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Economia e tecnica della comunicazione aziendale (ETCA) - Appunti completi a.a. 2021/2022, Appunti di Economia

Appunti completi del corso di ETCA tenuto dal professore Alemanno per l'anno accademico 2021/2022. Esame superato con votazione di 30L

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 03/05/2022

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Scarica Economia e tecnica della comunicazione aziendale (ETCA) - Appunti completi a.a. 2021/2022 e più Appunti in PDF di Economia solo su Docsity! ECONOMIA E TECNICA DELLA COMUNICAZIONE AZIENDALE – APPUNTI L’impresa è un nucleo, parzialmente aperto, sempre in relazione con l’ambiente esterno. Per questo motivo, non si è in grado di controllare solo una parte delle informazioni rilasciate. Il meccanismo della comunicazione Quando si parla di comunicazione, il punto fondamentale da affrontare è: “chi comunica è responsabile di quello che capiscono gli altri”. Pertanto, il fulcro della comunicazione è far sì che l’interlocutore capisca ciò che gli si vuole trasmettere. Per fare questo, è essenziale adattarsi alla sua capacità e al suo codice di comprensione, vedendo le cose da un altro punto di vista e ponendosi il problema del modo in cui arriva il messaggio. Nella comunicazione sembra sempre tutto molto lineare, per cui si pensa che sia: 1. Fonte che vuole dire qualcosa a. Messaggio necessario per veicolare un determinato contenuto i. Messaggio inviato come significante 1. Destinatario che riceve il messaggio e lo internalizza a. Messaggio ricevuto come significato Nella realtà, però, il percorso è molto più complesso, specialmente quando l’interlocutore non parla la stessa lingua. Quando si comunica, infatti, si usa un codice composto da termini che per la fonte hanno un significato specifico, ma che per il destinatario, che utilizza il proprio codice, hanno un significato differente. Accanto a questo, vi possono essere anche ostacoli relativi a usi e costumi oppure di tipo “gerarchico1” o generazionale. In ogni caso, l’esperienza con l’interlocutore consente di allinearsi al relativo codice per rendere efficiente il messaggio. Oltre a quanto sopra, nella comunicazione vi sono altri elementi che complicano ulteriormente la situazione. Il messaggio codificato, infatti, generalmente viene trasmesso tramite un canale che, però, non occupandosi esclusivamente di questo, può generare del rumore2(“qualsiasi interazione, casuale o meno, che la fonte non aveva intenzione di inserire nel messaggio ma che con questo interagisce prima che esso arrivi a destinazione” – sostanzialmente è tutto quello che c’è e che interagisce con il messaggio ma che la fonte non è in grado di prevedere) Chi si occupa di comunicazione aziendale, comunque, può avvalersi dei feedback per determinare se quanto trasmesso sta “funzionando” correttamente poiché, a meno che il messaggio sia basilare, ci sarà sempre qualcuno che non lo capirà. La trasmissione del messaggio si complica ancor di più nel caso in cui l’assetto sia formato da: • Una fonte che vuole comunicare un messaggio o Un soggetto che si occupa di comunicare effettivamente il messaggio (testimonial) ▪ Il target a cui si intende inviare il messaggio • Il target a cui effettivamente si trasmette il messaggio (target effettivo) o Il destinatario che il target effettivo immagina come fonte del messaggio I soggetti della comunicazione aziendale Chi comunica può avvalersi di innumerevoli leve, ossia mezzi, per trasmettere il proprio messaggio: brand, pubblicità, marketing diretto, bilancio sociale, product placement3, guerrilla marketing, lobby4, licensing5, co-branding6). Questi sono fondamentali, perché permettono di far arrivare la comunicazione al target risolvendo il problema dei codici. Le leve, dunque, vengono utilizzate dalle persone che vogliono portare un messaggio, poiché tutte queste all’interno della loro sfera di attività hanno l’obiettivo di raccontare un pezzo dell’azienda (vedi immagini delle slide per un maggiore dettaglio). 1 Generalmente le autorità pubbliche usano una terminologia molto tecnica e spesso le persone che leggono non sono in grado di comprendere correttamente 2 Un esempio può essere la pubblicità persistente che ci si presenta in una pagina web oppure il caos di sottofondo che si forma quando si parla in mezzo alla folla 3 Molto più immersivo rispetto alla pubblicità classica in quanto permette di vedere la funzione effettiva del prodotto 4 Mettono in collegamento l’azienda con il decisore politico, specialmente nei mercati regolati (es: tabacco) 5 Permette alle aziende di pagare le licenze di alcuni marchi al fine di creare collaborazioni (es: felpe con disegno fiat, merchandising di Star Wars nel caso di George Lucas) 6 Aziende che si mettono insieme e creano un nuovo prodotto che porti entrambi i marchi (es: tictac alla coca-cola) Ultimamente i lavori che si stanno sviluppando nel settore della comunicazione digital sono innumerevoli, poiché si sta assistendo al fenomeno della c.d. confluenza; prima, infatti, tutto ciò che era digital veniva trattato come “esoterico”, mentre ora è dato per assodato il fatto che il marketing comprende anche quello digitale. Il concetto di stakeholder è fondamentale per due motivi: 1. È già difficile comunicare con una persona, figuriamoci arrivare a più persone 2. Spesso si lavora con persone che hanno obiettivi diversi e generalmente contrapposti rispetto ai nostri (es: ILVA – ambientalisti, lavoratori, ambientalisti, politici…) Comunicare con gli stakeholder richiede l’utilizzo di metodo, in quanto è fondamentale trovare un modo con cui comunicare efficacemente con tutti gli stakeholder dell’impresa. L’uovo di colombo7 dunque, consiste nel saper guadagnare fiducia in relazione a ciò che si propone, dato che, se si gode della fiducia delle persone, queste saranno più aperte all’ascolto di posizioni disallineate alle proprie. In questo caso, l’approccio comunicativo sarà accettato più facilmente. Pertanto, è evidentemente irrilevante dimostrare solamente di essere più competenti degli altri8. Gli stakeholders, comunque, sono “coloro i quali possono facilitare o meno l’attività dell’azienda, direttamente o indirettamente”. Avendo questa fondamentale importanza, è bene che ogni azienda li affronti in maniera scientifica e proceda alla loro mappatura splittando e dettagliando ciascuna categoria. Considerando, però, che generalmente il loro numero è elevato, bisogna necessariamente capire chi siano quelli più rilevanti, quali siano i migliori canali di contatto9 e individuare la persona più idonea a rapportarsi con loro (referente responsabile). Una volta fatte tutte queste verifiche si procede con la stesura della strategia e all’implementazione della tattica più adeguata. Secondo quanto previsto dalla c.d. semplificazione inglese, ogni stakeholder è suddivisibile in tre diversi livelli in quanto, all’interno di ciascuna categoria, ognuno è sensibile ad argomenti diversi e richiede un messaggio specifico. Questi livelli sono: • Livello 1 → politico, amministratore delegato (persona di alto livello in grado di prendere decisioni – livello politico) – per questi l’elemento fondamentale è la visione; infatti, se l’idea comunicata viene recepita come non coincidente con la loro si finisce per risultare noiosi e quindi si viene automaticamente esclusi da un eventuale confronto • Livello 2 → consulente dello stakeholder di livello 1 (affianca il vertice nel processo decisionale)10 – si tratta di persone intelligenti, sgamate e determinate che intendono fare carriera, ossia specialisti11 che hanno una propria visione delle cose e che vogliono essere informati di elementi specifici del problema • Livello 3 → staff degli stakeholder di livello 2 – si tratta di un livello molto tecnico, per cui parlare con loro di strategia e geopolitica non è efficace. In questo caso, l’approccio consiste nel fornire informazioni precise e “terra terra” In ogni caso, bisogna individuare all’interno di ciascun livello uno sponsor, ossia qualcuno che per formazione professionale, legami familiari o altro possa instaurare con l’emittente un rapporto franco e fiduciario. Questi va sostenuto in qualunque situazione, in quanto chi ha lo sponsor più rilevante può arrivare prima degli altri. Parlare con lo sponsor, poi, consente di portare la discussione da un piano emotivo ad uno tecnico e di confronto civile. Una volta mappati gli stakeholder, divisi sui tre livelli e trovato uno o più sponsor, è possibile creare una matrice di materialità funzionale, la quale illustra sulle ascisse le esigenze dell’azienda e sulle ordinate le esigenze degli stakeholder. 7 Significa “il centro del discorso”. 8 La classica frase “fidati di me” non serve più, così come in politica il mero sbraitare ha un valore sempre meno importate. 