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Economia dei servizi finanziari, Dispense di Economia Finanziaria

Riassunti del libro "Il sistema finanziario: funzioni, mercati e intermediari" (primi 6 capitoli) + riassunto del libro Strumenti, prodotti e servizi finanziari (primi 6 capitoli). Ci sono alcuni cenni sul bilancio degli intermediari finanziari

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 29/06/2024

G.I.O.R.G.I.O.
G.I.O.R.G.I.O. 🇮🇹

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Scarica Economia dei servizi finanziari e più Dispense in PDF di Economia Finanziaria solo su Docsity! Pag. 1 a 74 Capitolo primo: Il sistema finanziario. Questo primo capitolo ha lo scopo di introdurre le nozioni ed i concetti base per la comprensione dell’intermediazione finanziaria, delineando il quadro di riferimento dell’attività degli intermediari e dei mercati, che verrà approfondita nei capitoli successivi. I fondamenti dell’intermediazione finanziaria sono rappresentati attraverso l’analisi dei componenti, delle funzioni e delle modalità di funzionamento del sistema finanziario, vale a dire quell’infrastruttura che ha il compito di soddisfare le esigenze ed i bisogni finanziari degli individui e delle istituzioni. Vengono delineate quindi le diverse tipologie di contratti finanziari che non sono oggetto di approfondimento in questo volume, ma essenziali e non ignorabili. Da ultimo sono descritti i rischi dell’attività di intermediazione. 1. La struttura, le funzioni e l’organizzazione. Il sistema finanziario si articola su due dimensioni: una dimensione strutturale e una funzionale. Analizzato nella sua dimensione strutturale, il sistema finanziario è costituito dall’insieme dei contratti finanziari, dei mercati in cui essi sono negoziati, degli operatori e delle regole che presidiano al suo funzionamento. Contratti finanziari, mercati, operatori e regole sono gli elementi base sui quali ricade l’onere di sostenere ed alimentare la fitta rete di relazioni e scambi finanziari che intercorrono tra gli agenti economici. Considerato nella sua dimensione funzionale, il sistema finanziario è un’infrastruttura dedicata al soddisfacimento dei bisogni finanziari degli operatori non finanziari – famiglie e imprese. Esso svolge il compito di rendere effettiva la negoziazione di operazioni finanziarie e la circolazione di strumenti finanziari; più in particolare, al sistema finanziario sono attribuite le seguenti funzioni: a) Funzione monetaria: la creazione di moneta e la circolazione dei mezzi di pagamento; b) Funzione di intermediazione: il trasferimento di risorse finanziarie dalle unità economiche in avanzo finanziario alle unità in disavanzo finanziario; c) Funzione di trasmissione della politica monetaria ed economica: la trasmissione all’economia degli impulsi di politica monetaria; d) Funzione di assicurazione e gestione dei rischi: la “copertura” di rischi “puri” (contratti di assicurazione) e la gestione dei rischi “speculativi” mediante la negoziazione di diritti/impegni a scambi futuri (contratti derivati). 1.1 La funzione monetaria. La funzione monetaria consiste nella produzione e circolazione della moneta; si compendia nella gestione dei pagamenti e trova espressione sia nella messa a disposizione degli utenti dei mezzi di pagamento, in quantità e qualità adeguate all’esigenza degli scambi (creazione di moneta), sia nella prestazione di servizi per una effettiva circolazione della moneta stessa (servizi di pagamento). Sotto quest’ultimo profilo, il sistema finanziario è chiamato ad assicurare un’adeguata funzionalità al sistema dei pagamenti o, in altre parole, un efficiente funzionamento dei meccanismi di produzione e di circolazione della moneta. Tale funzione è svolta da alcune componenti del sistema: la banca centrale e le banche che, mediante l’emissione di moneta legale (banconote) e bancaria (depositi in conto corrente) rispettivamente, concorrono a determinare l’offerta complessiva di moneta e diventano il tramite necessario per realizzare i pagamenti. Si concretizza nei rapporti che legano ciascuna banca alla sua clientela - depositanti e imprese - alla quale fornisce gli strumenti per effettuare i pagamenti - consumi e investimenti. 1.2 La funzione di intermediazione. La funzione di intermediazione consiste nel collegamento tra risparmio e investimento. Essa riguarda il trasferimento e l’allocazione delle risorse tra gli agenti economici in avanzo finanziario (prestatori finali di fondi) a quelli in posizione di disavanzo finanziario (prenditori finali di fondi) attraverso operazioni di finanziamento, mediante la negoziazione di contratti che prevedono l’esecuzione di prestazioni monetarie contrapposte e distanziate nel tempo. Le operazioni di finanziamento consentono il trasferimento di risorse tra quelle unità elementari che manifestano bisogni finanziari contrapposti: d’impiego fruttifero, da un lato, e di copertura di fabbisogni di fondi, dall’altro. L’incontro tra domanda e offerta di finanziamento ed il trasferimento di risorse si concretano nella creazione di attività finanziarie, rappresentativi di contratti finanziari in cui trovano evidenza formale le condizioni tecniche, economiche e giuridiche dello scambio di potere d’acquisto nel tempo. Le diverse tipologie di attività finanziarie sono componenti tipiche della ricchezza degli agenti economici e compaiono nel loro stato patrimoniale come elementi dell’attivo (attività finanziarie) e del passivo (passività finanziarie). In generale, il sistema finanziario, attraverso le operazioni di prestito, consente:  Una redistribuzione di risorse (potere d’acquisto);  Una redistribuzione dei rischi mediante il collegamento intertemporale;  Una redistribuzione dei diritti proprietari. Il mercato dei finanziamenti. L’insieme delle negoziazioni di attività e di strumenti finanziari definisce il mercato dei finanziamenti, ossia il “luogo” in cui l’interazione tra compratori e venditori determina il prezzo e, specularmente, il rendimento delle risorse finanziarie scambiate. Il mercato dei finanziamenti si articola in più “luoghi di scambio” differenziati:  Per tipologia contrattuale (mercato delle azioni, obbligazioni, dei depositi e così via);  Per scadenza degli strumenti (a breve, medio e lungo termine). Pag. 2 a 74 Tra i molteplici fattori di differenziazione, le modalità di svolgimento degli scambi occupano un rilievo particolare, perché concorrono a definire i connotati dell’assetto organizzativo del mercato. Una distinzione significativa è quella tra mercati a negoziazione diretta e mercati aperti, basata sul modo in cui i contraenti si confrontano, interagiscono ed arrivano a determinare le condizioni tecniche, economiche e giuridiche dello scambio.  Nei mercati a negoziazione diretta, le transazioni sono fondate su un confronto diretto tra le controparti, di natura bilaterale e personalizzata. Nella fase di contrattazione e di definizione delle condizioni di scambio, assumono un’importanza decisiva fattori e considerazioni soggettive che trovano evidenza sia nell’adattabilità degli elementi distintivi dell’operazione di finanziamento alle specifiche esigenze degli scambi, sia nella diversa forza contrattuale delle controparti (es. di mercati a negoziazione diretta: il mercato dei depositi, dei prestiti bancari a breve, dei mutui, del leasing, del factoring). [non confondere negoziazione diretta (scambio bilaterale di natura personalizzata) con canale diretto che fa riferimento all’esatto contrario].  Nei mercati aperti, le negoziazioni sono realizzate in via impersonale, secondo regole codificate e mediante l’adesione degli scambisti a condizioni contrattuali prefissate, in genere per quantità elevate, a prezzi rilevati e pubblicizzati in via sistematica (es. di mercati aperti: il mercato delle azioni, delle obbligazioni, dei titoli di Stato, delle valute). I canali di finanziamento e gli intermediari finanziari. Le attività e gli strumenti finanziari, e quindi i contratti che essi rappresentano, sono il mezzo tecnico-giuridico attraverso il quale avviene il passaggio di risorse dalle unità in avanzo a quelle in disavanzo. Per giungere agli utilizzatori finali, le risorse finanziarie possono tuttavia seguire percorsi alternativi e utilizzare infrastrutture diverse, dando luogo a più forme di trasferimento e tipologie di collegamento tra prestatori e prenditori di fondi. Sulla base della natura del legame che si viene a stabilire tra i bilanci degli operatori finali si distinguono due tipologie principali di canali di transito delle risorse: un canale di finanziamento diretto ed uno indiretto.  Il canale di finanziamento diretto è definito tale quando “le attività e gli strumenti finanziari primari/primary securities” emessi dalle unità elementari in disavanzo sono oggetto di acquisto da parte dei soggetti in avanzo finanziario. I bilanci degli operatori finali risultato tra loro “direttamente” collegati: le passività dei prenditori finali figurano contemporaneamente nell’attivo patrimoniale dei prestatori finali, cosicché le eventuali inadempienze degli emittenti di strumenti finanziari primari sono destinate a riflettersi in via immediata sull’economia delle unità in avanzo. Ad eccezione delle rare occasioni in cui sono gli stessi operatori finali che provvedono a compiere tutti gli atti necessari a concludere la negoziazione in prima persona, generalmente gli scambi realizzati nell’ambito del canale diretto si perfezionano con l’intervento di istituzioni finanziarie. Queste sono operatori specializzati in grado di offrire servizi e prestazioni destinati a ridimensionare l’influenza di quei fattori che impediscono l’instaurarsi di rapporti diretti ed autonomi tra prenditori e prestatori finali. Pertanto, la presenza o meno di intermediari finanziari qualifica ulteriormente il canale di finanziamento diretto come circuito intermediato, oppure come circuito autonomo. Nel circuito intermediato il collegamento diretto avviene con l’assistenza di intermediari finanziari mentre, in quello autonomo, non vi è alcun intervento da parte di terzi operatori diversi dagli emittenti e dagli investitori.  Il canale di finanziamento indiretto è definito tale quando un intermediario finanziario s’interpone con il proprio stato patrimoniale tra i soggetti in surplus finanziario ed i prenditori di fondi. L’intermediario pone in essere due separate operazioni finanziarie; il legame tra i bilanci degli operatori finali risulta, in qualche modo, filtrato e schermato. Gli strumenti primari, emessi dalle unità in disavanzo, figurano nell’attivo degli intermediari, i quali, a loro volta, emettono proprie passività, denominate “strumenti secondari o indiretti” che vengono acquistati dalle unità in avanzo finanziario. L’intervento degli intermediari serva a conciliare le esigenze di finanziamento e d’investimento degli operatori finali. Sugli intermediari vengono a riflettersi gli effetti di eventuali inadempienze da parte degli emittenti di strumenti finanziari. Appartengono a questa categoria gli intermediari creditizi (banche e intermediari non bancari), le imprese di assicurazione, gli intermediari previdenziali e le imprese che esercitano attività di assunzione di partecipazione e d’investimento. Finanziamento, accumulazione del capitale e mobilità degli impieghi finanziari. L’organizzazione degli scambi finanziari realizzata dal sistema finanziario rende dunque possibile il finanziamento di investimenti di valore superiore all’autofinanziamento. Questa attività configura lo svolgimento di una funzione d’intermediazione creditizia o di collegamento risparmio-investimento. Per tale via, il sistema assicura continuità ai processi di finanziamento e di accumulazione del capitale a livello macroeconomico, ridistribuendo le risorse disponibili mediante una valutazione ed una selezione degli investimenti reali programmati dalle unità economiche in disavanzo. L’azione combinata degli intermediari (canale indiretto) e dei mercati (canale diretto) assicura anche la mobilità (circolazione) e la liquidabilità (riscossione) deli impieghi finanziari, rendendo possibile il disinvestimento degli attivi senza che ciò determini variazioni dell’entità dei finanziamenti originariamente ricevuti dai prenditori. La cessione degli strumenti finanziari, da parte degli investitori originari ad altri operatori, non modifica le condizioni di durata e di costo del finanziamento negoziate a suo tempo dall’emittente. La mobilità degli impieghi finanziari costituisce peraltro un presupposto necessario della gestione dei rischi da parte degli investitori. Pag. 5 a 74 credito, questa categoria di contratti si caratterizza per l’interesse diretto ai risultati dell’attività economica svolta dall’emittente e per il vincolo che lega i capitali investiti alla vita dell’impresa, per cui il prenditore di fondi non assume alcun impegno certo di remunerazione e di restituzione futura del capitale originariamente ricevuto. Questi contratti sono rappresentati da azioni, quote di s.r.l. e s.n.c. Conferiscono ai titolari sia diritti patrimoniali, sulla quota parte di utili e di patrimonio netto societario, sia diritti amministrativi, identificabili nella possibilità di concorrere alla gestione della società. Contratti di assicurazione. I contratti di assicurazione prevedono che, dietro il pagamento di un premio, l’assicuratore assuma un onere finanziari al verificarsi di un dato evento futuro ed incerto, inerente al patrimonio (ramo danni) o alla persona dell’assicurato (ramo vita). Più in generale, l’istituzione assicuratrice, sfruttando le opportunità di diversificazione e di frazionamento del rischio consistite dalle dimensioni operative, trasforma i rischi individuali delle controparti assicurate in rischi collettivi. In tal modo, le aziende assicuratrici compensano i rischi o, quantomeno, ridistribuiscono gli stessi tra tutti i soggetti assicurati. Il debito dell’impresa assicuratrice è considerato certo; il diritto del singolo assicurato a ricevere la prestazione configura, invece, un credito aleatorio verso l’istituzione assicuratrice. Tale credito, salvo casi e forme particolari di mobilizzazione, quali il riscatto ed il prestito su polizza, è indisponibile e non liquidabile. Considerate sotto il profilo bilaterale, le operazioni della specie si configurano quindi come operazioni finanziarie aleatorie, essendo caratterizzate dalla controprestazione tra una prestazione certa dell’assicurato ed una prestazione eventuale dell’assicuratore. Contratti derivati. Gli strumenti definiti derivati/derivative securities sono parte integrante dell’ampio ed articolare insieme delle operazioni a termine/forward contracts. Sono rappresentati, in particolare, dalle opzioni/options, dai financial futures, dai forward rate agreements, dagli swap d’interesse e di valute/interest rate swaps e currency swaps e da altre tipologie non standard. La denominazione “strumenti derivati” è dovuta al fatto che il prezzo di uno strumento derivato dipende da quello di un altro contratto finanziario o di un bene reale sottostante (merci), a struttura generalmente più semplice e, di norma, oggetto di scambio in un mercato a pronti o in un mercato in cui prevale la funzione di approvvigionamento (consegna e ritiro fisico del documento rappresentativo dell’attività finanziaria). La negoziazione di strumenti derivati non ha come fine ultimo quello di investire o disinvestire capitali, né ha come obiettivo preminente il ritiro o la consegna dello strumento sottostante. Tali finalità sono, al contrario, perseguite dagli scambisti operanti nel mercato a pronti dell’attività finanziaria di riferimento. I contratti derivati, di fatto, sono strumentali alla copertura del rischio di variabilità dei prezzi degli strumenti finanziari. Gli strumenti derivati sono quindi titoli che consentono agli operatori di affrontare i problemi di gestione del rischio speculativo e della ottimizzazione di un portafoglio di investimenti finanziari. Essi danno luogo a mercati specifici, dove le unità economiche possono intervenire sia per far fronte alle incertezze derivanti dalla variabilità futura dei prezzi degli strumenti finanziari (gestione del rischio), sia con finalità prettamente speculative. L’intervento di soggetti con differente propensione al rischio rende possibile il trasferimento del rischio della variazione dei prezzi delle attività ad operatori (speculatori) che, in cambio di guadagni attesi, si assumono gli oneri relativi. 3. I rischi dell’attività di intermediazione. Agli operatori economici, il sistema finanziario offre contratti di investimento e di finanziamento con caratteristiche di rendimento, di liquidità, scadenza e rischio ovviamente diverse, essendo differenti le preferenze e le funzioni di domanda degli operatori in deficit (in genere imprese e settore pubblico) e degli operatori in surplus finanziario (risparmiatori-investitori). Ogni operazione finanziaria è caratterizzata da più componenti o tipologie di rischio che, complessivamente considerate, ne determinano il rischio totale. A sua volta, la combinazione di più operazioni finanziarie (il cosiddetto portafoglio) sia attive che passive concorre a definire le diverse classi di rischio e il rischio complessivo dell’attività svolta dagli intermediari finanziari. È perciò evidente che il trasferimento dei fondi attuato dagli intermediari finanziari comporta un insieme di rischi finanziari che introduciamo di seguito. A. Rischio di credito. Qualsiasi attività di prestito è esposta ad un rischio di credito, cioè alla possibilità che il debitore non assolva alle obbligazioni (pagamento interessi e rimborso capitale) previste dal contratto di debito. Il rischio di credito riguarda l’attività di prestito così come la sottoscrizione di obbligazioni, nonché il rilascio di garanzie alla clientela. Alla base dell’attività di finanziamento vi è pertanto la valutazione delle capacità di rimborso del potenziale prenditore di fondi e, in particolare, delle sue prospettive di redditività, che costituiscono il principale fattore per definire il profilo del rischio creditizio del debitore. B. Rischio paese e rischio sovrano. Il rischio paese è il rischio di credito che un operatore si assume quando presta fondi o acquista un’attività finanziaria emessa da una controparte che opera in un paese estero. Il rischio di non ottenere la restituzione dei fondi prestati e il pagamento degli interessi ricorre anche nel caso in cui la controparte debitrice non si trovi in condizioni di Pag. 6 a 74 insolvenza. Infatti, ragioni dovute alla scarsità di riserve valutarie e/o a scelte di politiche dei governi, possono imporre restrizioni dei debiti in valuta. Una variante del rischio paese è il rischio sovrano, che fa riferimento al rischio di insolvenza di uno stato estero su di un finanziamento emesso o garantito dallo stesso. Una valutazione del rischio sovrano è offerta dalle valutazioni di mercato dei titoli emessi dal paese nel confronto con analoghi titoli emessi da Stati considerati a rischio nullo. In particolare, il confronto si basa sul differenziale dei tassi di interesse richiesti dal mercato sulle due tipologie di titoli (lo spread), il cui valore positivo offre una stima delle perdite attese sull’investimento in titoli del paese più rischioso. C. Rischio di liquidità. Il rischio di liquidità è collegato alle difficoltà di un operatore di far fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di cassa. Le banche sono particolarmente esposte al rischio di liquidità per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto, il loro passivo a vista, che rappresenta la componente fondamentale della moneta detenuta dal pubblico, è per definizione soggetto ad un rischio di prelievo a discrezione del depositante; in secondo luogo, una parte fondamentale delle attività detenute in portafoglio, in particolare i prestiti, non è negoziabile sui mercati secondari e quindi, anche quando caratterizzata da una scadenza a breve termine, non è facilmente liquidabile a discrezione della banca. In questo modo, la banca è soggetta al rischio di un ritiro non previsto di depositi e alla necessità di reperire in modo tempestivo la corrispondente quantità di moneta (banking liquidity risk). Il rischio di liquidità può assumere altre due fattispecie che riguardano in generale l’attività di intermediari finanziari e le difficoltà in cui questi possono incorrere quando si creano squilibri tra flussi in entrata e in uscita derivanti dalla gestione ordinaria. La prima tipologia è il cosiddetto funding liquidity risk, che si verifica quando l’intermediario trova difficoltà nel raccogliere risorse liquide; la seconda è il market liquidity risk che si manifesta quando vi sono difficoltà nel reperire la necessaria liquidità sui mercati tramite la cessione di titoli. Per quanto riguarda gli strumenti finanziari, il concetto di liquidità concerne il grado di negoziabilità sui mercati. In questi casi si tratta del tipico market liquidity risk che, come sopra ricordato, riguarda la difficoltà di individuare una controparte nelle operazioni di negoziazione del titolo con le conseguenze per il venditore di non poter liquidare la posizione in titolo o di poterlo fare sono a condizioni svantaggiose. D. Rischio di mercato. Il rischio di mercato corrisponde al rischio di fluttuazioni nei valori delle attività finanziarie, dovute ai mutamenti nelle condizioni di mercato, ad esempio variazioni nei tassi di interesse, nei tassi di cambio, negli indici delle borse azionarie. a. Rischio di interesse. Questo tipo di rischio è collegato al fatto che il valore di mercato di un’attività finanziaria può variare per effetto di variazioni dei tassi di interesse. Essendo il valore di un’attività finanziaria definito come la somma dei flussi di cassa scontati a un tasso di interesse di mercato, variazioni nel valore di quest’ultimo determinano fluttuazioni nel valore dell’attività, tanto maggiori quanto più lontana è la sua scadenza. Quando le attività finanziarie figurano nel bilancio di un intermediario, le variazioni dei tassi di interesse si possono tradurre in una riduzione del loro valore. In particolare, va ricordato che nell’ambito della funzione di intermediazione, la banca attua una trasformazione delle scadenze e quindi, in generale, essa intermedia emettendo passività con scadenza inferiore a quella delle attività. In tal caso essa è esposta ad un rischio di aumento nei tassi di interesse, in conseguenza del fatto che il valore delle attività diminuisce in misura maggiore di quello delle passività. Di segno contrario è invece l’esposizione al rischio della banca che raccoglie fondi a lungo termine ed impiega a breve termie. In questo caso, infatti, l’aumento dei tassi di interesse aumenta il valore di mercato del patrimonio della banca, mentre una riduzione dei tassi determina una rivalutazione delle passività superiore a quella registrata dalle attività finanziarie iscritte in bilancio. b. Rischio di cambio. Per rischio di cambio si intende la variazione di valore di un’attività finanziaria, denominata in una valuta estera, che subisce per effetto dell’oscillazione del tasso di cambio tra valuta nazionale e valuta estera. Tali rischi riguardano l’attività di negoziazione in valuta, l’erogazione di prestiti denominati in una valuta estera, l’acquisto di titoli denominati in valuta, e la raccolta di fondi con strumenti denominati in una valuta diversa da quella nazionale. E. Rischio operativo. Il rischio operativo riguarda il funzionamento dell’impresa in generale. Nel caso specifico degli intermediari finanziari, si fa riferimento a possibili perdite legate al malfunzionamento dei sistemi operativi e a quelli di controllo interno, a catastrofi naturali, ad incapacità e/o infedeltà del personale (non va sottovalutato il rischio di frode). In una dizione più ampia nel rischio operativo viene anche fatto ricadere il cosiddetto rischio legale e di reputazione: che consiste nella possibilità che un’azione legale nei confronti dell’intermediario causino perdite o minori guadagni. Le nuove interdipendenze con soggetti non più solo di natura finanziaria (ad esempio providers in outsourcing di servizi informatici e di pagamento) hanno posto in primo piano una categoria di rischio operativo, il cyber risk, che riguarda la possibilità di attacchi ai sistemi operativi degli intermediari finanziari da parte di soggetti esterni (hackers) con la finalità di violare le procedure di sicurezza e di riservatezza delle informazioni. Pag. 7 a 74 F. Rischio di controparte. Il rischio di controparte può emergere quando un operatore adempie alla sua prestazione prima di ricevere la controprestazione, correndo quindi il rischio che il contratto stipulato non venga chiuso. Tale tipologia di rischio, come anche il rischio di credito, è causato dall’inadempienza di una delle parti del contratto, ma in questo caso è collegato non all’attività di prestito, ma al funzionamento del sistema dei pagamenti e alle operazioni in titoli e cambi. Si pensi al caso in cui una delle controparti effettui il pagamento dovuto, ma non riceva i titoli negoziati. Capitolo secondo: La funzione di intermediazione. 1. I saldi finanziari. 