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L'economia e la costituzione romana: dalla fine della Repubblica all'Impero - Prof. Thornt, Appunti di Storia Romana

Storia EconomicaStoria politicaStoria romana antica

Le guerre e le rivolte schiavili cambiarono l'economia romana, portandola verso un'economia globale. Con la pax augusta, Roma diventò il centro di un mondo economico, con merci di ogni tipo che arrivavano a Roma. La morte di uno schiavo era una perdita di capitale e l'affitto risultava più comodo per i proprietari assenti. Nella seconda parte, viene descritta la costituzione romana, che distingueva i tipi di costituzioni in base al potere che deteneva uno, pochi o molti. Polibio applica questa teoria alla Roma, distinguendo la repubblica come democratica. Tuttavia, i consoli avevano ampio potere esecutivo e il senato aveva competenza finanziaria, in politica estera e giudiziaria.

Cosa imparerai

  • Come l'economia romana si è evoluta dalla fine della Repubblica all'Impero?
  • Come la costituzione romana ha distinto i tipi di costituzioni?
  • Come il potere era distribuito tra il popolo, i consoli e il senato nella Repubblica romana?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 03/06/2019

flaviabonni97
flaviabonni97 🇮🇹

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Scarica L'economia e la costituzione romana: dalla fine della Repubblica all'Impero - Prof. Thornt e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! 7 Economia tra fine repubblica e impero Le guerre civili, esterne, le rivolte schiavili, la pulizia dei mari, cambiarono l’economia romana. Si fecero strada fornitori di eserciti, mercanti, banchieri, usurai, finanziatori di leaders. Il capitale finanziario assunse un ruolo importante rispetto all’economia agraria. La necessità di pagare le legioni aumentò la produzione delle zecche, ma concentrò la liquidità nelle mani di banchieri, speculatori, appaltatori di opere pubbliche e rifornimenti per l’esercito. I rappresentanti della ricchezza terriera assieme al popolo, soffrivano di carenza di mezzi di pagamento, dovendo ricorrere a banchieri anche per piccoli crediti. Si cercò di svalutare la moneta di rame per aumentarne il volume (lex Papiria 92-91 a.c.) e si intervenne anche su debiti e tassi d’interesse. I circuiti di circolazione monetaria erano quelli imposti dalle esigenze di rifornimento ed equipaggiamento degli eserciti, cosa da determinare l’inaridimento monetario di intere regioni. Con la fine dell’espansionismo militare non fu più possibile gestire le finanze con i bottini conquistati. Si abbe l’esigenza di coordinare un sistema fiscale e tributario. Il tributo doveva essere pagato dai popoli vinti e la categoria fiscale era inversamente proporzionale: la quota fiscale era più alta quanto più basso era lo status sociale. Ma il sistema non era omogeneo. I conquistatori si limitavano ad ereditare e perfezionare le fiscalità precedenti. I pubblicani furono sostituiti con burocrati o da persona fisicamente vincolate alla riscossione (munera personalia) e la morsa fiscale si fece più acuta. La maggior parte delle entrate fiscali venivano usate per il mantenimento dell’esercito che spendeva gli stipendi nelle provincie, sollecitando le economie locali. Si differenziavano provincie importatrici di imposte e provincie che subivano le imposte. Le risorse procurate attraverso lo sfruttamento fiscale delle provincie veniva ripartito con le élites provinciali creando nuovi centri in espansione. Nonostante le leggi contro il lusso, la domanda di beni sontuosi era quantitativamente circoscritto alle élites ma qualitativamente importante per l’alto valore di queste merci provenienti da ogni punto cardinale. Emergeva così una borghesia municipale che abitava case ornate da mosaici e si concedeva gemme, ambre, vetri preziosi, ceramiche. La dimensione del commercio era ampia, sia per il trasporto delle tasse in natura, sia per la domanda dei contadini che necessitavano di vestiti, strumenti di lavoro ed occasionali oggetti di lusso per feste e matrimoni. Il 10-15% della popolazione viveva in città, comportando un commercio di oltre un milione di tonnellate di grano. Le carestie ricorrenti sollecitavano questi flussi e i rifornimenti militari ne gonfiavano il volume. Gli scambia