9 Ad esempio, l’impiegato A è un ottimo target in quanto conosce personalmente il sindaco. Questo ha fondamentale importanza in quanto anche Gianni Agnelli una volta affermò: “la FIAT non può non essere filogovernativa” 10 Poiché il vertice non è materialmente in grado di conoscere tutto, suddivide le conoscenze tra consulenti che lo affiancano 11 Conoscendo alla perfezione ciò che fanno e chiedendo informazioni dettagliate, rappresentano un livello critico Quando si deve comunicare c’è sempre una differenza tra il concetto da trasmettere e quanto viene recepito. L’area di presidio, dunque, è formata dal messaggio che l’azienda decide di trasmettere e dal messaggio che viene percepito effettivamente; l’area di non presidio, invece, è formata dal messaggio che non è passato; l’alone percettivo, infine, è formato dal resto del messaggio che l’azienda intendeva comunicare all’inizio. Quando si decide di giudicare un brand occorre basarsi su tre diversi elementi, che sono: • Componente identificativa – rappresenta la brand identity • Componente valutativa – rappresenta la brand image • Componente fiduciaria – rappresenta il trust In primo luogo, prima di parlare delle tre componenti, occorre soffermarsi sulle differenze tra brand identity e brand image: Brand Identity Brand Image Ha il proprio focus sull’emittente/impresa Ha il proprio focus sul ricevente/target audience Rappresenta quanto codificato dall’emittente Rappresenta quanto decodificato dal ricevente Viene creata attraverso attività manageriali Viene creata attraverso le percezioni del consumatore Viene comunicata (dall’emittente) Viene interpretata (dal ricevente) Per fare un’ulteriore premessa, occorre sottolineare che, man mano che si procede lungo il serpentone a sinistra, l’azienda ha sempre meno controllo su quanto viene comunicato e percepito. Pertanto, proseguendo, essa si troverà sempre più nella situazione di dover controllare qualcosa su cui ha poco controllo lei stessa. La brand image Quando si parla di brand non è importante solo conoscere il modo in cui essi vengono presentati e percepiti, ma, anzi, è fondamentale sapere quale sia la loro posizione nella mente dei consumatori al momento del confronto sul mercato. Il posizionamento di un brand può essere determinato sulla base di una molteplicità di parametri. Generalmente, per facilitare questa attività, si cerca di ridurre il numero di fattori oppure di usare mappe di posizionamento elaborate. In entrambi i casi, le tecniche utilizzate sfruttano analisi statistiche multivariate. Prendendo l’esempio di Caffè Borbone, questo si è posizionato in uno spazio bianco, ossia una zona poco presidiata da altri concorrenti, per cui è riuscito ad entrare nel mercato del caffè18 senza subire troppo la presenza dei concorrenti. Diverse personas19 possono pensare che una marca abbia molteplici posizionamenti all’interno del mercato poiché ciascuna di queste dà valore ad elementi diversi. Per questo motivo, un’azienda che intende fare comunicazione efficace deve ragionare, deve cercare di capire quali siano gli elementi più opportuni e deve puntare su questi ultimi. 18 Il mercato del caffè è, di per sé, saturo, ovvero pieno di brand che si posizionano più o meno verso l’origine degli assi 19 Immagini che le aziende creano per capire quali possano essere i loro consumatori tipo Brand equity La marca esiste perché ha un valore, in quanto, generalmente, i consumatori tendono a prediligere ciò a cui danno un valore20. Pertanto, è possibile affermare che il valore di una marca faccia la differenza tra un prodotto considerato valido e uno di un qualunque tipo. Secondo questa logica, il valore viene definito come la “capacità di attrarre i consumatori e/o di indurre al consumo”; inoltre, se il prodotto possiede determinate caratteristiche, i consumatori sono disposti a pagare di più, per cui si ottiene un aumento dei consumi e della creazione di valore e si innesta un circolo virtuoso. Oltre a questo, è bene ribadire che i consumatori vedono anche il valore che il marchio avrà in futuro, inteso come tempo in cui la messa a punto della strategia aziendale sarà terminata. Per questo motivo, è possibile dire che il brand ha valore strategico. In quest’ottica, le tre definizioni necessarie (e i tre concetti che seguono) sono: 1. Brand → rappresenta ciò che in fondo l’azienda dice, promette e annuncia al mondo 2. Brand equity → rappresenta la capacità di generare un comportamento positivo nei confronti del brand 3. Brand reputation → rappresenta ciò che il mondo crede, che percepisce come vero e che ritiene utile e interessante La reputazione è costituita da ciò che le persone dicono quando non si è presenti. Questa è fondamentale soprattutto nel medio-lungo periodo, in quanto, metaforicamente, è possibile passare una serata con qualcuno di non piacevole ma non è pensabile conviverci per un anno. A lungo termine, infatti, si tendono a prediligere affidabilità e affinità. In sostanza, la reputazione è la sintesi della storia e del presente che utilizziamo come chiave per capire, scorgere e interpretare il futuro altrui. A livello aziendale, essa è costituita “dall’insieme dei giudizi della collettività, basati sulla valutazione degli impatti finanziari, sociali e ambientali dell’azienda nel tempo”. Se nel passato l’azienda ha sempre dato una buona immagine di sé è un passo avanti alle altre, ma la prospettiva non può non guardare al futuro, dato che “la reputazione è [anche] l’idea che ci si fa di una marca relativamente alla capacità di soddisfare i bisogni in futuro”. Se così non fosse, le aziende non avrebbero la possibilità di sbagliare, di riprendersi e di recuperare la fiducia persa. La reputazione, dunque, nasce nel passato, ha effetto nel presente e genera valore nel futuro. Una buona reputazione: • Nel presente consente di: o Avere maggiore credibilità nelle proprie posizioni o Rendere efficaci le azioni di marketing, dato che i consumatori credono nel marchio poiché hanno fiducia o Attrarre talenti, siccome lavorare nelle aziende con un’ottima reputazione dà l’idea di farne parte o Avere dei dipendenti più soddisfatti o Relazionarsi con i partner in maniera molto più semplice • Nel futuro, invece, dà l’opportunità di: o Ridurre i rischi regolatori, in quanto nel momento in cui l’azienda prende posizione viene ascoltata o Generare il beneficio del dubbio, in modo che quando si è sotto accusa le persone decidano di ascoltare e non puntino il dito dando direttamente la colpa o Avere accesso a maggiori risorse finanziarie o Essere considerati maggiormente e in modo positivo nelle attività M&A Questa, quindi, va intesa come un moltiplicatore che riduce i rischi e aumenta le opportunità. Un esempio è dato dalla scuola; chi comincia l’anno bene gode di una posizione di privilegio che, nel caso di errori, fa in modo che il professore giudichi la storia e non solo la persona in quel momento. Un’azienda con reputazione dubbia non viene ricevuta dal decisore politico poiché questi si gioca la propria reputazione. Al contrario, invece, è proprio il ministro che decide di recarsi in azienda per farsi forte della sua reputazione. 20 Negli anni del muro di Berlino nei negozi erano presenti i prodotti ma non le marche. Ciò nonostante, i consumatori cercavano comunque di capirne le origini in quanto a ciascun posto veniva assegnato un valore diverso (es: i prodotti elettronici prodotti in Ungheria erano poco validi, al contrario di quelli prodotti in Polonia) Una cattiva reputazione21, dunque, ha due tipi di costi: 1. Maggiore fatica a fare bene perché i clienti non si fidano, i distributori sostituiscono e i fornitori non vendono i pezzi 2. Maggior rischio finanziario perché diminuisce l’accesso alle risorse e i tassi di interesse sono maggiori, per cui si avrà una minore redditività oppure un aumento dei prezzi Proprio per questi motivi il rischio reputazionale è ritenuto un problema serio, dato che se qualcosa non dovesse funzionare il sistema si bloccherebbe e, soprattutto, taglierebbe le gambe all’azienda in tutti i settori. Con l’avvento dei social, poi, questo si è fatto più evidente, in quanto si è ingrandito il problema delle fake news, minaccia per il 60% dei manager. Per dare una definizione, il rischio reputazionale, secondo l’Harvard Business Review, è: • Il divario tra quanto promessa e quanto percepito • Il cambiamento delle richieste e dell’offerta/posizionamento dell’immagine dell’azienda • Il problema dell’audit interno che fa sì che vengano comunicati messaggi contrastanti agli stakeholder esterni La comunicazione istituzionale, comunque, sostiene la reputazione con tutti gli stakeholder. Piramide reputazionale In questa sono presenti cinque livelli e, partendo dal più basso, si trova: 1. Conoscenza – è alla base in quanto permette ai clienti di avere familiarità con l’offerta aziendale 2. Familiarità – consente di approfondire la conoscenza dei consumatori con l’azienda 3. Benevolenza – nel momento in cui si sviluppa, consente all’azienda di parlare di reputation22 4. Fiducia – è la capacità di mantenere le promesse fatte agli stakeholder, serve all’azienda per proiettarsi verso il futuro 5. Advocacy – è la consigliabilità, ossia la possibilità che i consumatori leghino la propria reputazione all’azienda La reputazione si fonda su quattro pilastri, ossia: • Offerta – permette di creare un brand, di fare comunicazione, di fare esperienza a livello di consumo, di soddisfare i clienti e di innovare il prodotto • Etica – fa sì che si rispettino le leggi, i lavoratori e il CSR e che, soprattutto, il modello produttivo sia sostenibile • Economics – deriva dalla qualità del management, assicura solidità e la profittabilità dell’investimento • Vision – consente di essere al passo con i tempi e di anticipare le tendenze future A seconda degli stakeholder il pilastro fondamentale cambia. 21 “Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione e 5 minuti per rovinarla. Pensaci e farai le cose diversamente” W. Buffet 22 Con la benevolenza si parla di reputazione in quanto solo in questo momento il consumatore è in grado di formulare un pensiero positivo e di aprirsi al dialogo Quando si parla di equity flow, però, non esiste solo il trasferimento del valore, bensì vi sono anche flussi negativi. Infatti, i problemi che riguardano uno o più brand possono portare problemi alla casa madre, ma soprattutto i problemi legati alla casa madre possono riversarsi sui marchi. Gli elementi che guidano questo flusso di valore possono essere molteplici (qualità del prodotto, impatto sociale, attenzione all’ambiente, ecc.), per cui, al fine della sua gestione, è necessario mantenere un approccio strutturato e, come per la reputation, ragionare verso il futuro senza fissarsi troppo nel passato. Infatti, per gestire, appunto, l’equity flow, occorre: • Guardare senza preconcetti il sistema dei brand e quindi l’equity flow per comprenderne le dinamiche • Sviluppare un piano per migliorare la situazione, sfruttando le implicazioni degli effetti causati dall’equity flow • Guidare le situazioni senza limitarsi a seguirle misurando costantemente gli effetti che ne derivano Per fare ciò, è necessario dotarsi di strumenti diagnostici che aiutino a decifrare la situazione e gestirla al meglio. Il communication mix La grande area in cui sviluppare la strategia dell’azienda è quella del marketing operativo, il quale sfrutta il prodotto, il prezzo, la distribuzione e la comunicazione. Le quattro “P” del marketing operativo, infatti, sono: price, place, promotion e product. Per implementare una strategia di marketing occorre intercettare il consumatore; in questo caso, lo strumento tipico è il CRM28, ossia il sistema di gestione delle relazioni con il consumatore, il quale è in grado di migliorare le occasioni di vendita, di ridurre i rischi di perdita dei clienti e di consentire i c.d. up-selling e cross-selling (es: Sky, TIM). Il communication mix deve rispondere a tutta una serie di domande: 1. Quali sono gli obiettivi del marketing? 