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Storia e Funzionamento delle Banche Centrali: Origini, Funzioni e Problemi, Appunti di Economia

Storia dell'EconomiaBanche e bancarizzazionefinanzaEconomia monetaria

La nascita e lo sviluppo delle banche centrali, le loro funzioni originali e i problemi che si sono presentati nel corso del tempo. Il testo illustra come le banche centrali hanno evitato la concorrenza privata nella emissione di banconote e come hanno garantito la convertibilità tra banconote e oro. Viene inoltre discusso il sistema bancario universale e il problema di avere banche di piccole o medie dimensioni invece di banche di grandi dimensioni. Il documento conclude con una discussione sulle motivazioni per cui le banche ricorrono al mercato interbancario e sulla legislazione attuale che regola le attività bancarie.

Cosa imparerai

  • Perché le banche centrali hanno garantito la convertibilità tra banconote e oro?
  • Come le leggi attuali regolano le attività bancarie?
  • Come sono nate le banche centrali?
  • Che furono le funzioni originali delle banche centrali?
  • Quali sono le motivazioni per cui le banche ricorrono al mercato interbancario?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 11/06/2022

Lollolocginch
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Scarica Storia e Funzionamento delle Banche Centrali: Origini, Funzioni e Problemi e più Appunti in PDF di Economia solo su Docsity! ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI Analisi del funzionamento finanziario. Un sistema economico è distinguibile in due elementi : 1)REALE quello in cui gli agenti economici producono redditi, effettuano consumi, pagano tasse… 2)FINANZIARIO. I diversi operatori economici possono essere divisi in due categorie: a)Quelli che hanno risparmiato più di quanto hanno investito, avendo così un surplus da impiegare (avanzo) b)Quello che hanno investito più di quanto hanno risparmiato, avendo così un deficit da finanziare (disavanzo). Quando di realizza un trasferimento di fondi dalle unità in avanzo alle unità in disavanzo si crea uno strumento finanziario (azioni, obbligazioni, fondi comuni…). Le 5 componenti del sistema finanziario sono : sistema economico, operatori economici, mercati finanziari, intermediario finanziari, regolamentazione (morfologia del sistema finanziario). Il sistema finanziario è quindi l’insieme dei contratti, mercati, operatori, regole che permettono alle famiglie di investire e alle imprese di produrre! OPERATORI DEL SISTEMA ECONOMICO Gli operatori del sistema economico vengono divisi in 4 grandi categorie istituzionali: 1)Famiglie : ossia le aggregazioni di persone fisiche 2)Imprese : persone giuridiche che producono e vendono prodotti e servizi 3)Pubblica amministrazione : lo stato 4)Resto del mondo : quindi le famiglie, le imprese e la p.a. di un paese diverso rispetto a quello preso in considerazione. Ognuno di questi soggetti genera un reddito (Y), sostiene dei costi (C). La formula Y-C = S dove S rappresenta il risparmio. Il risparmio viene destinato all’acquisto di attività reali le quali servono a preservare e potenziare la capacità di generare reddito. Se y>c si avrà un risparmio, al contrario se y<c vuol dire che i costi sostenuti sono superiori rispetto al reddito generato. In base alla dimensione di questi dati si possono distinguere gli operatori economici in due grandi categorie : 1)Gli operatori che hanno risparmiato più di quanto hanno investito, avendo così un surplus (avanzo) 2)Gli operatori che hanno investito più di quanto hanno risparmiato, avendo così un deficit (disavanzo) La prima categoria è quella che solitamente appartiene al gruppo delle famiglie. La seconda categoria invece è più vicina alla realtà che si presenta nelle imprese e nella pubblica amministrazione. Presentare un deficit, nel caso delle imprese e della p.a., non è per forza un segnale negativo perché se l’impresa è sana e vede delle possibilità di investimento succede spesso che si trova nella posizione di effettuare investimenti superiori alla propria capacità di autofinanziamento. Ogni qualvolta che si trasferiscono fondi si crea uno strumento finanziario il quale ha una importantissima valenza giuridica. In una transazione finanziaria le unità in avanzo o in disavanzo indirizzano certe aspettative, il trasferimento è possibile solo se queste aspettative sono compatibili (surplus, tempistiche…). STRUMENTO FINANZIARIO La funzione principale del sistema finanziario è quella di consentire il trasferimento di surplus dalle unità di avanzo alle unità in disavanzo. Questo avviene tramite uno strumento finanziario il quale rappresenta l’accordo delle parti sulle condizioni del trasferimento. Questo trasferimento può essere a titolo di prestito o a titolo di partecipazione a titolo di impresa. Questo strumento finanziario rappresenta un’attività finanziaria per l’unità in avanzo e una passività finanziaria per l’unità in disavanzo. Le famiglie nel sistema finanziario trasferiscono fondi alla p.a. esclusivamente sotto forma di prestiti (BOT, titoli di stato…). I trasferimenti dalle famiglie alle imprese invece possono avvenire sia sottoforma di prestito sia a titolo di partecipazione a titolo di impresa. Ogni soggetto ha una personalità declinabile in modo differente su tre versanti rischio, rendimento, liquidità. Il rischio è la probabilità che l’esito effettivo (unità in avanzo) di un investimento sia differente da quello atteso; bisogna quindi assegnare delle probabilità all’esito nel caso in cui ci sia differenza e nel caso in cui non ci sia alcuna differenza, ossia che l’esito sia uguale a quello atteso! Il rendimento minimo atteso è quello di ricostituire il capitale inizialmente investito. Il capitale viene investito nell’ottica che lo stesso si incrementi. La liquidità è l’attitudine di uno strumento finanziario a trasformarsi in liquidità. Ci sono alcuni strumenti finanziari che possono essere trasformati in liquidità in tempi brevi e a costi bassi; al contrario ci sono altri Agli inizi degli anni 80 si fanno avanti due grandi direttive privatizzazione e fusione delle banche. La privatizzazione per le banche di interesse nazionale (escluse le popolari e le cooperative) è stata un’attività veloce in quanto vennero emesse quote attraverso aste pubbliche. Gli istituti di credito di diritto pubblico e per le casse di risparmio il processo fu complicato sotto il profilo giuridico perché essendo fondazioni non avevano degli azionisti. In sostanza le fondazioni scorporarono l’attività bancaria conferendo l’attività bancaria all’interno di una s.p.a. ricevendo in cambio il 100% delle azioni. Mantennero dunque tutte le opere benefiche ma conferirono esclusivamente la proprietà dell’attività bancaria in una società per azioni con l’idea che la fondazione avrebbe rivenduto le azioni sul mercato ai privati. L’obiettivo di privatizzare fu realizzato ma restò il problema delle fusioni. Inizialmente vennero offerti degli incentivi fiscali ma la volontà di creare queste fusioni era scarsa in quanto c’erano problemi di tipo politico e personale che ostacolavano il processo. Perché propendere cosi forte verso un processo di aggregazione? Quale e il problema di avere un sistema bancario composto da tante banche di piccole o medie dimensioni invece di avere banche di colossi superiori? Il concetto di economia di scala dice che la curva dei costi unitari tende ad avere un tratto discendente all’aumentare il volume di produzione, raggiunge un punto di minimo da cui o non si stacca o inizia a risalire. Quindi all’aumentare il volume di produzione il costo di produzione scende raggiungendo un punto di minimo, il quale identifica la dimensione ottimale di produzione. Il concetto di economia di raggio di azione (economie di scopo) dice che se si diversifica in settori correlati si possono ottenere dei vantaggi significativi di costo. La diversificazione si scontra con il principio di specializzazione. Nelle attività al dettaglio nelle banche di dimensioni più grandi tendono ad avere costi unitari di produzione del servizio minori, quindi con un grado di economie di scala più elevato. La banca può crescere o acquisendo nuova clientela oppure fondendosi con altre banche e di conseguenza i clienti. Per acquisire clienti che hanno già un conto presso un’altra banca bisogna fornire un incentivo molto rilevante, il che si traduce che un processo di acquisizione ha un costo molto elevato. Oppure ci sono i clienti che non hanno ancora un conto depositato (giovani e immigrati); per acquisire nuovi clienti la banca incentra le sue forze sulla categoria di persone che non hanno ancora un conto depositato. Il processo di fusione del sistema bancario è motivato dalla volontà di conseguire economie di scala. Quindi per crescere una banca ne acquisiva un’altra con tutto il pacchetto di clienti, il cliente in questo modo non si accorge neanche del cambio di azionariato della banca. Molte attività finanziarie