andavano anche oltre le frontiere, con guadagni cospicui per i mercanti e ancor più le tasse doganali che arrivavano anche al 300% del prezzo del prodotto. Commercianti dilagavano in tutto il mondo conquistato e durante le guerre mitridatiche ne furono trucidati migliaia. Il porto di Delo diventò il centro degli scambi orientali e si specializzò nel commercio di schiavi, una delle merci più ricercate. Ve n’era uno anche a Roma, sull’Aventino. Già prima della conquista traianea la Dacia era percorsa da negotiatores alla ricerca di miele e sale, ma anche di schiavi pagati con la moneta d’argento presto imitata dai barbari. Tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. i commerci italici declinarono. Con la fine delle guerre civili, il costituirsi dell’Impero, la pax augusta si andava formando un’economia-mondo: dall’Europa e dal mondo conquistato e pacificato giungevano a Roma merci di ogni tipo che ne ostentavano la ricchezza e il predominio. Oltre le numerose popolazioni comprese nell’impero, anche quelle esterne erano sotto il protettorato di Roma. Le frontiere erano militarmente controllate, ma non impedivano scambi oltrefrontiera che arrivavano oltre il Reno nella Germania orientale e fino alla Scandinavia e contribuirono all’evoluzione feudale delle tribù germaniche. L’estremo oriente non rimase escluso da quest’orbita: Greco-Romani si insediarono in India dove acquistavano avorio, stoffe preziose e spezie in cambio di monete d’oro e argento e nel tardo impero scambi nello Sri-Lanka con monete di bronzo. Il commercio della seta cinese passava via terra attraverso l’Afghanistan, sia per l’India e poi via mare sino al Golfo Persico e al Mar Rosso. Solo il confine dell’Oceano Atlantico rimase inviolato. Vi era però il limite dei costi di trasporto terrestri. Molte merci a basso valore raddoppiavano il prezzo nel giro di 200km, perché il prezzo del trasporto veniva calcolato in base al peso e non al valore. L’unificazione politica dell’impero non significò una rivoluzione economica. Ora i surplus estorti si orientavano verso un’unica capitale e per questo lo sconquasso del precedente ordine economico fu enorme ma fu in funzione di un mutamento politico e non di un’innovazione tecnico-economica. Vi erano diversi metodi di misura in ogni regione segno di mercati frazionati e dazi interni appesantivano la circolazione delle merci (secondo Cassio Dione già Mecenate nel 29 a.c. propose un’unificazione imperiale di monete e misure). Dominava un’economia di produzione e traffico in funzione dei bisogni della capitale. Ma alle volte era la capitale a dare risorse a provincie in crisi o per il sistema viario Augusto fece restaurare tutto il sistema viario distrutto dalle guerre civili, creò un ufficio apposito (curatores viarum) e i suoi legati crearono un sistema stradale tale che tutto l’impero fosse collegato e furono create carte (tabula Peutingeriana). Le realtà economiche erano: La metropoli capitale con le più svariate attività e parassiti che vivevano di distribuzioni di grano e ludi, le grandi metropoli artigianali-commerciali (Alessandria d’Egitto, Antiochia) , le cittadini con un’economia agricola integrata da attività commerciali o commerciali (Pompei), municipi e colonie basate sulle leggi municipali, insediamenti militari che facevano affluire risorse in loco, città carovaniere, insediamenti specializzati, le grandi ville, le economie di frontiera che rendevano il limes uno spazio aperto ai contatti, insediamenti sperduti di pastori, cacciatori e pescatori. L’agricoltura era il settore predominante ed oggetto di prestigio e studi specialistici. Il 70% della forza lavoro era impiegata nel settore. L’espansione del potere di Roma accompagnò a forme di sfruttamento imperialistico un’enorme espansione delle coltivazioni agricole. La centuriazione romana dissodò i terreni. Bonifiche, ristrutturazioni territoriali che proiettavano funzionali forme geometriche su una natura incolta, trasformandola in un paesaggio agrario collegato a precise strutture viali, furono un momento essenziale del processo di civilizzazione. In alcune regioni si praticava la rotazione biennale delle colture e la produttività era superiore al medioevo. Varrone ci descrive le ville nel II sec. A.c. che potevano arrivare anche a 200 