1.1. La funzione di intermediazione. La funzione di intermediazione attribuita al sistema finanziario consiste nel facilitare il trasferimento di risorse monetarie tra agenti economici che presentano bisogni finanziari contrapposti. L’offerta e la realizzazione di “operazioni finanziarie”, cioè di scambi finanziari (contratti finanziari) che prevedono l’esecuzione di prestazioni monetarie contrapposte e distanziate nel tempo, consente al sistema finanziario di soddisfare, da un lato, le esigenze di impiego fruttifero del risparmio dei soggetti in avanzo finanziario (prestatori finali di fondi) e, dall’altro, le necessità di finanziamento dei soggetti in disavanzo finanziario (prenditori finali di fondi), originate da una spesa per investimenti in attività reali superiore alle risorse disponibili. Interponendosi tra coloro che richiedono finanziamenti e coloro che offrono risorse, il sistema finanziario si adopera, quindi, per collegare il risparmio all’investimento in attività reali. Per trasferire le risorse da coloro che risparmiano a coloro che investono, il sistema finanziario deve rendere compatibile le richieste di impiego di fondi con la domanda di finanziamenti, conciliando le esigenze economiche contrapposte e differenziate degli agenti economici. Tale attività si esprime in una redistribuzione di risorse tra le unità economiche che si realizza, da un lato, attraverso un complesso processo di valutazione e di selezione dei richiedenti e dei loro progetti d’investimento e, dall’altro, creando le condizioni di convenienza economica e di rischio ad investire in attività finanziarie per le unità con eccedenza di risorse monetarie. Sotto questo profilo, il sistema finanziario è chiamato a realizzare un’efficiente allocazione delle risorse nell’interesse della collettività. Per illustrare i principi concettuali della funzione di intermediazione, è opportuno individuare, in primo luogo, gli elementi e le determinanti della formazione, presso gli agenti economici, dei saldi finanziari che alimentano la domanda e l’offerta di risorse monetarie. In particolare, è opportuno esaminare lo schema contabile di riferimento per la rappresentazione dei fatti economici che concorrono alla formazione del saldo finanziario. 1.2. I saldi finanziari delle singole unità economiche. I comportamenti economici adottati dalle unità economiche elementari sono finalizzati a modificare, per ogni dato intervallo temporale, la dotazione iniziale di ricchezza. Anche se nella realtà non è sempre possibile, le operazioni svolte da ciascun agente economico possono trovare ideale rappresentazione contabile: i) in un conto patrimoniale, Pag. 10 a 74 contabile nel conto della formazione del capitale o conto del risparmio e dell’investimento. Le risorse interne rese disponibili dalla gestione corrente (risparmio) sono contabilizzate tra le fonti, mentre le spese sostenute in conto capitale trovano evidenza tra gli usi di fondi. Lo sbilancio tra il risparmio e la variazione delle attività reali è denominato saldo finanziario SFu (tabella 3). Il saldo finanziario identifica la presenza di un avanzo oppure di un disavanzo, misurando, rispettivamente, il surplus o il deficit di risorse dell’unità economica. Per cui, per la singola unità economica:  A 𝑆 > 𝐼 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒 𝑆𝐹 > 0 𝑒 𝑢𝑛 “𝑎𝑣𝑎𝑛𝑧𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜/𝑠𝑢𝑟𝑝𝑙𝑢𝑠”  A 𝑆 < 𝐼 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒 𝑆𝐹 < 0 𝑒 𝑢𝑛 “𝑑𝑖𝑠𝑎𝑣𝑎𝑛𝑧𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜/𝑑𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡” Al saldo finanziario positivo o negativo si contrappone, rispettivamente, un’accumulazione netta di attività o di passività finanziarie nei confronti di altre unità economiche. Sulla base di questi elementi è possibile definite come unità in surplus gli agenti economici che presentano un risparmio superiore all’investimento in attività reali e, analogamente, sono definiti unità in deficit coloro che presentano un risparmio inferiore all’investimento in attività reali. La formazione di risparmio presso gli operatori in surplus è pertanto tale da finanziare sia la spesa in attività reali, sia l’investimento in attività finanziarie o, in alternativa, la riduzione dell’eventuale esposizione debitoria. Presso gli operatori in deficit, al contrario, le esigenze dettate dall’accumulazione reale sono tali da rendere necessaria un’integrazione del risparmio corrente mediante l’utilizzo di finanziamento o, in alternativa, con lo smobilizzo di attività finanziarie accumulate in precedenza. Peraltro, anche in presenza di un risparmio insufficiente a finanziare la spesa in conto capitale, una unità economica può comunque accumulare attività finanziarie. Ciò può essere reso possibile dall’emissione di passività finanziarie in misura superiore al saldo finanziario. In generale, per ogni singola unità economica, vale la seguente relazione: 𝑆 − 𝐼 = 𝑆𝐹 = ∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 Per cui la differenza tra risparmio e investimento in attività reali, cioè il saldo finanziario, è uguale alla variazione di attività finanziarie meno la variazione delle passività finanziarie. Le decisioni di risparmio e di investimento in attività reali, così come gli investimenti o i disinvestimenti finanziari, come la raccolta o il rimborso di fondi, modificano la situazione patrimoniale delle unità economiche rilevata a fine periodo. Valgono le seguenti equazioni per le singole unità economiche: 𝑇𝐴 = 𝑇𝐴 + ∆𝐴𝑅(= 𝐼) + ∆𝐴𝐹 𝑇𝑃 = 𝑇𝑃 + ∆𝑃𝐹 + 𝑆 𝑆𝐹 = 𝑆 − 𝐼 = ∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 Quest’ultima equazione esprime lo stato patrimoniali in voci di flusso. Per ogni soggetto, il saldo finanziario si traduce in una accumulazione di AF/PF (decumulo PF/AF). Se 𝑆 > 𝐼 l’impresa si autofinanzia o tramite il risparmio o tramite una riduzione delle passività finanziarie (⇡ 𝐴𝐹/𝑃𝐹). In questo caso l’impresa ha un saldo finanziario positivo, quindi rappresenta un’unità economica in surplus, capace di autofinanziarsi. Le risorse in eccedenza possono essere utilizzate per aumentare i crediti (∆ 𝐴𝐹) oppure per saldare, quindi ridurre i propri debiti (∆ 𝑃𝐹). Se 𝑆 < 𝐼 l’impresa si sta indebitando (⇣ 𝐴𝐹/𝑃𝐹). Viceversa, in questo caso l’impresa ha un saldo finanziario negativo e rappresenta un’unità economica in deficit. L’impresa ha bisogno di risorse finanziarie che le ottiene o dall’esterno, aumentando le passività finanziarie (∆ 𝑃𝐹) o riducendo i propri crediti, smobilizzando titoli e/o crediti ((∆ 𝐴𝐹). Al saldo finanziario positivo (negativo) si contrappone un’accumulazione netta di attività (passività) finanziarie. Gestione caratteristica S – I = ΔAF – ΔPF AF - PF Famiglie Salari e stipendi Consumi Positivo Creditore netto Imprese Ricavi Costi Negativo/positivo Debitore/creditore netto Pubblico Imposte Trasferimenti Negativo Debitore netto Estero Importazioni Esportazioni Da notare che gli operatori in surplus, quindi con saldo finanziario positivo (ΔAF > ΔPF), non necessariamente coprono una posizione creditoria netta (AF > PF); lo stesso vale per gli operatori in deficit, quindi con saldo finanziario negativo (ΔAF < ΔPF), in quanto questi non necessariamente coprono una posizione debitoria netta (AF < PF). La definizione di saldo finanziario prende in considerazioni variabili flusso, indipendentemente dalla situazione di partenza, creditoria o debitoria, che dipende da variabili stock. 2. I saldi finanziari dei settori industriali e i fattori di creazione delle attività finanziarie. I singoli agenti economici, considerati come centri dotati di autonomia decisionale nell’ambito economico-finanziario, sono raggruppati in settori sulla base dell’omogeneità di comportamento economico e finanziario, più in particolare, sull’omogeneità di comportamento rilevata in merito alla produzione ed alla distribuzione del reddito, all’impiego finale delle risorse, alla formazione del risparmio ed alle decisioni in ambito Pag. 11 a 74 finanziario. In particolare, il criterio di aggregazione è dettato dall’esercizio prevalente delle funzioni economiche di produzione, di accumulazione e di consumo. Sulla base dei criteri indicati i settori significativi per l’analisi finanziaria sono i seguenti: famiglie, imprese non finanziarie, pubblica amministrazione ed estero.  Famiglie; sono quegli agenti economici che, a fronte della cessione a terzi di fattori di produzione, ricevono una remunerazione e/o beneficiano di trasferimenti di redditi destinati ad alimentare l’acquisto di beni di consumo e servizi prodotti dalle imprese. I redditi correnti percepiti dal settore, di norma, superano la spesa per consumi, originando un volume di risparmio superiore all’investimento in attività reali. La spesa in conto capitale tipica del settore è rappresentata dall’acquisto di abitazioni. L’incidenza di queste attività reali sulla ricchezza lorda complessiva del settore è peraltro superiore a quella delle attività finanziarie. Per il settore nel suo complesso, il flusso annuo di acquisti di attività reali è quantitativamente inferiore a quello di nuovo risparmio. Per le singole unità che decidono di investire in attività reali, invece, il flusso annuo di risparmio non è, in genere, sufficiente a finanziare l’investimento che di norma genera fabbisogno finanziario e, conseguentemente, il ricordo all’indebitamento. A livello di macrosettore è sempre e comunque vera la situazione contraria. È il tipico settore in surplus e, come tale, è prestatore di fondi.  Società non finanziarie; le entrate correnti sono rappresentate dai ricavi ottenuti con la vendita di prodotti e di servizi, mentre le uscite riguardano l’acquisto e la remunerazione dei fattori produttivi. Sono tipiche unità in deficit, cioè prenditori finali di fondi. Il risparmio di periodo è, per il complesso del settore, insufficiente a coprire il fabbisogno finanziario derivante dalla spesa per investimenti in attività reali. I fondi necessari sono raccolti attraverso l’emissione di passività finanziarie, cioè attraverso finanziamenti, sia nella forma di nuovi debiti, sia in quella di aumenti di capitali.  Amministrazioni pubbliche; comprende tutti gli operatori pubblici che producono servizi non finanziari ed operano una redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese. Sono quindi escluse tutte le aziende di proprietà pubblica che producono per il mercato. Il settore ha il compito di prestare alla collettività servizi non vendibili che trovano evidenza finanziaria nella spesa pubblica (G), comprensiva di uscite correnti ed uscite in conto capitale, attingendo alle risorse ottenute attraverso le imposte, le tasse e i contributi sociali (T). il risparmio del settore è determinato dal saldo delle sole operazioni correnti; il saldo finanziario (T - G) è di norma in disavanzo essendo il settore istituzionale rivolto all’accumulazione di capitale. È tipicamente una unità in deficit e, dunque, un prenditore finale di fondi.  Estero; per questo settore, riassuntivo dei rapporti economici e finanziari internazionali intrattenuti dall’economia nazionale, non si ha la contrapposizione tra risparmio e investimento come per gli altri gruppi di operatori. Il saldo finanziario corrisponde, al divario tra entrate ed uscite di parte corrente della bilancia dei pagamenti, per cui, a seconda del segno, esprimerà un risparmio o un investimento dell’estero. In particolare, se positivo, il saldo finanziario è indicativo di un risparmio dell’estero, nel senso che il resto del mondo cede risorse reali nette all’economia nazionale, integrandone il risparmio. Se negativo, è il resto del mondo che usufruisce di risorse aggiuntive a quelle prodotte direttamente. Volendo rappresentare il saldo finanziario dell’estero, cioè il saldo delle operazioni correnti e in conto capitale della controparte “resto del mondo” nei confronti dell’economia nazionale, bisogna considerare le importazioni al netto delle esportazioni (M - X). Questo sistema organizzato di conti per settori istituzionali, altrimenti noto come “flusso di fondi”, costituisce il più importante schema di analisi macroeconomica di raccordo tra flussi reali e finanziari. Il sistema di conti denominato flusso di fondi ha quindi lo scopo di determinare la quantità di risorse finanziarie che si forma in un intervallo di tempo presso ciascuno degli operatori in cui può essere suddiviso il sistema economico ed il relativo fabbisogno di trasferimento. La contrapposizione fra settori è di fondamentale importanza perché identifica l’origine e la destinazione delle risorse trasferite dal sistema finanziario, in un dato orizzonte temporale. Considerando solo i settori finali, le identità contabili che sintetizzano la posizione di ciascun settore sono le seguenti: Famiglie 𝑆 − 𝐼 = 𝑆𝐹 = (∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 ) Imprese non finanziarie 𝑆 − 𝐼 = 𝑆𝐹 = (∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 ) Amministrazione pubblica 𝑆 − 𝐼 = 𝑆𝐹 = (∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 ) Estero 𝑀 − 𝑋 = 𝑆𝐹 = (∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 ) Le stesse relazioni contabili possono essere ottenute anche per l’intero sistema economico mediante il consolidamento dei conti dei settori istituzionali interni. Seguendo questo processo di aggregazione, ed essendo: 𝑆 + 𝑆 + 𝑆 = 𝑆 (𝑟𝑖𝑠𝑝𝑎𝑟𝑚𝑖𝑜 𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒) 𝐼 + 𝐼 + 𝐼 = 𝐼 (𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙 𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑎) Avremo: (𝑆 − 𝐼) + (𝑀 − 𝑋) = 𝑆𝐹 + 𝑆𝐹 = 0 In assenza di rapporti con l’estero, e quindi per 𝑆𝐹 = 0, il risparmio nazionale coincide con le variazioni delle attività reali. Si ha dunque la nota relazione 𝑆 = 𝐼. Il sistema di equazioni illustrato è un sistema di identità contabili e di relazioni ex-post, per cui risulta sempre verificate l’eguaglianza tra risparmio e investimenti. In merito a queste considerazioni, è opportuno osservare che la condizione di equilibrio macroeconomico dell’intero sistema economico nazionale comporta l’equivalenza tra Pag. 12 a 74 risparmio ed investimento. Tale condizione non necessariamente è verificata ex-ante, cioè all’inizio di ogni periodo. Solo a posteriori l’eguaglianza è di fatto raggiunta attraverso vari meccanismi di aggiustamento che agiscono nell’arco temporale di osservazione: tra i meccanismi in questione, si può ricordare la variazione delle scorte e quella dei prezzi. Le relazioni illustrate sono quindi indicative di uno stato di equilibrio ex-post. In termini analitici, se esprimiamo il saldo finanziario della pubblica amministrazione come differenza tra entrate ed uscite correnti ed in conto capitale ponendo −𝑆𝐹 = (𝐺 − 𝑇), e consolidiamo in un unico settore (quello privato) i conti di famiglie e imprese, sempre nell’ambito di un sistema chiuso, avremo: ∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 = 0 = 𝑆 − 𝐼 − (𝐺 − 𝑇) Questa identità contabile mette in evidenza il fatto che il saldo finanziario del settore privato si contrappone a quello della pubblica amministrazione. Le variazioni delle attività e delle passività finanziarie della relazione precedente riguardano esclusivamente i rapporti tra i due settori. Ne consegue che un disavanzo della pubblica amministrazione determina un’accumulazione di attività finanziarie da parte del settore privato e viceversa. Se il sistema economico è aperto agli scambi con l’estero, la somma dei saldi finanziari dei settori è sempre pari a zero, cioè 𝑆𝐹 + 𝑆𝐹 + 𝑆𝐹 + 𝑆𝐹 = 0. Occorre tuttavia rilevare che la sommatoria dei saldi finanziari dei soli settori interni, di norma, è diversa da zero, essendo uguale al saldo finanziario dell’estero con segno negativo. In altri termini, il saldo del conto della formazione del capitale per l’economia nazionale corrisponde a quello della bilancia delle partite correnti. Pertanto, essendo −𝑆𝐹 = 𝑋 − 𝑀, avremo anche la seguente relazione: 𝑆𝐹 + 𝑆𝐹 + 𝑆𝐹 = −𝑆𝐹 = 𝑋 − 𝑀 = +𝑃𝐶 O, in altra forma, tenuto conto del risparmio e dell’investimento nazionale: 𝑆 − 𝐼 = −𝑆𝐹 Questa relazione mette in evidenza che al saldo finanziario del conto della formazione del capitale dei settori interni corrisponde un accreditamento o un indebitamento dell’economia nazionale nei confronti del resto del mondo. Se SFe ha segno positivo (avanzo finanziario del resto del mondo), si ha un’accumulazione netta di attività finanziarie da parte dell’estero, diretto a compensare l’insufficienza del risparmio interno rispetto agli investimenti. Sotto il profilo della bilancia dei pagamenti, ad un saldo finanziario dell’estero positivo, corrisponde un saldo delle partite correnti negativo (M > X). In termini di operazioni finanziarie (movimenti di capitali e movimenti monetari) tutto ciò corrisponde ad una riduzione di attività finanziarie e/o ad un aumento di passività finanziarie nei confronti del resto del mondo, configurando un aumento dell’indebitamento netto sull’estero dei settori interni. Se SFe ha segno negativo (disavanzo finanziario dell’estero), l’accumulazione netta di passività finanziarie da parte del resto del mondo riflette l’eccedenza di risparmio nazionale sugli investimenti. Sotto il profilo della bilancia dei pagamenti, il saldo delle transazioni correnti risulta positivo (X > M) e le operazioni finanziarie si sostanziano in un’accumulazione netta di attività finanziarie sull’estero da parte dei settori interni. Infine, sotto il profilo delle attività finanziarie è importante considerare alcune relazioni fondamentali rappresentative delle determinanti della loro creazione. In particolare, sulla base degli elementi fin qui acquisiti, avremo: 𝑆 − 𝐼 = (𝐺 − 𝑇) + (𝑋 − 𝑀) Che, espressa in termini di variazioni di attività e passività finanziare del settore privato avremo: ∆𝐴𝐹 − ∆𝑃𝐹 = (𝐺 − 𝑇) + (𝑋 − 𝑀) Questa equazione divide il settore privato dal settore pubblico. Essendo un’identità, se un settore si trova in deficit deve essere necessariamente finanziato da un settore in surplus, raggiungendo sempre un equilibrio macroeconomico ex-post. 3. La dissociazione tra risparmio e investimento. Se il conto della formazione del capitale di ciascun settore (o agente economico) fosse sempre in pareggio (risparmio = investimenti in attività reali), la spesa per l’accumulazione del capitale sarebbe interamente autofinanziata. Tuttavia, l’entità degli investimenti delle imprese è in genere superiore all’ammontare del risparmio del periodo, mentre le risorse non consumate dalle famiglie eccedono gli investimenti in attività reali. La separazione o dissociazione tra risparmio ed investimento trova evidenza nell’esistenza dei saldi finanziari di segno opposto e richiede l’esistenza di “contratti finanziari” che possano funzionare da veicoli per il trasferimento delle risorse dai settori in avanzo a quelli in disavanzo, da chi “risparmia” a chi “investe”. Il settore estero può assumere saldi positivi e negativi che, in genere, si alternano nel corso del tempo. Ciò è peraltro coerente con l’opportunità di mantenere un certo equilibrio nei rapporti economici e finanziari con il resto del mondo, dal momento che per i singoli paesi non è sostenibile una posizione di parte corrente quantitativamente rilevante costantemente in avanzo o in disavanzo. Anche la presenza di reiterati ed ingenti saldi positivi è rappresentativa di una situazione di squilibrio e, come tale, non a lungo sostenibile. L’interdipendenza tra economie rende, tuttavia, non sostenibili posizioni di avanzo o di disavanzo per importi elevati e reiterate nel tempo. Una crisi di fiducia alla posizione dei paesi debitori è suscettibile di innescare crisi monetarie e finanziare attraverso le quali, tra paesi in avanzo ed in disavanzo, vengono a ricomporsi nuovi equilibri. Nell’ambito di singole economie, la distribuzione dei saldi finanziari tra settori in avanzo (famiglie) e settori in disavanzo (imprese e pubblica amministrazione) ha natura Pag. 15 a 74 dall’intermediario, sia a quello degli “strumenti finanziari diretti/primary securities” emessi dai prenditori finali nei mercati aperti. Ad esempio, le tipiche passività della banca (depositi in conto corrente) presentano un grado di liquidità più elevato delle attività della banca (prestiti a breve), mentre la scadenza media contrattuale dell’attivo bancario risulta superiore a quella del passivo bancario. Tale divario di scadenze e di liquidità, oltre ad essere alla base della differenza tra tassi attivi e passivi negoziati, influenza la mancata coincidenza fra entrate ed uscite di cassa della banca, nonché il grado di esposizione del risultato economico atteso alla variabilità dei tassi d’interesse. In definitiva, l’intermediario svolge, a proprio rischio, una ricomposizione delle preferenze contrapposte che gli operatori finali, per vari motivi, non hanno potuto o non hanno ritenuto conveniente realizzare avvalendosi dei canali d’intermediazione diretta proposti dai mercati aperti. A conclusione, è opportuno sottolineare che, indipendentemente dal canale di collegamento, diretto o indiretto, tra risparmio e investimento, il trasferimento di risorse avviene, salvo l’occasionalità di circuiti autonomi, con la partecipazione di uno o più intermediari finanziari. Nel caso di collegamento indiretto, gli operatori finanziari interpongono il proprio bilancio tra quelli delle unità economiche, mentre, nel caso di collegamento diretto, l’intervento consiste nella prestazione di servizi, denominati servizi d’intermediazione mobiliare, idonei a facilitare l’incontro tra gli emittenti e gli investitori. Pag. 16 a 74 Volume due: Strumenti, prodotti e servizi finanziari. Capitolo terzo: Le scelte finanziarie delle imprese. 1. I bisogni finanziari delle imprese. (volume 2, capitolo terzo). Le funzioni economiche svolte dagli intermediari finanziari trovano espressione in diverse categorie di servizi offerti alle imprese ed alle famiglie: quelli di finanziamento, i servizi di pagamento ed i servizi assicurativi. Ciascuna di queste aree di servizi si compone di più prodotti finanziari che rispondono a differenti esigenze/bisogni espressi dalla clientela. La domanda di servizi finanziari da parte delle imprese è originata da bisogni di finanziamento e di investimento, di pagamento e di incasso e di gestione dei rischi puri e speculativi. A ciascuna macroarea di servizi finanziari è riconducibile una pluralità di prodotti e servizi bancari e finanziari, la cui gamma è andata aumentando in misura notevole negli ultimi anni, in relazione ai processi di innovazione finanziaria e di diversificazione dell’attività delle banche e degli intermediari finanziari, come risposta all’allargamento dei bisogni della clientela imprese e della sua maggiore sofisticazione finanziaria. 2. Il fabbisogno finanziario delle imprese. Le esigenze di finanziamento sono individuate sulla base del fabbisogno finanziario, determinato dalla diversa dinamica temporale dei flussi monetari in entrata e in uscita. I progetti di investimento realizzati richiedono infatti uscite di cassa anticipate rispetto ai flussi monetari di rientro delle risorse impiegate. Lo svolgimento della gestione comporta in ogni momento l’esistenza di impieghi di fondi in attesa di essere successivamente realizzati in moneta. Si tratta quindi di investimenti in essere destinati a trasformarsi in flussi di cassa e a riprendere la forma di attività liquide. Questi impieghi di fondi sono rilevati contabilmente nel lato sinistro dello Stato Patrimoniale e costituiscono il capitale investito dall’impresa. In quanto espressione degli investimenti in essere in attesa di realizzo, l’entità del capitale investito definisce anche l’ammontare del fabbisogno finanziario totale, misurato appunto dall’attivo totale di bilancio. Per contro, il lato destro dello stato patrimoniale, rappresentato dal debito e dal patrimonio netto indica l’entità e la composizione delle fonti di copertura del fabbisogno finanziario totale. L’entità del fabbisogno finanziario totale si modifica nel tempo al variare dell’ammontare del capitale investito. Pertanto, per dato intervallo di tempo è possibile misurare il fabbisogno finanziario addizionale sulla base della variazione del capitale investito. L’entità dell’incremento dell’attivo di bilancio se misurata ex-post consente di individuare nelle variazioni dell’indebitamento e del patrimonio netto le fonti di copertura attivate; se rilevate ex-ante indica l’ammontare dei nuovi finanziamenti da attivare per far fronte alle esigenze dettate dai maggiori investimenti. Riguardo alla copertura del fabbisogno finanziario addizionale, è opportuno distinguere tra fabbisogno addizionale e fabbisogno esterno. Quest’ultimo indica la parte di fabbisogno addizionale da coprire ricorrendo a finanziatori esterni attraverso finanziamenti a titolo di debito e di capitale. Il fabbisogno esterno è di entità diversa da quella del fabbisogno finanziario addizionale complessivo (variazione del capitale investito). La differenza è data dall’autofinanziamento, cioè da risorse finanziare che la gestione aziendale è in grado di produrre autonomamente. L’autofinanziamento è una fonte interna di finanziamento per l’impresa ed è misurato dall’eccedenza delle risorse generate dalla gestione corrente rispetto a quelle impiegate dalla medesima gestione. Il fabbisogno finanziario esterno è ovviamente nullo se l’autofinanziamento risulta pari al fabbisogno finanziario addizionale. L’autofinanziamento esprime il flusso di risorse addizionali che l’impresa produce e che trovano immediato impiego a copertura del fabbisogno finanziario. Sotto il profilo economico, l’autofinanziamento netto è costituito, ad esempio, dagli utili di esercizio non distribuiti ai soci e, quindi, reinvestiti nell’attività dell’impresa. Sotto il profilo strettamente finanziario il margine operativo lordo (MOL o EBITDA) assume rilievo come grandezza che contribuisce alla formazione dell’autofinanziamento lordo. Tale grandezza esprime il risultato economico derivante dalla contrapposizione tra i ricavi ed i costi inerenti alla sola gestione operativa. È “lordo” in quanto misurato prima degli ammortamenti ed è una misura del flusso di cassa generato dalla gestione operativa corrente. Inteso in questo senso, il margine operativo lordo è un indicatore assai significativo della capacità di una impresa di produrre risorse monetarie superiori a quelle impiegate dalla gestione corrente. Inoltre, essendo determinato escludendo i costi dell’indebitamento (interessi passivi), il MOL è un indicatore della copertura di tali costi e, quindi, particolarmente utile per valutare la capacità dell’impresa di far fronte al pagamento degli interessi dovuti ai creditori. 