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Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile?, Guide, Progetti e Ricerche di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

l contributo offre una riflessione sulla domanda cruciale: oggi – in un mondo e in una realtà sociale e culturale così complessi, frastagliati e in frenetica trasformazione – è ancora possibile educare/-rsi e formare/-rsi? A partire da un’analisi del fenomeno educativo e da una disamina del concetto di formazione, ci si interroga circa la possibilità di instaurare una proficua relazione pedagogica e una reale comunicazione educativa tra generazioni diverse (tra genitori e figli; tra educatori/insegnanti ed educandi/allievi).

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2023/2024

Caricato il 24/04/2024

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Scarica Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! 65 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? Fulvio Poletti Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) di Manno-Lugano (CH) Abstract Il contributo offre una riflessione sulla domanda cruciale: oggi – in un mondo e in una realtà sociale e culturale così complessi, frastagliati e in frenetica trasformazione – è ancora possibile educare/-rsi e formare/-rsi? A partire da un’analisi del fenomeno educativo e da una disamina del concetto di formazione, ci si interroga circa la possibilità di instaurare una proficua relazione pedagogica e una reale comunicazione educativa tra generazioni diverse (tra genitori e figli; tra educatori/insegnanti ed educandi/allievi). Si intravede una possibile via promettente nel riconoscersi tutti appartenenti ad una “comunità di destino planetario”, che ci consenta di elaborare in maniera dialogica e partecipativa (secondo un approccio psico-socio-costruttivista) una progettualità socioculturale di nuovo corso, capace di superare le “passioni tristi” del presente per abbracciare una concezione vivificantemente passionale ed erotizzata dell’azione educativa investita nel processo di crescita dell’umanità. Il tutto in vista dell’attivazione di una “comunità educante” a tutto campo, in grado di far fronte all’attuale “crisi dell’istruzione” mediante il contributo co-costruttivo e sinergico del pensiero logico-formale e nomotetico della scienza, rispettivamente di quello narrativo e ideografico delle arti e delle lettere (superando il dualismo fra le “due culture”), al fine di concretizzare e realizzare – tutti insieme – un (neo)umanesimo appassionato e appassionante. This contribution offers a reflection on the crucial question: is it now – in such a complex, variegated and ever-changing world and socio-cultural reality – still pos- sible to educate others and oneself? Starting from an analysis of the educative phe- nomenon and of the concept of “education”, the attention is drawn upon the possi- bility of establishing a fruitful pedagogic relationship and a real educative commu- nication between diverse generations (parents and offspring; teachers and students). A possible promising way is foreseen by recognizing us all as part of the same “community of planetary destiny”, allowing us to work out in a dialogic and partic- ipative manner (according to a psycho-socio-constructivist approach) a new socio- Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 66 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 cultural planning, able to trespass the “sad passions” of the present to embrace a vivifying passional and eroticized view of educative action engaged in the process of human growth. All this in sight of the activation of an across-the-board “educa- tive community”, able to tackle the current “institutional crisis” through the co- constructive synergic contribution of the logical-formal and nomothetic scientific thought, and respectively the narrative and ideographic one of the arts and humani- ties (transcending the dualism between these “two cultures”), in order to concretize and realize – all together – a passionate (neo)humanism. Parole chiave: educazione, formazione, passioni, eros, cittadinanza attiva, (neo)umanesimo Keywords: education, passions, Eros, active citizenship, (neo)humanism __________________________________________________________ Breve excursus su educazione e formazione Un buon dizionario della lingua italiana mette subito in evidenza come all’idea del formare1 si associ quella di modellamento, di forgiatura. Formare, nella sua accezione primaria, significa infatti “modellare, plasmare qualcosa per farle assumere la forma voluta”, mentre nel suo senso figurato richiama l’ “educare con l'insegnamento, l'esempio e sim. per un fine prestabilito: formare il cuore e la