2. Quali sono gli obiettivi della comunicazione di marketing? 3. Chi è il target? 4. Quali vincoli (interni, legali…) si devono rispettare? 5. Qual è il budget? 6. Qual è il timing? 7. Qual è il posizionamento ricercato? 8. Qual è il marketing mix più efficace? a. Qual è la comunicazione più efficace? 9. Qual è la migliore strategia creativa? 10. Qual è il media plan e/o il mix dei mezzi più efficace? a. Quali mezzi devono essere utilizzati? 11. Come si può verificare l’attuazione del piano? Le ricerche di mercato Le ricerche di mercato sono utili per coloro che intendono comunicare ma non hanno le informazioni sufficienti per poterlo fare in modo efficace. Generalmente, infatti, si ricorre alle ricerche di marcato quando non si hanno i dati necessari oppure quando non si è in grado di leggerli in modo utile. Di fronte ad un problema di conoscenza, dunque, è necessario capire: • Di quali dati e informazioni si dispone – molte aziende non conoscono il proprio patrimonio informativo, mentre molte altre lo trovano poco affidabile e preferiscono ricorrere a qualcosa di esterno che risulta, nella loro idea, più fidato e veloce. In questo caso, per circoscrivere il problema, è possibile cercare di capire di quali informazioni si è in possesso oppure quali siano quelle facilmente recuperabili (es: se si verifica un calo di vendite è possibile individuare la regione in cui avviene e ottenere, in questo modo, una delle c.d. informazioni facilmente reperibili) • Com’è possibile raccogliere le informazioni di cui non si dispone – in questo caso o si comprano le informazioni da qualcuno che le possiede, oppure si costruiscono quelle mancanti mediante ricerche di mercato29 La ricerca di mercato, pertanto, quando si verifichi una mancanza di conoscenza, risulta essere la metodologia ottimale per la raccolta sistematica di dati e informazioni utili al fine di eliminare questo deficit, in quanto consente di raccogliere informazioni, analizzarle e interpretarle applicando lo schema: problema → metodo → tecnica → analisi. Per effettuare al meglio una ricerca di mercato, in ogni caso, è molto importante selezionare un campione e utilizzare la statistica per trasformare i dati campionari in dati generali (passaggio dal campione all’universo). 28 Consumer Relationship Management 29 La necessità non è una ricerca di mercato ma, anzi, la ricerca di mercato è uno strumento per far fronte ad una necessità (vedi analogia del paziente con un problema che si rivolge ad un medico per risolverlo) Così come le analisi in campo medico, la ricerca di mercato è, dunque, uno strumento che offre informazioni importanti per prendere delle decisioni, non per delegarle. Infatti, questo non è uno strumento per giustificare le proprie idee ma, anzi, serve per verificarle oppure per confutare una teoria. Per questo motivo, bisogna essere pronti ai risultati che ne possono derivare. Pertanto, per riassumere, la ricerca di mercato è: 1. Una raccolta strutturata di informazioni 2. Sistematica, poiché segue un metodo predefinito 3. Condotta tramite tecniche demoscopiche, proprie della ricerca sociale 4. In grado di colmare l’esigenza informativa che l’ha originata 5. Utile al fine di impostare una strategia e prendere decisioni Le ricerche di mercato devono tener conto del fatto che chi le effettua ha a che fare con persone diverse che hanno idee e uno stile di vita proprio. Queste, comunque, possono essere auto-compilate, anche se generalmente sono accompagnate da una serie di difetti, primi tra tutti la difficoltà di comprensione del testo e la possibilità di incontrare qualcuno che risponde a caso. È dunque necessario disporre di addetti per riuscire ad individuare questi elementi nel campione in modo da poterli eliminare. Questa operazione, la c.d. pulizia del campione, può avvenire tramite tecniche oggettive, come la velocità di rispondere alle domande oppure l’utilizzo di domande civetta, oppure tramite tecniche soggettive. In ogni caso, è importante definire: • L’oggetto della ricerca (che cosa?) • L’universo e il campione (chi?), ossia i destinatari. Il campione può essere proporzionale e non proporzionale30 e, inoltre, può utilizzare o meno una tecnica di ponderazione (attribuzione di pesi diversi a categorie diverse) • La tecnica di rilevazione (come?), ossia il metodo e lo strumento di raccolta dei dati (questionario, osservazione…) • L’area geografica in cui raccogliere i dati (dove?) • L’unità di tempo in cui raccogliere i dati (quando?) Le macro-dimensioni che un sondaggio evidenzia, dunque, possono essere: 1. Il livello di conoscenza del fenomeno dei destinatari, ossia la loro familiarità 2. Il giudizio dei destinatari riguardo tale fenomeno, ossia l’aspetto sintetico del sondaggio (obiettivo finale) 3. Il driver del giudizio, ossia le motivazioni razionali ed emotive dei destinatari. Questo rappresenta l’insieme degli aspetti che determinano il giudizio, ovvero gli elementi/valori in cui si riconosce o meno il destinatario 4. Le fonti informative utilizzate, ossia le modalità con cui si informano e le quantità di informazioni dei destinatari 5. Le classificazioni di coloro che rispondono, ossia le differenze tra screening iniziali o raggruppamenti finali La nascita di una ricerca di mercato Una ricerca di mercato viene effettuata quando non si hanno tutte le informazioni necessarie per prendere delle decisioni. Come primo passo, dunque, va definito il problema e, in seguito, le informazioni da ricercare. Per far fruttare al meglio una ricerca di mercato servono obiettivi chiari; infatti, quando i risultati sorprendono particolarmente, la maggior parte delle volte sono sbagliati. Quindi, il bisogno delle informazioni che si possono ottenere con le ricerche di mercato nasce dalla necessità delle aziende di prendere decisioni ed attuare strategie di marketing. La consapevolezza che una ricerca è necessaria e le scelte su come farla devono, o per lo meno dovrebbero, perciò, scaturire da alcuni passaggi: • Definizione del problema/delle opportunità da cogliere – per rispondere alla domanda “quali decisioni bisogna prendere sulla base delle informazioni che verranno acquisite?” • Definizione delle esigenze di informazione – per rispondere alla domanda “quali informazioni sono necessarie per poter prendere determinate decisioni?” 30 Necessario quando si voglia rappresentare, ad esempio, la popolazione italiana e con il metodo proporzionale si ottiene di dover intervistare solo una persona per una determinata categoria (es: una sola persona in rappresentanza del Molise) Il flusso della ricerca Per effettuare una ricerca di mercato, occorre partire da un’impostazione preliminare, ossia dalla definizione del problema e dalla trasformazione di questo in un documento (brief). Una volta capite le esigenze dello stakeholder e definiti gli obiettivi, si può procedere con la realizzazione del progetto o dei progetti, in quanto molte volte ci sono più possibilità per raggiungere diversi obiettivi e questo dà origine a cambiamenti e riprogettazioni. Una volta stabilito il progetto si passa alla fase operativa, ossia alla raccolta dei dati mediante questionari, interviste e indagini. Questa richiede tempo in quanto i dati risiedono su supporti non immediatamente utilizzabili, poiché, ad esempio, per passare dalla schermata dei risultati ad informazioni vere e proprie è necessario operare trasformazioni da dati lessicali a dati numerici e, contestualmente, è importante capire come le variabili interagiscono le une con le altre. Questa attività rappresenta l’analisi e valutazione dei dati. Il ciclo, comunque, si conclude con la preparazione e presentazione dei risultati. Le ricerche, comunque, possono essere: 1. Qualitative/motivazionali – sfruttano un approccio psicologico e, per tipologia, si distinguono in: a. Ricerche etnografiche – mirate all’osservazione di un comportamento, per esempio utilizzando telecamere b. Ricerche socio-semiotiche – mirate alle analisi semiotiche dei testi, ossia allo studio dei segni c. Colloqui in profondità – sono interviste, spesso lunghe, importanti quando le persone hanno un ruolo sociale d. Focus groups – sono uno strumento utile perché raccoglie in poco tempo il pensiero di più persone e. Focus online f. Web community 2. Quantitative/estensive – sfruttano un approccio sociologico-statistico, per cui sono molto più semplici in quanto sfruttano questionari precompilati. Ne esistono di diversi tipi, come quelle online, quelle telefoniche e quelle cartacee Tra le ricerche qualitative e le ricerche quantitative è presente l’intero mondo delle indagini desk. In generale, però, i dati non sono sufficienti, in quanto l’analisi della statistica suggerisce di non fidarsi totalmente di quello che le persone dichiarano. Infatti, servono tecniche più dettagliate e non bisogna limitarsi a raccogliere i dati poiché, anche se raccolti bene, è necessario poi studiarli per capirne anche il valore intrinseco. Gli obiettivi di una ricerca di mercato devono essere chiari in modo da poter aver risultati chiari. Non è possibile fidarsi davvero di ciò che le persone dicono, per cui è necessario affidarsi a delle tecniche che consentano di capire il processo mentale che si pone dietro alle decisioni. Tipologie di ricerche di mercato Molto spesso c’è una confusione di fondo tra metodi e finalità delle ricerche di mercato; generalmente si parla di metodi, ma l’obiettivo reale dovrebbe essere la finalità, dalla quale discende il metodo ottimo. Le ricerche di mercato vengono classificate, in relazione agli obiettivi, su tre livelli: • Ricerche di tipo strategico – pesano per il 5/10% e servono all’azienda per impostare la propria strategia di fondo • Ricerche per lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi – pesano intorno al 30%, se ne fanno tante poiché vengono generate dalle ricerche di tipo strategico • Ricerche legate al marketing operativo – pesano per il 60/70% e vengono fatte con lo scopo del mantenimento di ciò che l’azienda fa, come, ad esempio, le indagini di customer satisfaction31 o le indagini di verifica del fatto che il marchio sia ancora conosciuto. Queste, dunque, permettono di guardare al mercato e a ciò che accade realmente Le prime due servono per impostare la propria strategia di fondo e per mantenere la propria posizione sul mercato. La terza, invece, serve per verificare cosa stia succedendo all’interno del mercato realmente e giorno per giorno. 