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Economia dello sviluppo sostenibile - 1 sem., Appunti di Economia Dello Sviluppo

Appunti del corso di Economia dello sviluppo sostenibile (Politiche europee e internazionali) tenuto dalla professoressa Pellizzari

Cosa imparerai

  • Come funziona il meccanismo di Carbon Credit?
  • Come i paesi con vincoli di emissione possono realizzare progetti di riduzione delle emissioni in altri paesi?
  • Che cos'è un bene pubblico e come viene fornito?
  • Come la curva di domanda permette di misurare la variazione di benessere?
  • Quali costi vengono considerati nel GPI ma non nel PIL?

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 08/09/2023

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Scarica Economia dello sviluppo sostenibile - 1 sem. e più Appunti in PDF di Economia Dello Sviluppo solo su Docsity! ECONOMIA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE 1. LO SVILUPPO SOSTENIBILE: LE DIFFICOLTÀ DI UNA DEFINIZIONE CONDIVISA I termini fondamentali: sviluppo e sostenibilità In economia al termine sviluppo sono associati diversi significati tra cui: • Crescita; • Trasformazione strutturale; • Miglioramento della qualità della vita. Il principale obiettivo dello sviluppo è soddisfare i bisogni e le aspirazioni umane. È proprio con riguardo al significato di sviluppo inteso come crescita che lo sviluppo di un paese è spesso valutato in base al prodotto interno lordo (PIL) e alla sua variazione. Il prodotto interno lordo è il valore di mercato dei beni e servizi finali prodotti in un dato periodo di tempo con i fattori produttivi impiegati sul territorio di un paese. Questo indicatore racchiude in un’unica misura la ricchezza di un paese correlata al livello della sua attività economica. Il PIL di fatto sintetizza la capacità di utilizzare le risorse in modo produttivo: se una maggior produzione si riflette in una maggior capacità di soddisfare i bisogni della popolazione, una crescita del PIL pro capite potrebbe contribuire a migliorare la condizione della popolazione. Questo infatti è quello che si è verificato per lungo tempo: il periodo di forte crescita economica, iniziato a partire dalla rivoluzione industriale, è stato accompagnato da concreti miglioramenti nelle condizioni di vita, testimoniati in primo luogo dall’allungamento della vita stessa, dalla diffusione dei servizi igienico sanitari, dall’aumento dell’alfabetizzazione. La crescita del PIL pro capite si è quindi tradotta in sviluppo, cioè ha reso possibile quelle trasformazioni qualitative che hanno favorito l’aumento del benessere: non necessariamente però ad un incremento del PIL pro capite corrisponde un aumento del benessere materiale. Il PIL rappresenta l’attività di mercato valutata ai prezzi di mercato; la sola conoscenza di questo valore non è necessariamente significativa della quantità di bisogni materiali che si possono soddisfare per diverse ragioni. La contabilità economica registra il volume dell’attività che si svolge attraverso il mercato e che può essere direttamente osservata e rilevata attraverso indagini statistiche. Una stima corretta del livello di attività economica richiede di misurare anche la produzione non destinata al mercato, come alcuni beni e servizi pubblici non destinati alla vendita, i beni e servizi prodotti per l’autoconsumo, e la produzione dell’economia non direttamente osservata. Per i beni e servizi offerti dall’operatore pubblico non destinati alla vendita, la convenzione adottata nella contabilità è valutarli al costo di produzione che non necessariamente riflette la quantità e qualità dei servizi offerti. 
 -> Una parte della produzione, definita economia sommersa, informale, illegale è di complessa rilevazione per ragioni di evasione fiscale o di non osservanza della legislazione e delle norme amministrative. L’esistenza di economia sommersa e illegale e di attività non mercificate comporta un occultamento di una parte di produzione. Una parte della produzione, definita economia sommersa, informale, illegale sfugge alla rilevazione per ragioni di evasione fiscale o di non osservanza della legislazione e delle norme amministrative. Per queste ragioni le nuove stime del PIL devono essere effettuate utilizzando le regole statistiche del Sistema europeo di calcolo (Sec 2010) che richiedono di considerare alcune voci prima rimaste escluse (stupefacenti, contrabbando e prostituzione). 
 I prezzi di mercato riflettono valori di scambio e non esiste una connessione diretta tra livello di utilità di un bene o servizio e valore di scambio dello stesso. In definitiva il PIL non può misurare l’idoneità dei beni a soddisfare i bisogni né la soddisfazione totale conseguibile con quella produzione. Il PIL non fornisce alcuna indicazione né quantitativa né qualitativa sulla dotazione di risorse, quali i fattori disponibili in natura e quelli relativi alle facoltà umane della popolazione. Tuttavia la disponibilità di capitale naturale e ambientale, capitale fisico e capitale umano non solo è fondamentale per rendere possibile l’attività di produzione, ma influisce in modo determinate sul livello di benessere e sulle possibilità di protrarre nel tempo tale livello di benessere. Il PIL però non può rappresentare l’inquinamento, il degrado dell’ambiente, lo sfruttamento delle risorse, la povertà, la disuguaglianza, la mancanza di accesso alle risorse. Le condizioni di salute, cultura, istruzione, disponibilità di tempo libero, qualità della convivenza civile, qualità dell’ambiente sono fondamentali per il benessere, ma dal PIL non si può valutare lo stato di soddisfazione dei bisogni in relazione alle precedenti necessità. Il PIL pro capite non include il valore di molte cose e attività che contribuiscono ad accrescere il benessere degli individui, ma che non vengono scambiate sul mercato. Molti bisogni possono essere soddisfatti grazie ad autoproduzioni, a produzioni che sfuggono alla registrazione per evadere il fisco o perché illegali, ad attività di volontariato che non comportano corrispettivi e quindi non rientrano nel PIL, pur riguardando servizi socialmente importanti e determinanti per il benessere. Vi sono bisogni la cui soddisfazione non dipende dalla produzione o da attività rilevate nella determinazione del PIL, ma vi sono anche attività rilevate nel PIL a cui non corrisponde un miglioramento nella soddisfazione dei bisogni. Lo sviluppo economico moderno si accompagna a trasformazioni e cambiamenti negli stili di vita che implicano lo spostamento nel mercato di molte attività. Con il passaggio da un’economia rurale ad un’economia urbana e industriale e con l’aumento dell’occupazione femminile crescono i servizi domestici, di lavanderia e ristorazione, di assistenza ai bambini, agli anziani, ai malati e si sviluppa l’industria del tempo libero, per le vacanze, per l’attività fisica e sportiva con transazioni che vengono registrate nel mercato e che si riflettono in una crescita del PIL senza comportare necessariamente maggior soddisfazione. Vi sono inoltre molte attività rilevate nel PIL che servono solo a prevenire o riparare problemi causati dalla produzione stessa o a fronteggiare spiacevoli necessità o rivolte a sollecitare nuovi bisogni, per necessità di mercato, e non a soddisfare bisogni preesistenti. ➡ Ricordiamo, ad esempio, le attività di prevenzione contro catastrofi naturali e di mitigazioni degli effetti conseguenti e le attività che riflettono i costi della vita urbana e industriale. Si tratta di attività tipicamente inquadrabili come difensive e quindi di natura intermedia che, secondo alcuni, non dovrebbero addirittura essere contabilizzate nel computo del PIL. In definitiva, il PIL è usato per misurare l’andamento dell’economia nazionale, ma in termini ambientali e di qualità della vita è chiaramente difettoso. Nessun valore è dato alla distruzione e al degrado ambientale: il valore delle risorse naturali e ambientali non è considerato. Le spese di ripristino e di rimedio e le misure di abbattimento dell’inquinamento e le cure per la salute sono considerate come contributi positivi al PIL. Il concetto di sostenibilità proviene dall’ambito scientifico e naturalistico. Per definire “sostenibile” la gestione di una risorsa dobbiamo conoscere la sua capacità di riproduzione e scegliere un tasso di sfruttamento compatibile con la sua naturale capacità di rigenerarsi. Se sfruttiamo le risorse ad un tasso superiore alla loro capacità di rigenerarsi riduciamo il loro stock fino all’esaurimento: con una gestione non sostenibile la risorsa viene deteriorata, distrutta, esaurita. Il tema della sostenibilità si riferisce in particolare alle risorse naturali rinnovabili, mentre, per quelle esauribili, più che di sostenibilità sarebbe opportuno parlare di tempi e condizioni dello sfruttamento ottimale della risorsa. Dallo sfruttamento delle risorse rinnovabili, la teoria della sostenibilità è stata estesa ad altri ambiti, fino ad essere applicata all’intero ecosistema del pianeta. Secondo Daly (Beyond Growth: The Economics of Sustainable Development, 1996) lo sviluppo sostenibile è un termine che piace a tutti, ma il cui significato non è chiaro. Il concetto di sviluppo sostenibile è infatti inteso in maniera non unanime, implica idee e valori diversi, al variare delle convinzioni anche di natura etica circa quali siano gli obiettivi che una società deve conseguire. Tutti comunque concordano nel ritenere che il modello da adottare debba essere in qualche maniera sostenibile. Il concetto di sviluppo sostenibile trova consenso perché non mette la crescita economica e la conservazione dell’ambiente in netta contrapposizione, e rappresenta l’ideale di un’armonizzazione o di realizzazione simultanea della crescita economica e della conservazione dell’ambiente, ma per alcuni è addirittura un’antinomia, la contrapposizione di due termini contraddittori. Lo sviluppo sostenibile e la capacità di carico Secondo una visione ecologica lo sviluppo sostenibile richiede un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto dai quali dipende: per valutare la sostenibilità bisogna considerare i limiti che ci impone la natura e il nostro impatto su di essa. Normalmente la capacità di carico per qualsiasi specie vivente viene definita come la quantità massima di individui di quella specie che un determinato ambiente naturale può supportare fornendo risorse, cibo, possibilità di territorio e riproduzione: gli ecologi sono in grado di valutare le capacità di carico di diversi ambienti relativamente ad alcune specie. 
 Molto più complessa è la valutazione della capacità di carico degli ecosistemi. Difatti, una valutazione della capacità di carico dovrebbe avere: • Una connotazione ecologica: il livello massimo di pressione che un sistema riesce a tollerare senza perdere la propria stabilità oppure mantenendo la propria struttura fondamentale e le attitudini comportamentali a fronte di cambiamenti esterni (resilienza); • Una connotazione sociale: il livello massimo di pressione che un sistema riesce a tollerare senza che si inneschino situazione di congestione e disturbo tra soggetti; • Una connotazione economica: il livello massimo di pressione che un sistema riesce a tollerare senza saturazione degli spazi economici e conseguente impoverimento. 
 Le tre dimensioni dello sviluppo Per l’ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) è sostenibile lo sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi da cui dipende la fornitura di tali servizi. Le tre dimensioni (economiche, sociali ed ambientali) sono strettamente correlate ed ogni intervento deve tenere conto delle reciproche interrelazioni. E’ sostenibile lo sviluppo che fornisce elementi ecologici, sociali ed opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità, senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono. La diversità culturale L’UNESCO introduce la diversità culturale indicando che “la diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura”. La diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale (Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001). 2. LO SVILUPPO SOSTENIBILE DEL PENSIERO ECONOMICO Una relazione non nuova L’analisi delle relazioni tra sistema economico e ambiente, pur essendo molto attuale, non è nuova nel pensiero economico e non è nuovo il dibattito né l’esistenza di posizioni contrapposte su questi temi. Le prime analisi sulla ricchezza delle nazioni coincidono con l’affermazione delle grandi unità nazionali a partire dalla fine del 1500: negli studi, principalmente ad opera di mercanti e banchieri, la potenza e la ricchezza sono ricondotte alla quantità di risorse a disposizione e alla numerosità della popolazione e l’aumento della ricchezza correlato alle capacità di conquista e di colonizzazione. Con lo sviluppo del capitalismo commerciale inizia a delinearsi l’idea che la prosperità di un paese derivi dalla sua capacità di produrre ed esportare: terra e lavoro sono fonti della produzione e la capacità di accrescere la ricchezza nazionale dipende dalle tecniche di produzione e dalla divisione del lavoro. -> Da una visione della ricchezza come dotazione di risorse a disposizione si passa così all’individuazione della capacità di creare ricchezza nel processo di produzione I Fisiocrati Questo passaggio è certamente chiaro nel pensiero dei Fisiocrati che propongono una teoria della produzione fondata sul sovrappiù del settore agricolo, settore da cui dipende la ricchezza nazionale, ma che presenta rapporti di interdipendenza con gli altri settori indispensabili per la produzione: le risorse naturali costituiscono un patrimonio da cui è possibile ottenere ricchezza. 
 La scuola dei Fisiocrati si sviluppa in Francia verso la metà del secolo XVIII. Nella rappresentazione schematica del funzionamento del sistema economico, i Fisiocrati analizzano i rapporti di interdipendenza tra i vari settori che permettono la produzione e le regole di distribuzione del prodotto tra le classi sociali funzionali alla riproduzione del sistema: il maggior esponente è François Quesnay (1694-1774) medico di corte di Luigi XV.
 Quesnay elabora il tableau economique, modello astratto di funzionamento di un’economia di mercato e primo schema delle interdipendenze industriali: pur considerando due settori, quello agricolo e quello manifatturiero, Quesnay distingue nettamente il loro contributo alla ricchezza nazionale e individua nella fertilità naturale della terra la capacità di generare un sovrappiù. Il prodotto netto Il contributo fisiocratico è importante per la comprensione del processo macro-economico di creazione della ricchezza: la ricchezza dipende dal prodotto netto che si ottiene applicando il lavoro alla terra e solo il lavoro agricolo è considerato produttivo. I Fisiocrati e le condizioni di riproduzione La ricchezza è un sovrappiù che è un reale sovrappiù solo se il sistema è in grado di riprodurre tutti gli input impiegati nella produzione: le condizioni di riproduzione comportano vincoli di interdipendenza tra i settori. L’esistenza quindi di sovrappiù può consentire un consumo superiore a quello strettamente necessario oppure essere reimpiegato nella produzione per ampliare la scala dei processi produttivi. Una crescita sostenibile Nella sua essenzialità questo schema è in grado di rappresentare due fondamentali problematiche per l’analisi della crescita e della sua sostenibilità. Si deve considerare sovrappiù (creazione di ricchezza) solo quello il cui consumo non compromette le possibilità di riproduzione, che richiedono di essere attentamente valutate: l’ampliamento del sovrappiù dipende dalle scelte riguardo il suo impiego. Se è interamente consumato il sistema non può crescere. Se i Fisiocrati limitano al settore agricolo, grazie alla fertilità naturale della terra, la capacità di ottenere un sovrappiù, è merito dell’analisi economica successiva mostrare che non è solo la terra a produrre ricchezza, ma in ogni processo produttivo è possibile ottenere un prodotto netto. Gli economisti classici e la ricchezza delle nazioni L’analisi degli economisti classici prosegue nell’approfondire le ragioni della forza, della potenza e della ricchezza di un paese. La ricchezza delle nazioni è prodotta dai fattori di cui sono dotate, lavoro, terra e capitale, dalle capacità di impiegare tali fattori e di renderli produttivi. Adam Smith. Per Smith (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776) il lavoro è il fondo da cui ogni nazione trae tutte le cose necessarie e comode della vita; la ricchezza di una nazione dipende dalla quantità di beni che il lavoro consente di produrre o di acquistare da altre nazioni e una nazione è tanto più ricca quanto maggiore è il lavoro a disposizione e la sua produttività. A differenza dei Fisiocrati non è più solo la terra a produrre sovrappiù che può essere ottenuto in ogni processo produttivo: per Smith l’aumento della capacità di produrre dipende dal progresso nella destrezza e intelligenza con cui il lavoro è svolto e diretto, dovuto principalmente alla divisone del lavoro che, a sua volta, è in relazione all’estensione del mercato, al grado di libertà nel commercio e al processo di accumulazione. Il capitale, riunendo più lavoratori nello stesso luogo di produzione, favorisce la più opportuna divisione degli impieghi e permette di fornire ai lavoratori le migliori macchine che abbreviano e facilitano il lavoro rendendolo più produttivo e il processo di accumulazione rende possibile ulteriori suddivisioni e specializzazioni del lavoro. Anche le istituzioni sono importanti per la crescita della ricchezza, non solo per la difesa, l’amministrazione della giustizia, le opere pubbliche, l’educazione dei giovani, ma perché la certezza dei diritti di proprietà é fondamentale per incentivare il risparmio e l’accumulazione, e le norme giuridiche e amministrative, regolando il commercio, garantiscono il funzionamento di mercati liberi ed il loro sviluppo: Smith, evidenziando queste interazioni, riconosce l’importanza dei “fattori immateriali” nel processo di creazione della ricchezza. 
 -> Se la produzione disponibile è la base della ricchezza, il benessere della società dipende dalla ripartizione di tale produzione. Così Smith afferma che una nazione è meglio provvista di ciò che le occorre tanto maggiore è il rapporto tra il prodotto e la quantità di persone che lo devono consumare. Thomas R. Malthus. Per Malthus (An Essay on the Principle of Population, 1798) il potenziale di crescita della popolazione sarebbe superiore alla capacità della terra di sostentarla, se non per l’operare di certi freni. “Il potere di popolazione è infinitamente maggiore del potere che ha la terra di produrre sussistenza per l’uomo” o, ancora, “La popolazione, quando non è frenata, aumenta in progressione geometrica. La sussistenza aumenta soltanto in progressione aritmetica”.
 Malthus identifica la causa principale della miseria nel fatto che la popolazione tende ad aumentare più rapidamente dei mezzi di sussistenza: la miseria è dovuta ad una legge “naturale”. Quand’anche, infatti, vi fosse una fase di benessere (con una crescita di reddito), questa sarebbe destinata a provocare miseria. Ciò stimolerebbe infatti una crescita della popolazione, ci sarebbero più bocche da sfamare, le risorse diventerebbero insufficienti: la scarsità assoluta delle risorse naturali agricole fa prospettare a Malthus un tragico destino finale. David Ricardo. Per Ricardo i rendimenti decrescenti del settore agricolo, dovuti alla coltivazione di terre sempre meno fertili, porterebbero ad una riduzione del saggio di profitto e dell’accumulazione, con un rallentamento o addirittura un arresto della crescita. Così Ricardo (Principles of Political Economy and Taxation, 1817) introduce una scarsità relativa delle risorse naturali il cui utilizzo avverrebbe secondo un ordine di decrescente qualità: il vincolo delle risorse naturali limitate potrebbe rallentare o addirittura arrestare, in uno stato stazionario, la crescita, se il progresso tecnico non fosse sufficientemente intenso. John Stuart Mill. Mill, (The Principles of Political Economy with Some of Their Applications to Social Philosophy, 1848) considera che una condizione di stazionarietà non sia affatto negativa, ma possa rappresentare un equilibrio ideale, favorendo progressi morali e sociali. La bellezza e la grandiosità della natura sono così importanti che il rischio di comprometterne la conservazione, a causa della crescita della ricchezza e della popolazione, fa auspicare a Mill una condizione di stazionarietà ancor prima di esservi obbligati dalla necessità: con queste affermazioni Mill rivela una sensibilità molto particolare su alcuni temi, oggi diffusi, riguardo la necessità di conciliare la crescita con una miglior qualità della vita e con la conservazione dell’ambiente naturale, o addirittura di rinunciare a crescere. Il disegno grandioso degli economisti classici Nel disegno degli economisti classici su dinamica dell’accumulazione e crescita economica, terra, lavoro, capitale sono la base per la creazione della ricchezza; conoscenze e progresso tecnico contribuiscono ad ampliare la capacità di creare ricchezza la cui crescita richiede l’esistenza di un sovrappiù e la sua accumulazione. Le loro rappresentazioni della dinamica futura spaziano dalla producibilità resa possibile dall’innovazione, alla produzione vincolata da una scarsità assoluta o resa relativa dall’impiego di differenti fattori produttivi per una diversa enfasi sui fattori propulsivi e per la considerazione di vincoli di diversa natura. Nei loro contributi sono comunque evidenziati limiti naturali alla crescita dovuti a scarsità. ambientale con altri tipi di capitale, ma è proprio riguardo questa possibilità di sostituzione che i pareri sono discordanti. La crescita economica senza precedenti, iniziata a partire dalla rivoluzione industriale, porta ad un aumento del benessere e immensa ricchezza solo in alcune aree del globo ed è accompagnata da sfruttamento delle risorse e dell’ambiente. La crescita demografica La crescita demografica esplosiva riporta in auge il dibattito sulla sovrappopolazione e sulla sufficienza alimentare e la crisi energetica contribuisce ad evidenziare la dipendenza dei sistemi economici dalle risorse naturali. L’idea che si possa disporre di quantità crescenti di risorse e che questo comporti una diffusione del benessere è messa in discussione. L’economia ecologica Con il crescere della consapevolezza delle interrelazioni tra uomo e ambiente si amplia il dibattito sulle politiche da adottare per favorire lo sviluppo sociale e l’equilibrio ambientale e prende corpo una nuova disciplina, l’economia ecologica, rivolta a una conoscenza integrata delle relazioni tra sistemi ecologici ed economici. Ragioni di spazio impediscono di richiamare la copiosa letteratura su questi temi. Ci limitiamo ad alcuni contributi particolarmente incisivi. • Kenneth Boulding. Nel 1966 Boulding pubblica “The Economics of the Coming Spaceship Earth” (in Jarrett H., a cura di, Environmental Quality in a Growing Economy, Baltimore, Johns Hopkins University Press) in cui sostiene che la produzione di ogni bene determina un impoverimento della natura e un aumento dei rifiuti, dato che ogni attività economica comporta l’impiego di risorse naturali per produrre beni e produce rifiuti che ritornano nell’ambiente. Il nostro pianeta è molto grande e questo ha reso possibile una continua espansione della produzione, ma non è illimitato e quindi dobbiamo imparare ad organizzare il nostro modo di vivere come se fossimo all’interno di una navicella spaziale dove esistono limiti sia nella disponibilità di qualsiasi risorsa che nella capacità di accogliere rifiuti, e quindi nel rispetto dei vincoli ecologici del pianeta terra. Bisogna passare dall’economia definita da Boulding “del cow-boy”, fatta di spazi illimitati, ma con comportamenti di rapina, all’economia dell’uomo nello spazio, in cui la terra, come una nave spaziale, non ha riserve e spazi illimitati. 