mente dei giovani; formare le nuove generazioni al rispetto sociale”. Il formatore è colui ‘che forma’ e l’aggettivo ‘formato’ conduce al significato di ‘ridotto a una data forma’; interessante prendere in considerazione anche i due sostantivi ‘formatrice’: “macchina che può compiere una o più operazioni necessarie per costruire una forma o per dare a qualcosa la forma dovuta” e ‘formatura’: “preparazione di forme o stampi destinati a ricevere la colata del metallo fuso”2. In sintesi, sul piano delle definizioni non specialistiche, la parola porta con sé una duplice valenza semantica, l’una apparentemente antitetica all’altra. Da un lato vi è l’immagine d’intervento (interventismo) o addirittura di una certa azione “coercitiva” tesa a foggiare, sagomare, trasformare secondo scopi e intenzioni ben precisi. Dall’altro, il ‘formare’ evoca pure il movimento inventivo, fecondo e liberatorio del ‘creare’ (cose, forme, parole, idee nuove) e del ‘crescere’, ‘svilupparsi’, secondo una dinamica evolutiva improntata a creatività. Nel caso dei dizionari più specialistici, come era lecito attendersi, le definizioni diventano ancor più complesse. Si veda l’elenco seguente: Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 69 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 conformato, omologato, assimilato o – nella migliore delle ipotesi – risponda ad un certo tipo d’integrazione. Basterebbe pensare a quell’individuo ultrasocializzato così come emerge dal funzionalismo sociologico, ad esempio in Émile Durkheim, dove l’educazione si presenta alla stregua di una variabile dipendente subordinata e finalizzata ad integrare/assimilare le nuove generazioni nella società e tesa ad orientare l’individuo al consenso sociale e alla solidarietà organica, contribuendo all’ordine pubblico. Si tratta di un costrutto ideale che sarà ripreso da molti studiosi, ad esempio da Talcott Parsons, per il quale, in funzione dello stesso scopo integrativo e socializzante, si stabilisce uno stretto legame o circolo virtuoso tra formazione della personalità, organizzazione sociale e assetto normativo e valoriale di una data sociocultura3. Tale concezione o disegno si è tramandato sino ai nostri giorni: La scuola, soprattutto nella misura in cui si qualifica di massa, costituisce una delle principali strutture, se non addirittura la principale, che assicurano il mantenimento dei valori, degli atteggiamenti e delle procedure dominanti di una società, tramite la loro trasmissione-imposizione alle giovani generazioni, indotte ad adattarsi e ad aderire ad essi. È mediante questa operazione costante – ma che naturalmente non sempre può assicurare lo stesso risultato – che le strutture formative concorrono ad agevolare l’inserimento dei nuovi nati nel sistema sociale, inserimento che si accompagna sempre ad una richiesta di consenso e di ‘fedeltà’ nei confronti del sistema stesso. Contrariamente a quanto spesso si ritiene, il consenso non è qualcosa di scontato e di spontaneo ma è qualcosa da fare acquisire: una delle sue fonti principali è costituita dall’educazione […] Non vi è pertanto sistema scolastico nazionale che non cerchi di inculcare in ogni nuova generazione i principi e i valori fondamentali dell’ordinamento politico vigente: l’obiettivo principale è quello di formare e assicurare una certa dose di consenso nei confronti dei valori dominanti nella società; l’esigenza di fondo è quella di conservare lo ‘statu quo’. (Cesareo, 1976, pp. 20-21) 4 Però, l’insidia della manipolazione delle forma mentis e delle disposizioni temperamentali personali non proviene soltanto dagli apparati istituzionali e dalle strutture sociali, ma si ripresenta perfino nelle proposte pedagogiche più innovative, in particolare di quelle dichiaratamente al servizio della liberazione e della piena emancipazione dell’essere umano. Ne è un esempio particolarmente significativo la cosiddetta educazione negativa – indiretta, differita, improntata al “metodo naturale” – che si riporta alle posizioni di J.-J. Rousseau quando nell’Emilio illustra un subdolo artificio educativo, mascherato e ben occulto, volto a far credere all’educando di essere pienamente libero di scegliere tempi, modi, procedure, occasioni, stimoli per la propria crescita intellettuale, affettiva e Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 70 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 psicomotoria, mentre in effetti è posto sotto l’attenta regia del burattinaio- precettore: Senza dubbio, egli [Emilio] non deve fare che quello che vuole; ma non deve volere che ciò che voi volete ch’egli faccia; non deve fare un passo che non abbiate preveduto, non deve aprire bocca senza che voi sappiate quello che sta per dire. (Rousseau, 