2.1. Durata del fabbisogno finanziario. Gli investimenti realizzati dall’impresa comprendono attività a lungo termine (capitale fisso) e attività a breve termine (capitale circolante). Le attività reali e finanziarie iscritte nello stato patrimoniale (tabella 3) sono classificate in ragione della loro diversa attitudine a trasformarsi in cassa (grado di liquidità). Le attività a lungo termine derivano da operazioni di gestione non ricorrenti che danno luogo ad impieghi pluriennali in fattori produttivi il cui utilizzo si estende su più cicli di produzione, configurando investimenti destinati a trasformarsi in moneta nel corso di più periodi amministrativi. Pag. 17 a 74 Le attività correnti sono originate direttamente dalle operazioni di acquisto, produzione e vendite, le quali si rinnovano continuamente e sistematicamente con l’avvicinamento dei cicli produttivi, costituendo il capitale circolante. Alla natura di attività a lungo termine (immobilizzazioni) e di attività a breve termine (attività correnti) ed all’estensione del loro ciclo di rientro in forma monetaria è correlata la durata del fabbisogno finanziario generato. 2.2. Fonti di copertura del fabbisogno finanziario. L’indebitamento (debiti correnti e consolidati) e il netto patrimoniale (tabella 3) esprimono le fonti di copertura del fabbisogno finanziario generato dagli investimenti in corso di realizzo (totale attivo). Oltre all’entità dei finanziamenti ricevuti dall’impresa, il passivo e il netto patrimoniale indicano la provenienza delle risorse ed il tipo di contratto finanziario e la scadenza temporale di disponibilità delle risorse per l’impresa. Al riguardo, le risorse finanziarie acquisite con vincolo di rimborso, sono suddivise tra debiti a breve termine (correnti) e debiti a lungo termine (consolidati). I debiti correnti sono rappresentato da tutti i debiti esigibili entro i 12 mesi indipendentemente dalla loro natura (di funzionamento o finanziari). I debiti consolidati identificano l’indebitamento a medio e lungo termine e si caratterizzano per il fatto che l’impresa può fare affidamento sulle risorse ricevute per un periodo temporale almeno superiore ai 12 mesi prima di procedere al rimborso. Si tratta sia di debiti di funzionamento che di debiti finanziari. Il patrimonio netto, costituito dal capitale sociale e dalle riserve (sia di utili, sia da sovrapprezzo azioni), è una fonte di finanziamento stabile e duratura. Non prevede vincoli temporali di restituzione, costituisce il capitale proprio dell’impresa, deriva da conferimenti dei soci e da redditi non distribuiti (autofinanziamento netto). La sua entità, espressa in rapporto ai debiti ( ) misura il grado di indebitamento dell’impresa o leverage. Più è elevato l’indice di indebitamento tanto maggiore è il rischio finanziario dell’impresa. Un indebitamento crescente, a parità di tassi di interesse, comporta oneri finanziari sul debito più alti, per il maggior rischio di credito percepito dai creditori. Se gli oneri finanziari superano il reddito prodotto dalla gestione operativa, il reddito netto risulta negativo, evidenziando in tal caso una perdita di esercizio. La remunerazione del capitale di pertinenza dei soci (patrimonio netto) è residuale. Quindi, anche i soci-proprietari sono esposti al rischio finanziario rappresentato dalle possibili conseguenze di un eccesso di indebitamento e di alti interessi passivi. Per i creditori, il patrimonio netto svolge il ruolo di cuscinetto nell’assorbire le eventuali perdite di esercizio: quanto più esso è elevato tanto maggiore sarà la tutela dei terzi creditori e, quindi, più elevato il grado di solvibilità dell’impresa. Pag. 20 a 74 Capitolo sesto: Gli intermediari finanziari. 1. La classificazione degli intermediari finanziari. Secondo una consolidata classificazione, basata su criteri funzionali e quindi per attività, gli intermediari vengono solitamente suddivisi in intermediari del canale indiretto e intermediari del canale indiretto. I primi si caratterizzano per interventi volti a conciliare le esigenze degli operatori finali attraverso l’offerta, da un lato, di proprie attività gradite ai prenditori finali di fondi (i richiedenti prestiti) e, dall’altro lato, di proprie passività gradite ai prestatori finali di fondi (i risparmiatori). Appartengono a questa categoria di intermediari quelli che svolgono attività di intermediazione creditizia, attività di assunzione di partecipazione e d’investimento, attività assicurativa a previdenziale. Gli intermediari creditizi, accomunati dal fatto di porre in essere operazioni di credito (attivo e/o passivo), possono assumere la qualifica di bancari e non bancari. L’attività di assunzione di partecipazioni qualifica gli intermediari che effettuano impieghi finanziari con lo scopo di esercitare il controllo di imprese non finanziarie, oppure di fornitura di capitali di rischio. Gli intermediari assicurativi e previdenziali comprendono le imprese di assicurazione, nonché gli istituti di previdenza e i fondi pensione. Gli intermediari della seconda categoria (intermediari mobiliari), operanti nel canale diretto, offrono agli operatori finali un’ampia gamma di servizi a supporto delle scelte di investimento/disinvestimento del proprio portafoglio e dell’emissione, del collocamento e della negoziazione di strumenti primari. La prestazione di questi servizi non rende necessaria la creazione di rapporti finanziari diretti nei confronti di tutte e due le categorie di operatori finali. Essi mirano, di fatto, a prospettare soluzioni per la copertura dei fabbisogni finanziari, a risolvere problemi di natura tecnica e gestionale come la ricerca delle controparti, la rapida esecuzione degli investimenti e dei disinvestimenti, l’acquisizione d’informazioni e l’orientamento delle decisioni finanziarie. A seconda della tipologia di attività svolta, possono essere ulteriormente distinti in imprese d’intermediazione mobiliare dedite alla prestazione di servizi collegati al mercato primario, vale a dire di collocamento di strumenti finanziari, nonché di studio, di analisi e di organizzazione di operazioni di finanziamento e di finanza straordinaria; di servizi relativi al mercato secondario, cioè di negoziazione di strumenti finanziari i; infine, servizi di amministrazione e custodia, consulenza, e gestione di portafogli di attività finanziarie (asset management). Il servizio di gestione del risparmio, a sua volta, si distingue in gestione individuale e collettiva. I principali intermediari attivi nell’attività di gestione collettiva del risparmio sono le Società di gestione del risparmio (SGR) e le Società di investimento a capitale variabile (SICAV). Attività di gestione di tipo individuale può essere svolta anche dalle banche e dalle Società di intermediazione mobiliare. La classificazione degli intermediari per canale di intermediazione è riportata nella tabella 1A e nella tabella 1B. Per ogni classe di intermediari sono indicati i principali servizi svolti, nell’ambito d’intermediazione di riferimento, e le categorie di operatori previste e regolamentate dall’ordinamento italiano. Di seguito, vengono introdotti gli aspetti teorici che spiegano l’esistenza degli intermediari finanziari e le modalità con cui essi intervengono nel processo di allocazione delle risorse. 2. Le imperfezioni dei mercati e la funzione allocativa degli intermediari. I mercati finanziari e gli intermediari finanziari sono le componenti del sistema finanziario cui è affidata l’allocazione di risorse scarse tra utilizzatori ed usi alternativi. La canalizzazione delle riserve verso destinazioni produttive si fonda sulla valutazione e sulla selezione sistematica d’impieghi finanziari caratterizzati da profili di rendimenti e di rischio attesi differenziati. Oltre a questo ruolo ex-ante, alle istituzioni in questione è riconosciuta anche una funzione di sorveglianza e di controllo finanziario: ciò significa che, una volta concesso il finanziamento, il sistema finanziario ha anche il compito di verificare la qualità della destinazione delle risorse e dei risultati conseguiti. Tale funzione è esercitata sulla base dei diritti impliciti nel tipo e nella natura della relazione finanziaria instaurata con i prenditori finali. Il processo di selezione e di controllo svolto dai mercati organizzati (mercati aperti) si basa sui prezzi degli strumenti finanziari negoziati e, quindi, sui rendimenti attesi e sulla variabilità degli stessi (rischio). Ai prezzi viene riconosciuta la capacità di esprimere giudizi di merito e valutazioni sulla qualità dell’allocazione delle risorse attuata dai prenditori Pag. 21 a 74 finali. Così, ad esempio, al mercato azionario viene attribuito il ruolo di regolare e controllare lo sviluppo delle imprese quotate, attraverso un processo di valutazione continuo dei titoli. Per cui, nei prezzi dei valori azionari e nelle loro variazioni trovano sintesi i giudizi di merito e le sanzioni della collettività degli investitori sulla gestione delle imprese quotate. Sempre attraverso i prezzi, i mercati provvedono a fornire indicazioni e segnali per orientare le decisioni d’investimento dei prenditori di fondi. Considerati sotto questo profilo, i prezzi che si formano nei mercati organizzati sono un importante strumento di comunicazione delle informazioni. I processi di selezione e di controllo esercitati dagli intermediari finanziari, pur presentando le medesime finalità allocative e di controllo, assumono modalità e caratteri diversi a seconda che tali operazioni intervengano nell’ambito dei finanziamenti diretto oppure indiretti. Nell’ambito dei finanziamenti diretti, l’intermediario finanziario opera nei mercati aperti e, in tale sede, concorre al processo di aggregazione delle informazioni e alla qualità dei meccanismi di formazione dei prezzi, rafforzando il processo informativo-valutativo degli investitori-operatori finali. Nel caso dei finanziamenti indiretti, intervenendo nell’ambito di un processo di trasferimento indiretto delle risorse, gli intermediari finanziari esercitano le proprie funzioni di valutazione, di “selezione sistematica/screening”, di sorveglianza e di controllo, principalmente sulla base di elementi tipici dei rapporti bilaterali: informazioni confidenziali non pubbliche, esperienza, capacità professionali e tecniche. In questo contesto, e a differenza dei mercati aperti, i prezzi originano da una negoziazione bilaterali e assumono un ruolo secondario nei meccanismi di valutazione e di controllo che, infatti, sono affidati alla possibilità d’imporre ai prenditori di fondi una disciplina di comportamento nell’ambito di una relazione personalizzata. Tale possibilità si configura, ovviamente, in modo diverso. Se l’intermediario finanziario partecipa direttamente al capitale di rischio, in genere è anche in grado di esercitare un potere d’indirizzo sulle decisioni strategiche e gestionali dell’impresa. Se, invece, assume la veste di creditore, l’intermediario è chiamato periodicamente a formulare, attraverso la concessione e il rinnovo dei prestiti, giudizi e valutazioni sulle prospettive d’insolvenza del debitore. In questo contesto, l’elemento su cui l’intermediario può fare leva è rappresentato dalla conferma o meno dei finanziamenti. Sottoporre a giudizio di merito i propri debitori ed esercitare controllo sulla qualità del proprio attivo sono azioni che assumono un’importanza fondamentale per l’intermediario finanziario, poiché la sua solvibilità e, quindi, la sua continuità funzionale, dipende dall’efficacia di tale processo di valutazione, di selezione e di controllo sistematico dei crediti erogati. Nella realtà dei diversi sistemi finanziari, i canali di finanziamento basati sui mercati aperti e sull’interposizione del bilancio degli intermediari coesistono, perseguendo entrambi le medesime finalità di ottimizzazione della distribuzione delle risorse e del controllo finanziario delle stesse. A completamento dell’analisi delle funzioni del sistema finanziario è quindi opportuno individuare le condizioni di tale coesistenza, identificando i fattori che guidano gli operatori finali nella scelta tra le due forme d’intermediazione. Ciò equivale a ricercare anche i motivi dell’esistenza stessa degli intermediari finanziari e, in subordine, ad individuare le ragioni della presenza di forme diverse di intermediari finanziari. Come rilevato in precedenza, l’instaurazione di rapporti diretti autonomi deve superare diversi ostacoli che sono riconducibili alla presenza di costi di transazione, all’incertezza che caratterizza le scelte finanziarie e all’esistenza di asimmetrie informative. L’intervento degli intermediari trova una giustificazione nel fatto che, essendo operatori specializzati, sono in grado di conseguire vantaggi in termini di costo, di affrontare adeguatamente l’incertezza, di superare problemi di natura informativa che possono risultare insormontabili per i singoli offerenti fondi. Vale a dire che la negoziazione di un’operazione finanziaria è realizzabile o, quantomeno, lo è a condizioni più vantaggiose, se tra le due controparti interviene direttamente o indirettamente un operatore specializzato. 2.1. Gli intermediari finanziari e i costi di transazione. In primo luogo, occorre rilevare che il trasferimento di risorse, alle unità in avanzo a quelle in disavanzo, non può realizzarsi se non al prezzo del sostenimento di oneri di transazione di varia natura da parte degli operatori finanziari. Gli oneri o costi di transazione in oggetto possono essere individuati nelle seguenti fattispecie:  Costi di ricerca della controparte, che risultano particolarmente elevati quando il richiedente fondi è poco conosciuto o la richiesta di fondi presenta caratteri di eccezionalità;  Costi contrattuali. È attraverso la definizione di specifiche clausole contrattuali che le controparti cercano di tutelarsi rispetto a comportamenti che possono compromettere la conclusione dello scambio di risorse nel tempo;  Costi informativi sostenuti nell’acquisizione delle informazioni rilevanti per la conclusione dello scambio, nella valutazione della controparte al momento dell’investimento iniziale (screening) e, successivamente, per avere conferme o meno di eventuali variazioni del grado di rischio dell’operazione (monitorig). La presenza e l’incidenza di questi costi può rendere non eseguibili in autonomia le operazioni di finanziamento diretto, mentre il livello di tali oneri può risultare inferiore qualora intervenga un intermediario finanziario. Questa circostanza è confermata dal fatto che una parte rilevante dei costi operativi e d’informazione appartiene alla categoria Pag. 22 a 74 dei costi fissi. Per cui, l’attività di soggetti dediti sistematicamente allo scambio e alla detenzione di strumenti finanziari, se sostenuta da volumi operativi consistenti, è in grado di conseguire economie di scala significative. Gli intermediari creditizi, in particolare, possono superare i vincoli posti dall’indivisibilità degli strumenti finanziari e, dunque, adattare i contratti alle specifiche esigenze delle controparti, coordinando e accentrando le relazioni finanziarie attive e passive, intrattenute con una pluralità di controparti. Ciò rende più vantaggioso il ricorso a circuiti indiretti, tenuto conto che, in genere, nei mercati aperti i costi di collocamento e di distribuzione degli strumenti negoziabili sono inversamente proporzionali al grado di frazionamento delle medesime passività. Dunque, gli intermediari creditizi sono in grado di abbassare i costi unitari operando su volumi consistenti. Tutto ciò non esclude che gli emittenti e gli investitori trovino conveniente sostenere in proprio una quota parte degli oneri complessivi, internalizzando una frazione dei costi operativi e d’informazione e, di conseguenza, anche le relative fasi di allestimento dell’operazione finanziaria. Così, ad esempio, un’impresa può trovare conveniente finanziare la propria attività mediante l’emissione di strumenti negoziabili nel mercato mobiliare, avvalendosi del solo servizio di ricerca della controparte offerto da un intermediario mobiliare, sostenendo in proprio gli altri oneri relativi alla definizione degli elementi contrattuali, alla diffusione delle informazioni, alla distribuzione dei titoli e così via. Analogamente, gli investitori possono curare in prima persona l’amministrazione degli impieghi in valori mobiliari, così come possono affidarsi ai servizi di gestione personalizzata o a quelli di natura collettiva, offerti da intermediari mobiliari specializzati. In conclusione, l’esistenza di costi di transazione offre una base di partenza per una possibile spiegazione dell’esistenza degli intermediari e di una loro diversificazione. Da rilevare, tuttavia, che tali conclusioni sono da porre in relazione al solo fattore costi di transazione, cioè sono valide a parità di altre circostanze. 2.2. Gli intermediari finanziari e l’incertezza. L’incertezza è un elemento connaturato alle operazioni finanziarie di qualsiasi genere e riguarda la conoscenza limitata di quelli che possono essere i risultati dello scambio di risorse finanziarie nel tempo. Gli operatori traducono l’incertezza in termini di perdite che possono derivare dal realizzarsi di certi risultati e attribuiscono il significato di rischio alle probabilità che si verifichino tali perdite. La negoziazione e la definizione dei contratti finanziari comporta sempre una distribuzione dei rischi tra le parti e, per i due contraenti, il contratto stipulato rappresenta di norma il risultato di un compromesso accettabile tra finalità contrapposte. La presenza di incertezza, di per sé, tende a circoscrivere le opportunità di alcuni soggetti e a porre altri, in particolare quelli specializzati come gli intermediari finanziari, in posizione migliore rispetto a una assunzione diretta dei rischi dell’intermediazione. Gli intermediari creditizi possono attuare una diversificazione e un frazionamento dei rischi non realizzabile da parte degli investitori individuali. L’attività di questi operatori specializzati, e in particolare delle banche, è caratterizzata, inoltre, da una sistematica trasformazione delle scadenze che comporta, di fatto, una situazione strutturale di scadenza media nominale dell’attivo superiore a quella del passivo. Questa asincronia delle scadenze è alla base, in primo luogo, del divario tra i tassi attivi e passivi negoziati, quale fattore principale di redditività e, in secondo luogo, dell’incertezza temporale dei movimenti di entrata ed uscita, quale determinante della liquidità. In questo ambito, l’intermediazione creditizia consente una significativa riduzione degli effetti dell’incertezza sulle operazioni negoziate dagli operatori finali. L’intermediario creditizio svolge a proprio rischio opera di ricomposizione delle preferenze contrapposte che gli operatori non hanno ritenuto conveniente realizzare, avvalendosi dei canali d’intermediazione diretta (autonomi e intermediati sul mercato mobiliare). Gli intermediari creditizi conseguono tale risultato sfruttando le economie di scala, cioè riducendo l’incidenza unitaria dei costi operativi all’aumentare delle operazioni negoziate. Inoltre, la concentrazione presso l’intermediario di una pluralità di operazioni finanziarie consente di diversificare e frazionare i rischi d’insolvenza dei debitori (rischio di credito), di fronteggiare lo sfasamento tra entrate ed uscite (rischio di liquidità) e di stabilizzare la redditività (rischio d’interesse). Gli intermediari della specie sono in grado di attuare una trasformazione dei rischi e, quindi, di offrire alle unità in avanzo, opportunità d’impiego caratterizzate da un livello di aleatorietà inferiore sia a quello medio delle proprie attività, sia a quello degli strumenti diretti emessi dai prenditori finali di fondi. Quest’ultimi sono peraltro disposti a pagare un costo più elevato pur di ottenere, dagli intermediari, crediti in linea con le proprie esigenze di finanziamento. Anche i prestatori finali, per effetto della trasformazione delle scadenze, possono accedere a impeghi dotati di un elevato grado di liquidità. Ciò trova puntuale conferma nella capacità delle banche di produrre passività con scadenza a vista e a basso rischio. Di fronte all’opportunità d’impiego a elevata liquidità, i prestatori sono disposti a ricevere tassi di remunerazione inferiori a quelli che potrebbero ottenere altrimenti. Per quanto riguarda l’attività d’intermediazione svolta, i rischi di credito, di liquidità e di tasso d’interesse, assunti in proprio dagli intermediari, trovano remunerazione nel margine tra interessi attivi e passivi, o margine d’interesse. Tale margine è rappresentativo, da un lato, della remunerazione dell’attività di intermediazione e del compenso per l’assunzione dei relativi rischi e, dall’altro, dell’onere sostenuto dalla collettività per realizzare il trasferimento di risorse dai prestatori ai prenditori finali. Pag. 25 a 74 predefiniti (massimo 100.000€ per ogni depositante). Il titolare di un deposito in conto corrente non è quindi esposto al rischio di una eventuale insolvenza della banca, circostanza che, di per sé, concorre a rafforzare in misura significativa il grado di accettabilità della moneta bancaria nei pagamenti. ii) Moneta come unità di conto e misura di valore. La moneta è l’unità di misura con cui sono espressi rapporti di scambio. La moneta è il comune denominatore del valore di scambio di beni e servizi, i quali sono appunto acquistati e venduti in contropartita di un certo numero di unità di moneta. Il valore di tutti i beni è pertanto determinato in base alle unità di moneta necessarie per l’acquisto dei beni stessi. Una moneta può essere impiegata anche solo come unità di conto (euro dal 1999 al 2002). Il valore dell’unità monetaria è per definizione uguale all’unità. Essa è infatti misura di valore a cui si rapporta il valore di tutti i beni. Al riguardo, è opportuno distinguere il valore nominale da quello reale. Il valore nominale non varia ed è sempre certo a una data futura; il valore reale, o potere d’acquisto, può modificarsi nel tempo in misura più o meno accentuata sulla base dell’andamento dell’inflazione. Una unità di misura svolge in modo efficace il suo ruolo quanto più è stabile il suo potere di acquisto. Per assicurare alla moneta di conto il pieno e illimitato potere liberatorio è necessario che l’emittente sia in grado di preservarne nel tempo le funzioni ed il valore in termini di potere d’acquisto. Ciò spiega, ad esempio, perché il mantenimento della stabilità dei prezzi sia l’obiettivo principale dell’Eurosistema. iii) Moneta come fondo o riserva di valore. La moneta-segno è accettata in pagamento in quanto rappresenta un potere d’acquisto generalizzati che può essere conservato nello spazio e nel tempo. In quanto mezzo di scambio, la moneta è un veicolo per trasportare ricchezza nel tempo; infatti, è accettata in pagamento perché può essere detenuta e conservata fino al luogo e/o al momento in cui il possessore desideri trasformarle in beni e servizi. Inoltre, la moneta può essere detenuta e conservata per la sua capacità di mantenere il proprio valore nel tempo, come un “bene” da tenere quale parte della propria ricchezza. In questo caso, la moneta è, al pari di altri beni e di altre attività finanziarie, una componente dell’attivo patrimoniale. Sotto questo profilo, tutte le altre attività reali e tutte le attività finanziarie diverse dalla moneta sono strumenti conservazione del valore nel tempo. In particolare, nell’assolvimento della funzione di fondo di valore, la moneta è in concorrenza con le altre attività finanziarie e con le attività reali. Vale a dire che tutte le attività finanziaria hanno la comune caratteristica di essere strumenti per la conservazione della ricchezza nel tempo ma tuttavia non hanno peculiarità monetarie. La moneta, essendo immediatamente spendibile in beni e servizi non necessita di alcun processo di conversione, dunque è uno strumento perfettamente liquido, a differenza delle altre attività finanziarie o reali, per le quali bisogna attivare un processo di conversione in moneta legale, vendendole. La moneta si distingue quindi dalle altre attività finanziarie per le sue caratteristiche di liquidità. A loro volta, anche le attività finanziarie diverse dalla moneta si differenziano tra loro per il diverso grado di liquidità: quanto meno liquida è un’attività finanziaria, tanto maggiore è il rendimento che l’investitore percepisce come compenso per la rinuncia alla liquidità. Tale rinuncia configura un costo opportunità, in genere espresso in termini di tasso d’interesse, che, appunto, misura il “prezzo” della moneta-fondo di valore. Il prezzo della moneta-strumento di riserva di valore è infatti determinato in base ai servizi resi come bene durevole, cioè come componente attivo del patrimonio degli operatori. 