comportano processi simili a quella bancaria è spesso c’è un vantaggio a diversificare le attività. Nell’arco degli anni si sono contrapposti due grandi modelli istituzionali : Modello U.S.A. : la diversificazione era ostacolata in quanto il sistema bancario era forzato per legge a fare intermediazione a breve termine con prodotti tradizionali e gestione circuito pagamenti. Nel modello americano la diversificazione è avvenuta mediante l’acquisizione di produttori specializzati. Le banche non potevano più entrare nel capitale sociale delle imprese e dunque non era permesso che detenessero titoli azionari delle suddette. Questo fa eccezione solo nel caso in cui l’attività dell’impresa non era affine all’attività bancaria (esempio leasing). Una banca italiana ad esempio poteva acquistare una impresa di leasing. Pertanto la diversificazione in questo modello avveniva mediante l’acquisizione della proprietà dei produttori specializzati. Modello tedesco giapponese : supermercato bancario, non ci sono ostacoli alla diversificazione. Il modello tedesco giapponese ha sempre criticato il modello di diversificazione indiretto perché via della duplicazione dei costi (personale doppio, amministratori della banca e della società di leasing…). Mettendo sotto lo stesso tetto l’offerta di molti servizi diversi, i fautori del supermercato bancario, supponevano che aumentava il rischio il conflitto di interessi. I conflitti di interesse si presentano ogni volta che un cliente (domanda) presenta un problema e può essere risolto da chi fa parte del lato dell’offerta attraverso la vendita di un prodotto o un servizio che sia il più conveniente possibile per il cliente o che sia più conveniente possibile dall’offerente. Il dovere di chi sta al lato dell’offerta dovrebbe essere quello di offrire la soluzione più adatta a chi presenta il problema MA se c’è un’altra soluzione che risolve il problema ed è più conveniente per l’offerente, nasce il conflitto di interesse. Questi conflitti tendono a presentarsi più frequentemente nelle istituzioni diversificate. LA BANCA D’ITALIA E LE SUE FUNZIONI : LA VIGILANZA PRUDENZIALE E LA VIGILANZA STRUTTURALE La banca d’italia è stata per molti anni un organismo di grandissimo potere. Esercitava molte funzioni tra cui la politica monetaria e la vigilanza sulle banche. La politica monetaria è un potere che è stato trasferito ad un organismo sovranazionale con l’entrata in vigore dell’euro. La banca d’italia ha mantenuto le sue funzioni in ambito di vigilanza. La vigilanza prudenziale è un’attività che garantisce che le banche seguano principi di sana e prudente gestione e quindi tutela i depositanti garantendo che le banche non possano fallire. In passato esisteva la vigilanza strutturale. Nella vigilanza esiste un “triangolo” che presenta alla base la stabilità e l’efficienza (operazioni veloci, tassi bassi, costi bassi). Tra la stabilità e l’efficienza esiste un rapporto di TRADE-OFF, quindi quello che si ottiene da una parte lo si perde dall’altra. Il vertice del triangolo invece è rappresentato dalla concorrenza. Se la concorrenza è più presente il sistema tende a diventare più efficiente ma più instabile, al contrario se la concorrenza viene depressa il sistema tende a diventare più stabile ma meno efficiente. La banca d’italia ha sempre privilegiato totalmente l’obiettivo della stabilità a prezzo di quello dell’efficienza. La banca d’italia riusciva a controllare la struttura del sistema con tre strumenti (negazione autorizzazioni per nuove aperture, contingentazione apertura nuovi sportelli e fusioni e acquisizioni). Un sistema diventa più concorrenziale quando si creano nuovi soggetti che agiscono dal lato dell’offerta. Se un probabile concorrente voleva aprire un’azienda con un’attività bancaria, oltre a soddisfare requisiti minimi di capitale, deve andare da un notaio a farsi scrivere uno statuto che viene presentato ad un magistrato che deve stabilire se omologarlo o meno. Se l’oggetto sociale dell’azienda era quello di offrire servizi bancari il magistrato per approvare o meno lo statuto deve chiedere il parere alla banca d’italia. Questa legge bancaria è stata valida fino al 1993 (approvazione testo unico bancario). La banca d’italia per più di 50 anni non ha mai permesso l’apertura di una nuova banca fatta eccezione per qualche cassa di credito cooperativo. Quindi ha frenato la concorrenza non permettendo a nuovi imprenditori di avviare l’attività bancaria. Oltre ad avere questo potere la banca d’italia agiva anche rispetto alle banche già esistenti (prima del 36). Se queste banche volevano aprire nuovi sportelli dovevano chiedere l’autorizzazione alla banca d’italia la quale aveva predisposto un piano sportelli quinquiennale. Quindi ogni 5 anni le banche che già esistevano facevano richiesta alla banca di italia l’autorizzazione per l’apertura di nuovi sportelli. Dopodichè la banca di italia si riuniva in camera caritatis ed emanava il suo verdetto. La banca d’italia misurava sia la domanda di servizi bancari nell’area specifica sia il grado di offerta. Dosando l’apertura degli sportelli bancari, la banca d’italia riusciva a calibrare il grado di concorrenza. Quindi se in un piccolo comune c’era una banca di credito cooperativo e c’era una richiesta di una banca nazionale per l’apertura di un punto in quel comune, la banca d’italia si chiedeva quale era l’impatto nel mercato locale. Per evitare che la banca di credito cooperativo non riuscisse a fare fronte a questo nuovo ingresso di competitor, la banca d’italia negava l’apertura del punto. Fusioni e acquisizioni riducono il numero di soggetti dal lato dell’offerta e quindi la struttura concorrenziale dell’offerta. Se si concede l’autorizzazione il numero di produttori si riduce. Il sistema bancario italiano è stato quindi molto stabile perché dal dopoguerra fino al secolo passato si è verificato circa un fallimento bancario all’anno di piccole banche, con la significativa eccezione del banco ambrosiano. La banca d’italia è sempre intervenuta nel fallimento di queste banche poiché imponeva alle grandi banche di acquisire i punti bancari falliti e quindi i depositanti non perdevano soldi. L’obiettivo era quindi quello di privilegiare la stabilità a prezzo di una elevata inefficienza fino a quando il sistema non è stato chiuso. Quando il sistema è diventato aperto c’è stata la concorrenza dell’apertura di banche non facenti parte dell’italia (esempio banca tedesca). Il sistema bancario italiano tra privatizzazioni e fusioni Il sistema bancario italiano verso gli anni 80 si presenta come un sistema sotto controllo pubblico frammentato e inefficente. Negli anni 80 il sistema viene interamente privatizzato e quindi le banche cercano livelli più avanzati di efficienza poiché devono rispondere non piò all’operatore pubblico ma a un pacchetto di azionisti. Inizia quindi il processo delle fusioni e nascono quindi tre grandi colossi : Intesa SanPaolo, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena. In questo processo di aggregazione che porta alla nascita di queste tre grandi banche, resta un problema ancora irrisolto. Il testo unico bancario ammette solo banche costituite per azioni e banche cooperative (s.p.a. o cooperative). Le cooperative sono fatte da due grandi categorie (banchi popolari , casse rurali artigiane). Entrambe presentano un problema, le banche rurali artighiane (banche di credito cooperativo) hanno avuto un minimo di fusione e hanno anche più di uno sportello le quali hanno problemi di diseconomie di scala. Le banche popolari hanno perso la finalità mutualistica ma la mantengono nella forma statutaria e quindi ogni socio ha diritto ad un solo voto indipendentemente dalle azioni che possiede (voto capitario); questo rende le banche popolari non scalabili perché se si possiede il 90% del capitale si ha lo stesso voto di chi possiede l’1%. Un processo di fusione tra le banche popolari potrebbero fondersi per realizzare una banca di dimensioni superiori ma alle fusioni segue una razionalizzazione del personale. I dipendenti resistono a questi processi opponendosi alle fusioni. Il sistema finanziario internazionale. La convertibilità in oro e il tasso di cambio. Bretton Woods Fino alla prima guerra mondiale le valute erano tutte convertibili in oro. Questa convertibilità determinava in sistema automatico un sistema di cambi fissi. I tassi di cambio possono essere fissati o in via amministrativa ( fissi ) o essere determinati dalla legge della domanda-offerta ( flessibili ). In un sistema di cambi fissi il rischio di cambio non esiste in quanto 1 dollaro che vale 1 euro oggi, varrà cosi anche fra 5 anni. Questo sistema si chiamava GOLD STANDARD perché essendo tutte le valute ancorate all’oro, il valore della valuta era fisso e inalterabile nel tempo. Quando salta la convertibilità salta anche il sistema del gold standard. Con la fine della seconda guerra mondiale il mondo è scisso in due : paesi dell’ovest (economia di mercato), paesi