 Per Boulding (Fun and games with the Gross National Product. The role of misleading indicators in social policy, 1970) il prodotto nazionale e la sua crescita non possono essere idonee misure né del benessere né della sua sostenibilità, perché non forniscono informazioni sulle risorse naturali, sui danni e costi dell’inquinamento e sul degrado ambientale. • Paul Ehrlic. Nel 1968 appare “The Population Bomb” (New York, Ballantine Books) del biologo Paul Ehrlic. Il titolo è emblematico delle conseguenze negative derivanti dall’aumento della popolazione: carestie, povertà, conflitti e “un pianeta morente per l’inquinamento umano”. Per disinnescare la bomba sarebbe necessario stabilizzare la popolazione mondiale ad un livello compatibile con la disponibilità di risorse. • Garret Hardin. Sempre nel 1968 Hardin pubblica “The Tragedy of the Commons” (Science, 162) in cui mostra come lo sfruttamento delle proprietà comuni, motivato da interessi privati, possa compromettere le risorse del pianeta. Chi sfrutta le risorse in condizioni di comune proprietà gode interamente dei benefici dell’utilizzo, mentre i costi del deterioramento sono condivisi dall’intera collettività. ➡ Il governo dei commons. Hardin propone la privatizzazione o la gestione pubblica delle proprietà comuni per evitare il sovrasfruttamento, ma in epoche più recenti sono considerate altre condizioni che potrebbero consentire un governo comunitario efficace e sostenibile. Hardin propone la privatizzazione o la gestione pubblica delle proprietà comuni per evitare il sovrasfruttamento, ma in epoche più recenti sono considerate altre condizioni che potrebbero consentire un governo comunitario efficace e sostenibile. Il saccheggio dei beni comuni è un esempio di equilibrio non socialmente ottimale che può essere evitato grazie a comportamenti cooperativi. Nei suoi studi Elinor Ostrom (Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, 1990, Cambridge, Cambridge University Press) sottolinea proprio la capacità dei membri di una comunità di creare regole per uno sfruttamento economicamente e ambientalmente sostenibile delle risorse naturali e strumenti per farle rispettare. • Elinor Ostrom. Questa capacità dipende dal senso di appartenenza ad una comunità, dalla solidarietà che si instaura tra i suoi membri, dai loro rapporti. È l’esistenza di capitale sociale che può favorire l’adozione di regole condivise, il rispetto delle stesse e quindi una gestione comunitaria sostenibile delle risorse di proprietà comune e dei beni comuni globali. • Barry Commoner. Una denuncia all’opera di rapina umana nei confronti dell’ambiente è espressa anche da Commoner (The Closing Circle: Nature, Man, and Technology, 1971, New York, Knopf) che osserva come il tentativo di ridurre la nostra dipendenza dalla natura per avere risorse più abbondanti e accessibili abbia “rotto il cerchio della natura”. ➡ Chiudere il cerchio. In natura ogni ciclo termina lasciando al nuovo ciclo sostanze organiche; la ricerca di continui aumenti della produzione ha portato a produrre materie di sintesi con tempi di degradazione lunghissimi e sempre maggiori quantità di rifiuti che non possono essere trattati. L’entità del deterioramento ambientale dipende dalla popolazione complessiva, ma soprattutto dalla quantità di beni materiali di ciascun individuo e dalla qualità di tali beni materiali in termini di risorse naturali, energetiche e ambientali richieste. ➡ La necessità di modificare i modelli di consumo. La maggior responsabilità del degrado ambientale è dei paesi ricchi, date le disparità esistenti nell’uso delle risorse naturali e nelle quantità di beni a disposizione: il consumo del quintile più ricco della popolazione mondiale è pari al 76,6% del consumo privato contro l’1,5% del quintile più povero. Benché per ridurre i problemi ambientali si possa intervenire su ciascuno dei tre fattori che li determinano - popolazione, consumo pro capite, tecnologie - secondo Commoner è assolutamente necessario modificare il modello di consumo nei paesi ricchi e le tecnologie di produzione. ➡ La pace con il pianeta. La “pace con il pianeta” (Commoner B., Making Peace with the Planet, 1990, New York, Pantheon) richiede una riduzione delle disuguaglianze e un ripensamento riguardo l’obiettivo di crescita della quantità dei beni materiali. • Nicolas Georgescu - Roegen. Una forte critica all’economia mainstream viene anche da Georgescu-Roegen (The Entropy Law and the Economic Process, 1971, London, Harvard University Press). Egli afferma che ogni teoria economica non può prescindere dalle leggi fisiche e i processi economici di produzione e consumo devono essere analizzati considerando la loro dimensione biofisica. ➡Le leggi della termodinamica. Per la prima legge della termodinamica - legge della conservazione della materia - non è possibile né la creazione né la distruzione dell’energia o della materia ma la continua trasformazione della stessa. Per la seconda legge della termodinamica, o legge dell’entropia, l’energia può essere trasformata solo verso una maggiore dissipazione, cioè da uno stato più disponibile ad uno meno disponibile. Dalla prima legge segue la necessità di riciclare i materiali, dalla seconda legge segue un limite a tale operazione: non è realizzabile un riciclaggio totale. Il ciclo economico non è circolare: la produzione è un processo che utilizza energia a bassa entropia e rilascia energia ad alta entropia con rifiuti ed inquinamento e quindi determina cambiamenti irreversibili nell’ambiente. Per soddisfare i reali bisogni dell’uomo e garantire la sopravvivenza dobbiamo usare maggiormente l’energia solare, aiutare le nazioni sottosviluppate a raggiungere un buon livello di vita, avere una popolazione in linea con le possibilità di nutrizione di un’agricoltura organica e ridurre gli sprechi, anche progettando i beni in modo che siano durevoli e riparabili. ➡ La legge di entropia. La finitezza del nostro pianeta e delle sue risorse e la legge di entropia costituiscono un vincolo ineliminabile. Dati i limiti posti da leggi fisiche e biologiche, il superamento della condizione di povertà nei paesi svantaggiati richiede, secondo Georgescu-Roegen, la riduzione dei consumi e della produzione nei paesi ricchi, quindi una decrescita. L’attività di produzione è un processo che si basa sull’utilizzo di energia a bassa entropia e rilascia energia ad alta entropia con rifiuti ed inquinamento: è un processo evolutivo in cui le risorse sono sfruttate in modo irreversibile. Poiché ogni processo di produzione diminuisce la disponibilità di energia, e quindi le possibilità di produzioni future, è necessario riformulare le teorie economiche per incorporare questo principio. 
 • William Nordhaus. William Nordhaus con James Tobin pubblica Is Growth Obsolete? (in M. Moss, The Measurement of Economic and Social Performance, NBER,1973) introducendo nuove misure di benessere economico. I suoi principali temi di ricerca riguardano riscaldamento globale e cambiamenti climatici con l’elaborazione di modelli quantitativi per valutare l’interazione tra economia e clima e la proposta di penalizzare le emissioni di carbonio e di altri gas serra. Alcuni paesi potrebbero usare le tasse sul carbonio. Altri potrebbero attuare il loro impegno usando un meccanismo di cap-and-trade. I migliori meccanismi per incoraggiare la partecipazione dei paesi a basso reddito sarebbero una combinazione di assistenza finanziaria e tecnologica. • Il Club di Roma. L’allarme sull’esistenza di limiti è ulteriormente diffuso dalla pubblicazione di una ricerca commissionata al system dynamics group del MIT dal Club di Roma. Il Club di Roma è una associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili e capi di stato di tutti i continenti: la sua missione è individuare i principali problemi che l’umanità si trova ad affrontare, analizzandoli in un contesto mondiale e ricercando soluzioni alternative. Il rapporto del MIT (Meadows D. et al., The limits to growth, trad. it., I limiti dello sviluppo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1972) individua nella limitatezza delle risorse naturali della terra una scarsità assoluta. Basandosi su analisi simulative, predice che, se i tassi di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, e dello sfruttamento delle risorse continueranno inalterati, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Nel rapporto si considera la possibilità di modificare i tassi di crescita per giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica. Tale situazione di equilibrio non impedirebbe comunque un progresso dato che potrebbero svilupparsi “quelle attività che molta gente considera fonte delle più autentiche soddisfazioni: istruzione, arte, musica, letteratura, religione, filosofia, ricerca scientifica pura, sport, attività sociali…”. 
 • Herman Daly. L’attenzione ad una situazione di equilibrio è presente anche in Daly (Steady- State Economics: The Economics of Biophysical Equilibrium and Moral Growth, 1977, San Francisco, W. H. Freeman.) che considera lo stato stazionario la realizzazione di un’etica basata sulla solidarietà. Il giusto fine economico non deve essere la continua crescita della produzione, ma una ricchezza sufficiente e distribuita in modo equo. Lo stato stazionario non rappresenta la fine dell’incremento della ricchezza delle nazioni, ma la situazione ideale in cui, soddisfatti i bisogni fondamentali di tutti, l’aumento del benessere sarebbe possibile grazie a miglioramenti nell’educazione, nella formazione, nella salute, nella qualità ambientale. Secondo Daly (Toward some Operational Principles of Sustainable Development, Ecological Economics, 2, 1990) attualmente i maggiori vincoli alla produzione sono rappresentati dal capitale naturale e per questo contesta la possibilità di poterlo sostituire con capitale producibile. Queste tipologie di capitale sono sostituibili solo marginalmente; generalmente sono complementari e, in questo caso, la produttività di ciascuno dipende dalla disponibilità dell’altro. ➡ L'equità intergenerazionale e sostenibilità. L’equità intergenerazionale richiede di non ridurre il patrimonio naturale e ambientale. Le risorse rinnovabili sono utilizzate in modo sostenibile quando lo sfruttamento umano non altera la loro capacità di riprodursi e di mantenere determinate La Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro, 1992 La necessità di individuare un percorso per costruire uno sviluppo sostenibile conduce la comunità mondiale a riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro per riaffermare i principi adottati in precedenza e per incentivare nuovi livelli di cooperazione che consentano la definizione di accordi internazionali rivolti a tutelare l’integrità del sistema globale. La Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (anche denominata “Summit della Terra”) ha il grande merito di correlare ambiente e sviluppo (come già anticipato dalla Commissione Brundtland): la lotta contro la povertà e contro il degrado dell’ambiente sono requisiti complementari di qualsiasi politica di sviluppo. La Conferenza di Rio si conclude con l’approvazione di tre accordi e di due convenzioni: 1. Agenda 21. E’ un programma d’azione per uno sviluppo sostenibile da realizzare a scala globale, nazionale e locale. 2. Dichiarazione dei principi per la gestione delle foreste. Stabilisce in modo non vincolante i principi per la gestione, la conservazione e l’utilizzazione sostenibile delle foreste e sancisce il diritto degli Stati ad utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza però ledere i principi di conservazione 3. Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo. Definisce principi, diritti e obblighi delle nazioni; riconosce, quali presupposti per uno sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà, una politica demografica adeguata, la riduzione dei modi di produzione e consumo non sostenibili. -> Nella Dichiarazione di Rio si riconosce che pace, sviluppo e protezione dell’ambiente sono interdipendenti; la tutela dell’ambiente è parte integrante del processo di sviluppo e le azioni in materia di ambiente e sviluppo devono considerare gli interessi e le esigenze di tutti i paesi. 
 I Principi della Dichiarazione di Rio Diversi principi sono enfatizzati nella Dichiarazione: • Il principio di equità intragenerazionale e intergenerazionale secondo il quale il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente e allo sviluppo delle generazioni presenti e future. • Il principio precauzionale, enunciato in epoca precedente a Rio, è ripreso nella Dichiarazione come principio in base al quale, per la cura di beni fondamentali come la salute o l’ambiente, è necessaria l’adozione di misure preventive nei confronti di attività che possano costituire minacce o pericoli, anche se le relazioni di causa ed effetto non siano provate scientificamente. Infatti, in caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure idonee a prevenire il degrado ambientale. Questo principio non è accolto da tutti i paesi; alcuni, infatti, ritengono che misure per prevenire problemi ambientali e sanitari vadano prese solo se pienamente giustificate scientificamente e se il costo economico delle stesse non risulti eccessivo. • Il principio di diversa responsabilità stabilisce una responsabilità comune ma differenziata tra Stati industrializzati e in via di sviluppo in considerazione del differente contributo apportato al degrado ambientale globale e del fatto che gli standard adottati da alcuni paesi possono essere inadeguati per altri e soprattutto possono imporre ai paesi in via di sviluppo un costo economico e sociale ingiustificato. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile, date le pressioni che le loro società esercitano sull’ambiente globale e le tecnologie e le risorse finanziarie di cui dispongono. • Il principio chi inquina paga persegue l’obiettivo di addebitare ai responsabili dell’inquinamento i costi per prevenire, riparare o rimborsare i danni. L’ambiente inquinato produce danni, rischi e costi elevati sia come distruzione di beni e risorse ambientali sia come lesione della salute pubblica. Tutti coloro che utilizzano beni e risorse degradati sopportano l’onere dell’inquinamento. Un’effettiva applicazione del principio “chi inquina paga” comporta che i prezzi internalizzino i costi connessi alla tutela ambientale • Il principio di concertazione in base al quale si riconosce che la sostenibilità può essere realizzata solo con uno sforzo congiunto e coordinato fra tutti i livelli di governo e consensuale fra le parti sociali. Le due Convenzioni La Convenzione sulla biodiversità ha l’obiettivo di conservare la diversità biologica, garantire l’uso sostenibile ed una divisone giusta ed equa dei benefici che derivano dall’impiego delle risorse genetiche. La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici ha l’obiettivo di stabilizzare le emissioni dei gas che causano l’effetto serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umane con il sistema climatico. La diversità biologica Numerosità complessiva delle specie animali e vegetali presenti nella biosfera: la biodiversità contribuisce in maniera decisiva alla vita del pianeta. Gli scienziati stimano che attualmente sulla Terra ci siano 1,4 milioni di specie di piante e di animali. La biodiversità è minacciata dall’aumento della popolazione mondiale e dal danneggiamento degli habitat naturali: inquinamento, urbanizzazione, deforestazione e prosciugamento di zone paludose distruggono la vita allo stato naturale. Una gestione inadeguata dei settori agricolo, forestale e ittico accelera questo processo. La Convenzione sulla diversità biologica riconosce che la conservazione della diversità biologica è interesse comune dell’umanità e parte essenziale del processo di sviluppo: gli obiettivi della Convenzione sono la conservazione della diversità biologica, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. Conformemente alla carta delle Nazioni Unite e ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse applicando la propria politica ambientale e hanno il dovere di fare in modo che le attività esercitate sotto la loro giurisdizione o il loro controllo non pregiudichino l’ambiente di altri Stati o di regioni che si trovino al di fuori della giurisdizione nazionale. La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, sottoscritta a Rio de Janeiro nel 1992, ha l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umane con il sistema climatico. L’atmosfera della terra è composta da azoto per il 78%, ossigeno di 21% e 1% altri gas, fra i quali l’anidride carbonica che rappresenta appena lo 0,03 - 0,04%. Tuttavia, essa ed alcuni altri gas presenti nell’atmosfera, hanno la caratteristica di assorbire la radiazione termica. Questi gas sono conosciuti come gas serra poiché trattengono la radiazione termica mantenendo una temperatura media terrestre di 15 °C. Le attività dell’uomo, soprattutto la produzione di energia ottenuta bruciando combustibili fossili come carbone e petrolio, fanno aumentare la concentrazione dei gas serra presenti nell’atmosfera, producendo un aumento dell’effetto serra naturale. Le capacità naturali di assorbimento dell’anidride carbonica da parte delle foreste e degli oceani sono in grado di sottrarre all’atmosfera ed immagazzinare circa la metà delle emissioni antropogeniche globali; il resto si accumula in atmosfera e vi permane per periodi medi compresi fra un minimo di 5 anni e varie decine di anni. Secondo gli esperti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) i cambiamenti del clima globale sono in atto ed i futuri cambiamenti climatici sono inevitabili, dati i ritardi esistenti fra cause ed effetti nei processi climatici. I cambiamenti del clima producono e produrranno effetti di varia entità, alcuni gravi ed irreversibili. La convenzione indica le modalità per raggiungere l’obiettivo di evitare interferenze antropogeniche sul clima. 1. STRATEGIE DI ATTUAZIONE: prevenzione delle cause antropogeniche dei cambiamenti climatici (strategia di mitigazione), prevenzione delle conseguenze negative e dei danni causati dai cambiamenti climatici (strategia di adattamento). 2. PRIORITÀ DI ATTUAZIONE: i paesi industrializzati, maggiori responsabili, devono assumere il ruolo guida ed attuare per primi impegni ed obblighi. 3. IMPEGNI: protezione del clima, aiuti allo sviluppo dei paesi più poveri. 4. AZIONI: riduzione delle emissioni antropogeniche dei gas serra, aumento degli assorbitori naturali di tali gas serra, diminuzione della vulnerabilità territoriale e socio economica ai cambiamenti del clima, costituzione di fondi e opportune forme di cooperazione internazionale, trasferimento di nuove tecnologie, ricerca sui cambiamenti del clima, comunicazione e partecipazione dei cittadini (formazione, informazione). 
 Per dare attuazione agli impegni contenuti nella Convenzione UNFCCC è istituito un organo, definito «Conferenza delle Parti» (COP), al quale spetta il compito di controllare l’effettivo svolgimento delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi della Convenzione. 5. GLI SVILUPPI DELLA CONVENZIONE: UNITED NATIONS FRAMEWORK CONVENTION ON CLIMATE CHANGE Il cammino verso il Protocollo di Kyoto 1995 - Prima sessione della Conferenza delle Parti (COP1) a Berlino. Le Parti riconoscono che gli impegni dei paesi sviluppati di mantenere le emissioni dell’anno 2000 ai livelli del 1990 non consentono di perseguire l’obiettivo della Convenzione, cioè di evitare interferenze antropogeniche sul clima. 1997 - Durante la Conferenza delle Parti (COP3) a Kyoto è firmato il primo accordo internazionale con valenza legale che impone la riduzione dei gas ad effetto serra: il Protocollo di Kyoto. Il Protocollo, sulla base del principio di responsabilità comuni ma differenziate, impegna i paesi industrializzati ad una riduzione dei sei principali gas ad effetto serra rispetto ai valori del 1990 pari almeno del 5% durante il primo periodo di adempimento (entro il 2008 - 2012). I gas serra considerati sono: - Anidride carbonica; - Metano; - Protossido di azoto; - Idrofluorocarburi; - Perflouorocarburi; - Esafluoruro di zolfo. “Ogni gas climalterante ha un potenziale di riscaldamento che dipende dal tempo della sua permanenza nell’atmosfera e dalla sua capacità di assorbire la radiazione infrarossa proveniente dalla terra. Il GWP (Global Warming Potential) misura il contributo di un gas serra al riscaldamento globale rispetto all’anidride carbonica e dipende dal rapporto tra l’impatto causato da una certa quantità di un gas in un determinato lasso di tempo e quello provocato nello stesso periodo dalla medesima quantità di biossido di carbonio; viene generalmente misurato in tonnellate di CO2 equivalenti. I potenziali climalteranti dei vari gas sono stabiliti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).” Il Protocollo di Kyoto stabilisce che i paesi indicati nell’Annesso B del protocollo modifichino le loro emissioni di gas ad effetto serra secondo le percentuali mostrate nella seguente tabella riguardante i target di riduzione delle emissioni. 
 
 Il Protocollo stabilisce due requisiti per entrare in vigore. 1. Almeno 55 partecipanti alla Convenzione sul Clima devono ratificare il Protocollo. Tra le conferenze delle parti successive a Kyoto ricordiamo le più significative: • Nel 2007 a Bali la COP-13 (CPM 3 – Conference of the Parties serving as the Meeting of the Parties to the Kyoto Protocol - 3 Sessione della Conferenza delle Parti che funge da incontro delle Parti del Protocollo di Kyoto) ha stabilito una “Road map” sul dopo- Kyoto prevedendo meccanismi per agevolare il trasferimento di tecnologie per lo sviluppo di energia pulita dai Paesi più ricchi a quelli emergenti. • Nel 2009 si tiene a Copenhagen la COP-15 (CPM 5) per stabilire i nuovi impegni per il periodo successivo al 2012. L’obiettivo è la definizione di un accordo mondiale, legalmente vincolante, al fine di evitare l’aumento della temperatura media globale di oltre 2° C al di sopra dei livelli pre- industriali. Per questo obiettivo i paesi industrializzati (anche gli USA che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto e altri paesi come la Cina, attualmente maggior responsabile delle emissioni) dovrebbero ridurre consistentemente le emissioni di CO2 e fornire il supporto finanziario ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia USA, Cina, India, Brasile e Sud Africa propongono un accordo a cui in sessione plenaria molti PVS si oppongono fermamente. L’accordo, non approvato in assemblea plenaria, stabilisce l’obiettivo di un aumento massimo di temperatura globale di 2° C rispetto al livello preindustriale con azioni (non specificate) che rispettino il principio di equità. I Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo devono compilare delle tabelle attestando le riduzioni di gas ad effetto serra al 2020, praticamente su base volontaria. Viene previsto un fondo apposito – il Copenaghen Green Climate Fund – per azioni immediate di formazione, mitigazione, adattamento e riduzione delle emissioni con finanziamenti a breve ai Paesi più poveri (30 miliardi di dollari promessi per il periodo 2010-2012). Alla conferenza partecipano più di 190 paesi, confermando la grande attenzione a livello politico dei cambiamenti climatici, ma non si raggiunge l’obiettivo di un accordo giuridicamente vincolante. In definitiva al vertice di Copenhagen si decide di non superare la soglia di 2° C di aumento delle temperature e non di come questo debba avvenire. • Con il vertice di Cancun nel 2010 si riconosce ufficialmente un processo multilaterale di riduzione delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati. Con l’accordo di Cancun si richiede ai paesi sviluppati aderenti al Protocollo di Kyoto di ridurre le proprie emissioni del 25-40% entro il 2020, rispetto ai valori del 1990, e a tutti i i paesi sviluppati, includendo anche gli USA, di ridurre i gas serra secondo quanto richiesto nel IV rapporto IPCC. Per il «Green Climate Fund» si richiedono 100 miliardi di dollari all’anno, ma solo dal 2020 (30 nel primo triennio), per aiutare le nazioni in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici e ad impiegare tecnologie pulite. La gestione del fondo viene affidata per i primi tre anni alla Banca Mondiale. La deforestazione e il degrado delle foreste comportano perdite di biodiversità e l’incremento delle emissioni di CO2: secondo l’IPCC, le emissione medie annue causate dalla deforestazione durante gli anni ’90 ammontano a 5,8Gt di CO2, contribuendo al 20% delle emissioni globali. Si tratta quindi delle emissioni di CO2 dovute alle attività di deforestazione e di degrado forestale dei Paesi in via di sviluppo: le emissioni sono associate alla pratica della conversione delle foreste in terreni agricoli ad esempio e al rilascio del carbonio contenuto negli alberi quando essi vengono bruciati. • Con la conferenza di Durban nel 2011 si avvia un processo negoziale per la definizione di un trattato globale legalmente vincolante per tutti i paesi UNFCCC. Nella prima fase, fino al 2015, deve essere redatta la bozza del trattato da adottare nell’assemblea plenaria della ventunesima Conferenza delle Parti (COP-21) alla fine del 2015. Nella seconda fase, il trattato deve essere aperto alla sottoscrizione e alle ratifiche nazionali, secondo le procedure ONU, per entrare in vigore nel 2020. La grande novità del nuovo trattato è di includere Stati che non hanno ancora aderito a obblighi internazionali vincolanti, come gli Stati Uniti e la Cina: proprio la Cina contribuisce a questo risultato, con l’annuncio della possibilità di firmare un accordo vincolante sul clima, a condizione che sia rispettato il principio della responsabilità comune ma differenziata. Il Protocollo di Kyoto viene inoltre prolungato oltre la scadenza del 2012. • La diciottesima conferenza ha luogo a Doha, in Qatar a fine novembre 2012. I 194 paesi partecipanti trovano un accordo per estendere fino al 2020 il protocollo di Kyoto: tuttavia questo risultato è indebolito dal ritiro del Canada dal protocollo e dal fatto che Russia e Giappone decidono di non assumere impegni di riduzione al 2020. Questi paesi non vogliono infatti partecipare al secondo periodo per non danneggiare il mercato interno degli idrocarburi e le strategie energetiche nazionali. I Paesi firmatari sono quindi responsabili solo del 15 per cento delle emissioni di gas inquinanti e i principali responsabili delle emissioni di gas serra non prendono impegni vincolanti. Tra i paesi sviluppati sono esclusi Usa, Canada, Giappone, Russia e Nuova Zelanda e tra gli emergenti Cina (il principale emettitore), India, Brasile, Messico e Sud Africa. La prima fase del protocollo di Kyoto termina a fine dicembre 2012. Il secondo periodo di impegno riguarda il periodo fino al 2020. In questo secondo periodo la riduzione delle emissioni dovrebbe attestarsi tra il 25 e il 40 per cento rispetto ai livelli del 1990. I paesi sviluppati dovranno fornire nuovi aiuti finanziari per aiutare i Paesi del sud a fronteggiare i cambiamenti climatici. Si rimanda all’incontro successivo di Varsavia nel 2013 la presentazione di strategie per mobilizzare fondi per 100 miliardi di dollari per anno entro il 2020: si rimanda a Varsavia anche la definizione di accordi istituzionali in relazione al problema della riparazione delle perdite e dei danni causati ai paesi del sud per il riscaldamento globale. Viene, tra le altre cose, inoltre riaffermato l’obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura (2 gradi C) e la volontà di arrivare ad un protocollo o un accordo con valenza giuridica che riguardi tutti i Paesi (paesi emergenti e Stati Uniti) alla conferenza del 2015 con entrata in vigore nel 2020. -> Alcuni dati: i dati del 2011 mostrano che i principali responsabili delle emissioni sono Cina (28% del totale mondiale), Stati Uniti (16%), Unione europea (11%) e India (7%). Cina e India, rispetto al 2010, avrebbero aumentato le emissioni rispettivamente del 9,9% e del 7,5% mentre USA e UE avrebbero ridotto le loro emissioni rispettivamente dell’1,8% e del 2,8%. Secondo i dati emersi al vertice di Doha le emissioni globali del 2012 sono pari a 35.600 milioni di tonnellate, con un aumento del 2,6% rispetto al 2011 e del 58% rispetto ai livelli del 1990.Il protocollo di Kyoto (1990) prevedeva per i paesi firmatari una riduzione delle emissioni di CO2, del 5% rispetto al 1990 durante il primo periodo di adempimento (entro il 2008 - 2012). La conferenza di Varsavia A Varsavia si sarebbero dovute definire le regole per arrivare a un accordo quadro globale di riduzione delle emissioni di gas serra e per aiutare molti paesi ad adattarsi ai cambiamenti climatici in atto: Norvegia, Regno Unito, Unione europea, Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone, Svezia, Germania, Finlandia annunciano fondi per finanziare il Green Climate Fund. Sempre nel contesto della conferenza del 2013 viene inoltre stabilito il meccanismo internazionale di Varsavia per «Loss and Damage» allo scopo di proteggere le popolazioni dall’impatto di fenomeni climatici estremi. Il meccanismo Loss and Damage è un programma per affrontare le tematiche delle perdite economiche e dei danni associati agli eventi meteorologici estremi (tifoni ecc.) e agli eventi di lenta insorgenza nei Paesi in via di sviluppo. Gli effetti negativi di questi eventi infatti stanno già colpendo molti Paesi in via di sviluppo, particolarmente vulnerabili e con inadeguate capacità di contrasto, con una frequenza e intensità in aumento. Proprio a tal proposito a Varsavia è riconosciuta la specificità dell’argomento rispetto al più ampio quadro delle misure di adattamento ed è istituito un meccanismo internazionale «Warsaw international mechanism» per supportare le popolazioni più vulnerabili. -> REDD+ significa Reducing Emissions from Deforestation and Degradation in developing countries ed è un accordo su una serie di regole per ridurre le emissioni da processi di deforestazione e degradazione delle foreste. I concetti chiave in questo caso sono quindi la deforestazione e il degrado ambientale. Si devono ridurre le emissioni di CO2 dovute alle attività di deforestazione, di degrado forestale nei Paesi in via di sviluppo, oltre che le emissioni sono associate alla pratica della conversione delle foreste in terreni agricoli. In modo particolare il meccanismo REDD+ prevede che vengano pagati fondi ai Paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni riducendo la deforestazione. Si concordano in concreto una serie di regole volte a ridurre le emissioni da processi di deforestazione e di degradazione delle foreste con l’obiettivo di aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni dovute alla deforestazione stessa, responsabile di più del 15% delle emissioni globali di gas a effetto serra, grazie all’attribuzione di un valore economico alla conservazione delle foreste tropicali che rende quindi più conveniente la protezione piuttosto che l’abbattimento. 