1762/1972, p. 419) Osserva Riccardo Massa (1990, pp. 120-121): A Emilio non deve essere insegnata la virtù, e neanche il sapere, proponendogli certe condotte e certe conoscenze, ma piuttosto che egli cada nel vizio e nell’errore, preservandolo dalla corruzione e dai pregiudizi, e dunque, almeno in apparenza, ‘non’ educandolo. A questo deve badare il precettore, non dando l’impressione ad Emilio di ordinargli esplicitamente cosa fare, quanto invece predisponendo e manipolando indirettamente la realtà, le situazioni, l’ambiente in modo tale che Emilio creda di trovarsi per caso e per necessità naturali a vivere determinate esperienze, e non si renda conto di stare invece compiendo ciò che il precettore intendeva fargli esperimentare oggettivamente. In questo modo Emilio apprende condotte e ammaestramenti come se gli venissero dalle cose stesse, dalle conseguenze delle sue azioni sulle cose. Egli cresce libero solo perché sottoposto, almeno inizialmente, al criterio della necessità. È questo uno dei nodi contraddittori della concezione educativa di Rousseau, perché sembra di assistere a un capovolgimento di quanto dichiarato altrove, secondo cui occorre che il bambino si sviluppi liberamente secondo le proprie inclinazioni e predisposizioni. In realtà Emilio non è mai libero di agire come vuole, perché viene sorvegliato costantemente, e con lui l’intero ambiente circostante. Si tratta di addivenire a un controllo tanto esaustivo del bambino da poterne abitare l’interiorità.5 Il richiamo a Rousseau serve soprattutto per sottolineare le insidie che possono presentarsi in un modello di educazione che si attenga troppo scrupolosamente a valori precostituiti “da forgiare” (in una sorta – potremmo dire – di vero e proprio “ammaestramento culturale”).6 Un’ulteriore caratteristica attribuibile alla formazione (intesa in senso generale) è la sua tendenza a occuparsi della globalità della persona, mirando al dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo di natura psico-fisica, affettivo- emotiva, etico-politica, socio-relazionale, estetico-artistica, od altro. L’interezza o l’integralità del suo spettro d’azione consente la ricomposizione dello iato venutosi a creare tra versante istruzionistico, rispettivamente educazionistico, vale a dire quello che in tempi relativamente recenti ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro per difendere concezioni sostanzialmente dicotomiche volte ad accentuare il polo Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 71 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 cognitivo e razionalistico, da un lato, e il polo sociale, affettivo e valoriale, dall’altro.7 Oggi, però, alla più antica scissione fra corpo vs anima, soma vs psichico, fisico vs spirito8 che per secoli ha contrassegnato la cultura occidentale e quella più recente che ha contrapposto sterilmente le etichette concettuali di ‘educazione’ e ‘istruzione’, si sta sostituendo un altro riduzionismo, vale a dire l’idea di ‘formazione’ concepita nell’ottica di un pragmatismo utilitaristico finalizzato esclusivamente al conseguimento di abilità e competenze strumentalmente funzionali all’assunzione di ruoli lavorativi, professionali, sociali. Il punto è che si attua in tale visione un certo asservimento all’economia e al mondo produttivo, mentre le architetture curricolari s’indirizzano sempre più nella parcellizzazione delle conoscenze da acquisire: si pensi alle applicazioni un po’ miopi del sistema modulare e della correlata attribuzione/trasferimento dei crediti (ECTS) a cui i vari curricoli formativi si sono rapidamente omologati/adattati. Si viene così perdendo quell’impronta semantica o contenuto profondo insito nel vocabolo tedesco “Bildung” che sottende significati multipli come: la tensione verso un’eccellenza/idealità umana, la cultura votata all’umanizzazione del mondo, nonché l’azione di umanizzare attraverso tale cultura. Ancora una volta siamo dunque riportati al contesto “romantico/illuministico”, soprattutto germanico, quando la formazione venne a significare “coltivazione di sé”, “cultura dello spirito”, nell’accezione del termine ‘der Geist’ che implica contemporaneamente intellettualità, esteticità, eticità, religiosità, arricchimento culturale generale e la loro armonica composizione personale. Questo tipo di ideale di umanità si raccorda e si sintonizza con l’intero patrimonio della tradizione umanistica di ogni tempo (perché non ricordare Erasmo?), mentre l’accento posto sull’autocostruttivismo ne evidenzia l’assoluta attualità. Vi è poi un ultimo aspetto che vale la pena di affrontare, tenendo presente il legame che cercheremo di sondare e costruire successivamente fra passioni e formazione. Le prime si prestano bene per