ettari e oltre all’agricoltura comprendeva l’allevamento transumante ed in cattività, grandi magazzini e spazzi di lavoro e la villa residenziale. Erano a latifondo disperso. La piccola proprietà sopravvisse soprattutto nelle aree più remote dai mercati e in generale diventando forza lavoro supplementare della grande proprietà. Attraverso conquiste, confische ed eredità anche gli imperatori divennero grandi proprietari terrieri, con tenute sparse ovunque. L’urbanizzazione promossa dall’Impero portò all’aumento dell’artigianato, ma lo sviluppo fu circoscritto. Le fabbriche antiche mantennero la dimensione di unità artigianale. Forme manifatturiere sorsero in campagna presso i luoghi della produzione oleicola e vinicola (fornaci). Forme manifatturiere complementari alla campagna furono quella del papiro, dell’artigianato tessile Nel settore privato solo la ceramica si organizzò in centri di produzione seriale, mentre nel settore pubblico gli operai si concentravano nella produzione di moneta ed armi. Tali manifatture erano però accessorie della campagna e solo con tale sviluppo vi fu una prima suddivisione del lavoro e un’organizzazione seriale. La più grande organizzazione manifatturiera era quella delle officine monetali che producevano centinaia di milioni di pezzi ogni anno. Nelle zecche più attive si concentravano e organizzavano migliaia di lavoratori. Nel complesso la struttura produttiva rimase qualitativamente primitiva. Schiavi Lo schiavismo come fenomeno complesso che nasce dall’incrocio di moventi politici, economici, culturali, psicologici: le guerre, il bisogno di forza-lavoro, una cultura della dipendenza e pulsioni sado-masochiste. In Italia in 150 anni (da seconda guerra Punica all’affermarsi di Cesare) furono venduti più di 1milione e mezzo di schiavi di guerra a cui vanno aggiunti quelli prodotti in allevamento e comprati sui mercati, per un totale di 3milioni. Tale massa di schiavi portava varie contraddizioni: l’acquisizione extra-bellica di schiavi comportava il riconoscimento della pirateria che era d’ostacolo ai commerci. Le manomissioni furono massicce e dimostrano come la condizione schiavile sia uno status relativamente dinamico. con l’imposta del 5% sulla liberazione degli schiavi (vicesima libertatis) le entrate furono enormi. Il liberto per il suo rapporto con il dominus arrivava ad assumere funzioni imprenditoriali-commerciali. Il I secolo a.C. è il punto di crisi dello schiavismo. Con il consolidarsi delle frontiere, la distruzione della pirateria che riforniva i mercati, finirono le principali fonti di approvvigionamento chiudendo una fase storica che oltre a sfruttamento e rivolta, alienazione e tragedia umana, era un modo per trasferire forza-lavoro in funzione delle disponibilità demografiche e di possibilità d’impiego. La morte di uno schiavo era una perdita di capitale e l’affitto risultò più comodo e meno rischioso per i proprietari assenteisti che preferivano le strutture urbane, avviando una gestione indiretta delle tenute con la ripartizione delle quote di produzione fra proprietari e coltivatori. Tecnologia La produzione non conosce miglioramenti essenziali. La qualificazione e il costo del lavoro non cambiano molto. Un limite era dato dalla scarsa domanda dei mercati, dove il costo maggiore era quello dei trasporti. Il blocco tecnologico c’era per rifiuto. Nel settore militare ci furono tentativi di meccanizzazione, mentre vero sviluppo ci fu nell’edilizia, nell’ingegneria civile e navale con navi di 1000 tonnellate. Ci sono aneddoti del vetro infrangibile e del carro conta chilometri. Lo sviluppo dei mulini ad acqua fu modesto e poco documentato. La forza-lavoro a basso costo e la disponibilità di schiavi ostacolarono l’innovazione, nonostante era cosa per pochi. Mancavano eccedenze da investire nell’innovazione tecnologica. 