2. Moneta e attività bancaria. Nelle economie moderne, la moneta-merce è stata sostituita nell’uso pratico dalla cosiddetta moneta-segno nella forma principale di moneta-attività finanziaria (banconote e depositi bancari). L’adozione e la diffusione della moneta attività finanziaria non è contemporanea all’uso della moneta-merca, essendo il punto di arrivo di un lungo processo storico contrassegnato da una successione di ordinamenti monetari caratterizzati dall’impiego di generi monetari diversi. Nella storia della moneta, l’introduzione delle prime forme di moneta cartacea rappresenta un’importante e decisiva innovazione. Tale genere monetario assume la veste iniziale di moneta convertibile in una data quantità di monete metalliche depositate a custodia presso mercanti-banchieri. Le ricevute, rilasciate come certificazione dell’esistenza di un deposito, sostituiscono nella pratica degli scambi l’uso delle monete metalliche, in virtù dei minori costi di transazione. L’emissione di moneta cartacea in forma di “biglietti di banca”, in una prima fase, si sostanzia in una mera sostituzione delle monete metalliche in circolazione. Vale a dire che il deposito di monete metalliche, costituito presso gli emittenti di banconote, è un deposito regolare e, quindi, la complessiva quantità di moneta in circolazione non viene ad essere modificata. La nascita della moneta-attività finanziaria si ha solo successivamente, quando l’emissione di banconote avviene senza che si renda indispensabile la costituzione di un deposito di moneta-merce come contropartita. La costatazione che la diffusione dell’uso dei sostituti cartacei non necessariamente comportava richieste di restituzione delle monete metalliche (moneta-merce), rendeva di fatto possibile e, soprattutto, economicamente conveniente, l’emissione di un volume di biglietti e di banconote superiore alla quantità di moneta-merce depositata. Tale opportunità poteva essere pienamente sfruttata, trasformando il deposito di moneta-merce in deposito irregolare. Il depositario, anziché svolgere, come in regime di deposito regolare, una mera funzione di custode dei beni depositati e restituire gli stessi beni, assume l’obbligo di restituire beni della stessa specie e qualità di quelli originariamente ricevuti. In tal modo, il depositario poteva disporre Pag. 26 a 74 liberamente della moneta metallica ricevuta in deposito, utilizzandola in operazioni di credito. Ovviamente, dato che la circolazione era rappresentata soprattutto da moneta cartacea, l’operazione di prestito si risolveva nell’emissione di biglietti e di banconote. L’emittente poteva così immettere nuova moneta in circolazione a fronte di operazioni di prestito. La moneta-merce diviene una attività di riserva da detenere per far fronte ad eventuali richieste di conversione delle banconote. Non si richiede più una copertura metallica integrale ai mezzi di pagamento emessi, bensì il rispetto di determinati rapporti tra l’ammontare dei biglietti in circolazione e le riserve auree. La circolazione della moneta cartacea viene in tal modo a poggiare su un presupposto fiduciario, espresso dall’impegno di convertibilità delle banconote, in una quantità prefissata di monete metalliche. La rilevanza assunta dalla funzione monetaria, i frequenti casi di dissesto delle banche e l’esigenza di una maggiore tutela dei depositanti, determinarono una progressiva pubblicizzazione dell’emissione di biglietti e banconote; attraverso forme di regolamentazione e controllo statale. Si afferma quindi il principio che l’emissione di moneta spetta allo Stato, che la esercita attribuendo ad un istituto di emissione il monopolio di tale attività. L’intervento dello Stato e la disciplina della circolazione monetaria determina la netta separazione dell’attività di banca di emissione da quella delle altre banche. La posizione degli istituti di emissione si consolida ulteriormente attraverso lo sviluppo di nuove forme di attività che daranno poi origine alle odierne banche centrali. In quanto emittenti del genere monetario principale in regime di monopolio, gli istituti di emissione assumono il ruolo di banche delle banche agendo come depositari del fondo di cassa (riserve di liquidità) delle altre istituzioni creditizie e come prestatori di ultima istanza. In quanto delegati della funzione di emissione da parte dello Stato, gli istituti di emissione intrattengono relazioni molto strette con il Tesoro, finanziandone i disavanzi e fornendo servizi di collocamento e gestione del debito pubblico: banca del Tesoro. Infine, presso gli istituti di emissione vengono accentrate le riserve auree del Paese. La centralizzazione delle riserve auree costituisce la premessa per attribuire all’istituto di emissione-banca centrale, da un lato, il controllo e la gestione del cambio della moneta in altre valute (convertibilità esterna) e, dall’altro, la possibilità di assicurare la trasformazione dei biglietti emessi nei confronti dei soggetti residenti (convertibilità interna). L’impossibilità di assicurare la libera trasformazione in oro porterà nel tempo lo Stato a decretare la sospensione del regime di convertibilità della moneta. Il vincolo di conversione viene rimosso con la dichiarazione del corso forzoso, per atto d’imperio da parte dello Stato. Nelle economie moderne la moneta assume la veste di segno convenzionale (moneta- segno), essendo stato sospeso il diritto di conversione in moneta merce. In regime di corso forzoso si può parlare solo di convertibilità di una moneta in monete di altri paesi. Sotto questo profilo, si distingue tra convertibilità interna (da parte dei residenti) e convertibilità esterna (da parte dei non residenti) della moneta legale di un dato paese in monete di altre economie. Ciò implica un regime di libertà di movimento dei capitali da e verso l’estero. 3. La produzione e la circolazione della moneta. La funzione monetaria del sistema finanziario consiste nella produzione di moneta e nell’erogazione di servizi di pagamento. Questa attività identifica una vera e propria industria di servizi, denominata sistema dei pagamenti, diretta a soddisfare i bisogni di trasferimenti di moneta originati dal regolamento degli scambi commerciali e finanziari. Il sistema del pagamento può essere definito come l’insieme di norme, degli intermediari e degli strumenti che permette il passaggio della moneta da un operatore economico all’altro, al fine di consentire lo scambio di beni e servizi. Il sistema dei pagamenti è composto:  dai soggetti che emettono la moneta utilizzabile negli scambi (BC, banche, Imel);  dai mezzi di scambio e dagli strumenti di pagamento sia cartacei che elettronici;  dagli operatori che gestiscono reti e procedure tecniche per la trasmissione e la gestione delle informazioni di pagamento e per il regolamento dei pagamenti interbancari;  dalle norme che definiscono i diritti e i doveri delle parti coinvolte nelle operazioni di pagamento. Della complessa attività di questa infrastruttura possono essere colti tre aspetti principali: quantitativo, qualitativo e tecnico-operativo.  Sotto il profilo quantitativo, il sistema finanziario è impegnato a fornire un volume di mezzi di pagamento adeguato alle esigenze degli scambi. Le componenti preposte a questa funzione sono la banca centrale ed il sistema bancario, che concorrono a determinare la complessiva offerta di moneta. Il debito a vista della banca centrale (base monetaria) è la componente monetaria su cui poggia l’attività di raccolta e d’impiego delle banche. Queste ultime concedono ai beneficiari del credito la possibilità di utilizzare nei pagamenti la moneta bancaria (depositi in conto corrente), cioè un genere monetario assistito dalla garanzia di convertibilità in moneta legale. In tal modo, il sistema bancario può far leva sulla disponibilità di attività esigibili a vista nei confronti delle autorità monetarie (base monetaria) per una espansione multipla dei crediti e dei depositi. Tale meccanismo, noto come moltiplicatore dei depositi, consente alle banche di intervenire attivamente nella determinazione della quantità di moneta.  L’aspetto qualitativo riguarda, invece, la tipologia dei mezzi di scambio e degli strumenti di pagamento. In merito, il sistema finanziario produce un particolare tipo di generi monetari – quelli di natura finanziaria – rappresentati dal circolante, dalla Pag. 27 a 74 moneta bancaria e dalla moneta elettronica. Il requisito di accettabilità generalizzata elimina i costi di informazione che gli scambisti dovrebbero altrimenti sostenere per accertare la qualità del mezzo di scambio. L’accettabilità della moneta risiede essenzialmente nella fiducia che l’emittente sia in grado, a richiesta, di onorare il proprio debito. Sotto questo profilo, la moneta legale ha illimitato potere liberatorio sancito per atto d’imperio dello Stato, mentre l’accettabilità della moneta bancaria risiede essenzialmente su presupposti fiduciari. La relazione fiduciaria sottostante la circolazione della moneta bancaria presenta, tuttavia, due aspetti:  Il primo è quello già ricordato ed è rappresentato dalla solvibilità in moneta legale dell’azienda bancaria, assicurata anche dal Fondo Interbancario di tutela dei depositi;  Il secondo è invece costituito dalla validità del diritto di credito verso la banca di colui che effettua il pagamento.  Sotto il profilo tecnico-operativo, riguarda, da un lato, l’insieme delle norme e dei processi relativi all’emissione dei mezzi di pagamento e, dall’altro, i meccanismi e le procedure che presiedono alla circolazione della moneta e, quindi, alla sua effettiva spendibilità. Sotto questo aspetto, pertanto, il sistema dei pagamenti è caratterizzato dai seguenti elementi costitutivi:  I mezzi di scambio, cioè la moneta utilizzata nei pagamenti;  Gli strumenti, le procedure e le infrastrutture per la circolazione della moneta;  Gli accordi di cooperazione tra gli operatori del mercato dei pagamenti;  Il quadro normativo che presiede alla circolazione della moneta;  Il ruolo delle autorità monetarie. I successivi paragrafi sono in particolare dedicati agli strumenti ed alle procedure per la circolazione della moneta e agli accordi ed ai collegamenti tra gli operatori. 4. La moneta, gli strumenti ed i servizi di pagamento. L’emissione o “creazione” della moneta, data la sua natura finanziaria, è sempre il risultato di un’operazione di credito. La base monetaria, ad esempio, viene immessa nel sistema economico dalla banca centrale in contropartita di una concessione di credito (ad esempio rifinanziamento del sistema bancario). Ne consegue che, sotto il profilo tecnico- operativo, le modalità di emissione della moneta sono riconducibili ai meccanismi ed agli strumenti che presiedono all’erogazione del credito. I mezzi di scambio utilizzati in Italia sono prodotti dall’Eurosistema, dalle banche commerciali, da Poste Italiane e dagli intermediari non bancari (tabella 1). L’Eurosistema nella sua veste di istituto di emissione ha la prerogativa di creare e di immettere in circolazione moneta a corso legale nella forma di banconote e moneta divisionale. In particolare, la BCE autorizza l’emissione di circolante da parte delle Banche Centrali Nazionali. Inoltre, le BCN agiscono per conto del Tesoro dello Stato di appartenenza come emittenti di moneta metallica divisionale. L’utilizzo delle banconote e delle monete metalliche nei pagamenti si sostanzia nella loro consegna fisica contro il bene e il servizio acquistato (pagamento in contanti). I depositi in conto corrente sono il genere monetario in cui si identifica la moneta bancaria e la moneta postale. La moneta bancaria è una moneta privata il cui utilizzo è reso disponibile attraverso la prestazione di servizi di pagamento da parte dei soggetti produttori. Con l’affermazione delle tecnologie elettroniche e delle telecomunicazioni e le trasformazioni intervenute nei sistemi di pagamento, ai depositi in conto corrente si è affiancato un ulteriore genere monetario: la moneta elettronica, destinata in prospettiva a sostituire il contante. La moneta elettronica è un valore monetario memorizzato su un dispositivo elettronico, rappresentativo di un credito nei confronti dell’emittente, originato dal versamento di una somma di denaro per effettuare operazioni di pagamento. L’emissione di moneta elettronica è riservata alle banche, a Poste Italiane ed agli Istituti di moneta elettronica. La moneta elettronica è il debito digitalizzato (o una passività finanziaria digitalizzata) di un soggetto abilitato alla sua emissione ed alle prestazioni di servizi di pagamento attraverso gli strumenti di pagamento dotati di dispositivo elettronico che consente la fruizione del servizio. La posizione di disponibilità monetaria memorizzata non può essere di entità superiore alla somma previamente “caricata” e l’emittente è tenuto a rimborsare, su richiesta, la moneta in ogni momento e al valore nominale. La moneta elettronica è diversa da un deposito bancario: il credito digitalizzato non può fruttare interessi ed è vincolato all’uso dei servizi di pagamento. Pag. 30 a 74 Capitolo quarto: La funzione di trasmissione della politica monetaria. 1. La politica monetaria. L’attività di erogazione del credito e di produzione di moneta “bancaria” svolte dalle banche concorre alla determinazione del volume complessivo dei finanziamenti all’economia e delle quantità totale dei mezzi di pagamento. Tutto ciò attribuisce alle banche un ruolo chiave nel meccanismo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria al settore reale dell’economia. Esse, proprio per la natura dell’attività svolta, si interpongono tra l’azione della banca centrale e le decisioni di spesa degli agenti economici, influenzando i volumi e le condizioni (tassi d’interesse) del credito e della moneta. Le banche fungono quindi da trait d’union tra l’azione della politica monetaria e le decisioni di spesa dell’economia. Più in generale, la funzione di cinghia di trasmissione degli impulsi di politica monetaria è attribuita al sistema finanziario nel suo complesso e alle sue componenti: mercati, intermediari, strumenti finanziari e meccanismi operativi. Con il termine “politica monetaria” ci si riferisce all’insieme di azioni intraprese dalla banca centrale, o più in generale dalle autorità monetaria, volte a modificare e a orientare la moneta, il credito e la finanza. La funzione di trasmissione della politica monetaria consiste nella capacità propria del sistema finanziario, in particolare del sistema bancario (infatti è una funzione che spetta alle banche), che trasformano gli impulsi di politica monetaria (decisa dalla banca centrale) in modifiche nei comportamenti degli intermediari finanziari (ad es. la BC aumenta i tassi e di conseguenza gli intermediari aumenteranno a cascata i tassi di interesse di mercato) tali da generare modifiche nei comportamenti dei consumatori, delle imprese, e in generale degli investitori finali (che, nell’esempio, prenderanno meno risorse a prestito perché costano di più). Questo modifica l’offerta di moneta in circolazione, che a sua volta influisce sul tasso di inflazione. Questo canale di trasmissione avviene tramite la funzione creditizia e tramite la funzione di produzione di moneta bancaria, cioè tramite i prestiti (finanziamenti) e i depositi (mezzi di pagamento). 2. La banca centrale. La banca centrale è l’istituzione cui sono affidate funzioni di controllo e di regolazione della creazione di moneta e di attuazione della politica monetaria. In alcuni paesi, svolge anche compiti di regolamentazione e di vigilanza sul sistema bancario e sui singoli intermediari. La banca centrale è il risultato dell’evoluzione degli istituti di emissione, dai quali ha ereditato l’originaria attività di emissione di banconote. Gode dello status di autorità indipendente e si distingue dalle altre banche (banche commerciali) in quanto non intrattiene rapporti con soggetti privati, ma solo con le banche e con il Tesoro. Le sue passività costituiscono la moneta legale, mentre le banche commerciali (con funzione monetaria) presentano al passivo la moneta bancaria. La trasformazione in banca centrale degli istituti di emissione si realizza in seguito all’affermazione di una disciplina pubblica dell’attività di emissione delle banconote e all’ampliamento della funzione originaria. Tipicamente, nell’attività della banca centrale rientrano diverse funzioni:  L’originaria attività di emissione di moneta legale (base monetaria);  L’esercizio della politica monetaria;  L’assunzione del ruolo di autorità preposta alla regolamentazione e al controllo del sistema bancario (autorità di vigilanza);  Lo svolgimento di funzioni di controparte privilegiata dello Stato, specie nel sostegno della politica di finanziamento e di gestione dei pagamenti (banca del Tesoro);  E funzione di controparte del sistema bancario, nella veste di prestatore di ultima istanza con operazioni di rifinanziamento (banca delle banche). Attualmente, nei paesi a più elevata industrializzazione, alla banca centrale sono riconosciuti lo status e le prerogative di autorità indipendente, cui spetta il compito d perseguire la stabilità del potere di acquisto della moneta e di stabilità del sistema finanziario. In campo monetario, l’attribuzione di una responsabilità specifica in materia di stabilità dei prezzi è accompagnata da adeguati livelli di indipendenza decisionale riguardo alla scelta e all’utilizzo degli strumenti di politica monetaria; nonché dal riconoscimento della necessaria autonomia delle autorità di Governo e, in particolare, dal tesoro dello Stato. Tale autonomia, nell’UE, a differenza del passato, si concreta attualmente nel divieto di finanziamento dei disavanzi della pubblica amministrazione mediante meccanismi automatici. Per i paesi aderenti all’Unione Europea, l’indipendenza dell’autorità monetaria è richiesta dal Trattato di Maastricht come condizione pregiudiziale all’adozione della moneta unica. 3. Obiettivi e strumenti di politica monetaria. Gli obiettivi finali della politica monetaria coincidono con quelli propri della politica economica, di cui essa è una delle componenti più importanti, insieme alle politiche dei redditi, di bilancio, fiscale, industriale e dei cambi. Tali obiettivi hanno natura generale in quanto riguardano l’economia nel suo complesso: sviluppo e la crescita del reddito, occupazione, equilibrio dei conti con l’estero e stabilità dei prezzi. Gli obiettivi finali possono risultare tra loro complementari; talora però il raggiungimento di uno esclude quello di altri obiettivi. Nel tempo, ed in relazione al contesto economico, essi assumono quindi priorità diverse. L’azione della politica monetaria non è in grado di agire direttamente sugli obiettivi finali, ma solo indirettamente attraverso interventi attraverso strumenti/variabili di natura monetaria e finanziaria. La sequenza logica della politica monetaria si articola quindi per stadi, sintetizzabili nel seguente schema <<a cascata>> (tabella 1). Pag. 31 a 74 Strumenti: si tratta di variabili controllate direttamente dalle autorità monetaria e manovrabili con tempestività. Si dividono in due tipologie: strumenti di natura amministrativa e di natura negoziale. Gli strumenti di natura amministrativa sono definiti strumenti di controllo diretto, volti a limitare le scelte di portafoglio degli operatori, al fine di raggiungere gli obiettivi intermedi. Tra essi si ricordano in particolare nel nostro paese: il massimale sugli impieghi bancari (limiti alla crescita dei prestiti), il vincolo di portafoglio (obblighi all’investimento in determinate categoria di titoli). le restrizioni ai movimenti di capitale e le autorizzazioni all’emissione di titoli. Gli strumenti di natura negoziale sono stati introdotti, anche in Italia, in sostituzione di quelli amministrativi dalla seconda metà degli anni ’80. Sono definiti anche strumenti di controllo indiretto, in quanto mirano a condizionare le scelte di portafoglio degli operatori influenzando i tassi di interesse (prezzi) e/o la quantità di base monetaria. Tra questi i principali sono i tassi ufficiali, le riserve obbligatorie, le operazioni di mercato aperto. Queste ultime consistono in interventi quotidiani: operazioni di vendita di titoli o di valuta da parte della banca centrale nei confronti delle banche del sistema riducono la liquidità con assorbimento di base monetaria ed esercitano pressioni al rialzo dei tassi d’interesse, mentre operazioni di acquisto di titoli o di valuta aumentano la liquidità, con creazione di base monetaria, e hanno l’effetto opposto di pressione al ribasso dei tassi. Le riserve di liquidità delle banche (riserve bancarie) sono le prime a registrare gli effetti delle operazioni di mercato. Le reazioni delle banche determinano le modalità con cui vengono trasmessi gli impulsi della politica monetaria e dunque come viene svolta questa funzione dal sistema finanziario. Obiettivi operativi: sono direttamente influenzati dagli strumenti di politica monetaria e sono costituiti da variabili che la banca centrale può osservare in via più diretta e tempestiva degli obiettivi intermedi, ai quali sono peraltro collegati da strette relazioni causali. In questo modo, le autorità monetarie sono in grado di verificare nel breve periodo l’azione degli strumenti adottati e correggere eventuali effetti non desiderati. Si tratta dei tassi interbancari, e della base monetaria delle banche, vale a dire le passività della banca centrale detenute dalle banche, le cosiddette riserve bancarie (libere e obbligatorie). Obiettivi intermedi: queste variabili sono influenzate dagli strumenti di politica monetaria e, a loro volta, sono in grado di influenzare, in modo relativamente stabile e sistematico, gli obiettivi finali. Si tratta di variabili finanziarie costituite da:  Aggregati monetari e creditizi tra i quali la quantità di moneta, il credito bancario, il credito totale interno e le attività finanziarie complessive;  Tassi di interesse, con riferimento a livello e struttura per scadenza. 5. L’assetto operativo della Politica Monetaria Unica. La Politica Monetaria Unica, PMU, dall’inizio del 1999 riguarda i paesi dell’Unione Europea che hanno aderito all’Unione Monetaria Europea. 5.1. L’obiettivo della stabilità dei prezzi. In accordo con il Trattato di Maastricht, il principale obiettivo della PMU è la stabilità dei prezzi nei paesi dell’Unione; obiettivo secondario è quello di sostenere le politiche economiche generali dell’Unione Europea, a patto che non pregiudichi l’obiettivo principale, agendo in accordo con i princìpi di un’economia di mercato aperto. La Politica Monetaria Unica si compone di tre elementi principali: una definizione quantitativa della stabilità dei prezzi e i “due pilastri”, su cui essa poggia per conseguire il proprio obiettivo. Con riferimento al primo punto, il Consiglio direttivo della BCE nel 1998 ha precisato che <<per stabilità dei prezzi si intende un aumento sui dodici mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) per l’area dell’euro inferiore al 2%. Essa deve essere mantenuta in un orizzonte di medio termine>>. In seguito, nel 2003, è stata precisata l’intenzione di mantenere l’inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio periodo. A seguire, i due pilastri sono: 1) Analisi economica, che si concentra sulla valutazione di ampio respiro degli andamenti economici e finanziari correnti e dei rischi a essi collegati nel breve e medio termine per la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro; 2) Analisi monetaria, che assegna un ruolo di primo piano alla moneta, con l’annuncio di un valore di riferimento quantitativo per il tasso di crescita di un aggregato monetario ampio ritenuto compatibile con la stabilità dei prezzi nel medio periodo. Pag. 32 a 74 Il meccanismo di trasmissione dei tassi di interesse ai prezzi si basa sul monopolio che la banca centrale, nell’ambito dei compiti di coordinamento operativo e strategico dell’Eurosistema, ha nella creazione di base monetaria sotto forma di banconote e riserve bancarie (riquadro 3). In virtù di tale monopolio la BCE influenza le condizioni di mercato monetario e dei tassi di interesse a breve termine. Riquadro 3. Base monetaria: creazione e utilizzo. La base monetaria è costituta dalla somma del circolante, delle riserve obbligatorie che le banche devono detenere presso la banca centrale e delle “riserve in eccesso”, sempre detenute presso la banca centrale, chiamate anche riserve libere. A queste si aggiunge il Conto disponibilità del Tesoro, da questo detenuto presso la banca centrale. Tali voci sono anche definite fattori di assorbimento della base monetaria e costituiscono passività nel bilancio della banca centrale. Nel caso dell’UME, si fa riferimento al bilancio dell’Eurosistema che, in tale conteso, svolge il ruolo e le funzioni di banca centrale. Fattori di creazione della base monetaria, che costituiscono attività nel bilancio della banca centrale, sono tutte le operazioni di rifinanziamento che la banca centrale pone in essere nei confronti delle banche; per quanto riguarda l’Eurosistema, si tratta delle seguenti operazioni:  Operazioni di rifinanziamento principale;  Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine;  Operazioni di rifinanziamento marginale;  Altre operazioni di liquidità;  Depositi overnight presso l’Eurosistema;  Altre operazioni. Un ulteriore fattore di creazione è dato dalla variazione positiva delle riserve auree e valutarie e dall’incremento del conto disponibilità detenuto dal Tesoro. 5.2. Strumenti e procedure. Gli strumenti utilizzati dalla PMU sono di due tipologie: le operazioni di mercato aperto e le operazioni attivabili su iniziativa delle controparti (tabella 2). È inoltre imposto agli enti creditizi di detenere riserve obbligatorie su conti aperti presso le banche centrali nazionali dell’area dell’euro. Operazioni di mercato aperto. Nell’ambito della politica monetaria condotto dall’Eurosistema, le “operazioni di mercato aperto/open market operations” svolgono un ruolo fondamentale, ai fini del controllo dei tassi di interesse, della determinazione delle condizioni di liquidità sul mercato e dell’indicazione dell’orientamento della politica monetaria medesima. Tali operazioni sono svolte su iniziativa della BCE; come già detto, le operazioni sono attuate nei singoli paesi dalle rispettive BCN. Le operazioni di mercato aperto sono attuate tramite un set di diversi tipi di strumenti, il più importante dei quali è rappresentato dalle operazioni temporanee, cioè contratti di vendita/acquisto a pronti con patto di riacquisto/vendita a termine di titoli o prestiti garantiti. Nello specifico, un’operazione temporanea di finanziamento, cioè di acquisto a pronti di titoli da parte dell’Eurosistema, crea base monetaria, poiché la banca centrale paga i titoli accreditando i conti che le banche detengono presso la medesima. Nel momento in cui le banche riacquistano i titoli, i loro conti sono addebitati e quindi viene riassorbita base monetaria. Il mancato rinnovo delle operazioni in scadenza implica quindi una riduzione della liquidità del sistema; di contro, un rinnovo superiore al quantitativo in scadenza implica un aumento della liquidità. Gli altri strumenti utilizzati sono le operazioni definitive, l’emissione di certificati di debito, gli swap in valuta e la raccolta di depositi con durata prestabilita. Per quanto riguarda le finalità, la regolarità e le procedure, le operazioni di mercato aperto dell’Eurosistema possono suddividersi in quattro categorie: Pag. 35 a 74 1 Tassi ufficiali. Con l’obiettivo, in una prima fase, di ridurre l’impatto della crisi di liquidità delle banche e, in un secondo tempo, di stimolare la crescita economica e ricondurre il tasso di inflazione verso il 2%, dal 2008 i tassi ufficiali sono stati ridotti a più riprese, sino a livelli prossimi allo zero poi addirittura negativi. 