 La conferenza di Lima La COP20 di Lima porta all’approvazione del “Lima Call for Climate Action” un documento sulle azioni da intraprendere e le tappe dei mesi successivi in vista dell’approvazione definitiva di un accordo sul clima a Parigi in occasione della Conferenza del 2015 (COP 21) che dovrebbe entrare in vigore dal 2020. Da Lima, ha poi seguito la famosa conferenza di Parigi. La COP di Parigi La COP21 sì svolge a Parigi dal 30 novembre al 11 dicembre del 2015 con l’obiettivo di raggiungere un accordo vincolante e universale sul clima per rafforzare la risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi di sradicare la povertà. L’accordo di Parigi, siglato tra 195 Paesi, definisce un piano d’azione per evitare cambiamenti climatici pericolosi: la sua entrata in vigore richiede la ratifica di almeno 55 Paesi, produttori del 55% delle emissioni globali. Una particolare attenzione viene rivolta al riscaldamento globale, i cui effetti sono sempre più visibili: i governi convengono di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’incremento a 1,5° (tuttavia, dai piani nazionali di azione per il clima presentati dai paesi, i cambiamenti non sono ancora sufficienti per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2oC) riconoscendo che questo obiettivo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico. Alla Conferenza di Parigi si cerca di stabilire un obiettivo a lungo termine sulle emissioni per invertire la rotta della crisi climatica: i Paesi, per fare ciò, devono puntare a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile e proseguire rapide riduzioni dopo quel momento per arrivare a un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo. Tutti i Paesi devono preparare, comunicare e mantenere degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari: si decide infatti di comunicare ogni cinque anni i propri contributi e di fissare obiettivi che rappresentino un progresso rispetto agli impegni precedenti. Tra le altre cose, i Paesi riconoscono l’importanza di evitare, minimizzare e affrontare perdite e danni associati agli effetti negativi del cambiamento climatico inclusi eventi meteorologici estremi: ecco quindi che il Meccanismo Internazionale di Varsavia (COP19) per le perdite ed i danni climatici associati agli impatti del cambiamento climatico viene sottoposto all’autorità della COP e può essere sviluppato e rafforzato secondo la decisione della COP. La discussione a Parigi verte anche sulla questione dei finanziamenti non indifferenti per la portata delle misure messe in campo: i Paesi sviluppati devono perciò fornire risorse finanziarie per assistere quelli in via di sviluppo. In concreto l’UE e altri paesi sviluppati continueranno a fornire finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per aiutarli sia a ridurre le emissioni che a diventare più resilienti agli effetti dei cambiamenti climatici. Per costruire reciproca fiducia tra i Paesi e per promuovere l’effettiva implementazione si accetta di comunicare i risultati raggiunti nell’attuazione dei rispettivi obiettivi: questo garantisce trasparenza e controllo. Il 22 aprile 2016, giorno di apertura alla firma del trattato e Giornata Mondiale della Terra, 175 Parti presso la sede delle Nazioni Unite di New York firmano. Non era mai successo che un trattato internazionale fosse firmato contemporaneamente e nello stesso luogo da un numero così elevato di paesi. Il 3 settembre 2016, al Summit del G20 in Hangzhou, Obama e Xi Jinping annunciano la ratificazione dell’accordo di Parigi: sono così 26 i Paesi che hanno ratificato; questi contribuiscono al 39% delle emissioni globali di gas serra. Con la ratifica dell’Accordo di Parigi da parte di Cina e Stati Uniti, seguita da quella del Brasile (12 settembre), si concretizza la possibilità che il trattato entri in vigore in anticipo rispetto a quanto atteso: il 5 ottobre 2016 sono raggiunti i requisiti per l’entrata in vigore del Trattato che avviene il 4 novembre 2016. Gli impegni presentati dai governi alla COP21 di Parigi sono un focus essenziale della conferenza: prima della COP21 si è chiesto ai governi di presentare i loro programmi per ridurre le emissioni (Intended nationally determined contibution), ma lo stesso governo francese stima che, sulla base degli impegni dichiarati, nel 2100 non si riuscirà a limitare l’incremento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali +2 gradi centigradi ma l’incremento stimato è +2,7. dell’evento: un numero crescente di studi sta imputando all’azione umana il rischio di eventi estremi di pioggia. La COP 25 La COP25 si doveva tenere a dicembre 2019 a Santiago, ma, per i disordini esistenti in quel paese, è stata ospitata a Madrid: la grande attenzione è sull’applicazione dell’articolo 6 dell’accordo di Parigi per stabilire le regole del mercato del carbonio. In base all’accordo di Parigi, ogni paese comunica il proprio piano per l’azione per il clima attraverso i contributi determinati a livello nazionale. Gli NDC rappresentano impegni volontari dei paesi per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici. L’articolo 6.2 dell'accordo di Parigi riconosce che i paesi possono partecipare alla cooperazione volontaria, compresi i mercati del carbonio, per raggiungere e migliorare i loro obiettivi climatici. I risultati di mitigazione (MO - Mitigation Outcomes) generati da progetti a basse emissioni di carbonio possono essere venduti a livello internazionale (ITMO - Internationally Transferred Mitigation Outcomes) e utilizzati dal paese acquirente per il raggiungimento dei propri NDC. Le difficoltà inerenti all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi Questo articolo serve ad aiutare i Paesi a rispettare i loro NDC grazie all’acquisto di risultati di mitigazione internazionali (ITMO) conseguiti altrove qualora non siano in grado di ridurre le emissioni secondo quanto dichiarato nei piani: questi risultati di mitigazione corrispondono a emissioni evitate in un altro Paese. Anche il Protocollo di Kyoto permetteva ai Paesi industrializzati con obblighi di riduzione di compensare le proprie emissioni comprando dei crediti di carbonio dai Paesi in via di sviluppo, non soggetti a tali obblighi. La novità rispetto al Protocollo di Kyoto, e punto di difficile negoziazione, è l’introduzione dei cosiddetti “corresponding adjustments”. L’accordo di Parigi richiede che le parti applichino una corretta contabilità per garantire che le riduzioni delle emissioni non vengano conteggiate dall’acquirente e dal venditore. Il paese che ospita il progetto deve effettuare un adeguamento corrispondente per permettere all’acquirente di conteggiare gli ITMO per il suo obiettivo NDC con una riduzione addizionale delle emissioni rispetto a quella prevista dal suo piano corrispondente agli ITMO venduti: perché l’acquirente possa conteggiare l’ITMO acquistato è necessario che il paese ospitante fornisca la prova di tale adeguamento. Questa prova è verificata nei rapporti di trasparenza (BTR) che i paesi devono presentare con un rischio per gli acquirenti dovuto alla possibile discrepanza temporale. • I risultati. Le profonde divisioni tra Paesi grandi emettitori e le Nazioni insulari, e tra Paesi in via di Sviluppo e Paesi industrializzati condizionano i risultati. I maggiori emettitori sono accusati di non aver presentato piani che consentano di non superare l’incremento di temperatura previsto dall’Accordo di Parigi e di non aver rispettato l’impegno al sostegno economico ai Paesi in via di sviluppo. La stessa presidentessa di Cop25 María Carolina Schmidt Zaldívar definisce i risultati “insufficienti per affrontare l’urgenza della crisi climatica”. “Oggi i cittadini del mondo ci stanno chiedendo di procedere più velocemente e meglio, in quanto a finanziamenti, adaptation e mitigation”. “Le nuove generazioni stanno aspettando di più da noi, abbiamo l’obbligo di essere all’altezza di questo compito”. Lo stato attuale della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici La COP26 si sarebbe dovuta svolgere a novembre 2020 a Glasgow, ma è stata rinviata all’anno successivo per l’emergenza coronavirus: la COP 26 è ospitata dal Regno Unito, a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021. La conferenza è in partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il Youth4Climate e la PreCOP26, si sono tenuti all’inizio di ottobre 2021. L’UNFCCC ha identificato quattro grandi obiettivi: 1. Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 °C; 2. Adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali; 3. Mobilitare i finanziamenti; 4. Collaborare. Ad ogni Paese si chiede di presentare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni entro il 2030 che permettano il raggiungimento di un sistema a zero emissioni nette entro la metà del secolo. In base all’accordo di Parigi, ogni Paese ha accettato di comunicare e aggiornare ogni cinque anni i propri obiettivi di riduzione delle emissioni: gli NDC devono permettere la limitazione dell’aumento della temperatura globale a 1,5. Per questo, ogni Paese dovrà: • Accelerare la transizione dal carbone all’energia pulita; • Ridurre la deforestazione; • Accelerare la transizione verso i veicoli elettrici; • Incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili. Collaborare. Ogni Paese dovrà stabilire le regole per rendere operativo l’accordo di Parigi e trovare una soluzione sui mercati del carbonio, con un sistema di crediti di carbonio che permetta la transizione a zero emissioni nette. Non solo, ma ogni Paese dovrà operare con strumenti in grado di migliorare la trasparenza, implementando la collaborazione tra governi, imprese e società civile, al fine di affrontare la crisi climatica. 
 Mobilitare i finanziamenti. I Paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima dal 2000: serve il contributo delle istituzioni finanziarie internazionali, della finanza pubblica e di quella privata. L’obiettivo di raggiungere, entro il 2020, 100 miliardi di dollari annui per supportare i Paesi vulnerabili non è stato ancora raggiunto (nel 2019, si sono sfiorati gli 80 miliardi): secondo le stime dell’OCSE, si potrebbe raggiungere quota 100 miliardi annui entro il 2023, con la prospettiva di aumentare l’impegno gli anni seguenti. Salvaguardare l’habitat e le comunità. I Paesi colpiti dai cambiamenti climatici devono essere in grado di: • Proteggere e ripristinare gli ecosistemi; • Costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per contrastare la perdita di abitazione, mezzi di sussistenza e di vite umane. La questione dei mercati di carbonio risulta ancora molto estremamente divisiva. Alcuni vedono il mercato del carbonio come un incentivo per i Paesi ad adottare forme di energia più verdi, per evitare di superare la propria soglia, altri ritengono che permetta manipolazioni. Durante la COP 26 più di 100 Paesi hanno sottoscritto il Global Methane Pledge per limitare le emissioni di metano: esso rappresenta infatti il secondo gas più nocivo per i cambiamenti climatici dopo l’anidride carbonica: è infatti in grado di trattenere una maggiore quantità di calore, anche se si dissolve più rapidamente nell’atmosfera. Limitare le emissioni di metano potrebbe quindi avere un effetto particolarmente importante sulla crisi climatica. 122 Paesi si sono impegnati in uno sforzo collettivo per ridurre le emissioni globali di metano di almeno il 30% dai livelli del 2020 entro il 2030, tra questi sei dei dieci principali responsabili delle emissioni di metano: Stati Uniti, Brasile, Indonesia, Nigeria, Pakistan e Messico. Continuano però a mancare all’appello economie importati come Iran, India, Cina e Russia. Il metano è rilasciato principalmente nei processi di produzione e trasporto di carbone, petrolio e gas naturale, ma anche dall’agricoltura e all’allevamento. Secondo un rapporto della Coalizione per il clima e l’aria pura, una riduzione significativa delle emissioni di metano potrebbe prevenire un aumento di 0,3 gradi centigradi delle temperature entro il 2040, evitare 255mila morti premature e 775mila visite mediche dovute a problemi respiratori. La COP 27 La Cop 27 si terrà a Sharm El Sheikh, in Egitto e dovrà affrontare seri problemi tra cui la crisi energetica e la corsa ai combustibili fossili di molti Paesi europei che si rifornivano dalla Russia, la previsione di un fondo specifico per le perdite e i danni dei Paesi più vulnerabili, causati dai cambiamenti climatici. Diventa necessaria e urgente la riduzione delle emissioni: secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres “Le emissioni globali di gas serra devono essere ridotte del 45% entro il 2030 per avere qualche speranza di raggiungere lo zero netto entro il 2050. Ma le emissioni stanno salendo a livelli record, e porteranno a un aumento del 14% in questo decennio”. I grafici sottostanti riportano la concentrazione dei gas serra nell’atmosfera così come osservati e analizzati dall’osservatorio di Mauna Loa: il trend è in continua crescita e questo è diventato oggi fonte di estrema preoccupazione. 
 5. We reaffirm our commitment to make every effort to accelerate the achievement of the internationally agreed development goals, including the Millennium Development Goals by 2015. 6. We recognize that people are at the centre of sustainable development and in this regard we strive for a world that is just, equitable and inclusive, and we commit to work together to promote sustained and inclusive economic growth, social development and environmental protection and thereby to benefit all. 7. We reaffirm that we continue to be guided by the purposes and principles of the Charter of the United Nations, with full respect for international law and its principles. 8. We also reaffirm the importance of freedom, peace and security, respect for all human rights, including the right to development and the right to an adequate standard of living, including the right to food, the rule of law, gender equality, women’s empowerment and the overall commitment to just and democratic societiesfor development. 9. We reaffirm the importance of the Universal Declaration of Human Rights, as well as other international instruments relating to human rights and international law. We emphasize the responsibilities of all States, in conformity with the Charter of the United Nations, to respect, protect and promote human rights and fundamental freedoms for all, without distinction of any kind as to race, colour, sex, language, religion, political or other opinion, national or social origin, property, birth, disability or other status. 10. We acknowledge that democracy, good governance and the rule of law, at the national and international levels, as well as an enabling environment, are essential for sustainable development, including sustained and inclusive economic growth, social development, environmental protection and the eradication of poverty and hunger. We reaffirm that to achieve our sustainable development goals we need institutions at all levels that are effective, transparent, accountable and democratic. 11. We reaffirm our commitment to strengthen international cooperation to address the persistent challenges related to sustainable development for all, in particular in developing countries. In this regard, we reaffirm the need to achieve economic stability, sustained economic growth, promotion of social equity and protection of the environment, while enhancing gender equality, women’s empowerment and equal opportunities for all, and the protection, survival and development of children to their full potential, including through education. 12. We resolve to take urgent action to achieve sustainable development. We therefore renew our commitment to sustainable development, assessing the progress to date and the remaining gaps in the implementation of the outcomes of the major summits on sustainable development and addressing new and emerging challenges. We express our determination to address the themes of the United Nations Conference on Sustainable Development, namely, a green economy in the context of sustainable development and poverty eradication, and the institutional framework for sustainable development. 13. We recognize that opportunities for people to influence their lives and future, participate in decision-making and voice their concerns are fundamental for sustainable development. We underscore that sustainable development requires concrete and urgent action. It can only be achieved with a broad alliance of people, governments, civil society and the private sector, all working together to secure the future we want for present and future generations. SUSTAINABLE DEVELOPMENT SUMMIT L’idea di nuovi target per il 2030, avanzata nel corso della conferenza delle NU sullo sviluppo sostenibile del 2012, a realizzazione nel summit tenuto a NY dal 25 al 27 settembre 2015. Il sustainable development summit lancia gli obiettivi di sviluppo sostenibile in sostituzione dei MDG. I MDG hanno fornito un quadro importante per lo sviluppo e progressi significativi sono stati realizzati in una serie di aree: i progressi però sono stati irregolari, in particolare in Africa, nei paesi meno sviluppati, nei PVS senza sbocco al mare e nelle piccole isole in via di sviluppo e alcuni degli obiettivi di sviluppo del millennio non sono stati raggiunti, in particolare quelli relativi alla salute materna, neonatale e infantile e alla salute riproduttiva. • La nuova agenda si basa sui MDG e cerca di completare ciò che non è stato raggiunto, in particolare riguardo i più vulnerabili, ma la sua portata va ben oltre. • Accanto alle priorità di sviluppo, quali l’eliminazione della povertà, la tutela della salute, l’accesso all’istruzione, la garanzia di sicurezza alimentare, stabilisce una vasta gamma di obiettivi economici, sociali e ambientali. Promette anche società più pacifiche e inclusive • Sono annunciati 17 obiettivi di sviluppo sostenibile con 169 target associati, integrati e indivisibili. Mai prima d’ora i leader avevano promesso un’azione e uno sforzo comuni in un’area così ampia e universale. Transforming pur world: the 2030 agenda for sustainable development Si tratta della risoluzione dell’Assemblea Generale (25 settembre 2015) nella quale all’intento del preambolo si legge: • “Questa Agenda è un piano d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Cerca anche di rafforzare la pace universale in una più ampia libertà. Riconosciamo che sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni, compresa la povertà estrema, è la più grande sfida globale e requisito indispensabile per uno sviluppo sostenibile.” • “Tutti i paesi e tutte le parti interessate, agendo in partenariato collaborativo, faranno attuare questo piano. Siamo decisi a liberare la razza umana dalla tirannia della povertà e a guarire e proteggere il nostro pianeta. Siamo determinati a intraprendere i passi audaci e trasformativi che sono urgentemente necessari per spostare il mondo verso un percorso sostenibile e resiliente. Mentre intraprendiamo questo viaggio collettivo, ci impegniamo a non lasciare indietro nessuno”. • “I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e i 169 traguardi stabiliti dimostrano la portata e l’ambizione di questa nuova Agenda universale. Partono dagli obiettivi di sviluppo del millennio per completare ciò che non è stato ottenuto. Cercano di realizzare i diritti umani di tutti, l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze. Sono integrati e indivisibili e si basano sulle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale”. People: Siamo determinati a porre fine alla povertà e alla fame, in tutte le forme e dimensioni e a garantire che tutti gli esseri umani possano realizzare il loro potenziale in dignità e l’uguaglianza e in un ambiente sano. Planet: Siamo determinati a proteggere il pianeta dal degrado, grazie a consumo e produzione sostenibili, gestendo in modo sostenibile le risorse naturali intraprendendo azioni urgenti sul cambiamento climatico, in modo da supportare le esigenze delle generazioni presenti e future Prosperity: Siamo determinati a garantire che tutti gli esseri umani possano godere di prosperità e realizzazione e che il progresso economico, sociale e tecnologico avvenga in armonia con la natura. Peace: Siamo determinati a promuovere società pacifiche, giuste e inclusive che siano libere dalla paura e dalla violenza. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace e non c’è pace senza sviluppo sostenibile. Partnership: Siamo determinati a mobilitare i mezzi necessari per attuare questa Agenda attraverso una rivitalizzata Global Partnership for Sustainable Development, basata su uno spirito di rafforzata solidarietà globale, incentrato in particolare sui bisogni dei più poveri e vulnerabili e con la partecipazione di tutti i paesi, di tutti i portatori di interessi e di tutte le persone Tre macro-aree Si tratta di 17 obiettivi relativi a tre macroaree: • Fine della povertà; • Promozione della prosperità per tutti; • Protezione dell’ambiente e contrasto ai cambiamenti climatici. I 17 obiettivi, uno dopo l’altro, sono nel dettaglio:
 1. NO POVERTY (end poverty in all its forms everywhere): Porre fine alla povertà in tutte le sue forme 2. ZERO HUNGER (end hunger, achieve food security and improved nutrition and promote sustainable agriculture): azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile 3. GOOD HEALTH AND WELL-BEING (Ensure healthy lives and promote well-being for all at all ages): garantire le condizioni di salute e il benessere per tutti a tutte le età. 4. QUALITY EDUCATION (ensure inclusive and equitable quality education and promote lifelong learning opportunities for all): offrire un’educazione di qualità, inclusiva e paritaria e promuovere le opportunità di apprendimento durante la vita per tutti. 5. GENDER EQUALITY (achieve gender equality and empower alla women girls): realizzare l’uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne. 6. CLEAN WATER AND SANITATION (ensure availability and sustainable management of water and sanitation for all): garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igenici per tutti. 7. AFFORDABLE AND CLEAN ENERGY (ensure access to affordable, reliable, sustainable and modern energy for all): assicurare l’accesso a energia pulita. A buon mercato e sostenibile per tutti. 8. DECENT WORK AND ECONOMIC GROWTH (promote sustained, inclusive and sustainable economic growth, full and productive employment and decent work for all): promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutti. 9. INDUSTRY, INNOVATION AND INFRASTRUCTURE (build resilient infrastructure, promote inclusive and sustainable industrialization and foster innovation): costruire infrastrutture resilienti, promuovere l’industrializzazione sostenibile e inclusiva e favorire l’innovazione. 10. REDUCED INEQUALITIES (reduce inequality within and among countries ): ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i paesi; 11. SUSTAINABLE CITIES AND COMMUNITIES (make cities and human settlements inclusive, safe, resilient and sustainable): rendere le città e gli insediamenti umani sicuri, inclusivi, resilienti e sostenibili 12. RESPONSIBLE CONSUMPTION E PRODUCTION (ensure sustainable consumption and production patterns):garantire modelli di consumo e produzione sostenibili. 13. CLIMATE ACTION (take urgent action to combat climate change and its impacts): agire con urgenza per combattere il cambiamento climatico ed i suoi impatti. 14. LIFE BELOW WATER (conserve and sustainably use the oceans, seas and marine resources for sustainable development): salvaguardare gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile. 15. LIFE ON LAND (protect, restore and promote sustainable of terrestrial ecosystems, sustainably manage forests, combat desertifications, and halt and reserve land degradation and halt biodiversity loss): proteggere, ristabilire e promuovere l’uso sostenibile degli esosistemi terrestri, la gestione sostenibile delle foreste, combattere la desertificazione, fermare e invertire il processo di degradazione del suolo e arrestare la perdita della biodiversità. 16. PACE, JUSTICE AND STRONG INSTITUTIONS (promote peaceful and inclusive societies for sustainable development, provide access to justice for all and build effective, accountable and inclusive institutions at all levels): promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo Il Trattato di Amsterdam, 1997 Il concetto di sviluppo sostenibile, inserito nella legislazione dell’UE nel trattato di Maastricht, diventa con il trattato di Amsterdam uno degli obiettivi prioritari dell’UE. Il nuovo trattato del 1997 (entrato in vigore nel 1999) prevede l’integrazione della tutela ambientale nella definizione e attuazione di tutte le altre politiche economiche e sociali dell’Unione, segnando l’inizio d un’azione comunitaria orizzontale. L’articolo 2 del trattato di Amsterdam afferma che:
 “la comunità ha il compito di promuovere nell’insieme della comunità, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria, mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 3 A, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.» I principi in materia ambientale del trattato di Amsterdam sono: • Il principio di precauzione; • Il principio dell’azione preventiva; • Il principio di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati sull’ambiente; • Il principio di “chi inquina paga”.
