istante. Il reddito di esercizio è la variazione che il capitale di funzionamento subisce per effetto della gestione, misurata dalla differenza tra ricavi e costi di competenza economica dell’esercizio. Il reddito, a differenza del capitale di funzionamento, é una grandezza flusso. Se i ricavi sono maggiori dei costi, si avrà dell’utile; in caso contrario, si avrà una perdita. Il profitto e il rischio Profitto e rischio sono dimensioni connaturate all’attività dell’impresa: _______________________________________________________________________________________ 11  il profitto rappresenta la ragione d’essere dell’impresa;  il rischio è insito in ogni attività economica. Sono due dimensioni irrinunciabili, presenti in qualsiasi attività di impresa. Lo potranno poi essere in modalità diverse ma saranno comunque sempre presenti. Non solo. Profitto e rischio sono dimensioni tra loro strettamente correlate. Sono tra loro interdipendenti e condeterminanti l’una dall’altra. Sono tra loro collegate nel senso che tanto maggiore é l’una tanto maggiore é l’altra. In altri termini, tanto più elevato é il livello di profitto che si prefigge di perseguire, tanto più elevato é il livello di rischio che caratterizzerà quell’attività economica. Viceversa, tanto più elevato é il rischio, tanto più elevate sono le aspettative di profitto (come nei mercati finanziari). Il profitto Il profitto può essere visto sia come obiettivo che come risultato aziendale. In termini di obiettivo, il profitto é quello dell’impresa in sé, dell’imprenditore o dei portatori di capitale di rischio. A rigore, l’impresa non ha un obiettivo in sé ma le viene attribuito da chi pro tempore la governa. Non di meno, l’impresa in sé, in quanto realtà istituzionale, per poter continuare ad esistere deve perseguire l’obiettivo di generare profitto dalla produzione. Per livello di modalità di governo aziendale, ci possono essere visioni diverse date da motivazioni differenti:  l’imprenditore ha sicuramente l’obiettivo di profitto in mente. Se l’imprenditore ha anche investito capitale nell’impresa, tutto si riduce a quel livello;  il portatore di capitale ha l’obiettivo di conservare il capitale investito, di consolidarlo nel tempo ottenendo, nel tempo, un rendimento ritenuto soddisfacente (investimenti a medio e lungo termine). In tal caso, occorre gestire l’impresa in modo da consolidare il capitale nel tempo;  l’operatore che si muove in modo speculativo sul mercato non ha l’obiettivo di investire capitale e consolidarlo nel tempo ma persegue il fine di trarre rapidamente il più elevato livello di profitto dall’investimento (investimento a breve periodo). Quello che conta sono i risultati immediati senza pensare a cosa succederà domani;  il manager, la figura professionale che gestisce l’impresa, non essendo proprietario, ha una posizione mediana: deve conseguire risultati che gli consentano di essere rinnovato dell’incarico alla scadenza (nomina amministratori ogni 3 anni). Deve dimostrare di aver raggiunto risultati significativi in modo da essere rinominato. Come può essere inteso l’obiettivo di profitto?  Tradizionalmente, il profitto é un obiettivo che va massimizzato. Tanto maggiore é il risultato di profitto, tanto migliore é la funzionalità dell’impresa.  Secondo alcuni economisti, il profitto è un obiettivo che va massimizzato nel lungo periodo. A differenza della prima accezione, ciò comporta, da un lato, i più positivi risultati e, dall’altro, la non compromissione della durabilità dell’impresa. Talora é piuttosto semplice massimizzare il profitto di breve respiro mettendo tuttavia in discussione la possibilità dell’impresa di proseguire regolarmente e in modo funzionale la propria attività nel tempo. L’impresa che decide quest’anno di azzerare le spese in ricerca e sviluppo, di rinunciare ad introdurre innovazioni tecnologiche, di non spendere in pubblicità otterrà un sensibile profitto immediato. Tuttavia, così facendo, l’impresa rischia di perdere competitività, ovvero di perdere sia la capacità di attrazione dei consumatori che la concorrenza con altre imprese. A fronte della massimizzazione di profitto istantanea, l’impresa ha compromesso il suo permanere nel mercato e, quindi, la durabilità dell’impresa. _______________________________________________________________________________________ 12  Più recentemente, il profitto è un obiettivo che va massimizzato nel lungo periodo e in misura soddisfacente. Ha due significati opposti. Da un lato ci dice che massimizzare il profitto nel lungo periodo potrebbe non essere sufficiente se il livello di profitto che si consegue non soddisfa chi ha investito capitale. Se l’impresa, per il settore in cui opera e per come é organizzata, pur massimizzando nel lungo periodo il profitto conseguibile, ottiene un profitto insoddisfacente, non sarà tale da poter continuare la svolgere la sua attività. É un problema rilevante sia dal punto di vista della singola impresa che del gruppo. In primo luogo un soggetto non investirà capitale nelle imprese che non hanno un profitto soddisfacente. In secondo luogo, le imprese meno soddisfacenti devono uscire dal mercato in quanto occorre investire in aziende soddisfacenti per il benessere complessivo della società. Dall’altro lato, ci dice che massimizzare il profitto nel lungo periodo affinché raggiunga un livello soddisfacente non deve dare luogo a comportamenti nocivi per il sistema, in quanto comporterebbe discredito all’intero sistema economico (es. inquinamento, lavoratori insoddisfatti...).  Da ultimo é possibile sottolineare come il profitto è un obiettivo che va perseguito da solo – come ragione d’essere dell’impresa – o in combinazione con altri obiettivi come, ad esempio, perseguire un obiettivo di crescita sviluppo ed espansione dell’azienda (es. espansione territoriale o settoriale). Il profitto può essere considerato un risultato aziendale. Può essere riferito all’intera vita dell’impresa e questo ha un senso perché riflette la funzionalità complessiva che l’impresa ha dimostrato nell’arco intero della sua esistenza. Il difetto é che il risultato é conoscibile solo alla fine dell’impresa. Può avere elementi di interesse, ma ha qualche limite nella pratica. Per praticità si fa riferimento a periodi intermedi (anno amministrativo). É anche possibile osservare come questo risultato può essere determinato sia in termini contabili che in termini più propriamente economici. Come misura contabile di risultato, il riferimento é al reddito che l’impresa produce che, se positivo, prende il nome di utile, ovvero:  Differenza tra ricavi e costi del periodo (RN = R - C);  variazione del capitale proprio (RN = ΔCN);  tasso di remunerazione del capitale proprio (ROE = RN/CN) Come misura economica, il profitto potrebbe essere espresso in termini di extrareddito, intendendosi quel differenziale positivo dell’utile prodotto rispetto al risultato atteso. C’é profitto solo in presenza di un risultato economico positivo dato dal:  surplus dell’utile sulla remunerazione congrua del capitale (RE = RN – RNatteso);  variazione del capitale aziendale (RE = ΔW). Il valore economico dell’impresa dipende dalla capacità di remunerare il capitale investito. Se il reddito ottenuto é quello atteso, il valore sul mercato rimane costante; se é maggiore il valore sul mercato aumenta e, se minore, il valore diminuisce. Il rischio Il rischio dipende dal fatto che l’impresa prende decisioni che possono avere effetti immediati oppure a posteriori. In particolare, le decisioni che danno luogo ad effetti certi sono quelle che riguardano la struttura (costi di struttura certi). Tuttavia, non sono certi né i costi correnti, né i ricavi conseguiti dalla gestione. Questi elementi non sono certi perché dipendono da condizioni operative incerte:  domanda di prodotti (es. variano gusti e preferenze dei consumatori);  offerta di fattori produttivi (es. materie prime più difficili da reperire);  tecnologie (macchinari obsoleti);  concorrenza (es. introduzione nuovi prodotti da parte di altre imprese); _______________________________________________________________________________________ 15 I processi sono in ogni caso insiemi di operazioni che hanno la caratteristica di essere relativamente continui. La definizione dei processi può avvenire sulla base di criteri differenti. In particolare, in contesti aziendali semplici e stabili, dove i problemi di gestione da affrontare sono semplici, e la gestione si ripete con continuità temporale – contesti più diffusi in passato che attualmente – i processi possono essere individuati come insiemi ordinati di operazioni della stessa specie aventi lo stesso oggetto (es. acquisto di materie prime, la manutenzione ordinaria degli impianti, distribuzione fisica dei prodotti,...). I processi hanno lo stesso contenuto e lo stesso oggetto. Definendo in tal modo i processi, é possibile strutturare l’impresa in modo verticale. Ci si organizza in modo da presidiare operazioni della stessa specie aventi analogo oggetto e quindi ci sarà qualcuno che sarà responsabile di particolari operazioni. É possibile attuare una struttura organizzativa che segue questa logica. In contesti aziendali complessi e dinamici, dove la gestione aziendale presenta elementi di complessità, i processi possono essere individuati come insiemi ordinati di operazioni finalizzate a soddisfare specifici bisogni (es. lo sviluppo del prodotto, la gestione degli ordini di vendita,…). A loro volta i processi possono essere variamente aggregati fra loro. In particolare si distinguono: 1. le coordinazioni di processi o funzioni sono insiemi di processi della stessa specie ma con un oggetto diverso:  tutte le operazioni di acquisto compongono la funzione di approvvigionamento;  tutte le operazioni che riguardano le lavorazioni compongono la funzione di produzione;  tutte le operazioni di mercato compongono la funzione di vendita.  tutte le operazioni amministrative e contabili compongono la funzione amministrativa. Discende direttamente dalla prima definizione di processo ed é tipica dei contesti più semplici e stabili. 2. le combinazioni produttive sono insiemi di processi che si riferiscono a specifici ambiti strategici di attività:  linee di prodotto (biscotti, merendine,...)  tipologie di clienti (consumatori, grossisti, altre aziende,...)  aree geografiche (Italia, Europa, medio oriente...) Si distinguono due modelli organizzativi. Il primo è il modello organizzativo basato sulle funzioni, intese come insiemi specializzati di operazioni della stessa specie che rispondono ad una stessa responsabilità gestionale (approvvigionamento, produzione, vendita, finanziamento, gestione del personale, studio del mercato, controllo di gestione,…). Le funzioni caratterizzano il modello organizzativo in contesti relativamente semplici, stabili e prevedibili. La produzione non é particolarmente diversificata. Siamo in un contesto stabile quando i prodotti mantengono la loro durabilità sul mercato. Se l’attività aziendale é semplice, stabile e prevedibile può essere standardizzata, programmata nei suoi aspetti qualitativi e quantitativi e realizzata in modo standard (produzione standardizzata). Nel momento in cui la produzione é standardizzata si tende a privilegiare: la specializzazione delle attività che vengono ripetute nel tempo al fine di affinare le tecniche e le procedure in modo da diminuire efficientemente tempi e costi. É possibile fruire di economie di esperienza ed economie di scala: insieme contribuiscono all’efficienza che permette di ridurre il costo di produzione. In quei contesti il modello organizzato sulle funzioni garantisce migliori risultati possibili. Tuttavia nel momento in cui il contesto di riferimento perde i caratteri di semplicità e stabilità, il riferimento alle funzioni non é particolarmente utile. _______________________________________________________________________________________ 16 Il secondo è il modello organizzativo basato sui processi-chiave, intesi come insieme di operazioni coordinate che vengono svolte per rispondere ai bisogni di un cliente esterno o interno (es. sviluppo del prodotto, gestione ordini,…). I processi-chiave caratterizzano il modello organizzativo in contesti complessi e variabili. Nei contesti semplici e stabili, la competizione gioca sul prodotto e sul prezzo venduto sul mercato. Nel momento in cui il contesto diventa complesso, il prezzo ha un ruolo importante ma giocano altri fattori tra cui la qualità, la differenziazione (ampia gamma di prodotti alternativi), la personalizzazione del prodotto (esattamente quello richiesto dal cliente). In questi contesti, la standardizzazione non funziona perché sono troppo numerose le variabili che entrano in gioco. Quello che si rende necessario é il forte coordinamento all’interno dell’azienda. Ciò che si produce può variare e, quindi, bisogna essere flessibili ed adattarsi. Le risposte produttive devono essere efficaci, ovvero deve avere la capacità di rispondere ai bisogni del cliente. La struttura organizzativa aziendale e la divisione funzionale del lavoro non sempre rispecchiano l’articolazione della gestione in processi-chiave (es. attività di sviluppo del prodotto). In realtà, per rispondere alla crescente varietà e variabilità dei bisogni e delle risposte produttive, sono stati proposti modelli alternativi a quello funzionale (es. a matrice). Questi modelli ebbero però con scarsi risultati. Il modello funzionale, nonostante i suoi limiti, mantiene nettamente la preferenza tra quelli utilizzabili. Ciò perché mette insieme tra loro figure professionali simili: il bagaglio culturale simile li aiuta a collaborare positivamente. In questo modo si favorisce lo sviluppo delle competenze di quei soggetti perché si possono confrontare tra loro e cercare soluzioni. Mettendo insieme tutti quelli che svolgono un certo tipo di attività é possibile far crescere conoscenze e competenze specifiche. I tentativi messi in atto per costituire unità organizzative professionali non hanno dato esiti positivi. Si sono rese necessarie soluzioni organizzative appropriate:  gruppi di lavoro interfunzionali;  ruoli di integrazione. La catena del valore di Porter Sono stati presentati diversi modelli di analisi che tendono ad ottimizzare la gestione aziendale. Uno strumento analitico molto noto per esaminare la gestione come insieme di operazioni e processo è catena del valore di Porter. I processi di gestione vengono distinti in:  Attività primarie. Attività che da monte a valle alimentano la produzione (logistica, vendita, marketing, servizi);  Attività secondarie. Attività che offrono supporto alle attività primarie e al processo produttivo in generale (es. attività infrastrutturali, gestione delle risorse umane, sviluppo della tecnologia, approvvigionamenti). La catena del valore viene rappresentata come una freccia orientata al cliente. Le attività primarie aggiungono valore ai fattori produttivi via via che vengono trasformati in prodotti secondo caratteristiche tali _______________________________________________________________________________________ 17 da renderli utili ai clienti, con la guida delle attività secondarie (valore della produzione). Le attività primarie e secondarie utilizzano fattori produttivi (costo della produzione). Questo modello analizza criticamente le attività che l’impresa utilizza per aggiungere valore alla gestione aziendale. Ognuna delle attività primarie e secondarie andrebbero analizzate criticamente per capire se aggiunge valore e se viene svolta nel modo migliore. Se si riscontra che alcune attività non sono particolarmente utili si devono eliminare aumentando in tal modo il margine della produzione. Attraverso questo modello si razionalizza l’attività produttiva. L’attività produttiva L’attività produttiva si risolve in un flusso di fattori che si trasformano in prodotti, consumando e producendo valore. Oltre al flusso di fattori, l’attività aziendale incorpora rilevanti flussi di informazioni. In particolare, il flusso della produzione é regolata e comandata da un flusso di informazioni:  dal mercato, a ritroso rispetto al flusso della produzione;  dall’alto in base ad una previsione della domanda e ad un programma di produzione. L’attività produttiva è controllata da un flusso di informazioni derivanti dalla rilevazione dei ricavi e costi relativi:  alle singole attività (operazioni, processi);  alle singole unità produttive;  ai singoli prodotti;  alle produzione complessiva. Le evoluzioni in atto Negli ultimi venti o trenta anni una pluralità di fenomeni evolutivi hanno iniziato a manifestarsi e stanno dispiegando i loro effetti sul mercato. Il modello di produzione e consumo si sta spostando:  da un modello industriale ad uno post industriale (diminuisce il peso dell’industria, aumenta il peso del terziario e l’attività produttiva si caratterizza per la crescente importanza dei servizi);  da un modello di standardizzazione ad uno di differenziazione (non più pochi prodotti in poche varianti ma tanti prodotti con tante varianti);  dalla stabilità alla variabilità dei bisogni (i gusti e le preferenze cambiano velocemente);  dalla materialità all’immaterialità dei beni e servizi;  dal mercato locale al mercato globale (opportunità di offrire i prodotti sui mercati internazionali, rischio che altri operatori internazionali entrino nel nostro mercato);  dall’internalizzazione all’esternalizzazione dei servizi;  dall’integrazione alla dis-integrazione;  dall’unitarietà del lavoro allo sviluppo di gruppi e reti di personale (il lavoro viene svolto da una pluralità di soggetti che si devono organizzare tra di loro). Attualmente, l’impresa non é più un meccanismo pilotato dal mercato che acquisisce fattori standard a prezzi dati per trasformarli, con maggiore o minore efficienza, in prodotto standard vendibili a prezzi dati. Non é più un soggetto puramente caratterizzato da efficienza. É sempre più un soggetto progettuale che sviluppa autonomamente una capacità propositiva e innovativa, che cerca di dare nuove risposte al mercato. Diventa sempre più un sistema cognitivo che utilizza e produce conoscenza. _______________________________________________________________________________________ 20  Variazioni economiche positive (VEP) o negative (VEN). Le operazioni che fanno aumentare o diminuire il capitale proprio determinano variazioni economiche che sono positive se il capitale netto aumenta per effetto di essi e che sono negative se il capitale proprio diminuisce.  