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Economia civile e sviluppo sostenibile - RIASSUNTO, Appunti di Economia

Riassunto di "Economia civile e Sviluppo Sostenibile" di Stefano Zamagni, Luigino Bruni e Leonardo Becchetti. Cinque pagine, esaustivo e ordinato, comprende tutti i punti chiave. Sarà come aver letto il libro ;)

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 30/06/2024

articom
articom 🇮🇹

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Economia civile e sviluppo sostenibile - RIASSUNTO e più Appunti in PDF di Economia solo su Docsity! Economia civile e sviluppo sostenibile: progettare e misurare un nuovo modello di benessere di Leonardo Becchetti, Luigino Bruni e Stefano Zamagni ▶ Nella prefazione vengono forniti al lettore alcuni dati: l’aumento globale delle temperature di 0.9°C dall’epoca preindustriale e l’innalzamento del livello globale del mare di 20 cm negli ultimi 100 anni. Oltre a questi, un dato scioccante sugli estremi economici: nel 2018, 26 persone possedevano l’equivalente di 3,8 miliardi. L’economia civile viene presentata come alternativa all’economia dell’homo oeconomicus (cioè quella razionale e consequenziale) e definita come “insieme di comportamenti virtuosi nell’interesse della comunità, degli individui e della singola impresa”. Viene identificata una classe emergente di imprenditori che guardano non solo al profitto, ma anche all’impatto sociale e alla sostenibilità. La prima cattedra di economia civile al mondo fu quella del professore napoletano Antonio Genovesi, che, basandosi sull’umanesimo del ‘400 e sulla dottrina francescana, formulò una teoria economica basata su reciprocità, fraternità e gratuità e sullo stretto legame tra etica, politica ed economia. Questa teoria, poi evolutasi nell’unione tra fiducia, reciprocità e felicità pubblica, prevedeva un equilibrio tra amore “proprio” e amore “della specie” che si fondava su un sistema di pene e premi e che mirava a una società di cittadini-consumatori consapevoli e di imprese che rispettassero parametri sociali e ambientali. ▶ Leonardo Becchetti concentra l’attenzione sugli indicatori di sviluppo e di benessere, affermando che il PIL non può e non deve essere l’unico modo di determinarli, ma va unito alle dimensioni economiche, ambientali, sociali, culturali e spirituali (presi in considerazione dal BES, Benessere Equo e Sostenibile). Parte dunque con il contestualizzare l’utilizzo del PIL, iniziato ai tempi della guerra fredda: la Russia, per dimostrare la superiorità del regime comunista sul capitalismo, sfrutta il PIL, cioè la somma di beni e servizi prodotti e venduti nel proprio territorio. Questo sistema è unico e semplice, ma secondo alcuni aspetti inefficace: va considerato l’esempio del valore dei settori di sanità e istruzione, che si misura in base al salario dei lavoratori. Per ridurre il peso del settore pubblico, si può supporre di abbassare il salario di chi vi lavora, ma in tal modo si riduce lo stesso PIL. Per gli economisti, benessere, soddisfazione di vita e PIL coincidono. Ma questa visione è troppo semplicistica, e l’autore utilizza il discorso di Robert Kennedy per provarlo: in sintesi, ci sono fattori che riducono la felicità ma aumentano il PIL e fattori fondamentali per la soddisfazione personale completamente ignorati dal PIL. Per confutare la superiorità del PIL su altri indicatori, l’autore sceglie di utilizzare anche il paradosso di Easterlin, il quale afferma che la felicità non dipende da fattori economici, e considera l’esempio del secondo dopoguerra, in cui il PIL è aumentato ma la felicità diminuita. Il rapporto tra reddito e felicità è dunque generalmente positivo, ma non lineare. Vengono poi elencati gli errori di valutazione del PIL: innanzitutto, il PIL pro capite e il benessere economico di una famiglia non coincidono. In secondo luogo, il PIL è una media, e se aumenta in modo disuguale aumenta anche l’insoddisfazione (soprattutto in caso di scarsa mobilità sociale percepita, cioè se ai più poveri sembra di non avere possibilità di cambiamento). Il terzo punto è quello dell’adattamento edonico, cioè il fatto che ci si abitui agli eventi positivi ma meno ai negativi: una novità positiva perde effetto nel tempo, ma può anche spingere a un miglioramento. Il quarto è quello dei “beni relazionali”. I beni sono divisi in base a escludibilità (se io compro un bene, altri non possono sottrarmelo) e rivalità (un bene consumato da me non può essere consumato da altri) in tre categorie: - beni pubblici, non rivali e non escludibili (es. informazione, salute pubblica…) - beni privati, rivali ed escludibili (es. un panino) - beni comuni, rivali ma non escludibili (risorse ittiche di un bacino o pascoli comuni) La successiva categoria di beni è quella più particolare, cioè quella dei beni relazionali: questi sono i beni che vengono utilizzati nelle attività collettive, e nei quali consumo, produzione e investimento sono uguali. I beni relazionali sono estremamente importanti per la felicità. Per questo in questo periodo i business più redditizi sono quelli che producono relazioni, e cioè i social. Nel contesto degli altri beni, l’altro è un nemico-rivale, mentre nei beni relazionali è un mezzo per la propria felicità, anche se è necessario il coordinamento delle volontà. In ogni caso, i social propongono un modello di relazione diverso, cambiato e in certi casi impoverito. Un’altra differenziazione è quella dei beni di comfort, nei quali la soddisfazione è immediata ma la capacità di reinvestimento delle risorse è ridotta, dai beni di stimolo, che necessitano di investimenti e possono produrre frutto. In questi casi viene messa in risalto la capacità umana di differimento del piacere immediato. La soluzione a questo problema è la realizzazione che non è il denaro che fa la felicità, ma il modo e il percorso compiuto (che ha anche portato a un determinato risultato monetario) per stabilire se si è o no felici. Si prosegue poi con l’analisi di altri indicatori, presupponendo che c’è la necessità di liberarsi dal riduzionismo. Il primo è la soddisfazione personale, o meglio la risposta alla domanda “Tutto considerato, quanto sei soddisfatt* della tua vita?”, con una risposta tra 0 e 10. Questo indicatore ha il vantaggio di non essere “paternalista” (cioè determinato da esperti) ma ha lo svantaggio di dare per scontato che le persone siano in grado di contestualizzare la propria situazione: esistono poveri con condizioni di vita così scarse da dirsi felici anche se non lo sono, oppure “ideologi felici”, cioè persone che, pur contente delle loro idee, peggiorano la loro condizione. Enrico Giovannini ha avviato il progetto per la misura del BES, basato sulla convocazione di rappresentanze delle diverse parti sociali che hanno individuato 12 dimensioni del benessere con più di 130 indicatori. Già oggi alcune manovre di bilancio indicano gli impatti sugli indicatori BES, per verificare la coerenza con gli accordi di Parigi. L’autore afferma che le “mani” che devono operare al riguardo sono quattro: le istituzioni, le autorità benevolenti, le imprese e la società civile.
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