 Il Consiglio europeo di Lisbona, 2000 Il nuovo approccio trasversale e integrato dalla politica ambientale è confermato dalla strategia di sviluppo elaborata dal consiglio europeo di Lisbona del 2000: l’obiettivo strategico per il nuovo decennio è “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 2000 Durante il consiglio europeo di Nizza è approvata la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che garantisce i diritti fondamentali a tutti i cittadini degli stati facenti parte dell’Unione. Nel Preambolo della Carta, infatti, figura tra gli obiettivi comunitari quello di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile". All'art. 37 della stessa viene affermato che "un elevato livello di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile". Il sesto programma d’azione a favore dell’ambiente Il sesto programma d’azione a favore dell’ambiente “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” definisce le priorità della comunità europea fino al 2010. Il programma sottolinea la necessità di operare con il mercato, di coinvolgere i cittadini, di sviluppare un mercato più ecologico, rendendo i prodotti maggiormente compatibili con l’ambiente nell’arco dell’intero ciclo di vita, di migliorare l’applicazione della legislazione ambientale. Il sesto programma d’azione per l’ambiente considera quanto settori primari: • Il cambiamento climatico; • La diversità biologica; • L’ambiente e la salute; • La gestione sostenibile delle risorse e dei rifiuti. Il consiglio europeo a Göteborg Nel 2001 a Göteborg, l’Unione europea approva una strategia sostenibile che integra l’impegno politico dell’Unione per il rinnovamento economico e sociale aggiungendo alla strategia di Lisbona una terza dimensione, quella ambientale: lo sviluppo sostenibile richiede soluzioni globali. In particolare, l’UE dovrebbe promuovere le questioni di governo mondiale dell’ambiente: essa si impegna a fare dello sviluppo sostenibile un obiettivo della cooperazione bilaterale allo sviluppo e di tutte le organizzazioni internazionali, comprese le agenzie specializzate. Il consiglio di Göteborg individua una serie di obiettivi e misure di orientamento generale per il futuro sviluppo di politiche in quattro settori prioritari come per cambianti climatici e si riafferma l’impegno a conseguire gli obiettivi di Kyoto, riconoscendo che però il protocollo di Kyoto è solo una prima tappa. Trasporti. Una politica sostenibile in materia di trasporti dovrebbe affrontare i volti di traffico e i livelli di cogestione, rumore e inquinamento crescenti e promuovere l’impiego di modi di trasporto rispettosi dell’ambiente nonché la piena internalizzazione dei costi sociali e ambientali. È necessario intervenire per operare una scissione significativa tra crescita dei trasporti e crescita del PIL, in particolare passando dai trasporti su strada ai trasporti su rotaia e su vie navigabili e ai trasporti pubblici di passeggeri. Sanità pubblica. L’UE deve rispondere alle preoccupazioni dei cittadini in merito alla sicurezza e alla qualità dei prodotti alimentari, all’utilizzazione delle sostanze chimiche e ai temi relativi alle epidemie di malattie infettive e alla resistenza agli antibiotici. Risorse naturali. Occorre modificare la relazione tra crescita economica, consumo di risorse naturali e produzione di rifiuti: la forte crepita economica deve andare di pari passo con un utilizzo delle risorse naturali e una produzione di rifiuti che siano sostenibili, salvaguardando la biodiversità, preservando gli ecosistemi ed evitando la desertificazione. L’UE e il protocollo di Kyoto. Con la decisione del consiglio del 25 aprile 2002, l’UE ratifica il protocollo di Kyoto: con tale decisione, l’impegno europeo alla riduzione dell’8% diventa anche giuridicamente vincolante. I contributi alla riduzione delle emissioni sono articolati in obiettivi nazionali differenziati fra gli Stati membri in considerazione delle aspettative di crescita economica, della situazione energetica e della struttura industriale di ciascuno. Gli obiettivi nazionali sono i seguenti: • Per il primo periodo di adempimento del protocollo ci sono dei vincoli di riduzione differenziati tra pesi guardando alle responsabilità storiche e alla disponibilità tecnologica che permettono a molti paesi di ridurre le emissioni di gas serra senza contrastare altri obiettivi dell’UE, ma altri paesi come la Spagna, la Grecia e il Portogallo aumentano in modo rilevante le loro emissioni: in ogni caso, il risultato complessivo per l’UE sarebbe stato quello di ridurre le emissioni dell’8% rispetto al 1990. L’UE, ispirata da quel modello che non entrava in vigore, ha introdotto: Il sistema europeo di emission trading. Il protocollo di Kyoto prevede dispositivi flessibili per favorire il raggiungimento degli obiettivi, che risulterebbero altrimenti eccessivamente costosi per i paesi dell’UE. La direttiva 2003/87/EC sull’Emission Trading istituisce un sistema di scambio di quote di emissioni di gas effetto serra all’interno dell’UE (European Union Emissions Trading scheme EU-ETS) ispirandosi al sistema IET (International Emission Trading). Questo meccanismo non ha funzionato bene e la dinamica di questi permessi non ha costituito un rilevante incentivo ad abbattere perchè l’allocazione di tipo gratuito e i miglioramenti delle tecnologie hanno causato la flessione die prezzi dei permessi. Sistemi di regolazione diretta e indiretta. Un sistema, se ben controllato sanzionando eventualmente gli adempienti, prevede delle norme e da delle certezze riguardo il risultato (regolazione diretta), controllando anche che gli agenti rispettino quel livello. Un sistema di regolazione indiretta invece crea incentivi e disincentivi e si dovrebbe avere la certezza di conoscenza di un determinato livello: certamente saranno più incentivati a ridurre le emissioni quelli che riescono a farlo un misura più economica, non obbligando tutti ad uno stesso standard ma permette agli agenti di agire dove è meno costoso farlo, quindi è un sistema di costi-efficacia. Perchè il sistema di regolazione diretta ha un beneficio di costi-efficacia? Perchè lo standard obbliga tutti al rispetto di una regola, indipendentemente dal fatto che sia molto o poco costoso attenersi a quella regola. Per quanto riguarda il sistema di emission trading, trattandosi comunque di un sistema di permessi dove questa attività viene stabilita dal regolatore, si tratta di un sistema di regolazione diretta perché si distribuisce tra gli agenti un numero di permessi che rispetti la riduzione, per esempio, del 6,5% con azoni italiane da attuare in Italia o dove risulta conveniente farlo. Ha quindi il beneficio di ottenere questo risultato al minor costo possibile e quindi anche questo è un sistema di costi-efficacia perché sarà l’agente ad avere un vantaggio dato che vede il prezzo del permesso, sul mercato, inferiore rispetto a quello che pagherebbe comprandolo in proprio. Questo sistema ingloba i benefici del sistema di regolazione diretta perché si ha la certezza della quantità di emissioni ma anche i benefici del sistema di regolazione indiretta e quindi il costo-efficacia perché permette di avere il minor costo possibile grazie alla regolazione del mercato. Perché questo sistema, pur essendo meglio degli altri, non viene implementato di più? Che cosa permette a questo sistema di essere costo-efficacia? La negoziabilità: se i permessi non fossero negoziabili, questo vantaggio non ci sarebbe. Un sistema di permessi negoziabili potrebbe essere funzionale per qualunque tipo di esternalità? O il tipo di esternalità deve essere particolare per permettere una negoziabilità globale?
 Le emissioni di gas serra sono definite un problema globale perché il loro effetto non dipende dal luogo dove avvengono dato che l’effetto finale, in termini di concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, non cambia a seconda del luogo di concentrazione.
 Un sistema di controllo delle polveri sottili potrebbe funzionare con un sistema di permessi negoziabili?
 No, perché le polveri sottili rilevano essenzialmente dove vengono emesse a seconda delle zone della città e quindi è chiaro che il luogo dove avvengono le emissioni incide e non si potrebbe fare una negoziazione alla pari tra un ambiente incontaminato e una città piena di polveri sottili. Il sistema dei permessi funziona bene dove non è rilevante il luogo di emissione; invece, dov’è rilevante il luogo da tutelare questo sistema dei permessi diventerebbe difficile da conciliare. Il sistema europeo di Emission Trading prevede la fissazione di un limite massimo (cap)alle emissioni realizzate dagli impianti industriali che ricadono nel campo di applicazione della direttiva attraverso un Piano Nazionale di Assegnazione (PNA) con il quale viene assegnato un certo numero di quote di emissioni a ciascun impianto che rientri nelle categorie previste dalla direttiva(settori maggiormente responsabili delle emissioni di C02). Il campo d’applicazione della direttiva riguarda le attività ed i gas elencati nell’allegato I della direttiva stessa; in particolare le emissioni di anidride carbonica provenienti da attività energetiche (impianti di combustione oltre una certa potenza calorifica),produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, industria dei prodotti minerali, altre attività (pasta per carta, carta e cartoni). Le quote d’emissioni vengono rilasciate dalle autorità competenti all’operatore di ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di assegnazione nazionale. Un sistema di questo tipo crea delle enormi disparità tra i presenti e gli assenti (quelli che entreranno in futuro).
 Nel protocollo di Kyoto l’assegnazione delle quote è avvenuta tramite vari parametri (responsabilità storica etc...) ed escludeva i PVS. Tale piano deve essere predisposto da ciascun Stato membro e deve indicare la quantità di quote da assegnare e le modalità di assegnazione.nSecondo la direttiva nel primo periodo (2005-2007) almeno il 95% delle quote deve essere assegnato gratuitamente e nel successivo quinquennio 2008-2012 almeno il 90%. Nel terzo periodo (2013-2020) la gratuità nell’assegnazione non è più la norma prevalente ma è prevista la vendita all’asta. Ciascuna quota (European Unit Allowance) attribuisce il diritto ad emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente in atmosfera nel corso dell’anno di riferimento
 Se le emissioni effettive annuali risultano inferiori al cap, le quote di emissioni eccedenti possono essere cedute, creando un mercato delle quote di emissione. Nel caso di inadempimento al gestore dell’impianto è comminata una sanzione pari a40 euro, per il periodo 2005-2007, per ogni tonnellata di biossido di carbonio emessa per la quale non sia stata restituita la quota, con un aumento della sanzione a 100 euro/quota nel quinquennio successivo. perché si conviene che saranno necessarie considerevoli risorse per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare in modo opportuno i cambiamenti climatici. La conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Parigi Dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 si svolge a Parigi la conferenza sul clima. Si tratta della 21a sessione della conferenza delle parti (COP 21)della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e della 11a sessione della riunione delle parti del protocollo di Kyoto (CMP11). Le delegazioni di circa 150 paesi si incontrano per negoziare un nuovo accordo, globale e giuridicamente vincolante, sui cambiamenti climatici. Qui l’approccio seguito è diverso da quello di Kyoto: ogni paese ha presentato cosa intende fare per il suo futuro ma questi impegni non sono in sintonia con l’obiettivo dell’accordo di Parigi. Il Consiglio europeo sottolinea la necessità che l’Unione europea e i suoi Stati membri ratifichino l’accordo di Parigi al più presto, per esserne parti fin dall’entrata in vigore: esso sottolinea inoltre l’impegno dell’UE di ridurre le emissioni di gas a effetto serra a livello interno e ad aumentare la quota di energie rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica. Il Consiglio Ambiente decide di procedere alla ratifica a livello di UE. Gli Stati membri possono ratificare congiuntamente all’UE nel caso in cui abbaino completato le loro procedure nazionali, o successivamente non appena possibile.n Il 5 ottobre 2016 l’UE ratifica l’accordo di Parigi che entra in vigore già il 4 novembre 2016.n Questo successo è reso possibile dal raggiungimento delle due condizioni per l’entrata in vigore: la prima condizione è soddisfatta (con la ratifica di60 Parti) il 21 settembre, in occasione di un evento convocato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon presso la sede delle Nazioni Unite, in cui i leader di tutto il mondo sono invitati a depositare i propri strumenti di ratifica, la seconda condizione è raggiunta è il 5 ottobre. Grazie alle ratifiche dell’Unione Europea e di diversi suoi stati membri (Austria, Francia, Germania, Malta, Ungheria, Portogallo, Slovacchia), della Bolivia, del Canada e del Nepal si raggiunge la copertura del 58,82% delle emissioni globali di gas serra. Conclusioni del consiglio dopo la decisione dell’amministrazione usa di recedere dall’accordo di Parigi Il Consiglio esprime rammarico perla decisione unilaterale dell’amministrazione statunitense di Trump di recedere dall’accordo di Parigi ed accoglie con favore le numerose e forti dichiarazioni di impegno nei confronti dell’accordo sia da parte delle grandi economie che dei piccoli Stati insulari. Si tratta di un accordo multilaterale senza precedenti per affrontare un problema globale e richiede una responsabilità collettiva nei confronti dell’intero pianeta per la generazione attuale e quelle future e l’impegno ad agire di conseguenza. Secondo il Consiglio l’accordo di Parigi è idoneo allo scopo e non può essere rinegoziato: il Consiglio ribadisce, nelle sue conclusioni, che UE e i suoi Stati membri restano uniti e assolutamente impegnati nella rapida attuazione dell’accordo di Parigi, rammentando la particolare responsabilità delle grandi economie, che rappresentano circa l’80%delle emissioni mondiali. Gli obiettivi stabiliti dall’accordo sul quadro per le politiche dell’energia e del clima 2020-2030: con l’accordo sul quadro a orizzonte 2030, il consiglio europeo approva diversi importanti obiettivi poi rivisti al rialzo nel 2018. Tra gli obiettivi del quadro quadro fino al 2030 è possibile riscontare: • Una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas ad effetto serra (rispetto ai livelli del 1990); • Una quota almeno del 32% di energia rinnovabile; • Un miglioramento almeno del 32,5% dell’efficienza energetica. Tra i benefici invece sono individuabili diversi aspetti positivi: • Progredire verso un sistema a basse emissioni di carbonio; • Assicurare energia a prezzi accessibili a tutti i consumatori; • Rendere più sicuro l’approvvigionamento energetico dell’UE; • Ridurre la dipendenza europea dalle importazioni di energia; • Creare nuove opportunità di crescita e posti di lavoro. Gli stati membri sono tenuti a tal riguardo a adottare piani nazionali integrati per il clima e l’energia nel periodo 2020-2030, ovvero i cosiddetti piani nazionali. Un bilancio Gli obiettivi del pacchetto 20-20-20 sono stati raggiunti: le emissioni fra il 1990 ed il 2019 si sono ridotte del 23% in presenza di una rilevante crescita economica. Obiettivi più ambiziosi sono stati fissati per il 2030 e alla fine del 2019 i 27 Stati membri hanno inviato i Piani energetici e climatici, per il periodo 2021-2030, con il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi alla Commissione che, in base a tali piani, stima per il 2030 una quota di energie rinnovabili al 33%, una crescita dell’efficienza energetica con un risparmio del 30%, una riduzione del 41% delle emissioni di gas a effetto serra. Il Green Deal La Commissione presenta nel dicembre 2019 il Green Deal europeo, impegnando si a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Questi sono i passi previsti a tal proposito: • Marzo 2020: La Commissione propone una normativa europea sul clima per trasformare in legislazione vincolante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050; • Settembre 2020: La Commissione propone un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni nette di almeno il55% entro il 2030 a livello dell’UE, proponendo di inserirlo nella normativa europea sul clima; • Dicembre 2020: I leader europei approvano l’obiettivo proposto dalla Commissione di ridurre le emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030; • Aprile 2021: Il Parlamento europeo e gli Stati membri raggiungono un accordo politico sulla normativa europea sul clima; • Giugno 2021: Entra in vigore la normativa europea sul clima; • Luglio 2021: La Commissione presenta un pacchetto di proposte per trasformare l’economia europea al fine di raggiungere gli obiettivi climatici per il 2030.IlParlamento europeo e gli Stati membri negoziano e adottano un pacchetto legislativo per raggiungere gli obiettivi climatici per il 2030; • 2030: L’UE si è impegnata a ridurre le emissioni di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990; • 2050: L’UE diventerà il primo continente a impatto climatico zero. 
 Il Green Deal promuove l’uso efficiente delle risorse per arrivare ad un’economia pulita e circolare, fermare il cambiamento climatico, invertire la perdita di biodiversità e ridurre l’inquinamento. Nel piano sono considerati gli investimenti necessari e gli strumenti di finanziamento disponibili per garantire una transizione giusta e inclusiva in tutti i settori dell’economia. Per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica è necessario:
 • Investire in tecnologie rispettose dell’ambiente; • Sostenere l’innovazione delle industrie; • Introdurre forme di trasporto pubblico e privato più pulite, più economiche e più sane; • De-carbonizzare il settore energetico; • Garantire edifici più efficienti dal punto di vista energetico. 
 I vantaggi del Green Deal europeo Il Green Deal europeo accrescerà il benessere e migliorerà la salute dei cittadini e generazioni future, offrendo aria e acqua pulite, con un suolo sano e biodiversità, edifici rinnovati ed efficienti dal punto di vista energetico, cibo sano e a prezzi accessibili, più trasporti pubblici ed energia più pulita e innovazione tecnologica pulita d’avanguardia. Non solo: si cerca di fornire prodotti che durano più a lungo, che possono essere riparati, riciclati e riutilizzati, posti di lavoro adeguati alle esigenze future, affiancati da una formazione delle competenze per la transizione al fine di plasmare un’industria competitiva e resiliente a livello globale. 
 FIT FOR 55 
 L’obiettivo del Fit for 55 è quello di ridurre le emissioni del 55% rispetto al1990 entro il 2030 richiede una revisione profonda delle politiche energetiche e climatiche dell’Unione europea: tale revisione è contenuta nel pacchetto “Fit for 55” adottato dalla Commissione il 14 luglio 2021.
 L’aumento dell’efficienza energetica è di fatti una priorità e un contributo fondamentale del risparmio energetico dovrà venire dagli edifici per il cui efficientamento potranno essere utilizzati i fondi del Recovery Plan e questo potrebbe favorire il raggiungimento di altri obiettivi. Il contributo di fonti rinnovabili al mix energetico deve arrivare al 40% per il 2030 confidando sulla riduzione del loro costo (nel 2019 solare ed eolico nella UE hanno superato il carbone nella produzione di elettricità).
 È necessario rivedere il sistema di scambio delle emissioni, con un incremento della percentuale di riduzione e un ampliamento dei settori inclusi (trasporti terrestri ed edifici): la progressiva riduzione delle emissioni di CO2 deve riguardare anche auto e furgoni (emissioni zero nel2035).
 Si propone così un Carbon Border Adjustment Mechanism, cioè una carbon tax sulle importazioni di cemento, ferro, acciaio, alluminio, fertilizzanti e elettricità per proteggere questi settori dalla concorrenza di produttori non soggetti agli standard ambientali europei ed evitare la delocalizzazione di certe produzioni verso nazioni con standard ambientali meno stringenti. Il pacchetto riguarda anche una revisione del Regolamento sull’uso dei terreni e delle foreste che possono contribuire alla variazione delle emissioni del Regolamento Effort Sharing per la riduzione delle emissioni nei settori non coperti dal sistema di scambio delle emissioni. scienziati facevano, si è esteso il concetto all’intero pianeta, cercando di capire e cogliere la capacità di carico del pianeta in termini di popolazione. La risposta è però variabile perchè riguarda i modelli di consumo e produzione degli individui stessi: secondo gli esperti che hanno analizzato lo stato del pianeta e il ritmo attuale di consumo delle risorse (siano essere il terreno fertile, l’acqua, le risorse forestali, le specie animali e quelle ittiche) la popolazione umana entro il 2035 avrà un consumo pari a due volte la capacità del pianeta terra. Questa situazione è la conseguenza della crescente domanda umana di risorse alimentari, di energia e di acqua: la crescita della popolazione e dell’economia mondiale causa una crescita della pressione sulla biodiversità. Un miglioramento della tecnologia e nell’impiego delle risorse potrebbe alleviare tale pressione. La crescita della popolazione è quindi spesso accompagnata all’aumento della domanda di tutto quanto è necessario per vivere: migliorare l’efficienza nello sfruttamento delle risorse sicuramente potrebbe essere una soluzione ma la pressione legata all’aumento della popolazione rimane comunque molto forte. La pressione umana Bisogna considerare quindi senza ombra di dubbio che la crescita della popolazione ha degli impatti molto forti non soltanto perchè utilizza delle risorse, ma perché anche solo la creazione delle strutture atte ad essere abitate implica la trasformazione degli habitat stessi e quindi la loro frammentazione. Spesso perciò le attività umane comportano la perdita, la frammentazione o la trasformazione di habitat che portano (a causa di scopi agricoli ad esempio) anche al decrescere delle specie che vi vivono. Si hanno poi impatti legate al sovrasfruttamento di specie, principalmente per attività venatorie e di pesca: questo ovviamente è accompagnato all’inquinamento, alla diffusione di specie di geni invasivi che hanno forti impatti sula crescita dello sviluppo sostenibile e ai cambiamenti climatici. I cambiamenti negli ecosistemi L’habitat naturale risulta alterato o frammentato a causa della sua conversione per colture, pascoli, acquacoltura e per l’uso industriale e urbano. I sistemi fluviali vengono alterati dalle dighe, dall’uso irriguo e dalla produzione di energia idroelettrica: gli ecosistemi marini, in particolare i fondali, subiscono un degrado fisico a causa della pesca a strascico. L’uomo ha quindi un impatto sul cambiamento dell’habitat fisico che hanno modificazioni anche sugli ecosistemi. Il primo impatto di cui ci si è preoccupati e che si è cercato di normare è stato quello del sovrasfruttamento di una singola specie: il sovrasfruttamento delle popolazioni di specie selvatiche, in conseguenza dell’uccisione di animali e della raccolta di piante a scopo alimentare, materiali o medicine, avviene a una velocità superiore alla capacità riproduttiva della popolazione. Il sovrasfruttamento costituisce la minaccia principale per la biodiversità marina: la pesca eccessiva ha ad esempio devastato molti stock ittici di interesse commerciale. Di fatto però per salvaguardare una certa specie non basta proteggerla con delle norme ad hoc ma bisogna anche porla nelle condizioni di vivere e proliferare all’intento di un certo habitat che va conservato. Il sovrasfruttamento costituisce una grave minaccia anche per molte specie terresti: il prelievo eccessivo di legname e legna da ardere ha portato alla perdita delle foreste e delle popolazioni di animali e piante ad esse associate. Le specie invasive, introdotte deliberatamente o accidentalmente, sono diventate competitori, predatori o parassiti delle specie autoctone e sono responsabili della diminuzione di molte di queste specie stesse: c’è risulta particolarmente importante negli ecosistemi insulari e d’acqua dolce dove le specie invasive costituiscono la minaccia principali per le specie endemiche. Un’altra importante causa della perdita di biodiversità è rappresentata dall’inquinamento e soprattutto ciò si riscontra negli ecosistemi acquatici: l’eccessivo carico di nutrienti, conseguente all’incremento dell’impiego in agricoltura di fertilizzanti, causa l’eutrofizzazione e l’impoverimento dell’ossigeno disciolto nelle acque. L’inquinamento di sostanze chimiche tossiche deriva dall’utilizzo di pesticidi, dai rifiuti industriali e da quelli minerari: in futuro la più grande minaccia alla biodiversità potrebbe essere costituita dai cambiamenti climatici. La responsabilità umana Queste minacce e pressioni derivano dalla crescente domanda umana di cibo, acqua, energia e materiali: comprendere le interazioni fra biodiversità, cause primarie della perdita di biodiversità stessa e l’impronta antropica è fondamentale per rallentare, interrompere e invertire l’attuale trend di declino degli ecosistemi naturali e delle popolazioni di specie selvatiche. -> i maggiori cambiamenti degli ecosistemi sono imputabili all’azione umana: in natura però c’è un equilibrio che non viene mantenuto nell’azione umana, azione legata al bisogno di cercare elementi rari. L’uomo è anche il predatore che è in grado di valutare il risultato i risultati delle proprie azioni. Gran parte delle minacce alla sostenibilità deriva proprio dal comportamento umano. L’importanza dei servizi degli ecosistemi La protezione degli ecosistemi è fondamentale in quanto sono essi a fornire servizi di supporto come il ciclo dei nutrienti e la formazione del suolo, i servizi di fornitura quali la produzione di cibo, acqua potabile, materiali e combustibile, i servizi di regolazione, come quella del clima e delle maree, la depurazione delle acque, l’impollinazione e il controllo delle infestazioni così come anche servizi culturali, e stitici, spirituali, educativi e ricreativi. Gli ecosistemi forniscono tutti questi servizi che sono gratuiti e non vengono considerate adeguatamente dal punto di vista delle scelte umane. La perdita della biodiversità contribuisce all’insicurezza alimentare ed energetica, aumenta la vulnerabilità ai disastri naturali, come inondazioni o tempeste tropicali, diminuisce il livello di salute e riduce la disponibilità e la qualità delle risorse idriche e intacca l’eredità culturale. La maggior parte dei servizi ecosistemi di supporto, regolazione e culturali non sono commercialmente acquistabili e rivendibili e non possiedono perciò un valore finanziario di mercato. Il deterioramento degli ecosistemi, soprattutto quando non si transita per mezzo del mercato, non lanciano segnali. Purtroppo per quanto riguarda la sostenibilità, non si hanno segnali di mercato in quanto molti dei servizi forniti dall’ecosistema non hanno un vero e proprio valore di mercato. Il modello I = PAT Paul Ehrlich e Johannesburg Holden propongono una relazione per misurare l’impatto della specie umana sui sistemi