Variazioni finanziarie positive (VFP) o negative (VFN). Le operazioni che, in modo immediato o differito, fanno aumentare o diminuire il capitale monetario, determinano variazioni finanziarie che sono positive se il capitale monetario aumenta e che sono negative se il capitale monetario diminuisce. Le operazioni di gestione esterna:  determinano effetti economici, intesi come formazione e variazione negativa o positiva di capitale proprio;  determinano effetti finanziari, intese come variazioni positive o negative, immediate o differite, del capitale monetario disponibile. Le operazioni di gestione interna, invece:  non determinano effetti finanziari, in quanto si esauriscono all’interno della struttura aziendale;  determinano effetti economici, intesi come formazione e variazione di capitale proprio. Esempi. Se aumenta il capitale disponibile, abbiamo una variazione finanziaria e, nel contempo, una variazione economica perché aumenta il capitale proprio. Se, invece, il conferimento é effettuato con prestito, nel momento in cui si accende abbiamo solo una variazione finanziaria. Aumenta il capitale disponibile. Sorge però un debito. In via differita, diminuisce il capitale proprio. Al momento dell’estinzione c’é una variazione finanziaria negativa ma anche una variazione economica positiva. Se vengono acquistati fattori produttivi e il pagamento è immediato, c’è una variazione sia finanziaria che economica negativa. Se, invece, il pagamento è differito inizialmente non abbiamo una uscita monetaria ma una obbligazione e, quindi, abbiamo una variazione finanziaria. Se l’operazione comporta una variazione finanziaria correlata ad una variazione economica, hanno lo stesso segno o positivo o negativo. Se ci sono due operazioni dello stesso tipo, in alcuni casi, come nel finanziamento e rimborso, possiamo avere due variazioni, una segno positivo altro negativo. Nella fase del finanziamento si hanno entrate monetarie che determinano la costituzione di capitale monetario e danno luogo ad un aumento del capitale proprio (dal proprietario o soci) oppure di debiti (a prestito). Il capitale investito può essere utilizzato per l’acquisto dei fattori produttivi. Questi vengono utilizzati e trasformati in prodotti, i quali vengono successivamente venduti nella fase di realizzo con il quale si ottiene capitale realizzato. Capitale disponibile per rimborso o investimento. Le operazioni di finanziamento Le operazioni di finanziamento sono quelle con cui l’impresa acquisisce dall’esterno capitale monetario necessario ad alimentare la gestione. Per la generalità delle imprese, il capitale rappresenta un fattore produttivo generico. Diventa un fattore produttivo specifico per le imprese che operano nel mercato finanziario. _______________________________________________________________________________________ 21 Può essere conferito all’impresa a titolo di:  partecipazione alla proprietà aziendale (attraverso apporti di capitale proprio oppure in natura);  concessione di credito (attraverso la concessione di prestiti). Dal punto di vista finanziario, queste due modalità di conferimento sono relativamente simili perché entrambe le operazioni finanziano l’impresa attraverso capitale monetario disponibile. In realtà sono profondamente differenti, sia dal punto di vista dei diritti sottesi che del rischio. Queste operazioni hanno, alla base, diritti diversi:  chi ha concesso il credito (istituti bancari, singoli risparmiatori), ha diritto al rimborso del capitale investito secondo le modalità pattuite dalle parti e alla remunerazione attraverso degli interessi, con tassi che possono essere fissi (certezza a priori) oppure variabili (incertezza della remunerazione). La remunerazione può essere anche indicizzata: tale diritto non viene concesso se il reddito dell’impresa non supera determinati valori soglia precedentemente stabiliti. In questo caso si parla di capitale col vincolo del rischio limitato (o capitale di credito);  chi partecipa alla proprietà aziendale attraverso il conferimento di capitale monetario (oppure di beni) di per sé non ha diritto né alla restituzione e né alla remunerazione del capitale investito. La restituzione del capitale investito avviene proporzionalmente solo alla liquidazione dell’azienda oppure attraverso la vendita della propria quota di partecipazione all’impresa. Non c’é un termine entro cui il capitale investito debba essere restituito e nemmeno una garanzia sul rimborso del capitale. La remunerazione avviene solo se l’azienda ha ottenuto dei risultati positivi e, quindi, viene decisa la distribuzione degli utili d’esercizio. Se, però, l’impresa non é in grado di restituire il capitale di credito conseguentemente non potrà rimborsare il capitale di rischio. In questo caso si parla di capitale col vincolo del pieno rischio (o capitale di rischio). Il capitale di rischio è un fattore produttivo che viene remunerato dopo tutti gli altri fattori produttivi, compresi i capitali di credito (indice sintetico di remunerazione dei fattori produttivi). Chi apporta capitale di rischio si attende una aspettativa di remunerazione sensibilmente maggiore rispetto a chi mette a disposizione capitale di credito. La graduazione del rischio nelle operazioni di finanziamento Le fonti di finanziamento, quindi, si caratterizzano per il diritto contrattualmente garantito da parte di chi conferisce il capitale di vederselo restituire secondo modalità pattuite. Possono essere apporti di capitale di credito – da parte di istituti bancari o anche risparmiatori – oppure apporti di capitale di rischio – da parte dell’imprenditore o dei soci. Tra queste due macro classi di operazioni – con diverso livello di rischio e aspettative di remunerazione – sono nettamente più rischiose quelle che conferiscono capitale di rischio. Dal punto di vista dell’apporto del capitale di rischio vi é una diversa graduazione del rischio a seconda:  del tipo di impresa che viene finanziata;  del tipo di società che eventualmente viene utilizzata per la gestione aziendale. Dal punto di vista delle tipologie di imprese, occorre distinguere:  l’impresa individuale, in cui vi é un unico soggetto che apporta l’intero capitale di rischio, un unico proprietario dell’impresa che, di norma, coincide con la figura dell’imprenditore. In questo caso, il livello di rischio è massimo per il soggetto che apporta da solo l’intero capitale nell’impresa individuale. Il livello massimo di rischio è compensato dal fatto che tutti i benefici derivanti dall’impresa vanno al singolo imprenditore. La responsabilità dell’imprenditore è illimitata, sino all’intera copertura delle obbligazioni sociali. La forma societaria – anche se nasce espressamente per rendere possibile l’esercizio collettivo dell’attività d’impresa – può essere talora utilizzata anche per le imprese individuali (impresa ad unico socio). _______________________________________________________________________________________ 22  l’impresa collettiva, in cui vi sono coinvolti più proprietari che conferiscono capitale di rischio nell’impresa. Ciò é tecnicamente possibile attraverso la costituzione di una società, ovvero uno strumento contrattuale – indispensabile dal punto di vista giuridico – che consente a più soggetti di condividere una iniziativa ed apportare un capitale con l’obiettivo di dividersi i frutti. In questo caso, il rischio può essere più o meno attenuato perché ripartito fra i singoli soci. L’attenuazione del rischio sul singolo socio dipende anche dall’incidenza della quota del singolo socio sul totale dei conferimenti, a parità di capitale investito. Dal punto di vista delle società, occorre distinguere:  Società di persone (società semplice; società in accomandita semplice; società in nome collettivo) sono società dove, tranne alcune eccezioni, ciò che conta sono le persone dei soci. In questo caso, i soci rispondono per le obbligazioni sociali illimitatamente e solidalmente con il proprio intero patrimonio. Ciò significa che, nelle società di persone, non é tanto importante quanto il singolo socio investe nella società, perché in ogni caso la sua responsabilità è estesa al suo patrimonio, sino all’intera copertura delle obbligazioni sociali, oltre al capitale materialmente investito nell’impresa.  Società di capitali (società a responsabilità limitata; società per azioni) sono società dove ciò che conta non é la personalità dei soci, ma i capitali investiti nella società. In questo caso, la società ha personalità giuridica autonoma distinta rispetto ai soci. La società risponde delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio e non con quello dei soci. C’è una separazione formale tra il patrimonio della società e il patrimonio personale dei soci. Questi, salvo in casi particolari, sopportano un rischio limitato al capitale che hanno apportato nella società stessa. I patrimoni personali dei soci non sono soggetti al rischio d’impresa, salvo nel caso in cui il socio è anche amministratore della società ed abbia condotto l’attività aziendale in modo fraudolento ed illecito. Con l’avvento sul mercato delle società di capitali, si é favorito lo sviluppo di attività economiche, ed in particolare da parte di quei soggetti che, pur caratterizzati da una certa propensione al rischio, non erano disponibili a rischiare l’intero proprio patrimonio in una attività, oppure da parte di quei soggetti che, pur non interessati alla funzione imprenditoriale, erano disponibili ad investire capitale. Inoltre, l’avvento delle società di capitali ha dato un forte impulso all’espansione di imprese medio grandi. Questo é il motivo per cui, con la riforma del diritto societario, si é reso possibile l’utilizzo della forma di società di capitali – in particolare nella forma della SRL – anche da parte di imprenditori individuali. Ancora più recentemente, si è ipotizzata la costituzione di SRL senza conferimenti di capitale, però con scarso successo fino ad ora. Le azioni Le azioni sono gli strumenti attraverso cui si costituisce e viene regolato il funzionamento delle SPA. Sono titoli rappresentativi di quote di proprietà, ovvero di capitale proprio della società. Ogni azione rappresenta una quota di partecipazione alla società. Ogni azione incorpora dei diritti:  diritto di voto nell’assemblea degli azionisti (organo che raggruppa tutti i soci e che assume decisioni importanti all’interno della società, es. nomina amministratori, approva il bilancio d’esercizio, decide che destinazione dare al risultato economico d’esercizio). Questo diritto sarà tanto più significativo quante più azioni si detengano e quanto maggiore sia la quota di partecipazione nella società.  diritto alla distribuzione degli utili con il pagamento dei dividendi in proporzione alla quota di partecipazione.  diritto al riparto finale in sede di liquidazione dell’impresa. Qualora si arrivi alla liquidazione dell’impresa e rimane un patrimonio netto finale disponibile, chi detiene delle azioni ha diritto di partecipare al riparto finale in proporzione alle azioni possedute. _______________________________________________________________________________________ 25 Le operazioni di investimento Le operazioni di investimento (o impiego del capitale) sono quelle operazioni attraverso cui il capitale disponibile viene impiegato ed investito nella acquisizione di fattori produttivi specifici (impianti, macchinari brevetti...) che caratterizzano e distinguono le imprese operanti in un settore da quelle in altri settori. Queste operazioni riflettono scelte gestionali specifiche e quindi qualificano il modo in cui l’impresa ha deciso di organizzare gestire e svolgere la propria attività produttiva. Attualmente, l’espressione “fattori produttivi” viene talora sostituita con l’espressione “risorse aziendali” facendo riferimento, in questo caso, ad un quadro più ampio di capacità a disposizione dell’impresa nella conduzione dell’attività aziendale. Le risorse aziendali Per risorse aziendali si intendono, quindi, tutte le capacità a disposizione dell’impresa per realizzare la propria attività produttiva, quindi anche le risorse immateriali di conoscenza che comportano competenza e fiducia, ovvero quelle qualità che sono alla base dei vantaggi competitivi e del successo economico dell’impresa. Tradizionalmente, le risorse aziendali erano rappresentate dal lavoro e dal capitale – sia in forma monetaria che trasformato nei fattori produttivi necessari alla produzione. Oggi il sapere arricchisce:  i fattori produttivi con le tecnologie e le professionalità: impianti, macchinari ed attrezzature diventano rilevanti sempre più in funzione delle tecnologie che importano ed il lavoro vale sempre più in funzione dei contributi di professionalità che i lavoratori sono in grado di mettere a disposizione all’impresa;  i sistemi aziendali con le conoscenze gestionali, l’immagine e la credibilità: tali conoscenze comportano competenza e fiducia nell’impresa nel quadro economico di riferimento. Le operazioni di investimento Nelle operazioni di investimento, il capitale monetario – inteso come fattore produttivo generico – viene trasformato attraverso l’acquisizione di fattori produttivi specifici di cui l’impresa ha specificatamente bisogno per attuare la sua attività. I fattori possono essere di natura sia materiale che immateriale:  Immobili, impianti e dotazioni strumentali;  Brevetti e marchi;  Materie prime da trasformare;  Merci da rivendere;  Servizi (più o meno avanzati ) e Lavoro (più o meno qualificato). I fattori produttivi specifici La gamma dei fattori produttivi specifici é molto ampia ed articolata. Per questo motivo, si possono classificare in:  Fattori produttivi a fecondità ripetuta (o fattori strutturali): concorrono a costituire la struttura dell’impresa. In questa categoria, troviamo, per esempio, gli immobili, gli impianti, i macchinari, i marchi, i brevetti, le licenze. Sono elementi sia materiali che immateriali che compongono, dimensionano e qualificano la struttura produttiva e la capacità produttiva dell’impresa. É sulla base di questi fattori produttivi che si definisce che cosa e quanto l’impresa é in grado di produrre. Vengono _______________________________________________________________________________________ 26 definiti “a fecondità ripetuta” perché partecipano ad una pluralità di cicli produttivi e ad una pluralità di periodi amministrativi. Sono dei fattori pluriennali, la cui durata coinvolge più anni e, quindi, più periodi amministrativi. Con riferimento al loro utilizzo, ne conseguono due condizioni: 1. L’utilizzo avviene in modo graduale durante la loro intera vita utile; 2. L’utilizzo è parziale nel singolo ciclo produttivo o periodo amministrativo.  Fattori produttivi a fecondità semplice (o fattori correnti): concorrono al funzionamento della struttura aziendale. Sono quei fattori che vengono utilizzati e trasformati impiegando la struttura disponibile. Consentono l’ordinario funzionamento aziendale. In questa categoria vi rientrano, per esempio, il lavoro, le materie prime, i servizi esterni. Si dicono “a fecondità a semplice” in quanto partecipano ad un solo ciclo produttivo e quindi ad un solo periodo amministrativo. Il loro utilizzo é integrale nel singolo ciclo produttivo o periodo amministrativo di riferimento. Ciò fa concorrere questo tipo di fattore alla formazione del reddito aziendale. Inoltre, occorre distinguere:  Fattori produttivi ad acquisizione rispetto all’utilizzo (o fattori anticipati): sono fattori produttivi la cui acquisizione é anticipata rispetto al loro utilizzo. Prima vengono acquisiti e poi possono essere utilizzati. Sono ad acquisizione anticipata tutti i fattori strutturali, tutti i fattori correnti di natura materiale e a seconda delle soluzioni contrattuali accolte, parte dei fattori correnti di natura immateriale (es. coperture assicurative). Una caratteristica rilevante è che, per loro natura, sono fattori suscettibili di generare rimanenze per loro natura, sottoforma di: 1. valore residuo di fattori strutturali; 2. scorte di magazzino; 3. diritti a godere di servizi acquistati ma non utilizzati.  Fattori ad acquisizione posticipata rispetto all’utilizzo (o fattori posticipati): sono fattori produttivi che vengono acquisiti contestualmente all’utilizzo o immediatamente dopo (lavoro, alcuni servizi operativi). Formalmente prima vengono utilizzati e poi vengono acquisiti. Per loro natura, non possono generare rimanenze. Gli effetti delle operazioni di investimento Dal punto di vista degli effetti dei fattori produttivi specifici, emerge che i costi di acquisto dei fattori strutturali sono costi pluriennali che l’impresa sostiene per avere la disponibilità di un fattore durevole e che concorre alla produzione per più anni. Ne consegue che, quando si formerà il reddito dell’impresa, si dovrà tenere conto del costo pluriennale dei fattori. I costi di acquisto dei fattori correnti, invece, sono costi di periodo o costi di esercizio che si sostengono per avere la disponibilità di fattori da utilizzare per la produzione del periodo. Il costo di acquisto dei fattori correnti è immediatamente espressivo del costo al loro utilizzo nel singolo periodo amministrativo. Con riferimento ai fattori strutturali, oltre alla natura fisica o tecnica del fattore in sé, è piuttosto rilevante la soluzione contrattuale con la quale il fattore viene formalmente acquisito. La disponibilità di fattori strutturali, infatti, può essere acquisita, anziché affrontando dei costi pluriennali, sostenendo dei costi di periodo attraverso contratti come quelli di affitto, di leasing o di licenza d’uso. In questo modo, il proprietario acquisisce il fattore senza l’acquisto della proprietà sulla base del contratto stipulato tra le parti. Le modalità di remunerazione dei portatori dei fattori produttivi Per quanto riguarda le modalità di remunerazione dei portatori dei fattori produttivi, si distingue:  Fattori a remunerazione contrattuale: sono i fattori dove la remunerazione spettante al soggetto che li mette a disposizione é pattuito anticipatamente tra le parti. In questo caso, dal punto di vista _______________________________________________________________________________________ 27 economico, l’impresa sostiene un costo. Il compenso anticipato corrisponde al sacrificio economico che l’impresa sostiene e, quindi, al costo di acquisto del fattore stesso.  Fattori a remunerazione residuale: sono i fattori dove la remunerazione spettante al soggetto che li mette a disposizione dipende dall’andamento gestionale dell’impresa, da quanto residua dai ricavi dopo aver coperto tutti i costi. La remunerazione avviene solitamente attraverso la partecipazione agli utili. Per esempio, sono a remunerazione residuale, le retribuzioni offerte ai soggetti che occupano i più elevati livelli della gestione aziendale e tutti gli altri lavoratori a cui spettano dei premi di produttività. Inoltre, sono fattori a remunerazione residuale quelli aventi un significativo contenuto tecnologico di marketing (es. acquisizione brevetti). L’entità della remunerazione dei fattori produttivi Dal punto di vista dell’entità della remunerazione dei fattori produttivi, si distingue:  Fattori remunerati ad un prezzo di mercato: sono beni e servizi correntemente acquisibili sul mercato senza difficoltà che possono essere prodotti ed acquisiti da una pluralità di imprese. È l’incrocio della domanda e dell’offerta a determinare il prezzo di mercato del bene o servizio.  Fattore remunerato ad un prezzo contrattato collettivamente/individualmente: è il fattore lavoro, dove la contrattazione collettiva é soprattutto finalizzata a garantire livelli di remunerazione accettabili per i lavoratori che vengono considerati parte debole del rapporto. Si stabiliscono le condizioni di remunerazione dei lavoratori in cambio della prestazione lavorativa.  Fattori remunerati ad un prezzo congruo: al di fuori di logiche di mercato e contrattazioni collettive, sono una serie di fattori rari ma fondamentali per l’esercizio di una determinata attività produttiva e non facilmente reperibili. Le imprese che vogliono ottenerne il godimento devono essere disponibili a pagare un prezzo congruo al proprietario di quei fattori. Da questo punto di vista, sono fattori da remunerare congruamente: 1. il personale particolarmente qualificato che dimostra di essere molto competente nel proprio ruolo e di aver ottenuto risultati positivi; 2. il capitale di rischio per le esigenze di finanziamento dell’impresa. Le operazioni di trasformazione Le operazioni di trasformazione riguardano la trasformazione tecnico-economica dei fattori produttivi specifici in prodotti. I fattori produttivi vengono combinati tra loro e trasformati. Si passa dal valore dei fattori produttivi al valore dei prodotti. Per rispondere alla sua funzione aziendale, la produzione é rivolta al mercato, ma può anche essere produzione per uso interno. L’attività produttiva, oltre a riguardare prodotti da vendere, può riguardare anche produzione di fattori strutturali che l’impresa può successivamente utilizzare nei suoi processi produttivi, siano essi di natura materiale o immateriale. La produzione per uso interno di fattori strutturali materiali è possibile limitatamente a determinati settori di attività (es. Ansaldo). Non è, quindi, possibile per la generalità delle imprese. Viceversa, la produzione per uso interno di fattori strutturali immateriali, entro certo limiti, è possibile per la generalità delle imprese (es. struttura di marketing per lo sviluppo di marchi). _______________________________________________________________________________________ 30 Acquisto di fattore lavoro con pagamento a pronti: Variazione economica negativa, dato il costo di utilizzo del fattore produttivo; Variazione finanziaria negativa, dato il pagamento per l’utilizzo del fattore produttivo. Gli effetti delle operazioni di gestione – trasformazione Prendiamo in considerazione tre cicli corrispondenti a periodi amministrativi. Immaginiamo che il fattore strutturale acquistato abbia una vita utile a tre cicli produttivi. Supponiamo che l’utilizzo di questo fattore strutturale sia graduale nell’arco complessivo della sua vita utile e che sia omogeneo. Immaginiamo che la cessione di utilità che l’impianto fa ai prodotti realizzati sia paritetico in ogni ciclo. Nella fase di trasformazione non ci sono variazioni finanziarie perché non ci sono contatti con l’esterno, ma solo variazioni economiche. Finché non vengono venduti i prodotti, per ragioni prudenziali si considera un valore pari al costo dei fattori produttivi. Il capitale aziendale all’esito del primo ciclo produttivo prima che si proceda alla vendita cambia nella sua composizione: diminuisce il valore dei fattori produttivi perché hanno ceduto utilità ai prodotti ma si forma valore attribuito ai prodotti stessi. É cambiata la composizione ma non la consistenza del capitale aziendale. Gli effetti delle operazioni di gestione - realizzo Vendita di prodotti con pagamento a pronti: Variazione finanziaria positiva, dato l’aumento della disponibilità di liquidità. Variazione economica positiva, dato il beneficio economico che l’azienda ottiene dalla vendita dei prodotti. _______________________________________________________________________________________ 31 Vendita di prodotti con regolamento differito: Variazione finanziaria positiva, dato il diritto di credito di funzionamento; Variazione economica positiva, dati i ricavi di vendita derivanti dai prodotti. Situazione patrimoniale all’inizio del secondo ciclo, dopo la vendita dei prodotti. Situazione patrimoniale al termine del secondo ciclo, dopo aver realizzato la produzione. Situazione patrimoniale all’inizio del terzo ciclo, dopo la vendita dei prodotti. Situazione patrimoniale al termine del terzo ciclo. Successivamente: Si saldano i debiti e crediti di funzionamento; Si vendono i prodotti in magazzino (per 708) Si rimborsano i debiti di finanziamento (500) Si pagano gli interessi passivi (al tasso annuo del’8% per tre anni). Saldo debiti di funzionamento: Variazione finanziaria positiva, data l’estinzione del debito di funzionamento. Variazione finanziaria negativa, data l’uscita monetaria per il pagamento del debito. _______________________________________________________________________________________ 32 Saldo crediti di funzionamento: Variazione finanziaria positiva, data l’entrata monetaria per il pagamento del credito; Variazione finanziaria negativa, data l’estinzione del credito di funzionamento. Vendita di prodotti con pagamento a pronti: Variazione finanziaria positiva, data l’entrata monetaria per la vendita dei prodotti. Variazione economica positiva, dati i ricavi di vendita dei prodotti. Rimborso debiti di finanziamento: Variazione finanziaria positiva, data l’estinzione dei debiti di finanziamento. Variazione finanziaria negativa, data l’uscita monetaria per il pagamento dei debiti. Pagamento di interessi passivi: Variazione economica negativa, data il pagamento degli interessi passivi. Variazione finanziaria positiva, data l’uscita monetaria per il pagamento degli interessi passivi. Situazione patrimoniale finale. Come possiamo notare, abbiamo 198 di capitale autogenerato. Prima avevamo determinato un capitale autogenerato di 200. Ciò perché prima abbiamo sovrastimato l’utile generato senza attribuirgli almeno una parte degli oneri finanziari che stavano già maturando. Non aver tenuto conto _______________________________________________________________________________________ 35  alla variazione generata dalla gestione nel capitale monetario e, al netto di eventuali debiti di finanziamento, nel capitale netto.  