coniugare al meglio il percorso formativo e conoscitivo del soggetto con le sue pratiche esperienziali e storico- esistenziali. Non si tratta beninteso di un collegamento utilitaristico e stringentemente pragmatico, nel senso di una spendibilità immediata sul piano professionale e della riuscita economica/carrieristica o del benessere materiale. È piuttosto il nesso che punta a rendere più ricco, versatile, autentico e consistente il bagaglio globale di abilità, competenze e conoscenze di chi è in formazione, mettendolo in stretta relazione con il suo vissuto e con l’ambiente socioculturale d’appartenenza. Per esemplificare, potremmo ricordare le esperienze formative delle botteghe medievali (resistite fino al XVII secolo): in uno spirito laboratoriale e secondo i canoni di un’officina artigianale, i neofiti, sotto l’egida di artisti Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 74 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 i “miti” a cui ispirarsi sono sempre meno attinti – perlomeno in età (pre)adolescenziale – all’interno del grembo familiare, mentre ad essi si sostituiscono con un enorme potere di attrazione gli ambienti e i personaggi legati al mondo dello sport, della musica, dello spettacolo, in sostanza dell’industria massmediatica. Ne risulta che le modalità e le preferenze aggregative sono sempre più realizzate seguendo il vettore dell’orizzontalità, vale a dire fra pari, dando origine a nicchie culturali a sé stanti all’interno del caleidoscopico universo giovanile: qui convivono fianco a fianco molteplici microcosmi con leggi, regole, usanze, rituali, abitudini e gusti (musicali, cinematografici, artistici, “tecnologici”, esperienziali-aggregativi …) diversificati e relativamente autonomi, i quali intrattengono scarsi se non nulli legami con gli ‘adulti’. Naturalmente, tutto ciò avviene senza che si allentino le forme di “dipendenza” nei confronti del nucleo familiare, secondo un profilo però prevalentemente economico-opportunistico, in base alla necessità di sentirsi sgravati da tutta una serie di assilli materiali e pratici per far fronte alla precarietà cui si è accennato sopra. Il processo di defiliazione di cui stiamo parlando non è di oggi, ma è il frutto di un’onda se non proprio lunghissima, perlomeno estensibile sull’arco di un trentennio. Già negli anni settanta, infatti, i sociologi Luca Ricolfi e Loredana Sciolla (1980, p. 8) descrivevano i tratti salienti del corposo campione di studenti su cui avevano fondato la loro ricerca, pubblicata in un volume dall’emblematico titolo “Senza padri né maestri”, nel modo seguente: Se si dovessero caratterizzare con un solo termine gli orientamenti culturali degli studenti oggi, assai più che di ‘opposizione’ rispetto ai valori tipici della società adulta, si dovrebbe parlare di una radicale ‘diversità’. È una diversità che riguarda le forme soggettive della coscienza, ma è anche, e in primo luogo, una diversità che ha dietro di sé una modificazione profonda dei meccanismi stessi attraverso cui gli orientamenti culturali si formano. 11 Il cambiamento, affermano i due sociologi italiani, concerne sia i ‘luoghi’, sia i ‘modi’ della socializzazione: nel primo caso, alla famiglia si è progressivamente sostituita una struttura policentrica che ha comportato un’autonomizzazione della cultura giovanile (o delle culture giovanili al plurale, vista la varietà delle diverse realizzazioni che si celano nel termine). Nel secondo caso, una trasmissione di tipo verticale è stata sostituita da una nuova tendente a procedere per linee orizzontali, da una leva giovanile all’altra o all’interno della stessa fascia d’età, producendo esiti del tutto inediti.12 In un quadro policentrico e mutevole del genere, l’ipotesi o l’immagine marcusiana dell’uomo “ad una dimensione” sembra non essersi avverata, dato che “è la frantumazione, la multidimensionalità che definisce l’identità [post]moderna Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 75 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 assai più che l’appiattimento su un’unica dimensione” (Ricolfi & Sciolla, 1980, p. 14). Come hanno messo bene in evidenza sociologi di valore come Urlich Back, Zygmunt Bauman, Richard Sennett, Jeremy Rifkin, la società del rischio, dell’ incertezza, della flessibilità, dell’accesso è la diretta conseguenza della frammentarietà e discontinuità delle relazioni umane e dei rapporti di lavoro, in cui le biografie personali registrano fluttuazioni tali da rendere estremamente difficile, per non dire impossibile, l’agglutinamento dell’identità dei soggetti attorno ad un’attività lavorativa stabile e a nuclei affettivi duraturi. In un siffatto panorama, “non c’è da stupirsi se riscontriamo una buona dose di