8 La Costituzione Romana Dal II secolo a.C. i Romani impararono ad utilizzare uno schema che distingueva le costituzioni in tre tipi a seconda che il potere fosse nelle mani di uno, pochi o molti. Polibio fu il primo ad applicarlo a Roma. Serviva ai greci per conoscere meglio la forma di governo della potenza emergente. Oltre ad aver esposto le istituzioni romane, le propose come costituzione mista, perché i tre poteri erano rappresentati dai consoli, dal senato e dalle assemblee popolari. È dalla costituzione mista che deriva la superiorità romana: è sottratta dal ciclo di continuo mutamento delle forme costituzionali secondo cui ogni forma retta si muti nel suo doppio degenere e sfoci in Il tribunato della plebe era sorto in opposizione al potere stesso, durante la secessione della plebe oppressa dai debiti e dalla leva (Livio, 493 a.c. montesacro) La fine della secessione sarebbe stata sugellata con la concessione di proprie magistrature inviolabili e con il potere di aiutare la plebe contro i consoli. La loro azione era legata alla cerchia urbana e poteva porre il veto agli atti di tutte le magistrature e attuare gravi misure coercitive su beni e persone. Convocavano e presidiavano il concilio plebeo quando esso prendeva le sue deliberazioni di carattere elettorale, normativo, giudiziario. La base del loro potere era l’inviolabilità perché sacrosancti. Il ruolo politico dei tribuni si diversifica nel tempo orientativamente in tre fasi: ella fase più antica il tribunato guidò la parte superiore della plebe verso l’integrazione nel governo; qui fu assorbito nella repubblica patrizio-plebea, diventando strumento di controllo del senato sulle supreme cariche. Con i Gracchi il tribunato divenne strumento e simbolo di politica popolare, tanto che Silla ne limitò il potere, restituito poi da Crasso e Pompeo. Da una parte l’istituzione del tribunato appariva come il compimento della costituzione mista nell’ambito della quale garantiva la libertas populi a livello individuale e collettivo. D’altra parte in quanto potestas in seditione et ad seditionem nata, il tribunato rimaneva una stortura per il pensiero ottimate, giustificata solamente dal fine di compensare le distorsioni verificatesi nel governo aristocratico. Senato La parola senatus è un nome collettivo, può tradursi come assemblea degli anziani. L’istituzione patrizio- plebea ha le sue origini nel consesso dei patres, i capi dei gruppi parentali che costituivano la struttura portante della società arcaica. Un plebiscito del 312 a.C. dava ai censori il compito di scegliere i migliori di ogni ordine per formare il senato. La scelta cadeva su ex-consoli, poi anche su chi aveva ricoperto cariche inferiori. Silla portò i posti a 600. Nel complesso il senato venne identificandosi come insieme di ex- magistrati e le differenze interne riproducevano la scala degli honores. Il senato si riuniva e deliberava su iniziativa di un magistrato che ne avesse il potere. La seduta era valida se tenuta fra alba e tramonto in un luogo delimitato dagli auguri. Modalità della delibera collegiale (senatoconsulto): Il magistrato che presiedeva la seduta esponeva la questione, quindi faceva la vera relazione con cui riferiva la questione al senato consultandolo su ciò che bisognava fare. Si interrogavano i senatori in base al grado d’importanza (occasione per esprimere le capacità oratorie) Concluso il giro si sceglievano le idee migliori e si mettevano ai voti. Il voto veniva espresso mettendosi al fianco del senatore che aveva pronunciato la sentenza preferita. In realtà l’iniziativa del magistrato era assai condizionata, dipendeva fortemente dalla dialettica tra libertas dei senatori e vis dei magistrati. COMPETENZE: Il senato aveva la supervisione religiosa dietro consulenza dei sacerdoti. In campo civile decideva entrate ed uscite dell’erario, stanziava le somme ai censori per gli appalti delle opere pubbliche. In politica estera dava udienza agli ambasciatori e inviava legati. Determinava anche le provincie assegnate ai magistrati e relative strategie militari. Stabiliva inoltre il numero di legioni da affidare. In caso d’emergenza, invitava i consoli a provvedere a che la repubblica non subisse danno, dando al console pieno potere di allestire l’esercito, condurre la guerra, reprimere con ogni mezzo alleati e cittadini, sommo potere di comando e giudizio in campo civile e militare. Potevano anche influenzare le assemblee popolari, tanto che se non le approvavano, non erano valide. L’inaridimento dell’autorità dei patres fu conseguenza del minor peso della componente patrizia nel senato misto. Tuttavia mantenne il controllo sull’attività delle assemblee prevenendo le proposte che i magistrati avrebbero messo al voto dei cittadini (controllo