alla differenza tra ricavi e costi del ciclo di gestione. Infatti, il reddito é determinabile in modo analitico da: RN = Kr (capitale realizzato) – Ki (capitale investito) – Of (oneri finanziari) = Kr – [Ki + Of] = ricavi - costi Nel conto economico, dai ricavi di vendita vengono sottratti i costi di acquisto, derivando in tal modo il reddito operativo e, dallo stesso, vengono sottratti gli oneri finanziari. Nello stato patrimoniale, nell’attivo, troviamo il capitale monetario finale e corrisponde altresì al capitale monetario finale derivante dalla somma/differenza tra il capitale netto iniziale e il capitale netto generato. Questo modello presenta delle semplificazioni ma che, di per sé, non modificano la sostanza. In primo luogo, può succedere che, periodicamente, una parte del reddito prodotto venga distribuito ai portatori di capitale proprio. In questo caso, bisogna sommare alla determinazione del reddito eventuali utili distribuiti nell’arco temporale di vita dell’impresa. In secondo luogo, se la vita aziendale é molto lunga potrebbe, nel tempo, variare il potere d’acquisto della moneta. In questo caso, basta deflazionare il valore, applicando un parametro di omogeneizzazione tra il valore iniziale e finale della moneta. Questa figura di reddito ha due caratteristiche fondamentali, che rappresentano anche i lati opposti della stessa medaglia. La prima caratteristica – valutabile positivamente – è che il reddito determinato lungo la vita dell’impresa è un valore oggettivo, un valore certo nella sua consistenza. Salvo che vengano commessi errori, qualunque analista lo calcolerebbe nella stessa misura in quanto il reddito é misurato in termini monetari come differenza tra capitale monetario finale ed iniziale o come somma tra entrate ed uscite monetarie. Questa caratteristica rende il reddito una grandezza molto solida ed affidabile, totalmente attendibile, che non lascia spazi a dubbi ed equivoci. La seconda caratteristica – valutabile negativamente – è che, per procedere alla determinazione del reddito, occorre attendere la fine della vita dell’impresa, ovvero che tutte le operazioni di gestione siano concluse. Ciò rappresenta evidentemente un limite dal punto di vista pratico, in quanto finisce per non mettere a disposizione informazioni utili a supporto delle decisioni gestionali. In conclusione, il reddito determinato lungo la vita dell’impresa fornisce una informazione di notevole pregio perché riguarda una determinazione certa ma é debole dal punto di vista gestionale. Proprio per sopperire a questa lacuna, si calcola il reddito riferito a periodi intermedi della vita dell’impresa. La determinazione del reddito nel singolo esercizio La determinazione del reddito d’esercizio ha il vantaggio di essere sistematicamente disponibile ed utilizzabile a supporto della gestione aziendale; tuttavia, ha anch’esso dei limiti. Con riferimento ai fattori produttivi, può accadere che:  vengano utilizzati fattori che possono essere acquistati nello stesso periodo o in periodi precedenti; _______________________________________________________________________________________ 36  vengano acquistati fattori produttivi che possono essere utilizzati nello stesso periodo o in periodi successivi;  dato che le operazioni di acquisto possono essere a pronti o in via differita, questi possano essere dello stesso periodo o del periodo precedente o successivo; In questi casi, non c’é di norma coincidenza tra costi di acquisto e costi di utilizzo dei fattori produttivi ed, altresì, non c’è una coincidenza tra i costi di acquisto e le uscite monetarie. Con riferimento ai prodotti, può avvenire che:  vengano venduti prodotti realizzati nel periodo o provenienti da esercizi precedenti;  vengano realizzati prodotti che saranno venduti nel periodo o in periodi successivi;  vengano realizzati prodotti destinati ad un uso interno;  dato che il regolamento può essere a pronti o in via differita, i pagamenti dei prodotti possano avvenire nello stesso periodo o nel periodo precedente o successivo. In questi casi, non c’è una coincidenza tra il valore della produzione e i ricavi di vendita ed, altresì, non c’è una coincidenza tra i costi di produzione e le entrate monetarie. Inoltre, occorre tenere conto che:  si possono compiere esercizi a cavallo del periodo precedente o successivo, con cui si condividono costi e ricavi. Il singolo esercizio é coinvolto per solo una parte dall’esercizio;  si possono compiere operazioni rischiose, che possono esporre l’impresa a costi, oneri o perdite di futura manifestazione e di cui magari si conosce la possibilità ma non la certezza del sé quando e quanto questo potrà avvenire. Se ragioniamo a vita intera, infatti, non abbiamo problemi a valutare i rischi. Conseguentemente, anche la composizione del capitale sarà complessa. Con riferimento al capitale, a inizio e fine periodo, può avvenire che:  possano esserci debiti ancora da saldare;  possano esserci crediti ancora da incassare;  possano esserci investimenti in atto che non si sono ancora conclusi e realizzati:  fattori strutturali con un valore residuo;  rimanenze di materie prime;  rimanente di prodotti. In questo caso, abbiamo una composizione del capitale sicuramente più articolata rispetto a quella riscontrabile all’inizio e alla fine della vita dell’impresa. Nel caso di determinazione del reddito d’esercizio attraverso il conto economico, non abbiamo una coincidenza tra costi di acquisto e i costi di utilizzo né tra i ricavi di vendita ed il valore della produzione. In tal caso, occorre procedere ad una selezione tra tutti i costi di acquisto e i ricavi di vendita che si manifestano nel tempo quelli che sono di competenza del singolo periodo, in quanto meglio rappresentativi dell’andamento economico del singolo periodo. Di conseguenza, sicuramente non siamo in presenza di una rappresentazione oggettiva del reddito determinato nel singolo periodo perché la scelta dei costi e ricavi è soggettiva. Si tratta di costi e ricavi che hanno avuto sicuramente una manifestazione oggettiva nel singolo periodo ma solo di quelli che vengono selezionati. Il reddito determinabile nel singolo esercizio non è, quindi, una rappresentazione univoca, oggettiva e certa. Proprio perché si può fare ciò in tantissimi modi, l’orientamento maggioritario della dottrina economico-aziendale suggerisce l’accoglimento di un determinato principio di competenza economica che presidi questa selezione. Questo principio si trova nella contabilità nazionale e nel codice civile. È un principio soggettivo che delinea una soluzione, ma non l’unica possibile. Per questo principio di competenza economica, partecipano alla formazione del reddito del singolo periodo: _______________________________________________________________________________________ 37  i costi della produzione rappresentati dal valore dei fattori produttivi utilizzati, determinato in base al loro costo di acquisto,;  il valore della produzione, inteso come il valore dei prodotti realizzati con i fattori produttivi utilizzati nel periodo. Pur accogliendo questo principio, si hanno ugualmente dei vantaggi ma anche degli svantaggi. Avremo tutta una serie di voci economiche che correggeranno il valore e il costo della produzione. Nel caso di determinazione del reddito d’esercizio attraverso lo stato patrimoniale, non abbiamo una coincidenza tra la differenza di capitale monetario di fine ed inizio periodo e la differenza tra capitale netto di fine ed inizio periodo. In tal caso, occorre individuare e determinare tutti i componenti attivi e passivi del capitale che, oltre alle liquidità, concorrono alla formazione del capitale netto di fine periodo. La determinazione del reddito nel singolo esercizio presenta indubbiamente un notevole vantaggio perché fornisce sistematicamente degli elementi utili per le performance della gestione e lo stato di salute aziendale e le decisioni sul futuro. Lo svantaggio è quello che è una determinazione complessa, con elementi di incertezza di tipo soggettivo. Ciò richiede una particolare attenzione per evitare che una eccessiva soggettività porti a determinazioni non reali e poco affidabili. In conclusione, la determinazione del reddito d’esercizio in sede di bilancio è una operazione complessa, che va effettuato annualmente:  per controllare l’andamento economico della gestione;  per determinare l’utile distribuibile e remunerare i portatori di capitale di rischio;  per determinare e pagare gli oneri tributari. L’individuazione dei componenti di capitale e reddito Facciamo riferimento ad una impresa industriale che produce beni che poi destina allo scambio di mercato. Immaginiamo che:  l’impresa si finanzi sia attraverso capitale di rischio che di credito;  l’impresa utilizzi:  fattori a fecondità ripetuta acquistati esternamente oppure prodotti internamente (fabbricati, impianti, brevetti);  fattori a fecondità semplice anticipati (materie prime);  fattori a fecondità semplice posticipati (lavoro, servizi).  l’attività produttiva riguardi beni di uso durevole che vengono venduti assistiti da una garanzia a favore dei clienti;  l’impresa abbia necessità di mantenere scorte di magazzino sia di materie prime che di prodotti;  l’impresa acquisti e venda con regolamento a pronti e a termine;  l’impresa fornisca e acquisisca servizi di vario genere. Questo modello ci permette di analizzare la generalità delle imprese. I componenti di capitale e reddito legati all’utilizzo di fattori strutturali a fecondità ripetuta Il costo di acquisto di fattori strutturali é un costo tipicamente pluriennale. Trattandosi di fattori a fecondità ripetuta, partecipano ad una pluralità di cicli ed esercizi. Per questo motivo, il loro costo di acquisto _______________________________________________________________________________________ 40 In conto economico, tra i costi della produzione, troviamo il costo di acquisto delle materie prime meno la variazione delle rimanenze. Se è una variazione incrementativa, questa si sottrae al costo di acquisto per trovare il costo di utilizzo; viceversa, se è una variazione decrementativa, questa si somma al costo di acquisto per trovare il costo di utilizzo. Nell’attivo dello stato patrimoniale, troveremo il valore delle rimanenze finali di materie prime. I componenti di capitale e reddito legati all’utilizzo del lavoro Il fattore lavoro è il principale tra i fattori correnti posticipati. L’utilizzo di fattore lavoro determina sostanzialmente due componenti di onerosità. La principale è rappresentata dai costi periodici che l’impresa sostiene per la retribuzione dei lavoratori oltre che per oneri associati a quelle retribuzioni (sociali e previdenziali). Per semplicità, non teniamo distintamente conto della componente retributiva e degli oneri sociali e previdenziali perché seguono la medesima logica. Questo tipo di onerosità ha carattere periodico. La forma più comune é quella rappresentata dalla periodicità mensile. Siccome il fattore lavoro é posticipato, questa onerosità, in realtà, non pone particolari problemi dal punto di vista della competenza economica in quanto, nel momento in cui queste retribuzioni vengono erogate, l’impresa ha già sostanzialmente utilizzato il lavoro messo a disposizione. Si realizza una sostanziale coincidenza tra il costo di acquisto e costo di utilizzo del fattore produttivo e, quindi, il costo di acquisto rientra nel periodo considerato. Ci può essere qualche eccezione, rappresentata dalla eventuale erogazione, da parte dell’impresa, di premi di produttività e di risultato. Questi vengono erogati nell’esercizio successivo rispetto a quello di riferimento. Si potrebbe determinare un problema dal punto di vista della competenza perché sono degli oneri che vengono sostenuti successivamente rispetto a quello di competenza economica. Se ci sono questi oneri, sono comunque marginali. Immaginiamo che le retribuzioni e i relativi oneri connessi siano interamente di competenza del periodo. Questi costi per retribuzione rientrano e concorrono, nel conto economico, nei costi della produzione. Tuttavia, l’aspetto ulteriore da considerare è che, oltre a questa retribuzione periodica, il fattore lavoro normalmente dà diritto ad una ulteriore forma di remunerazione che, invece, ha sicuramente manifestazione finanziaria differita, in quanto riguarda un trattamento economico di fine rapporto (TFR). Al lavoratore, nel momento in cui termina il proprio rapporto di lavoro, spetta una remunerazione calcolata in funzione della durata del rapporto di lavoro stesso (costo non monetario). Questa forma differita di retribuzione spettante ai lavoratore crea un problema di competenza economica. La manifestazione finanziaria si ha solo al termine del rapporto di lavoro ma, siccome questa componente retributiva é determinata in funzione della durata del lavoro, dal punto di vista economico, grava sui singoli esercizi. Sebbene non si dia luogo ad una uscita monetaria esercizio per esercizio, si rende necessario, dal punto di vista economico, tenerla in considerazione. Per far ciò, si fanno degli accantonamenti annui al fondo TFR. Annualmente, si rileva un costo del personale relativo al TFR e questo tecnicamente avviene tramite un accantonamento che rappresenta una voce di costo che va ad aggiungersi alle voci di costo del personale. Nel conto economico, si inserisce tra i costi di produzione. Questo accantonamento rappresenta un debito presunto futuro dell’impresa nei confronti del lavoratore. È un debito presunto perché non é possibile conoscere a priori il termine del rapporto di lavoro e quindi non é possibile conoscere il momento in cui verrà erogato il TFR. _______________________________________________________________________________________ 41 Quindi, nel conto economico troveremo, nei costi della produzione, le voci di costo delle retribuzioni e dell’accantonamento per TFR. Nello stato patrimoniale, il fondo TFR, al netto delle spese, va ad inserirsi tra le passività. Di questa regola generale c’è una sola eccezione: nella generalità dei casi i rapporti di lavoro non cessano all’inizio dell’esercizio, ma durante l’esercizio. Non ne teniamo fondamentalmente conto di questa eccezione. Questo meccanismo non riguarda solo il fondo TFR, ma tutti i fondi di acquiescenza. In molti contratti collettivi nazionali di lavoro si prevede, oltre al TFR, altre forme di retribuzione differita. Questo meccanismo può essere applicato anche in questi casi. L’accantonamento rappresenta un costo di competenza dell’esercizio in cui viene effettuato. L’utilizzo del fondo dà luogo ad una sua diminuzione a fronte dell’uscita monetaria e quindi, in realtà, dà luogo ad un movimento monetario e finanziario e non ad una variazione economica. Le risorse accantonate possono essere destinate a fondi pensioni: in questo caso, invece di trattenere il TFR in azienda, viene devoluto ad altri enti. I componenti di capitale e reddito legati alla produzione effettuata In base al principio di competenza economica del reddito d’esercizio, i costi di utilizzo dei fattori produttivi e, correlativamente il valore della produzione che viene effettuata con quei fattori, rientrano nell’esercizio considerato. Il valore della produzione effettuata é legato al valore della produzione venduta, espresso dai ricavi di vendita. È possibile verificare come, in questo legame, rileva la variazione delle rimanenze. Il valore della produzione effettuata é pari ai ricavi di vendita del periodo aumentata del valore delle rimanenze finali e diminuiti del valore delle rimanenze iniziali. Possiamo anche dire che il valore della produzione effettuata è pari alla variazione delle rimanenze sommate ai ricavi di vendita. Il caso più semplice è quello in cui non ci siano né rimanenze finali né iniziali. In questo caso, non ci sono rimanenze e quindi c’é coincidenza tra il valore della produzione effettuata e il valore della produzione venduta. E’ stato prodotto e venduto tutto ciò che è stato prodotto. Non é stato prodotto di più se no ci sarebbero delle rimanenze. Non é stato prodotto di meno perché c’erano dei prodotti disponibili. Abbiamo prodotto tutto e solo ciò che abbiamo venduto. La stessa identità a valori é riscontrabile quando le rimanenze finali ed iniziali sono tra loro coincidenti. Anche in questo caso, si é prodotto tanto quanto si è venduto. Il valore della produzione effettuata coincide con il valore della produzione venduta perché le rimanenze sono nulle. Se la variazione della rimanenza di prodotti é positiva, il suo valore assoluto si somma ai ricavi di vendita per trovare il valore della produzione della produzione effettuata; se la variazione della é negativa, il suo valore assoluto si sottrae ai ricavi di vendita ai fini della determinazione del valore della produzione effettuata. _______________________________________________________________________________________ 42 In conto economico, nel valore della produzione, si inseriscono distintamente i ricavi di vendita e la variazione di rimanenze. Nello stato patrimoniale, nell’attivo, verranno inserite le rimanenze finali dei prodotti. I componenti di capitale e reddito di operazioni a cavallo di due esercizi Sia in termini di acquisizione di fattori produttivi, ma anche in termini di acquisizione ed erogazione di servizi, possono entrare in gioco sia costi che ricavi che, talora, coinvolgono due o più esercizi. Queste operazioni iniziano in un periodo amministrativo e terminano in un periodo amministrativo diverso. Ci sono operazioni che riguardano l’acquisizione o l’erogazione di servizi che, ponendosi a cavallo di due o più periodi amministrativi, rendono necessario il calcolo della quota di competenza di singoli esercizi. I componenti di capitale e reddito per l’acquisizione di servizi a cavallo di due esercizi Per quanto riguarda i costi per l’acquisizione di servizi, ci possono essere operazioni relative a servizi necessari per l’impresa (es. locazione, copertura assicurativa) che possono coinvolgere due esercizi iniziando nel primo e terminando nel secondo. Normalmente é agevole conoscerne il costo; il problema é ripartirlo tra più esercizi. Per ragioni di semplicità, convenzionalmente si decide di attribuire una quota proporzionale alla durata del servizio goduto. Si utilizza, convenzionalmente, il criterio del tempo fisico: si considera il calendario. Non è, però, un criterio che porta ad un reddito calcolato in modo significativo. Le soluzione tecniche variano se il