dell’est (economia pianificata). Concentrandoci sui paesi dell’ovest, nel 1944 i rappresentanti dei governi dei principali paesi occidentali si riuniscono a Bretton Woods discutendo quale sistema dovrà governare il mondo. Una delle figure più importanti è John Maynard Keynes. In questo congresso si è discusso sul fatto di aprire le economie e l’idea era quella che la prosperità economica sarebbe derivata da una internazionalizzazione dell’economia e la volontà comune era quella di creare un sistema di cambi fissi per evitare il rischio di cambio. Il problema di un sistema a cambi fissi è quello di definire rispetto a cosa dovevano essere fissi questi cambi. Alla fine si conviene che il sistema debba essere ancorato sul dollaro perché con la fine della guerra mondiale gli stati uniti si affermano come la più grande potenza economica tra i paesi a economia di mercato. La banca centrale di ogni paese che ha partecipato a questa conferenza, ha dichiarato una parità della propria valuta rispetto al dollaro. Gli stati uniti in cambio si dichiarano disponibili a convertire i dollari in oro al prezzo fisso di 35$ all’oncia. Questa concessione viene fatta perché le riserve ufficiali delle banche centrali erano costituite esclusivamente dall’oro. Per effetto del porre il dollaro al centro del sistema monetario internazionale, le banche centrali si trovano a dover detenere anche dollari e quindi le banche centrali dei paesi che hanno partecipato a Breton Woods potevano convertire i dollari in oro in qualsiasi momento. Sempre nel 44 venne creato il fondo monetario internazionale che serviva ad evitare che ad esempio il dollaro contro la lira andasse oltre alla banda di fluttuazione; il fondo monetario poteva anche concedere dei prestiti a breve termine a quei paesi che uno scambio tra i paesi del Bretton Woods e i paesi del COMECOM, valevano le regole le regole del Bretton Woods. Quindi , oltre alle banche dei paesi facenti parte del FMI, anche le banche dei paesi socialisti dovevano detenere una riserva di dollari i quali venivano investiti negli USA. Quando scoppia la guerra in Corea gli USA diventano alleati della Corea del Sud e dichiarano guerra alla Corea del Nord. Venne preso immediatamente un provvedimento (Sequestership) secondo cui quando si è in guerra non si intrattengono rapporti commerciali con il nemico (e quindi i depositi dei cittadini nord coreani dovevano essere congelati). Siccome l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese erano alleate della Corea del Nord, quindi il fatto che gli USA avessero congelato gli investimenti nord coreani hanno creato preoccupazioni perché c’era un rischio politico di tenere risorse chiave in casa del nemico. 2)Negli USA venne preso un provvedimento, Regola Q, il quale metteva un plafond molto basso ai tassi di interesse. 3)Gli USA negli anni ’50 sono fortemente invitati dagli alleati europei a tagliare la bilancia dei pagamenti e ad arginare i canali di deflusso dei dollari. Dei 4 canali di deflusso (piano Marshall, investimenti militari, investimenti all’estero di imprese USA e indebitamento delle imprese europee nel sistema finanziario USA) venne limitato solo l’ultimo imponendo una serie di restrizioni che rendono estremamente caro indebitarsi negli USA, se non impossibile. Quindi alla fine degli anni 50 la situazione in sintesi è: Ci sono soggetti al di fuori degli USA con dollari da investire che non vogliono più investire negli USA per via della regola q che abbassa i tassi di interesse. Vi sono poi soggetti che vogliono indebitarsi in dollari ma non possono più farlo perché ci sono stati provvedimenti fiscali dal governo americano. C’è quindi un’offerta di dollari alla ricerca di una possibilità di investimento espressa da non residenti USA e una domanda di finanziamenti in dollari espressi da imprese non USA. Domanda e offerte negli anni ’50 si incontravano a New York ma in seguito non potevano più farlo e il nuovo mercato in cui si incontrano è Londra. Londra è il nuovo mercato per 4 motivi: 1)Storico: le prime banche rinascimentali avevano tutte una filiale a Londra perché erra al centro del commercio internazionale, la GB aveva la più grande flotta mondiale, aveva l’impero coloniale, tutti i beni che provenivano dalle colonie finivano al porto di Londra e le banche finanziavano le attività delle navi. 2)Geografico: Il clima politico è stabile, la collocazione come fasce orarie consente ai mercati di non essere mai chiusi (apre quando stanno per chiudere i mercati asiatici e chiude quando il mercato americano è già aperto) 3)Infrastrutture: a Londra c’è il secondo mercato dei derivati del mondo, una delle borse più grandi del mondo, il più grande mercato interbancario del mondo. Una banca che apre a Londra trova tutto quello che le serve sia in termini finanziari sia in termini accessori (legali, risorse umane…). 4)Approccio unico alla regolamentazione: Londra era unica. La banca d’Inghilterra ritenne che l’attività delle banche estere era ininfluente per il mercato interno: esse trattavano dollari e con soggetti stranieri, quindi l’attività di questi intermediari esteri, essendo irrilevante per le proprie politiche monetarie interne, poteva godere della massima libertà e nessuna regolamentazione. La nascita del mercato eurodollaro. La rinegoziazione del debito il alcuni paesi (caso Polonia, Messico, Brasile, Argentina). Con la fine degli anni ’50 nasce un mercato per operazioni bancarie denominate in dollari a Londra. Si ipotizza che il primo grosso trasferimento di dollari dagli USA a Londra sia stato fatto dalla banca centrale sovietica che controllava a Londra una banca. Questa banca aveva come sigla telex “eurobank” ed allora il mercato è diventato famoso come mercato dell’eurodollaro (e le banche che operavano in questa attività eurobanche). Nasce quindi un mercato parallelo a quello domestico del dollaro dove investitori e prenditori di fondi di altri paesi si rivolgono al mercato di Londra. Negli anni ’60 questo mercato cresce notevolmente ed è favorita dalle stesse banche americane. Agli inizi degli anni ’70 New York riapre, viene abolita la regola q e vengono abolite le altre restrizioni che vietavano di indebitarsi negli USA e in concomitanza diventa possibile anche a un non residente di tornare a investire a New York. Nel ’74 scoppia la crisi petrolifera: i paesi che importano petrolio hanno bisogno di prestiti più ingenti mentre i paesi che esportano petrolio hanno un surplus in dollari notevoli dalla bilancia dei pagamenti. Con la metà degli anni ’70 il volume di lavoro in campo internazionale si accresce sensibilmente creando competizione tra New York e Londra. Una grande crisi si farà presto viva negli anni ’80 a causa della rinegoziazione del debito dei paesi in via di sviluppo. Inizialmente il fenomeno è piuttosto circoscritto e connesso a rovesci politici (es. Uganda e Iran). Il primo grande problema viene creato nel 1979 dalla Polonia, la quale aveva ottenuto prestiti dalle banche internazionali per 27 miliardi di dollari e non era in grado di rimborsare le rate dei prestiti. Le banche concedono tempo alla Polonia (per evitare che una dichiarazione di insolvenza del paese potesse scaturire una invasione sovietica) ma subito dopo divenne insolvente il Messico. Il Messico aveva un debito di 90 miliardi di dollari e questa insolvenza ebbe un effetto psicologico devastante sul mercato. Il Messico è un produttore di petrolio e uno stato di sviluppo abbastanza arretrato. Nel 74 possono vendere petrolio a prezzi sensibilmente superiori e avendo un surplus di dollari inizio a indebitarsi anticipando flussi di cassa futuri per la costruzione di infrastrutture. Il messico aveva un cash flow in entrata certo dato dalle entrate del petrolio per tanto l’opinione diffusa era che il prezzo del petrolio avrebbe continuato a crescere e che i paesi produttori avrebbero avuto la forza economica per risarcire i debiti contratti senza difficoltà. Negli anni ’80 però successe che si ruppe il cartello dell’Opec e il prezzo del petrolio crollò. Le conseguenze del crollo ebbero poi ripercussioni sul prezzo di altre materie prime per cui molto paesi in via di sviluppo, specialmente quello che vivono di esportazioni di materia prima, cominciano ad avere difficoltà a rimborsare i prestiti ottenuti. La crisi del debito del Messico indusse le banche a non prestare più soldi a paesi centro-latino americani. Dopo pochi mesi diventarono insolventi Brasile e Argentina. Tutto il centro e il sud america, l’africa e larga parte dell’asia vanno in insolvenza e ciò determina molte rinegoziazioni di debiti prestati a condizione che i paesi attuino scelte in grado di generare flussi di cassa futuri (a scapito della popolazione). I prestiti sindacati. I prestiti internazionali a tasso variabile. Clausola cross-default I prestiti internazionali soddisfano un fabbisogno molto elevato ed il solo mercato domestico non è sufficiente. La sindacazione (prestiti in pool) è lo strumento che viene