probuleutico). Inoltre poteva dichiarare l’invalidità di leggi e plebisciti emanati con procedure irrituali o violente. RAPPORTO ASSEMBLEE-SENATO: in età repubblicana I senatoconsulti si limitavano a esprimere consigli e istruzioni per i magistrati dell’anno, che li dovevano attuare (Diogene Laerzio: atti politici legati alle circostanze). Anche quando il senatoconsulto riguardava i cittadini nella loro generalità , la loro efficacia era mediata dai magistrati E’ grazie all’operato dei magistrati che il regolamento disposto dal senato acquistava efficacia verso i cives tramite editto o rogatio da trasformare in legge. La probabilità che il volere dei senatori fosse attuato dai magistrati si fondava sulla comunanza degli interessi economici, sul tipo di formazione, di stile di vita e di cultura politica di senato e magistrati, insomma su fattori di ordine sociologico. Quand’anche il magistrato non approvasse le decisioni, aveva buone ragioni per non rompere i vincoli di solidarietà cui doveva il suo successo e dei suoi discendenti. Il senato aveva molte armi contro i ribelli, come il rifiuto di inviare vettovaglie o stipendio all’esercito o di non concedere il trionfo. Oppure attuare un processo criminale contro di lui. Assemblee Popolari La contio era un’assemblea per parlare al popolo senza funzione deliberativa. Serviva a comunicare le ordinanze magistratuali, gli edicta, nonostante questi venissero spesso messi anche per iscritto. Era anche un’arena in cui si formavano gli orientamenti politici della massa urbana, specialmente durante i Gracchi. Potevano esserci anche dibattiti su una proposta di legge da sottoporre ai comitia o al concilium. Era convocata da un magistrato o da un sacerdote pubblico per mezzo di un araldo e spettava al presidente concedere la parola. Sebbene chi aspirasse a fare carriera politica doveva essere un buon oratore, per parlare in una contio bisognava aver già fatto carriera. Esponenti del gruppo dirigente si rivolgevano alla plebe urbana per sollecitare la mobilitazione a sostegno delle proprie politiche. Comitium al singolare è un’area del Foro, al plurale designa l’assemblea. La forma più antica era dei comitia curiata, di età monarchica. Erano le riunioni delle 30 curie, le divisioni della popolazione inquadrate per 10 nelle tre tribù dei Tites, Ramnes e Luceres. Ai tempi di Polibio erano solo un relitto d’altri tempi. La differenza tra comitia e concilium stava nel fatto che i primi comprendono il popolo al completo, mentre il secondo solo la plebe. Quando il numero dei patrizi diminuisce sensibilmente e le due assemblee divengono a livello di composizione quasi omogenee, a distinguere le due forme assembleari è il sistema di voto che vi si praticava. • I comitia centuriata sono un’assemblea in cui prende parte il popolo armato (exercitus). Le unità di voto sono le centurie che sono anche le unità di base dell’ordinamento oplitico-falangitico, le unità di leva e i quadri di prelievo tributario. A ricordo dell’origine militare, l’exercitus era convocato al suono delle trombe militari in un’area dedicata a Marte esterna le mura cittadine. Le centurie di fanteria erano distribuite in cinque classi di censo: 80 nella 1°, 20 nella 2° 3° e 4°, 30 nella 5°. Ognuna ripartita per età fra iuniores e seniores. La classe determinava l’armamento di cui ogni fante doveva avere. Altre 4 centurie per i non armati. Fra gli abbienti erano reclutate 18 centurie di cavalieri con cavalli della spesa pubblica. Altri con lo stesso censo equestre, ma non insigniti di equus publicus, erano iscritti nella prima classe di fanteria e potevano integrare all’occorrenza le file dei cavalieri con cavalli a proprie spese. Un’ultima centuria per chi non raggiungeva il minimo patrimoniale e quindi censiti come persone ed esclusi anche dalla milizia di fanteria (capite censi) Totale 193 centurie. Nel III secolo a.C. una riforma pose il sistema in relazione con le 35 tribù territoriali. Principio di quest’ordinamento è il censo. E’possibile che si tenesse conto sin dall’origine anche della ricchezza mobiliare e in particolare premonetaria, oltre a quella immobiliare. Sembra che nel II secolo la distanza fra prima e quinta classe sia stata accentuata, come riflesso fra ricchi e poveri e per la proletarizzazione