costo del servizio viene liquidato in via anticipata (il debito sorge o si manifesta all’inizio dell’operazione) o in via posticipata (l’uscita monetaria si manifesta al termine dell’operazione). Se la liquidazione é anticipata, occorre stornare un costo in modo che ne gravi solo una parte sull’esercizio; se la liquidazione è posticipata, occorre imputare un costo che è già stato tenuto conto. Sono rettifiche simmetriche ed opposte e dipendono dalle modalità contrattuali poste in essere. Liquidazione anticipata di un risconto attivo All’inizio dell’operazione, sorge un debito nei confronti del fornitore o addirittura una uscita monetaria in favore del fornitore. Il debito misura il costo della produzione di pari ammontare. L’operazione prosegue nell’esercizio successivo. Siccome abbiamo già considerato un costo per intero occorre depurarlo dalla somma non di competenza. Occorre effettuare una rettifica decrementativa, uno storno di costo, la voce di costo non di competenza dell’esercizio. In questo modo, abbiamo un costo rinviato al futuro che, dal punto di vista logico, rappresenta il diritto di fruire di un servizio già acquistato e, quindi, ricompreso nell’attivo dello stato patrimoniale. In ogni caso, dipende dal modo in cui tra le parti viene concordata la liquidazione. Tecnicamente, questo costo prende il nome di risconto attivo. “Risconto” perché è una rettifica diminutiva del costo, “attivo” perché è sorto un diritto a ricevere la prestazione. _______________________________________________________________________________________ 45 Il risconto passivo, dal punto di vista tecnico, é un ricavo che viene sospeso e rinviato al futuro, ovvero non si fa concorrere al reddito dell’esercizio in cui si rileva, ma concorrerà alla determinazione del reddito dell’esercizio successivo. È, altresì, un impegno da parte dell’impresa a prestare servizi liquidati anticipatamente e in parte ancora da rendere nel periodo successivo. Per questo motivo, é da considerarsi una passività aziendale. Liquidazione posticipata di un rateo attivo Nel momento in cui l’operazione si avvia, di per sé, non sorge alcuna manifestazione finanziaria e quindi non si effettua alcuna rilevazione. Tuttavia, alla chiusura del primo esercizio, occorre sottolineare che é già maturata una quota di ricavo che va attribuita al periodo in chiusura. Si tratta, quindi, di imputare un ricavo all’esercizio precedente. In contropartita, si rileva un credito presunto e futuro nei confronti del cliente perché l’operazione non ha avuto formalmente manifestazione. Tecnicamente si tratta di un rateo attivo. “Rateo” perché è una parte di compenso spettante all’impresa per il servizio reso, “attivo” perché è un diritto dell’impresa di vedersi riconosciuto il compenso. In conto economico, nel valore della produzione, avremo un ricavo per servizi. Nell’attivo dello stato patrimoniale, un rateo attivo di pari entità. Nell’esercizio successivo, al termine del periodo contrattuale, sorge formalmente il credito nei confronti del cliente. Potrebbe esserci anche l’immediata entrata monetaria corrispondente al compenso. Abbiamo una variazione finanziaria positiva per il valore del compenso concordato dalle parti. Abbiamo l’estinzione del credito presunto futuro precedentemente registrato. Si chiude il rateo attivo rilevato in chiusura dell’esercizio precedente. Per la differenza, questa entrata monetaria misura un ricavo di competenza economica del periodo. In conto economico, tra le voci del valore della produzione, troveremo i ricavi per i servizi. Lo stato patrimoniale conterrà l’effetto della variazione finanziaria sulla cassa. Il rateo attivo, dal punto di vista tecnico, è un credito presunto futuro, un diritto a riscuotere un credito già maturato, a fine periodo, a fronte di servizi resi a cavallo di due periodi e liquidati in via posticipata. I componenti di capitale e reddito legati a rischi economici particolari Ragionando in singoli periodi intermedi di vita dell’impresa, occorre tenere conto del fatto che, alcune operazioni di gestione, possono dare luogo a rischi che gravano sull’impresa che, qualora si manifestino, possono determinare costi, oneri e perdite presunti e futuri, con manifestazioni in un momento successivo. _______________________________________________________________________________________ 46 Con particolare riguardo ai rischi economici particolari (es. vendite di prodotti in garanzia o con regolamento posticipato) le possibilità sono due. In primo luogo, l’impresa può trasferire l’onere di questi rischi a terzi attraverso delle formule contrattuali (es. assicurazioni): in questo caso c’é un acquisizione di un servizio da parte dell’impresa che darà luogo a costi certi legati alle modalità contrattuali stabilite. In secondo luogo, l’impresa, anziché trasferire a terzi l’onere del rischio, può decidere di mantenerlo a proprio carico trasferendolo nel tempo, ovvero distribuendolo su più esercizi attraverso accantonamenti a fondi rischi. L’impresa si pone il problema il determinare quello che può essere l’onere dei rischi che gravano sulla gestione. Per far ciò, si possono utilizzare materiali informativi come, per esempio, statistiche dei passati esercizi, elementi informativi riguardanti specifiche operazioni. Si tratta di determinare una operazione il più possibile razionale di quello che potrà essere l’onerosità del rischio. Attraverso questa modalità, l’impresa mantiene su di sé l’onere del rischio e, in sostanza, dà attuazione ad una politica di autoassicurazione. Anziché pagare annualmente un premio di assicurazione ad una compagnia che, all’occorrenza interverrà a copertura degli oneri del rischio considerato, l’impresa accantona ad un fondo rischi delle risorse che, all’occorrenza, potrà utilizzare per coprire l’onere relativo. Questa politica di autoassicurazione risponde al principio di competenza economica, in quanto riguarda l’attribuzione ai singoli periodi considerati dei costi, ma risponde, altresì, al principio di prudenza. Un primo esempio è il rischio di inesigibilità di crediti. Se l’impresa effettua una operazione di vendita dei propri prodotti con un regolamento differito, rischia che il ricavo non venga monetizzato a causa dell’insolvenza del cliente. Se l’impresa realizza operazioni di vendita nel periodo precedente, concedendo crediti ai clienti e quei crediti scadono il periodo successivo, la perdita si avrà nell’esercizio successivo. Tuttavia, quella perdita, per il principio di per competenza economica, dovrebbe riguardare il periodo precedente. Quindi, a carico dell’esercizio precedente, bisognerebbe tenere conto dell’insolvenza del credito, in quanto si evita che l’impresa consideri come definitivamente acquisiti dei ricavi che, in realtà, non sono stati ancora effettivamente conseguiti. A fine esercizio é possibile vedere se e quanti crediti l’impresa vanta nei confronti dei propri clienti. Sulla base dei crediti esistenti in quel momento, é possibile effettuare una previsione dell’ammontare degli stessi che, si teme, non verranno incassati. Con riferimento all’entità dei crediti presenti a fine periodo, é possibile procedere ad accantonamenti al fondo rischio crediti o al fondo svalutazione crediti di pari entità. Per generare questo fondo, si renderà necessario fare degli accantonamenti dei ricavi per coprire le perdite presunte future. Il suo ammontare di fine periodo deve essere pari al valore dei crediti a rischio di inesigibilità, rettificando il valore nominale dei crediti. L'accantonamento, infatti, rappresenta un componente negativo di reddito che rettifica in diminuzione i ricavi del periodo per tenere conto del fatto che una parte di essi non verrà corrisposta. Questo accantonamento, dal punto di vista logico, potrebbe essere rapportato ai ricavi di vendita ma, per offrire un quadro informativo più completo, nel conto economico, viene inserito fra i costi della produzione per darne distinta differenziazione. Il fondo viene inserito nell’attivo dello stato patrimoniale, portando in diminuzione il valore nominale dei crediti per esprimere il valore di presumibile realizzo. Questo trattamento vale, in realtà, per tutti i fondi rischi riferiti ad elementi dell’attivo patrimoniale. Le perdite su crediti, nel conto economico, possono essere inserite tra le voci dei costi della produzione (preferibile), oppure possono essere inserite tra gli oneri ordinari. _______________________________________________________________________________________ 47 Per ragioni prudenziali, al fondo viene attribuito il valore più elevato tra quelli ragionevoli. Un secondo esempio è il rischio di garanzia prodotti. L’impresa che ha venduto dei prodotti difettosi, coperti dalla garanzia, ha l’obbligo di riparare oppure di sostituire il prodotto stesso. Questo rischio grava sull’esercizio in cui si vendono i prodotti difettosi assistiti da garanzia. Per questo motivo, viene costituito un fondo garanzia prodotti. Il riferimento é il volume dei ricavi effettuati nel periodi e, quindi, l’entità del fondo rischi é normalmente commisurata al volume di affari generato. Per alimentare questo fondo, occorre fare degli accantonamenti in relazione ai costi per interventi in garanzia che si prevede di effettuare. Questa voce va inserita, nel conto economico, tra i costi della produzione. Siccome all’accantonamento non corrisponde nell’anno stesso un’uscita monetaria si tratta di costi non monetari (simili agli ammortamenti) che generano capitale monetario. Il fondo di garanzia prodotti, siccome non riguarda alcun elemento attivo patrimoniale, è una passività che accoglie ricavi accantonati per coprire costi presunti futuri. Il suo ammontare deve essere pari agli oneri che complessivamente si stima gravino sull’impresa a fine periodo. Nello stato patrimoniale deve essere, quindi, inserito tra le passività patrimoniali. Per motivi prudenziali, al fondo viene attribuito il valore più elevato tra quelli ragionevoli. I componenti di capitale e reddito della produzione ad uso interno La produzione interna di immobilizzazione materiali o immateriali dà luogo alla capitalizzazione di costi a utilità differita, ovvero a costi sospesi e rinviati al futuro. Dal punto di vista della determinazione del reddito d’esercizio, possiamo sottolineare come per realizzare internamente la costruzione di fattori strutturali l’impresa sostenga dei costi per l’utilizzo di materie prime e simili, di servizi, di personale dedicato, di utilizzo della struttura. Costi che, in assenza di rettifiche, concorrerebbero alla formazione del reddito dell’esercizio in cui queste attività si svolgono. Siccome questi costi presentano una utilità differita, per ragioni di competenza economica, non é corretto che concorrano alla determinazione del reddito dell’esercizio in cui vengono sostenuti, ma devono essere _______________________________________________________________________________________ 50 Possiamo idealmente immaginare che il capitale netto sia costituito fondamentalmente da tre componenti:  capitale di conferimento. Corrisponde al capitale monetario apportato direttamente dai titolari o dai soci. Nelle spa corrisponde al capitale sociale;  riserve di utili. Corrispondono al capitale monetario apportato indirettamente dai titolari o dai soci, ovvero il capitale a cui hanno rinunciato a prelevare, a titolo di dividendo, per lasciarlo a disposizione dell’impresa;  utile del periodo in attesa di destinazione. Siccome non viene destinato, rappresenta capitale monetario indirettamente apportato all’impresa dai titolari o dai soci. Particolarmente importante é la costituzione di riserve di utili, che consente all’impresa di tutelarsi dal rischio generale del’impresa. In questo modo, si attua una politica di autoassicurazione in quanto:  nei periodi favorevoli, quando dall’attività aziendale si produce un utile, questo viene accantonato costituendo le riserve;  nei periodi sfavorevoli, quando l’impresa attraversa momenti di difficoltà, é possibile attingere a quegli utili per coprire perdite oppure integrare la remunerazione dei titolari. Gli schemi di bilancio – stato patrimoniale Lo stato patrimoniale è uno schema a sezioni divise contrapposte dove, da un lato, abbiamo gli attivi patrimoniali (impieghi del capitale) e, dall’altro, i passivi e il capitale netto. Sia nell’attivo che nel passivo patrimoniale, possiamo trovare sia valori finanziari che valori economici. Sono componenti attivi del patrimonio aziendale (capitale lordo di funzionamento):  capitale monetario (cassa e banca) in attesa di (re)investimento;  diritti a incassare crediti e simili;  investimenti da realizzare (rimanenze di fattori e prodotti). Il capitale lordo di funzionamento è l’insieme del capitale monetario, dei diritti e dei beni che l’impresa in un dato momento ha a disposizione ai fini dello svolgimento dell’attività produttiva. Inoltre, sono costi sostenuti dall’impresa e rinviati ai periodi successivi. Sono componenti passivi del patrimonio aziendale le fonti, interne ed esterne, di capitale monetario, la cui attivazione ha comportato la formazione di un onere a carico dell’impresa. Si tratta di obbligazioni di pagamento e di ricavi anticipati. Le poste sono di natura finanziaria. _______________________________________________________________________________________ 51 Il capitale netto è la parte del valore delle attività patrimoniali che non è gravata da passività patrimoniali. Corrisponde al capitale apportato direttamente o indirettamente dai titolari. Gli schemi di bilancio – conto economico Il conto economico è uno schema a scalare che ha il pregio di calcolare risultati economici intermedi e non solo di evidenziare il risultato economico complessivo. In particolare, evidenzia il risultato economico nelle diverse aree della gestione (operativa, finanziaria, straordinaria, tributaria). Tutti gli schemi di conto economico hanno la stessa struttura. Tuttavia, varia l’area operativa caratteristica in quanto, a seconda del mercato in cui l’impresa opera, richiede un’analisi più dettagliata, operabile secondo diversi modelli. Lo schema di conto economico a valore e costo della produzione effettuata, il reddito operativo si determina per differenza tra il valore della produzione effettuata nel periodo e i costi della produzione effettuata nel periodo. Tra i valori della produzione troviamo i ricavi di vendita, la variazione di rimanenze di prodotti e la produzione ad uso interno. Tra i costi della produzione troviamo i costi di acquisto delle materie prime, per servizi, per salari e stipendi, la variazione delle rimanenze di materie prime, gli accantonamenti a fondo TFR e fondo rischi e gli ammortamenti. Lo schema di conto economico a valore e costo del venduto contrappone i ricavi di vendita al costo del venduto, che corrisponde al costo della produzione effettuata al netto delle variazioni delle rimanenze di prodotti – rappresentano costi dei prodotti non ancora venduti – e delle variazioni di costi di prodotti ad uso interno – costi che riguardano prodotti non destinati alla vendita. É ovviamente possibile semplicemente portare in riduzione dei costi il valore complessivo della produzione interna del periodo. Occorre spostare la voce dei prodotti ad uso interno dal valore della produzione ai costi della produzione cambiando naturalmente il segno. Le imprese che decidono di redigere questo schema di conto economico spesso anziché portare in riduzione delle altre voci di costo il valore del prodotto ad uso interno come voce aggregata, procedono a rettificare direttamente ed indistintamente il residuo delle voci di costo interessate. Così facendo, le singole voci di costo vengono evidenziate in funzione delle vendite realizzate nel periodo. _______________________________________________________________________________________ 52 Le valutazioni di bilancio L’ultimo aspetto che dobbiamo considerare é la valutazione degli elementi di capitale e di reddito che entrano nel bilancio aziendale. Ci sono alcuni componenti di capitale e di reddito che hanno un valore certo e oggettivo (es. la disponibilità di cassa alla chiusura del periodo), ma buona parte degli elementi patrimoniali hanno valori incerti e soggettivi in quanto frutto di valutazioni soggettive che si rendono necessarie (rimanenze attive – FFR, FFS, prodotti – rischi che gravano sulla gestione aziendale – crediti, garanzia prodotti,…). Ciò vale sia per gli elementi che rientrano nell’attivo patrimoniale che per quelli che rientrano nel passivo patrimoniale. Per definizione, le valutazioni di bilancio possono comportare delle sopra e delle sottovalutazioni degli elementi patrimoniali che si traducono in sopra o sotto valutazioni del reddito d’esercizio e del capitale netto. Le sopra o sotto valutazioni che, per definizione, conseguono all’effettuazione di valutazioni soggettive tenderanno a compensarsi man mano che le operazioni di gestione si concludono. Se si vuole garantire la continuità aziendale, occorre evitare di calcolare degli utili sopravalutati. Ciò perché, siccome l’utile potrebbe essere distribuito a titolo di remunerazione, se si sopravaluta e lo si distribuisce, in realtà non stiamo distribuendo utile ma capitale. Determinare un utile sopravalutato, pertanto, può portare alla distribuzione di un utile solo apparente, compromettendo l’integrità del capitale proprio. Così facendo facciamo compromettiamo uno dei fattori produttivi, facendo venire meno la continuità aziendale. La valutazione degli elementi patrimoniali, quindi, deve essere effettuate con prudenza. Tuttavia, deve trattarsi di una prudenza ragionevole. Per riuscire a fare ciò, occorre che le valutazioni siano effettuate in due fasi:  in primo luogo, si individua lo spazio dei valori ragionevoli delle rimanenze attive e dei rischi;  in secondo luogo, si tratta di scegliere, nello spazio dei valori ragionevoli, i valori da attribuire a quegli elementi patrimoniali, individuando quelli più coerenti con l’esigenza di determinare un reddito che sia distribuibile senza rischiare di compromette l’integrità del capitale (valutazione prudenziale). Occorre distinguere il trattamento degli elementi patrimoniali attivi con quello degli elementi patrimoniali passivi. Per individuare lo spazio dei valori ragionevoli delle rimanenze attive, occorre tenere conto che l’impresa si trovi ad operare in condizioni di economicità oppure in assenza di economicità. Se l’impresa opera in condizioni di economicità, ovvero se ciò che produce e poi vende vale più di ciò che utilizza o consuma per produrre, lo spazio di valori ragionevoli, per le rimanenze attive, è compreso tra un minimo ed un massimo dove il massimo é il valore di presumibile realizzo delle rimanenze di fattori e di prodotti, e il minimo é dato dal costo (di acquisto o di produzione) di queste rimanenze. I prodotti sul mercato valgono più di quanto é stato speso per realizzarli. _______________________________________________________________________________________ 55  è incrementato con utili di periodo realizzati;  è gravato di tutti i possibili rischi. É un capitale disponibile per l’impresa. Il risultato economico aziendale può essere distribuito a titolo di periodica remunerazione ai titolari dell’attività aziendale, così come può essere risparmiato dall’impresa destinandolo a riserve di utile. Queste vengono definite riserve palesi perché compaiono nel bilancio aziendale, specificamente evidenziate quale posta ideale del capitale proprio o netto dell’impresa. Di per sé, queste riserve non modificano l’entità del capitale proprio: ne varia sostanzialmente la composizione. Questa modifica qualitativa del capitale proprio é comunque di rilievo in quanto, nel momento in cui si decide di destinarli a riserve, si decide di vincolare quegli utili all’impresa sottraendoli nell’immediato alla distribuzione ai titolari e mettendoli a tempo indeterminato a disposizione dell’impresa. In tal modo, si tende a consolidare il capitale proprio dell’impresa e ciò evidentemente esprime un elemento di forza della gestione aziendale. Inoltre, le riserve palesi consentono l’autofinanziamento degli investimenti nell’impresa. Le riserve di utili che il bilancio evidenzia giocano un ruolo importante per la solidità economica patrimoniale e finanziaria della gestione aziendale. In contrapposizione a queste riserve, che si leggono nel bilancio aziendale, possono essercene altre che non si vedono e che, appunto, vengono denominate riserve occulte. Queste nascono a seguito di una irragionevole sottovalutazione delle rimanenze attive e di una irragionevole sopravalutazione dei rischi in essere,. In tal modo, si determina un capitale proprio al di sotto del suo valore prudenziale (rimanenze attive a valori inferiori e rischi a valori superiori rispetto ai rispettivi valori prudenziali, oltre lo spazio dei valori ragionevoli). Nel momento