schizofrenia in ogni personalità postmoderna – che spiega l’irrequietezza, la variabilità e l’irresolutezza delle strategie di vita praticate” (Bauman, 1999, p. 49). Il rischio diventa “una cosa normale” e una prerogativa consustanziale/sistemica al mondo flessibile, dove è “facilissimo perdere l’orientamento”: “essere continuamente esposto ai rischi può quindi erodere il senso della personalità di un individuo” (Sennett, 1999, p. 83). Inoltre, vi è chi non esita ad affermare che ci stiamo muovendo verso l’economicizzazione dell’esperienza, vale a dire un’organizzazione sociale in cui la vita stessa di ciascun individuo diventa, in effetti, mercato: “nella nuova era la gente acquisterà la propria vita in minuscoli segmenti dotati di valore commerciale” (Rifkin, 2000, p. 11), approdando appunto alla cosiddetta era dell’accesso, la quale segna l’assorbimento della cultura nella sfera economica e si contraddistingue per “la progressiva mercificazione delle relazioni umane […] in cui l’acquisto di esperienze da vivere diventa il principale bene di consumo” (Ibid. p. 15)13. Facile intravedere le ricadute di depauperamento e marginalità per ampie fasce della popolazione non in grado di stare al passo ed accedere a reti, servizi, beni di natura intellettuale, messi in vendita da potenti multinazionali dei media: la parola accesso “è un vocabolo denso di suggestioni e carico di significati politici. Parlare di accesso, dopotutto, significa parlare di distinzioni e divisioni, di chi sarà incluso e di chi sarà escluso” (Ibid., p. 21). Quando la sfera economica comincia a divorare la sfera culturale, le fondamenta sociali che hanno reso possibili e incentivato le relazioni commerciali rischiano di essere distrutte. Ripristinare un equilibrio adeguato fra il dominio della cultura e quello dell’economia diventerà probabilmenteuna delle questioni cruciali dell’era dell’accesso prossima ventura. […] Lo spostamento dall’ambito geografico al ciberspazio, dal capitalismo industriale a quello culturale, dalla proprietà all’accesso, è destinato a provocare un radicale ripensamento del contratto sociale (Rifkin, 2000, pp. 16-17 e 20). Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 76 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Un panorama di questo tipo pare il più adatto a disegnare la configurazione culturale odierna, quando cioè dominano la precarietà statutaria, l’elogio di un perenne cambiamento e la diversificazione delle traiettorie professionali ed esistenziali, che innervano soprattutto le condizioni di vita delle nuove generazioni. Gli ultimi decenni sono stati gravidi dell’espansione sconfinata di qualunque forma di educazione superiore e di un inarrestabile aumento di coorti di studenti. Una laurea universitaria offriva lavori favolosi, prosperità e gloria [...] Oggi, però, le moltitudini dei sedotti si sono trasformate, in blocco e quasi dall’oggi al domani, nelle folle dei frustrati. Per la prima volta, a memoria d’uomo, la intera classe dei laureati si trova di fronte un’alta probabilità, che è quasi una certezza, di svolgere lavori ad hoc, temporanei, part-time, pseudolavori non pagati di apprendistato ingannevolmente definiti di formazione – tutti considerevolmente al di sotto delle abilità da loro acquisite e ventimila leghe al di sotto delle loro aspettative; o al prolungarsi di una disoccupazione che durerà più a lungo di quanto occorrerà alla nuova schiera di laureati per aggiungere i loro nomi alle liste d’attesa delle agenzie del lavoro già straordinariamente estese (Bauman, 2012, p. 55). Simile panorama della contemporaneità, per quanto solo sommariamente richiamato, sembra portarci a qualche domanda di fondo: se l’analisi sociologica qui sommariamente richiamata è plausibile, è ancora possibile comunicare con i nostri figli e i nostri studenti? O siamo irrimediabilmente “diversi”, incommensurabilmente distanti? Vi è ancora un terreno di condivisione su cui costruire contenuti di conoscenza ed esperire occasioni di scambio/crescita insieme? Se prendessimo in considerazione abitudini alimentari, gusti culturali, musicali, cinematografici … probabilmente non potremmo che constatare una differenza abissale fra generazioni invero non poi tanto distanti per il profilo anagrafico, benché vi siano certamente dei calchi o delle aree di sovrapposizione che qua e là si manifestano e ri-affiorano (si pensi ad esempio alla costante fortuna che certi cantautori riscuotono presso i più giovani, oppure come date icone giovanile permangono in auge al di là dell’usura del tempo: vedi per esempio la figura mitizzata di Che Guevara). Se poi pensiamo al ‘linguaggio’, lo vediamo sottoposto a una sempre maggiore divaricazione fra canoni formali, espressivi, estetici