utilizzato per conciliare le esigenze delle banche e quelle dei prenditori di fondi: il prestito non viene concesso da una banca a un prenditore ma si crea un pool di banche che, sulla base di un unico contratto di prestito, partecipano allo stesso prestito. Una banca capofila organizza una sorta di consorzio temporaneo per l’operazione specifica. Tutti i prestiti in campo internazionale sono sindacati. In campo internazionale i prestiti sono tutti a scadenza medio lunga con un tasso esclusivamente variabile. Un prestito a tasso variabile prevede la definizione di 3 condizioni contrattuali: 1)Rollover period: frequenza con la quale il tasso sul prestito viene ricalcolato (6 mesi) 2)Tasso di riferimento: si identifica un tasso di riferimento dal quale non discostarsi troppo. Solitamente quando i prestiti sono in dollari si usa il tasso di riferimento dei buoni del tesoro americani, T-Bill a 6 mesi. È molto utilizzato anche il Libor semestrale (london inter bank offered rate) ovvero il tasso di riferimento a cui le banche offrono fondi sul mercato di Londra 3)Spread: la regola è che nessuno può indebitarsi al tasso a cui si può indebitare il governo americano, per cui a tutti i tassi è stato aggiunto uno spread (differenziale). Lo spread quantifica il rischio incrementale. Il ricalcolo del tasso (6 mesi) costituiscono una forma di garanzia per le banche perché sposta il rischio di variazione dei tassi di interesse dalla banca al prenditore. Questo perché la banca continuerà ad incassare il suo spread, se i tassi scendono il prenditore è più contento perché il costo del prestito diminuirà. Le banche quando concedono un prestito corrono il rischio del paese di appartenenza del prenditore. Non potendo avere garanzie da parte dei governi, le banche insistono per l’applicazione di clausole tutelative, e la più importante è la CROSS DEFAULT (insolvenza incrociata); sssa prevede che il debitore possa essere dichiarato insolvente da un creditore anche se l’insolvenza deriva da un altro rapporto di debito. Collegandoci alla crisi dei debiti internazionali lo scenario è questo: -)Prestiti a tasso variabile: negli anni 80 i tassi di interesse sul dollaro sono in aumento e quindi aumenta l’onere del prenditore -)I prezzi delle materie prima sono in ribasso -)Le banche hanno concesso generose concessioni di prestiti negli anni 70 a causa della concorrenza -)Il paese indebitato, anche se in presenza di una sola insolvenza, si trova ad essere dichiarato insolvente da tutti. Le componenti del sistema finanziario. Mercato primario e secondario. Si distingue generalmente il mercato primario di uno strumento finanziario da quello secondario. Nel mercato primario gli strumenti vengono emessi per la prima volta, dove l’unità in disavanzo raccoglie i fondi; nel mercato secondario gli strumenti una volta emessi vengono negoziati durante la loro vita. Quest’ultimo mercato ha poca rilevanza sotto il punto di vista dei flussi di cassa dell’emittente, in quanto si tratta di trasferimenti di fondi tra investitori. L’intermediario per eccellenza a livello mondiale è la banca. Per quanto riguarda l’Europa, l’unione europea emanò due direttive che cercavano di dare una definizione chiara di banca: 1)Le banche centrali non potevano discriminare con i loro controlli le filiali di banche provenienti da altri paesi dell’allora CEE (per un concetto di reciprocità). Questa prima direttiva dava una definizione di banca, identificandola come una istituzione che raccoglie il risparmio dal pubblico sotto forma di depositi e utilizza queste somme per concedere prestiti. 2)Nella seconda direttiva di qualche anno dopo, la definizione della prima direttiva venne ribaltata: la banca è una istituzione che raccoglie risparmio dal pubblico o concede prestiti. Queste seconda definizione ebbe un effetto molto importante perché all’epoca c’erano intermediari che non venivano considerati banche perché raccoglievano solo risparmi e altri intermediari che concedevano prestiti (leasing, factoring) ma non raccoglievano risparmio. Quindi diventano banche ai sensi della seconda direttiva. dopo un lungo periodo di discussione l’unione europea smise di cercare di trovare una definizione di banca ma cominciò ad optare per definire le funzioni che una banca deve eseguire per essere considerata tale. Quindi venne stilata una lista di attività di tipo bancario. Ogni paese dell’unione aveva però la facoltà di ridurre per la propria nazione il contenuto della lista dando vita a un fenomeno di discriminazione al contrario svantaggiando le banche nazionali a quelle estere. Di fatto venne inserito anche il modello di banca universale e si contempla anche l’assunzione di partecipazioni azionarie il quale era uno dei capi saldi della legge bancaria del ’36 (nel quale c’era un divieto per le banche di svolgere questo tipo di attività). Con tutta una serie di qualificazioni e parametri che definiscono il livello qualitativo e quantitativo delle partecipazioni e la proporzione della partecipazione rispetto al patrimonio della partecipata e della partecipante, venne concessa questa facoltà agli istituti bancari. Sul segmento al dettaglio la forza concorrenziale è la capacità di distribuire i propri servizi. Il cliente non ha grandi capacità di valutare il rapporto qualità/prezzo dei servizi ottenuti. Avere più punti vendita possibile rappresenta il principale segreto. Questa strategia è molto onerosa però sfrutta una rete di distribuzione già esistente e si è modificata e adeguata con il passare del tempo. Massimizzare la quantità dei servizi offerti significa non occuparsi esclusivamente dei servizi di intermediazione ma ad esempio di risparmio gestito, vendita biglietti…Su questi ultimi servizi la banca corre solo un rischio commerciale e quindi solo di non incassare commissioni. Le banche sono quindi costrette ad occupare un segmento più redditizio e meno rischioso andando a lasciare un segmento più rischioso e concorrenziale. Una banca come qualsiasi altra azienda al fine di sopravvivere deve rispettare tre condizioni fondamentali di equilibrio: 1)Economico-Patrimoniale: il valore delle attività reali + le attività finanziare devono essere superiori rispetto alle passività finanziare. 2)Reddituale: i ricavi devono essere superiori ai costi e generare un utile 2)Finanziario: i flussi finanziari in entrata devono essere in grado di coprire i flussi finanziari in uscita Il rischio di insolvenza ad esempio può rendere difficile il rispetto di queste condizioni. L’insolvenza genera problemi a tutti e tre gli equilibri: 1)Se il debitore fallisce il debito diventa 0 e riduce l’attivo, e si ripercuote sul patrimonio 2)il prenditore di fondi non paga più nemmeno gli interessi, non si generano più ricavi 3)non si hanno più flussi in ingresso delle rate del prestito, ma permane il flusso in uscita. Passività di una banca. Il rimborso del passivo bancario. Adeguatezza capitale proprio. ROE. La passività di una banca vengono vendute a due classi di differenti investitori; a chi investe in titoli di debito con diritto di rimborso fisso (depositanti e obbligazionisti) e a chi partecipa il rischio di impresa (azionisti). Il passivo di una banca può essere classificato secondo diverse priorità di rimborso: i due creditori privilegiati per eccellenza sono l’erario e i dipendenti; via via ci sono tutti gli altri creditori (obbligazionisti, commerciali…). Poi c’è il mezzanino dove ci sono i debiti che hanno il più basso grado di priorità. Pagati tutti questi creditori, se avanza qualcosa, vengono rimborsati gli azionisti privilegiati e gli azionisti ordinari. Nel capitale proprio quindi si scaricano tutte le conseguenze delle decisioni negative. Il capitale proprio sul totale del passivo deve rappresentare una certa percentuale, l’8%, quindi con un 92% dei debiti. Ci sono però banche che per la natura dei rischi che corrono necessitano di una percentuale superiore all’8% e viceversa. Il management tende a deprimere il grado di capitalizzazione mentre l’organo di controllo tende ad aumentarlo. L’interesse del management tende a deprimere il grado di capitalizzazione per due motivi: 1)il volume della passività cresce in maniera spontanea con l’attività ordinaria della banca. I mezzi propri invece possono crescere solo attraverso gli aumenti di capitale oppure nel caso di utili non distribuiti si utilizzano per l’autofinanziamento. 