in cui si ecceda rispetto alla ragionevolezza nella sottovalutazione e sopravalutazione, si finisce per sottovalutare il capitale proprio. Quindi, il capitale proprio vale sicuramente più di quanto il bilancio evidenzia. C’é una conseguenza anche sul reddito: l’utile in tutto o in parte occultato é sottratto sia all’imposizione fiscale che alla distribuzione dei titolari. Se la gestione avesse prodotto una perdita questa, per effetto delle sopravvalutazioni, verrebbe enfatizzata. Si tratta di determinazioni scorrette, spesso sorrette da comportamenti fraudolenti degli amministratori aziendali, che sono riconducibili a:  nascondere utili prodotti al fisco. Dal punto di vista numerico, mediamente, questo sistema viene utilizzato dalle piccole imprese, dato che le grandi imprese hanno soluzioni alternative legali per evitare in parte l’imposizione fiscale (es. spostamento della sede legale);  sottrarre utili dalla distribuzione ai titolari. Questo avviene in quelle imprese in cui la figura di titolare e management sono separati: la finalità del management é quella di trattenere il più possibile risorse per sostenere progetti di sviluppo della gestione aziendale. Vengono normalmente distribuiti gli utili; l’eccedenza viene occultata per sostenere la gestione aziendale. Siamo di fronte ad un comportamento censurabile ma che ha meno rilevanza esterna perché si gioca nei rapporti di forza della gestione aziendale. Alla formazione di riserve occulte, in termini logici, si contrappone il fenomeno di annacquamento di capitale. Le riserve occulte si formano nel momento in cui vengono irragionevolmente sottovalutate le rimanenze attive e sopravalutate irragionevolmente i rischi posti in essere e quindi il capitale proprio sta al di sotto del valore minimo ragionevole. Il fenomeno di annacquamento, invece, avviene nel momento in cui vengono irragionevolmente sopravalutate le rimanenze attive ed irragionevolmente sottovalutati i rischi e, quindi, sopravvalutato il capitale proprio, al di sopra del suo massimo valore ragionevole (rimanenze attive al di sopra e rischi al di sotto dei valori ragionevoli). Almeno una parte del capitale che viene evidenziato nel bilancio non esiste ed é per questo che si dice che il capitale é annacquato. C’é un fenomeno di diluizione che fa apparire il capitale aziendale di volume superiore a quello effettivo. Anche il reddito viene _______________________________________________________________________________________ 56 sopravvalutato irragionevolmente ed almeno in parte é un reddito inesistente. Qualora quell’utile venga distribuito si distribuisce non solo utile ma anche capitale. Fondamentalmente, l’unica motivazione é quella di far apparire la gestione migliore di quella che è effettivamente. Ciò può servire, per esempio, al management per far apparire risultati positive per essere riconfermato; oppure il proprietario vuole vendere l’impresa a terzi; questa politica può anche essere strumentale alla prosecuzione dell’attività aziendale (es. per ottenere un prestito). Maggiori utili subito calcolati oggi maggiori perdite calcolate domani. In questo spazio di valori, troviamo le riserve potenziali, ovvero riserve palesi che possono esserci ma anche essere effimere. Nascono da una sopravalutazione delle rimanenze attive e da una sottovalutazione dei rischi, ma entro lo spazio di valori ragionevoli. Siamo in presenza di utili sopravvalutati rispetto a quelli prudenziali, ma potenzialmente esistenti (a differenza dell’annacquamento di capitale). Ciò dipenderà molto dal modo in cui si completeranno i processi di gestione in corso alla data di chiusura dell’esercizio. Il vero problema é che si attribuiscono all’esercizio degli utili anticipati che non sono certi perché non ancora conseguiti. É un fenomeno che espone a rischi la futura gestione aziendale: se quell’utile non fosse conseguito ma fosse ugualmente distribuito avremo una distribuzione di capitale e, quindi, questa gestione può probabilmente esporre a perdite di capitale aziendale. Le finalità delle riserve potenziali sono le stesse dell’annacquamento di capitale, ma in termini più circoscritti e ragionevoli. Può essere un fenomeno più o meno spinto a seconda di quanto si sottovalutano e sopravalutano gli elementi considerati. Tuttavia, mentre sia le riserve occulte e che l’annacquamento di capitale partono da un valore e non hanno un limite formale, le riserve potenziali hanno un grange di valori in cui si può manifestare dai valori prudenziali ai valori massimi ragionevoli. Ne consegue che a seconda di come vengono effettuate le valutazioni delle rimanenze attive e dei rischi in essere del capitale proprio aziendale, questo si può variamente graduare su diverse posizioni. In conclusione: La redditività La redditività è la capacità della gestione aziendale di produrre reddito in misura soddisfacente. Si lega ad altre condizioni della gestione come quelle di autonomia e pluralità dell’impresa. Viene solitamente definita come la capacità aziendale, più o meno intensa, di generare con continuità e nel tempo un flusso di ricavi in grado di remunerare congruamente tutti i fattori produttivi impiegati, incluso il capitale proprio. Siccome che il capitale di rischio é l’ultimo fattore produttivo che viene remunerato, nel momento in cui l’impresa riesce a remunerare il capitale di rischio ha già remunerato tutti gli altri fattori produttivi. Affinché si possa parlare di redditività occorre che questa capacità si manifesti in modo sistematico. Una capacità episodica non é sufficiente a considerare redditiva la gestione. Non é sufficiente che la gestione produca un reddito positivo per poter parlare di redditività della gestione. Occorre che i costi siano remunerati e il reddito prodotto sia di entità sufficiente a soddisfare i portatori di capitale di rischio. _______________________________________________________________________________________ 57 La redditività dipende dalla economicità. Se ciò che l’impresa produce vale meno di quanto costa produrre non c’è redditività. L’economicità é una precondizione. La redditività, a sua volta, é condizione essenziale per manifestare autonomia e durabilità dell’impresa. La durabilità (sopravvivenza) La durabilità consiste nella capacità aziendale di operare con continuità e, quindi, di sopravvivere nel tempo e di rimanere competitiva sul mercato. La durabilità dipende dalla redditività perché per produrre occorre assicurarsi la disponibilità dei fattori produttivi. Infatti, se l’impresa é in grado di remunerare in misura soddisfacente i fattori produttivi e di impiegarli in modo economicamente conveniente, sarà anche in grado di acquisirli e mantenerli vincolati all’impresa e, di conseguenza, sarà in grado di continuare ad esercitare la propria attività. La durabilità é minacciata da fenomeni di cambiamento che possono intervenire – come il rischio economico generale che grava sull’impresa – e dalla perdita della tensione all’economicità. Proprio per fronteggiare questi rischi, gioca un ruolo importante la formazione di riserve di utili – soprattutto se derivanti da extraredditi – fonti di consolidamento economico, patrimoniale e finanziario dell’azienda. L’autonomia (indipendenza) L’autonomia è la capacità dell’impresa di remunerare congruamente e, quindi, di acquisire senza difficoltà i capitali monetari necessarie ed, altresì, di coprire perdite momentanee con le riserve di utili accantonate nei periodi più favorevoli. L’autonomia dipende dalla redditività ed è legata alla durabilità. Dipende dalla redditività perché l’impresa deve essere in grado di remunerare i capitali monetari necessari alla gestione e deve accumulare riserve di utili necessarie per coprire eventuali perdite che la stessa produce. Se l’impresa riesce a coprire le perdite con le riserve accantonate e riesce altresì ad accumulare tutti i fattori produttivi, incluso il capitale monetario, non ha bisogno di supporti esterni per esistere ed operare ed è, quindi, una attività autonoma e indipendente che può continuare ad operare senza bisogno di contenuti sussidi da terzi. Dal punto di vista dell’autonomia, le imprese possono essere distinte in tre gruppi:  imprese economicamente autosufficienti e vitali che, in quanto tali, non necessitano in modo assoluto di sussidi di contributi esterni per la propria continuità. Sono imprese oggettivamente durevoli che, grazie ai propri successi economici, riescono a sopravvivere e svilupparsi;  imprese prive di vitalità economica che, in quanto tali, non riescono a produrre risultati economici sufficienti a garantirsi la sopravvivenza. Sono imprese prive di autosufficienza che, in assenza di contributi esterni, sono destinate a non sopravvivere.  imprese a vitalità economica riflessa che, di per sé, non sono autosufficienti ma che, grazie a sussidi esterni, riescono a rimanere attive. Sono, quindi, imprese soggettivamente durevoli (es. imprese del settore pubblico, imprese di piccola dimensione, del settore privato, dove l’imprenditore, pur in presenza di impresa priva di vitalità economica, utilizza propri capitali). Le configurazioni di reddito Per cogliere in modo appropriato le condizioni che presidiano la capacità aziendale di produrre reddito in modo soddisfacente, si distinguono delle figure di reddito che sono risultati economici che si riferiscono a specifiche aeree della gestione e che ci consentono di capire la provenienza e la validità dei redditi che la gestione stessa produce. Quindi, sono risultati economici che vengono calcolati contrapponendo specifici _______________________________________________________________________________________ 60 L’analisi della redditività È possibile calcolare degli indici di redditività, la cui analisi consente di esprimere giudizi sulle condizioni di redditività in cui l’impresa si trova. Sono dei parametri che consentono di esprimere i risultati economici della gestione in termini di rendimento. Si calcolano rapportando un dato economico reddituale (risultato economico) ad un dato patrimoniale (capitale). Consentono di esprimere in termini relativi, solitamente percentuali, il rendimento che la gestione ha offerto a quella figura di capitale. Si distingue:  ROI (return on investments): indice che misura la redditività operativa, ovvero il livello di rendimento offerto ai capitali investiti nell’area operativa caratteristica;  ROE (return on equities): indice che misura la redditività netta, ovvero la remunerazione del capitale apportato direttamente o indirettamente dai portatori di capitale proprio;  ROD (o i – return on debts); indice che misura l’onerosità del capitale di prestito, ovvero la remunerazione offerta al capitale di prestito dell’impresa. Il ROI può essere calcolato rapportando il reddito operativo al capitale mediamente investito nell’area operativa caratteristica nel periodo considerato. Esprime in che misura hanno dato luogo alla formazione del reddito operativo caratteristico. Se non ci sono investimenti extracaratteristici, tutto il capitale investito é capitale operativo caratteristico. In quel caso, al denominatore troveremo il valore medio dell’intero capitale investito. Normalmente si prescinde dalle liquidità, che vengono considerate all’interno delle attività. Siccome al numeratore abbiamo un risultato economico e normalmente si tratta di un valore che si forma incessantemente nell’ambito del susseguirsi delle vicende aziendali, di tratta di una grandezza flusso, che fluisce progressivamente durante la gestione e durante l’esercizio. Per rendere significativo il rapporto é bene che al denominatore si consideri un valore medio del capitale investito nell’area operativa caratteristico. Ciò perché esprime un valore di investimenti corrispondenti a quello che in media l’impresa ha avuto a disposizione. Riflette una figura di capitale più coerente con il flusso che abbiamo al numeratore del rapporto. Fare riferimento al capitale iniziale o finale conduce al calcolo di un indice meno significativo. Questo indice non é influenzato dalla struttura finanziaria dell’impresa: il ROI é lo stesso sia che l’impresa si sia finanziata con capitale proprio o di terzi. Il ROE può essere calcolato rapportando il reddito netto con il capitale netto medio del periodo considerato. Questo indice ci dice quale é stato il reddito netto ricavato dal capitale investito e in che misura é possibile remunerare i portatori di capitale proprio nell’impresa, ovvero ci dice qual é il livello di remunerazione che l’impresa é in grado di offrire ai portatori di reddito. Anche in questo caso, per rendere più significativo l’indice, va considerato il capitale netto medio del periodo. Il ROE a differenza del ROI, risente anche di come l’impresa si é finanziata perché il reddito netto é determinato al netto degli oneri finanziari gravanti sulla gestione. Il denominatore del rapporto é solo una parte delle fonti di finanziamento. _______________________________________________________________________________________ 61 Il ROD (i) é il tasso di onerosità dei debiti di finanziamento che l’impresa ha avuto a disposizione nel periodo considerato. Questo indice è dato dal rapporto tra gli oneri finanziari e le passività onerose, calcolate come valore medio dei debiti di finanziamento che l’impresa che ha avuto a disposizione nel periodo. Questo tasso ci dice quanto costa all’impresa indebitarsi nel periodo considerato. Può essere letto anche come tasso di rendimento offerto ai portatori di capitale di prestito. Le passività che l’impresa complessivamente presenta possono essere a seconda dei casi, passività onerose (debiti di finanziamento da cui discendono oneri finanziari), passività non onerose (debiti di funzionamento, TFR) oppure sia passività onerose che passività non onerose. Se l’impresa, dal punto di vista delle fonti di capitale, avesse solo passività onerose, vi sarebbe coincidenza tra il totale del passivo e le passività onerose. In questo caso, il ROD potrebbe essere calcolato rapportando gli oneri finanziari al valore netto dell’intero passivo patrimoniale. Qualora l’impresa presenti sia passività onerose che non onerose, l’ammontare medio delle passività onerose é minore del totale medio delle passività. In questo caso, il rapporto sarà maggiore del rapporto tra oneri finanziari e totale del passivo patrimoniale. Se aumenta il denominatore, a parità del numeratore, il rapporto diminuisce. Lo possiamo leggere come il rapporto fra oneri finanziari e le passività onerose moltiplicato per il rapporto tra le passività onerose ed il totale delle passività aziendali. Questo significa che, in presenza di passività non onerose, l’incidenza degli oneri finanziari sul totale del passivo é minore di quanto non sia nel suo rapporto con i soli debiti di finanziamento ed é chiaro anche che, in questo caso, l’impresa riesce a finanziarsi, almeno in parte, con passività che non genera oneri finanziari. Per calcolare questi indici occorrono:  reddito operativo;  reddito netto;  oneri finanziari. Sono tutti valori economici desumibili dal conto economico articolato per aree della gestione e che esprimono flussi economici generati nel periodo dalle diverse aree gestionali o dalla gestione aziendale nel suo complesso. A questi valori si rapportano:  capitale operativo;  capitale netto;  passività onerose. Sono valori di capitale dell’area operativa caratteristica che sono rilevabili selezionando le opportune poste dello stato patrimoniale e che rappresentano grandezze stock ma, ai fini del calcolo, andrebbero considerati nei loro valori medi di periodo. Tecnicamente tutte e tre le determinazioni sono possibili. Dal punto di vista logico, ognuna di esse ha un significato. Il ROI, calcolato sul capitale iniziale, ci dice che rendimento annuo viene offerto agli investitori (logica finanziaria). Il ROI, calcolato sul capitale finale, ci dice che, con quel reddito, in quale misura remuneriamo chi sta investendo capitale nell’impresa. Se ci interessa la funzionalità aziendale, il dato medio del capitale in esso investito nel periodo diventa il riferimento più significativo. Il _______________________________________________________________________________________ 62 dato medio del capitale investito può essere calcolato in diversi modi: il più semplice, per un analista esterno all’azienda, é la media aritmetica tra il valore di inizio e di fine periodo del capitale considerato. Per un analista interno, invece, sarebbero possibili determinazioni più raffinate e significative (es. media ponderata). In conclusione, il giudizio sulla situazione economica aziendale é tanto più elevato quanto più elevata é la redditività e quindi quanto più elevati sono il ROE e il ROI. Bisogna capire, quindi, quali sono le variabili che influenzano positivamente questi indici. Le determinanti del ROE Occorre partire da una situazione semplificata dove:  siano attivate solo le aree caratteristica e finanziaria (non ci sono gestioni extracaratteristiche): K = AP = Ko e RN = RO – Of In questo caso, il capitale investito è tutto capitale operativo caratteristico. Non ci sono componenti straordinarie di reddito. Il reddito netto é rappresentato dal reddito operativo al netto degli oneri finanziari.  le passività siano rappresentate solo da debiti onerosi: PPon = PP = K – CN e i = Of / (K – CN) Se questa é la situazione, la redditività netta é determinata dalla redditività operativa (dal ROI) e dalle modalità di finanziamento degli investimenti. Questa semplificazione fa riferimento a quegli ambiti gestionali che qualunque impresa si trova di fronte. L’unico limite sta nel prescindere dalla componente tributaria. Il ROE dipende da come l’impresa si finanzia. Infatti, se l’impresa si finanzia con solo capitale di rischio avremmo coincidenza tra capitale proprio e totale del capitale investito. Non ci sarebbero passività. A quel punto, non ci sarebbero oneri _______________________________________________________________________________________ 65 Ciò perché il ROE esprime il tasso di redditività netta, ovvero di rendimento offerto al capitale proprio dell’impresa. Il ROD, a sua volta, esprime il tasso di onerosità dell’indebitamento ovvero il tasso di rendimento offerto a chi presta denaro all’impresa. Il ROI, invece, è l’indice di redditività operativa che non é influenzato dalla struttura finanziaria ma che, in realtà, corrisponde al rendimento netto offerto sia al capitale proprio che di prestito. É evidente che la situazione economica aziendale può essere valutata positivamente solo se ROE é maggiore di ROI e di i perché, solo in questo caso, sarebbe in favore degli investitori in capitale proprio, in quanto verrebbe remunerato il loro rischio. Più elevato é il rischio e più elevata é l’attesa di profitto. Siccome chi mette capitale proprio corre maggiori rischi, é lecito che si attenda una remunerazione più alta. Affinché la situazione economica sia positiva occorre che il flusso di ricavi sia sufficiente per remunerare congruamente tutti i fattori produttivi, compreso il capitale proprio. Se il ROE é uguale al ROI, si sta offrendo lo stesso livello di rendimento sia a chi presta capitale, sia a chi é portatore di capitale proprio. Non c’é premio per il rischio maggiore e non c’é congrua remunerazione del capitale di rischio e quindi non c’é congrua redditività. Ciò a maggior ragione se ROE é minore di ROI e i. Quindi, se il ROE è maggiore del ROI e di i, abbiamo una situazione di potenziale redditività positiva. Potenziale, perché si tratterà di vedere se il differenziale é sufficiente a soddisfare le esigenze di remunerazione dei portatori di capitale di rischio. A seconda del grado di rischio, chi investe capitale si attenderà un livello di remunerazione elevato e discosto rispetto al tasso di remunerazione offerto al capitale di prestito. Questa relazione, in realtà, si può leggere:  nel rapporto tra ROE e i, ovvero il dato più significativo rispetto alla capacità remunerativa dell’impresa;  nel rapporto tra ROI e i, ovvero il livello di efficienza della gestione aziendale: ci dice se é in grado di far rendere maggiormente il capitale investito più di quanto costi approvvigionarlo sul mercato;  nel rapporto tra ROI e ROE, ovvero se dalle altre aree gestionali provengono contributi positivi (es. operazioni di natura straordinaria rispetto a oneri tributari) oppure negativi e quindi se gli investimenti in altre aree sono convenienti o meno. In realtà, occorre considerare il carico tributario che potrebbe avere qualche riflesso sulle relazione di questi indici. Rimuovendo le semplificazioni anzidette, si possono fare i seguenti esempi: Le determinanti del ROI Mentre per il ROE ci sono delle diverse possibili modalità di analisi e scomposizione che consentono di percepire le variabili che influenzano quell’indicatore, nel caso del ROI facciamo riferimento ad alcune caratteristiche della