2 Operazioni di rifinanziamento aggiuntive a più lungo termine. Per fronteggiare i periodi di tensione più acuti nei mercati finanziari, a partire dal 2008, la BCE ha effettuato numerosi interventi volti a immettere liquidità per le banche in misura straordinaria. Più nel dettaglio, sono state introdotte operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, di durata inizialmente di sei mesi, poi di un anno, infine di tre anni. Tali operazioni sono di mercato aperto e si sono aggiunte a quelle regolari a una settimana e a tre mesi. Nel 2014 sono state variate operazioni a più lungo termine, poi riproposte nel 2015, con l’obiettivo di rifinanziare le banche dell’area dell’euro a tassi estremamente bassi, così da aumentare la disponibilità di credito all’economia a condizioni particolarmente convenienti. A partire dal marzo 2020 per fronteggiare la situazione di crisi innescata dalla pandemia Covid-19 sono state introdotte una serie di operazioni a tassi vantaggiosi condotte con frequenza settimanale con aggiudicazione illimitata. Tali operazioni sono state mirate a fornire sostegno immediate della liquidità per le banche e a salvaguardare il funzionamento dei mercati monetari. 3 Attività stanziabili. La gamma delle attività stanziabili che le banche devono presentare quali garanzie per avere accesso al rifinanziamento della BCE, è stata progressivamente ampliata e di conseguenza la BCE ha accettato attività di qualità meno elevata anche per attenuare gli effetti pro-ciclici di eventuali riduzioni del merito di credito degli emittenti e per consentire alle controparti l’accesso alle operazioni di rifinanziamento dell’Eurosistema. Inoltre, sono state aumentante le controparti ammesse al rifinanziamento. 4 La forward guidance. Dal luglio 2013 la BCE ha introdotto un cambiamento sostanziale nella sua strategia di comunicazione: la cosiddetta forward guidance. Ha deciso infatti di fornire indicazioni prospettiche sul percorso futuro della politica dei tassi d’interesse, con riguardo non solo alle modalità con cui valuta le condizioni economiche correnti e i rischi per la stabilità dei prezzi nel medio periodo, ma anche alle implicazioni di tale valutazione per il suo orientamento futuro in materia di politica monetaria. 5 Gli acquisti di titoli sul mercato secondario e il Quantitative Easing (QE). Queste operazioni sono riconducibili a tre programmi specifici: Securities Market Program (SMP) del 2010; Outright Monetary Transactions (OMT) del 2012 e Quantitative Easing (QE) del 2015. a) Il SMP è stato introdotto nel maggio 2010: si trattava di un programma di acquisti sul mercato secondario di titoli di Stato e privati, con l’obiettivo di ridurre le tensioni sui mercati finanziari. In quanto effettuati sul mercato secondario, tali acquisti non costituiscono finanziamento dei disavanzi delle Pubbliche Amministrazioni che è vietato nell’area dell’euro. Le operazioni del SMP sono state comunque sterilizzate con specifiche operazioni volte a riassorbire la liquidità e non hanno creato ulteriore base monetaria. Il programma è terminato nel 2012, in quanto le finalità che si prefiggeva sono da quella data assegnate alle Outright Monetary Transactions. b) Le OMT sono operazioni meramente annunciate e mai poste in essere. Nel 2012 il presidente della BCE Mario Draghi ha annunciato l’intenzione di effettuare operazioni definitive di acquisto titoli sul mercato secondario per iniettare liquidità al mercato. L’obiettivo annunciato era quello di garantire un’appropriata trasmissione della politica monetaria e preservare l’unicità della politica monetaria della BCE. Il solo annuncio del Presidente che la BCE era pronta ad utilizzare qualsiasi mezzo, <<whatever it takes>>, per difendere l’area dell’euro da attacchi speculativi ha consentito di far rientrare la fase più acuta della crisi del debito sovrano. c) Nei primi anni del 2015, in presenza di una persistente situazione deflazionistica, a fronte della quale già si era proceduto a ripetute riduzioni dei tassi ufficiali, ormai giunti in territorio negativo, il Consiglio della BCE ha deciso di ampliare la dimensione del programma di acquisto sul mercato secondario di titoli dando vita al cosiddetto Quantitative Easing. Nel programma sono stati dapprima inclusi i titoli pubblici, emessi dai paesi membri dell’area dell’euro; in un secondo tempo, sono state anche comprese le obbligazioni corporate investment grade emesse da società non bancarie situate nell’area dell’euro, stimolando indirettamente il ricorso dele imprese al mercato dei capitali. 6 Procedure per l’erogazione di liquidità di emergenza, emergency liquidity assistance (ELA). Le operazioni ELA possono essere attivate dalle banche centrali nazionali dell’Eurosistema, ma sotto il controllo e l’approvazione della BCE. Si sostituiscono alle operazioni di rifinanziamento tipiche dell’azione di politica monetaria, per erogare liquidità, appunto di emergenza, a banche solvibili, ma in temporanea crisi di liquidità. Pag. 36 a 74 Capitolo settimo: La regolamentazione e la vigilanza. 1. Sistema finanziario: le ragioni della regolamentazione e dei controlli di vigilanza. La regolamentazione del sistema finanziario consta di un insieme di norme imposte agli operatori in via legislativa e/o in via amministrativa da parte degli organi di vigilanza. Questo processo regolamentare è affiancato da una attività di controllo, che ha l’obiettivo di verificare che i singoli intermediari operino in modo conforme alle norme, intervenendo nei casi di inadempienza. L’insieme delle norme regolamentari dettate dagli organi di vigilanza e dei controlli da essi svolti è comunemente definito funzione di vigilanza comprendendo quindi regolamentazione e controlli di vigilanza. Come si può capire, i due ambiti, regolamentare e di controllo, sono strettamente connessi e quindi si utilizza spesso anche la dizione di funzione di regolamentazione e di vigilanza/controllo. Il settore finanziario, più di ogni altro dell’economia, è oggetto di interventi di regolamentazione e di controllo. La ragione di ciò va ricercata nella natura delle funzioni che il sistema finanziario svolge e nell’importanza che tali funzioni rivestono ai fini del funzionamento dell’economia nel suo complesso. In altre parole, regolamentazione e controlli sul sistema finanziario rispondono all’esigenza di garantire condizioni di continuità, stabilità e efficienza di tali funzioni. I rischi cui è soggetta l’attività di intermediazione, illustrati nel primo capitolo, possono determinare il venire meno di tali condizioni, sino a causare situazioni di instabilità finanziaria. Queste possono coinvolgere non solo il singolo intermediario (rischio idiosincratico), ma anche il sistema nel suo complesso (rischio sistemico), con un effetto domino che può avere gravi ripercussioni per tutta l’economia. Proprio per questo motivo, la regolamentazione mira in molti casi a limitare l’esposizione degli intermediari ai diversi rischi e a imporre presidi idonei all’assunzione, gestione e controllo dei medesimi: in primo luogo le norme sull’adeguatezza patrimoniale rispetto ai rischi assunti. 2. Gli obiettivi. Gli obiettivi della regolamentazione e della vigilanza sono da ricollegarsi alle funzioni svolte dal sistema finanziario e in particolare dagli intermediari bancari: monetari, creditizia e di trasmissione degli impulsi della politica monetaria. Tali obiettivi sono:  Tutela dei risparmiatori. I risparmiatori sono i contraenti deboli di ogni transazione finanziaria e come tali meritevoli di tutela;  Stabilità dei singoli intermediari e del sistema finanziario nel suo complesso. La stabilità – a livello microeconomico, cioè del singolo intermediario, come pure a livello macroeconomico, vale a dire del sistema finanziario nel suo complesso – costituisce un obiettivo teso sia a rafforzate la tutela dei risparmiatori, sia a evitare che la situazione di crisi anche di un singolo intermediario finanziario, definita idiosincratica, propagandosi a diversi intermediari con il cosiddetto effetto domino, possa dare origini a crisi di natura sistemica e compromettere la funzionalità del sistema finanziario stesso;  Efficienza. Tale obiettivo riguarda il buon funzionamento dei canali d’intermediazione ed è strettamente collegato al grado di concorrenza. Essa può assumere più fattispecie: allocativa e tecnico-operativa (produttiva). L’efficienza allocativa consiste nella capacità di destinare le risorse finanziarie scarse ai programmi di investimento più redditizi, a parità di rischio. L’efficienza tecnico-operativa riguarda la ricerca di minori costi operativi da parte degli intermediari e dei mercati finanziari, con l’obiettivo di ridurre il costo dell’intermediazione per i clienti.  Correttezza e trasparenza dei comportamenti degli intermediari. Questo set di obiettivi è strettamente collegato a quello della tutela dei risparmiatori, soprattutto per quanto riguarda il rischio di conflitto di interesse, che emerge per comportamenti degli intermediari in cui l’interesse dell’investitore risulta sacrificato. I conflitti di interesse possono soprattutto emergere nel caso in cui operi il modello di banca universale. Adottando tale modello, le banche possono svolgere più attività, con interessi tra loro potenzialmente confliggenti soprattutto ai danni dei clienti- risparmiatori. È importante distinguere tra macro-vigilanza e micro-vigilanza. La prima fa riferimento alla vigilanza sull’intero sistema finanziario (vigilanza sistematica), per evitare le crisi sistemiche. Questa si divide in tre categorie secondo le finalità: stabilità del sistema finanziario; efficienza produttiva; competitività. La seconda, invece, fa riferimento alla vigilanza sul singolo intermediario, con l’unica finalità di garantire la sana e prudente gestione dell’attività di intermediazione. 3. Gli strumenti. Il set di strumenti a disposizione delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza consta di due tipologie: strumenti/controlli ex-ante, volti a prevenire l’insorgere di casi di crisi; strumenti/controlli ex-post, indirizzati a limiate l’effetto contagio di crisi di singoli intermediari e a risolvere con interventi ad hoc specifici casi di crisi aziendali, cercando in particolare di ridurre l’impatto sui clienti-depositanti e il contagio sistemico. Gli interventi ex-ante. La funzione di vigilanza, nell’ambito degli interventi ex-ante, utilizza strumenti e controlli di tre tipi: regolamentari, informativi e ispettivi, da cui discendono diverse tipologie di azioni di vigilanza. 1) La vigilanza regolamentare interviene, con norme e regolamenti, su aspetti di struttura e operatività degli intermediari, con il fine di limitare e monitorarne Pag. 37 a 74 l’assunzione dei rischi. Gli strumenti/controlli che rientrano in questa area della vigilanza sono di tre tipologie: strutturali, prudenziali e di correttezza e trasparenza. Gli strumenti/controlli strutturali sono utilizzati per definire o modificare la morfologia del comparto finanziario interessato, in termini di condizioni di entrata e uscita dal mercato, numero e dimensioni delle imprese operanti: mirano quindi a influenzare in modo diretto il grado di concorrenza. Fra questi strumenti rientrano i controlli all’entrata, i vincoli all’operatività e le restrizioni a operazioni di tipo straordinario. Questi strumenti sono utilizzati per garantire le finalità di efficienza tecnico-operativa e competitività. Gli strumenti/controlli prudenziali, che costituiscono la regolamentazione prudenziale, sono utilizzati per monitorare i rischi assunti dagli intermediari e l’imitarne l’esposizione, in una logica di sana e prudente gestione mirata a rafforzarne la stabilità. Tali strumenti, in particolare rivolti alle banche, hanno l’obiettivo di garantire la liquidità e la solvibilità degli intermediari. Rientrano in questa categoria: i requisiti minimi patrimoniali e i requisiti sulla liquidità. Questi strumenti sono utilizzati per garantire la finalità di stabilità. I controlli di trasparenza e correttezza sono effettuati principalmente in due ambiti. Il primo riguarda le caratteristiche dei rapporti negoziali tra la clientela e l’intermediario e la specifica delle condizioni applicate. Il secondo è relativo in modo particolare alle operazioni in titoli e alla modalità per garantire che esse siano svolte nell’interesse del cliente.  La vigilanza informativa ha l’obiettivo di monitorare costantemente l’operatività degli intermediari, soprattutto per quanto riguarda i rischi che essi assumono. Agli intermediari è richiesto l’invio agli organi di vigilanza di flussi informativi periodici che consentono l’analisi delle diverse situazioni aziendali. Le autorità di vigilanza possono richiedere inoltre ulteriori informazioni, in relazioni a specifiche situazioni e/o approfondimenti.  La vigilanza ispettiva, infine, integra con verifiche sul campo la vigilanza informativa. Le ispezioni hanno in primo luogo natura periodica; sono inoltre effettuate ispezioni non periodiche se ne viene valutata l’esigenza. Gli interventi ex-post. Gli interventi ex-post hanno l’obiettivo di risolvere in modo ordinato i casi di crisi bancarie per scongiurare possibili effetti contagio e per limitare le ricadute in primis sui depositanti, ma più in generale sull’intera economia. I provvedimenti in questione sono definiti <<di gestione delle crisi bancarie>>. Le possibilità al riguardo sono due: la risoluzione oppure la liquidazione dell’intermediario in crisi. Con risoluzione si intende un processo di ristrutturazione che mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento), a ripristinare le condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti. In alternativa, si interviene con la liquidazione della banca: nel nostro ordinamento l’istituto applicato è la liquidazione coatta amministrativa, una procedura speciale per le banche e gli intermediari finanziari, al posto del fallimento applicabile alle imprese di diritto comune. 4. Gli organi di vigilanza. I diversi organi di vigilanza sono:  Banca d’Italia vigila per quanto riguarda la stabilità del sistema bancario e società di gestione del risparmio e imprese di investimento.  CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa vigila sul rispetto delle finalità di correttezza e trasparenza.  ANTITRUST (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, AGCM) vigila perseguendo le finalità di competitività e trasparenza. Si occupa dal 2005 anche del comparto bancario (in collaborazione con la Banca d’Italia) e per le assicurazioni sentito il parere dell’IVASS.  COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione).  IVASS (Istituto di Vigilanza Assicurativa) è presieduta dal direttore generale di Banca d’Italia. Pag. 40 a 74 I vantaggi delle innovazioni tecnologiche per le unità economiche si misurano in termini di ampliamento delle possibilità di accesso al mercato della vasta gamma di prodotti, strumenti e servizi finanziari, per soddisfare bisogni delle unità economiche, a cui si sommano i minori costi ad essi associati. Lo sviluppo tecnologico in ambito digitale ha però anche implicazioni di rilievo in termini di aumento del cyber risk e necessità di sviluppare procedure di sicurezza informativa, cybersecurity. 2. I contratti finanziari. Le operazioni finanziarie si sostanziano in contratti finanziari che sono classificabili sotto il profilo normativo, contrattuale ed economico. 2.1. Profilo normativo. Le definizioni del TUF. Sotto il profilo giuridico i termini strumenti finanziari e prodotti finanziari identificano in modo univoco specifiche categorie di contratti e di operazioni rilevanti ai fini della disciplina dell’intermediazione finanziaria e dei mercati finanziari. L’ordinamento giuridico vigente (TUF) individua tre macro- categorie: i valori mobiliari nell’ambito degli strumenti finanziari, a loro volta compresi nel più ampio genere dei prodotti finanziari. La nozione di prodotto finanziario del TUF comprende gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria; non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari. Gli strumenti finanziari sono una particolare categoria di prodotti finanziari. Nel TUF non è rintracciabile una definizione generale di strumento finanziario, ma è presente un elenco: 1. Valori mobiliari; 2. Strumenti del mercato monetario; 3. Quote di un organismo di investimento collettivo; 4. Strumenti derivati. L’elenco può essere aggiornato “al fine di tenere conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie. Il TUF precisa, inoltre, che gli strumenti di pagamento e i prodotti assicurativi non sono strumenti finanziari. Con riferimento alla nozione di valore mobiliare, il TUF comprende quelle categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali. Anche questo è un elenco aperto che può essere aggiornato e comprende: Azioni e altri titoli equivalenti; Obbligazioni e altri titoli di debito; Qualsiasi altro valore mobiliare che consenta di acquisire o di vendere i valori mobiliari di cui sopra. 2.2. Profili contrattuale. Le attività finanziarie possono essere ricondotte a quattro categorie di contratti:  Contratti d’indebitamento, conseguenti ad operazioni di credito o di prestito monetario;  Contratti di partecipazione, caratterizzati dalla piena condivisione dei risultati economici e dei rischi dell’impresa finanziata;  Contratti di assicurazione, relativi al procedimento assicurativo di trasferimento dei rischi ad istituzioni specializzate;  Contratti derivati, in quanto rappresentativi di diritti e di obblighi relativi ad altre attività finanziarie “sottostanti” da cui dipende la valorizzazione del contratto. 2.3. Profilo economico. Sotto il profilo economico-tecnico, un’operazione finanziaria incorpora flussi di pagamenti con scadenze temporali diverse e soggetti a differenti gradi di aleatorietà. Si tratta di tutte quelle componenti elementari, rilevanti sotto il profilo della valutazione economico- finanziaria, che sono rappresentate da:  Denominazione in valuta estera o in moneta nazionale;  Natura del prenditore di fondi (emittente o debitore);  Durata contrattuale dell’operazione;  Modalità di esecuzione delle prestazioni:  Negoziabilità dello strumento che ne condiziona anche il grado di liquidità;  Trattamento fiscale dei proventi. La denominazione in valuta estera o in moneta nazionale di conto delle prestazioni monetarie consente di individuare una particolare tipologia di rischio – il rischio di cambio – in quanto la variazione del tasso di cambio impatterà sui flussi di cassa e quindi sul valore dell’attività stessa. La natura del prenditore di fondi consente, in particolare nei contratti di debito, di definire il rischio di insolvenza del debitore, altrimenti denominato rischio di credito. È evidente che non tutti i prenditori sono gli stessi, ossia non tutti hanno lo stesso rating. Questo è un punteggio che indica la capacità di un ente privato o pubblico che emette un titolo di rispettare l’impegno assunto. La durata del contratto definisce l’orizzonte temporale dell’operazione finanziaria e, quindi, il periodo di impiego del capitale. la durata può essere indeterminata o Pag. 41 a 74 determinata. Nel primo caso, non indica un’assenza di una scadenza ma, semplicemente, che il prenditore di fondi non è vincolato ad una data ultima per la restituzione del capitale. La durata o scadenza di una attività finanziaria è, al contrario, determinata quando è fissato il termine ultimo per il rimborso del capitale. Ciò consente una classificazione delle operazioni finanziarie secondo termini di scadenza convenzionali (breve 12/18 mesi), a medio (fino a 5 anni), a lungo termine (oltre 5 anni). Alcune tipologie di contratti finanziari (mutui ad esempio), pur essendo prefissato il momento del rimborso, consentono ad uno dei due contraenti la facoltà di estinguere anticipatamente l'operazione. Con riferimento alle modalità di esecuzione delle prestazioni assumono importanza:  Le modalità relative all’erogazione del capitale e all’emissione dei titoli rappresentativi del contratto finanziario. Questi aspetti sono importanti perché concorrono a definire i tempi, gli importi e le modalità dell’effettiva disponibilità di fondi per i prenditori. L’acquisizione di tale disponibilità può avvenire per importi ed in termini prefissati oppure può essere lasciata alla discrezionalità del prenditore di fondi.  Il rimborso del capitale: può avvenire secondo criteri e modalità differenti; ad esempio, interamente alla scadenza ultima, secondo piani di rimborso a quote di capitale costanti, decrescenti oppure crescenti, prefissando il valore di rimborso, oppure ancorando tale importo a parametri di riferimento.  Il tipo e la natura della remunerazione: insieme alle modalità di erogazione e di rimborso, concorrono a definire tanto il rendimento quanto il costo effettivo dell’operazione. La remunerazione rappresenta la componente periodica di ricavo (o di costo) contrattualmente negoziata tra le parti e percepita dall’investitore (o sostenuta dall’emittente). La remunerazione periodica assume la forma di interesse per i contratti di debito e di dividendo per i titoli azionari. La misura della remunerazione periodica può essere fissa o variabile e, in proposito, è opportuno precisare che quando la variabilità è riferita al tasso cedolare, si identificano operazioni a tasso fisso e operazioni indicizzate. Le obbligazioni sono comunque denominate, secondo una prassi terminologica consolidata, anche titoli a reddito fisso, in contrapposizione ai valori azionari qualificati titoli a reddito variabile. Un altro elemento distintivo è rappresentato dalla negoziabilità. Le attività quotate e scambiate in mercato ufficiali presentano un grado di negoziabilità maggiore rispetto a quelle non quotate. La negoziabilità è uno dei requisiti per la liquidità dell’operazione finanziaria. L’ultimo elemento distintivo delle attività finanziarie è rappresentato dal trattamento fiscale che prevede un’aliquota del 12,5% per i titoli di Stato e 26% per tutti gli altri titoli. 3. I rischi. Con il termine rischio si indica generalmente l’eventualità che un avvenimento possa causare un danno o una perdita. In base agli effetti dell’evento rischioso Rischi puri: effetti negativi Rischi speculativi: effetti sia positivi che negativi In base alla tempistica di calcolo Rischi ex ante Rischi ex post In base alla natura del rischio Rischi sistematici (non diversificabili): nascono da situazioni generali (catastrofi naturali, innovazione tecnologica, tassi…) Rischi non sistematici (diversificabili o specifico): nascono da fenomeni relativi ai singoli debitori In base all’oggetto Singola attività finanziaria Portafoglio di attività finanziarie 3.1. Tipologie di rischio. Diverso sono le tipologie o i fattori di rischio. I contraenti di una operazione finanziaria sono esposti a rischi riconducibili:  Al comportamento della controparte;  Ai rischi derivanti da fattori ambientali, sociali e di governance (ESG);  Fattori di mercato e situazioni di carattere generale che si ricollegano a variazioni inattese di variabili di mercato;  Alle modalità e ai processi inerenti la prestazione di servizi finanziari.  Tra i rischi derivanti dall’inadempimento degli impegni contrattuali della controparte si individuano: Il rischio di insolvenza (o rischio di credito) si verifica quando innanzitutto il debitore non è in grado di onorare integralmente i propri debiti, pagando gli interessi e rimborsando il capitale. Lo stato di insolvenza di un debitore può non essere definitivo ma solo temporaneo, quando il debitore non effettua i pagamenti dovuti puntualmente, alla scadenza prefissata, pur essendo in grado di far fronte, in epoca successiva, agli impegni. L’eventualità di inadempimento del debitore si concreta nella richiesta da parte del creditore di un premio per il rischio, che è commisurato al rischio di credito. Durante la vita dell’operazione finanziaria, il merito di credito del debitore può risultare diverso da quello assegnatogli dal creditore ex ante. Un abbassamento (aumento) del merito creditizio è determinato da un aumento (abbassamento) del rischio di credito. Il rischio dell’operazione finanziaria può quindi variare perché il merito creditizio del debitore può modificarsi. Questa eventualità configura una ulteriore tipologia di rischio, detta rischio di migrazione, cioè di passaggio da una classe di rischio a un'altra. Da osservare che, Pag. 42 a 74 durante la vita dell’operazione finanziaria, il creditore originario non è di norma, in grado di adeguare il premio per il rischio alle mutate condizioni di solvibilità de debitore. I contratti di debito rappresentati da titolo obbligazionari, quindi da strumenti negoziabili sul mercato, rilevano attraverso variazioni del prezzo i cambiamenti del merito creditizio attribuito all’emittente. Una tipologia di rischio, collegata ad inadempimenti contrattuali, è il rischio di controparte inteso nella sua accezione di rischio di regolamento di una transazione finanziaria. Il regolamento (settlement) di tali operazioni di compravendita comporta sia il pagamento del prezzo che la consegna del titolo. Il rischio di regolamento presenta caratteristiche ed implicazioni diverse se la controparte risulta insolvente prima dell’esecuzione della prestazione o al momento stesso dell’esecuzione. Il rischio di credito è riconducibile anche alle condizioni generali del Paese intero, collegate al verificarsi di eventi che nel loro complesso identificano il rischio paese. Il rischio paese è riconducibile al fatto che, nel Paese estero, è presente un dato insieme di condizioni politico-sociali ed economico-finanziarie. Mutamenti del contesto ambientale possono quindi influenzare le attività economiche e il mantenimento di relazioni con un certo Paese. Il rischio paese è sempre presente, di norma, è individuato nella possibilità che la controparte commerciale o finanziaria non sia in grado di far fronte agli impegni assunti verso l’estero per il verificarsi di eventi non imputabili al soggetto stesso, ma a decisioni delle autorità di governo del paese di appartenenza, o ad eventi politici, o a shock economici e crisi finanziarie, fino a comprendere catastrofi e calamità naturali. Il rischio emittente di uno Stato si definisce rischio sovrano.  