naturali sull’ambiente: essi osservano che l’entità dell’impatto è condizionata alla dimensione della popolazione, al modello di costumo della popolazione e la tecnologia integrata per la produzione. L’impatto di qualsiasi gruppo umano sull’ambiente risulta dal prodotto di tre fattori, in quanto l’impact è di fatto caratterizzato da: 1. Numero di individui (population); 2. La misura del consumo medio di risorsa per persona (affluence); 3. Un indice della dannosità ambientale delle tecnologie che forniscono i beni consumati (technology). L’entità dell’impatto è quindi condizionata alla dimensione della popolazione, al modello di consumo di tale popolazione e alla tecnologia impiegata per sostenere, attraverso la produzione, tale modello di consumo. In base all’impatto che queste tre variabili hanno sullo sviluppo sostenibile, si può osservare come paesi che hanno un modello di consumo e di produzione poco sostenibile possono avere anche un impatto grande anche se hanno una popolazione contenuta e viceversa, paesi molto grandi, anche con modelli di consumo molto contenuto possono avere un grande impatto. -> L’impatto dipende difatti dall’interagire di queste tre variabili fondamentali, in quanto I = P x A x T. Questa relazione spiega il ruolo della crescita demografica, dello stile di vita e delle tecnologie impiegate nei problemi ambientali: ad esempio, ciò spiega perchè un modesto sviluppo in paesi poveri con grandi popolazioni, come la Cina, possa avere un enorme impatto ambientale. Sempre negli anni 70, Anthony Friend propone un modello basato sulle seguenti relazioni causali: le attività umane esercitano infatti una pressione sull’ambiente, ne causano un cambiamento al quale si reagisce con l’implementazione di interventi opportuni. Entra quindi in gioco il modello PSR. Il modello Pressioni, Stato, Risposte (PSR) identifica quali sono le pressioni dell’uomo sull’ambiente e quindi misurano l’impatto di azioni umane sull’ambiente come il consumo di risorse naturali. Rispetto a queste pressioni, lo stato dell’ambiente si modifica: gli indicatori di stato misurano la qualità delle componenti dell’ecosfera (aria, acqua e suolo) quali, ad esempio, la concentrazione di inquinanti nell’aria. Lo stato risulta quindi modificato dalle pressioni dell’uomo. In tale classificazione rientrano gli indicatori che valutano le attività, le politiche, i piani per il raggiungimento degli obiettivi di protezione ambientale. Questo modello è andato poi successivamente modificato ed è stato ripreso nel rapporto Dobirs dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) che lo sviluppa ulteriormente con l’introduzione dei fattori che generano le pressioni (driving forces) e la distinzione tra stato dell’ambiente ed impatti sull’ambiente, con una separazione della descrizione della qualità dell’ambiente e dei cambiamenti significativi indotti dalle azioni antropiche negli ecosistemi. Questo sviluppo porta al modello DPSIR, acronimo di determinanti, p ress ion i , s ta to , impat to e risposte: il modello DPSIR è un’evoluzione del modello PSR, o t t e n u t o s c o r p o r a n d o l e determinanti dalla componente delle pressioni. Le determinanti sono le attività e i comportamenti umani der ivant i da b isogni individuali, sociali ed economici, processi economici, produttivi e di consumo che originano pressioni sull’ambiente. Le pressioni sono esercitate sull’ambiente in funzione delle determinanti, cioè delle attività e dei comportamenti umani. Inoltre questo modello distingue tra stato dell’ambiente e impatti sull’ambiente, separando la descrizione della qualità dell’ambiente dalla descrizione dei cambiamenti significativi indotti dalle azioni antropiche negli ecosistemi. Il modello DPSIR è quindi un’estensione del modello precedente. Una possibile classificazione degli indicatori Nel seguito, senza pretesa di esaustività, consideriamo differenti indicatori di sostenibilità che possiamo classificare nel seguente modo: • Gli indicatori ambientali; • Gli indicatori ottenuti con integrazioni e correzione al PIL o con integrazioni delle variabili ambientali nella contabilità nazionale; quindi bisogna contabilizzare le varie azioni fatte nel tempo libero per contabilizzare in modo corretto il benessere. In questo indicatore di progresso genuino bisogna considerare la condizione del patrimonio (idea di ricchezza come fondo e flusso) e il prodotto è un flusso ma la stessa produzione può incidere sulla situazione patrimoniale. ➡ PIL e GPI a confronto Si possono quindi osservare i due indicatori diversi e notare delle differenze fondamentali: • Costi ignorati dal PIL e considerati dal GPI, si tratta di costi legati alla varianza del reddito di cui il PIL non tiene conto durante la sua valutazione; • Considerazione degli aspetti economici: il PIL non tiene conto della varianza del reddito; • Aggiustamento per ineguale distribuzione del reddito; • Credito/debito estero; • Costo dei beni durevoli; • Considerazione dei costi sociali che non vengono contati all’interno del PIL che invece il GPI vuole contabilizzare come ad esempio i crimini, gli incidenti, il pendolarismo, le separazioni familiari, la perdita di tempo libero e la disoccupazione; • Considerazione dei costi ambientali come quelle in tema di inquinamento (aria acqua, suolo, rumore), della perdita di aree umide e terreno agricolo e del consumo di risorse non rinnovabili, con danni ambientali a lungo termine (la perdita della fascia di ozono, la perdita di foresta vergine sono solo alcuni esempi); Ci sono però anche degli aspetti positivi (benefici) nel GPI che non considerati dal PIL come ill lavoro domestico, la cura dei figli, il volontariato, i servizi derivanti dal possesso di beni durevoli e i servizi offerti dalla rete di trasporto. Nonostante l’introduzione di alcune variabili ambientali i criteri di scelta e di valutazione delle stesse. La considerazione congiunta di problemi sociali e ambientali impediscono secondo molti a ISEW e a GPI di rappresentare quanto ci si approssimi ad una condizione di sostenibilità pur offrendo indicazioni riguardo il benessere materiale. Questi indicatori, che in qualche modo valutano il progresso, per i paesi calcolati evidenziano una grande correlazione nell’indicatore PIL, ma solo fino ad un certo livello: infatti gli indicatori del PIL mostrano in tutti i paesi un andamento molto simile che tende alla crescita ma solo fino a un certo livello. La crescita del PIL infatti ad un certo punto cambia direzione e flette al ribasso: oltre il punto di flesso la crescita del PIL non si traduce più, infatti in aumento del benessere. Integrazione delle variabili ambientali nella contabilità nazionale Altri esperimenti sono stati condotti nel pensare a come integrare la contabilità nazionale al benessere al fine di avere una visione non solo della capacità del paese di produrre beni e servizi ma anche la capacità del paese di tenere conto dello sviluppo sostenibile. La necessità di quantificare l’impatto ambientale della produzione e di tenere conto delle relazioni tra economia e ambiente ha condotto alla progettazione di vari schemi di contabilità ambientale per iniziativa dei singoli paesi, che a livello sovranazionale. Per quanto riguarda la contabilità nazionale, i principali schemi di lavoro sono: • Il SEEA – Sistema integrato di contabilità ambientale ed economica- elaborato dall’ufficio statistico delle nazioni unite. • Il SERIEE – Sistema europeo per la raccolta dell’informazione economica sull’ambiente. Il sistema di conti economici e ambientali, progressivamente migliorato grazie alla collaborazione di UNSO, EUROSTAT, Fondo monetario internazionale, OCSE e banca mondiale, è rivolto ad integrare le variabili ambientali nella contabilità nazionale con un insieme di conti satellite da affiancare ai conti nazionali per realizzare una contabilità ambientale applicabile in tutti i paesi. La differenza rispetto ai tentativi precedenti è che si introducono elementi di stima per integrare le voci del PIL: il cambiamento ora è a fianco della contabilità nazionale che non viene modificata. Si creano dei conti satelliti che permettono di avere delle informazioni sulle variabili ambientali: è una contabilità che integra quella nazionale ma con relazioni distinte al fine di non mescolare variabili misurate quantitativamente con quelle invece di tipo qualitativo. Lo scopo di questa contabilità, integrata con i conti tradizionali, ma tenuta distinta per non compromettere la continuità delle serie storiche e la loro comparabilità è di aggiungere alle informazioni nei conti economici tradizionali quelle relative alle variazioni quantitative e qualitative dei beni ambientali. Questa contabilità, oltre a fornire informazioni, è premessa necessaria al calcolo di un PIL aggiustato in senso ecologico. Da questa contabilità è nata anche la proposta di un prodotto interno lordo sulla base della componente ambientale. Nei conti nazionali è possibile reperire informazioni sulle spese sostenute dalle famiglie, imprese e publica amministrazione per evitare, eliminare o ridurre il danno ambientale. Nei conti satellite invece è redatta na contabilità di tipo fisico relativa agli rock e ai lussi di risorse naturali e agli inquinanti generati dalle attività di produzione e consumo sulla cui base è possibile effettuare una valutazione monetarie della dotazione e del consumo di risorse naturali e dei danni ambientali. Si arriva quindi a un PIL trasformato per tenere conto di questi aggiustamenti e si crea l’EDP: quando è stato proposto l’indicatore del PIL, era un tentativo di valutare, essendo un valore aggiunto, quanto si potrebbe consumare senza compromettere la produzione futura e senza indebitare. Il PIL non considera i capitali deteriorati dalle scelte e quindi ci si chiede quanto effettivamente sia davvero disponibile al consumo togliendo questo deterioramento: l’EDP è l’elaborazione proposta dalle Nazioni Unite che stabilisce gli aggiustamenti al PIL necessari per definire l’ammontare disponibile per il consumo senza compromettere la dotazione complessiva di capitale. La proposta traduce quindi il concetto di reddito hicksiano, ovvero il reddito di una nazione che può essere definito come il massimo ammontare che può essere consumato nel corso di un anno senza che, alla fine dell’anno, la nazione si ritrovi più povera. L’imputazione dei costi ambientali rilevati nei conti nazionali e nei conti satellite permette di determinare un indicatore di reddito denominato environmentally-adjusted net domestic product (EDP) o PIL verde: questo indicatore presenta alcuni problemi sia per la valutazione dei beni ambientali, la maggior parte senza mercato, e dei danni ambientali, spesso visibili solo nel lungo periodo e senza univocità nei metodi di valutazione, sia per la complessità di realizzare un sistema di conti fisici ed economici che non ne permette l’implementazione in tutti i paesi. Gli indicatori che si basano su correzione e integrazioni al PIL o su integrazioni delle variabili ambientali nella contabilità nazionale rispondono solo in parte alla misurazione della sostenibilità, perchè, benché correggano il PIL in relazione allo sfruttamento e ai danni ambientali, non consentono di dare un giudizio sulle conseguenze dello sfruttamento e dei danni ambientali stessi. Il tentativo è di vedere, di questi indicatori basati sulla contabilità nazionale, le informazioni sul benessere potenzialmente perseguibile, sulle rilevazioni di aspetti economici ma è difficile avere una risposta completa. La misurazione del benessere equo e sostenibile in Italia Il progetto per misurare il benessere equo e sostenibile nasce con l’obiettivo di valutare il progresso di una società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. Il rapporto Istat sul Bes presenta indicatori utili a misurare la qualità della vita dei cittadini con l’obiettivo di integrare le informazioni fornite dagli indicatori sulle attività economiche con le fondamentali dimensioni de benessere, corredate da misure relative alle diseguaglianze e alla sostenibilità. Si tratta di un indicatore che comprende la misurazione di molte variabili, in particolare di tutte quelle variabili o dimensione che fanno parte del benessere sostenibile. Queste 12 dimensioni ( di cui poi vengono considerate globalmente 130 variabili corrispondenti) che secondo l’ISTAT maggiormente influenzano il benessere equo e sostenibile in rilievo maggiore sono: 1. Salute 2. Istruzione e formazione 3. Lavoro e conciliazione tempi di vita 4. Benessere economico 5. Relazioni sociali 6. Politica e istituzioni 7. Sicurezza 8. Benessere soggettivo 9. Paesaggio e patrimonio culturale 10. Ambiente 11. Innovazione, ricerca e creatività 12. Qualità dei servizi Indicatori di sostenibilità basati sul principio di conservazione dello stock di ricchezza Si tratta di indicatori il cui scopo è quello di dare informazioni riguardo allo stock di ricchezza: nel modo di agire della società, lo si sta salvaguardando oppure lo si sta sperperando? La sostenibilità deve essere quindi concepita come qualcosa che deve essere conservato e quindi la sostenibilità viene basata su uno stock che deve permanere e garantire una certa sostenibilità. IL GENUINE SAVING – L’indicatore proposto dalla Banca Mondiale La proposta della BM per la valutazione della sostenibilità sociale e ambientale parte dalla constatazione che la possibilità di mantenere il benessere dipende dalla ricchezza. Questa è costituita da capitale prodotto capitale naturale e capitale umano. Ipotizzando sostituibilità tra questi tipi di capitale nella loro capacità di generare benessere, è possibile affermare che ci troviamo su un sentiero sostenibile solo se la ricchezza totale non diminuisce. In definitiva, la sostenibilità richiede il mantenimento della ricchezza intesa in senso esteso. In generale il risparmio serve per far fronte a imprevisti, a spese future e in generale per accrescere la ricchezza: da un lato il risparmio può essere quindi precauzionale per far fronte alle avversità ma anche per accrescere la ricchezza. La ricchezza dipende da tanti tipi di capitale, quello prodotto dall’uomo, quello naturale e quello umano: se non si risparmia, non si è in grado di mantenere questi capitali e, addirittura, di fronte a un risparmio negativo, si riducono questi capitali. Il risparmio genuino valuta quindi la capacità di accrescere e mantenere la ricchezza dei capitali di cui si dispone. Se si ha un risparmio positivo, si è in grado di mantenere la ricchezza nel tempo e quindi si è sulla traiettoria sostenibile:il risparmio genuino vuole quindi misurare il cambiamento della ricchezza, rappresentato dal genuine saving , che permette di valutare la sostenibilità. Il genuine saving è determinato in base ai cambiamenti degli stock di tutti i tipi di capitale, in modo da valutare le opportunità lasciate alle generazioni future Il genuine saving si determina partendo dal risparmio interno lordo ricavabile dai sistemi di contabilità nazionale: a questo si sottrae il deprezzamento del capitale fisso, ovvero il capitale prodotto dall’uomo e che non è più utilizzabile in futuro arrivando al risparmio netto. È quindi il cambiamento nella ricchezza, rappresentato dal genuine saving che permette di valutare la sostenibilità: il genuine saving è determinato in base ai cambiamenti degli stock i tutti i tipi di capitale. Non si guarda solo la variazione del capitale prodotto dall’uomo ma si guarda anche a come variano nel tempo le altre tipologie di capitale: • Il capitale umano si accresce mediante processi di educazione. Si guarda quindi la percentuale rivolta all’educazione all’interno di un paese. Al tasso di r isparmio netto si aggiunge la percentuale di spese per l’educazione, ovvero le spese di investimento in capitale umano. Questa attività di creare capitale ha poi creato problemi ambientali e riuscendo a calcolare la percentuale di sfruttamento delle risorse naturali si sottrae al r i s u l t a t o o t t e n u t o p re c e d e n t e m e n t e i l deterioramento del capitale naturale ambientale. Così si ottiene la percentuale di vero risparmio in relazione alla capacità dell’uomo di conservare lo stock i capitale: sommare o sottrarre i capitali, questi vengono considerati nel giudizio finale come tra loro sostituibili ma non sempre ciò avviene. Tutti i paesi maggiormente sviluppati con una forte incidenza della spesa di istruzione creano una grande possibilità di accrescere capitale umano e quindi sfruttano le risorse naturali in maniera cosciente e vengono quindi reputati sulla traiettoria sostenibile. l’anidride carbonica è compensata dallo spazio che si dovrebbe dedicare per la depurazione di questi scarti e lo spazio è poi confrontato con la biocapacità, ovvero quanto il nostro pianeta offre in termini di terreni che si possono utilizzare per produrre quanto serve e assorbire la CO2 e le emissioni. -> la biocapacità è misurat a dal territorio a disposizione per produrre risorse rinnovabili e assorbire le emissioni di CO2 prodotte. L’ettaro globale è l’espressione dell’impronta ecologica e della biocapacità: esso rappresenta la capacità produttiva di un ettaro di terra considerando la produttività media mondiale e la capacità media mondiale di assorbire materiali di scarto (come le emissioni di CO2). Confrontando lo spazio che serve e quello che abbiamo attualmente a disposizione permette quindi di determinare l’esistenza di un surplus o di un deficit ecologico: il conto viene fatto sia a livello globale sia a livello di singoli paesi. I driver dell’impronta ecologica sono la crescita demografica, il consumo procapite e l’intensità stessa dell’impronta ovvero l’efficienza nella trasformazione delle risorse naturali in beni e servizi: la biocapacità stessa infatti dipende dall’area bioproduttiva, quindi dallo spazio a disposizione e dalla bioproduttività per ettaro. Il deficit ecologico Purtroppo i dati stimati evidenziano che la nostra impronta già negli anni 70 non era in linea con la biocapacità: il superamento della biocapacità è andato crescendo, impattando negativamente sull’ambiente come avvenuto nel caso della produzione dei gas serra. Il grafico da il confronto tra la dinamica ecologica tra le diverse impronte: tratteggiata è in verde la biocapacità che dipende anche dalla capacità di rendere più efficiente lo spazio a disposizione. Le stime, già qui, evidenziano che lo spazio necessario per l’uomo è molto di più di quello che si ha a disposizione, oltre che al fatto che tale divario va crescendo nel tempo. L’impronta ecologica di un paese L’impronta di un paese è data dalla somma di tutti i terreni agricoli, i pascoli, le foreste e gli stock ittici necessari a produrre il cibo, le fibre e il legname che il paese consuma ad assorbire i materiali di scarto e a fornire spazio sufficiente per le infrastrutture che realizza. L’impronta può essere quindi calcolata anche per ogni singolo paese: poiché le persone però consumano risorse e servizi ecologici provenienti da tutto il mondo, le loro impronte sono costituite dalla somma di queste aree, indipendentemente da dove esse si trovino. L’impronta ecologica di un paese dipende dal consumo individuale e dalle emissioni individuali e dalla popolazione totale: nel living planet report si possono confrontare le impronte ecologiche pro capite di differenti paesi. I paesi più ricchi di biocapacità La biocapacità di un paese dipende aree coltivabili, dai pascoli, dalle foreste, dalle aree di pesca esistenti nel paese e da quanto queste aree sono produttive: la biocapacità globale non è distribuita uniformemente in quanto circa il 60% lo si trova in 10 paesi particolari quali Brasile, Cina, USA, Russia, India, Canada, Australia, Indonesia, Argentina e Congo. La biocapacità per persona è calcolata dividendo la biocapacità di un paese per la sua popolazione, mentre per persona essa presenta dei valori molto differenti. Quest’ultima infatti si riduce con la crescita demografica. Avere un’impronta molto più alta della biocapacità significa sostenere i consumi e il modello produttivo a danno di qualcun’altro, nel presente a danno degli altri paesi e nel futuro a danno delle generazioni che verranno. Dal confronto tra l’impronta ecologica e la capacità biologica a disposizione localmente (area biologicamente produttiva di un paese) si può determinare il deficit o il surplus ecologico di ogni paese: attualmente, con i dati del 2017, la biocapacità procapite è stimata pari a 1,6 ha mentre l’impronta ecologica media è pari a 2,8 ha. In Italia la biocapacità pro-capite è stimata pari a 0,9 ha e l’impronta ecologica media 4,8 ha.-> si utilizzano molte risorse che di fatto non appartengono ad altri territori. Nessuno degli indicatori, sia esso l’impronta ecologica o l’ISEW, è perfetto: essi ci danno infatti informazioni in diverse dimensioni e tanto maggiori sono le informazioni che si riesce ad ottenere e tanto migliore può essere l’analisi svolta sulle prospettive di sostenibilità. CRESCITA ECONOMICA, POVERTÀ E AMBIENTE Lo sviluppo sostenibile deve basarsi su un’equità non soltanto intergenerazionale ma anche intragenerazionale. Grandi disparità Il PIL mondiale nella seconda metà del secolo scorso è cresciuto ad un saggio annuo del 3.9% contro un saggio pari a 1.6% nel periodo 1820- 1950 e pari a 0,3% nel periodo 1500-1820. L’aspettativa di vita accompagna la crescita nel 1800 era circa 30 anni contro i 67 nel 2000 e i 75 nei paesi ricchi. L’ampliamento delle possibilità e delle scelte è avvenuto in ogni campo, ma se ognuno usasse le risorse come avviene nei paesi detti sviluppati avremmo bisogno di 3 pianeti. Esistono grandissime differenze tra quelli che hanno accesso alle risorse (cibo, acqua, riparo, vestiti, sanità, energia, educazione…) e quelli che non hanno accesso. La necessità di raggiungere e mantenere situazioni sostenibili è un obiettivo non solo economico. Il deterioramento e la perdita di elementi fondamentali di un ecosistema può alterarne l’equilibrio e condurre a cambiamenti irreversibili. L’impronta ecologica avverte però che se tutti utilizzassero un modello di sviluppo e produzione intensivo come quello proprio dei paesi ricchi, si avrebbe bisogno di più spazio per assorbire tutte le esternalità negative prodotte: la crescita e lo sviluppo sono stati infatti accompagnati da grandissimi problemi ambientali e grosse differenze nell’accesso alle risorse fondamentali. Rapporto tra ambiente e sviluppo La diffusione del concetto di sviluppo sostenibile segna l’inizio di numerose iniziative politiche in sede UN sulle tematiche ambientali e segna anche l’inizio di una maggiore attenzione degli economisti per le questioni relative al rapporto tra ambiente e sviluppo economico. La relazione si è rivelata molto complessa: L’evidenza empirica dimostra che per numerosi fenomeni di degrado ambientale non necessariamente vi è una relazione diretta tra crescita e degrado ambientale. E’ soprattutto il tipo di crescita (la sua qualità) ad influire sulla situazione ambientale. Molte iniziative si sono rivolte a guardare con attenzione al rapporto tra ambiente e sviluppo, sollevando una maggiore sensibilità al riguardo e all’ambiente. Molte indagini sono state condotte per riscontrare se lo sviluppo condotto al fine della crescita economica abbia causato del degrado ambientale: non è quanto si cresce ma il come si cresce a generare un impatto ambientale. Fatti stilizzati sulla relazione tra crescita economica e ambiente Nei paesi avanzati le emissioni per unità di prodotto di alcuni inquinanti atmosferici (zolfo, ossidi di azoto, particelle PM10, composti organici volatili, monossido di carbonio) si sono ridotte. Le emissioni totali di molti di questi inquinanti sono cresciute. Le spese per abbattimento delle emissioni nei paesi OCSE oscillano tra l’1% e il 2% del PIL, mostrando un trend di crescita molto basso, in parte dovuto ad un effetto di composizione: si è ridotto il peso dei settori più inquinanti. I settori più impattanti dal punto di vista ambientale sono sicuramente il settore primario e quello secondario e una crescita che porta all’aumento del settore terziario, ovvero quello dei servizi, può portare a una riduzione dell’impatto sull’ambiente. Non sempre però la crescita economica ha portato a un degrado ambientale e anzi, la crescita del reddito e delle conoscenze ha comportato in alcuni casi la riduzione delle emissioni.Il sapere controllare le emissioni implica uno sforzo finanziario anche contenuto. Il progresso tecnologico nell’abbattimento ha permesso alle emissioni per unità di prodotto di ridursi senza far crescere la quota di spese per l’abbattimento sul PIL: la qualità ambientali può quindi essere migliorata senza compromettere la crescita. Gli ottimisti sostengono che il progresso economico ha comportato la riduzione delle emissioni senza avere incidenze superiori sul PIL. La povertà è connessa ad altri fattori che portano degrado (crescita demografica, diritti di proprietà specificati in modo inappropriato, carenze istituzionali….): le popolazioni a basso reddito presentano una maggior dipendenza dalle risorse naturali (terra per produzione agricola e allevamento, risorse forestali per combustibile e materiali da costruzione, fiumi per l’acqua). La povertà compromette la possibilità di effettuare investimenti per mantenere produttive le componenti più fragili del capitale naturale (fertilizzazione, irrigazione, rimboschimento, gestione corretta dell’allevamento..) per scarso reddito, per scarsa accessibilità al credito, per scarse conoscenze. La povertà implica incertezza rispetto al futuro con una preferenza per il presente disincentivando gli investimenti a lungo termine. La scarsità dei diritti di proprietà sono quindi un problema per il degrado ambientale: se i diritti di proprietà fossero garantiti e quindi se le persone avessero la certezza di poter continuare a coltivare il proprio terreno (senza doverne sfruttare le risorse in maniera elevata solo per un certo periodo di tempo), certamente porterebbe le persone ad essere più attente alla fertilità del terreno stesso. La preservazione dell’ecosistema richiede di fatto degli investimenti ma la situazione di povertà spesso compromette la possibilità di concretizzare questi investimenti per la mancanza di reddito da destinarvi, di conoscenze e di disponibilità al credito legata alla povertà. In generale quindi si può dire che la povertà implica una preferenza del presente nei confronti del futuro, perchè sono le necessità immediate a richiedere una risposta. La trappola della povertà è quindi a tutti gli effetti quella situazione che caratterizza i paesi con basso reddito che impedisce loro di uscire da quella situazione di degrado ambientale. - Esempio di trappola della povertà: la vita sulla terra si basa sullo strato superficiale di terreno che fornisce i nutrienti necessari alle piante, alle colture alle foreste, agli animali ed all’uomo. Tale terreno è una risorsa limitata e scarsamente rinnovabile. Coltivazioni intensive e monocoltura Il degrado dei terreni coltivabili è attribuibile a varie cause, fra le quali variazioni climatiche e attività umane: le tecniche agricole tradizionali (maggese, avvicendamento) consentivano al terreno di riacquistare la fertilità. Tali tecniche erano