gestione. Nell’ambito delle determinanti del ROI, tradizionalmente, vengono considerate quattro variabili che sono solitamente denominate condizioni della redditività operativa che sono individuate nelle: _______________________________________________________________________________________ 66  condizioni di attività, che attengono a cosa e a quanto produce l’impresa;  condizioni di efficienza ed efficacia, che attengono a come produce l’impresa;  condizioni di elasticità o flessibilità, che attiene a come produce l’impresa ma che é distinta dalla precedente;  condizioni di finanziamento, che attiene alla dimensione finanziaria dell’impresa. Le condizioni della redditività operativa non sono influenzate dalle fonti di finanziamento dell’impresa. Dire che tra le determinanti ci sono le condizioni di finanziamento significa dire che, affinché ci sia un ROI, occorre che l’impresa sia in grado di effettuare investimenti operativi, ovvero sia in grado di reperire i necessari finanziamenti. Le condizioni di finanziamento sono essenziali per mettere a disposizione il capitale necessario, dopodiché il ROI non viene influenzato dalle modalità di finanziamento dell’impresa. Nell’ambito di queste quattro condizioni, quella di finanziamento é l’unica esterna alla gestione operativa caratteristica. Le condizioni di attività riguardano cosa e quanto l’impresa produce. Che cosa l’impresa produce dipende:  dal settore di mercato in cui l’impresa opera. In secondo luogo e dalla combinazione produttiva che l’impresa realizza (es. produce automobili, commercializza beni). L’impresa potrebbe essere monosettoriale (specializzata in un settore) oppure plurisettoriale (in settori diversificati). Se é diversificata valgono con riferimento ai settori in cui opera. Alla diversificazione, dal punto di vista economico, alla formazione del reddito possono concorrere sia elementi positivi che elementi negativi. L’impresa diversificata ha il vantaggio di riuscire più agevolmente a contrastare i rischi che possono riguardare i singoli settori in cui opera. Se un determinato settore di attività attraversa un periodo di crisi, se rappresenta l’unico ambito dell’attività dell’impresa, questa sarà in difficoltà a superare la criticità; se lavora in diversi ambiti avrà riflessi negativi ma in alcune porzioni dell’attività. La diversificazione, in positivo, può dare luogo a contributi vicendevoli delle diverse combinazioni produttive (cd. sinergie tra combinazioni produttive). Le sinergie possono essere di tipo tecnologico perché nei vari settori vengono utilizzate alla base tecnologie analoghe. Lo sviluppo tecnologico di un settore impatta positivamente su un altro settore (es. settore aeromobile-settore automobilistico). Le sinergie possono essere anche di tipo commerciale nel momento in cui l’offerta di determinati prodotti può comportare una maggiore domanda di altri prodotti (es. impresa che vende automobili e prodotti assicurativi). Dal punto di vista del marketing, se sotto lo stesso marchio vengono venduti diversi prodotti, l’impatto dello stesso sul mercato é molto più alto. In negativo, dal punto di vista economico, la diversificazione comporta elevati costi della complessità aziendale. Ha una struttura gestionale e produttiva più complessa rispetto a quella che caratterizza quella specializzata e quindi comporta costi maggiori. Sarà conveniente se i vantaggi economici derivanti dalle sinergie sono maggiori da compensare i sacrifici della diversificazione;  dalle caratteristiche dei prodotti realizzati, che dipendono a loro volta dalle risorse dell’impresa. In ciascun settore di attività l’impresa può offrire prodotti variamente qualificati. Ciò dipenderà dalle risorse che l’impresa ha a disposizione per effettuare quelle produzioni. A seconda di quante e quali risorse l’impresa può avere a disposizione ed impiegare nella produzione i suoi prodotti saranno variamente caratterizzati. Se l’impresa dispone di conoscenze, competenze, professionalità molto spiccate, é probabile che i suoi prodotti siano risultino innovativi funzionali in grado di rispondere al meglio alle esigenze sul mercato. Se l’impresa, invece, é carente dal punto di vista delle risorse disponibili i suoi prodotti risentiranno nella qualità. All’interno del settore in cui l’impresa opera tende a collocarsi in determinati segmenti del mercato (rapporto qualità/prezzo del prodotto). Una volta scelti i settori in cui operare si traduce la redditività operativo. Il rapporto tra cosa l’impresa produce e ROI é determinato da due elementi:  dall’attrattività dello specifico business, ovvero dalla redditività potenziale dell’affare (quanto potenzialmente può rendere operare nel settore, ciò ci dice quanto il settore sia attrattivo);  da come l’impresa opera e sfrutta la redditività potenziale. _______________________________________________________________________________________ 67 L’attrattività é una condizione solo ideale, poi rileva il modo in cui l’impresa opera e riesce ad appropriarsi della redditività potenziale. Tra i molti modelli di attrattività dello business, quello più importante é modello delle 5 forze di mercato attribuibile a Porter. In sostanza, la redditività potenzialmente garantita dal settore dipende da come intervengono, operano e si combinano 5 forze:  concorrenti operanti nel settore (imprese già attive nel settore). Quanto maggiore é la concorrenza nel settore, tanto minore sarà la redditività potenziale del settore. Al crescere del livello di competizione, inevitabilmente le imprese devono rinunciare a margini di profitto o riducendo i prezzi di vendita dei prodotti oppure sostenendo costi progressivamente crescenti per mantenere i prodotti all’avanguardia per farli preferire rispetto a quelli dei concorrenti. Se nel settore operano uno o pochi soggetti, la redditività potenziale potrebbe essere molto elevata grazie all’assenza o poco presenza di competitività;  clienti (domandano prodotti del settore). Nel rapporto con i clienti, rileva la numerosità dei soggetti che domandano, la loro dimensione media, e soprattutto i rispettivi volumi di acquisto. Se i clienti sono in numero elevato, ognuno dei quali di dimensione piccola e caratterizzati da un volume di domanda modesto, avranno un potere contrattuale molto basso. Il potere contrattuale sarà maggiormente detenuto dagli operatori del settore che potranno trarne benefici economici (es. prezzi più elevati). Se il cliente é unico, invece, egli avrà in mano tutto il potere contrattuale e, di conseguenza, gli operatori del settore subiranno il potere commerciale dell’unico cliente. Tra queste due posizioni ce ne sono di intermedie.  fornitori (soggetti che mettono a disposizione fattori produttivi qualitativamente più avanzati). Anche in questo caso rileva la numerosità dei soggetti. Se i fornitori sono in numero elevato, avranno un potere contrattuale molto basso. Se il fornitore é unico ed offre un fattore produttivo essenziale avrà tutto il potere contrattuale in mano.  entranti potenziali (operatori che non stanno ancora concorrendo ma che stanno decidendo di farlo). Gli entranti potenziali, una volta entrati nel settore, aumentano il numero dei concorrenti e l’intensità della concorrenza. Dato che rappresentano un rischio significativo per chi già opera nel settore, vengono messi in atto degli interventi che scongiurano i soggetti estranei ad entrare nel settore (es. mantenere elevato il livello di innovazione, grandi investimenti in pubblicità anche quando non é indispensabile). Riduce la redditività potenziale perché si devono affrontare i costi di questi interventi.  prodotti sostitutivi (prodotti di un settore diverso che potrebbero essere competitivi del settore considerato). L’eventuale presenza di prodotti sostitutivi agisce come variabile che riduce la redditività potenziale perché obbliga a confrontarsi anche con i prodotti sostitutivi intervenendo sulla qualità o sui prezzi dei prodotti (es. tratta ferroviaria alta velocità, tratta aeree Milano - Roma). Dalla relazione congiunta di queste 5 forze emerge il livello di redditività e quindi di attrattività potenziale. Sulla base della combinazione di questi elementi, emerge la redditività che il singolo settore potenzialmente offre alle imprese che vogliono entrare. Da lì in avanti, sta alla singola impresa cercare di fare proprie quelle condizioni di redditività. Rispetto a quanto produrre, le condizioni dell’attività dipendono da:  Punto di pareggio (b.e.p.);  Economia di scala. Nell’economia di scala, aumentando i volumi di attività, si riduce il costo unitario di produzione, a parità di prezzo, aumenta il margine di profitto della gestione. Riguarda lo sfruttamento ottimale della capacità produttiva che l’impresa ha a disposizione. Se si tende a saturare la capacità produttiva normalmente si ottiene un vantaggio economico. _______________________________________________________________________________________ 70  Tasso di rotazione del capitale investito o velocità di circolazione del capitale investito. A parità di tasso di rotazione del capitale investito, tanto maggiore sarà il ROS e tanto maggiore sarà il ROI e, a parità di ROS, quanto maggiore sarà il tasso di rotazione del capitale investito e tanto maggiore sarà il ROI. Quanto più l’impresa riesce, da un lato, a rendere più redditizi i propri ricavi e, dall’altro, più veloce é la rotazione del proprio capitale investito, tanto maggiore sarà la redditività operativa che l’impresa potrà conseguire. Normalmente ROS e tasso di rotazione del capitale investito sono parametri tra loro antagonisti. Sia uno che l’altro dipendono sia dal settore di attività in cui ogni impresa opera sia da una serie di scelte operative caratterizzanti la specifica attività aziendale. Dire che ROS e tasso di rotazione sono antagonisti significa dire che, quanto più elevato é il ROS tanto più contenuto é il tasso di rotazione e viceversa. Sia dal punto di vista dei settori di attività che da quello delle singole imprese, normalmente si trovano elevati livelli di ROS e contenuti tassi di rotazione oppure elevati livelli di tasso di rotazione del capitale investito e bassi livelli di ROS oppure valori relativamente intermedi dell’uno e dell’altro. Il ROS dipende dal rapporto tra costi operativi e ricavi (ROS ). Esprime il margine di profitto conseguibile dall’impresa nell’ambito dell’attività svolta. Normalmente una attività manifatturiera industriale ha un ROS più elevato di una attività di tipo commerciale e, nei diversi settori manifatturieri, ci sono produzioni con un ROS più elevato e altre con un ROS più contenuto. L’efficienza, le economie di scala e l’efficacia giocano un ruolo importante nel rapporto costi e ricavi. Siccome ciò che si misura è il margine di profitto sul prodotto venduto, nello stesso settore produttivo, avranno un ROS maggiore quelle aziende che si collocano nelle fasce alte del mercato (qualità prezzo elevato, Ferrari) mentre avranno un ROS minore le imprese che si collocano nelle fasce basse del mercato (qualità prezzo basso, Fiat). Il tasso di rotazione del capitale investito é dato dal rapporto tra vendite annuali e capitale investito, ovvero se e quante volte nell’anno e in quanto tempo il capitale investito ritorna in forma liquida per effetto dei ricavi di vendita (es. se il tasso di rotazione è pari a due il capitale torna in forma liquida ogni sei mesi). ROS e tasso sono parametri antagonisti perché, normalmente, le attività produttive caratterizzate da elevato ROS si caratterizzano per un numero circoscritto di vendite di elevato valore unitario e per tempi lunghi di ritorno in forma liquida del capitale investito. Se l’impresa si sposta dalla fascia più bassa del mercato a quella più alta, aumenta il ROS con un effetto negativo sul tasso di rotazione e viceversa. Il vero problema che una impresa deve affrontare é quello di ottenere la migliore combinazione tra ROS e tasso di rotazione del capitale investire per ottimizzare la produzione. L’impresa deve, quindi, valutare le implicazioni delle proprie scelte in termini di ottimizzazione del prodotto tra i due fattori. Sia il ROS che il tasso di rotazione risentono delle condizioni di efficacia e di efficienza. Le azioni che consentono di contribuire positivamente sia sull’efficacia che sulla efficienza non sono numerose (es. riduzione tempi di ciclo). Sull’elasticità gioca un ruolo importante la esternalizzazione di fasi di lavorazione perché, a parità di volume di attività, si riduce ROS e il tasso di rotazione. Se l’impresa esternalizza fasi di produzione verso imprese con un pari livello di economicità, il ROS diminuisce perché viene ceduta a quest’ultima una quota del margine di profitto. Se, invece, l’impresa esternalizza fasi di produzione verso imprese con un alto livello di economicità, il ROS può aumentare per via del costo minore del prodotto. _______________________________________________________________________________________ 71 L’analisi dei costi I costi esprimono il valore dei fattori produttivi che vengono utilizzati per realizzare un risultato produttivo. In realtà, i possibili oggetti di determinazione dei costi sono molteplici. Infatti, i costi possono essere riferiti a:  Produzione di periodo;  Prodotto (o linea);  Commessa (su singoli ordini);  Unità operativa. Dal punto di vista patrimoniale, i costi esprimono le spese da reintegrare per ricostruire il capitale aziendale nella misura preesistente al loro sostenimento. Se prendiamo l’operazione per calcolare il reddito operativo, con l’aggiunta degli oneri finanziari, i costi sono una variabile rilevante dell’economicità. I costi sia operativi che finanziari entrano nella formula di determinazione del reddito e, per definizione, sono un tassello essenziale dell’economicità. Sicuramente é rilevante l’efficienza con cui l’attività economica si svolge che influenza, per esempio, le quantità di fattori impiegati, stante i volumi di produzione realizzati. Dal punto di vista finanziario, l’efficienza rileva anche dalle passività onerose che l’impresa deve farsi carico per finanziare la propria attività. Altresì è rilevante l’efficacia nel mercato di scambio dei fattori produttivi e nei mercati finanziari. A seconda di come l’impresa riesce a gestire i propri costi, riuscirà ad orientare i propri livelli di economicità. A parità di ricavi, quanto minori sono i costi, quanto maggiore sarà il risultato economico e il livello di economicità. Ciò giustifica l’attenzione che viene riservata ai costi. Spiega perché molti modelli di analisi economica richiedono il dettaglio dei costi per essere applicati. Tanto più vero per il fatto che il costo è un fenomeno complesso in quanto l’entità dei costi che la gestione genera e il loro andamento nel tempo sono influenzati da una moltitudine di fattori interni ed esterni. Per tutti i fattori produttivi, il costo é dato dal prodotto tra quantità impiegata e il prezzo di acquisizione degli stessi, ovvero costo del personale (costo orario stabilito dai contratti per le ore di personale impiegato) e costo delle materie prime (prezzo unitario di acquisto per i volumi utilizzati). I prezzi di acquisto dipendono dalle condizioni di efficacia della gestione aziendale nel mercato di approvvigionamento, dalla quantità di fattori impiegati e dalla condizione di efficienza della gestione aziendale. L’impresa deve essere in grado di ottimizzare sia il livello di efficacia che quello di efficienza per ottenere i migliori risultati. Non é sufficiente che acquisti fattori produttivi a minor prezzo sul mercato, ma occorre anche il loro migliore impiego nelle fasi produttive. Altresì, non è sufficiente che ottimizzi la produttività di impiego dei fattori produttivi se poi sul mercato li acquista a prezzi eccessivamente elevati, vanificando la propria produttività con l’incapacità di relazionarsi con i fornitori. Molto dipende da elementi interni all’azienda circa la sua capacità di essere efficace ed efficiente. Ci sono, però, una serie di variabili indipendenti dall’impresa che influenzano i livelli di costo e che la stessa inevitabilmente deve sostenere (es. aumento del prezzo del petrolio). Ci sono, quindi, fattori su cui l’impresa può agire ed altri che la stessa subisce e che comunque, nella loro combinazione, influenzano l’entità e l’andamento dei costi aziendali. In definitiva, se si vogliono utilizzare le informazioni sui costi a fini direzionali occorre discernere gli elementi che dipendono dall’impresa da quelli che non dipendono dalla stessa, in modo da concentrare l’attenzione sui primi. Il costo è una variabile da controllare attentamente e gestire attivamente. Ulteriori elementi di complessità: _______________________________________________________________________________________ 72  dimensione economica e finanziaria (si parte dai costi di acquisto dei fattori produttivi che si traducono in costi di utilizzo e successivamente, si trasformano in costi di produzione). Stante l’unitarietà della gestione aziendale nel tempo, c’è una esigenza di scomporre i costi che l’impresa sostiene tra più periodi amministrativi dove la data di inizio e fine é convenzionale. Ciò comporta una serie di determinazioni che non sempre sono ovvie e scontate;  oggetti di riferimento (produzione di periodo, prodotto o linea, commessa, unità operativa). Un conto é calcolare i costi che l’impresa sostiene riferito alla sua intera gestione del periodo e un conto è riferire su ogni singolo prodotto su cui l’impresa è impegnata (es. costo del personale relativo ad un periodo oppure a diverse linee produttive);  prospettive temporali (preventiva e consuntiva), ovvero programmare la futura gestione aziendale. I costi nei sistemi informativi contabili Data la loro complessità, i costi li troviamo in diversi sistemi informativi aziendali:  Contabilità generale. Sistema contabile che documenta gli scambi dell’impresa con l’esterno, che rileva costi e ricavi riferiti all’intera gestione aziendale e che determina il capitale di funzionamento e il reddito d’esercizio.  