I rischi derivanti da fattori ambientali, sociali e di governance: Environmental, Social, Governance (ESG). Fattori e rischi ESG hanno assunto rilevanza crescente, nel dibattito pubblico sull’economia sostenibile. Tali fattori coinvolgono da vari punti di vista l’ambito finanziario, determinando quindi una specifica attenzione ai rischi ESG, che possono avere un impatto finanziario negativo sulla performance delle imprese e degli strumenti finanziari da esse emessi. Per poter approfondire il tema dei rischi ESG, occorre preliminarmente definire i fattori ESG, che riguardano tre dimensioni dell’economia sostenibile:  Environmental: comprende gli impatti su ambiente, territorio e salute umana, con riferimenti ad aspetti quali: risorse naturali, aria, acqua, ecc.  Social: riguarda tutte le iniziative, realizzate dalle unità economiche, che hanno un impatto sociale, ad esempio: condizioni di lavori, diritti dei lavoratori, equità di genere, ecc.  Governance; riguarda aspetti più interni alle aziende stesse e alla loro gestione e amministrazione, con riferimento all’attenzione e ai presidi posti in essere rispetto a temi che coinvolgono i diversi stakeholder, quali: anticorruzione, antiriciclaggio, cybersecurity, ecc. I fattori ESG si materializzano attraverso diversi canali di trasmissione del rischio: 1. Rischio fisico, legato ad eventi climatici avversi che possono derivare da eventi estremi o situazioni in progressivo peggioramento; 2. Rischio di transizione: fa generalmente riferimento all’incertezza legata al tempo e alla velocità del processo di aggiustamento verso un’economia sostenibile. 3. Rischio legale: riguarda le possibili perdite o danni che persone fisiche o imprese subiscono a causa di fattori ESG.  I rischi collegati alla variazione inattesa di variabili di mercato. I contraenti di una operazione finanziaria sono esposti a rischi derivanti da variazioni delle condizioni di mercato che, di norma, si manifestano in una variazione dei prezzi delle attività finanziaria: di qui, il rischio di prezzo. Il rischio è dovuto a modifiche inattese di variabili, come ad esempio i tassi di interesse. Le variazioni dei tassi di rendimento modificano il valore al quale l’attività finanziaria può essere liquidata prima della scadenza. In questo caso si parla più precisamente di rischio di interesse. Aumenti generalizzati dei tassi d’interesse si traducono in una riduzione dei prezzi delle attività finanziarie. Da osservare che anche qualora il titolo non posse oggetto di cessione, l’investitore sostiene un costo opportunità, in quanto il rendimento del suo impiego risulta comunque inferiore a quello corrente, offerto dal mercato, dopo la variazione dei tassi. Altro rischio collegato alla variazione dei tassi di interesse è il rischio di reinvestimento, a cui è soggetto qualsiasi contratto di debito che prevede il pagamento periodico di interessi. Al momento in cui avviene l’incasso degli interessi, l’operatore non è in grado di reinvestire la somma riscossa alle medesime condizioni di rendimento esistenti quando l’operazione ha avuto inizio. Il reimpiego può avvenire ad un tasso superiore o inferiore, circostanza che modifica il rendimento effettivo dell’operazione. Sono soggetti a rischio di cambio tutti i contratti finanziari che prevedono prestazioni denominate in valuta diversa da quella normalmente utilizzata da almeno una delle controparti. Tra i rischi non strettamente riconducibili all’andamento di fattori di mercato ma, comunque, collegati a condizioni di mercato, possono essere ricompresi il rischio di inflazione e il rischio di liquidità. Il rischio di inflazione influisce sul potere d’acquisto della moneta di denominazione del contratto finanziario. Variazioni inattese influenzano il rendimento reale del contratto finanziario negoziato. Il rischio di liquidità si verifica quando eventi inattesi riducono di fatto il grado di liquidabilità dell’attività finanziaria per l’investitore. In particolare, in caso di necessità di smobilizzo anticipato dell’investimento, il mercato specifico può evidenziare insufficienti capacità di assorbimento e, di conseguenza, un allungamento dei tempi di realizzo. Pag. 45 a 74 2 Il compenso per l’inflazione; 3 Il compenso per la durata della rinuncia al potere d’acquisto (premio per la liquidità); 4 Il premio al rischio. È opportuno distinguere quindi tra tasso di rendimento nominale e tasso di rendimento reale. Essendo calcolato sulla base del valore monetario (nominale) del capitale investito, il tasso di rendimento come fin qui valutato, può essere definito come tasso di rendimento nominale. Dal punto di vista dell’investitore il valore del tasso di rendimento incorporerà le esigenze di recuperare l’eventuale attesa riduzione del potere di acquisto del capitale investito collegata alla presenza di una variazione dei prezzi positiva. Il tasso di rendimento reale, misurato ex ante (aggiustato per le variazioni attese dei prezzi), può essere espresso come: 𝑟 = 𝑟 − 𝑝 1 + 𝑝 Se il tasso di inflazione è previsto in aumento in misura superiore al tasso rispetto al tasso d’interesse nominale, il tasso di rendimento reale dell’investimento finanziario è negativo. Ciò sta a significare che vi è un trasferimento di ricchezza (reale) dal creditore al debitore. Viceversa, se i prezzi dei beni diminuiscono, il tasso reale risulta superiore al tasso nominale. Ciò determina un trasferimento di ricchezza dal debitore al creditore. Ovviamente, il tasso di rendimento reale può essere misurato sia ex ante, in riferimento all’inflazione o deflazione attesa, sia ex post, sulla base dell’inflazione p deflazione effettivamente verificatasi durante la vita dell’investimento finanziario. Occorre osservare che anche i tassi nominale possono essere negativi. Il fenomeno dei tassi d’interesse nominali negativi può essere determinato da situazioni e condizioni economiche di diminuzione o di temuta diminuzione dei prezzi dei beni (deflazione), generalmente contrastate da interventi di politica monetaria particolarmente espansivi e volti a contenere il costo del denaro. 3.2. Tasso cedolare e tasso di rendimento ex ante ed ex post. Per gli strumenti di debito, il tasso cedolare, anche detto coupon rate, è il rapporto, espresso in termini percentuali, fra l’interesse annuo ed il valore nominale. Il tasso di rendimento può essere determinato come tasso atteso (ex ante) sia come tasso realizzato (ex post) a seconda che colui che compie la valutazione si ponga al momento in cui investe, oppure se l’operatore valuta a posteriori l’investimento, considerando gli incassi e gli esborsi di moneta effettuati per valutare l’effettiva economicità dell’operazione realizzata. Ancora in ottica ex ante, il tasso di rendimento può assumere la configurazione di tasso di rendimento effettivo a scadenza (yield to maturity o TRES) che rappresenta quel tasso di rendimento che gli operatori maturerebbero acquistando oggi al prezzo di mercato, incassando tutti i flussi intermedi, reinvestendoli allo stesso tasso di rendimento effettivo e dismettendo l’investimento alla sua scadenza naturale. È detto anche TIR cioè tasso che eguaglia il prezzo di acquisto al valore attuale dei flussi di cassa attesi sull’investimento. Attraverso l’attualizzazione dei proventi-flussi di cassa futuri, è possibile attribuire un valore corrente all’attività finanziaria; in altre parole, il prezzo di una attività finanziaria non è altro che il valore attuale dei flussi di cassa futuri scontato al tasso di rendimento effettivo a scadenza. Il rendimento effettivo a scadenza può essere anche interpretato come un tasso di rendimento richiesto (trri), cioè un rendimento ex ante che l’investitore richiede per investire in uno strumento finanziario con certe caratteristiche di scadenza e di rischio. In altre parole, quel tasso di equilibrio che consente di calcolare il valore intrinseco o fari- value di un titolo. È quel tasso che definisce il valore attuale dei flussi futuri di cassa o valore intrinseco o fair value cioè il prezzo che si è disposti a pagare per quel titolo [Esempio> flussi di cassa = 7; periodo 5 anni, tasso 5%. Calcolare il fair value. Il 5% è detto anche costo opportunità]. Nonostante le decisioni di investimento vengano assunte sulla base delle aspettative di rendimento, appare opportuno sottolineare l’importanza della valutazione effettuata al termine dell’orizzonte temporale di investimento che svolge una funzione di controllo volta a verificare i risultati effettivamente conseguiti. Il tasso di rendimento realizzato (effettivo ex post) indica il risultato effettivamente conseguito sull’investimento. Costituisce una misura storica di rendimento e corrisponde al tasso di attualizzazione che eguaglia il prezzo d’acquisto al valore attuale dei flussi di cassa netti effettivamente scontati. Riepilogo: Tasso cedolare (coupon rate) – i Valore della cedola espresso in % del valore nominale, per gli strumenti di debito Tasso di rendimento effettivo a scadenza (yield to maturity) – tres o tir Tasso di rendimento calcolato ex ante che nell’equazione del valore attuale eguaglia il valore attuale dei flussi di cassa stimati con il prezzo di mercato. Tasso di rendimento realizzato – trre Tasso di rendimento calcolato ex post maturato effettivamente sull’investimento. Pag. 46 a 74 3.3. Tasso di rendimento e rischio. Il tasso di rendimento può essere considerato come il prezzo a cui viene scambiata moneta tra gli operatori nel tempo. Un prezzo che deve tenere in considerazione il rischio che la restituzione del capitale prestato unitamente alla sua remunerazione possano non realizzarsi in tutto o in parte per effetto di una situazione di insolenza del debitore. A fronte di operazioni rischiose è lecito attendersi la richiesta di un compenso a titolo di tasso di rendimento che, oltre all’inflazione attesa, sia comprensivo anche di un premio per il rischio, quale remunerazione per l’incertezza dei flussi di cassa futuri attesi. Il tasso di rendimento associato ad investimenti rischiosi può essere analizzato valutando le principali determinanti. Anzitutto, per differire il consumo corrente, il rendimento (r) deve consentire una adeguata remunerazione per la preferenza intertemporale del consumo – misurata dal tasso di rendimento reale sulle attività prive di rischio (𝑟 ) – il tasso di inflazione atteso (p) e il rischio associato all’investimento (𝜎). Analiticamente 𝑟 = 𝑟 + 𝑝 + 𝜎 Con r = tasso di rendimento nominale; 𝑟 = tasso di rendimento reale privo di rischio; p = tasso di inflazione attesa; 𝜎 = premio per il rischio. L’espressione in termini nominali risulta: 𝑟 = 𝑟 + 𝜎 Dove r = tasso di rendimento nominale rischioso; 𝑟 = tasso di rendimento nominale privo di rischio (risk-free rate); 𝜎 = premio per il rischio. Pag. 47 a 74 Capitolo Terzo: Le scelte finanziarie delle imprese. 1. I bisogni finanziari delle imprese. Le funzioni economiche svolte dagli intermediari finanziari trovano espressione in diverse categorie di servizi offerti alle imprese ed alle famiglie: quelli di finanziamento, i servizi di pagamento ed i servizi assicurativi. Ciascuna di queste aree di servizi si compone di più prodotti finanziari che rispondono a differenti esigenze/bisogni espressi dalla clientela. La domanda di servizi finanziari da parte delle imprese è originata da bisogni di finanziamento e di investimento, di pagamento e di incasso e di gestione dei rischi puri e speculativi. A ciascuna macroarea di servizi finanziari è riconducibile una pluralità di prodotti e servizi bancari e finanziari, la cui gamma è andata aumentando in misura notevole negli ultimi anni, in relazione ai processi di innovazione finanziaria e di diversificazione dell’attività delle banche e degli intermediari finanziari, come risposta all’allargamento dei bisogni della clientela imprese e della sua maggiore sofisticazione finanziaria. 2. Il fabbisogno finanziario delle imprese. Le esigenze di finanziamento sono individuate sulla base del fabbisogno finanziario, determinato dalla diversa dinamica temporale dei flussi monetari in entrata e in uscita. I progetti di investimento realizzati richiedono infatti uscite di cassa anticipate rispetto ai flussi monetari di rientro delle risorse impiegate. Lo svolgimento della gestione comporta in ogni momento l’esistenza di impieghi di fondi in attesa di essere successivamente realizzati in moneta. Si tratta quindi di investimenti in essere destinati a trasformarsi in flussi di cassa e a riprendere la forma di attività liquide. Questi impieghi di fondi sono rilevati contabilmente nel lato sinistro dello Stato Patrimoniale e costituiscono il capitale investito dall’impresa. In quanto espressione degli investimenti in essere in attesa di realizzo, l’entità del capitale investito definisce anche l’ammontare del fabbisogno finanziario totale, misurato appunto dall’attivo totale di bilancio. Per contro, il lato destro dello stato patrimoniale, rappresentato dal debito e dal patrimonio netto indica l’entità e la composizione delle fonti di copertura del fabbisogno finanziario totale. L’entità del fabbisogno finanziario totale si modifica nel tempo al variare dell’ammontare del capitale investito. Pertanto, per dato intervallo di tempo è possibile misurare il fabbisogno finanziario addizionale sulla base della variazione del capitale investito. L’entità dell’incremento dell’attivo di bilancio se misurata ex-post consente di individuare nelle variazioni dell’indebitamento e del patrimonio netto le fonti di copertura attivate; se rilevate ex-ante indica l’ammontare dei nuovi finanziamenti da attivare per far fronte alle esigenze dettate dai maggiori investimenti. Riguardo alla copertura del fabbisogno finanziario addizionale, è opportuno distinguere tra fabbisogno addizionale e fabbisogno esterno. Quest’ultimo indica la parte di fabbisogno addizionale da coprire ricorrendo a finanziatori esterni attraverso finanziamenti a titolo di debito e di capitale. Il fabbisogno esterno è di entità diversa da quella del fabbisogno finanziario addizionale complessivo (variazione del capitale investito). La differenza è data dall’autofinanziamento, cioè da risorse finanziare che la gestione aziendale è in grado di produrre autonomamente. L’autofinanziamento è una fonte interna di finanziamento per l’impresa ed è misurato dall’eccedenza delle risorse generate dalla gestione corrente rispetto a quelle impiegate dalla medesima gestione. Il fabbisogno finanziario esterno è ovviamente nullo se l’autofinanziamento risulta pari al fabbisogno finanziario addizionale. L’autofinanziamento esprime il flusso di risorse addizionali che l’impresa produce e che trovano immediato impiego a copertura del fabbisogno finanziario. Sotto il profilo economico, l’autofinanziamento netto è costituito, ad esempio, dagli utili di esercizio non distribuiti ai soci e, quindi, reinvestiti nell’attività dell’impresa. Sotto il profilo strettamente finanziario il margine operativo lordo (MOL o EBITDA) assume rilievo come grandezza che contribuisce alla formazione dell’autofinanziamento lordo. Tale grandezza esprime il risultato economico derivante dalla contrapposizione tra i ricavi ed i costi inerenti alla sola gestione operativa. È “lordo” in quanto misurato prima degli ammortamenti ed è una misura del flusso di cassa generato dalla gestione operativa corrente. Inteso in questo senso, il margine operativo lordo è un indicatore assai significativo della capacità di una impresa di produrre risorse monetarie superiori a quelle impiegate dalla gestione corrente. Inoltre, essendo determinato escludendo i costi dell’indebitamento (interessi passivi), il MOL è un indicatore della copertura di tali costi e, quindi, particolarmente utile per valutare la capacità dell’impresa di far fronte al pagamento degli interessi dovuti ai creditori. 2.1. Durata del fabbisogno finanziario. Gli investimenti realizzati dall’impresa comprendono attività a lungo termine (capitale fisso) e attività a breve termine (capitale circolante). Le attività reali e finanziarie iscritte nello stato patrimoniale (tabella 3) sono classificate in ragione della loro diversa attitudine a trasformarsi in cassa (grado di liquidità). Le attività a lungo termine derivano da operazioni di gestione non ricorrenti che danno luogo ad impieghi pluriennali in fattori produttivi il cui utilizzo si estende su più cicli di produzione, configurando investimenti destinati a trasformarsi in moneta nel corso di più periodi amministrativi. Pag. 50 a 74 a 1 dell’indice TA/PN sta a significare che gli impieghi sono finanziati dal patrimonio netto. Un valore pari a 2 dell’indice sta a significare che gli impieghi sono finanziati al 50% del patrimonio netto e per l’altra metà da debiti. 𝐺𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 (𝑙𝑒𝑣𝑒𝑟𝑎𝑔𝑒) = 𝑇𝐴 𝑃𝑁 2.3.4. Indici di liquidità. Gli indici di liquidità consentono di valutare la presenza di equilibrio finanziario. Tra i principali si menzionano i seguenti. Rapporto corrente Si determina rapportando le attività a breve alle passività a breve (E=esigibilità=passività correnti): 𝑅𝑎𝑝𝑝𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 = 𝐴𝐶 𝐸 Si ritiene che un rapporto corrente almeno uguale ad 1 indichi, di norma, una appropriata relazione tra la scadenza degli impieghi e delle fonti e, dunque, una sostanziale capacità di fare fronte ai debiti in scadenza. Acid test o Prova acida Questo indice rapporta gli impieghi a breve, escluso il magazzino, ai debiti con scadenza entro l’anno: 𝐴𝑐𝑖𝑑 𝑡𝑒𝑠𝑡 = 𝐴𝐶 − 𝑀𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑖𝑛𝑜 𝐸 Si tratta di un indicatore dell’equilibrio finanziario di breve periodo, poiché esclude dagli investimenti a breve termine il magazzino, vale a dire la componente meno liquida. Un rapporto vicino all’unità dovrebbe indicare che l’impresa è in grado di rimborsare i debiti in scadenza, senza fare eccessivamente sulla possibilità di monetizzare il magazzino. Con riferimento agli indicatori di liquidità vale un’ultima osservazione; gli indici di liquidità forniscono informazioni sulle condizioni di equilibrio finanziario di breve periodo dell’azienda. Tali condizioni possono essere espresse in valore assoluto attraverso il calcolo del:  Capitale circolante netto (Attività correnti – Passività correnti)  Margine di tesoreria (Attività correnti – Magazzino – Passività correnti) 3. I servizi di finanziamento. Tale tipologia di servizi risponde all’esigenza di coprire il fabbisogno finanziario delle unità economiche che abbiamo definito in deficit dal punto di vista finanziario, tipicamente le imprese. Differenti sono le modalità di intervento degli intermediari finanziari, in particolare per la banca la distinzione fondamentale è quella tra servizi di finanziamento che ne impegnano il patrimonio, da un lato, e servizi finanziari di supporto all’emissione, alla sottoscrizione e al collocamento, nonché di consulenza alle decisioni finanziarie dell’impresa, dall’altro. 3.1. I finanziamenti: il processo di affidamento. Intimamente connessa alla concessione del prestito è la fase di valutazione della capacità di rimborso del credito erogato. Prima di definire le specifiche caratteristiche contrattuali del finanziamento, la banca determina l’ammontare dei fondi monetari da mettere a disposizione dell’impresa. È questa la fase dei servizi di finanziamento rappresentata dalla valutazione della capacità finanziaria del cliente di far fronte ai propri impegni di rimborso del capitale e degli interessi, da cui consegue l’individuazione del cosiddetto “fido bancario”. Il fido bancario o fido accordato è l’importo massimo di credito che la banca ha deciso di concedere al cliente. Il fido utilizzato è invece la parte del credito “accordato” effettivamente utilizzata dal cliente per le proprie esigenze finanziarie. In particolare, il fido accordato è utilizzabile mediante una gamma più o meno ampia di forme tecniche di prestito. Le valutazioni effettuate dalle banche per accordare un fido ai richiedenti (processo di affidamento), si basano su diversi elementi di natura quantitativa - l’andamento economico-finanziario dell’azienda, il posizionamento di mercato, l’analisi dell’investimento obiettivo del finanziamento e del relativo business plan. In questa fase assume rilevanza anche la possibilità dell’impresa richiedente il fido di fornire garanzia accessorie al prestito - e qualitativa – valutazione della conduzione manageriale relativa ad assetto proprietario, organizzazione ed esperienza del management. Vi è anche un un’analisi quali-quantitativa che considera il volume e l’andamento degli affidamenti dell’impresa con tutto il sistema bancario italiano, presenti presso la Centrale dei rischi, CR, gestito da Banca d’Italia. La CR riceve le segnalazioni di tutte le banche sulla posizione dei propri clienti il cui affidamenti superi determinate soglie minime; gli intermediari possono richiedere informazioni sull’esposizione di clienti già affidati presso altri operatori. In particolare, è stato introdotto lo strumento del rating che consente in un sistema oggettivo di valutazione del rischio di credito delle imprese affidate. Il giudizio è espresso al termine del processo di valutazione, assegnando un punteggio che sintetizza il grado di rischio di insolvenza del prenditore di fondi. Il punteggio assegnato consente alla banca di raggruppare i richiedenti credito in classi di rischio omogenee e di decidere se concedere o meno il fido richiesto (screening) [rischio di migrazione; premio per il rischio]. Adottando un approccio che guarda alla corrispondenza tra le forme tecniche di finanziamento e la natura temporale del fabbisogno finanziario del debitore, è possibile distinguere i prestiti in relazione alla loro scadenza. Pag. 51 a 74 3.1.1. Caratteristiche tecniche dei finanziamenti a breve termine. I prestiti a breve termine sono generalmente indirizzati a coprire fabbisogni finanziari delle imprese che originano dalla gestione del capitale circolante, nella forma di scorte e di crediti commerciali concessi. Vi figurano, pertanto, forme tecniche di finanziamento caratterizzate da una stretta congiunzione con i servizi di incasso e pagamento offerti dalle banche. L’apertura di credito in conto corrente. L’apertura di credito bancario è il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato. Può essere a scadenza fissa – e in tal caso la banca ha la possibilità di interrompere prima del termine solo per giusta causa – o a tempo indeterminato – ed entrambe le parti hanno la facoltà di recedere. Sulla base delle modalità di utilizzo della somma di denaro che la banca tiene a disposizione del cliente si distingue tra apertura di credito semplice ed apertura di credito in conto corrente. Nel caso di apertura di credito semplice il cliente può solo effettuare prelevamenti senza alternarli a versamenti. L’apertura di credito in conto corrente permette al cliente di utilizzare, a sua discrezione, in una o più volte, la somma messa a disposizione dalla banca e, con successivi versamenti, di ricostituire la disponibilità dei fondi. Gli interessi, computati sulla base di tassi solitamente superiori a quelli applicati sulle altre operazioni di credito bancario in virtù della flessibilità concessa al cliente nell’utilizzo del fido, vengono calcolati soltanto sugli importi effettivamente utilizzati e addebitati trimestralmente. Oltre agli interessi, figurando anche le commissioni che remunerano la banca per il servizio di disponibilità del credito offerto. Quanto più intensi e frequenti sono i movimenti di conto e l’utilizzo di servizi di pagamento, tanto maggiori sono i ricavi da commissioni che la banca realizza. L’apertura di credito può essere concessa in bianco, cioè in assenza di garanzie specifiche. Lo sconto. Nell’operazione di sconto la banca, previa deduzione degli interessi, anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi, non ancora scaduto, mediante la cessione salvo buon fine del credito stesso. L’anticipazione garantita da titoli e/o merci. L’anticipazione consiste in un prestito monetario a breve termine, con scadenza determinata, garantito da pegno, a favore della banca, di merci, di valori mobiliari o crediti, si compone di due contratti: un contratto principale di prestito (detto polizza di anticipazione) e uno accessorio (diritto di pegno). L’importo del fido concesso in tale forma tecnica è commisurato al valore di perizia del bene mobile dato in garanzia. In ogni caso, da tale valore viene dedotto un certo scarto percentuale, in modo da tutelare la banca da possibili variazioni del valore della garanzia. La banca erogante acquisisce tre diritti: tenere in pegno il bene mobile; far vendere la garanzia in caso di insolvenza; estinguere il finanziamento rivalendosi sul ricavato. Non può però divenirne proprietaria. Il factoring. Il factoring è una tecnica finanziaria basata sul trasferimento dei crediti commerciali da una impresa ad una banca o ad un intermediario specializzato (il factor), che all’erogazione di un finanziamento associa la prestazione di servizi di gestione dei crediti ceduti. I servizi offerti dal factor rispondono potenzialmente a tre diverse esigenze della clientela. In primo luogo, si ha un finanziamento nella forma del regolamento anticipato dei crediti commerciali ceduti all’intermediario; collegato al finanziamento vi è la possibilità che il cessionario (il factor) si faccia garante del buon fine del credito commerciale oggetto di cessione. Infine, si unisce in genere la gestione dei crediti commerciali per conto del cedente, ossia operazioni riguardanti la contabilizzazione, l’incasso ed il recupero dei crediti. Tra i servizi offerti dal factor può figurare anche la garanzia dai rischi di inadempimento del debitore ceduto. Al riguardo è opportuno rilevare che i crediti possono essere ceduti (e accettati dal factor) con la clausola salvo buon fine (o pro solvendo) oppure con la clausola senza rivalsa (o pro soluto). Nel caso di cessione salvo buon fine, se il debitore ceduto è insolvente, il factor può rivalersi sull’impresa cedente. Viceversa con la presenza della clausola pro soluto, il factor si accolla le conseguenza di una eventuale insolvenza, liberando l’impresa cedente dal rischio di credito. 