possibili per l’esistenza di grandi spazi a disposizione in relazione alla popolazione e quindi alla possibilità di impiegare tecniche a bassa produttività. Ora invece è necessario impiegare colture commerciali intensive con abuso di fertilizzanti chimici. Nei paesi poveri vi è una prevalenza di monocolture per l’esportazione (anche finalizzate al finanziamento del debito estero) e lo snaturamento dell’agricoltura locale: le coltivazioni intensive riducono infatti il potenziale biologico del terreno con una diminuzione della fertilità e della produttività. La deforestazione Nei paesi poveri della fascia tropicale, la distruzione delle foreste spesso avviene per ad aumentare la produzione alimentare ma finisce per ottenere un risultato opposto o per mettere in vendita il legname all’estero. La deforestazione porta problemi di carattere ambientale. Per la mancanza della copertura forestale il terreno è soggetto all’azione erosiva di pioggia e vento, che comprano l’eliminazione dei nutrimenti fondamentai del terreno. L’erosione del suolo dopo la deforestazione, provoca la perdita delle acque piovane, non più trattenute dalle radici degli alberi, e quindi assieme alla desertificazione compromettono le risorse naturali dalle quali le popolazioni povere dipendono per la sopravvivenza. Il Decoupling: cosa è? Guardando alla relazione esistente tra crescita economica e impatto ambientale quello che è certo è che diventa necessario un disaccoppiamento. La crescita economica comporta pressione sull’ambiente naturale. Lo sviluppo sostenibile richiede lo sganciamento (decoupling) tra crescita e pressione ambientale. Come è possibile ottenere questo sganciamento? Sicuramente il progresso tecnologico ha un ruolo fondamentale. Tuttavia non sempre l’adozione di nuove tecnologie ha migliorato l’impatto ambientale e quindi lo sviluppo delle tecnologie deve essere indirizzato: sono fondamentali interventi mirati per l’uso efficiente ed equo delle risorse e per la protezione ambientale. Governi e società civile sulla strada della sostenibilità Le decisioni riguardo ciò che è importante per una società, come dovrebbe essere il mondo e che cosa si può fare per migliorarlo dipendono da un continuo interscambio tra cittadini, istituzioni, governi che interagiscono nel complesso processo di formulazione delle decisioni stesse. I governi democratici dovrebbero cercare di attuare politiche per soddisfare le persone, in grado di rispondere alle necessità. I governi dovrebbero agire in modo tale da evitare che l’interesse individuale contrasti con il bene comune: a tal proposito diventa però necessario definire cosa sia un “bene comune” perchè dipende anche dalle motivazione etiche delle singole persone. Innanzitutto però i governi dovrebbero intervenire nei casi di fallimento di mercato, ovvero in quelle situazioni in cui le libere forze del mercato non conducono ad un risultato efficiente dal punto di vista sociale. Data la natura globale dei problemi da affrontare per la sostenibilità è necessaria la cooperazione tra governi: i governi devono avere l’autorità e il potere di applicare soluzioni che però non si limiti solo alla propria nazione. I governi hanno un ruolo importante, perché forniscono servizi di natura collettiva e individuale che hanno rilevante influenza sul benessere delle persone e la loro azione può contribuire sulla possibilità di mantenere e possibilmente aumentare il livello di benessere raggiunto. I principali strumenti attraverso i quali i governi possono intervenire per la sostenibilità sono: • Spesa: molti governi hanno una notevole capacità di spesa e la scelta dei settori sui quali indirizzarla può avere rilevanti conseguenze per la sostenibilità. Nel settore trasporti: aumentare le infrastrutture stradali o quelle ferroviarie, favorire il trasporto pubblico o la mobilità privata? Nel settore energetico: aumentare la produzione di energia e di che tipo o favorire il risparmio energetico e in quale settore? Nell’assistenza allo sviluppo: promuovere il commercio bilaterale o la cooperazione tecnologica? I sussidi hanno conseguenze economiche, sociali, ambientali. Sono però uno strumento efficiente? Quali settori dovrebbero essere sussidiati? Molti governi sussidiano l’energia fossile. L’Unione Europea sussidia il settore agricolo (PAC). In Italia sono molti i sussidi erogati nel tentativo di ridurre le emissioni ambientali: la preoccupazione va al di là del fatto che questi creano ulteriormente delle disuguaglianze, ma si concentra nel fatto che il sussidio invece che essere uno stimolo per la riduzione del problema ambientale esso invece ne può causare l’aumento. Perchè? Ottenendo un sussidio le persone sono propense ad utilizzare maggiormente il mezzo che ottengono per via di quegli stessi sussidi e l’impatto che ciò avrebbe sulla circolazione ad esempio quando si parla di auto elettriche è elevato. • Regolamentazione : i governi possono introdurre regole anche in risposta a sollecitazioni della società civile. Le nuove regole a loro volta possono influire sui comportamenti. • Tassazione: la tassazione può favorire comportamenti a favore della sostenibilità e scoraggiare quelli contrari. Può incentivare l’innovazione e gli introiti della tassazione, per proteggere l’ambiente, possono essere impiegati per ridurre altre tasse o finanziare altre spese. L’analisi futura In particolare ricordando che la sostenibilità richiede di non diminuire il benessere, considereremo dapprima i contributi nell’ambito dell’economia del benessere e successivamente approfondiremo l’analisi della sostenibilità attraverso i contributi di economia ambientale e della risorse naturali. L’interesse collettivo L’agire dei governi deve essere indirizzato a promuovere l’interesse della collettività. Prima di analizzare il ruolo dei governi all’interno della società nell’ambito dell’ambiente è importante capire cosa s’intenda per interesse collettivo e di quali strumenti i governi dispongono per verificare se le loro misure vadano verso dei miglioramenti del benessere. Perchè in un sistema economico nel quale i singoli individui agiscono seguendo il proprio interesse sorge la necessità di un operatore con finalità di natura sociale? Perchè il funzionamento di tale sistema non è considerato soddisfacente secondo certi e quindi non è desiderato dalla collettività? Per rispondere a questi quesiti è necessario e indispensabile dapprima analizzare le preferenza che la società dovrebbe avere in base a qualche postulato di natura etica e, per fare ciò, bisogna definire che cosa si intende per interesse collettivo. A questo quesito risponde la teoria normativa delle scelte sociali ovvero un approccio che coincide con l’economia del benessere che, in base a concetti quali il benessere generale e collettivo, definisce i criteri di scelta sociale con le indicazioni relative alle aree di cosiddetto fallimento del mercato per le quali l’intervento di un operatore con finalità collettive porterebbe ad un miglioramento in termini di benessere collettivo. Un ordinamento sociale La definizione di un ordinamento richiede di formulare una graduatoria delle situazioni in cui si trova una società individuando quali situazioni sono indifferenti, quali migliori o peggiori. Un ordinamento deve soddisfare certe priorità: solo se l’ordinamento è completo infatti consente di ordinare tutte le possibili situazioni sociali in ordine di preferenza. La formulazione di ogni ordinamento sociale richiede dei giudizi di valore. Si tende a distinguere poi tra ordinamento diretto e ordinamento indiretto: • L’ordinamento diretto può avvenire direttamente in relazione ai diversi stati del mondo o indirettamente, essendo costruito sulla base delle preferenze dei singoli individui; ➡ L’ordinamento indiretto è quello più utilizzato nell’ambito dell’economia del benessere: non si ordinano direttamente le situazioni ma si cerca di valutare le preferenze espresse dai singoli individui, di aggregarle e, attraverso di esse, stabilire poi l’ordinamento. Obiezioni all’ordinamento indiretto e diretto Nei confronti dell’ordinamento indiretto questo ordinamento, fondato sul postulato dell’individualismo etico, sono state rivolte le seguenti critiche: • Considerando le preferenze dei singoli individui si potrebbero ignorare alcuni aspetti della situazione sociale che potrebbero avere rilevante importanza come ad esempio l’esistenza e l’esercizio dei diritti di libertà. Come si fa quindi ad essere sicuri che le preferenze espresse dai cittadini poi di fatto non vadano a contrastare con alcuni diritti che si ritengono fondamentali da essere garantiti nella società?; • Le preferenze dei singoli individui che dovrebbero orientare le scelte sociali non sono indipendenti ma potrebbero essere influenzare e manipolate. Nell’espressione delle preferenze degli individui potrebbe esserci qualche influenza o una manipolazione? Alcuni stati ritengono inoltre, nelle loro valutazioni, che gli individui non siano i migliori giudici delle situazioni di benessere e questo approccio viene spesso indicato con il termine di “paternalismo”, in cui lo stato interagisce nei confronti dei cittadini, obbligandoli a dei comportamenti sulla base della concezione per cui gli individui non sarebbero in grado di decidere cosa è meglio per loro o meno. Ci sono però anche obiezioni all’ordinamento diretto, ovvero quello che si ha quando senza passare dalle preferenze che gli individui esprimono, qualcuno stabilisce quale situazione è migliore di un’altra. I sostenitori dell’individualismo etico però ritengono inaccettabile l’ordinamento diretto che sostituirebbe le preferenze degli individui con quelle di una persona sola, con dei risultati anche in questo c caso paternalistici o autoritari. La costruzione d’un ordinamento indiretto La costruzione di un ordinamento indiretto si basa sulle preferenze espresse dagli individui: per aggregare queste preferenze individuali bisogna però rispondere a diversi quesiti come • Come si possono rappresentare le preferenze individuali e, in particolare, è possibile misurare le soddisfazioni? Nel tempo si è passati dalla concezione che la soddisfazione degli individui potesse essere in qualche modo misurata al rifiuto di questa posizione, osservando che gli individui sono soltanto in grado di esprimere la preferenza di una situazione piuttosto che di un’altra ma non di valutare quantitativamente quanto una situazione sia più preferibile rispetto ad un’altra. Se le preferenze fossero in qualche modo aggregabili sarebbe invece possibile misurare quantitativamente la preferenza di un’intera società. • È possibile effettuare confronti interpersonali? • Come si possono aggregare le preferenze individuali? La valutazione monetaria delle variazioni di utilità Secondo la nuova economia del benessere neoclassica, le variazioni di benessere di Hicks e Kaldor sono variazioni di utilità valutate in termini monetari: se passando da a a b la somma delle variazioni positive di utilità monetizzata di coloro che preferiscono la configurazione a è superiore alle variazioni negative di utilità monetizzata di coloro che avrebbero preferito b, allora a è socialmente superiore a b. -> di fatto con il principio di compensazione si arriva ad assumere il raggiungimento di una situazione migliore se chi è avvantaggiato compensa in termini monetari chi è danneggiato. La compensazione è possibile in termini monetari perchè essa è pari alla riduzione in termini monetari dell’utilità del danneggiato. Il criterio di Kaldor-Hicks e l’ordinamento completo Il criterio di Hicks e Kaldor permette quindi di generare un ordinamento completo poiché permette il confronto interpersonale di utilità. -> bisogna trovare un equivalente monetario per le variazioni di utilità, ci si baserà sempre sul tentativo di dare una valutazione monetaria così come dovrebbero fare gli stati ma purtroppo è un procedimento che è faticoso da mettere in atto: come si fa a valutare il valore della rete idrica? Anche la proposta di questo ordinamento è seguita da un vivace dibattito soprattutto relativamente a due aspetti: • La concessione effettiva dell’indennizzo; • La possibilità di giudicare il passaggio da uno stato all’altro solo per le conseguenze sulla ricchezza complessiva, trascurando la sua distribuzione. Critiche al principio di indennizzo Bisogna essere consapevoli che il principio di indennizzo valuta l’efficenza ma non considera l’equità, ovvero gli effetti sulla distribuzione di guadagna e di chi perde. Se la compensazione non viene pagata si può davvero dire che, poiché il guadagno di alcuni è maggiore della perdita di altri, la società ha un beneficio?
 Le funzioni di benessere sociale La funzione di benessere sociale stabilisce una modalità di aggregazione delle funzioni di utilità di tutti gli individui che fanno parte della società, al fine di ottenere un’una funzione di utilità sociale. In ogni società formata da N individui n = 1, 2, …, N, ognuno dei quali ha un’utilità Un, il benessere sociale W risulta: W = f ( U1, U2, …, Un) Dove f è una funzione crescente nei suoi argomenti. Vediamo alcune funzioni di benessere sociale (FBS) che esprimono le preferenze sociali in base a qualche criterio di giustizia distributiva: • Funzione utilitaristica: la corrente utilitaristica si basava sul presupposto che l’utilità fosse misurabile e quindi che il benessere della collettività dipenda dall’utilità dei diversi individui. Bentham, all’inizio del XIX secolo, fondatore dell’utilitarismo classico, definisce la felicità della nazione come la somma delle soddisfazioni di tutti i cittadini. Il compito delle istituzioni è di conseguire la maggiore felicità per il maggiore numero di individui. Il benessere sociale viene quindi inteso come una somma delle utilità individuali e il benessere viene legato a grandezze misurabili in termini monetari con il reddito come indicatore: ci si basa quindi sulle ipotesi che le utilità siano comparabili e il peso di queste sia uguale a tutti gli individui. Si arriva quindi a una funzione di benessere specifica: la funzione utilitaristica assegna infatti la stessa importanza al benessere di tutti gli individui della società. W = (U1, U2, …, Un) = Ʃ Ui Con due individui, la curva di isobenessere risulta una retta con pendenza -1. Ad essere rilevante per una funzione di benessere di questo tipo è la maggiore utilità a prescindere della distribuzione stessa dell’utilità all’interno della società: non rileva il come viene distribuita l’utilità tra gli individui e le disparità che possono crearsi perchè quello che conta è il saldo positivo finale di queste utilità sociali. La curva che rappresenta graficamente una funzione utilitaristiche è la seguente: La curva di isobenessere racchiude al suo interno tutti i punti che hanno nelle loro coordinate la stessa utilità di benessere, a prescindere da come questa utilità sia distribuita. Una generalizzazione di questa funzione, chiamata per l’appunto funzione utilitaristica generalizzata, ritene importante valutare almeno in parte la distribuzione della soddisfazione tra i soggetti ritenendo che i pesi da dare ai soggetti non debbano essere uguali perchè, per avere un certo miglioramento, è importante che essa vada a precise categorie. W = ( U1, U2, …., Un) = Ʃ Ai; Ui Dove Ai sono i pesi non negativi da assegnare ai diversi individui: se i pesi Ai sono differenti si distribuisce maggiore importanza nella valutazione del benessere sociale al benessere di alcune categorie particolari. -> il benessere è la somma delle utilità ponderate con dei pesi in modo tale da permettere nella scelta di chi valuta il benessere di dare dei pesi diversi ad alcune categorie rispetto ad altre. Con due individui la curva di isobenessere risulta una retta con pendenza negativa data dal rapporto fra i pesi attribuiti ai due soggetti. La curva che rappresenta graficamente una funzione utilitaristica generalizzata è la seguente: • Funzione Bernoulli - Nash: l’aggregazione delle utilità avviene per prodotto dando così un carattere più egualitario alla regola di aggregazione. La funzione del benessere è quindi determinata dal prodotto delle utilità. Il benessere sociale infatti risulta tanto maggiore quanto più è equa la distribuzione: Con due individui la curva di isobenessere risulta una iperbole. Il prodotto dei redditi attraverso cui viene espressa questa funzione di benessere sociale permette di giungere a degli indicatori che permettono di ordinare le situazioni, dando un valore maggiore quanto più è equa la distribuzione: qualora il benessere di un individuo è nullo, attraverso il prodotto, il benessere collettivo è nullo. Questo è quindi uno strumento che di fatto permette di ordinare le diverse variazioni e avendo scelto di ordinare le utilità dei diversi individui attraverso l’operatore prodotto, esse vengono ordinate con grande attenzione all’equità perchè rende preferibile la situazione in cui la valutazione di benessere migliore sia quando i due individui presi in esame abbiano a disposizione la stessa quota di risorse. La funzione di benessere Bernoulli - Nash viene così rappresentata: Anche nel caso della relazione Bernoulli - Nash si può ipotizzare l’esistenza di una funzione Bernoulli - Nash generalizzata al fine di tenere conto di una maggiore equità oltre che della volontà di voler migliorare la situazione introducendo dei pesi più elevati alle categorie ritenute importanti. Alla funzione viene quindi aggiunto il peso A1, come esponenti delle utilità individuali: • Funzione di Rawls: Il benessere sociale dipende solo da quello dell’individuo nella situazione peggiore, è perciò valutato in base al benessere dei meno abbienti. Il benessere sociale deve quindi essere valutato in base alla condizione di chi ha meno all’interno della società (posto che gli individui stessi non hanno idea di chi abbia di più e chi di meno, ovvero non conoscano le posizioni degli altri): il benessere sociale aumenta quando aumenta il benessere dell’individuo che sta peggio (principio maxmin) e non c’è sostituibilità tra i miglioramenti di benessere dell’individuo che sta peggio e di quello che sta meglio. Il criterio del maximin è così chiamato perchè l’obiettivo è quello di massimizzare il benessere di chi sta peggio: si tratta di un criterio razionale in condizioni di incertezza e di avversione al rischio e segue anzitutto due principi. Ogni individuo ha infatti diritto al più ampio numero di libertà individuali, compatibile con quelle degli altri: inoltre, il grado di disuguaglianza è accettabile se relativo a posizioni sociali ed economiche aperte a tutti e quando sono garantite quantità minime di beni per i più svantaggiati. Date le utilità dei diversi membri della società la funzione del benessere sociale risulta essere: W = min ( Ui ) Nel caso di due individui, le curve di isobenessere hanno una forma a L con un punto angoloso come successivamente mostrato: le cui coordinate rappresentano la quantità dei due beni che danno al consumatore la stessa soddisfazione: l’utilità totale crescere al crescere della disponibilità di un bene. Tanto più ci si allontana dall’origine degli assi, tanto più ci si porta su curve di indifferenza di livello di benessere maggiore a causa dell’ipotesi di fondo per cui esiste un principio di non sazietà, tanto più si ha tanto meglio si sta. Nello stesso grafico viene inoltre rappresentato il vincolo di bilancio: il consumatore vorrebbe sempre andare sulla curva di indifferenza più lontana dall’origine e che rappresenta un livello di benessere maggiore ma non può farlo perché ha il vincolo rappresentato dalla sua disponibilità economica. Il vincolo di bilancio permette di costruire all’interno del grafico una retta che dipende dalla relazione per cui il reddito può essere speso per l’acquisto dei due beni in esame. xPX+yPY=m. Il vincolo viene chiamato “di bilancio” perchè divide il primo quadrante significativo dal punto di vista economico in uno spazio sotto il vincolo di bilancio che racchiude in sé combinazioni del bene x e del bene y che sono accessibili al consumatore ma che non portano alla massima soddisfazione possibile perché non viene speso tutto il reddito -> panieri che quindi non danno la massima soddisfazione perchè < m. Il vincolo tracciato rappresenta in ogni suo punto quella quantità di beni che si potrebbe acquisire spendendo tutto il reddito, quindi tutti quei panieri acquisibili: tutti i punti che stanno sopra la retta del vincolo di bilancio rappresentano invece panieri che non sono accessibili perchè sono superiori al vincolo di bilancio e quindi al reddito di cui il consumatore dispone. -> il consumatore nelle sue scelte è costretto a tenere conto del vincolo di bilancio per massimizzare il proprio benessere e sceglie il paniere ottenuto nel punto di tangenza tra la retta del vincolo di bilancio e la curva di indifferenza. Nel punto di tangenza, l’inclinazione della retta del vincolo di bilancio che è il rapporto tra il prezzo dei due beni è uguale alle utilità marginali dei due beni. Questa situazione di ottimo può essere stabilita anche tra n beni. A partire da questa scelta ottimale del consumatore è possibile trarre la funzione di domanda che è una relazione tra prezzo e quantità domandata: come reagisce il consumatore quando il prezzo varia? La curva di domanda infatti deve rispondere e spiegare come si comporta il consumatore quando il prezzo cambia: all’aumentare del prezzo, la domanda scende e viceversa. La curva di domanda ordinaria o marshalliana Facendo variare con continuità il prezzo del bene x, dall’analisi precedente possiamo determinare la quantità del bene che il consumatore domanderebbe per ogni possibile prezzo, dati i gusti, il reddito e i prezzi degli altri beni. Ad esempio, quando il prezzo è px1, la qualità domanda è x1: quando il prezzo diminuisce e diventa ad esempio px2, la quantità domandata del bene x diventa x2. Se riportiamo in un grafico le coppie prezzo-quantità domandata così ottenute possiamo rappresentare la curva di domanda ordinaria. L’effetto reddito e l’effetto sostituzione È però utile distinguere la parte della variazione della quantità domandata del bene x dovuta ad un effetto reddito e quella dovuta ad un effetto sostituzione. L’effetto reddito dipende dal fatto che una variazione del prezzo di un bene incide sul p o t e re d ’ a c q u i s t o d e l c o n s u m a t o re , aumentando il suo reddito reale se il prezzo di un bene diminuisce e riducendo il suo reddito reale se il prezzo di un bene aumenta. -> il consumatore è diventato più ricco. L’effetto sostituzione dipende invece dal fatto che una variazione del prezzo di un bene rende questo bene relativamente più caro se il suo prezzo aumenta e questo induce il consumatore ad aumentare il consumo di un bene il cui prezzo è diminuito e diminuisce il consumo di un bene il cui prezzo è aumentato. -> è il bene a diventare relativamente conveniente. Un modo per distinguere questi due effetti bisogna cercare di valutare che cosa il consumatore sceglierebbe con i nuovi prezzi ma rimanendo sul livello di soddisfazione iniziale: si trasla il nuovo vincolo di bilancio (con i nuovi prezzi) per renderlo tangente con la curva di indifferenza iniziale e il punto di tangenza B è un paniere che da la stessa soddisfazione di A, ma è composto in maniera differente -> il potere di acquisto, misurato con la medesima utilità, non è perciò cambiato. -> Il passaggio della quantità consumata da x1 a x3 p dovuto ad un effetto sostituzione semplicemente perchè il bene x è diventato più economico mentre il passaggio della quantità consumata da x3 a x2 non dipende da un effetto di maggiore convenienza (in quanto il punto B e il punto C sono tangenti a vincoli di bilancio che hanno la stessa inclinazione) ma dipende solo dal fatto che il reddito è cresciuto. Per costruire una curva di domanda bisogna mettere in relazione il prezzo di un bene con la quantità di quel bene domandabile con quel prezzo: facendo variare con continuità il prezzo del bene scelto si ottiene nel grafico la curva di domanda, definita anche come ordinaria. Ogni suo punto implica per il consumatore un diverso livello di soddisfazione perchè quanto più il prezzo del bene è alto, tanto più la quantità consumata è bassa tanto più sarà bassa la soddisfazione del consumatore. -> ogni punto della curva di domanda marshalliana indica un livello di soddisfazione diverso. Effetto prezzo : Nella figura precedente la variazione del prezzo del bene x da px1 a px2 determina una variazione della quantità domandata da x1 a x2 . Questa variazione è dovuta alla variazione del prezzo (effetto prezzo) e può essere scomposta nella somma delle variazioni dovute ad effetto sostituzione ed effetto reddito. Effetto sostituzione: La variazione della quantità domandata da x1 a x3 è dovuta ad un effetto sostituzione, perché il paniere (coordinate di A) scelto dal consumatore ai prezzi iniziali ha per il consumatore lo stesso livello di soddisfazione del paniere scelto (coordinate di B) quando il prezzo del bene x è diminuito. I due panieri danno al consumatore lo stesso livello di soddisfazione dato che A e B sono sulla stessa curva di indifferenza. La variazione nelle quantità domandate dipende solo dal fatto che il bene x è diventato relativamente più economico del bene y. -> è legato al fatto che il bene x o il bene y sia diventato relativamente più economico o più costoso. -> si mantiene inalterato il potere d’acquisto del consumatore e la sua soddisfazione rimane sullo stesso livello (stessa curva di indifferenza). Effetto reddito: La variazione della quantità domandata da x3 a x2 è dovuta ad un effetto reddito. Il rapporto tra i prezzi dei due beni è lo stesso in corrispondenza del paniere rappresentato dalle coordinate di B e del paniere rappresentato dalle coordinate di C: nei punti di tangenza B e C, infatti, i vincoli di bilancio hanno la stessa inclinazione. La variazione della quantità domandata del bene x non dipende quindi da un cambiamento della convenienza relativa, ma solo da un cambiamento del potere d’acquisto del consumatore. Ai fini di trovare delle misure che permettano di valutare quantitativamente gli effetti sul benessere di diverse politiche che modificano i prezzi, bisogna riflettere sulla curva di domanda per osservare quanta parte della variazione domandata del bene x sia imputabile al fatto che nel caso vi sia una riduzione di prezzo il consumatore disponga di un potere d’acquisto maggiore, quindi è diventato più ricco -> effetto reddito. Necessario è distinguere l’effetto reddito dall’effetto sostituzione che dipende dal fatto che, essendo quel bene diventato o più economico o più caro rispetto al bene y, il cui prezzo non è mutato, il consumatore trova conveniente nella scelta ottimale modificare il suo paniere andando a modificare un po’ di più del bene che è diventato relativamente più economico e meno di quello che è diventato più caro. -> è legato al fatto che il consumatore dispone di un potere d’acquisto più alto. La curva di domanda ordinaria e la variazione del potere d’acquisto La curva di domanda ordinaria rappresenta la quantità che il consumatore domanda per ogni prezzo; ai diversi punti della curva di domanda ordinaria corrisponde perciò un differente potere d’acquisto del consumatore. Dalla