2)Problema del ROE: è il prodotto di altri due indici ROA = utile / (totale attivo*(totale attivo/mezzi propri)). Quest’ultimo, totale attivo/mezzi propri, si chiama LEVA. Se una banca, usando più leva, riesce ad esprimere una redditività più alta, gli azionisti saranno più soddisfatti. La banca d’Italia. L’autonomia della banca centrale. La banca dei regolamenti internazionali. Basilea 1. In seguito alla legge bancaria del ’36, la banca d’italia è un organismo estremamente potente: tutto è vietato salvo autorizzazione della b.i. L’autorizzazione era un provvedimento amministrativo che la b.i. prendeva al suo interno in tempi rapidi e veloce. Quindi si riusciva a modificare questa autorizzazione senza passare dal Parlamento. Secondo le indicazioni della legge bancaria del ’36, la b.i. avrebbe dovuto essere il braccio esecutivo del comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR); il linea teorica il cicr avrebbe dovuto prendere le decisioni di politica monetaria e la bi eseguirle ed implementarle. La bi ha cercato di divincolarsi da questo dominio, per sfuggire ad esempio agli obblighi di acquisto dei titoli di stato invenduti, fino a quando non ha raggiunto una vera e propria separazione e indipendenza. Oggi il problema non si pone più perché le competenze di politica monetaria sono state sottratte alla bi e attribuite alla bce. In sede europea si è ritenuto che questo modello configurasse una banca centrale con poteri troppo accentuati, quindi si è ritenuto che le norme dovessero essere conosciute e poi applicate dall’organo di vigilanza. Queste norme vennero decise nell’ambito della bri (banca regolamenti internazionali) con sede a Basilea nella quale si incontrano a cadenza regolare gli organi di vigilanza (governatori banche centrali) dei paesi più industrializzati del mondo. Nel 1988 furono affrontati due temi negli accordi di Basilea 1: 1)Definizione patrimonio bancario: l’obiettivo era quello di raggiungere un accordo formale su cosa fosse il patrimonio. L’accordo distingue .)il patrimonio di base (TIER1) che è costituito dal capitale degli azionisti, dal fondo rischi bancari generali e dagli strumenti innovativi di base ..)il patrimonio supplementare (TIER2) che è costituito da riserve di rivalutazione, dagli strumenti ibridi di patrimonializzazione, dai prestiti subordinati, dal fondo rischi su crediti. In TIER2 deve essere sempre inferiore al TIER1 2)Adeguatezza del patrimonio bancario – introduzione fattore di rischio (nel vecchio principio il patrimonio doveva essere l’8%): si inizia a riconoscere il fatto che alcune banche necessitano di un patrimonio superiore rispetto ad altre. Si propone quindi di considerare il valore dell’attivo e di ponderarlo per il rischio (rischio alto = indice ponderazione elevato). Nel dettaglio: Il primo accordo di Basilea è stato un evento molto positivo ma c’erano dei limiti da superare. Si concentrava esclusivamente sul rischio di insolvenza e quindi circoscriveva il rischio gravante su una banca a un solo aspetto. Il rischio di insolvenza viene trattato assegnando un indice di ponderazione uguale a 1 , equiparando di fatto società solvibili a società meno sane. Basilea 2. Rischio di settlement. Rischi di mercato. Rischio di cambio per banca. Nel 2007 viene raggiunto un nuovo accordo che avrebbe dovuto ovviare i limiti del primo accordo. 1)Contemplare altri rischi oltre quello di insolvenza: Nel rischio di insolvenza si distingue tra rischio di credito vero e proprio derivante dal mancato pagamento delle rate pattuite di un prestito, e il rischio di settlement. Il rischio di settlement è il rischio che la banca possa subire una perdita anche in occasione di operazioni che non comportino un prestito per cassa. Ad esempio ci sono operazioni in cui le banche fanno un contratto a pronti e contemporaneamente stipulano un contratto a termine dello stesso importo ma di segno opposto. Ad esempio una banca compra titoli di un’azienda a 100 con l’impegno di rivendere questi titoli a 103; contemporaneamente si stipula che l’azienda ricompri i titoli a 102 a tre mesi. Per qualche motivo, a tre mesi il cliente non si presenta per riacquistare i propri titoli e la banca li rivende a 98. Così ci perde 2 su ogni azione. Esistono inoltre rischi di mercato: ci sono voci dell’attivo o del passivo dello stato patrimoniale che si possono modificare in base alle condizioni di mercato (tassi cambio, interesse, borsa). .)il tasso di cambio: se una banca ha tutto l’attivo e il passivo denominati in valuta domestica non sopporta rischio di cambio ma se una banca ha una parte dell’attivo e del passivo in valuta estera la situazione si modifica, se il cambio sale le attività e le passività si rivalutano. Il rischio va misurato tenendo conto un orizzonte temporale di riferimento ed in base alle oscillazioni valutarie variano attività e passività. Se l’attivo si svaluta = perdita, se il passivo si svaluta = utile Rischio di interesse e di prezzo. I rischi operativi Le altre due componenti dei rischi di mercato (oltre al rischio di cambio) sono il rischio di interesse e il rischio di prezzo. Il rischio di prezzo è la possibilità che si venga a determinare la perdita o il profitto in caso di variazione degli indici azionari. Costituisce un rischio di carattere minore in quanto l’assunzione di partecipazioni da parte delle banche è limitata dalla legge, al 60% del patrimonio e vigilanza e la singola partecipazione non può superare il 15% del patrimonio di vigilanza. Il rischio di interesse: esistono poste dell’attivo e del passivo dello s.p. di una banca che modificano il loro valore nel caso di variazioni nel livello dei tassi di interesse (sensibili). Per misurare l’esposizione al rischio di interesse occorre definire un intervallo di tempo a priori. È sensibile ai tassi di interesse tutto ciò che è a vista, tutto ciò che non ha una scadenza definita nel periodo oggetto e tutto ciò che ha una clausola di revisione del tasso nel periodo di tempo preso in considerazione. Se i tassi aumentano l’attivo, e il passivo costa di più. Tutto il resto è insensibile. L’altra categoria è rappresentata dai rischi operativi. I rischi operativi sono tutti quegli eventi che possono determinare perdite a carico della banca e rendere più difficile rispettare le tre condizioni di equilibrio (rapine, furti, terrorismo, eventi atmosferici…). Le agenzie di rating e il conflitto di interessi. I Junk Bonds. Nel mondo esistono le agenzie di rating due delle quali governano il mercato: Moody’s e Standard & Poor’s. Esse hanno accesso per contratto a tutte le informazioni disponibili sull’azienda e dopo una procedura di analisi svolta da esperti qualificati, assegnano una percentuale di insolvenza (AAA= rischio basso; A=rischio alto). Il rating è un meccanismo che presenta il grande vantaggio di dare una valutazione indipendente da parte di un’agenzia esterna con un capitale reputazionale da difendere ma resta comunque un processo estremamente costoso caratteristico solo di aziende di grandi dimensioni. Storicamente le agenzie di rating vivevano di ricavi generati dagli investitori. Negli USA con il tempo queste società hanno cominciato a finanziarsi vendendo non più esclusivamente i loro servizi agli investitori ma anche agli emittenti: questo ha generato un conflitto di interessi. Inoltre l’analista della società di rating quando valuta il grado di affidabilità di un’azienda esistente da molti anni, esprime dei giudizi che hanno un elevato grado di affidabilità. Se però deve valutare la qualità di un titolo di debito emesso da una start up. Il suo giudizio è più incerto e categorizza tutto come Junk Bonds, obbligazioni spazzatura (titolo obbligazionario a rendimento elevato ma ad alto rischio per l’investitore). In concomitanza negli stati uniti scoppia la merger mania, ovvero aziende di dimensioni piccole che si indebitavano al massimo per acquisire aziende molto grandi, mediante le obbligazioni spazzatura. In questo modo si presupponeva che le società di rating sovrastimavano i rischi creando opportunità di investimento. Nicken fu arrestato e il mercato delle obbligazioni spazzatura crollò. Le società di rating non avevano responsabilità alla luce dei fatti successi. Basilea 2. I fidi multipli. La scarsità delle aziende che dispongono di un rating ha introdotto l’adozione del rating interno. Le banche hanno delle loro procedure interne per la concessione di fidi ma questa procedura impone una formalizzazione di questo processo, questa scelta deve essere dunque condivisa con l’organo di vigilanza. La b) Stock/bond picking: si tratta di decidere quali titoli specifici comprare c) Market timing: decisioni del momento più opportuno in cui è meglio effettuare la vendita o l’acquisto dello specifico oggetto di scelta L’attività di decisione su delega che viene esercitata dal gestore a favore del cliente è sofisticata e complessa. Chi riceve la delega deve capire quale sia il profilo di chi investe e le effettive necessità perché per ogni cliente ci sono delle diverse propensioni al rischio, alla liquidità, alle attese di rendimento… L’attività di gestione del risparmio presenta rilevanti economie di scala in termini di dimensione complessiva dei patrimoni gestiti ma non in numero di patrimoni gestiti. Il gestore non può seguire tutti i portafogli in quanto presentano un asset allocation differente. I patrimoni possono essere gestiti in due modi differenti, o su base collettiva o su base individuale. .)Nella gestione su base collettiva o in pool i patrimoni di tutti i clienti sono trattati come un’entità indifferenziata. Si tratta di gestioni dedicate a clienti con disponibilità patrimoniali contenute. ..)Nella gestione si base individuale i patrimoni di tutti i clienti sono trattati come un’entità separata. Si tratta di gestioni di patrimoni di dimensioni considerevoli (clientela affluent). Tra le due gestioni non vi è una differenza qualitativa di gestione o di performance ma solo nel modo in cui viene distribuito il servizio. 