31 Strumento utile per capire la soddisfazione della “pancia” dei consumatori poiché in linea di massima rispondono solo quelli super soddisfatti oppure quelli super incazzati. Si deve lavorare sulla percezione e sugli elementi di immagine, visto che questo ti consente di passare sopra/ giustificare eventuali disservizi (Come ti senti quando usi un trapano della Becker?) Una comunicazione efficace rende il bene meno elastico33 e genera brand equity, alterando la situazione che si ha nel mercato. La comunicazione, comunque, intende perseguire quattro obiettivi: 1. Risposta non comportamentale – vuole raggiungere uno status, far sì che, in qualche modo, la percezione del fatto che il prodotto esiste cambi nella mente dei consumatori. Quindi, si vuole fare in modo che il prodotto venga conosciuto e riconosciuto e, al livello più alto, sia un “top of the mind”, ovvero che sia nei primi pensieri dei consumatori come ricordo spontaneo. Un altro aspetto concerne il ricollegare elementi emozionali-ideali, perché la prima volta che si fa conoscere un prodotto è necessario anche indurne una posizione. Il consumatore, infatti, ha bisogno di elementi per fissare il prodotto nella propria mente, generalmente legati al packaging e, nel food, legati al gusto. Questa risposta, pertanto, si pone l’obiettivo di cambiare le circostanze. 2. Risposta valutativa – vuole formare un’opinione, ossia far cambiare un atteggiamento. Infatti, non è importante che il prodotto sia solo nella testa del consumatore, ma lo è il fatto che egli associ al prodotto qualcosa di positivo mediante elementi di brand identity. In questo caso, dunque, si cerca di migliorare l’associazione del prodotto ai benefici o a quanto interessante per il consumatore; i jingle, in questa fattispecie, sono una determinante: ogni qualvolta si senta una determinata canzone, infatti, viene in mente una certa pubblicità. Questo accade anche con i colori, in quanto, facendo leva sulla parte istintiva, fanno sì che molte scelte vengano prese in maniera automatica e istintiva (es: scelta di uno shampoo) 3. Risposta comportamentale – vuole istigare un’azione, per cui è immediatamente collegata all’argomento pubblicità. In questi casi, si vuole spingere il consumatore attivamente verso la marca mediante un atteggiamento molto esplicito, in quanto si cerca di indurre il consumatore ad informarsi, a comprare i prodotti, a parlarne bene, e a rilasciare delle informazioni (es: ti interessa il nostro prodotto? Lasciaci una valutazione e avrai un regalo). Inoltre, nel momento in cui si ottengono le informazioni, è possibile capire quale sia il pubblico intercettabile e, pertanto, veicolare meglio il messaggio al fine di ottenere la c.d. call to action (es: “scegli il bio”, è un tormentone della Fileni). 4. Risposta relazionale – vuole creare un legame. Questo è il livello a cui auspicano tutti i marchi ma a cui arrivano solo quelli maturi. Facendo leva su soddisfazione e fiducia, infatti, lo possono fare solo le aziende che sono certe di avere un certo engagement con i propri consumatori. Una volta ottenute soddisfazione e fiducia, allora è possibile lavorare su fedeltà e lealtà. Non si vuole, in questo caso, vendere un prodotto, bensì si intende convincere il consumatore del fatto che sta facendo la scelta giusta consumando quel prodotto. Questa, pertanto, è una comunicazione che vuole evitare che il consumatore provi altro, ribadendo i valori della marca e costruendo, nel frattempo, qualcosa di nuovo, mediante la dimostrazione del fatto che questi e il brand hanno gli stessi valori e la stessa visione del futuro Queste sono astrazioni utili a capire quale sia l’obiettivo della comunicazione e lo stile da seguire per essere coerenti e per evitare di usare lo strumento sbagliato nel momento sbagliato o anche lo strumento giusto nel momento sbagliato. Nel caso di un prodotto nuovo non è possibile fare una comunicazione di status, poiché si vuole evitare di buttare via del denaro in quanto i consumatori non sono ancora in grado di distinguere la pubblicità di un prodotto rispetto a quello di un concorrente. Advertising Il termine pubblicità in italiano ha una connotazione informativa. Il termine inglese, invece, advertising, indica “andare verso”. Il termine francese, poi, réclame, rievoca la memoria, mentre in tedesco, Werbung, richiama l’attrazione, la seduzione e il corteggiamento. La pubblicità cambia. Un esempio è dato da birra Peroni; 40 anni fa, infatti, puntava sul fascino della donna, utilizzando un “chiamami Peroni, sono fresca”; in tempi più recenti, al contrario, tende a raccontare la storia del malto, mettendo in secondo piano la bionda che beve la birra. Prima, dunque, si aveva una comunicazione di status; ora, viceversa, si tende ad affermare l’italianità della materia prima. Passando all’analisi di alcuni spot di Peroni, è possibile individuare come la comunicazione cambi al variare del periodo. 33 Un prodotto meno elastico è meno sensibile alle fluttuazioni della domanda e dell’offerta; quindi, un aumento di prezzo non inficia, in proporzione, le vendite dello stesso sul mercato Nel corso del 2020, infatti, con la pandemia, lo stile è completamente diverso. Il clima è cupo, così come l’ambiente esterno, e il brand gioca sui concetti di vicinanza e divisione, come se lo stare insieme e vicini fosse un comportamento trasgressivo. Gli schemi, dunque, richiamano le sensazioni che le persone provano in uno specifico momento, ricollegandosi all’opposto di quello che stava succedendo alle persone durante la pandemia (“ama, vivi, respira34”). Verso la fine del 2020, al contrario, Peroni riprende lo spot di inizio anno 2020 per suggerire un ritorno ad una serenità passata, venuta a mancare durante la pandemia stessa. Il clima, in questo caso, è ancora cupo; successivamente, si ha un riferimento alla pubblicità pre-Covid e l’argomento centrale è dato dagli ingredienti, il tutto in un clima e in uno stile un po’ più rilassato. Infine, l’azienda rilancia un messaggio “attuale”, affermando che ancora non si può brindare ma che in futuro si tornerà a farlo. Nel 2021, poi, non viene più utilizzato lo stile istituzionale; Peroni, infatti, cavalca la voglia di socialità, posta al centro, aggiungendo ulteriori valori positivi inerenti all’italianità mediante lo sfruttamento dell’immagine della nazionale di calcio. A questo punto, è bene passare all’analisi degli spot di una concorrente: Moretti. Nel 2020 quello che si vede è un clima cupo, molto simile a quello di Peroni, così come il finale. Peroni afferma, infatti, che si tornerà a brindare insieme, Moretti, invece, brinda alla compagnia. Questo significa che entrambe le aziende stanno usando gli stessi codici, per cui alla fine la birra si lega all’idea di socialità. Nel 2021, al contrario, lo stile è scanzonato; si ha, anche qui, un ritorno alla socialità, condita con ironia e calcio, non quello della nazionale ma quello delle persone. Moretti e Peroni si copiano ma non così tanto; semplicemente hanno agenzie pubblicitarie che capiscono qual è il momento che si sta vivendo e riconoscono gli elementi fondamentali a cui è associato il consumo di un certo tipo di birra. La creazione di uno spot coinvolge una molteplicità di persone, che vanno dall’agenzia pubblicitaria (generalmente due per stimolare la creatività), ai copywriter, alla casa di produzione, all’agenzia di PR e Media relations, alla casa cinematografica (che ricomprende una serie di soggetti quali regista, direttore della fotografia, addetto alla post-produzione, direttore dei casting…), ai planner (controllano quando e quanto deve andare in onda la pubblicità), ai budgeter (controllano quanto si sta spendendo), all’agenzia media, che prende il prodotto finito e cerca di raggiungere il target rispettando il budget. Talvolta vengono effettuati i c.d. test di riconoscimento del brand; in questo modo, le aziende possono testare quanto il brand sia presente nelle menti dei consumatori e se sia riconoscibile anche senza il logo. A questo proposito, Philip Morris ha finanziato la pubblicità di Francorosso Travel nella quale venivano sponsorizzati viaggi in Texas. In questo caso, gli elementi erano talmente tanto iconici che i consumatori sono riusciti a riconoscere il tipo di pubblicità pur senza riferimenti espliciti alla marca di sigarette. Altre volte, poi, le pubblicità sono strane; questo per fare in modo che il brand possa far parlare di sé all’interno di un pubblico elitario (come nel caso di Moretti Italian Sun). Per fare questo, generalmente viene preso un regista (famoso anche in questo campo è Taika Waititi) e gli si dice di fare qualcosa di strano che, nella maggior parte dei casi, viene molto apprezzato. Di tanto in tanto occorre inventarsi qualcosa di strano perché, in un mondo in cui tanti raccontano tante cose, è difficile emergere e distinguersi. La pubblicità di Budweiser della birra wind blown ne è un esempio; l’azienda vuole affermare la naturalità del proprio prodotto; quindi, si ricollega ai propri valori storici e non mostra alcun macchinario moderno ad eccezione delle pale eoliche. Chi osserva la pubblicità, dunque, si ritrova, con una certa curiosità, a capire bene e immediatamente ciò che il brand desidera comunicare. Questo può essere fatto da un marchio molto conosciuto, che ogni anno si inventa qualcosa di nuovo e che vuole raccontare una propria scelta specifica, nel dettaglio l’utilizzo esclusivo dell’energia eolica. La pubblicità, comunque, è stata trasmessa per la prima volta durante il Super Bowl e ha ottenuto un successo inimmaginabile. La pubblicità è molto antica e, a sostegno di questa tesi, arrivano due libri: “Manifesti elettorali nell’antica Pompei” e “Augusto e il potere delle immagini”. Infatti, il primo libro ricorda come anche a Pompei non bastasse dire “c’è il vinaio”; bensì, fosse fondamentale affermare di “essere il miglior vinaio” e di “servire il nettare degli dèi”. 