3.1.2. Caratteristiche tecniche dei finanziamenti a medio-lungo termine. I prestiti a medio e lungo termine sono diretti a soddisfare le esigenze di fabbisogno durevole e permanente delle imprese connesse ad investimenti in capitale fisso o ad operazioni di crescita esterna. È opportuno che le forme di finanziamento siano coerenti con l’orizzonte temporale dei benefici attesi dagli investimenti effettuati. Il mutuo. Il mutuo è una forma di finanziamento a medio lungo termine con il quale un intermediario creditizio eroga una somma di denaro che l’impresa finanziata si obbliga a restituire gradualmente mediante pagamenti periodici. I pagamenti periodici, detti rate, sono composti da una quota capitale e da una quota interessi. La quota capitale è definita in base ad un piano di rimborso del capitale (piano di ammortamento) determinato al momento della stipula del contratto di mutuo. Il piano di ammortamento è, pertanto, il programma di restituzione del debito che stabilisce la data di scadenza del prestito, l’importo, la periodicità (mensile, semestrale) dei pagamenti destinato all’estinzione del debito, i criteri per determinare ogni rata e il debito residuo. Le rate possono avere periodicità variabile (mensile, trimestrale, semestrale) e sono di norma costanti (quote Pag. 52 a 74 capitale crescenti e quote interessi decrescenti) o decrescenti (quote capitali costanti e quote interessi decrescenti). Due esempi di seguito. Il mutuo può essere a tasso fisso, a tasso variabile oppure misto. Nel primo caso il tasso di interesse rimane invariato per tutta la durata dell’operazione. Nel secondo caso il tasso di interesse ai adegua alla situazione di mercato ed è determinato sommando alla componente variabile, rappresentata dal tasso di riferimento, una componente fissa o spread. Quest’ultima è riconducibile al rischio di credito del prenditore e rappresenta il compenso per il rischio richiesto dal finanziatore. Il tasso di interesse è misto quando il tasso applicato passa da fisso a variabile (o viceversa) a scadenze fisse e/o a determinate condizioni indicate nel contratto. La componente principale di costo del mutuo è rappresentata dagli interessi. Agli interessi debbono essere comunque aggiunti altre componenti di costo quali, ad esempio, quelli per l’istruttoria della pratica, la riscossione della rata, i servizi accessori necessari per ottenere il mutuo. Nella documentazione contrattuale deve essere sempre riportato il Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), cioè un indicatore di sintesi del costo complessivo del mutuo comprensivo del tasso di interesse fisso e di tutte le altre voci di spesa. Il mutuo può essere concesso anche senza garanzia specifiche (mutuo chirografario). È assai più frequente la presenza di garanzia nella forma tipica di ipoteca di primo grado su immobili, o da privilegio su impianti e macchinari. . Pag. 55 a 74 Le passività di una banca sono composte da vari tipi di conti di deposito e altri prestiti utilizzati per il finanziamento di investimenti e impieghi in prestiti sul lato dell’attivo di stato patrimoniale. Al passivo compaiono, inoltre, le voci che formano i mezzi propri (patrimonio) della banca. Le passività si distinguono in termini di scadenze, remunerazione, controparte. Passività onerose di interessi (PO): comprendono depositi bancari, depositi rappresentati da titoli, debiti verso banche, passività subordinate che danno origine a interessi passivi. Passività non onerose di interessi (PNO): fondo TFR, fondo rischi e oneri, altre passività che non generano costi finanziari espliciti. Mezzi propri (PATR): voci di patrimonio e utile/perdita. Fra le passività onerose, la voce 10 rappresenta i veri e propri debiti della banca, ad eccezione della sottovoce c) titoli in circolazione che, insieme alla voce 20 e 30, rappresentano i titoli a debito. Fra le passività non onerose, per la voce 100 è da notare che quei fondi non sono rettificativi dell'attivo. 2.2 Struttura del conto economico. Il conto economico accoglie i ricavi e i costi derivanti dalla gestione e i profitti o le perdite netti registrati dalla banca nel corso di un determinato periodo di tempo di durata annuale, denominato esercizio. Il conto economico è espresso in forma scalare e consente di visualizzare immediatamente la formazione progressiva dell’utile netto. Pag. 56 a 74 Le prime due voci (10 e 20) formano per differenza il margine di interesse (voce 30) e sono costituite da interessi attivi e passivi, proventi e oneri assimilati relativi, a disponibilità liquide, attività finanziarie valutare al fair value con impatto a conto economico, attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla redditività complessiva, attività finanziarie valutate al costo ammortizzato e passività finanziarie valutate al costo ammortizzato, passività finanziarie di negoziazione, passività finanziarie designate al fair value. Nelle voci commissioni attive (40) e passive (50) sono ricompresi i proventi e gli oneri relativi, rispettivamente, ai servizi prestati e a quelli ricevuti dalla banca sulla base di specifiche previsioni contrattuali. La loro differenza fornisce le commissioni nette (60). I dividendi e proventi simili (voce 70) sono dividendi relativi ad azioni o quote detenute in portafoglio, mentre il risultato netto dell’attività di negoziazione (80) è il saldo tra profitti e perdite delle operazioni classificate nelle attività finanziarie detenute per la negoziazione e nelle passività finanziarie di negoziazione. Nel conto economico sono poi presenti: il risultato netto dell’attività di copertura (90), che accoglie i risultati della valutazione delle operazioni di copertura effettuate dalla banca; gli utili da cessione o riacquisto (100) delle attività finanziarie valutate al fair value, dalla cessione di crediti e della cessione di passività finanziarie; alla voce 110 il risultato netto delle altre attività e della cessione di passività finanziarie valutate al fai value obbligatoriamente o no. Le voci successive hanno lo scopo di determinare il risultato netto complessivo della gestione, a partire dalle rettifiche/riprese di valore nette a fronte del rischio di credito (130) e dai costi operativi (210), dei quali la maggior porzione è costituita dalle spese amministrative (160), ovvero costi per il personale e altre spese amministrative. Ulteriori voci di norma quantitativamente minori portano all’Utile (Perdita) della operatività corrente al lordo delle imposte (260) che, al netto delle imposte, determina l’Utile (Perdita) della operatività corrente al netto delle imposte (voce 280). Per arrivare all’Utile (Perdita) dell’esercizio (voce 300) va computato ancora l’utile (perdita) delle attività operative cessate al netto delle imposte (voce 290), ovvero dell’attività operativa che è stata dismessa o classificata come posseduta per la vendita. 3. Analisi del bilancio di esercizio utilizzando il criterio delle redditività del capitale netto (ROE). L’analisi di determinati rapporti – la cosiddetta “analisi degli indici aziendali” consente ai manager delle banche e agli analisti esterni di valutare la performance attuale della banca, le sue variazioni nel corso del tempo (analisi della serie storica degli indici in un determinato arco temporale) e il suo andamento rispetto ad altre banche concorrenti (analisi cross-section). Preliminare all’analisi per indici è la riclassificazione del bilancio mediante l’aggregazione di voci che rappresentino le aree fondamentali della gestione bancaria. Per quanto riguarda le voci dello stato patrimoniale, la classificazione fondamentale è quella che, nell’attivo, distingue tra attività fruttifere; nel passivo, invece, la classificazione è tripartita e distingue fra le passività onerose, le altre passività e i mezzi propri. Le attività fruttifere sono costituite da attività finanziarie, crediti verso banche e verso clientela, partecipazione dello stato patrimoniale attivo; le restanti attività sono classificate come “altre attività”. Le passività onerose sono riportate nel passivo di stato patrimoniale (debiti verso banche, clientela, titoli in circolazione e altre), mentre i mezzi propri (o patrimonio netto) sono costituiti da: riserve di rivalutazione, azioni rimborsabili e altre strumenti di capitale (riserve, capitale, utile). Per le banche assume particolare rilievo il concetto di patrimonio ai fini di vigilanza. Per quanto riguarda il conto economico, l’obiettivo è mettere in rilievo i risultati intermedi, con evidenziazione dei contributi al reddito derivanti dalla gestione caratteristica della banca e dei contributi derivanti da operazioni ed eventi di natura accessoria. I risultati intermedi di maggiore interesse sono i seguenti:  Margine di interesse Interessi attivi – interessi passivi  Margine di intermediazione Margine di interesse + ricavi da servizi (contributo netto di commissioni, dividenti, risultati netti delle attività di negoziazione, di copertura, di cessione o riacquisto di attività e passività finanziarie, di valutazione al fair value.  Risultato netto della gestione finanziaria Margine di intermediazione – rettifiche o riprese nette per deterioramento delle attività finanziarie.  Risultato lordo di gestione risultato netto della gestione finanziaria – costi operativi (spese amministrative, accantonamenti, ammortamenti).  Utile o perdita d’esercizio Risultato lordo i gestione – imposte (- utile/perdita dei gruppi in attività in via di dismissione). 3.1 ROE e sue componenti. La redditività del capitale netto o ROE si definisce come: 𝑅𝑂𝐸 = 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 Misura l’ammontare dell’utile al netto di imposta misurato per ciascun euro di capitale a titolo di proprietà conferito dagli azionisti della banca. Altri indici sono:  Rendimento delle attività totali (ROA): misura i profitti generati rispetto alle attività dell’istituzione finanziaria; Pag. 57 a 74  Moltiplicatore del capitale netto (EM) 𝑻𝑨 𝑪𝑵 : misura la quota di attività dell’istituzione finanziaria finanziare tramite capitale netto piuttosto che debito;  Margine di profitto (PM) 𝑼𝑵 𝑹𝑶 : misura la capacità di sostenere i costi e di generare utile netto a partire dai ricavi da interesse e non da interesse;  Utilizzo delle attività (AU) 𝑹𝑶 𝑻𝑨 : misura l’ammontare di ricavi da interessi e non da interessi generato per euro di attività. Al fine di identificare problemi potenziali, il ROE può essere scomposto in due parti nel modo seguente: 𝑅𝑂𝐸 = 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à ∗ 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 = 𝑅𝑂𝐴 ∗ 𝐸𝑀 Il ROA determina l’utile netto generato per ciascun euro di attivo; l’EM misura il valore assoluto delle attività finanziate con ciascun euro di capitale netto (quanto più elevato è questo indice, tanto più la banca ricorre all’indebitamento per il finanziamento delle sue attività. Valori elevati di questi due indici comportano ROE elevati ma, come abbiamo visto, i manager dovrebbero chiedersi sempre quale sia la provenienza di tali ROE elevati. Per esempio, un aumento del ROE dovuto a un aumento dell’EM significa che il grado di patrimonializzazione della banca è diminuito e dunque il suo rischio di insolvenza è accresciuto. 3.2 Altri indici. Nella valutazione della performance di una banca viene comunemente utilizzata una grande varietà di altre misure di redditività, fra cui citiamo la redditività delle attività fruttifere, lo spread e il cost/income ratio (CIR). Redditività delle attività fruttifere. Tale indice misura il rendimento netto delle attività fruttifere della banca (titolo e crediti) e si definisce in questo modo: 𝑀𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 = 𝑀𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑓𝑟𝑢𝑡𝑡𝑖𝑓𝑒𝑟𝑎 In linea di massima, quanto maggiore è il margine di interesse netto, tanto migliore è la performance della banca. Spread. Lo spread misura la differenza fra il rendimento medio delle attività produttrici di reddito (attività fruttifere) e il costo medio delle passività onerose; esso costituisce un’altra misura del rendimento delle attività di una banca. Tal indice si definisce come: 𝑆𝑝𝑟𝑒𝑎𝑑 = 𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖 𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑓𝑟𝑢𝑡𝑡𝑖𝑓𝑒𝑟𝑎 − 𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑜𝑛𝑒𝑟𝑜𝑠𝑒 Quanto più è elevato, tanto più la banca è redditizia, ma, ancora una volta, bisogna esaminarne il motivo del valore elevato e le potenziali implicazioni in termini di rischio e di impatto sulle relazioni con la clientela. Cost/income ratio. Il rapporto fra costi operativi e ricavi caratteristici misura la capacità da parte della banca di generare ricavi per coprire i costi operativi: 𝐶𝑜𝑠𝑡/𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜 = 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑜𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑚𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 Generalmente, quanto più basso è il valore tanto migliore è la performance in termini di efficienza. Tuttavia, valori poco elevati dei costi operativi possono indicare un aumento nel rischio, nel caso in cui l’istituzione non stia investendo nella tecnologia più efficiente o nel personale più qualificato. Pag. 60 a 74 fissa e vengono corrisposti semestralmente in via posticipata, mediante lo stacco delle relative cedole. Il tasso cedolare semestrale è pari alla metà del tasso nominale annuo. 2.1.3. Buoni del Tesoro Poliennali (BTp). Durata Sono titoli di Stato a medio-lungo termine, a tasso fisso, con cedola prestabilita al momento dell’emissione. Attualmente vengono emessi BTp con scadenze a 3, 5, 7, 10, 15, 20, 30 e 50 anni. Modalità di collocamento L’emissione avviene mediante asta marginale con fissazione discrezionale da parte del Tesoro della quantità collocata all’interno di un intervallo preannunciato, al pari degli altri titoli di Stato a medio-lungo termine. Profilo finanziario Il tasso nominale viene fissato al momento dell’emissione. Gli interessi dei BTp sono predeterminati in misura fissa e vengono corrisposti semestralmente in via posticipata, mediante lo stacco delle relative cedole. Il tasso cedolare semestrale è pari alla metà del tasso nominale annuo. 2.1.4. Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione europea (BTp €i). Durata attualmente questi titoli presentano durate pari a 5, 10, 15 e 30 anni. Modalità di collocamento L’emissione avviene mediante asta marginale con fissazione discrezionale da parte del Tesoro della quantità collocata all’interno di un intervallo. Profilo finanziario è un titolo indicizzato; sia il capitale rimborsato a scadenza, sia le cedole pagate semestralmente sono, infatti, rivalutati sulla base dell’inflazione dell’area euro. In goni caso il BTp €i garantisce la restituzione del valore nominale sottoscritto: anche nel caso in cui si verifichi una riduzione dei prezzi, l’ammontare rimborsati a scadenza non sarà mai inferiore al valore nominale (100). Inoltre, le cedole pagate al sottoscrittore sono di importo variabile, ma garantiscono un rendimento costante in termini reali, ovvero in termini di potere di acquisto. L’ammontare di ciascuna cedola, infatti, è calcolato moltiplicando il tasso di interesse fisso annuo stabilito all’emissione per il capitale sottoscritto rivalutato sulla base dell’inflazione verificatasi tra la data di godimento e la data di pagamento della cedola. 2.1.5. Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione italiana (BTp Italia). Durata è un titolo di stato che fornisce all’investitore una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi ed è emesso con durate pari a 4, 5, 6 e 8 anni. Modalità di collocamento innovativa è la modalità di emissione: il titolo viene infatti proposto direttamente sulla piattaforma MOT, il mercato elettronico regolamentato dedicato agli scambi al dettaglio di Borsa Italiana. Mentre con il metodo dell’asta adottato per il collocamento delle altre tipologie di titoli di Stato, il prezzo di acquisto per l’investitore è incerto fino alla chiusura del procedimento, nel caso del BTp Italia il prezzo di offerta è noto a priori e pari a 100. Il collocamento prevede una prima fase riservata agli investitori retail ed una seconda fase aperta agli investitori istituzionali. Per incentivare i risparmiatori a sottoscrivere il titolo, il Tesoro ha previsto un premio fedeltà – nelle ultime emissioni nella misura dell’8 per mille lordo sul valore nominale dell’investimento – per coloro i quali acquistano i titoli in emissione e li detengono sino alla scadenza. Profilo finanziario Il BTp Italia fornisce una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi: sia le cedole, pagate semestralmente, che il capitale, la cui rivalutazione viene anch’essa corrisposta semestralmente, sono rivalutati in base all’inflazione italiana, misurata dall’Istat attraverso l’indice nazionale dei prezzi dei beni di consumo per famiglie di operai ed impiegati (FOI). Ogni sei mesi è riconosciuto al detentore il recupero della perdita del potere di acquisto realizzatasi in quel periodo, attraverso il pagamento della rivalutazione semestrale del capitale sottoscritto. Inoltre, le cedole, anch’esse semestrali, garantiscono un rendimento minimo costante in termini reali. Infatti, l’ammontare di ogni cedola è calcolato moltiplicando la metà del tasso di interesse reale cedolare annuale fisso, stabilito all’emissione, per il capitale sottoscritto rivalutato sulla base dell’inflazione verificatasi su base semestrale. Alla scadenza, il BTp Italia garantisce la restituzione del valore nominale sottoscritto (100). 2.1.7. Buoni del Tesoro Poliennali Futura (BTp Futura). Il BTp Futura è nato nel 2020 con l’obiettivo di contribuire alla copertura del fabbisogno finanziario connesso ai provvedimenti varati dal Governo per fronteggiare la crisi sanitaria ed economico-finanziaria conseguente alla pandemia da Covid-19. Durata è stato emesso a 10 anni nella prima emissione. Nella seconda emissione la durata è stata pari a 8 anni, mentre nella terza emissione è stata introdotta la durata di 16 anni. L’ultima emissione risale a novembre 2021 con durata pari a 12 anni. Modalità di collocamento Il collocamento avviene sulla piattaforma del MOT come per il BTp Italia. Il prezzo di emissione è alla pari analogamente al BTp Italia. Profilo finanziario Sono gli unici titoli di Stato riservati esclusivamente al mercato retail e si contraddistinguono per l’innovativa struttura cedolare, pensata per premiare i risparmiatori che li detengono fino a scadenza. Le cedole nominali, pagate semestralmente, sono infatti calcolare in base ad una serie di tassi prefissati e crescenti nl tempo, secondo il meccanismo step up, con rendimenti minimi garantiti; si parla di obbligazioni step up laddove sia prevista l’applicazione di tassi via via crescenti nel tempo. La serie dei tassi minimi viene comunicata prima dell’emissione e, alla chiusura della stessa, può essere confermata o rivista esclusivamente al rialzo. Analogamente ai BTp Italia, è previsto un premio fedeltà corrisposto a chi acquista e lo detiene fino a scadenza. Tale premio ha un valore minimo garantito fissato all’1% del capitale investito, ma può crescere fino alla quota massima del 3% in funzione della media del tasso di crescita annuo del PIL italiano. Pag. 61 a 74 2.1.6. Certificati di credito del Tesoro indicizzati all’Euribor (CcTeu). Durata è un titolo di stato a medio e lungo termine con scadenza che spaziano dai 4 ai 7 anni. Modalità di collocamento Vengono emessi mediante asta marginale con fissazione discrezionale da parte del Tesoro della quantità collocata all’interno di un intervallo preannunciato, al pari degli altri titoli di Stato a medio-lungo termine. Profilo finanziario Sono titoli a tasso variabile e i relativi interessi sono indicizzati e vengono corrisposti in via posticipata mediante lo stacco delle relative cedole semestrali. Tutte le cedole sono calcolate in base al tasso Euribor ea 6 mesi al quale viene aggiunto uno spread fisso determinato al momento dell’emissione. 3. Principi ed esempi di valutazione. Un titolo è quotato al corso secco quando il prezzo esprime il puro capitale e non tiene conto dell’eventuale parte di cedola già maturata nel periodo che intercorre tra la data di stacco della cedola precedente e il momento di acquisto del titolo. In altre parole, i titoli sono usualmente quotati su base 100, mentre le cedole in corso di maturazione non vengono incorporate nella quotazione espressa sul mercato. Le obbligazioni sul mercato italiano sono quotate a corso secco. Di conseguenza, quando si effettuano transazioni su titoli nl mercato secondario, oltre a pagare il prezzo del titolo bisogna anche pagare l’eventuale rateo di interesse: si tratta degli interessi maturati dallo stacco dell’ultima cedola incassata fino al momento della transazione (valuta). La determinazione avviene su base convenzionale con un semplice calcolo proporzionale alla durata di godimento della cedola. Il corso tel-quel comprende, oltre al valore capitale, anche gli interessi maturati a partire dal giorno di scadenza dell’ultima cedola fino al giorno di regolamento (valuta) corrispondente alla rilevazione della quotazione del titolo. 3.2. Valutazione del rendimento. La misurazione del rendimento di un investimento richiede la valutazione del valore attuale dei flussi di cassa attesi dall’investitore. Una corretta applicazione del procedimento presuppone la conoscenza: A Dei flussi di cassa generati dal titolo; B Delle date in corrispondenza delle quali avviene l’incasso o il pagamento. 3.2.1. Valutazione dei titoli zero coupon. I titoli senza cedole (zero coupon) prevedono due soli flussi di cassa: uno al momento dell’acquisto e l’altro, di segno opposto, alla scadenza o alla vendita (VR: il prezzo di vendita sul mercato secondario o il valore di rimborso finale; P: prezzo in emissione o sul mercato secondario). Il prezzo che si paga oggi altro non è che il valore attuale del valore finale (rimborso del capitale) incassato a scadenza. Il prezzo di un titolo al momento attuale (valore attuale) è così definibile: 𝑃 = 𝑉𝑅 1 + 𝑟 , Dove: P = prezzo del titolo (valore attuale); 𝑉𝑅 = valore di rimborso o di vendita (montante finale) al momento t; 𝑟 , = tasso di rendimento richiesto dal mercato per investimenti a partir da oggi con scadenza pari a t e caratterizzati da rischio simile. La valutazione di un titolo senza cedole richiede quindi l’utilizzo di un solo tasso di sconto, il tasso di rendimento richiesto dal mercato per investimenti con scadenza pari a t, che corrisponde al periodo di investimento espresso in anni o frazioni di anno. Il tasso di sconto è detto anche tasso di rendimento effettivo. Sempre nel caso dei titoli senza cedola, a partire dal prezzo che si forma sul mercato P, è ottenibile la misura del rendimento atteso dall’investimento nel periodo compreso tra il tempo 0 e t, in ipotesi di capitalizzazione composta degli interessi, che risulta: 𝑟 , = 𝑉𝑅 𝑃 − 1 Mentre il valore di rimborso (o di vendita) altro non è che il montante finale, e quindi: 𝑉𝑅 = 𝑃 ∗ 1 + 𝑟 , Pag. 62 a 74 3.2.2. Valutazione dei titoli con cedola. Per questa fattispecie di titoli, i flussi sono rappresentati dagli interessi corrisposti periodicamente (le cedole) e del valor di realizzo in caso di vendita o nominale in caso di rimborso. Le componenti di reddito di un titolo siffatto si possono così riassumere: A Componente di reddito staccato: interessi che maturano al tasso nominale nel corso del periodo di detenzione; B Componente di reddito incorporato: differenza tra il prezzo di smobilizzo (vendita o rimborso) e il prezzo di acquisto. L’indicatore più comunemente adottato nell’analisi della redditività dei titoli a reddito fisso è il tasso di sconto (tres) che eguaglia il valore attuale (scontato) delle cedole e del capitale rimborsato al prezzo di emissione o di acquisto del titolo. Tale tasso, detto anche tasso di rendimento interno, esprime il rendimento effettivo, o rendimento a scadenza o yield to maturity del titolo. Nel caso di un titolo con cedola C e scadenza pari a n, il prezzo del titolo P può essere espresso come: 𝑃 = 𝐶 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) + 𝐶 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) + ⋯ + 𝐶 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) + 𝑉𝑅 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) = 𝑃 = (( 𝐶 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) ) + 𝑉𝑅 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) Dato il prezzo P, il valore di rimborso VR, l’importo della cedola periodica C e il numero delle cedole n, il tasso tres rappresenta l’unica incognita. Il tasso di rendimento effettivo a scadenza è convenzionalmente calcolato su base annua e ciò richiede di esprimere il tempo t in anni e frazioni di anno. Pag. 65 a 74 invece non valuta altre tipologie di rischio (come rischio di cambio, di tasso). Normalmente si denotano come Investment grade i titoli e gli emittenti con giudizi che vanno dalla AAA alla BBB inclusa, mentre per i giudizi che vanno dalla BB alla D si parla di Speculative grade. 