3)Intermediari che competono con le banche dal lato della raccolta del risparmio I fondi comuni di investimento aperti e la società di gestione I fondi comuni di investimento vengono introdotti nel 1983, anche se esistevano già in passato. Si possono individuare tre momenti significativi per gli investimenti all’estero. Fino al 1973 gli investimenti all’estero non erano soggetti ad alcuna limitazione. Dal 1974, anno della grande crisi petrolifera, il governo italiano - preoccupato dalla fuga di capitali all’estero e dal deficit della bilancia dei pagamenti – emana una serie di provvedimenti che limitano gli investimenti all’estero, obbligando di fatto a chi lo faceva, di costituire un deposito infruttifero presso la banca d’italia per un valore pari al 100% del controvalore dell’investimento effettuato. Disincentivò gli investimenti all’estero ma favorì la clandestinità. Questa situazione si modificò verso la fine degli anni ’80 per effetto dell’appartenenza all’unione europea e si liberalizza di nuovo l’investimento estero. Bisogna solo passare dalla banca per avere un’evidenza contabile dei trasferimenti. I fondi comuni di investimento aperti nel 1983 vengono gestiti dalle società di gestione dei fondi comuni; negli anni ’90 diventeranno SGR (società di gestione del risparmio). La sgr è un’entità giuridicamente separata dal fondo e può gestire più fondi; deve offrire tanti prodotti differenziati per asset allocation in modo da creare una gamma di strumenti in grado di soddisfare esigenze eterogenee. La sgr, rispetto agli investitori, ha due obblighi informativi: 1)Calcolare ogni giorno e pubblicare il NAV (net asset value= valore netto degli attivi) 2)Trimestralmente deve fare pervenire all’investitore la fotografia della situazione del suo portafoglio di investimenti. Il fondo si definisce aperto in quanto è possibile quotidianamente acquistare o vendere quote del fondo senza limitazione al valore comunicato dalla società di gestione. Come funziona un fondo comune di investimento. Il NAV. Il benchmark del fondo. I canali di distribuzione dei fondi comuni: sportelli, promotori finanziari, internet. I fondi comuni di investimento sono soggetti ad un doppio regime di autorizzazione: la prima riguarda l’intermediario che propone questi fondi; la seconda riguarda il singolo prodotto di investimento il quale deve essere autorizzato secondo un prospetto autorizzato dalla Consob. Appena un fondo vende le proprie quote sulla base dell’asset allocation, comincia ad esercitare le sue scelte di stock picking e market picking. A fine giornata occorre determinare il NAV NAV= (prezzo di mercato dei titoli * quantità) + liquidità / numero complessivo delle quote Il prezzo ottenuto viene comunicato alla stampa e rappresenta la quota che gli investitori devono pagare per entrare nel fondo e anche il valore a cui possono cedere i titoli delle quote del fondo. Il patrimonio del fondo oscilla costantemente per effetto di nuove quote sottoscritte e per effetto dell’investimento. Tra il gestore del fondo (SGR) e l’investitore esistono diversi canali di distribuzione: 1)Sportello bancario (3/4 del mercato) richiede un ruolo attivo del cliente e inoltre la banca preferisce vendere i propri prodotti finanziari. 2)Promotori finanziari, abilitati all’offerta fuori sede e interessati alla vendita del fondo perché la loro remunerazione è legata all’esito della vendita. 3)Internet. I promotori finanziari e internet Negli USA esistevano due aziende che producevano beni (Avon, Tapperware) destinati ad essere venduti non tramite i canali tradizionali ma attraverso piccoli ricevimenti nei salotti di casa. Nacque così il MULTILEVEL MARKETING attraverso il quale le vendite realizzate dalle signore che avevano organizzato questi incontri, generano profitti attraverso una lunga piramide di vendita. Questa formula venne copiata da Bernie Cornfeld per la vendita di quote di fondi comuni e i venditori arruolati erano principalmente ex militari poichè in america in quel periodo vi era un tasso di disoccupazione elevato a seguito anche della guerra in Corea appena conclusa. Questa modalità acquisisce molto successo a causa dell’aggressività dei venditori. Negli anni il settore viene quindi regolamentato: in Italia questa tipologia di venditore si chiama promotore (consulente finanziario). Si tratta di un’attività di un’attività di offerta fuori sede di prodotti finanziari subordinata all’ottenimento di un’autorizzazione che so consegue dopo il superamento dell’esame Consob. Negli USA questi promotori tendono ad essere indipendenti, in Italia invece fanno parte di una SIM (società di intermediazione mobiliare). Questi promotori vendono un numero più limitato di fondi e sono più orientati a vendere fondi che retrocedono una commissione maggiore pertanto si potrebbe presentare un problema di conflitto di interessi. Le commissioni sui fondi comuni Un investitore può pagare fino a quattro componenti diverse di costo; questi costi sono difficili da vendere per l’investitore perché si traducono in una riduzione del valore della quota; questi costi vengono esplicitati in dettaglio nel prospetto informativo. Le 4 componenti di costo sono: 1)Commissioni Gestione 2)Commissioni Entrata/uscita 3)Commissioni Performance 4)Costi di gestione 1)Ogni prodotto di risparmio gestito è passivo di una commissione di gestione su base annua parametrata all’importo affidato in gestione. Un range di variabilità della commissione di gestione potrebbe essere tra i 30 e i 200 basis point e queste commissioni dipendono dalla complessità della gestione. 2)Le commissioni di entrata/uscita rappresentano circa l’1%: queste commissioni sono una tantum e servono a remunerare il distributore. È una commissione mal vista dagli investitori e non si applica su prodotti sofisticati e l’investitore con forza contrattuale la negozia. 3)La commissione di performance può essere applicata solo se prevista dal prospetto iniziale. Essa si applica generalmente sui prodotti più sofisticati ed è di circa il 20% dell’extra-performance. Se a fine anno il fondo ha avuto una performance peggiore del banchmark di riferimento non si applica. I fondi comuni di investimento, i soggetti coinvolti. Investitore. Società di gestione, promotore, sim, banca depositaria. Gestione attiva e gestione passiva. Gli attori coinvolti nei fondi comuni di investimento aperti sono diversi. C’è l’investitore, la società di gestione, il promotore finanziario, le sim e la banca depositaria. La banca depositaria è una banca primaria che riceve l’accredito da parte degli investitori delle somme da investire; la SGR ha la delega per trasformare l’accredito in titoli ma non ha mai la disponibilità diretta dei fondi a garanzia dell’investitore. Un’altra funzione della banca depositaria è quella di garante delle informazioni comunicate dalla SGR in relazione al valore della quota, comunicando alla Consob eventuali discrepanze. La gestione si definisce attiva quando il gestore ogni giorno esegue ricerche, compra e vende e ha un ruolo fortemente attivo per cercare di conseguire il risultato migliore. La gestione si definisce passiva quando la società di gestione riceve i soldi dagli investitori, decide all’inizio del periodo i titoli da acquistare e non fa alte operazioni. Il benchmark nella gestione dei fondi comuni. Gli index funds e la gestione passiva. I fondi di fondi e la diversificazione del portafoglio. Uno dei problemi principali delle commissioni applicate ai fondi comuni di investimento aperti è che il livello di commissioni è elevato ed è giustificato da una gestione attiva. Allo stesso tempo, la maggior parte dei fondi azionari non riesce a battere il benchmark. Un benchmark importante italiano è costituito dal FTSE MIB il quale è un indice che rappresenta la media ponderata dei prezzi di 40 titoli particolarmente significativi. In questi ultimi anni sono stati introdotti dei fondi chiamati INDEX FUNDS spesso commercializzati con la sigla ETF (exchange traded funds), la cui gestione è completamente passiva : il gestore si limita quindi a rilevare la composizione dell’indice e a replicarla attraverso le scelte di stock picking. La performance del fondo riflette l’andamento dell’indice, diminuita dalla commissione di gestione. In genere la commissione di gestione è pari a 40 bps. La commissione è il costo che l’investitore sostiene per raggiungere un livello di diversificazione che non potrebbe permettersi da solo per i problemi di costi di transazione troppo elevati. Oltre al rendimento (estremamente importante per ogni investitore) occorre