34 Questo è lo slogan che è stato utilizzato nel pieno della pandemia, poiché in quel periodo la gente era chiusa in casa e ciò a cui anelava era “semplicemente” il vivere, il respirare e l’essere liberi Il secondo libro, invece, racconta dello scontro tra Antonio e Augusto e sul loro utilizzo degli elementi comunicativi per affermare la propria superiorità sull’altro, quasi come fosse una battaglia tra due multinazionali. La pubblicità prende molto piede durante la rivoluzione industriale e all’inizio sconfina con l’arte. I manifesti pubblicitari, infatti, riprendevano gli stili artistici in voga poiché alla ricerca dello stesso obiettivo, ossia quello di farsi notare e di raccontare il tipo di prodotto offerto. In alcuni casi, pertanto, erano gli artisti stessi a realizzare i manifesti pubblicitari; un esempio è dato dalla bottiglietta del Campari, disegnata da Fortunato de Pero, un famoso futurista di Rovereto. Il fatto di vedere pubblicità molto evolute che sconfinano nell’arte non è una cosa eccentrica, poiché l’obiettivo è lo stesso ed è, ripeto, quello di farsi notare e di interpretare il periodo in cui si sta vivendo. La pubblicità, inoltre, ha un valore aggiunto, ossia lo scopo di riuscire a fare queste cose dando contemporaneamente valore al brand. Una cosa che rimane costante, però, sono i canoni estetico-culturali, uguali in quanto si cerca di trovare il tratto comune che consenta l’interpretazione di chiunque. Di base, infine, le motivazioni per cui si fa pubblicità sono tre: far conoscere il brand (accrescere l’awareness), affermare i propri valori (alimentare le proprie brand image e brand equity) e cambiare i valori in vigore (attuare strategie di repositioning). La pubblicità, secondo un valido schema concettuale, si divide in elementi comunicativi ed elementi realizzativi. • Elementi comunicativi – l’elemento comunicativo fondamentale è rappresentato dal c.d. main benefit35, ossia il beneficio principale che il consumatore ha dal fatto di scegliere lo specifico prodotto pubblicizzato dal brand. Un altro elemento fondamentale, poi, è dato dalla c.d. reason why36, ossia la motivazione per la quale il consumatore dovrebbe credere a quanto affermato dalla pubblicità. Accanto a questi due elementi, infine, si collocano gli other benefit, ossia l’insieme di tutti i benefici secondari che il consumatore può ottenere dal consumo del prodotto pubblicizzato. Seguendo l’esempio del “dentifricio numero 1 contro le carie che lascia un alito fresco, secondo quanto affermato dalle associazioni dei dentisti”: o Main benefit – utilizzare il dentifricio numero 1 contro le carie o Reason why – lo affermano le associazioni dei dentisti o Other benefit – lascia (anche) un alito fresco • Elementi realizzativi – l’elemento realizzativo fondamentale consiste nell’idea creativa, la quale deve avere tre grandi caratteristiche: deve farsi notare, deve essere facilmente ricordabile e deve essere associabile al marchio corretto. A volte, però, capita che questa sia talmente forte da cannibalizzare sé stessa, dando come unico risultato l’effetto contrario. Accanto a questa si collocano il c.d. mood, ossia l’umore generale, che può essere più rilassato o più cupo, e il c.d. tone of voice, il quale rappresenta lo stile con cui si decide di comunicare. Un esempio di pubblicità ottima, in questo caso, è ideato da Peroni; l’azienda, dopo aver mostrato due persone che fanno a botte afferma “ecco due persone che si contendono l’ultima Peroni”. I consumatori, così, si ricordano il percorso emotivo che hanno seguito mentre guardavano la pubblicità e, se il pubblicitario è bravo, il marchio rimane impresso nelle loro menti Il lavoro dell’ufficio stampa La c.d. attività organica rappresenta tutto ciò che ha un effetto o un impatto – a livello di comunicazione – senza avere una spesa diretta; ad esempio, se l’impresa paga per allestire uno stand e qualcuno ci fa un servizio televisivo, non si tratta di pubblicità in quanto essa ottiene un beneficio solo per il fatto di aver creato qualcosa di interessante. Il mezzo, in questo caso, ne parla, ma non in seguito ad un mero pagamento. Differenza tra ufficio stampa e marketing L’ufficio marketing compra gli spazi pubblicitari, mentre l’ufficio stampa convince i giornalisti a scrivere articoli, approfondimenti e interviste in relazione ad una o più determinate tematiche. La giornata tipo di un addetto stampa è, in linea di massima, molto piena, dato che si snoda principalmente su due momenti: 1. Rassegna stampa – effettuata per monitorare quello che (su tutti i media) si è detto del cliente il giorno precedente. Viene fatta mediante l’utilizzo di software che consentono di vedere l’elenco delle testate e di consultare gli articoli che, appunto, riguardano l’impresa. Queste, dunque, possono avere una durata più o meno importante, a seconda del fatto che il cliente voglia gli articoli in cui è stato citato oppure intenda monitorare macrocategorie di tematiche. Fondamentale perché l’azienda vuole apparire nei media (specialmente nei social) per vari motivi, ossia posizionarsi nel mercato, costruirsi una buona immagine, dare informazioni positive sulle proprie attività (obiettivi raggiunti, successi, novità sui prodotti o problemi risolti) oppure far sapere qualcosa in particolare (nomine o notizie rilevanti) 2. Call con i clienti – necessaria per fare il punto della situazione e per decidere il da farsi, quindi: 35 Rappresenta ciò che il consumatore si porta a casa di istintivo 36 Rappresenta la motivazione per cui il consumatore dovrebbe credere all’azienda Le fasi del piano di marketing Il piano di marketing segue principalmente tre fasi: l’analisi della situazione, necessaria per conoscere l’azienda; la formulazione della strategia e, quindi, del piano operativo, ossia la definizione del marketing strategico e di quello operativo; la valutazione e l’allocazione delle risorse necessarie per entrare in relazione con il cliente. La fase 1, quella di analisi della situazione, è costituita, a sua volta, da varie attività, ossia: 1. Audit di marketing – è il mezzo attraverso il quale è organizzata l’informazione per la pianificazione e rappresenta una valutazione sistematica di tutti i fattori, interni ed esterni, che hanno influito sulle performance dell’impresa in un certo periodo. Ad esempio, l’analisi etnografica consente di mappare il numero di persone e il luogo in cui è stato usato l’hashtag lanciato dall’impresa; maggiore è il suo utilizzo, poi, maggiore sarà la tendenza e, se ciò accade, la parte digital dell’azienda si rivela essere molto forte. In ogni caso, l’audit interno è utile per comprendere le dinamiche aziendali, in quanto analizza i dipendenti e il contesto finanziario, ossia il rapporto con gli intermediari finanziari, mentre l’audit esterno analizza le relazioni con il cliente e, in qualche modo, quelle con il mondo dei fornitori. La parte finale, ossia quella dell’analisi di settore, invece, prevede l’utilizzo delle c.d. 5 forze di Porter, le quali evidenziano la competizione orizzontale e verticale. 2. Osservazione del mercato – la definizione del mercato è fondamentale per il successo; pertanto, deve essere compiuta in modo da poter stabilire dei bisogni, anziché meri prodotti o servizi. In questo caso, perciò, è necessario stabilire con chiarezza la natura del mercato, le sue modalità operative, i punti chiave del processo decisionale dei clienti in termini di customer journey – serve per capire la struttura della giornata tipo del consumatore al fine di trovare nuove idee strategiche e scegliere il proprio target di riferimento – e i suoi segmenti. Per quanto riguarda l’osservazione del mercato, dunque, occorre effettuare due diverse stime: a. Stima della domanda corrente – rappresenta la stima dell’attuale domanda che il consumatore ha nei confronti dell’azienda e, di conseguenza, le dimensioni del potenziale del mercato a cui essa può rivolgersi. Questa fa parte della c.d. base informativa indispensabile per l’analisi della concorrenza e per la stesura del piano di marketing. Ciò può essere effettuato attraverso: i. Rilevazioni statistiche ufficiali, spesso e volentieri provenienti da Alida o Statista ii. Dati provenienti da banche dati e/o da riviste specializzate di settore iii. Rapporti concatenati o a catena, basati su una successione di stime tra loro interrelate iv. Indice del potere d’acquisto o di consumo (qualora si tratti di beni di consumo) b. Stima della domanda futura – serve per capire quanto il consumatore possa essere influenzato sia nel breve che nel medio-lungo periodo, quindi entro e oltre i 5 anni. Pertanto, in questo caso sono necessari metodi soggettivi di previsione legati all’intuizione e all’esperienza – come il contributo della forza di vendita o il metodo dell’analogia – affiancati a metodi oggettivi di previsione legati ai modelli di previsione – come l’analisi delle serie storiche, l’analisi di regressione e l’analisi di correlazione 3. Analisi SWOT – questa analizza Strenghts, Weaknesses, Opportunities e Threats, ossia i punti di forza, i punti di debolezza, le opportunità e le minacce che l’azienda possiede e/o rileva in relazione al mercato. Le prime e le seconde, dunque, sono interne e controllabili, mentre le ultime due sono esterne e, pertanto, non controllabili Anche la fase 2, consistente nella formulazione della strategia e del piano operativo, è suddivisa in altre attività: • Obiettivi e strategie di marketing – gli obiettivi rappresentano i traguardi che si intendono raggiungere, mentre la strategia rappresenta la modalità