dell’esercito. All’inizio il ceto equestre non era distinto dalla prima classe, per poi essere fissato a 10 volte tanto intorno al 150 a.C. Finché fu mantenuta la coincidenza fra i quadri di combattimento, di leva, tributari e di voto con la distribuzione della cittadinanza in base alla ricchezza, si faceva in modo che gli oneri militari e tributari e i diritti politici fossero in funzione della ricchezza. Poiché da ogni centuria era prelevato lo stesso numero di soldati e tributo e poiché la prima classe era meno numerosa, i più abbienti servivano più spesso e pagavano un’imposta maggiore. La contropartita era la proporzionalità dei diritti politici. Il voto dato da una centuria meno affollata pesava più di quello di una centuria stipata. L’ordinamento centuriato aveva dunque carattere timocratico. Col tempo rimasero solo gli onori: la percezione del tributum sospesa nel 167 a.c. e il principio del reclutamento censitario fu abbandonato nel 107 a.c. • Nel concilium le unità di voto erano le tribù (divisione della popolazione in base al luogo in cui si trovava la proprietà immobiliare o la residenza) 471 a.C. la data dell’istituzione del voto per tribù. Il concilium plebis assicurò il reclutamento dei tribuni e la formulazione delle politiche plebee. Venne riconosciuto con la lex Hortensia del 287 a.c. a seguito della secessione sul Gianicolo. • I comitia tributa erano l’assemblea deliberante di tutto il popolo organizzato per tribù. Si è dubitato della loro esistenza, forse un cambiamento del concilio plebeo ora accessibile ai patrizi, ma da escludere. Confronto tra sistema tributario e centuriato: il sistema geografico del voto per tribù entrava in concorrenza con il sistema timocratico del voto per classi e censo, in astratto minacciava la preponderanza dei ceti abbienti che quest’ultimo assicurava. Tuttavia va ricordato che alcune decisioni rimanevano formalmente attribuite ai comitia centuriati e il potere di convocazione e di proposta alle varie assemblee era nelle mani della magistratura la quale era soggetta a vari vincoli. Inoltre anche nell’organizzazione per tribù non tutti i voti avevano lo stesso peso. Il voto delle tribù rustiche aveva più peso di quello delle urbane, più affollate. Il maggior affollamento dipendeva dalla maggiore dentià della popolazione urbana ma anche dal fatto che i censori vi iscrivevano, a prescindere dalla sede, i liberti. In generale vi relegavano gli individui e i gruppi che volevano emarginare per il loro modo di vita. Di fatto poi la partecipazione al voto nelle tribù era piuttosto bassa data la distanza dal luogo dell’assemblea. Così l’esito del voto dipendeva dai proprietari che erano iscritti nelle tribù rustiche ma risiedevano a Roma e da chi poteva permettersi continui spostamenti durante l’anno. Le sfere di competenza delle assemblee erano ricondotte dai romani a tre categorie: la creazione dei magistrati, i giudizi popolari, gli ordini e i divieti. Comizio e concilio si riunivano e deliberavano su iniziativa di un magistrato che ne aveva il diritto. L’exercitus dal magistrato con imperio, lo stesso per le tribù. Il concilio plebeo era indetto da tribuni ed edili della plebe. Si interrogava il popolo per attribuire le cariche, mettere a morte un cittadino, richiamarlo dall’esilio, conferire o togliere la cittadinanza, dare o togliere il diritto di voto, dichiarare guerra o pace, ratificare alleanze e trattati. In alcuni casi, sebbene il voto dei cittadini fosse formalmente indispensabile, era l’ultimo elemento di decisioni prese in senato. Oltre queste materie, si affermò l’idea che il popolo fosse la fonte ultima di legittimità e, pertanto, potesse intervenire in ogni decisione politica, con la pretesa di prevalere sulle altre istituzioni. Nella realtà dei fatti non fu fatto davvero. La misura del potenziale di ciascun civis nella decisione politica dipendeva dalla posizione che occupava nelle tribù e nelle classi. Ma solo l’1-2% degli aventi diritto andava a votare. Oltre alle difficoltà di spostamento vi era anche la scarsa libertà di scelta causata dalla rete di relazioni familiari. Si aggiunge il fatto che le assemblee erano convocate dai magistrati e tenute sotto controllo e le cariche magistratuali riservate ai cavalieri.
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