ponderare il rischio perché ogni investitore ha una propensione al rischio diversa. A questo si aggiunge la volatilità del rendimento stesso. Generalmente l’investitore tende a preferire un investimento con meno volatilità; la minore volatilità degli investimenti (maggiore stabilità) si ottiene mediante la diversificazione degli investimenti. Esistono quindi i fondi di fondi che sono fondi che anziché comprare titoli azionari o obbligazionari, comprano quote di altri fondi. Il vantaggio che si ottiene è quello di avere un grado di diversificazione degli investimenti e potenzialmente una minore volatilità. Lo svantaggio è che raddoppia il carico di commissioni: si pagheranno sia al fondo di fondi sia ai fondi acquistato dal fondo di fondi. Il vantaggio della minor volatilità è quindi vanificato dalle commissioni elencate. Compagnie di assicurazione : ramo danni e ramo vita Le compagnie di assicurazione sono intermediari finanziari che indennizzano i soggetti che si sono assicurati con l’acquisto di una polizza per prevenire le conseguenze patrimoniali conseguenti al verificarsi di un evento. Se l’evento negativo si verifica, la compagnia indennizza l’assicurato. Un tempo le assicurazioni investivano prevalentemente su immobili, oggi anche sul mercato mobiliare. I fondi pensione Una terza tipologia di prodotti di risparmio gestito su base collettiva è rappresentato dai fondi pensione. C’è da fare una distinzione tra fondi di pensione di natura pubblica (inps) e fondi di pensione di natura privata. In europa siamo abituati a una tradizione di fondi pensione di natura pubblica mentre negli stati uniti esistono solo i fondi di pensione di natura privata. Inoltre si distingue un fondo pensione a hedge e la sgr che gestisce i fondi tradizionali non può gestire anche i fondi hedge. Infatti i grandi istituti bancari hanno due sgr, una incaricata di gestire i fondi tradizionali e una incaricata di gestire gli hedge. Le gestioni patrimoniali individuali. Il private banking e l’asset management. Il family office. La gestione del patrimonio individuale è il servizio di risparmio gestito offerto alla clientela affluent. Il servizio è uguale dal punto di vista tecnico, alla gestione su base collettiva: si delega un gestore ad effettuare scelte per conto dell’investitore. Le gestione del servizio su base individuale non necessariamente offre performance migliori del servizio su base collettiva. Ciò che cambia è il gradi di personalizzazione del servizio. C’è una struttura distributiva dedicata con uffici ad hoc e private banker di riferimento. Il cliente può essere rendicontato con frequenze diverse rispetto a quelle usuali. Ci sono poi altri servizi nel private banking di cui il cliente può avere bisogno ad esempio mezzi di pagamento, carte, prodotti assicurativi, consulenza legale, fiscale… In genere questi servizi sono offerti con favore dalle banche in quanto la clientela affluent è acquirente di molti servizi: l’attività di cross-selling è fondamentale attraverso canali diretti o indiretti. Esistono poi dei prodotti che hanno soglie di accesso ancora più elevate: il family office è una struttura che lavora per una sola famiglia. Un esempio è la Rockfeller Foundation. Di fronte a patrimoni multimilionari costituisce la soluzione meno onerosa. C’è poi una ulteriore categoria che ha necessita di servizi di private bancking, i burst earners, assi dello sport, cantanti, attori e tutti quei soggetti che in un breve lasso di tempo riescono ad accumulare ingenti somme. Il private banking in Svizzera In Italia non c’è mai stata una grande diffusione del private banking a causa della vicinanza con i confini svizzeri. La clientela agiata si rivolgeva alle banche svizzere per la tradizione di indipendenza e neutralità, per la stabilità politica, per la forza del franco svizzero ma soprattutto per via del segreto bancario. Fino a febbraio 2015, se la magistratura di un paese straniera indagava una persona, la magistratura svizzera poteva concedere l’autorizzazione solo tramite una rogatoria internazionale e solo alle condizioni che l’indagato fosse oggetto di indagini da parte della magistratura del proprio paese a causa di fatti che costituissero reato anche ai sensi del codice penale svizzero. L’unica eccezione riguardava l’evasione fiscale poiché per la svizzera non è reato trasferire i soldi guadagnati da un’attività non criminale da un individuo nel proprio paese. L’italia ha fronteggiato questo atteggiamento con scudi fiscali creati per gli evasori che volessero regolarizzare le somme, depositate in svizzera, a fronte del pagando di un’imposizione pari al 2,5% nel primo scudo fiscale per poi diventare il 5% nel terzo scudo fiscale. Ricorrendo allo scudo fiscale si metteva al riparo la somma dalle attenzioni del fisco. Gli scudi fiscali non hanno fatto la felicità delle banche svizzere le quali sono state colpite da due avvenimenti importanti : il caso dei dipendenti infedeli che hanno messo all’asta informazioni sottratte alle banche e un altro avvenimenti avvenutosi in america in cui le banche svizzere sono state denunciate per aver favorito l’evasione fiscale. La svizzera ha firmato un accordo con l’OCSE per cui a partire dal 2018 è in vigore la voluntary disclosure: le banche svizzere comunicheranno in automatico al fisco del paese di provenienza l’esistenza di depositi bancari presso di esse da parte dei residenti di altri paesi. Quindi dal 2018 non è più possibile celare al fisco del proprio paese di appartenenza l’esistenza di depositi in banche svizzere. Broker, dealer e market maker. Come funzionavano le negoziazioni in borsa. SIM. Broker: intermedi per conto di terzi. È una figura che esiste tipicamente nel mercato dei servizi finanziari mettendo in contatto domanda e offerta. Dealer: opera in conto proprio quindi se un soggetto vuole vendere dei titoli, il dealer non cerca un acquirente ma diventa egli stesso l’acquirente. Egli propone sempre due prezzi, denaro e lettera: Il prezzo a cui compra ed il prezzo a cui vende (il prezzo a cui vende è superiore al prezzo a cui compra). Market maker: opera come un dealer ma per vincoli di mercato o per vincoli di legge è sempre obbligato a proporre un prezzo al veditore che sia in linea con i prezzi del mercato al fine di garantire la negoziabilità dei titoli. In passato la nostra borsa si reggeva sui broker, gli agenti di cambio. In italia l’agente di cambio era un pubblico ufficiale che per diventare tale doveva vincere un concorso pubblico. In quei tempi la borsa valori aveva una sede fisica ed era un mercato ufficiale. Le negoziazioni avvenivano con il sistema dell’asta a chiamata: il primo titolo in ordine alfabetico veniva chiamato banditore il quale dichiarava aperte le negoziazioni e proponeva come prezzo di apertura il prezzo di chiusura del giorno prima. A questo punto gli agenti di cambio iniziavano a negoziare ricevendo due tipi di ordine: “al meglio”, vendi o compra al minor prezzo possibile “limite di prezzo”, vendi ma non sotto X e compra ma non sopra Y. Dunque in funzione della pressione domanda sull’offerta o viceversa, si formavano finché non venivano eseguiti tutti gli ordini tranne quelli con limite di prezzo per mancato raggiungimento della soglia richiesta dal cliente. Gli agenti di cambio non erano molto ed erano persone fisiche con strutture molto limitate, per cui i clienti normali delle banche usavano i borsini dove si potevano comprare/vendere azioni; la banca raccoglieva tutti gli ordini, compensava domanda e offerta e trasferiva all’agente di cambio solo lo sbilancio. La funzione principale del quotarsi in borsa è quella di poter disporre di un prezzo significativo; non era sicuramente significativo il prezzo di un titolo contratto per pochi minuti con frutto di alte compensazioni interne. Per questo motivo si è deciso di avviare un grande processo di riforma che ha coinciso con l’introduzione delle SIM. La legge specifica che alle SIM era data in monopolio l’offerta di 6 servizi di intermediazione mobiliare il primo dei quali era l’intermediazione in titoli in conto proprio o in contro di terzi; la legge permette dunque che alla figura di broker si affianchi quella del dealer. La legge che riforma la borsa valori in italia introducendo le sim verrà in seguito rivista e migliorata, sia dal TUB del ’93, sia dal TUF del ’98. Questa legge introduce quali siano i servizi di intermediazione mobiliare: - L’intermediazione in titoli in conto proprio e in conto terzi - Gestione su base individuale dei patrimoni - Raccolta e trasmissione degli ordini di negoziazioni sui valori mobiliari - Sottoscrizione e collocamenti di valori mobiliari - Consulenza La legge necessita di una rivisitazione in quanto, benchè venga evidenziato che le attività suddette siano di monopolio delle SIM, ci sono ancora agenti di cambio e in secondo luogo viene data la possibilità a banche di chiedere l’autorizzazione a svolgere direttamente alcuni o tutti questi servizi. Per quanto riguarda