curva di domanda ordinaria possiamo determinare l’effetto prezzo che è scomponibile nella somma di effetto sostituzione ed effetto reddito. Ogni punto della curva di domanda implica un livello di soddisfazione diversa del consumatore. La curva di domanda compensata o hicksiana La curva di domanda compensata rappresenta per ogni prezzo la quantità che il consumatore domanderebbe per massimizzare la propria soddisfazione (dati i gusti, il reddito ed i prezzi degli altri beni) se, per ogni variazione di prezzo, le conseguenti variazioni del potere d’acquisto del consumatore fossero continuamente compensate da variazioni di reddito in modo da mantenere inalterato il suo benessere; si ipotizza quindi che il reddito monetario del consumatore abbia una variazione per compensare la variazione del prezzo, consentendogli di restare sulla stessa curva di indifferenza: E’ quindi una curva di domanda che non include l’effetto reddito, ma solo l’effetto sostituzione. È un tentativo di creare una relazione tra prezzo e quantità se, facendo variare il prezzo contemporaneamente si compensasse il consumatore degli effetti che la variazione ha sul suo potere d’acquisto. -> il tentativo è quello di compensare il consumatore con aumenti o diminuzioni di reddito che gli consentano di mantenere l’utilità iniziale e quindi di restare sulla stessa curva d’indifferenza. Variazioni di benessere e surplus del consumatore Il surplus del consumatore è la differenza tra il valore totale del consumo del bene (area sottostante la curva di domanda ordinaria) e la spesa effettiva per il consumo. - > L A C U R V A D I D O M A N D A È I N C L I N ATA NEGATIVAMENTE 0AH x1 - valore totale del consumo del bene. 0p1H x1 - spesa effettiva per il consumo. Il valore dato al bene x1 non è quanto il consumatore effettivamente spende ma quanto sarebbe stato disposto a spendere per quel bene. Variazioni del surplus del consumatore: il caso di una diminuzione di prezzo Se misuriamo la variazione di benessere con riferimento al surplus del consumatore (SC), l’aumento di benessere generato dalla diminuzione di prezzo è pari all’area p1HKp2. ->questo ha effetti non solo sulla sua spesa (che varia a seconda del grado di elasticità della domanda) ma anche sul suo surplus che diventa Ap2K. La differenza tra il valore annesso al consumo ovvero tutta l’area sotto la curva di domanda (0AHx1) e quanto effettivamente spende (0p1Hx1) viene chiamato surplus del consumatore ed è pari all’area di p1AH -> quest’area rappresenterebbe la differenza tra quanto il consumatore sarebbe disposto a spendere per quella quantità x1 di bene e quanto effettivamente spende. Se misuriamo la variazione di benessere con riferimento al surplus del consumatore otteniamo una misura il cui valore dipende sia da un effetto reddito che da un effetto Non si hanno tanti strumenti per valutare di quanto il consumatore beneficia al cambiamento del prezzo di un bene. -> LA VARIAZIONE COMPENSATIVA FA RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE INIZIALE A LIVELLO DI UTILITÀ -> LA VARIAZIONE EQUIVALENTE FA RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE FINALE DELL’UTILITÀ Variazioni del surplus del consumatore: il caso di un aumento di prezzo Se misuriamo la variazione di benessere con riferimento al surplus del consumatore (SC), la diminuzione di benessere generata dall’aumento di prezzo è pari all’area p2HKp1. -> la variazione compensativa: il caso di un aumento di prezzo La riduzione di benessere derivante dall’aumento di prezzo può essere misurata anche in base all’aumento di reddito che il consumatore dovrebbe ottenere per avere, con il nuovo prezzo, la stessa utilità che avrebbe avuto con il prezzo originale. Questa grandezza si chiama VARIAZIONE COMPENSATIVA (VC). Risponde alla ipotetica domanda: “Quale è la minima compensazione richiesta dal consumatore per accettare il danno di un aumento di prezzo?” Possiamo vedere la variazione compensativa graficamente: è la variazione di reddito che fa spostare il vincolo di bilancio da EG a MN. Per lasciare il consumatore al livello u1 col prezzo p2 bisogna aumentare il reddito monetario (traslazione della linea di bilancio da EG a MN). -> SI FA SEMPRE RIFERIMENTO ANCHE IN QUESTO CASO ALL’UTILITÀ INIZIALE -> il consumatore subisce un danno dall’aumento del prezzo del bene in questione: per essere compensato quanto al minimo chiede per tornare sulla curva di indifferenza iniziale (pari al segmento EM, ovvero la distanza tra i due vincoli di bilancio perchè l’intersezione tra questi due vincoli di bilancio è il reddito / prezzo del bene y). L’effetto sostituzione è x1 x3 . L’effetto reddito è x3 x2 . La variazione compensativa è il reddito che deve essere dato al consumatore in modo tale che, nonostante il danno dell’aumento di prezzo, rimanga al livello di utilità iniziale. Si può vedere con riferimento alla curva di domanda hicksiana (D’) relativa al livello di utilità costante u1 . E’ quindi l’analogo della variazione del surplus del consumatore se, invece di utilizzare la curva di domanda ordinaria (D), utilizziamo la curva di domanda compensata (D’) relativa al livello di utilità costante u1 . E’ quindi l’area p2QKp1. D curva di domanda ordinaria D’ curva di domanda compensata a livello di utilità u1 , cioè quello antecedente l’aumento di prezzo. Variazione equivalente: il caso di un aumento di prezzo La riduzione di benessere derivante dall’aumento di un prezzo può essere misurata anche in base alla riduzione di reddito che il consumatore dovrebbe subire per avere, con il prezzo originale, la stessa utilità che avrebbe con il nuovo prezzo. Questa grandezza si chiama VARIAZIONE EQUIVALENTE (VE). Risponde alla ipotetica domanda: “Quanto sarebbe disposto a pagare al massimo il consumatore per evitare il danno di un aumento di prezzo?” Possiamo vedere la variazione equivalente graficamente: -> VARIAZIONE EQUIVALENTE È LA VARIAZIONE DOPO CHE IL PREZZO È AUMENTATO. E’ la variazione di reddito che fa spostare il vincolo di bilancio da EJ a FL. Per lasciare il consumatore al livello u2 col prezzo p1 bisogna ridurre il reddito monetario (traslazione della linea di bilancio da EJ a FL). L’effetto sostituzione è x4 x2 . L’effetto reddito è x1 x4 . La variazione equivalente è il reddito che deve essere sottratto al consumatore in modo tale da portarlo allo stesso livello di utilità al quale lo avrebbe portato l’aumento di prezzo. Si può vedere con riferimento alla curva di domanda hicksiana (D’’) relativa al livello di utilità costante u2 . E’ l’analogo della variazione del surplus del consumatore se, invece di utilizzare la curva di domanda ordinaria (D), utilizziamo la curva di domanda compensata (D’’) relativa al livello di utilità costante u2. E’ quindi l’area p2HLp1. D curva di domanda ordinaria D’’ curva di domanda compensata a livello di utilità u2 , cioè quello a cui si arriva dopo l’aumento del prezzo. La relazione tra VC, SC e VE nel caso di un aumento di prezzo Variazione Equivalente = p2HLp1 Surplus Consumatore = p2HKp1 Variazione Compensata = p2QKp1 VE < SC < VC -> Variazione compensativa ed equivalente si distinguono per l’implicito giudizio sui diritti del consumatore: •la VC implica che il consumatore abbia diritto alla situazione iniziale; •la VE a quella finale. Il grafico evidenzia una relazione tra variazione compensativa e variazione equivalente: se p2 è il prezzo finale e p1 è quello iniziale a seguito di una riduzione del prezzo, la variazione compensativa in caso di riduzione del prezzo diventa uguale alla variazione equivalente nel caso di un aumento. La variazione compensativa è basata sull’utilità iniziale e sull’idea che il consumatore abbia il diritto di rimanere sulla curva di indifferenza iniziale: ci si chiede quindi come modificare il reddito in aumento e la riduzione a seconda che serva un aumento o una riduzione per farlo stare come sta all’inizio della variazione. La variazione compensativa da diritto a stare sulla situazione iniziale che quindi deve essere equivalente alla situazione finale: nel caso di un aumento del prezzo, la variazione compensativa quantifica la disponibilità ad accettare una compensazione per accettare il danno. Viceversa, la variazione equivalente fa riferimento all'utilità al livello di soddisfazione che il consumatore raggiungerebbe dopo che i prezzi sono mutati e quindi fa riferimento all'idea che abbia diritto a raggiungere quel risultato. La variazione equivalente parte dal diritto implicito di porre attenzione alla situazione finale: di fronte a un aumento di prezzo inoltre, fa riferimento alla disponibilità per evitare il danno e nel caso della diminuzione del prezzo si ha l’effetto contrario. Il risultato finale a cui si giunge è che è molto difficile da parte di questo auspicabile attore sociale che ha a cuore il benessere dei cittadini valutare correttamente quando il nostro benessere può aumentare oppure o no. I metodi di valutazione sopra indicati rispondono a delle domande che di fatto si possono condividere: si cerca quindi si osservare la curva di domanda e la curva di domanda compensata attraverso i dati di mercato, ma si hanno difficoltà. I fallimenti del mercato dipendono in parte dall’assenza di un vero e proprio mercato a concorrenza perfetta, dalla presenza di esternalità, di beni pubblici, di risorse di proprietà comuni e di asimmetria informativa. A parte il caso della concorrenza perfetta che è meno legato al problema ambientale, tutti gli altri casi sono molto importanti: - le esternalità positive e negative sono per lo più conseguenze e impatti che l’agire economico ha sull’ambiente; - I beni pubblici e le risorse comuni hanno spesso a che fare con l’ambiente. È utile ricordare perchè in assenza di tutti questi elementi si raggiunge una situazione efficiente nel senso di pareto. CONDIZIONI DI EFFICIENZA STATICA IN UN’ECONOMIA DI SCAMBIO E DI PRODUZIONE Teorie delle scelte del consumatore - La funzione di utilità Un consumatore si comporta in modo razionale, scegliendo quel paniere di beni che massimizza la propria soddisfazione e questo avviene quando il rapporto tra le utilità marginali dei beni che consuma (ponderate per i prezzi) sono uguali per tutti i beni che consuma. Il consumatore massimizza l’utilità che deriva dai beni, con un vincolo di spesa: l’utilità è però un concetto molto soggettivo che dipende in larga parte dalla soddisfazione e dal benessere che derivano dal bene. L’utilità può essere distinta in cardinale e ordinale e, facendo una serie di ipotesi sulle preferenze fra panieri diversi di beni, si può definire la funzione di utilità. Come si costruisce la scatola di Edgeworth? I grafici sono fondamentalmente sovrapposti e le dimensioni, orizzontali e verticali della scatola, sono le quantità totali dei due beni che hanno A e B. Il grafico di B viene rotato di 180 gradi e la lunghezza delle ordinate indica la quantità totale di y, quella delle ascisse la quantità totale di x. La prima osservazione che si può fare è che all’interno della della s scatola è possibile individuare una particolare suddivisione dei due beni tra i due consumatori: si può quindi guarda la condizione di entrambi consumatori riguardo a un determinato punto. -> ogni punto raffigura quindi una particolare ripartizione dei due beni tra i consumatori in esame. Si vuole capire se questa ripartizione sia pareto efficiente oppure no: se a partire da quella suddivisione dei due beni si potrebbe intervenire con uno scambio libero che porti a un miglioramento paretiano (miglioramento quando o entrambi aumentano, oppure uno aumenta senza che l’altro peggiori). -> nel punto C le curve di indifferenza si intersecano: i due individui possono scambiarsi i beni e raggiungere un equilibrio in cui almeno uno ha un maggiore livello di utilità. Con lo scambio i due soggetti possono raggiungere curve più alte poste all’interno della lente colorata: A cede y in cambio di x e B cede x in cambio di y. Essendo i SMS differenti entrambi possono migliorare con lo scambio. Tutti i punti all’interno della lente rappresentano ripartizioni di beni tra i due individui che migliorando la situazione di entrambi o di uno dei due. Lo scambio continua finché non si arriva a un punto E, ovvero un punto in cui le due curve sono tra di loro tangenti e quindi si è in una posizione di ottimo: da quel momento in poi uno dei due individui non potrà migliorare senza di fatto far peggiorare l’altro. Il punto E viene chiamato pareto - efficiente perchè le curve di A e B sono tangenti: è cioè una situazione in cui non si può migliorare il benessere di un individuo della società senza peggiorare il benessere di un altro. L’insieme di tutti i punti pareto - efficienti rappresenta la curva dei contratti. La ripartizione dei beni individuata nel punto C non è pareto - efficiente perchè con uno scambio uno o entrambi degli individui possono spostarsi su una curva di indifferenza più alta o sulla stessa curva: questo dipende dal fatto che intersecandosi le curve in quel punto C, l’SMS dei due individui è differente e quindi le ragioni di scambio dei due beni che permettono lo stesso livello di utilità dello scambio sono differenti. -> entrambi possono quindi beneficiare dell’effetto di scambio: lo scambio libero continuerà fino al punto in cui non sarà più possibile progredire verso un miglioramento. Questo punto all’interno della lente nella scatola di Edgeworth è il punto di tangenza tra le due curve di indifferenza. Per qualunque dotazione iniziale si può ricostruire il processo di scambio potenziale tra i due individui e così identificare all’interno della scatola di Edgeworth infiniti punti all’interno dei quali le due curve di indifferenza sono tangenti. La curva che unisce tali punti è detta curva dei contratti: essa viene così chiamata perché la libera contrattazione tra gli individui dovrebbe portare a un punto lungo questa curva, costruita sulla base della tangenza tra le curve dei due individui. Ogni punto della curva dei contratti può essere raggiunto data una certa distribuzione iniziale di risorse ma, arrivando a un punto di ottimo (ovvero infiniti), non si possono sulla base del criterio di pareto ordinali (il principio di pareto con contempla l’ordinare in maniera completa i punti): sulla curva dei contratti infatti i punti Q, E, P e R sono tutti punti di ottimo. -> LA CURVA DEI CONTRATTI È CARATTERIZZATA DA PUNTI DI OTTIMO OVVERO DA PUNTI CHE CORRISPONDONO ALLA TANGENZA TRA LE CURVE DI INDIFFERENZA DEI CONSUMATORI. I SAGGI MARGINALI DI SOSTITUZIONE TRA I DUE BENI SONO GLI STESSI TRA I DUE INDIVIDUI. Il punto E ad esempio è un punto pareto - efficiente perchè le curve di indifferenza di A e B sono tangenti. Si osserva quindi che: SMS (A) = dy / dx(A) = SMS (B) = dy / dx (B) L’insieme di tutti i punti pareto efficienti all’interno della scatola di Edgeworth rappresenta la curva dei contratti. Nell’economia semplificata che abbiamo visto, la contrattazione diretta (un baratto) tra gli individui determina la posizione finale: nelle economie di mercato, dove operano contemporaneamente milioni di persone, l’equilibrio finale si raggiunge attraverso il meccanismo dei prezzi. Il mercato concorrenziale tende infatti a raggiungere una situazione di ottimo paretiano pur essendo di fatto pozioni molteplici: il mercato assicura l’efficienza ma non l’equità -> la situazione è pareto efficiente ma non pone attenzione all’equità: la distribuzione di beni a cui si giunge dopo la contrattazione dipende infatti in maniera preponderante dalla distribuzione iniziale dei beni (se si parte da una distribuzione iniqua, si proseguirà verso una distribuzione altrettanto iniqua). Teorie delle scelte del produttore Bisogna guardare anche all’aspetto della produzione con due problematiche: la prima ipotizza che gli input siano continuamente sostituibili e quindi a ciò si lega la domanda del produttore che si interroga su quale sia la combinazione migliore degli input per ottenere un certo prodotto (-> quella che certamente implica il costo minore possibile). L’obiettivo del produttore è infatti quella si ottenere la maggior quantità di prodotto possibile con i costi minimi. Siccome gli input sono però utilizzabili per la produzione di diversi beni, i produttori hanno un altro problema: quanti input utilizzare nella produzione di un bene e quanti nella produzione di un altro, quindi come stabilire il livello di produzione dei diversi beni. La tecnologia di produzione La funzione di produzione indica il più elevato livello di produzione che un’impresa può produrre per ogni data combinazione dei fattori di produzione con una data tecnologia: essa mostra che cosa è tecnicamente possibile quanto l’impresa opera in maniera efficiente. Si parte quindi dall’ipotesi che la tecnologia sia data, esogena al sistema. La funzione di produzione viene rappresentata con due fattori produttivi: Q = F ( T, L ) dove Q = produzione, T = terra, L = lavoro -> la tecnologia è data. La funzione di produzione rappresenta quindi l’insieme dei prodotti che si possono ottenere con le possibili combinazioni di terra T e lavoro L. In particolare, è possibile ricavare a tal proposito le combinazioni di fattori produttivi che, grazie alla tecnologia di produzione data, permettono di ottenere lo stesso livello di prodotto. Tale rappresentazione prende il nome di isoquanti: gli isoquanti sono curve che rappresentano tutte le possibili combinazioni di fattori di produzione che generano lo stesso livello di produzione. Da ricordare : breve periodo = periodo di tempo durante il quale le quantità dei fattori di produzione (o di almeno uno di essi) non possono variare e quindi i fattori di produzione vengono detti fissi. Lungo periodo = è il periodo di tempo nel quale tutti i fattori di produzione sono variabili. Gli isoquanti dal punto di vista geometrico rappresentano i punti in cui le combinazioni di terra e lavoro permettono di ottenere lo stesso livello di produzione. Gli isoquanti hanno una pendenza negativa: partono dalla considerazione di una funzione di produzione efficiente ed è quindi evidente che se si rinuncia a uno dei due input, bisogna compensare tale rinuncia con l’aumento dell’altro input. La concavità è verso l’alto e si tratta di funzioni convesse, a causa della tradizionale ipotesi marginalità che ritiene che la produttività marginale di un fattore è decrescente. Produttività marginale: rapporto tra la variazione del prodotto e quindi la variazione di quell’input a parità degli altri input (-> La produttività marginale, o prodotto marginale di un fattore produttivo, è definibile come l'incremento di produzione che risulta da aumenti al margine dall'impiego di un certo fattore, costante la quantità degli altri). La produttività marginale è ipotizzata come negativa. Il saggio marginale di sostituzione tecnica SMST La pendenza di un isoquanto in ogni punto è detta saggio marginale di sostituzione tecnica SMST: la pendenza esprime il rapporto di sostituzione tra due fattori di produzione per un dato livello di produzione. dL / dT = saggio marginale di sostituzione tecnica ovvero dice quanto L in più o in meno è necessario per compensare una diminuzione o un aumento di T, lasciando però invariato il livello di produzione. Si conclude che SMST = dL / dT = - Q’T (ovvero dQ / dT, cioè il prodotto marginale di T) / Q’L (ovvero dQ / dT, cioè il prodotto marginale di L). -> IL SAGGIO MARGINALE DI SOSTITUZIONE TECNICA È IL RAPPORTO TRA LE PRODUTTIVITÀ MARGINALE DEI DUE INPUT UTILIZZATI NELLA PRODUZIONE, TERRA E LAVORO. Anche in questo caso, l’analisi marginalista predispone che per giungere a una situazione di equilibrio gli isoquanti abbiano la forma sopra indicata (pendenza negativa e forma convessa rispetto all’ordine a causa della produttività marginale decrescente dei fattori produttivi): ci sono però ulteriori casi particolari come quello in cui i due fattori produttivi variabili sono tra loro perfetti sostituti. In questo caso il SMST è costante ed è quindi irrilevante la proporzione in cui i fattori produttivi vengono combinati perchè il loro rapporto è costante. Un altro caso particolare è quello in cui si hanno due fattori produttivi impiegati in proporzioni fisse in cui nessuna sostituzione è possibile: ogni livello di produzione richiede infatti un dato ammontare di ogni fattore produttivo e per aumentare la produzione occorre aumentare l’utilizzazione di entrambi i fattori. dell’ipotesi di costi marginali crescenti -> all’aumentare della produzione, il costo marginale è crescente). La FPP rappresenta quindi le possibili produzioni ottenibili a parità di costo e la sua inclinazione, definita saggio marginale di trasformazione, non è altro che il rapporto tra il costo marginale di produzione del bene y e il costo marginale di produzione del bene x che, essendo ipotizzati crescenti al crescere della produzione, danno la dinamica del saggio marginale di trasformazione. Il SMT misura il costo opportunità di un bene y in termini di un altro bene x, cioè il tasso al quale il sistema economico può trasformare il bene y in un bene x. Il saggio marginale di trasformazione corrisponde quindi a : SMT = dy / dx = - MCx / MCy Essendo MCx il costo marginale di produzione del bene x e MCy il costo marginale di produzione del bene y. A parità di costo di produzione, ogni punto della frontiera delle possibilità di produzione è producibile dal produttore, date le tecnologie e i vincoli di produzione, quindi le quantità di risorse dei fattori di produzione. La combinazione migliore dei due beni è la combinazione che, a parità di costo, permette al produttore di avere il massimo ricavo possibile che dipende dal prezzo del bene x e da quello del bene y. Le rette di isoricavo Dati i prezzi dei prodotti è possibile determinare il ricavo totale: nel caso in cui vengano prodotti solo due beni è possibile rappresentare le combinazioni produttive che comportano lo stesso ricavo. R = p(x) x + p(y) y -> da cui poi : y = R / py - px / p(y) x Si tratta quindi di due rette che hanno come intersezione con l’asse delle ordinate R / py e come coefficiente angolare il rapporto tra i prezzi: ogni punto di questa retta esprime combinazioni di x e y che, dati i prezzi dei due beni, danno lo stesso ricavo -> da qui il nome “isoricavo”. Tanto più ci si sposta dall’origine degli assi, e quindi ci si allenta, tanto più il ricavo sarà alto mentre, viceversa, tanto più ci si avvicina più esso rappresenta combinazioni si x e y che danno lo stesso ricavo ma più basso. Tra tutte le alternative ottenibili a parità di costo, il produttore scegliere quella in grado di dargli il massimo ricavo possibile in modo tale da avere i massimi profitti: egli sceglierà quella combinazione in cui la retta di ricavo è tangente alla frontiera delle possibilità produttive. L’inclinazione della frontiera delle possibilità produttive è costituita dal rapporto tra i costi marginali di produzione del bene y. Con la dotazione di fattori produttivi è realizzabili qualunque combinazione dei due beni compresa fra la frontiera e gli assi cartesiani, però solo i punti sulla frontiera sono efficienti. Nel punto di ottimo, le pendenze tra la retta di isoricavo e la frontiera delle possibilità produttive sono uguali. dy / dx = -MCx / MCy = -px / py -> quindi: MCx / px = MCy / py -> condizione di uguaglianza dei costi marginali ponderati. -> IL CONSUMATORE MASSIMIZZA LA SUA SODDISFAZIONE QUANTO SCEGLIE QUEL PANIERE PER CUI IL RAPPORTO TRA I PREZZI È UGUALE AL RAPPORTO TRA LE UTILITÀ MARGINALI. NELLO SCAMBIO, DUE CONSUMATORI ARRIVANO A UNA SITUAZIONE DI OTTIMO PARETIANO SE SI PONGONO LUNGO LA CURVA DEI CONTRATTI, CHE È CARATTERIZZATA DALL’UGUAGLIANZA TRA LE UTILITÀ MARGINALI PER I PREZZI DEI BENI. -> NELLA DECISIONE CHE RIGUARDA LA COMBINAZIONE DEI DIVERSI FATTORI PRODUTTIVI, IL PRODUTTORE SCEGLIE QUELLA DOVE LA RETTA DI ISOCOSTO È TANGENTE A QUELLA DI ISOQUANTO E QUINDI DOVE LA PRODUTTIVITÀ MARGINALE DEI FATTORI PONDERATA PER I PREZZI È UGUALE PER TUTTI I FATTORI. LA SCELTA È DI ARRIVARE DOVE IL SAGGIO MARGINALE DI TRASFORMAZIONE È UGUALE AL RAPPORTO TRA I COSTI MARGINALI ED È UGUALE AL RAPPORTO TRA I PREZZI. L’efficienza nello scambio e nella produzione quindi può essere riassunta come: SMS = dy / dx = - U’x / U’y = - px /py SMS(A) = dy / dx (A) = SMS (B) = dy /dx (B) SMST = dL / dT = - Q’T / Q’L = - pT / pL SMT = dy / dx = - MCx / MCy = - px / py -> quindi -> SMS = SMT è la situazione di massima efficienza. La concorrenza perfetta e l’efficienza I mercati competitivi garantiscono il raggiungimento dell’efficienza paretica nello scambio, nella produzione e della combinazione dei prodotti. Nei mercati competitivi infatti: • Il prodotto è omogeneo; • L’informazione è perfetta; • Vi è libertà di entrata e uscita dal mercato; • Vi è assenza di esternalità; • Vi è assenza di costi di transizione; • Esistono numerose imprese e altrettanti consumatori; • Il prezzo è dato. L’obiettivo dell’impresa è di massimizzare il proprio profitto: essa quindi aumenta l’output, ovvero produce, finché il ricavo marginale è uguale al costo marginale (e in concorrenza perfetta è uguale anche al prezzo). Per massimizzare l’utilità i consumatori eguagliano il SMS al rapporto tra i prezzi dei beni: SMS = - px / py I prezzi sono dati per tutti i consumatori quindi SMS (A) = SMS (B), per massimizzare quindi la propria soddisfazione si consuma il paniere che è uguale al proprio saggio marginale di sostituzione. Il consumatore A per massimizzare la sua soddisfazione sceglie quel paniere dove il saggio marginale di sostituzione tra i due beni è uguale al rapporto tra i prezzi, lo stesso fa il consumatore B: la concorrenza perfetta , avendo un prezzo dato per tutti i consumatori, realizzerà l’efficienza nello scambio, quindi l’uguaglianza i SMS di tutti i consumatori. Nel minimizzare il costo di produzione, i produttori eguagliano il SMST al rapporto tra i prezzi dei fattori produttivi che sono dati per tutti i produttori. Le imprese scelgono quella combinazione tale per cui l’isoquanto è tangente all’isocosto, quindi combinano i fattori produttivi in modo tale da eguagliare il SMST al rapporto tra i prezzi stessi degli input. Nel massimizzare i profitti, le imprese realizzano l’eguaglianza tra il prezzo di vendita dei beni e il costo marginale: MCx = px MCy = py I prezzi sono dati per tutti i produttori quindi SMT = SMS (- px / py ) Il libero agire delle forze di mercato in condizioni concorrenziali realizza una situazione pareto efficiente perchè si realizza una situazione in cui nessun consumatore può migliorare la sua soddisfazione se non a scapito di un altro, il prodotto non può essere ulteriormente aumentato, i fattori produttivi sono impiegati nella produzione dei due beni per massimizzare i profitti, quindi avere i più alti ricavi a parità di costo e questo avviene naturalmente proprio per l’operare del libero agire delle forze di mercato. Il fatto che sia una situazione efficiente, non è detto che la situazione sia anche equa. Richiamando il grafico a fianco, si poteva osservare che a parità di input, si possono incontrare tutti i punti della frontiera delle possibilità produttive ma il punto che verrà scelto è quello in cui il rapporto tra i prezzi dei beni implica l’uguaglianza con il saggio marginale di trasformazione per trovarsi sulla retta di