Contabilità dei costi (analitica o industriale) che, spesso a partire dalle rilevazioni della contabilità generale, rileva analiticamente i costi aziendali, li imputa a singoli ambiti gestionali ed organizzativi rilevanti (c.d. contabilità analitica) e che supporta i processi decisionali e di controllo. Viene definita anche contabilità industriale essenzialmente per due ragioni. In primo luogo è maggiormente sviluppato nel settore manifatturiero. In secondo luogo è un sistema informativo che si concentra sull’attività di produzione. A volte le imprese più strutturate, oltre ad una contabilità generale ed analitica, hanno anche una contabilità direzionale. Questo è un sistema che utilizza le informazioni di contabilità generale ed analitica per fare previsioni sui risultati futuri, per definire gli obiettivi e per formulare piani, attraverso sistemi di budget e report di controllo. Non c’é una contabilità dei ricavi perché è più facile conoscere i ricavi dalle fatture di vendita. Già la contabilità generale ci permette di conoscere i ricavi in modo dettagliato. Inoltre, sui costi é possibile agire tempestivamente per ridurne l’entità attraverso scelte gestionali, mentre agire sui ricavi é difficile perché occorrono politiche gestionali di medio e lungo periodo. La determinazione e l’analisi dei costi Finalità della determinazione ed analisi dei costi:  Calcolare il reddito d’esercizio e il capitale di funzionamento, già ai fini della contabilità generale e del bilancio d’esercizio (valore delle rimanenze di prodotti, valore delle produzioni ad uso interno...);  Controllare la gestione, in particolare per determinare l’efficienza dei processi produttivi (misurato dal costo unitario del prodotto);  Valutare la convenienza nell’impiego delle risorse aziendali (valutazioni in condizioni di economicità);  Assumere decisioni operative circa il prezzo di vendita dei prodotti, la composizione della gamma produttiva, le scelte gestionali (es. accettare o meno un ordine). Alcune classificazioni dei costi Possiamo distinguere i costi in: _______________________________________________________________________________________ 75 costo che sul mercato l’impresa dovrebbe sostenere e quello che effettivamente sostiene. Esempio. Le configurazioni di costo - impresa industriale multiprodotto Nel caso di impresa industriale multiprodotto, le figure di costo che possono essere individuate sono in larga misura le stesse ma occorre tenere conto che, proprio per la pluralità di produzioni, vi saranno sia voci di costo direttamente imputabili alle singoli produzioni e sia voci di costo indirette e, quindi, da ripartire tra le diverse produzioni. La distinzione tra costi diretti e costi indiretti riguarda le modalità di calcolo e di imputazione del costo alle singole produzioni. I costi diretti hanno una determinazione oggettiva, mentre i costi diretti hanno una determinazione soggettiva e, quindi, si utilizzano criteri convenzionali. I costi indiretti possono essere costi effettivamente comuni a più produzioni e, se siamo in presenza di un costo comune, inevitabilmente si tratta di un costo indirettamente imputabile ad ognuna di essa. Se, per esempio, abbiamo l’ammortamento di un capannone all’interno del quale si realizzano diverse linee di produzione, é evidente che quell’ammortamento é per definizione un costo comune. Tuttavia, ci sono anche costi indiretti che sono tali non perché sono comuni a più produzioni, ma perché si decide di trattare in modo indiretto una voce di costo che sarebbe direttamente riferibile alla singola produzione. Questa operazione viene effettuata per opportunità e convenienza economica: determinare questi costi speciali in modo diretto genererebbe un costo maggiore rispetto alla determinazione indiretta. Abbiamo, quindi, dei costi diretti speciali imputati al singolo prodotto e dei costi indiretti che possono essere comuni oppure costi speciali. I costi diretti I costi diretti vengono imputati misurando la quantità di fattore impiegato e moltiplicandola per il corrispondente costo (prezzo) unitario. La determinazione oggettiva è, di norma, sempre possibile. Spesso, per ragioni di opportunità, si scelgono delle soluzioni semplici, meno costose, che aiutano ad avvicinarsi il più possibile al dato reale. La quantità di fattore impiegato può essere calcolato in modo diretto ed oggettivo. A volte, però, si preferisce effettuare una parametrazione al volume di produzione. In tal modo, se viene utilizzato un coefficiente tecnico di impiego sufficientemente affidabile, la determinazione sarà sufficientemente approssimata. Si sceglie questo sistema per ragioni economiche, applicabile soprattutto a quelle imprese che, avendo una produzione differenziata, utilizzano gli stessi fattori produttivi – con un basso valore unitario – per una pluralità di produzioni. In tal caso, la misura oggettiva può essere particolarmente complessa ed onerosa. È sufficiente che, periodicamente, i coefficienti tecnici di impiego vengano valutati come espressivi dell’effettivo consumo del fattore produttivo. Per verificare la validità di coefficienti tecnici di impiego è sufficiente verificare periodicamente che ci sia una corrispondenza tra le rimanenze di magazzino e consumi ipotizzati del fattore produttivo. Se vengono riscontrate dei differenziali, occorre ridiscutere i coefficienti tecnici di impiego. Anche il costo (prezzo) unitario del fattore può essere rappresentato come grandezza effettiva o come valore medio. É sempre possibile effettuare valutazioni oggettive utilizzando il prezzo effettivo di volta in volta sostenuto, ma questo tipo di determinazione comporta delle sofisticazioni che generano ulteriori costi (es. sistema di tracciabilità delle materie prime). La determinazione oggettiva é significativa nel momento in cui sia i fattori produttivi che i prodotti sono elementi con un elevato valore unitario. _______________________________________________________________________________________ 76 I costi indiretti I costi indiretti, siano essi costi comuni che speciali, sono calcolati ripartendo il costo totale tra i vari oggetti mediante un appropriato criterio di riparto. Questi criteri devono rispondere ad un principio funzionale o causale: il criterio di riparto utilizzato deve essere espressivo dell’intensità della singola produzione generata o assorbire la voce di costo da parte degli oggetti considerati. I criteri di riparto possono essere su base unica (il riparto viene effettuato proporzionalmente ad una unica grandezza nota) o su base multipla (si suddivide la voce di costo in più voci elementari, e poi si attribuisce a ciascuna una specifica base di riparto, una per ogni sottovoce di costo considerata, es. ore di manodopera diretta). Dal punto di vista formale, ci possono essere delle modalità di calcolo alternative dei costi indiretti rappresentate da:  applicazione al costo da ripartire di un coefficiente di imputazione che é dato dal rapporto fra la base riferita all’oggetto e il totale della base di riparto;  applicazione alla base riferita ad uno specifico oggetto un coefficiente di riparto dato dal rapporto tra costo da ripartire e totale della base di riparto. Mentre i coefficienti di imputazione sono specifici di ogni oggetto di analisi di ogni produzione, il coefficiente di riparto è comune a tutte le produzioni. Il coefficiente di imputazione esprime un tasso di intensità con cui la singola produzione genera o assorbe la specifica voce di costo. Il coefficiente di riparto, invece, esprime il costo unitario riferito ad uno specifico fattore produttivo imputato direttamente alle diverse produzioni. Esempi: La soggettività dei costi indiretti Esempio. _______________________________________________________________________________________ 77 Le configurazioni di costo - impresa industriale multiprodotto Molte voci di costo corrispondono a quelle relative all’impresa monoprodotto, con la distinzione tra costi diretti e costi indiretti. Queste sono:  Costo primo, rappresentato dal costo di fattori correnti di diretta imputazione sostenuti dall’impresa nell’area tecnico produttiva in favore della singola produzione (costo per materie prime, manodopera diretta, servizi industriali diretti);  Costo diretto di fabbricazione, comprensivo dei costi primi e degli ammortamenti diretti;  Costo completo di fabbricazione o costo industriale, comprensivo dei costi diretti e indiretti di fabbricazione;  Costo completo di produzione, comprensivo dei costi industriali e dei costi commerciali ed amministrativi;  Costo complessivo di gestione, comprensivo dei costi completi di produzioni e degli oneri finanziari e tributari;  Costo economico-tecnico, comprensivo dei costi complessivi di gestione e degli oneri figurativi. I costi variabili e fissi Una ulteriore classificazione dei costi, utile a supporto dei processi decisionali e di programmazione e controllo della gestione, è quella basata sul loro comportamento al variare dei volumi di attività. Da questo punto di vista, si distinguono i costi variabili, la cui entità varia al variare del volume di produzione, dai costi fissi, il cui ammontare rimane costante al variare dei volumi di produzione. Con riferimento ai costi variabili, merita precisare che la funzione di variabilità potrebbe essere proporzionale al volume di produzione oppure potrebbe essere progressiva o regressiva. In tale contesto, si considera solo una variabilità direttamente proporzionale. Con riferimento ai costi fissi, merita precisare che la loro costanza é normalmente circoscritta entro i limiti della capacità produttiva installata nell’impresa. I costi fissi rimangono tali finché la struttura aziendale rimane quella esistente. Se l’impresa ampia la propria capacità produttiva, normalmente anche i costi fissi variano di conseguenza. Questa classificazione viene spesso supportata da rappresentazioni grafiche perché consente, in modo immediato, di cogliere l’andamento delle varie voci di costo. Un primo tipo di rappresentazione grafica considera in ascissa i volumi di attività (quantità prodotte e vendute) e, in ordinata, l’ammontare complessivo delle diverse voci di costo. I costi variabili In tale sistema i costi variabili avranno un andamento crescente al crescere dei volumi di attività. Se la funzione di variabilità é direttamente proporzionale, la curva starà su una semiretta uscente dall’origine degli assi. Se la variabilità é progressiva o regressiva, le curve saranno meno lineari, ma con andamento crescente o decrescente. Nel caso di variabilità proporzionale avremo un segmento perché ad un estremo, se il costo é _______________________________________________________________________________________ 80 variabile medio unitario é costante: sui costi variabili non agiscono le economie di scala. Diverso é il caso dei costi fissi. La curva dei costi fissi medi unitari é rappresentata da una linea progressivamente decrescente al crescere dei volumi di produzione, nei limiti della capacità produttiva installata. Le economie di scala si basano sui costi fissi. Quanto maggiore é la saturazione del volume di produzione effettivamente realizzato, tanto minore é il costo fisso medio unitario sostenuto dall’impresa. Lo stesso fenomeno lo ritroviamo nella curva dei costi totali fissi e variabili dove, al crescere dei volumi di produzione, a sua volta decresce, avendo lo stesso andamento dei costi fissi medi unitari. I metodi di calcolo (e controllo) dei costi di prodotto I metodi di calcolo dei costi di prodotto possono essere fondamentalmente distinti in tre:  Full costing RN = R – (CV + CF) = R - CT Questo metodo di calcolo è basato sui costi pieni totali sia variabili che fissi. Con questo metodo, si sottraggono i costi totali dai ricavi ottenendo il risultato economico. Questa metodologia, tradizionalmente, é la prima che si é affermata nei sistemi di contabilità analitica (industriale) di fine Ottocento ed inizi Novecento. I primi sistemi erano impostati in modo da determinare i costi pieni di prodotto. Ciò perché si riteneva che l’informazione contabile fosse la più completa possibile.  Direct costing MC = R – CV Questo metodo di calcolo è basato sui costi variabili. Ad un certo punto, verso la metà del Novecento, si è sviluppata una metodologia alternativa al full costing perché qualche studioso americano ha iniziato a esprimere critiche rispetto alla metodologia sino a quel momento utilizzata. Le critiche erano di due tipi. La prima riguardava la significatività. Essi evidenziavano come, nelle valutazioni di convenienza economica relative ad una serie di decisioni operative, l’approccio ai costi pieni rischiava di essere fuorviante in quanto il riferimento agli stessi poteva condurre a conclusione errate. In particolare, ciò per tutte quelle scelte dove non veniva messa in discussione la struttura dell’impresa ma solo l’utilizzo della capacità produttiva. Quindi, con riferimento alle scelte in cui i costi fissi rimanevano invariati, era più significativo porre l’attenzione sui soli costi variabili calcolando per ogni prodotto un risultato economico intermedio, il margine di contribuzione (MC = R – CV). La seconda critica riguardava l’attendibilità dei dati. Queste teorie si erano sviluppate inizialmente negli Usa, dove già in quella fase storica, operavano grandi imprese multinazionali con produzioni molto diversificate. In queste imprese, tra il momento produttivo e la struttura aziendale si registrava una distanza notevole. Per questo _______________________________________________________________________________________ 81 motivo, una parte importante dei costi pieni era rappresentata sia da costi fissi che indiretti (soggettività del loro trattamento). Per questi motivi, è stato elaborato il metodo del direct costing.  Direct costing integrato MCN = R – (CV + CFdir) Metodo di calcolo che si colloca in posizione intermedia tra il full costing e il direct costing e che tiene conto sia dei costi variabili che fissi. Rispetto al full costing, è un metodo più attendibile ed affidabile perché i costi variabili sono quasi sempre costi diretti. É stato introdotto un risultato economico intermedio, il margine di contribuzione netto. Oggi, con gli strumenti informatici di elaborazione e calcolo, é possibile avere i profili economici di full costing e direct costing. Il margine di contribuzione Il margine di contribuzione é un risultato economico parziale, che esprime quella quota di ricavi che rimane a disposizione, dopo aver coperto i costi variabili, per coprire i costi fissi e per generare reddito netto (RN = R – CT = R – (CV + CF) = (R – CV) – CF = MC – CF). Se il margine di contribuzione è maggiore dei costi fissi, allora il reddito netto sarà maggiore di zero; in caso contrario, non si genera reddito netto. La struttura dei costi Nelle imprese monoprodotto tutti i costi sono direttamente riferibili alla produzione. Nelle imprese multiprodotto avremo costi variabili di prodotto ma anche costi fissi comuni e quindi indiretti per natura rispetto alle diverse produzioni. Le imprese multiprodotto che hanno anche capacità produttive dedicate hanno, oltre ai costi variabili di prodotto, costi fissi di prodotto direttamente imputabili che costi fissi comuni indirettamente imputabili. Considerando distintamente i costi variabili dai costi fissi diretti e indiretti disponiamo di informazioni complete, ma anche specificamente riferite alle singole produzioni. Se assumiamo decisioni che riguarda la singola produzione, abbiamo un effetto immediato sulle componenti variabili di costo, eventualmente sui costi fissi diretti, ma non sui costi fissi indiretti. L’analisi del punto di pareggio L’analisi del punto di pareggio può essere effettuata sia con riferimento alla singola produzione che al sistema produttivo nel suo complesso. È una analisi che presuppone sia la conoscenza dei costi pieni che la distinzione dei costi variabili e fissi. È una analisi che può essere utilizzata per supportare il budgeting e per assumere decisioni operative (es. prezzi di vendita). Ciò perché consente di simulare l’impatto sul reddito delle sue variabili principali (prezzi di vendita, costi di produzione, volumi di produzione e vendita). _______________________________________________________________________________________ 82 Il punto di pareggio (qX) esprime la quantità prodotta e venduta in corrispondenza della quale i ricavi totali eguagliano i costi totali. Il diagramma della redditività (versione generale) Il punto di pareggio si può rappresentare graficamente nel seguente modo. Sull’asse delle ascisse troviamo la quantità, mentre sull’asse delle ordinate troviamo l’ammontare dei costi e dei ricavi. Nello stesso si traccia la curva dei costi totali (CT) e la curva dei ricavi totali (RT). Proiettando sull’asse delle ascisse il punto di intersezione delle due curve, troviamo il punto di pareggio. Se q0 è più elevato del punto di pareggio (qx), abbiamo un risultato economico positivo (area di utile) in quanto la curva dei ricavi totali sta al di sopra della curva dei costi totali. Se q0 è minore di qx, abbiamo un risultato economico negativo (area di perdita), in quanto la curva dei costi totali sta al di sopra della curva dei ricavi totali. La differenza tra q0 e qx viene definito margine di sicurezza, (sx) perché ci dice di quanto potrebbe diminuire il volume di attività mantenendo comunque la produzione in un’area di utile. Nel grafico è utile rappresentare la quantità massima (qmax) che può essere prodotta e venduta, oltre al quale non è possibile andare. Questa sarà la minore tra la quantità massima producibile (limitata dalla capacità produttiva dell’impresa) e la quantità massima vendibile (combinazione tra il livello della domanda e la quota di mercato). Il diagramma della redditività (in assenza di costi fissi) Qualora non ci fossero costi fissi, l’analisi del punto di pareggio perderebbe significato, in quanto sarebbe in corrispondenza dell’assenza di produzione. In questo caso, dal punto in poi sarebbe costantemente in utile oppure in perdita. Il margine di sicurezza Il margine di sicurezza è la differenza tra la quantità effettivamente prodotta e venduta e quella di pareggio. Oltre alla sua determinazione in valore assoluto, é possibile procedere al suo calcolo in termini relativi, rapportando quella differenza all’attuale livello di produzione e vendita. Il margine di sicurezza assoluto ci dice di quante unità potrebbe diminuire il volume di produzione e vendita, mantenendo _______________________________________________________________________________________ 85 La profittabilità va riferita alla risorsa scarsa, rappresentata dalla capacità produttiva comune, tipicamente in termini di macchine (mch). Le scelte di accettazione/fissazione del prezzo Se il prezzo è dato, ovvero un elemento che l’impresa non può variare, questa deve analizzare i ricavi e i costi totali. Se:  R > CT, occorre accettare il prezzo e, quindi, conviene produrre;  R < CT, occorre distinguere. Se i fattori necessari devono ancora essere acquistati, oppure se i fattori necessari possono essere dismessi e, quindi, ci sono costi rilevanti ai fini della scelta, non conviene attivare o proseguire la specifica produzione. Se alcuni fattori sono disponibili, non dismettibili e non diversamente utilizzabili, ci possono essere costi non rilevanti ai fini della scelta e, quindi, questi possono essere trascurati. La componente dei costi, quindi, è data dai costi variabili e dall’eventuale quota eliminabile dei costi fissi diretti, relativi a fattori disponibili dismettibili. In questo caso, se i ricavi sono maggiori dei costi rilevanti, conviene accettare il prezzo, in quanto consegue una sorta di margine di contribuzione che, almeno in parte, concorre a coprire i costi fissi indiretti; in caso contrario non conviene accettare. Se i fattori disponibili possono essere diversamente utilizzabili, ci sono costi opportunità rilevanti, ovvero:  se R > (Crilevanti + Copp), ovvero se (R – Crilevanti) > Copp, conviene accettare il prezzo;  se R < (Crilevanti + Copp), ovvero se (R – Crilevanti) < Copp, non conviene accettare il prezzo Se il prezzo può essere fissato dall’impresa (full cost pricing): CT + RNob = R = p x q p = (CT + RNob) / q Dove, per costi totali si intendono i costi complessivi o i costi economici-tecnici e il margine di utile può essere variamente determinato. Le scelte di make or buy Un altro modello simile è quello “make or buy”, che valuta le scelte di produrre o acquistare attività relative al funzionamento aziendale. In questo modello entrano in gioco, da un lato, il prezzo di acquisto e, dall’altro, i costi totali di produzione. Nel caso di acquisto, i costi totali sono costi rilevanti. Nel caso di produzione, invece, occorre distinguere diversi casi:  se i fattori necessari devono ancora essere acquistati, abbiamo costi rilevanti;  se i fattori necessari possono essere dismessi, abbiamo costi rilevanti. In questo caso, se i costi di acquisto sono minori dei costi di produzione, conviene acquistare; in caso contrario, se i costi di acquisto sono maggiori dei costi di produzione, conviene produrre;  se i fattori disponibili non sono dismettibili e non diversamente utilizzabili, ci possono essere dei costi non rilevanti. Se i costi totali di acquisto sono minori dei costi rilevanti di produzione, conviene acquistare; in caso contrario, se i costi totali di acquisto sono maggiori dei costi rilevanti di produzione, conviene produrre;  se i fattori disponibili sono diversamente utilizzabili, abbiamo dei costi opportunità. Se:  CT (acq) < [Cril (pdz) + Copp], ovvero se [CT (acq) – Copp] < Cril (pdz), conviene acquistare; _______________________________________________________________________________________ 86  CT (acq) > [Cril (pdz) + Copp], ovvero se [CT (acq) – Copp] > Cril (pdz), conviene produrre. L’equilibrio finanziario L’equilibrio finanziario è una condizione che si realizza quando l’impresa è in grado di mantenere sempre in equilibrio le entrate e le uscite monetarie senza compromettere l’equilibrio economico, ovvero di fare regolarmente fronte ai pagamenti (per investimenti, rimborsi e remunerazione del capitale) con la liquidità generata dai realizzi o con nuovi finanziamenti, economicamente sostenibili dai ricavi della gestione. Se tutte le operazioni di gestione si caratterizzassero per una perfetta sincronia tra le operazioni economiche e finanziarie, ci sarebbe una situazione di perfetto equilibrio. L’equazione finanziaria è la seguente: Kmt-1 + E = U + Kmt Dove:  Kmt-1 rappresenta le disponibilità liquide iniziali;  E rappresenta le entrate, ovvero:  vendite a pronti + riscossione crediti di funzionamento;  apporti di capitale + accensione debiti di finanziamento.  