gli agenti di cambio, che erano in numero chiuso, viene stabilito che non sarebbero stati più indetti nuovi concorsi per la qualifica di agente di cambio; ad essi veniva data o la possibilità di continuare il proprio lavoro in un’ottica di solo brokeraggio oppure di essere inseriti, nel primo anno di operatività della legge, all’interno delle banche se avessero voluto costituire una SIM. Acccanto alle SIM vengono però costituite le SGR (società di gestione del risparmio) poiché le competenze della gestioni di patrimoni su base individuale risultano inferiori e il rischio che le competenze siano molto frammentate non avrebbero contribuito a creare economie di scala. Le SGR hanno la duplice competenza di poter offrire servizi di asset management sia su base individuale sia su base collettiva. Oggi in un grande gruppo bancario, l’attività di gestione dei patrimoni individuali e collettivi viene decentrata nelle SGR mentre l’attività di intermediazione viene decentrata nelle SIM. Le SGR offrono tutti i servizi di risparmio gestito, gestiscono fondi comuni di investimento, aperti o chiusi, e anche fondi pensione. Le SIM gestiscono le reti dei promotori finanziari, di solito viene consentita la sola vendita dei prodotti che la sima autorizza, in altri casi la SIM può autorizzare la vendita di prodotti che provengano da soggetti diversi del gruppo bancario di appartenenza. Merchant & Investement banks. Private placement e offerta pubblica. Origination, underwriting a placement. Il merchant banking è un fenomeno principalmente britannico mentre l’investment banking è di tipo statunitense. Le attività svolte dalle due categorie di istituzioni sono tendenzialmente simili con la differenza che la distinzione tra le banche commerciali e di investimento negli USA è frutto di una legge mentre in Gran Bretagna è frutto di una tradizione. In Gran Bretagna le banche commerciali prendono il nome di clearing bank (clearing = meccanismo di compensazione nei pagamenti). Le merchant banks nascono come mercanti: si tratta di commercianti che operavano nella city di Londra particolarmente specializzati su alcuni prodotti (cotone, oro…). Con il tempo queste istituzioni hanno cominciato ad affiancare all’attività commerciale, quella finanziaria di credito di firma per accettazione garantendo i debiti di terzi. Negli USA nel ’33 dopo la grande depressione, il legislatore decide di separare l’attività delle banche commerciali dall’attività di investment banks; sono quindi costrette a scegliere tra intermediazione a breve (12 mesi) e l’attività di investment banks che attribuisce alla banca il compito di assistere le imprese nelle operazioni sul mercato mobiliare. Un’impresa per soddisfare il proprio fabbisogno finanziario può decidere di indebitarsi attraverso l’emissione di titoli e se volesse essere autonoma potrebbe ovviare questa esigenza senza il supporto di un intermediario (opzione rischiosa). Le alternative possono essere date o dal private placement o per offerta pubblica. Il Private placement è una operazione in cui ci si rivolge ad un numero ridotto di grossi investitori istituzionali ognuno dei quali si accolla una parte significativa dei titoli in emissione. Ha il vantaggio di essere rapido con pochi costi di marketing ma ha lo svantaggio che l’investitore ha un alto potere contrattuale aumentando così gli interessi agli acquirenti. Molto spesso si ricorre all’offerta pubblica. Anche in questo caso il supporto di un intermediario è utile specialmente riguardo a 3 importanti servizi: 1)Origination: creazione dello strumento finanziario; nel mercato mobiliare gli strumenti sono creati dall’emittente e collocati presso la clientela. Lo strumento finanziario è un compromesso tra le esigenze diametralmente opposto di emittenti e investitori. Se si tratta di un’offerta pubblica, occorre negoziare con l’autorità di borsa al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie. 2)Placement: fase di distribuzione al dettaglio dello strumento finanziario attraverso la banca. 3)Underwriting: funzione di garanzia di vendita integrale di tutta l’emissione. Underwriting: best effort e firm commitment. ESEMPIO DI UNA EMISSIONE Il costo è altissimo per un’emittente in caso di fallimento per una emissione. Il fallimento può essere dovuto anche a problemi tecnici ma in generale se un’emissione non viene interamente venduta, il costo reputazionale per l’azienda emittente è altissimo. Sono quindi disponibili due servizi: b)Sconto: è la forma più antica di prestito bancario. La banca anticipa al netto degli interessi sul prestito, la somma che il cliente dovrà incassare dai propri clienti. Se a scadenza non vengono incassati gli effetti dai clienti occorre rimborsare l’importo erogato in anticipo dalla banca. c)Anticipazione: è un prestito garantito da un pegno. Il cliente per ottenere il prestito da qualcosa in garanzia alla banca (valori mobiliari o beni reali). Nel caso di valori mobiliari non vi sono particolari problemi ma nel caso di beni reali occorre stimare il valore dei beni dati in pegno e le banche applicano sempre uno scarto a garanzia tutelandosi da possibili riduzioni di valore. d)Mutuo: normalmente è a medio/lungo termine e può riferirsi a molte categorie differenti. Esso può essere a tasso fisso o tasso variabile. Essi prevedono un piano di ammortamento e ciò significa che la somma non viene rimborsata dal debitore in una unica soluzione ma progressivamente. Le rate di rimborso inoltre possono essere costanti o decrescenti: nel secondo caso l’nere finanziario maggiore è nei primi anni del piano di ammortamento. Il mercato dei cambi Nel mercato dei cambi i prezzi possono essere determinati in due modi differenti: 1)Da un organismo esterno, un tempo le banche centrali (bretton woods) 2)Dal mercato, incontro domanda e offerta. Un regime di fluttuazione totale è una ipotesi puramente teorica perché le banche centrali intervengono le mercato per correggere gli eccessi di rialzo/ribasso. Nel mercato dei cambi i prezzi sono espressi dalla propria valuta nazionale e vengono negoziati due tipi di operazioni : operazione a pronti (spot) e operazioni a termine (forward). Le operazioni a pronti sono per ocnsegna immediata mentre quelle a termine sono per consegna a una data futura. In una operazioni a pronti acquirente e venditore contrattano il prezzo e l’esecuzione delle due controprestazioni avviene immediatamente. Nell operazioni a termine, dopo aver definito il prezzo, si pattuisce che lo scambio delle valute avverrà a data futura entro e non oltre i 12 mesi. Il mercato si basa sulle banche poiché ogni negoziazione vede sempre una banca e un suo cliente, o due banche, o una banca e una banca centrale. Le banche sono market maker e quotano sempre due prezzi (denaro e lettera), ossia quello che sono disposti a comprare a valuta estera e quello a cui sono disposti a venderla. Le banche possono avere 4 tipi di posizione: 1) Comprano 0 e vendono 0 2) Comprano più di quello che hanno venduto – posizione lunga 3) Vendono più di quello che hanno comprato – posizione corta 4) Vendono esattamente quello che hanno comprato – posizione neutra Le posizioni lunghe si aprono sperando in un rialzo della valuta estera (posizione “toro”) mentre le posizioni corte si aprono sperando in un ribasso della valuta estera (posizione “orso”). Le posizioni di solito si chiudono nella giornata stessa. Le banche aprono/chiudono costantemente posizioni per ottenere un profitto e per questo i cambisti devono godere di un certo grado di libertà operativa. I cambisti hanno dei limiti in termini di esposizione economica e sono incentivati da bonus per i guadagni che riescono a realizzare. I cambisti più esperti lavorano sulle valute che alimentano i mercati più grandi, tipicamente euro/dollaro. Operano su due schermi: sul primo ci sono tutte le notizie, sul secondo tutte le quotazioni. Le unità scambiate sono in termini di multipli di milione e l’accordo verbale tra cambisti vincola le controparti. Le operazioni a termine invece sono necessarie per operazioni di import/export con pagamenti/incassi futuri: di solito si tratta di posizioni lunghe e se non si vuole correre il rischio di cambio si può ad esempio vendere oggi la valuta necessaria per consegna futura. Per questa operazione la banca applica un tasso a termine, si pattuisce un prezzo e a termine l’esportatore consegnerà la valuta derivante dalla sua operazione alla banca ricevendo in cambio l’importo di valuta nazionale concordato in origine. L’importatore invece può concordare il pagamento con il proprio fornitore a termine e potrebbe attendere la scadenza per approvvigionarsi della valuta necessaria sopportando il rischio di cambio; in alternativa può acquisire oggi la valuta necessaria fissando il prezzo per consegna a termine con la banca. Le operazioni a termine hanno un prezzo determinato da una formula e non sono frutto di una previsione sull’andamento delle valute.
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