3.3.2. Rischio di reinvestimento. Il rischio di reinvestimento deriva dalla variabilità delle condizioni di reimpiego delle cedole che scadono nel corso del periodo di investimento. Se l’importo incassato è destinato ad alimentare la spesa per consumi dell’investitore è come se il reinvestimento avvenisse a tasso zero mentre se il reinvestimento degli interessi avviene in altre attività finanziarie remunerative, il rendimento effettivo realizzato (ex post) cambia, in aumento o in diminuzione. In altre parole, il risultato finale è strettamente collegato al reinvestimento dei flussi di cassa e quindi al tasso (o ai tassi) negoziabili al momento del reimpiego delle prestazioni, cioè da condizioni di remunerazione che ex ante possono esser solo oggetto di stima. 3.3.3. Rischio di prezzo. Il prezzo di un titolo a reddito fisso varia in direzione opposta ai tassi di mercato (tassi di rendimento effettivi) e questo principio dipende dal fatto che il prezzo del titolo deriva dalla somma dei valori attuali dei flussi di cassa associati al titolo stesso. Tale relazione – nota come rischio di prezzo o di interesse – corrisponde al fatto che l’investitore, in un momento caratterizzato da un aumento dei tassi di interesse, vede diminuire il valore dei titoli e, quindi, è esposto al rischio di incorrere in perdite in conto capitale qualora venda il titolo prima della scadenza o in mancati guadagni quando, invece, lo detenga sino a scadenza. La volatilità del prezzo è funzione delle caratteristiche del titolo a reddito fisso e, in particolare, dipende dalla tipologia e frequenza del tasso cedolare, dalla durata residua e dal tasso di rendimento. I titoli a tasso variabile presentano un contenuto rischio di prezzo in quanto al variare dei tassi di mercato, i flussi cedolari indicizzati a diversi parametri, si adeguano più o meno pienamente e prontamente alle nuove condizioni di mercato e, di conseguenza, il prezzo del titolo oscilla in misura inferiore rispetto a quello che accade al corso dei titoli a tasso fisso. Per i titoli a reddito fisso a tasso fisso, l’indicatore che viene utilizzato per approssimare le variazioni di prezzo al variare dei tassi di mercato è la cosiddetta duration modificata che deriva a sua volta dalla durata media finanziaria (duration) del titolo. Il valore della duration modificata, calcolato per il livello corrente del rendimento effettivo, consente di stimare la variazione percentuale del prezzo in corrispondenza di una determinata variazione del rendimento. 3.3.4. Rischio di cambio. Se la valuta estera si deprezza anche l’importo dell’investimento globale avrà perso di valore nella valuta nazionale. Esempio: Valuta estera si apprezza $/€ t0= 1 100$ 100€ $/€ t1= 0,95 100$ 105,26€ Valuta estera si deprezza $/€ t0= 1 100$ 100€ $/€ t1= 10,02 100$ 98,04€ 3.3.5. Rischio di inflazione. Di norma, il rendimento dell’investimento finanziario è espresso in termini nominali ma il risparmiatore è spesso interessato al rendimento depurato dal tasso di inflazione in quanto se il deprezzamento monetario è stato maggiore del tasso di rendimento dell’investimento, il capitale finale è in termini reali inferiore a quello iniziale. Per difendere il capitale dall’inflazione è possibile acquistare titoli indicizzati. 3.3.6. Rischio di liquidità. La liquidità di uno strumento finanziario consiste nella sua attitudine a trasformarsi prontamente in moneta senza perdita di valore. In generale, a parità di altre condizioni, i titoli trattati su mercati organizzati sono più liquidi dei titoli non trattati su detti mercati in quanto maggiori sono le quantità scambiate e di conseguenza più facile è la determinazione del prezzo. Tanto minore è la differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita (bid-ask spread) tanto più è liquido un mercato. Appendice B – La duration e la volatilità Nei titoli a reddito fisso a tasso fisso la volatilità viene definita come la variazione percentuale del prezzo del titolo generata dalla variazione del tasso di rendimento. Come già osservato, il prezzo di un titolo a reddito fisso è funzione del tasso cedolare, della durata e del tasso di rendimento. Passando da un ambito statico a un ambito dinamico, sono questi gli stessi fattori che ne condizionano la volatilità e quindi il rischio di un titolo. Dato il tasso cedolare e il rendimento iniziale, tanto maggiore è la durata del titolo tanto più elevata sarà la volatilità, in quanto la variazione del rendimento incide in misura maggiore sui flussi più lontani. Pag. 66 a 74 Sono dati tre titoli con lo stesso tasso cedolare (2% annuo), con il medesimo tasso di rendimento effettivo a scadenza iniziale (tres 2%), che si differenziano unicamente per la durata. Il prezzo iniziale sarà per tutti pari a 100. Se si ipotizza una variazione dei rendimenti pari a un punto percentuale in aumento e in riduzione rispetto alla situazione iniziale, è evidente che la variazione percentuale di prezzo, a seguito della variazione del rendimento, è più elevata per il titolo caratterizzato dalla scadenza più elevata. Si rilevi inoltre che la relazione tra presso e tasso di rendimento effettivo è inversa e non simmetrica, nel senso che variazioni del tres di uno stesso importo generano correzioni nel prezzo di segno opposto e di entità diversa. Altro elemento che condiziona la volatilità del titolo a reddito fisso a tasso fisso abbiamo detto essere il tasso cedolare, (in termini di ammontare e di frequenza di stacco). Infatti, a parità di scadenza e tasso di rendimento, la volatilità di un titolo a tasso fisso è tanto maggiore quanto minore è il tasso cedolare, in quanto un titolo con cedole elevate anticipa una quota importante dei flussi di cassa complessivi e quindi quanto prima viene incassato il flusso di cassa, meno variabile è il suo valore attuale (quindi il suo prezzo). Sono dati tre titoli dalla stessa durata, stesso tres, che si differenziano per la presenza o per l’ammontare della cedola annua staccata. Una variazione dei rendimenti pari a 1 punto percentuale in aumento e in riduzione vede la maggior variazione percentuale per il titolo A, il titolo senza cedole, e decresce all’aumentare del tasso cedolare. Anche in questo caso si verifica la non simmetria della relazione prezzo-rendimento. L’ultimo elemento che condiziona la volatilità dei titoli a cedola fissa è il tasso di rendimento. A parità di durata e tasso cedolare, la volatilità di un titolo a tasso fisso è tanto maggiore quanto minore è il tasso di rendimento, in quanto si attualizzano i flussi di cassa ad un tasso più basso e si anticipa una percentuale inferiore di valore (prezzo). Ipotizzando una variazione del tasso di rendimento al rialzo e al ribasso di un punto percentuale, il titolo cui è associata la maggior variazione percentuale di prezzo è il titolo A, quello che presenta il minor tasso di rendimento iniziale. Per concludere, il prezzo si muove in maniera inversa rispetto a variazioni nei tassi in misura maggiore per titoli con scadenza lunga, per titoli con cedola bassa o senza cedola e/o con cedole poco frequenti e per titoli a basso rendimento. Inoltre, la relazione tra prezzo e tasso non è solo inversa, ma anche non lineare. Infatti, le variazioni percentuali di prezzo, a seguito di una riduzione del tasso, sono maggiori rispetto a variazioni percentuali di prezzo collegate ad un aumento del tres della stessa entità. Questo fenomeno è diretta conseguenza della convessità, ovvero la curvatura della funzione prezzo-rendimento. Nel 1938 Macaulay suggerì l’uso di un indice in grado di misurare la durata media finanziaria di un titolo o duration che esprime la scadenza media dei flussi di cassa che l’attività genera. La durata finanziaria è data dalla media ponderata delle scadenze dei flussi, dove ogni scadenza viene ponderata per il rapporto esistente tra il valore attuale del flusso in maturazione a quella scadenza ed il prezzo tel quel del titolo alla data di valutazione. In termini analitici, tale indicatore indica la vita media di un’obbligazione che tiene conto di tutte le prestazioni attese dal titolo e del relativo contributo alla determinazione del prezzo: sia il prezzo, sia i valori attuali dei flussi di cassa sono determinati in base al livello vigente del rendimento effettivo (esempio B.4). Pag. 67 a 74 La formula generale per esprimere la duration è quindi la seguente: 𝐷 = ∑ 𝑡 ∗ 𝐶 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠)^𝑡 + 𝑛 ∗ 𝑉𝑅 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) 𝑃 Dove: D = duration o durata media finanziaria; C= cedola netta (lorda); tres = rendimento effettivo netto (lordo) del titolo; P = prezzo tel quel netto (lordo) del titolo; VR = valore di rimborso netto (lordo); n = numero di periodi alla scadenza. Si può agevolmente dimostrare che se si tratta di un titolo zero coupon, la cedola C è pari a 0 dunque la duration sarà: 𝐷 = 𝑛 ∗ 𝑉𝑅 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) 𝑃 Ma essendo: 𝑃 = 𝑉𝑅 (1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠) Si avrà che: 𝐷 = 𝑛 Proprietà della duration:  A parità di cedola e tasso di rendimento è maggiore per titoli con maggiore vita residua;  A parità di vita residua e di tasso di rendimento è minore per i titoli con cedola maggiore;  A parità di cedola e vita residua è minore per i titoli a maggiore rendimento effettivo;  A parità di cedola, vita residua e tasso di rendimento è minore per i titoli con una maggiore frequenza delle cedole. Oltre a rappresentare un indicatore della vita media di un titolo, la duration può essere utilizzata come misura di sensibilità del prezzo al variare del tasso di interesse. In particolare, l’indicatore che consente di ottenere questa informazione è la duration modificata che risulta da: 𝐷𝑀 = 𝐷 1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠 Il valore della duration modificata consente di stimare la variazione percentuale del prezzo (∆𝑃/𝑃) in corrispondenza di una determinata variazione del rendimento (∆𝑡𝑟𝑒𝑠): ∆𝑃 𝑃 ≈ − 𝐷 1 + 𝑡𝑟𝑒𝑠 ∗ ∆𝑡𝑟𝑒𝑠 ≈ −𝐷𝑀 ∗ ∆𝑡𝑟𝑒𝑠 La variazione del rendimento si riflette in una variazione percentuale del prezzo di segno opposto e per un valore che è, in termini assoluti, direttamente proporzionale alla misura di duration modificata: al suo aumentare aumenta la variabilità del prezzo del titolo, quindi aumenta il rischio di interesse (esempio B.5). Pag. 70 a 74 capitale sociale in modo da assicurare la tutela della propria quota di partecipazione alla società o evitare un danno di natura patrimoniale. Tale diritto consente quindi ad ogni socio, da un lato, di mantenere inalterata la propria quota di capitale e, di conseguenza, il proprio peso all’interno della società, dall’altro lato, di non perdere parte del valore economico della propria partecipazione. Il diritto di recesso può essere esercitato a fronte, ad esempio, di alcune delibere assembleari giudicate di portata rilevante per l’esistenza della società (es. trasferimento sede, modifica oggetto sociale), l’azionista può decidere di “disimpegnarsi” dalla società senza subire perdite rispetto al prezzo di mercato del titolo. 2.2. Categorie di azioni. Esistono quattro categorie di azioni che si distinguono per una diversa combinazione di diritti amministrativi e proprietari. Azioni ordinarie. Le azioni ordinarie sono nominative e intestate ad una persona fisica o giuridica. I possessori delle azioni ordinarie partecipano pienamente e direttamente alla gestione della società poiché dispongono di pieno potere di voto sia nelle assemblee ordinarie che in quelle straordinarie. La remunerazione delle azioni ordinarie è in linea di principio assicurata dal dividendo, il quale dipende dall’andamento gestionale della società e risulta anche commisurato agli utili. Inoltre, il dividendo delle azioni ordinarie è subordinato alla remunerazione di altre categorie di azioni che godono di privilegi di natura patrimoniale. Per quanto concerne i dividendi, la loro distribuzione è consentita solo alle società il cui bilancio è assoggettato per legge a revisione legali dei conti. Il pagamento e l’ammontare dei dividendi sono determinati dal Consiglio di Amministrazione. In caso di fallimento gli azionisti ordinari vengono soddisfatto solo dopo tutti gli altri soggetti (creditori, dipendenti, obbligazionisti, fisco). Le perdine degli azionisti sono limitate all’ammontare dei conferimenti inizialmente apportati (responsabilità limitata). Con riferimento al diritto di voto si ricorda che per tali categorie di azioni è previsto un voto per ogni azione posseduta. Ci sono altre categorie di azioni per cui il diritto di voto è limitato; in contropartita dei limitati diritti amministrativi la società potrà offrire particolari vantaggi nell’ambito dei diritti patrimoniali. NB: la percentuale di azioni prive di diritto di voto, a voto limitato o condizionato possono rappresentare al massimo il 50% del capitale della società. Azioni con diritto di voto limitato. Il Codice civile stabilisce che “Ogni azioni attribuisce il diritto di voto”. Nel comma seguente "Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazioni di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative”. Una prima categoria è quella che prevede azioni completamente prive del diritto di voto. La logica è assimilabile alla concezione delle azioni di risparmio. Queste sono state introdotte per incentivare l’investimento in azioni, offrendo ai risparmiatori che meglio rispondessero alle loro esigenze. Queste danno forte rilievo all’aspetto economico- patrimoniale delle azioni, e non amministrativo. Costituiscono un’eccezione al principio della nominatività obbligatoria delle azioni vigente in Italia: possono, infatti, essere al portatore. In genere, alle azioni di risparmio viene assegnato, in caso di distribuzione degli utili, un dividendo minimo annuo ed uno scarto minimo sul dividendo delle azioni ordinarie. A fronte di un vantaggio patrimoniale, le azioni di risparmio sono del tutto prive del diritto di voto sia nelle assemblee ordinarie che in quelle straordinarie. Si è osservato una forte sottovalutazione in fase di emissione di questa categoria di azioni rispetto a quelle ordinarie. Le azioni di risparmio possono essere emesse solo dalle società quotate in mercati regolamentati italiani o europei. L’obiettivo è quello di raccogliere risorse finanziarie da quei soggetti che non hanno alcun interesse alla partecipazione attiva nella gestione della società, ma sono esclusivamente interessati al rendimento offerto. Una seconda categoria prevede azioni a voto limitato per argomento: in questo caso, è lo statuto dell’azienda a definire gli argomenti per cui gli azionisti hanno diritto al voto. Un’ulteriore categoria è quella delle azioni con diritto di voto sottoposto a condizione: in questi casi, solo al verificarsi di alcune condizioni che possono riguardare la persona del socio, la società, il mercato e altre situazioni, le azioni di questa categoria assumono il diritto al voto. Azioni con diritto di voto maggiorato e di voto plurimo. Per le società quotate, il diritto al voto maggiorato è previsto a favore di coloro che posseggono azioni della società per un determinato periodo di tempo. In tal senso, le società quotate possono introdurre nel loro statuto la possibilità che “sia attribuito un voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo di tempo continuativo non inferiore a 24 mesi”. Si tratta, dunque, di una sorta di premio fedeltà all’azionista di lungo periodo. È inoltre permesso a tutte le società per azioni di prevedere nei propri statuti la creazione di azioni con diritto di voto plurimo, con un massimo di tre voti per ogni azione. Attualmente, le società quotate non possono emettere azioni a voto plurimo, mentre possono prevedere limiti al diritto di voto, come tutte le società per azioni. Pag. 71 a 74 Azioni con diritti patrimoniali limitati. Un esempio di azione con diritti patrimoniali limitati è l’azione correlata. In particolare, si prevede che la società possa emettere azioni fornite di diritti economico-patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. Lo statuto aziendale, ai fini dell’emissione di tali titoli, deve stabilire il benchmark, ovvero il settore di riferimento, i criteri di individuazione dei costi e dei ricavi aziendali imputabili al settore preso come riferimento, i diritti spettanti ai singoli soci detentori e tutte le altre condizioni. Ai fini di un trattamento equo di tutti i soci, non possono essere pagati dividendi ai possessori di tali azioni se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio complessivo della società. 3. Principi, metodi ed esempi di valutazione. 3.1. Confronto con i titoli di debito. A differenza dei titoli obbligazionari, i titoli azionari si caratterizzano per la doppio interessa ai risultati dell’attività economica svolta dall’emittente e per il vincolo che lega i capitali investiti alla vita dell’impresa, per cui il prenditore di fondi non assume alcun impegno certo di remunerazione e di restituzione futura del capitale. Le azioni possono inoltre essere qualificate come titoli a reddito variabile in contrapposizione ai titoli a reddito fisso studiati nel capitolo quinto. Nette è quindi la differenza tra le azioni e i titoli di debito in quanto: a) Non esiste a priori la certezza della remunerazione delle somme investire; b) La scadenza dell’investimento è indeterminata; c) L’eventuale restituzione ai soci del capitale è comunque subordinata al prioritario adempimento degli impegni assunti verso i creditori. 3.2. Dividendi e quotazione. Il diritto al dividendo, in via ordinaria, è attribuito agli azionisti proporzionalmente alla quota posseduta. La distribuzione dei dividendi agli azionisti è deliberata dall’assemblea ordinaria della società che approva il bilancio annuale. Dopo aver accantonato una quota degli utili a riserva legale e, eventualmente, ad altra riserva straordinaria o statutaria, l’assemblea ordinaria decide l’ammontare degli utili di esercizio risultanti dal bilancio approvato, da distribuire agli azionisti. Il diritto a ricevere il dividendo è materialmente rappresentato da una cedola staccabile dall’azione: si dice che un titolo circola ex dividendo quando la cedola è staccata e, conseguentemente, chi lo acquista non ha più diritto al dividendo. Il prezzo del titolo nella data ex dividendo dovrebbe diminuire di un importo pari esattamente uguale al dividendo. Con riferimento alle modalità di quotazione, i prezzi dei titoli sono espressi in modo diverso a seconda che includano o meno i frutti “maturati” sul capitale investito. Con riferimento ai titoli azionari, che si ricordano quotano in euro e non in percentuale del valore nominale a differenza dei titoli obbligazionari, la quotazione è a corso tel quel: il prezzo comprende oltre al valore capitale dei titoli anche i dividendi maturati dalla data di pagamento dell’ultima quota parte di utili distribuiti. Per le azioni, il prezzo ex dividendo coincide con il prezzo dell’azione prima del dividendo (prezzo cum dividendo) decurtato del valore del dividendo pagato. 3.3. Valutazione dei titoli azionari. 3.3.1. Modello generale. È evidente che la valutazione dei titoli di capitale differisce sostanzialmente da quella dei titoli di debito. La variabilità del reddito (realizzato e distribuito) indica l’assenza di certezza ex ante della remunerazione delle somme investite. In termini generali e analogamente al caso della valutazione dei titoli di debito, il prezzo dei titoli di capitale può essere considerato la risultante dal processo di attualizzazione dei flussi di cassa futuri, scontati ad un tasso di rendimento richiesto dal mercato. Analiticamente: 𝑃 = 𝐹𝐶 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) Dove: 𝑃 = prezzo dell’azione alla data corrente; 𝐹𝐶 = dividendo e valore di rimborso di mercato o il valore in caso di cessazione dell’attività; trri = tasso di attualizzazione dei dividenti, pari al tasso di rendimento richiesto dal mercato per una data classe di rischio (detto anche “tasso di capitalizzazione del mercato”). 3.3.2. Modelli del dividendo. Tra i principali modelli indirizzati a valutare il prezzo di un’azione è possibile rintracciare i cosiddetti modelli del dividendo finalizzati alla stima del valore teorico (o intrinseco) delle azioni attraverso l’attualizzazione dei dividendi attesi. Secondo il modello generale, il valore di ogni attività finanziaria è determinato dal flusso di cassa che l’attività procura al suo possessore. Per le azioni questo flusso di cassa può essere il flusso dei dividendi monetari, compreso ogni possibile flusso di liquidazione quando l’impresa viene liquidata o quando il titolo viene venduto. Pag. 72 a 74 Ipotizzando di valutare il titolo azionario sulla base dei flussi percepiti in un anno, ovvero esprimendo il prezzo del titolo azionario in funzione dei dividendi percepiti e del prezzo realizzato attraverso la vendita del titolo al termine del periodo di detenzione (1 anno), entrambi attualizzati ad un tasso richiesto dal mercato pari a trri, si avrà: 𝑃 = 𝐷 + 𝑃 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) Da qui è possibile ricavare il rendimento dell’investimento: 𝑡𝑟𝑟𝑖 = 𝐷 + (𝑃 − 𝑃 ) 𝑃  Perché scontiamo i dividendi e non gli utili? Perché il dividendo è l’unico flusso di cassa scambiato tra l’impresa e i suoi azionisti (escludendo liquidazione finale che ipotizziamo avvenga all’infinito e che quindi ha un valore attuale trascurabile).  Quale tasso di attualizzazione dei dividenti utilizzare? Se assumiamo che il rischio dell’azienda rimanga invariato nel tempo possiamo ipotizzare che il “tasso di rendimento del mercato” richiesto per la detenzione dell’azione emessa dall’impresa stessa rimanga costante. 𝑡𝑟𝑟𝑖 = 𝑡𝑟𝑟𝑖 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 (= 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒 + 𝑝𝑟𝑒𝑚𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑙 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜) Trri = tasso di rendimento richiesto dall’investitore. Riprendendo la prima equazione, il prezzo futuro 𝑃 a sua volta può essere espresso come: 𝑃 = 𝐷 + 𝑃 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) E sostituendo questa equazione nella prima otteniamo: 𝑃 = 𝐷 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) + 𝐷 + 𝑃 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) Attraverso alcuni passaggi algebrici si arriva alla seguente formula: 𝑷𝟎 = 𝑫𝒕 (𝟏 + 𝒕𝒓𝒓𝒊)𝒕 𝒕 𝟏 Quest’ultima formula è nota come Dividend Discount Model. Affermare che il valore di un’attività è dato solo dall’attualizzazione dei flussi di cassa (i dividendi nel caso di un’azione) generati dall’attività stessa a un tasso che rappresenti il costo opportunità del capitale, non significa dimenticarsi del capital gain. Infatti, il modo in cui si arriva all’ultima equazione implica che il prezzo al tempo n non viene considerato solo perché l’orizzonte temporale di valutazione diviene infinito, mentre è preso in considerazione tutte l volte in cui ci si ferma a valutare l’azione in un orizzonte intermedio. Per applicare in pratica la formula basata sull’attualizzazione dei dividenti futuri occorre fare delle ipotesi circa l’evoluzione nel tempo dei dividenti stessi. La più semplice delle ipotesi che è possibile fare è quella che il dividendo rimanga costante nel tempo. In tal caso, il prezzo dell’azione sarà dato da: 𝑃 = 𝐷 ∗ 1 1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖 + 1 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) + 1 (1 + 𝑡𝑟𝑟𝑖) + ⋯ = 𝑃 = 𝐷 ∗ 1 𝑡𝑟𝑟𝑖 = 𝑃 = 𝐷 𝑡𝑟𝑟𝑖 Si dimostra che questa serie per t tendente a infinito ha un limite finito pari al reciproco del tasso di attualizzazione r. L’ipotesi di costanza dei dividendi, tuttavia, non tiene conto delle possibilità di crescita degli stessi nel tempo. La soluzione più semplice è ipotizzare che i dividendi dell’impresa crescano a un tasso g costante all’infinito, in modo che la formula per la determinazione del valore dell’azione converga a: 𝑃 = 𝐷 𝑡𝑟𝑟𝑖 − 𝑔 Questa equazione è nota come Costant Growth Dividend Discount, e fa dipendere il valore delle attività da tre valori: il dividendo che si otterrà nel primo periodo, trri e g. Le ipotesi alla base del modello di Gordon sono le seguenti: flusso dei dividendi perpetuo; crescita dei dividendi ad un tasso costante pari a g; condizioni di rischio assunte non modificabili e con esse il tasso di rendimento richiesto o atteso trri; politica dei dividendi consolidata e immodificabile; tasso di rendimento superiore al tasso di crescita dei dividendi. Il modello che si basa sull’attualizzazione dei dividendi permette anche al singolo investitore di valutare l’azione e di confrontare la sua valutazione con quella espressa dal mercato attraverso il prezzo di mercato. Qualora si ritenga invece che il prezzo di mercato esprima correttamente il valore, il tasso di rendimento atteso dal singolo investitore coincide con quello richiesto dal mercato (come nell’esempio 2): 𝑡𝑟𝑟𝑖 = 𝐷 𝑃 + 𝑔
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