isoricavo più alta. Il rapporto dei prezzi dipende dalla domanda dei consumatori che è condizionata dal loro reddito, che è quindi il loro potere di voto. Gli input all’interno del mercato risentiranno della forte domanda di beni di lusso, dettata da chi ha un grande potere, e non risentiranno più di tanto dei beni di sussistenza, arrivando a combinare i fattori produttivi in maniera tale da avere una ripartizione dei input nella produzione di beni di lusso e non rivolti invece alle necessità di sussistenza fondamentali. -> è un mercato efficiente ma è altrettanto iniquo. Nella scelta di quali beni vengono prodotti dagli input a disposizione, quello che rileva la domanda dei più forti, quelli che più hanno reddito e che sono in grado di domandare, influenzando   il modo in cui i fattori produttivi sono allocati nella produzione dei diversi beni. Questo pone il problema del ruolo importante dello stato nel mercato per garantire una maggiore equità della ricchezza e distribuzione e attenzione al bisogno di tutti. Primo teorema fondamentale dell’economia del benessere In un sistema economico di concorrenza nel quale vi sia un insieme completo di mercati, un equilibrio concorrenziale, se esiste, è un ottimo paretiano: l’equilibrio di concorrenza perfetta è pareto-efficiente, l’allocazione a cui perviene il mercato è tale che non è possibile aumentare l’utilità di un individuo senza ridurre quella di un altro individuo. Il libero agire delle forze di mercato, se valgono condizioni concorrenziali, permette un'allocazione efficiente cioè non è possibile aumentare l'utilità di qualcuno senza ridurre quella di un altro. Secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere Se sono rispettate alcune condizioni relative alle funzioni di utilità individuali e alle funzioni di produzione, in presenza di mercati completi ogni posizione di ottimo paretiano può essere realizzata come equilibrio concorrenziale, data un’appropriata redistribuzione delle risorse fra gli individui. Un’allocazione pareto-efficiente può esser sempre raggiunta come equilibrio di un’economia concorrenziale, modificando opportunamente le dotazioni iniziali (ovvero il reddito). Qualunque posizione di ottimo può essere raggiunta, purché la redistribuzione delle risorse sia fatta in modo appropriato. Il primo teorema ha una natura descrittiva perchè descrive le conseguenze che ha l’equilibrio di mercato in termini di ordinamento sociale. Il secondo teorema ha invece una natura prescrittiva: definisce infatti le condizioni che devono essere soddisfatte (in materia allocativa e distributiva) per raggiungere una certa pozione desiderata dalla collettività. Questo mostra anche la divisione dei compiti tra le due principali istituzioni: I beni pubblici. I beni pubblici sono tutti quei beni di cui tutti possono godere in comune, nel senso che il consumo di ciascun individuo non comporta alcuna sottrazione del consumo dello stesso bene da parte di un altro individuo. I beni pubblici sono non rivali e non escludibili e queste caratteristiche incidono sulla specifica forma della curva di domanda poiché nel momento in cui un bene è offerto con queste caratteristiche, gli individui non sono liberi di scegliere quanto consumare perchè, trattandosi di un bene non escludibile, ciascuno può godere interamente di quel bene ed essendo esso anche non rivale, l’intera quantità offerta è a disposizione di ciascuno. La curva di domanda, che in generale per i beni privati permette di ricavare una relazione tra prezzo e quantità che ciascun individuo razionalmente vorrebbe consumare per massimizzare la propria soddisfazione, nei beni pubblici assume una forma diversa in quanto gli individui non possono scegliere quanto consumare. Se infatti il bene è presente in un’intera quantità, possono godere dell’intera quantità, non possono sceglierne di meno o sceglierne di più. La relazione a cui si può fare riferimento dice per una certa quantità data di bene pubblico quanto il consumatore sarebbe disposto a pagare. Il problema fondamentale è che una curva di domanda di questo tipo non si può rilevare e la relazione da luogo a delle risposte strategiche perchè ogni individuo, sapendo che non può essere escluso dalla fruizione di un bene pubblico, potrebbe non rivelare quanto realmente sarebbe disposto a pagare per quel bene. -> questo è il problema del fallimento del bene pubblico: si chiama problema del free riding. Questa particolare forma della curva di domanda fa anche sì che la curva di domanda aggregata riguardante quanto la collettività sarebbe disposta a pagare per un certo bene pubblico, ci porterebbe a sommare in verticale le disponibilità a pagare dei singoli soggetti: nel bene rivale invece la curva di domanda aggregata viene individuata sommando per ogni possibile prezzo i valori che rappresentano la quantità domandata dall’individuo a e quella dell’individuo b, ottenendo così un’aggregazione orizzontale. Per i beni non rivali e non escludibili non si può scegliere la quantità domandata perchè è uguale per tutti gli individui: al massimo è possibile chiedersi quanto un individuo sarebbe disposto a pagare, scelta che dipende sia dal reddito a disposizione sia dalle preferenze individuali. -> per quanto riguarda la curva di domanda del bene non rivale l’aggregazione delle domande dei singoli cittadini avviene in verticale: per ogni valore dato dell’ascissa, l’ordinata della curva di domanda del bene pubblico è la somma dei valori delle ordinate. È difficile conoscere quanto la collettività è davvero disposta pagare ma se fosse possibile sicuramente anche l’operatore pubblico potrebbe di fatto valutare anche correttamente quanto fornire di bene pubblico. I privati difficilmente hanno incentivo a produrre un bene pubblico perchè non hanno potere di farsi pagare: l’atteggiamento free riding infatti porterebbe gli individui a non collaborare perchè in ogni caso non potrebbero venire esclusi dal consumo. Proprio per questo motivo è spesso l’operatore pubblico che produce beni pubblici in quanto detiene anche un certo potere impositivo. Beni rivali - aggregazione orizzontale Bene non rivale - aggregazione verticale Nel caso dei beni rivali il mercato raggiunge una situazione pareto-efficiente quando l’equilibrio di mercato arriva a far produrre un bene privato nel punto in cui il costo marginale è uguale al prezzo. Per i beni rivali l’equilibrio di mercato si ha quando la curva di domanda aggregata, ottenuta per somma orizzontale delle curve di domanda individuali, è uguale al costo marginale. Valutazione marginale del bene da parte di ogni consumatore = MC = p Il costo marginale è quanto in più costa alla collettività produrre un certo bene, mentre il prezzo rappresenta la disponibilità marginale a pagare da parte della collettività: si raggiunge una situazione efficiente quando il costo aggiuntivo diventa pari alla disponibilità marginale a pagare. Nel caso di beni non rivali l’aggregazione delle curve di domanda individuali è la somma verticale: indica quale è la disponibilità globale dei consumatori a pagare per la quantità di bene pubblico uguale per tutti. Per i beni non rivali l’equilibrio di mercato si ha quando la curva di domanda aggregata, ottenuta per somma verticale delle curve di domanda individuali, è uguale al costo marginale. La situazione di efficienza quindi viene individuata quando la somma delle disponibilità a pagare di tutti i consumatori fosse uguale al costo marginale. MC = p = pA + pB (somma delle valutazioni marginali del bene da parte dei consumatori) Nel caso dei beni non rivali, la somma della domanda aggregata è una somma verticale e non orizzontale: essendo la quantità disponibile per tutti nello stesso ammontare al massimo si può dire quanto sarebbe utile per il consumatore avere quella quantità e quanto sarebbe disposto a contribuire all’acquisizione di quella quantità globale. -> la domanda corrisponde alla somma delle disponibilità a pagare, con un’aggregazione in verticale. I beni pubblici hanno anche la caratteristica di non essere escludibili o per ragioni tecniche, o anche qualora fosse possibile escludere qualcuno dalla sua funzione potrebbe essere più costoso che neanche farlo fruire gratuitamente. La non escludibilità quindi comporta una qualsiasi situazione in cui il bene sia reso disponibile per un individuo non risulta possibile o conveniente escludere altri individui dalla fruizione: questa non escludibilità può avvenire ragioni tecniche oppure economiche. Chi fornisce un bene pubblico arreca vantaggio a persone che possono usufruirne liberamente. La non escludibilità incentiva il comportamento free rider: utilizzare il bene senza un corrispettivo. I costi di fornitura di un bene pubblico non variano al variare dei servizi resi. Il mercato potrebbe non fornire i beni pubblici. L’offerta di beni pubblici dipende generalmente da un intervento collettivo o di un’autorità pubblica. Un privato non avrà vantaggio a produrre un bene pubblico se non quando i benefici che ha lui stesso sono superiori al costo che deve sostenere per la sua produzione. I beni pubblici misti. Si tratta di un’altra categoria appartenente ai beni pubblici che, nella loro forma “pura” devono essere non escludibili e non rivali: i beni pubblici misti dispongono invece di una sola delle due caratteristiche. Si definiscono beni pubblici misti (Club Goods) quei beni per i quali il costo marginale di un’ulteriore unità fornita, pur non essendo zero come nei beni pubblici puri, tende rapidamente a zero al crescere del numero degli utilizzatori. Sono definiti Club Goods in quanto per questa categoria di beni è necessaria la presenza di una organizzazione (un Club appunto) che si occupi della fornitura del bene e che possa escludere coloro che non ne fanno parte: si tratta di una categoria di beni quelli dei Club Goods che sono escludibili perchè il loro consumo è limitato solo a un certo numero di persone, ma sono non rivali pecche nel momento in cui si accede ai servizi offerti dal “club”, questi sono uguali per tutti (un club è in grado tra le altre cose di escludere il problema di free riding grazie al pagamento di un costo di associazione). Nei Club Goods è l’accesso al club che permette di regolare la fornitura dei beni e la copertura dei costi di fornitura. I beni né pubblici né privati caratterizzati da rivalità nel consumo con escludibilità difficile o impossibile sono beni a proprietà comune: i Commons. È una categoria importante per chi si occupa di beni ambientali: il nome Commons deriva dal termine britannico per i pascoli vicini ai villaggi dove tutti i contadini potevano far pascolare i propri animali. La non escludibilità del bene viene quindi rispettata, tutti ne godono, però c’è certamente rivalità (come esisteva per gli allevatori). La presenza di un bene che presenta queste caratteristiche provoca anche il fallimento del mercato. I Commons Nei villaggi inglesi il common era un’area a disposizione per il pascolo degli animali: quindi un bene caratterizzato da rivalità. Poiché l’area di pascolo era comune non vi erano metodi di esclusione anche se questo comportava il pascolo di un numero eccessivo di animali con riduzione dei benefici per tutti gli allevatori. Si parla di “tragedia dei beni comuni” in relazione alla situazione che si crea quando non è possibile escludere delle persone dall’utilizzo di beni soggetti a rivalità e tale impossibilità di esclusione riduce i benefici che la collettività potrebbe trarre da tali beni comuni. All’interno della tragedia, un modo per salvaguardare l’esito delle azioni potrebbe essere la ricerca di un uso efficiente: pensando al pascolo, questa efficienza la si potrebbe ottenere limitando i capi di bestiame che vengono introdotti nel pascolo e quindi per avere efficienza si limita di fatto la libertà. L’obiettivo è quello di salvaguardare il diritto di tutti di usufruirne in maniera efficiente senza quindi lederne i diritti di libertà di ciascuno. - Esempio: il traffico. Le strade sono Commons: l’efficienza sarebbe permettere alle persone di utilizzare le strade in tempi che non aggravano molto i costi di trasporto. Certamente le scelte di limitazione dei diritti di libertà possono influire in modo molto negativo sul benessere delle persone: limitare i diritti di libertà è controverso e difficile ed è quindi in questi termini che si parla di tragedia dei comuni. Riassumendo quindi: Beni pubblici e fallimento del mercato Per i beni pubblici esiste difficilmente un mercato. Se l’autorità pubblica non fornisce tali beni, nessun privato potrebbe avere convenienza a farlo. L’autorità pubblica interviene attraverso l’imposizione fiscale generale per finanziare l’offerta dei beni pubblici. Il mercato non è in grado di allocare in modo efficiente i beni pubblici. Ciascuno deve consumare la stessa quantità del bene. Non è possibile consumare una quantità predeterminata dello stesso. Nel momento in cui un privato offrisse un bene pubblico, questiono avrebbe il potere di coprire i costi di fornitura. Un’ulteriore problematica è che per gli utenti non è possibile scegliere una quantità di bene: una volta che c’è una certa quantità, quella è uguale per tutti. Un tipico problema legato alla fornitura dei beni pubblici è il comportamento da free rider degli agenti economici. Per free riding si intende il comportamento di chi usufruisce dei beni pubblici senza pagarne il corrispettivo: il problema del free riding impatta notevolmente sulla fornitura dei beni pubblici. Una volta fornito il bene pubblico non è possibile escludere nessuno dal suo godimento. Nessuno quindi è disposto a pagare per la fornitura del bene pubblico e a rivelare le proprie preferenze e la propria disponibilità a pagare per il bene pubblico con la speranza che altri paghino. Ma se tutti ragionano in questo modo allora il bene pubblico non é fornito. - Esempio: i beni pubblici e l’inefficienza. Consideriamo due individui che devono decidere se acquistare un bene pubblico P. Siano: ‣ y1 y2 la ricchezza a disposizione; ‣ c1 c2 contributo potenziale per l’acquisto del bene pubblico; ‣ x1 x2 ricchezza rimanente dopo il contributo; ‣ c è il costo del bene pubblico; Caratteristiche dei beni Escludibilità Non escludibilità Rivalità Beni privati puri Beni pubblici misti (i Commons) Non rivalità Beni pubblici misti (Club goods) Beni pubblici puri -> Il problema consiste nell’ideare un sistema appropriato di ripartizione del costo totale e, di conseguenza, nel conoscere le reali disponibilità a pagare dei due individui. Se ciascun individuo conosce non solo il proprio prezzo di riserva, ma anche quello dell’altro, è possibile applicare vari sistemi di ripartizione del costo che mettano in relazione il contributo di ognuno con la relativa disponibilità a pagare. È chiaro, però, che entrambi gli individui hanno un forte incentivo a non rivelare il proprio prezzo di riserva. Ad esempio, nel primo dei due casi dello scenario 2, se l’individuo 2 può osservare che l’individuo 1 ha una disponibilità a pagare maggiore del costo, allora rivelerà un prezzo di riserva nullo, in tal modo l’individuo 1 sostiene per intero il costo della fornitura. In tal caso, infatti, sebbene non contribuisca, l’individuo 2 potrà usufruire del bene pubblico comportandosi da “free rider”. Nello scenario 3, quello con la maggiore credibilità empirica (in particolare se esteso al caso di una società costituita da più di due persone), sia l’individuo 1 che il 2 hanno un incentivo a rivelare un prezzo di riserva falso. Ne consegue che, sia per decidere se acquistare il bene pubblico, che per stabilire come ripartirne il costo di acquisto tra i membri della società, è essenziale conoscere i prezzi di riserva. Tuttavia, conoscere la disponibilità a pagare dei singoli individui è estremamente difficile perché non esiste alcun mercato nel quale i prezzi di riserva vengono rivelati ed esistono forti incentivi individuali a dichiarare prezzi di riserva falsi. La scelta di acquistare, se l’acquisto comporta un miglioramento paretiano, dipende dal modo in cui si prendono le decisioni. Se vi è cooperazione ci si può accordare per una divisione del costo che costituisca un miglioramento paretiano. Dal punto di vista ambientale, si è visto che è complicato riuscire a valutare i benefici dei singoli e questo viene dimostrato dalla storia del protocollo di Kyoto. -> solo attraverso la cooperazione si potrebbe arrivare a fornire il bene pubblico ma essa è molto difficile da raggiungere. Attraverso un esempio numerico si proverà a comprendere le ragioni della difficoltà di arrivare a una cooperazione: due individui hanno una certa ricchezza e uguale prezzo di riserva e dovrebbero valutare se comperare un bene pubblico e che quindi ha le caratteristiche di non escludibilità e non rivalità il cui costo però è minore della somma dei prezzi di riserva ma è più alto dei prezzi riserva di ciascun individuo presi singolarmente. y1 = 1000 y2 = 1000 r 1 = 600 r 2 = 600 c = 800 r 1 + r 2 > c quindi l’acquisto è Pareto efficiente L’acquisizione del bene pubblico implica in questo caso un miglioramento paretiano, qualora però ciascuno dei due possa avere tale miglioramento, quindi ciascuno dei due possa pagare un contributo più basso del prezzo di riserva qualora però ciascuno dei due possa avere un miglioramento quindi possa pagare un contributo che è più basso del prezzo di riserva. Se ci fosse cooperazione, avendo i due individui lo stesso reddito y e lo stesso prezzo di riserva r, si ipotizza che i due si dividano in modo equo il costo di fornitura del bene pubblico c: x1 = 1000 - 400 = 600 r 1 = 600 x2 = 1000 - 400 = 600 r 2 = 600 In generale per far riferimento a questi casi si impiega la cosiddetta matrice dei pagamenti. Se entrambi decidono di non acquistare l’argomento della funzione del loro benessere è l’intero reddito 1000 e 1000: se decidessero di acquistare in una situazione di simmetria, arriverebbero ad avere un reddito depurato dal costo di 600 e la presenza del bene valutato 600 (quantità che li lascia indifferenti ad avere il bene pubblico e non averlo e rimanere con il reddito), quindi un beneficio nel senso di pareto perchè entrambi passano a 1200, quindi migliorano. Questo passo di cooperazione andrebbe fatto solo però se i due sono sicuri di contribuire altrimenti a sostenere il costo rimane un unico individuo: se un individuo acquista e non collabora, non vedrà il suo reddito intaccato come invece succede all’individuo che si assume i costi. La situazione di non cooperazione evidenzia la situazione che si raggiungerebbe nel caso in cui, di fronte alla possibilità di migliorare il benessere di tutti gli individui, chi viene coinvolto si chieda razionalmente se anche anche l’altro individuo sia disposto a cooperare perchè altrimenti andrebbe in contro a una situazione peggiore. Ecco quindi che Nash, un matematico, ha dimostrato che l’equilibrio dominante delle scelte strategiche è 1000 e 1000, ovvero non si fornisce il bene pubblico per quanto l’acquisizione di un bene pubblico possa essere un miglioramento paretiano: è evidente che se ci fosse un’autorità che impone l’acquisto e con esso la divisione dei costi si riuscirebbe a evitare questo fallimento. Il mercato fallisce perchè ci sarebbe la possibilità di far star meglio entrambi gli individui ma la loro mancanza di fiducia reciproca fa sì che il bene pubblico non venga fornito: un’autorità sarebbe invece in grado di imporre la ripartizione dei costi. -> secondo gli studi di Nash quindi non acquistare è una strategia dominante per entrambi. Determinazione della quantità ottima da produrre di un bene pubblico La non rivalità e la non escludibilità giustificano l’intervento pubblico per la produzione diretta o la creazione di incentivi alla produzione: nel caso di beni privati l’ottimo paretiano si raggiunge quando il saggio marginale di sostituzione tra due beni è uguale al saggio marginale di trasformazione. Nel caso di beni pubblici non vi è rivalità: la disponibilità totale è anche la quantità che ciascuno può consumare. La quantità ottima del bene pubblico si ottiene in corrispondenza della situazione in cui il beneficio marginale sociale (pari alla disponibilità aggregata a pagare) eguaglia il costo marginale di produzione del bene pubblico. Le condizioni dell’ottimo paretiano si modificano: la condizione di efficienza nell’allocazione delle risorse richiede, in presenza di beni pubblici, che la somma dei saggi marginali di sostituzione tra bene privato e bene pubblico dei vari soggetti sia uguale al saggio marginale di trasformazione tra bene privato e bene pubblico. -> somma dei SMS tra bene privato e bene pubblico proprio per la caratteristica di non rivalità e di non escludibilità. La difficoltà nel raggiungere un accordo cooperativo che potrebbe realizzare il superamento dell’inefficienza determina proprio lo spazio per un intervento pubblico legato alle caratteristiche di questo bene che non è escludibile e non rivale. La quantità ottima da produrre divenne pubblico dovrebbe essere quella in corrispondenza della quale il costo di fornitura del bene pubblico corrisponde al beneficio marginale che deriva dalla fornitura. Come si calcola il beneficio marginale? È la somma delle disponibilità a pagare quindi la quantità ottima è data dall’uguaglianza tra il costo marginale di produzione del bene pubblico e la somma delle disponibilità marginali a pagare. La realizzazione della precedente condizione presuppone che gli individui siano disposti a rivelare correttamente le loro preferenze: la propensione a comportamenti opportunistici aumenta quando sono tanti gli individui che possono beneficiare del bene pubblico. Nel caso di pochi individui è più probabile il raggiungimento di un accordo per una adeguata ripartizione dei rispettivi contributi. Quando gli agenti sono numerosi la strategia che appare la migliore a ciascuno, che è quella di non rivelare correttamente le proprie preferenze per non contribuire, determina una produzione del bene pubblico subottimale (o addirittura l’assenza di produzione). Non è escluso che all’interno di alcune collettività si possa raggiungere una cooperazione: tanto più la collettività è piccola, tanto più c’è fiducia tra i membri della collettività, tanto più c’è trasparenza. Viceversa quando la collettività è costituita da tantissimi individui che non si conoscono, che non hanno reciproca fiducia, il bene pubblico viene prodotto in quantità ottimale o addirittura può non essere prodotto perchè richiede la copertura dei costi di fornitura che è possibile soltanto conoscendo i benefici che derivano dalla fornitura del bene pubblico e sommando la disponibilità a pagare di ciascuno. Il finanziamento della produzione di bene pubblico Nei mercati concorrenziali il prezzo è dato: i consumatori aggiustano le quantità in modo da eguagliare i rapporti tra utilità marginali e prezzi. In equilibrio il prezzo è uguale al costo marginale e quindi si ha l’uguaglianza tra saggi di sostituzione e trasformazione: per i beni pubblici il costo marginale è nullo per cui sarebbe ottimale estenderne la fruizione a tutta la collettività. Se si deve pagare per il bene pubblico e tutti devono pagare lo stesso ammontare, coloro che hanno un’utilità marginale bassa preferirebbero essere esclusi dalla fruizione del bene; questo però non sarebbe ottimale perché la fruizione aggiuntiva non comporterebbe alcun costo aggiuntivo: la condizione di ottimalità richiede che ciascuno paghi un prezzo uguale alla valutazione marginale del beneficio, ma è problematico trovare incentivi rivolti ad una rivelazione corretta delle preferenze, ed esiste l’incentivo a comportarsi da free rider. Ognuno ha incentivo a dichiarare un beneficio inferiore al fine di pagare un prezzo inferiore. In questo modo ognuno avrebbe un beneficio reale maggiore del prezzo che deve pagare e vedrebbe incrementata la sua soddisfazione: l’esistenza di free rider conduce però ad un’offerta subottimale di bene pubblico. Nei beni pubblici il fatto che qualcuno usufruisca di un’ulteriore unità di bene pubblico non implica un aumento dei costi perchè non è escludibile e non rivale. Il finanziamento è complesso affinché davvero la fornitura costituisca un miglioramento paretiano perchè lo stato nel momento in cui fornisce un bene pubbliche deve ripartire il costo tra tutti gli individui senza conoscere le loro reali intenzioni a pagare. La condizione ottimale richiederebbe che ciascuno paghi sulla base della disponibilità marginale a pagare, quanto cioè valuta la fornitura del bene ma è difficile. IL CASO DEI COMMONS - LA PROPRIETÀ COMUNE Il concetto di Commons tra radici nella storia anglosassone: è common ciò che non appartiene ad un individuo ma all’intera collettività. Ad esempio, in un villaggio di pastori il prato adiacente al villaggio può essere considerato una proprietà comune di cui ogni abitante può afre uso. La proprietà comune determina quindi la situazione di strategia perchè o si limitano i diritti o non si arriva a una situazione efficiente: in una situazione in cui le risorse sono scarse, la condizione di proprietà comune causa il sovrasfruttamento dei commons e i danni a loro che dipendono dal esso per il proprio sostentamento. Gli individui sono infatti portati a sovrasfruttare la risorsa comune come avviene per esempio per un pascolo aperto a tutti gli abitanti del villaggio: ogni pastore cerca di massimizzare il proprio profitto valutando se ampliare la propria mandria. In Gran Bretagna, proprio facendo riferimento al common e quindi al pascolo, si è poi giunti alla privatizzazione perchè così ogni privato utilizza la terra in modo ottimale e se si accorge che aumentare i capi di bestiame danneggia il rendimento dell’allevamento, cerca di non farlo. Il privato infatti cerca sempre di massimizzare i propri profitti: ma perchè nel Common questo cercare di raggiungere il massimo beneficio privato contrasta sempre con il bene della collettività? Innanzitutto si può osservare che aumentare il numero di animali implica una componente positiva nel momento in cui il pastore riceve l’intero profitto dall’allevamento dell’animale in più ma anche una componente negativa dipendente dal suo costo aggiuntivo che grava sul pascolo causa della presenza di un animale in più. Gli effetti negativi di quel carico vengono suddivisi tra tutti i pastori. La componente positiva va quindi a beneficio del singolo allevatore mentre la componente negativa, ovvero la riduzione del rendimento, colpirebbe tutti gli allevatori. - Esempio: lo sfruttamento dei beni comuni. Consideriamo un pascolo comune. Sia c il costo annuo del mantenimento di una mucca al pascolo, n il numero delle mucche e f(n) il valore del latte prodotto in un anno. Il quantitativo di latte prodotto da una mucca dipende dal numero delle mucche al pascolo n: quante mucche dovrebbero pascolare per massimizzare la ricchezza totale del villaggio, cioè i profitti dell’allevamento? N si determina risolvendo Max f(n) - nc La condizione di prim’ordine perchè la funzione abbia un massimo è che la derivata prima sia nulla. La condizione necessaria quindi risulta essere f’(n) = c -> questo dice il ricavo marginale derivato dall’introduzione di una mucca a aggiuntiva deve essere
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