attraverso la quale si progetta di raggiungere gli obiettivi. La relazione tra prodotti e mercati utile per individuare gli obiettivi e, conseguentemente, la strategia più adatta è illustrata dalla matrice di Ansoff, leggibile come fosse un normale piano cartesiano • STP (Segmentazione, Targeting e Posizionamento) – la segmentazione consiste nel processo di suddivisione del mercato in gruppi di acquirenti ben distinti che hanno bisogni, caratteristiche e comportamenti diversi; il targeting, invece, riguarda la definizione del mercato obiettivo, la valutazione dell’attrattività di ciascun segmento e, quindi, la scelta del segmento o dei segmenti in cui entrare nel tempo; il posizionamento, infine, rappresenta la scelta della posizione che si intende occupare nella mente dei consumatori rispetto ai propri concorrenti, differenziando l’offerta • Marketing Mix – è costituito dalle famose 4 P, ossia Product, Place, Price, Promotion. A fini didattici queste forze sono separate, nella realtà e nell’operatività, però, sono legate da una forte coerenza La fase 3, quella relativa all’allocazione e alla valutazione delle risorse, come le precedenti è costituita da una serie di attività: 1. Budget – documento che viene formulato in relazione ai tre anni previsti dal piano strategico di marketing e, in genere, che viene affiancato da un altro simile molto dettagliato relativo solo al primo anno incluso, a sua volta, nel piano operativo dell’anno di partenza. A comporlo concorrono: la parte di investimento relativa ai media (media planning), i costi relativi alle attività di consulenza per i professionisti esterni e i costi vivi di produzione dei materiali, di organizzazione degli eventi, di gestione dei social e delle attività digital 2. Programma dettagliato del primo anno – scaturisce dal budget dettagliato relativo, appunto, al primo anno del piano strategico di marketing ed è visivamente scandito nel c.d. diagramma di Gantt 3. Misura e analisi – passaggio non obbligatorio che, però, rappresenta la parte più complicata del piano di marketing in quanto rappresenta un insieme di indicatori (metriche) necessari per misurare le prestazioni dell’azienda e assicurare il rispetto degli obiettivi. La verifica viene fatta attraverso il controllo del piano annuale, della redditività, dell’efficienza e della strategia La struttura del piano di marketing Non ne esiste un modello predefinito, pertanto il contenuto può variare a seconda dei destinatari, della dimensione dell’investimento e degli scopi che si intendono realizzare. In ogni caso, la parte qualitativa considera e illustra gli aspetti fondamentali che contraddistinguono il progetto, mentre la parte quantitativa mira ad individuare attraverso proiezioni economico-finanziarie, i risultati attesi del programma di investimenti. In linea di massima, però, sono presenti: • Executive summary • Obiettivi da raggiungere • Analisi della situazione • Piano strategico e piano operativo • Budget di marketing • Controllo (ed eventuali allegati) Caratteristiche di una buona pubblicità Il gradimento è un elemento che può mancare, come nel caso di Telethon, Save the Children oppure Buondì Bauli (far morire la mamma sotto a un meteorite). Fatta la pubblicità, il messaggio deve risultare chiaro, credibile e rilevante, perché se il tema non interessa a nessuno viene facilmente dimenticato. Inoltre, deve essere facilmente compresa, ossia non devono essere presenti elementi che lascino dubbi o perplessità. Infine, la pubblicità deve essere ben collegata al brand; in caso contrario, altrimenti, rischia di essere un’ottima comunicazione per il settore, quindi vantaggiosa anche per i concorrenti. La strategia pubblicitaria La comunicazione parte sempre da una strategia di marketing, la quale si avvale degli strumenti del marketing mix. In ogni caso, gli enti o comunque i soggetti che intervengono quando si decide di attuare una strategia pubblicitaria sono: 1. Azienda → vuole comunicare qualcosa, quindi si mette alla ricerca di un’agenzia pubblicitaria (più di una, poi in base alla soluzione proposta riduce a una) 2. Agenzia pubblicitaria → insieme di creativi che ragionano sulla comunicazione 3. Casa di produzione → realizza la pubblicità, avvalendosi di soggetti quali fotografi o direttori di produzione 4. Concessionaria di pubblicità → intermediario che si occupa di vendere gli spazi pubblicitari al centro media 5. Centro media → ha due grandi compiti: pianificare le campagne e decidere dove, quando e quanto inserire gli spot realizzati, in quanto questo è responsabile del fatto che la pubblicità venga vista e raggiunga il target 6. Ricerche di mercato → intervengono per verificare se il prodotto sia in grado di raggiungere gli obiettivi previsti 7. Media → emittente che trasmette effettivamente la campagna pubblicitaria ideata dall’agenzia di comunicazione 8. Agenzia di PR → ha l’obiettivo di amplificare il più possibile gli impatti della comunicazione e di generare interesse, oltre ad informare tutti gli stakeholder della strategia in atto 9. Ricerche di mercato → intervengono nuovamente in qualità di mezzo di post test e di tracking. Gli eroi della campagna pubblicitaria, però, sono coloro che la pensano, ossia: • Direttore creativo → organizza la creatività, per cui avvia, coordina, supervisiona e revisiona l’attività delle coppie di: o Art director → si occupa di studiare la parte visuale, grafica e tipografica della comunicazione o Copy writer → si occupa della parte scritta, ossia “scrive le parole della pubblicità”, quindi è colui che trova la formula, lo slogan, che rimarrà nelle menti dei consumatori • Regista → mette materialmente in atto quanto pensato dall’art director e dal copy writer e quindi quanto approvato dal direttore creativo. I direttori creativi, dunque, non apprezzano l’approccio della copy strategy, in quanto si tratta di uno schema “cartesiano”, bensì tendono a prediligere l’approccio alternativo proposto da Seguela, ossia la c.d. star strategy. Esempi di pubblicità ed evoluzione dell’approccio utilizzato Mattutini Talmone → pubblicità di Miguel → mandata in onda durante il Carosello, ossia nell’unico momento della giornata disponibile. Per questo motivo, la pubblicità aveva lo scopo di intrattenere, come si evince dalla canzoncina “Miguel son mi e ti non ti se’ niente”. Le persone, infatti, si aspettavano qualcosa che facesse ridere, intrattenesse e piacesse a tutti. Questo tipo di spot era molto in voga negli anni ’60 e nei primi anni ’70; con l’avvento della televisione commerciale la situazione è cambiata. Cafè Paulista → Caballero e Carmencita → in questo caso, lo stile è ancora quello precedente, anche se inizia ad esserci un collegamento maggiore con la marca (i personaggi creati da Armando Testa hanno rappresentato la svolta per Lavazza) nonostante si tratti ancora di puro intrattenimento. La situazione, dunque, è meno distaccata rispetto al periodo precedente; inoltre, inizia ad andare di moda l’utilizzo dei c.d. testimonial in comunicazione. Gancia Americano, Aerosol BPD, Televisori Philco-Ford, Negroni → in questi casi, il prodotto viene integrato all’interno della pubblicità attraverso l’utilizzo di elementi più tangibili. Inoltre, gli spot iniziano ad essere più brevi. Lagostina → questo spot rappresenta il momento in cui l’intrattenimento e il prodotto diventano parte del racconto. Infatti, in questo periodo si intende creare un prodotto artistico di alto livello che generi aspettativa in chi sa cosa succede. Pertanto, quello della linea non è uno spot, ma un programma sponsorizzato che porta, in conclusione, alla promozione delle pentole. Oggigiorno siamo abituati a spot rapidi in cui i prodotti sono i protagonisti. Infatti, è difficile pensare di non associare sin da subito il prodotto alla propria pubblicità o, comunque, al proprio stile comunicativo. Un esempio che va controcorrente è rappresentato dallo spot Coop “la felicità non è una truffa”; questo, suddiviso in quattro puntate trasmesse in esclusiva su La7, racconta dei valori che Coop sente propri; pertanto, lo spot rappresenta un qualcosa di indefinito e di innovativo che richiama un vecchio stile comunicativo in cui al centro non vi sono né il prodotto né l’azienda, ma anzi i valori che questa vuole esprimere. L’esempio di Coop non è l’unico, poiché il web è in grado di offrire diversi e molteplici spunti, come il video dei The Jackal, il quale rappresenta una pubblicità di Samsung. In questo caso, la sponsorizzazione del prodotto, quindi la pubblicità in sé, compare in maniera molto sottile secondo lo stile delle “pubblicità più antiche”. Samsung, infatti, viene individuata come protagonista del messaggio solo nel momento di pulizia, ossia solo quando la casa diventa bella grazie all’utilizzo dell’aspirapolvere. Questo, dunque, rappresenta un tipo di comunicazione che avrà moltissimo spazio in futuro, secondo anche La strategia, in quel caso, propenderà ai valori ma, comunque, rimarrà sempre incentrata sul prodotto per riuscire a dare concretezza, in questo periodo soprattutto, ai consumatori. Per quanto riguarda gli influencer, invece, attualmente circa un terzo delle aziende li guarda con diffidenza, un terzo suppone che il loro impiego continuerà a crescere, mentre l’ultimo terzo ritiene che questi abbiano raggiunto un punto di maturità, il quale comporterà il consolidamento di alcuni e la sparizione di altri. In Italia nel 2020 il mondo della comunicazione ha perso circa l’11%; infatti, hanno tenuto solo le comunicazioni online che, seguendo un trend contrario, sono addirittura aumentate esponenzialmente. Nel 2021, però, sono tornati un sacco di soldi in pubblicità (+ 27% nei primi 7 mesi) e si ipotizza una chiusura dell’anno in rialzo. L’advertising in tv, in ogni caso, può assumere diverse forme a seconda della necessità: • Pubblicità tabellari – legate alla lunghezza dello spot (durata classica 30’’, ormai si sta andando verso i 20’’) • Telepromozioni o televendite • Promo – sono evidenziate dalla dicitura “programma gentilmente offerto da Edison” • Diario – precede o segue il break o la promo e spesso è sponsorizzato dall’emittente stesso • Brevi