U rappresenta le uscite, ovvero:  acquisti a pronti + pagamento debiti di funzionamento;  remunerazione e rimborso debiti di finanziamento;  remunerazione del capitale;  Kmt rappresenta le disponibilità liquide finali (maggiori o uguali a 0). A volte si rende necessario intraprendere iniziative specifiche per la salvaguardia dell’equilibrio aziendale, agendo sulle entrate oppure sulle uscite. In particolare, l’impresa può agire sulle entrate attraverso:  nuovi finanziamenti;  termini di pagamento più favorevoli dai clienti;  vendita di beni patrimoniali e realizzo di scorte. L’impresa, inoltre, può agire sulle uscite attraverso:  termini di pagamento più favorevoli dai fornitori;  rinvio di spese. Queste scelte possono comportare:  maggiori costi;  minori ricavi;  minori redditi accessori;  minore efficienza ed efficacia. L’equilibrio finanziario deve essere comunque compatibile con l’economicità della gestione aziendale. Per rappresentare la dinamica finanziaria, possiamo utilizzare una rappresentazione grafica sull’asse del tempo. In questo modo, possiamo evidenziare i flussi monetari che caratterizzano singoli cicli operativi di attività dell’impresa. _______________________________________________________________________________________ 87 Se i costi precedono i ricavi come, ad esempio, nel settore industriale dove si acquistano le materie prime, si realizzano i prodotti e poi si vendono, la gestione genera un fabbisogno finanziario, ovvero la necessità per l’impresa di trovare capitale monetario. Se i costi seguono i ricavi come, ad esempio, nelle polizze assicurative, dove ogni ciclo è caratterizzato all’inizio da un’entrata monetaria, relativa ai ricavi e, alla fine, da una uscita monetaria, la gestione genera liquidità disponibili monetarie. Quindi, nel primo caso abbiamo il problema di trovare il capitale monetario di cui abbiamo bisogno; nel secondo caso, abbiamo il problema di decidere cosa fare della liquidità disponibile. I fabbisogni finanziari Possiamo distinguere i fabbisogni finanziari iniziali, ovvero quelli relativi all’inizio della vita dell’impresa, da quelli di funzionamento, che vengono avvertiti durante la vita dell’impresa. All’inizio della vita dell’impresa, i fabbisogni finanziari iniziali si formano in relazione al capitale monetario da acquisire esternamente, con apporti di capitale di rischio o di capitale di credito, e investire per avviare la produzione. Il fabbisogno finanziario iniziale corrisponde al capitale che occorre investire per allestire la produzione. L’ammontare del capitale iniziale dipende da:  natura dell’attività produttiva (intensità di capitale, livello tecnologico, caratteristiche tecniche del processo produttivo);  livello della produzione programmata;  modalità di svolgimento dell’attività produttiva (scelte di specializzazione o integrazione verticale; acquisizione dei fattori strutturali in proprietà, affitto, leasing). Durante la vita dell’impresa, i fabbisogni finanziari di funzionamento variano in relazione alla dinamica degli investimenti (acquisti di fattori produttivi) e dei realizzi (vendita di prodotti e di fattori produttivi). A parità di condizioni di regolamento di investimenti e realizzi, se:  gli investimenti sono maggiori dei realizzi, abbiamo più capitale iniziale, nuovi fabbisogni finanziari e più fonti esterne;  gli investimenti sono minori dei realizzi, abbiamo meno capitale iniziale e nuova liquidità. Naturalmente, i fabbisogni finanziari, specialmente quelli di funzionamento, sono molto importanti per garantire all’impresa un equilibrio finanziario il più coerente possibile con l’equilibrio economico. La dinamica dei fabbisogni finanziari – 3 possibili profili Nell’ambito del normale svolgimento della vita aziendale, ci sono delle variabili che ne condizionano l’andamento. Ad esempio, anche nell’ambito della capacità produttiva già disponibile, è ininfluente l’andamento dell’attività produttiva oppure le variazioni di prezzo dei fattori produttivi e dei prodotti. Significativa, invece, è la velocità di circolazione del capitale: se aumenta la velocità si riducono i fabbisogni finanziari e viceversa. _______________________________________________________________________________________ 90  remunerazione del capitale di rischio (- Km). Queste operazioni risultano rilevanti dal punto di vista finanziario soprattutto per gli effetti che determinano sulla liquidità aziendale. Il capitale circolante netto (CCN) La distinzione appena vista è importante per la determinazione del capitale circolante netto. Il CCN è un valore di natura finanziaria calcolato come differenza tra una parte degli impieghi ed una parte delle fonti di capitale, rappresentati periodicamente nello stato patrimoniale. Siccome è un aggregato di valori, il CNN una grandezza di natura astratta. Non fa riferimento ad un elemento patrimoniale specifico, ma è una grandezza importante per la gestione finanziaria dell’impresa. Il CCN, infatti, risulta particolarmente significativo per l’analisi della capacità aziendale di trovarsi in equilibrio finanziario, ovvero la capacità di generare, attraverso la gestione aziendale, risorse finanziarie. Esistono diversi tipi di accezioni di CCN. Le principali sono:  CCN in senso stretto, in quanto classifica impieghi e fonti di capitale a seconda che riguardino la gestione corrente o la gestione extracorrente. È importante per il controllo della formazione delle risorse finanziarie dell’impresa, ovvero per segnalare i modi, la dinamica e i tempi in cui si formano risorse finanziarie;  CCN in senso finanziario, in quanto classifica impieghi e fonti di capitale a seconda dei tempi brevi o medio/lunghi di trasformazione di entrate e uscite monetarie di quegli impieghi e di quelle fonti. Per breve termine si intende che gli elementi sono destinati a tornare in forma liquida in un periodo di tempo inferiore ad un anno, mentre per medio e lungo termine di intende che sono destinati a tornare in forma liquida per un periodo superiore all’anno. È importante per il controllo dell’equilibrio finanziario a breve termine, ovvero per verificare se l’impresa si trova o meno in condizione di equilibrio a breve termine. Il CCN in senso stretto Il CCN in senso stretto viene determinato confrontando alcuni elementi finanziari e patrimoniali con corrispondenti elementi passivi. Gli impieghi e le fonti vengono riclassificati in base al loro rapporto con il ciclo della produzione. Si distinguono, per quanto riguarda gli impieghi, quegli elementi che partecipano o sono generati dalla gestione corrente (ciclo operativo della produzione) oppure dalla gestione extracorrente:  capitale fisso, ovvero il valore residuo dei fattori a fecondità ripetuta (investimenti di struttura, legati alla predisposizione della capacità produttiva). Vengono effettuati per predisporre la capacità produttiva dell’impresa nell’ambito della gestione extracorrente;  capitale circolante lordo, ovvero gli impieghi di capitale corrispondenti alle operazioni di gestione relative all’utilizzo della capacità produttiva e della gestione corrente (tutte le liquidità, scorte di materie prime e prodotti, crediti di funzionamento al netto dei fondi rischi). Si tratta, quindi, di elementi legati al ciclo operativo della produzione incluse le liquidità considerate complessivamente, quale ne sia la genesi. Per quanto riguarda le fonti, si distinguono:  fonti durevoli, ovvero capitale al netto dell’utile destinato a _______________________________________________________________________________________ 91 distribuzione, debiti di finanziamento a medio/lungo termine (legati alla predisposizione della capacità produttiva). Sono fonti di finanziamento legati alla gestione extracorrente;  passivo corrente, ovvero debiti di funzionamento (legati all’utilizzo della capacità produttiva). Sorgono durante la gestione nei rapporti con i fornitori di materie prime o servizi;  fonti interne temporaneamente disponibili, ovvero fondi rischi e oneri, fondo TFR, debiti tributari, utili in attesa di distribuzione (derivanti da ricavi del periodo o di periodi precedenti). Si formano internamente all’azienda e rimangono disponibili per un certo termine. Il CCN è dato dalla differenza tra CCL e passivo corrente. Il CCN segnala l’entità delle risorse finanziarie esistenti nell’impresa – anche se non monetariamente disponibili – e, se positivo, segnala che la gestione corrente dell’impresa si svolge in una condizione di equilibrio finanziario. Ai fini della determinazione del CCN spesso si utilizza questa rappresentazione grafica. Il CCN si potrebbe anche calcolare come differenza tra fonti durevoli e fonti interne al netto del capitale fisso, ovvero come differenza tra fonti e impieghi di gestione extracorrente. Il CCN operativo Nell’ambito del capitale circolante netto è possibile distinguere il CCN operativo . Il CCN operativo è la componente non liquida del CCN in senso stretto. A differenza delle liquidità, il CCN operativo può essere maggiore oppure minore di zero. Comprende, dal lato degli impieghi, tutti quelli escluse le liquidità (es. crediti di funzionamento, scorte di materie prime, prodotti); dal lato delle fonti, lo stesso passivo corrente e gli stessi debiti di funzionamento appena considerati. Lo possiamo calcolare come differenza tra capitale circolante lordo e passività correnti. Aggiungendo al CCN operativo le liquidità, ritroviamo il CCN in senso stretto. Il CCN finanziario Il CCN finanziario è una configurazione alternativa al CCN in senso stretto, che presenta elementi di analogia con il precedente, ma anche degli elementi differenti. Differisce dal CCN in senso stretto in quanto, anziché classificare gli impieghi e le fonti di capitale sulla base della loro partecipazione alle diverse fasi del ciclo di vita dell’impresa (gestione corrente ed extracorrente), secondo un criterio oggettivo e sostanziale, il CCN finanziario classifica questi elementi sulla base dei loro tempi di ritorno in forma liquida. Accogliendo la distinzione tra breve termine e medio/lungo termine, Si tratta, tuttavia, di un criterio soggettivo e convenzionale che fa riferimento al fatto gli impieghi e le fonti abbiano tempistiche brevi oppure non brevi di ritorno in forma liquida. Per quanto riguarda gli impieghi, si distingue:  capitale fisso, ovvero impieghi realizzabili a medio/lungo termine;  capitale circolante lordo, ovvero liquidità + impieghi realizzabili a breve termine. _______________________________________________________________________________________ 92 Per quanto riguarda le fonti, si distingue:  fonti durevoli, ovvero capitale permanente + fonti esigibili a medio/lungo termine;  passivo corrente, ovvero fonti esigibili a breve termine. Questa distinzione è, per certi versi, sovrapponibile a quella vista precedentemente nel CCN in senso stretto, ma non sempre così. Ciò che rileva è la differente modalità di classificazione. Il CCN finanziario è dato dalla differenza tra il capitale circolante loro e il passivo corrente. Segnala se l’impresa opera in una condizione di equilibrio finanziario nel breve termine. In particolare:  se CCL < PC e CCN < 0, ci sono tensioni finanziarie a breve termine. Se l’impresa ha debiti oppure altre passività che devono essere onorati entro l’anno e non ha liquidità sufficienti per farlo, se non riesce a trovare rapidamente fonti esterne di capitale, andrà incontro a problemi reali di sopravvivenza nel mercato. Quindi, da questo punto di vista, il CCN finanziario è un indicatore chiaro: se CCN è minore di zero, le criticità riguardanti il futuro sono certe;  se CCL > PC e CCN > 0, non abbiamo indicazioni certe. Per capire la condizione dell’impresa, occorre guardare il rapporto tra passivo corrente e liquidità:  se L > PC, l’impresa si trova sicuramente in una condizione di equilibrio finanziario a breve termine. Questa è una indicazione chiara e definitiva;  se L < PC, l’impresa può trovarsi in una condizione di equilibrio finanziario a breve termine, ma non ne ha la certezza. Lo sfasamento dei tempi di ritorno in forma liquida di capitale e di scadenza dei debiti può causare, infatti, un periodo in cui l’impresa non ha sufficiente liquidità per onorare i debiti. L’autofinanziamento L’autofinanziamento consiste nella capacità aziendale di finanziarsi autonomamente. Più propriamente, consiste nel fatto che, durante la vita dell’impresa, tanto più se opera in condizioni di normale economicità, la gestione corrente determina il formarsi di risorse finanziarie in senso ampio (AF) oppure in senso stretto (CF corrente), che rimangono a disposizione dell’impresa in modo temporaneo o permanente. Nella sua dimensione complessiva, il fenomeno avviene attraverso il flusso di cassa. Siccome le risorse monetarie sono una parte complessivamente considerate, questa componente può essere intesa finanziariamente in senso stretto. L’autofinanziamento deriva dalla gestione corrente e dalla sua capacità di determinare la formazione di risorse finanziarie. Nell’ambito della gestione corrente si sviluppa una dinamica di costi e ricavi – di entrate e di uscite – che presenta un saldo positivo nel caso in cui le entrate sono maggiori delle uscite. Dal lato dei ricavi, a seconda di come sono regolate le operazioni di vendita, danno luogo o ad entrate monetarie immediate o alla formazione di crediti di funzionamento che daranno luogo ad entrate alla scadenza. Dal lato dei costi, ci sono alcune voci di costo (es. utilizzo materie prime) che non danno necessariamente luogo ad uscite monetarie, altre che non danno proprio luogo ad uscite monetarie (es. ammortamenti), altre ancora che possono dare luogo ad uscite monetarie ma a distanza di tempo (es. accantonamenti). Il differenziale tra ricavi e costi esprime l’autofinanziamento. L’autofinanziamento consente di migliorare il rapporto tra la capacità aziendale di effettuare investimenti e la necessità aziendale di ricorrere a fonti di finanziamento esterni. Il fatto che l’azienda si presenti autonoma finanziariamente é sicuramente positivo in quanto le consente di funzionare regolarmente senza supporti esterni. _______________________________________________________________________________________ 95 accantonamenti a fondi rischi, escluso accantonamento a fondi rischi su crediti). Nella pratica si preferisce questo metodo perché è più veloce in quanto le voci di costo sono limitate. L’autofinanziamento si può rappresentare graficamente mettendo, da un lato, i ricavi monetari e, dall’altro, i costi monetari. Questo schema veniva molto utilizzato in passato quando il conto economico veniva redatto a sezioni distinte e non a scalare. Tuttavia, questo schema mantiene la sua validità a prescindere da come viene redatto il conto economico. L’autofinanziamento in casi particolari – perdita d’esercizio Ci può essere autofinanziamento in caso di perdita d’esercizio se la differenza tra ricavi monetari e costi monetari è positiva. Se i costi monetari eccedono i ricavi monetari non ci può essere autofinanziamento. Quindi, se l’impresa opera in condizioni di economicità, c’è sempre autofinanziamento, mentre se l’impresa non opera in condizioni di economicità, c’è autofinanziamento solo nel caso in cui i ricavi siano maggiori dei costi. Con il metodo indiretto, in presenza di una perdita, c’è autofinanziamento se, in valore assoluto, i costi non monetari sono di entità superiore alla perdita subita. In questo caso non abbiamo autofinanziamento in senso stretto, in quanto non c’è la possibilità di riservare dell’utile. L’autofinanziamento in casi particolari – R e C accessori Qualora vi siano sia gestioni caratteristiche che extracaratteristiche, queste possono generare sia ricavi di vendita che costi monetari (es. acquisto e utilizzo fattori correnti) e non monetari. Le gestioni accessorie vengono trattate alla stregua della gestione aziendale. Le componenti accessorie del reddito, quindi, vengono sommate alle altre voci di costo. L’autofinanziamento in casi particolari – produzione uso interno L’impresa utilizza i propri fattori produttivi per produrre internamente un fattore strutturale. La produzione ad uso interno, nell’ambito della gestione extracorrente, è terza rispetto alla formazione di risorse finanziarie della gestione _______________________________________________________________________________________ 96 corrente e, quindi, è terza rispetto all’autofinanziamento. Dal punto di vista pratico , le produzioni ad uso interno danno luogo ad un valore della produzione che rappresenta un ricavo non monetario: a quel valore della produzione realizzata corrispondono costi sostenuti che sono in parte monetari e in parte non monetari. L’autofinanziamento in casi particolari – accantonamento fondo rischi crediti Se ci sono rischi su crediti, occorre portare in diminuzione i ricavi di vendita per esprimerne l’ammontare monetariamente significativo. Autofinanziamento e capitale circolante netto L’autofinanziamento corrisponde alle risorse necessarie che si formano nell’ambito della gestione corrente del periodo. È, quindi, una grandezza flusso. È la differenza o la somma di grandezze flusso. Esprime la dinamica finanziaria generata dalla gestione. Il CCN, invece, corrisponde alle risorse finanziarie disponibili all’impresa alla fine del periodo. È, quindi, una grandezza stock. Tra le due grandezze c’è una relazione. Infatti, l’autofinanziamento rappresenta la variazione che il CCN subisce nell’esercizio per effetto della gestione corrente. A questo punto, occorre definire le entrate monetarie correnti (Emc) e le uscite monetarie correnti (Umc) come entrate ed uscite monetarie generate dalla gestione corrente. Se l’impresa effettuasse operazioni di vendita esclusivamente a pronti, le entrate monetarie correnti corrisponderebbero ai ricavi di vendita. In tal modo, nel periodo verrebbe incassato tutto e solo ciò che nel periodo venisse venduto. Se i ricavi di vendita fossero integralmente a pronti vi sarebbe coincidenza tra entrate monetarie correnti e ricavi di vendita. Per effetto delle operazioni di vendita, l’impresa incasserebbe un ammontare pari ai ricavi che le stesse operazioni di vendita generano. Nel momento in cui l’impresa regoli le operazioni di vendita anche in via differita, le entrate monetarie correnti dipendono dai ricavi di vendita ma altresì dalla dinamica dei crediti di funzionamento. In particolare, nel singolo esercizio potrebbero essere incassati i ricavi di vendita relativi ad operazioni di vendita a pronti e in via differita che si concludono entro l’anno. Potrebbero essere incassati crediti concessi ai clienti nell’esercizio precedente, al netto di crediti verso clienti concessi durante l’anno e che saranno incassati l’anno successivo. Le entrate monetarie correnti quindi, corrispondono ai crediti di funzionamento disponibili all’inizio del periodo, a cui si sommano i ricavi di vendita del periodo, al netto dei crediti di funzionamento finali. Le entrate monetarie possono essere espresse anche come ricavi di vendita meno la variazione dei crediti di funzionamento del periodo. Se ciò è vero, possiamo anche scrivere che i ricavi di vendita corrispondono alla somma delle entrate monetarie correnti con la variazione dei crediti di funzionamento del periodo. _______________________________________________________________________________________ 97 Le uscite monetarie correnti corrispondono ai costi di acquisto di fattori a fecondità semplice, i costi per servizi nell’ambito della gestione operativa a cui si sommano gli oneri finanziari nell’ambito della gestione finanziaria. Se le operazioni che riguardano l’acquisto di fattori specifici di natura corrente venissero tutte regolate a pronti, le uscite monetarie correnti corrisponderebbero ai costi di acquisto dei fattori a fecondità semplice. Se le operazioni di acquisto dei fattori a fecondità semplice fossero regolate anche a termine, le uscite monetarie correnti saranno pari ai debiti di funzionamento di inizio periodo a cui si sommano i costi di acquisto dei fattori a fecondità semplice del periodo al netto dei crediti di funzionamento di fine periodo. Le uscite monetarie correnti sono, quindi, pari ai costi di acquisto dei fattori a fecondità semplice più oneri finanziari, al netto della variazione dei crediti di funzionamento. Possiamo esprimere la somma tra costi di acquisto di fattori a fecondità semplice e gli oneri finanziari come somma tra le uscite monetarie correnti e la variazione dei debiti di funzionamento. Ne consegue che AF = ΔCCNcorrente Questa formulazione ci consente di affermare che all’autofinanziamento in senso ampio corrisponde una variazione del capitale circolante netto in senso stretto generata dalla gestione corrente. Autofinanziamento, capitale circolante netto e cash flow Il CCN può variare anche per motivi diversi da quelli fino ad ora considerati. La variazione complessiva del CCN può essere formata da due componenti:  la variazione di CCN generata dalla gestione corrente, misurata dall’autofinanziamento;  la variazione di CCN generata dalla gestione extracorrente. La gestione corrente, grazie all’autofinanziamento, può determinare una variazione del CCN e, in termini generali, può determinare una variazione di tutti i componenti che lo compongono. Il calcolo del cash flow corrente Mentre la gestione corrente può agire su tutti gli elementi che compongono il CCN in senso stretto, la gestione extracorrente può agire sul CCN, ma esclusivamente sulla componente liquida. La gestione corrente determina una variazione del CCN misurata dall’autofinanziamento, ma anche una variazione di capitale monetario corrente. Questo prende il nome di cash flow corrente. La gestione corrente dà luogo ad uno specifico flusso di cassa che può essere quantitativamente determinato.
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