annunci a trasmissione aperta – sono rappresentati da quei momenti in cui la pubblicità sfrutta l’attenzione dello spettatore; per esempio, nel motomondiale molto spesso fanno partire la pubblicità accanto alla diretta della gara, mentre nel calcio generalmente viene emesso un suono, seguito dalla comparsa di un logo piccolo • Sponsorizzazioni del programma – si ha quando l’azienda, ad esempio a Sanremo, finanzia lo spettacolo solo per scopi pubblicitari. Il mero finanziamento, in questo caso, è solo un pezzo del lavoro, forse quello più facile, perché è bene ricordare che qualunque cosa voglia essere fatta fruttare richiede qualcos’altro che la tenga in vita, ossia richiede attivazioni che siano in grado di valorizzare la sponsorizzazione. Nella maggior parte dei casi, infatti, limitarsi alla sponsorizzazione non basta, poiché è necessario mettere mano al portafoglio. Nell’esempio citato, se si intende fare una sponsorizzazione a Sanremo, è bene agganciarsi ad uno o più cantanti, essere presenti H24 e, soprattutto, essere attraente per un target che non considera l’azienda. Un esempio vincente è rappresentato, a proposito, da TIM: fino a poco fa veniva considerato un operatore per anziani, adesso ha scalzato Vodafone. • Product placement – rappresenta l’inserimento di un marchio, di un prodotto o di un servizio all’interno della struttura narrativa-espressiva di un’opera audiovisiva con scopi pubblicitari. Questo è utile poiché consente allo spettatore di verificare l’effettivo funzionamento del prodotto (es: Masterchef, Bake Off) Vantaggi dell’advertising televisivo Svantaggi dell’advertising televisivo Consente di coniugare elevati livelli di copertura e di frequenza in breve tempo (elevata velocità di penetrazione) La soglia di ingresso dell’investimento pubblicitario, in termini assoluti, è molto alta Il costo per contatto è relativamente basso Il target è poco selettivo Ha un elevato potenziale di creatività ed espressività Si ha un elevato affollamento È efficace per raggiungere vasti target È uno strumento molto intrusivo Ha una buona flessibilità in termini di segmentazione, obiettivi perseguibili ecc. grazie ai nuovi format della tv digitale È frequente il fenomeno dell’ad Skipping, ossia la fuga dalla pubblicità con il cambio canale o con nuovi strumenti come “TiVo” Il vantaggio principale, dunque, è rappresentato dal riverbero social, in quanto buona parte dei contenuti che circolano in rete partono da quanto visto in televisione; lo svantaggio principale, invece, consiste nel fenomeno del c.d. double-screen, ossia dal fatto che le persone non guardano solo la televisione e sfruttano il momento della pubblicità per fare altro. Auditel è l’ente che fornisce i dati sui quali si basano i contratti pubblicitari. Un esempio può essere il festival di Sanremo; secondo Auditel, infatti, questo verrà visto da 18 milioni di persone che avranno un certo tipo di caratteristiche, per cui i pubblicitari potranno adeguare i propri spot all’audience che, probabilmente, guarderà lo spettacolo. Per ottenere i dati, questo si basa su un panel di circa 15.600 famiglie, per un totale di 40.000 individui, che, mediante sistemi elettronici, vengono monitorate costantemente e utilizzate per raccolte dati “passive”. Queste famiglie, pertanto, sono rappresentative per sesso, per età delle persone più anziana in famiglia, per area geografica, per reddito, per istruzione, per dotazione tecnologica. Inoltre, quando una famiglia viene esclusa o lascia, viene rimpiazzata da un’altra identica. I programmi più seguiti sono le partite di calcio; l’evento più seguito di sempre, con quasi il 90% di share, è stato la semifinale Italia-Argentina. In realtà, le prime 49 posizioni sono partite di calcio, mentre la 50° è occupata dal festival di Sanremo. Gli elementi della misurazione sono: 1. Auditel – misura tutti gli ascoltatori, attivi e non, di un determinato programma su una precisa rete 2. Ascolto medio – è dato dal rapporto tra la somma degli spettatori in ciascun minuto e la durata totale del programma 3. Percentuale di share – quota percentuale di ascolto, è data dal rapporto tra l’ascolto medio del programma e il totale degli ascoltatori nel momento della rilevazione 4. Percentuale di penetrazione39 – numero di spettatori, compresi nel target, che seguono un programma, è dato dal rapporto tra questi spettatori e la numerosità del target 5. Contatti netti – rappresenta il numero di tutti i telespettatori, diversi tra loro, che sono stati parte dell’audience totale per almeno un minuto all’interno dell’intervallo di tempo preso in considerazione 6. Minuti visti – rappresenta il numero di minuti visti mediamente dagli ascoltatori nell’intervallo di tempo considerato 7. Permanenza – rappresenta il rapporto percentuale tra numero di minuti visti mediamente dagli ascoltatori nell’intervallo di tempo considerato e la durata totale del programma La stampa La stampa rappresenta uno strumento più statico, poiché se non ci si aggiorna molto e velocemente, si rischia di rimanere ancorati nel passato. In ogni caso, si tratta di uno strumento duttile, in quanto ha pubblici di un certo spessore che permettono di attuare iniziative mirate come il sampling, e, soprattutto, è l’unico tattile. Le unità di misura, dunque, per i quotidiani e per i periodici, sono: • Tiratura – numero di copie stampate • Diffusione – numero di copie vendute • Readership – numero di lettori QUOTIDIANI Vantaggi della stampa su quotidiani Svantaggi della stampa su quotidiani Hanno prestigio e autorevolezza I messaggi si usurano velocemente Hanno un elevato interesse potenziale e un’alta frequenza di contatti grazie alla fedeltà dell’audience La lettura è, generalmente, veloce e selettiva Sono flessibili dal punto di vista geografico, dei tempi di prenotazione degli spazi e di consegna dei materiali Il costo per contatto risulta molto elevato Hanno un’elevata velocità di penetrazione La qualità di stampa è scarsa 39 Rappresenta il livello di diffusione di un prodotto o di una marca all'interno del mercato di riferimento PERIODICI Vantaggi della stampa periodica Svantaggi della stampa periodica Sono selettivi, quindi hanno la possibilità di raggiungere target ben definiti e anche nicchie di mercato Si ha una scarsa selettività geografica Il lettore è molto coinvolto, quindi l’offerta può essere spiegata nel dettaglio I tempi tecnici sono piuttosto lunghi Il supporto su cui sono stampati (la rivista in sé) ha una vita lunga, la quale consente la lettura, la rilettura e la conservazione e quindi dà la possibilità di costruire lentamente un ricordo I livelli di affollamento sono elevati Hanno una buona qualità di stampa e i format pubblicitari utilizzabili oltre alla classica pubblicità tabellare sono innumerevoli Il costo di produzione è molto alto La radio La radio rappresenta uno strumento più informale, perché le attivazioni hanno, più o meno, la stessa logica del web ma con il valore aggiunto rappresentato da qualcuno che “racconta”. Per questo motivo, la radio si abbina facilmente ad altre attività, data la vocazione locale combinata con la possibilità di generare contenuti insieme alla conduzione. Grazie al web, come anticipato, la radio ha ottenuto nuova linfa, in quanto è riuscita ad ibridare l’ascolto con le immagini. Vantaggi della pubblicità radiofonica Svantaggi della pubblicità radiofonica La frequenza ottenibile è buona Le capacità espressive sono limitate al suono, quindi si rileva una difficoltà di ricordo Ha un carattere amichevole e “intimo” Il tempo di esposizione è ridotto Ha la capacità di raggiungere target eterogenei e specifici in diversi momenti della giornata e in aree geografiche differenti Le coperture sono basse a causa delle numerose emittenti, per cui si ha difficoltà a spiegare nel dettaglio l’offerta Il messaggio è adattabile alle realtà locali L’affollamento sonoro è molto elevato Il costo di produzione e di contatto è contenuto L’ascolto è spesso distratto Le affissioni Le affissioni outdoor sono estremamente tattiche a livello locale e, relativamente alle esigenze informative, hanno avuto nell’ultimo periodo una forte evoluzione tecnologica grazie a nuovi supporti e all’ibridazione con l’advertising mobile. Per questo motivo stavano andando molto bene, anche se il coronavirus ha frenato la situazione. Nelle grandi città, in ogni caso, continuano a funzionare molto bene perché, nonostante tutto, costano poco (es: McDonald’s a tre minuti). Vantaggi delle affissioni outdoor Svantaggi delle affissioni outdoor Consentono di avere una capillarità e selettività geografica Il pubblico è generico e casuale Hanno la capacità di contattare buona parte della popolazione attiva in tempi molto brevi La fruizione è veloce Possono essere molto impattanti e non richiedono, oltretutto, alcuno sforzo del destinatario È necessario essere concisi, per cui non possono spiegare nel dettaglio l’offerta Hanno un basso costo per impression I costi di produzione sono elevati Possono essere collocati in prossimità dei punti vendita Sono concentrate principalmente nei grandi centri urbani Podcast e digital audio Sono estremamente adattabili a varie situazioni in quanto offrono la possibilità di sfruttare contenuti e di legarsi ad essi, oltre che di generarli. Un esempio è costituito da Intesa Sanpaolo, che ha sponsorizzato diversi podcast, tra cui quello di Barbero. gli stakeholder, specialmente quelli che più possono determinarne il futuro; per questo motivo, è possibile affermare che contribuisca al clima reputazionale. Infatti, l’azienda, così facendo, può: • Rafforzare i messaggi che veicola e la propria presenza commerciale, migliorando di conseguenza anche l’efficienza delle azioni di marketing • Sedersi ai tavoli che contano, ossia i luoghi in cui si prendono le decisioni • Generare il beneficio del dubbio, utile nei momenti di crisi • Migliorare la capacità di relazionarsi con concorrenti, partner, associazioni e sindacati • Acquisire i migliori talenti e, in più, a trattenerli I public affairs sono essenzialmente questo. In senso estensivo, poi, vengono definiti come “tutte le relazioni pubbliche”; in modo restrittivo, invece, come “lobby”. In Italia la parola lobby ha una cattiva reputazione, poiché qui le cose vengono fatte, o si sono fatte in passato, al confine tra il legale e l’illegale. In ogni caso, si tratta di chi conosce bene la macchina amministrativa, istituzionale, politica e fa arrivare in maniera chiara e diretta le informazioni necessarie per chi sta per prendere una decisione (es: indirizzare una spesa). Il lobbysta, mai dipendente dell’azienda, generalmente è un ex politico, un giornalista oppure un avvocato; questo perché la loro conoscenza di chi prende le decisioni e dei regolamenti è sostanzialmente imbattibile. I destinatari della comunicazione istituzionale, dunque, sono: 1. Le istituzioni pubbliche, sia che esse siano locali oppure internazionali, in quanto decidono le regole del gioco 2. Gli operatori professionali, ossia lobbysti, professionisti delle pubbliche amministrazioni, centri di opinione in grado di sensibilizzare e studiare la sensibilizzazione 3. I mediatori e i soggetti influenti, ovvero coloro che per loro natura sono portati a compensare i conflitti, come gli opinion leader, la Chiesa, le associazioni di categoria 4. Le organizzazioni, le imprese e le ONG, le quali a volte hanno bisogno di lobbying oppure lo fanno in prima persona 5. I media, quindi i giornalisti e la “carta stampata”, poiché un articolo in prima pagina su un amministratore delegato può rappresentare una tipologia di comunicazione lobbysta, magari perché fa conoscere un nuovo punto di vista Il modello di funzionamento, invece, si basa su due diverse aree di attività, mai disgiunte: • Analisi del quadro istituzionale – consiste nel monitoraggio dei tempi di interesse dal punto di vista normativo e nell’interpretazione giuridica e politica degli atti delle istituzioni → analista • Gestione del quadro istituzionale – consiste nella diffusione di informazioni mirate, nello sviluppo delle relazioni e nell’influenza nella generazione dell’opinione da parte dei policy maker o del regolatore → figura politica Gli strumenti della comunicazione istituzionale, in ogni caso, sono: 1. Tutte le attività di pubbliche relazioni, sia di lobbying e di public affairs che pubblicazioni specifiche e newsletter 2. L’ufficio stampa e relazioni con i media, utilizzati quotidianamente tramite comunicati stampa, conferenze ed eventi 3. La comunicazione finanziaria/aziendale, specialmente quando si creano eventi per raccontare il bilancio, il bilancio sociale e, nell’ultimo periodo, il bilancio di sostenibilità 4. L’organizzazione di eventi, fiere e convegni, i quali rappresentano momenti in ci si cerca un incontro specifico 5. Le dichiarazioni e le interviste dei Top Manager, i quali sono in grado di fornire punti di vista specifici 6. Le partnership e le collaborazioni, non solo con il mondo della politica e dell’amministrazione, ma anche con tutti i mondi con cui questi hanno a che fare (in quanto questi influenzano, poi, il decisore politico) 7. La sponsorizzazione di eventi, molto spesso strumento di creazione di relazioni e di consenso rispetto all’azienda L’ufficio stampa L’ufficio stampa è l’organo che diffonde notizie per conto di aziende, organizzazioni ed enti pubblici. Le note ufficiali diramate sono dette comunicati stampa. La funzione di questo, in ogni caso, è prettamente giornalistica e non va confusa con l’attività di relazione con i media. Può essere interno, esterno oppure sia interno che esterno, ed è formato da un addetto stampa e, a volte, da un portavoce che parla, se presente e in linea di massima, al posto dell’amministratore delegato. L’addetto stampa deve avere varie caratteristiche tipiche del giornalismo, ossia: curiosità, rigore investigativo, flessibilità mentale, capacità di comunicare (sia a livello di scrittura che di conversazione orale), capacità di frugare fra le notizie che riguardano il settore di cui si occupa, organizzazione, abilità nel coinvolgere le persone e di accattivarle, atteggiamento propositivo e mai passivo, credibilità, velocità e, ovviamente, resistenza allo stress. Il giornalismo di marca, dunque, si ha quando le organizzazioni impiegano giornalisti o tecniche giornalistiche per creare contenuti che utilizzano tutte le tecniche del giornalismo tradizionale per creare storie di brand autentiche e memorabili in grado di coinvolgere il target di un’organizzazione. Il brand journalist, pertanto, è il professionista della comunicazione che utilizza tecniche giornalistiche per raccontare una marca, un prodotto, un’azienda manifestando la propria appartenenza. La comunicazione finanziaria, il bilancio sociale e l’etica delle imprese La comunicazione finanziaria risponde a due obiettivi: assolvere agli obblighi imposti dalla legge e relazionarsi con i finanziatori. La legge, infatti, obbliga a effettuare alcune comunicazioni in un modo preciso, ossia nel rispetto dei principi di chiarezza, correttezza, verificabilità e dimostrabilità. Ciò significa che i paletti sono tanti; nelle posizioni positive mantengono il mercato sotto controllo onde evitare che questo si enfatizzi eccessivamente, mentre nei momenti di crisi consentono a chi si relaziona con l’impresa di avere un’idea chiara della situazione in cui essa si trova. La comunicazione istituzionale, per questi motivi, non viene effettuata solo nei confronti degli stakeholder finanziari interni ed esterni, bensì anche nei confronti degli organi direttivi; il CdA, infatti, è composto da persone che non si riuniscono tutti i giorni che, però, vengono informate quotidianamente circa quanto accade. La comunicazione finanziaria è mirata alla presentazione e all’aggiornamento dell’andamento economico-finanziario dell’impresa, compresa quindi la gestione delle risorse e la capacità di generare utile, e permette di condividere costantemente le informazioni e i dati di bilancio con gli stakeholder più rilevanti. Nelle aziende grandi, ma principalmente in quelle quotate, a proposito, è riservata un’area dedicata all’attività del c.d. investor relator. Gli strumenti della comunicazione finanziaria sono rappresentati da: • Bilancio d’esercizio – rappresenta il momento dell’anno in cui l’azienda ha grande visibilità • Relazioni periodiche, soprattutto per le quotate (trimestrali) – mostrano l’andamento di breve periodo e proiettano previsioni del risultato finale. Le relazioni più importanti sono le prime due; la trimestrale, infatti, getta le basi per il nuovo esercizio, mentre la semestrale, che agita tantissimo, si trova nella situazione di dover dimostrare l’andamento di metà anno e di dimostrare quello relativo al secondo semestre. Per quanto riguarda le critiche, però, questo modello ne ha subite parecchie in quanto utilizza parametri e dati di breve periodo per il lungo termine • Investor day e road show – sono giorni in cui l’azienda, oltre alla presentazione del bilancio d’esercizio, fornisce la propria visione della situazione economico-finanziaria a medio-lungo termine • Voluntary Corporate Disclosure – sono documenti con i quali si definiscono rischi e potenzialità dell’azienda in modo da poter far capire gli obiettivi e le motivazioni per cui vengono compiute determinate scelte • Sito Investor Relation – è tenuto a mantenere un alto livello di attenzione nel momento in cui vengono rilasciate le informazioni, specialmente se si tratta di attività finanziarie, ossia di imprese che gestiscono il denaro delle persone Il momento peggiore dell’azienda si rileva con un fallimento; per l’investor relator, però, superare una crisi di tale portata comporta la creazione di un grande mercato, in quanto consente di dimostrare di saper gestire situazioni molto impegnative. I dati rivolti ai c.d. destinatari della comunicazione finanziaria sono illeggibili tutti coloro che, appunto, non siano determinati destinatari, in quanto le comunicazioni sono molto particolari e diverse in base all’ente a cui ci si rivolge (Consob, BCE…). Fare comunicazione verso l’autority significa fornire dati su dati, accompagnati da c.d. note di accompagnamento utili per dare una chiave di lettura, praticamente quotidianamente. Clienti e fornitori, invece, sono importanti per l’azienda perché possono determinare opportunità e minacce in grado di colpirla. Questi, infatti, rappresentano una parte di una filiera che, se ostacolata, è in grado di causare non pochi problemi. In ogni caso, l’investor relator comunica sempre tenendo a mente gli investitori poiché, facendo scelte quotidiane in relazione all’azienda, devono essere necessariamente monitorati. L’investor relator, in ogni caso, è colui che adempie a tutte le attività di informazione finanziaria previste tra l’azienda e la comunità di investitori, in quanto ha l’obiettivo di informare i mercati dei relativi dati e di darne il punto di vista attraverso la conoscenza del valore che questa ha generato. Il suo compito, dunque, è quello di informare gli stakeholder al fine di ridurre le asimmetrie informative e di determinare un clima fisiologico in cui le attese future interne siano allineate con quelle esterne. Nelle società quotate, ciò significa anche generare un allineamento nel medio periodo tra i valori di mercato del titolo e quelli previsti internamente del management. Qualora si pensi, allora, che vi sia un conflitto di competenza tra l’ufficio stampa e l’investor relator in tema di comunicazione, è bene ricordare che: il primo tiene i contatti con i giornalisti e, se richiesto, li mette in contatto con l’altro. I canali principali dell’investor relator sono tantissimi, come si può vedere dall’elenco di sinistra; in caso di emergenza, però, vince il “contatto diretto”, ossia, in caso di decisioni molto importanti, si realizza una sorta di accentuazione dei canali gestiti più attivamente: il contatto con gli investor relatore delle altre aziende, Bloomberg con i suoi tools di approfondimento, l’area investor relations del sito aziendale, i contatti con gli analisti e la ricerca su Google. In caso di urgenza, dunque, possono assumere molta rilevanza il passaparola con i colleghi o i conoscenti ma, soprattutto, diventa ancora più rilevante la sintesi.
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