contrapposti e adottati da chi esercita il ruolo genitoriale e magistrale da un lato, rispetto a quelli praticati da figli e dagli studenti dall’altro14. Per quanto non sfugga al fenomeno del giovanilismo, per cui soggetti di mezza età e oltre si dilettano nell’imitare i gerghi e le parlate più in voga negli universi adolescenziali (con “performance” che talora rasentano il ridicolo o il patetico), il linguaggio stesso rappresenta sovente un territorio sfrangiato che impedisce la comprensione e il dialogo, proprio a causa di Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 79 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Cionondimeno, si possono forse tracciare alcune direttrici suscettibili di conferire un certo respiro alle singole iniziative e alle diverse situazioni. Ne sono un esempio le due piste seguenti, qui solo accennate: - Puntare sul ‘capitale sociale’15 piuttosto che su quello monetario- finanziario che ha portato alla mercificazione del mondo e della nostra esistenza, vale a dire investire e scommettere sulla ricchezza umana nel saper valorizzare le singole persone, con il loro portato di sentimenti, di esperienze, di conoscenze, di passionalità … Si tratterebbe di incentivare e di rafforzare le reti di rapporti/scambi interpersonali e sociali, riscoprendo il valore di queste relazioni all’insegna della reciprocità e del mutuo arricchimento se si intende incrementare la qualità di vita sui diversi piani linguistico-comunicativo, partecipativo-decisionale (politica), culturale e interculturale. La riscoperta del gusto d’incontrarsi per fare, per discutere, per ideare insieme comporta (e insieme innerva) il ristabilimento o l’irrobustimento del legame sociale, posto il riconoscimento della differenza come uno dei segnali di ricchezza e di occasione per crescere nell’intreccio dialogico e realizzativo fra componenti diverse della società (scambi intergenerazionali, interculturali …). - Alimentare speranze e iniziative per far sì che si creda, come adulti e come giovani, che la vita valga la pena di essere vissuta e che debba essere spesa per qualche ideale e per coltivare passioni (non tanto tristi, quanto piuttosto allegre, vitali, intensamente o irresistibilmente coinvolgenti; cfr. Massa, 1999), puntando a una progettualità esistenziale e formativa capace di creare una autentica comunità che auto-apprende. Si potrebbe in tal modo tentare di combattere fanatismi e fatalismi, quegli stessi che risultano ammantati da atteggiamenti aggressivi e prevaricatori, rispettivamente rinunciatari e arrendevoli. L’idea e l’interpretazione dei rapporti interetnici poste sotto la chiave di lettura improntata allo scontro di civiltà secondo l’analisi di Samuel Huntington (1996/1997) risulterebbero, per tale via, sostituite da altre visioni interpretative e propositive incentrate sull’apertura pluralistica, sul dialogo e sulla reciproca comprensione, senza del resto misconoscere gli ineludibili conflitti e contrasti, ma anzi affrontandoli a viso aperto per cercare di superarli in termini co-evolutivi e socio-costruttivi. Una delle insidie maggiori nel vivere la fase adolescenziale alle nostre latitudini (osservazione necessaria perché in diverse aree del globo ci si potrebbe chiedere se l’adolescenza sia effettivamente presente come fase della vita o non sia – come del resto hanno a più riprese messo in evidenza gli antropologi culturali – una Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 80 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 categoria “inventata” all’interno delle società occidentali, dove cioè il passaggio dall’età/status infantile a quella adulta tende a dilatarsi sempre più come influsso di variabili e di condizionamenti di ordine culturale, sociale, politico, economico) sembra essere paradossalmente la noia. Essa si configura come il sintomo principale di un’esistenza condotta all’insegna dell’indifferenza rispetto ad altre sfere importanti sul piano identitario e sul piano della realizzazione di sé. Talvolta, l’acuto e denso sguardo portato dalla letteratura è più efficace di tante analisi psicologiche o sociologiche per dar conto di certi fenomeni psico-sociali; eccone un esempio con le parole di Jean-Marc: uno dei protagonisti del libro di Milan Kundera, L’identità (1997, pp. 89-90): Secondo me, al giorno d’oggi la quantità di noia – ammesso che la noia sia misurabile – è molto aumentata. Perché una volta i mestieri, almeno in gran parte, non erano concepibili senza una dedizione appassionata: i contadini erano innamorati della terra; mio nonno era il mago dei bei tavoli; i calzolai conoscevano a memoria i piedi di tutti i loro compaesani; e così per i boscaioli, per i giardinieri; immagino che perfino i soldati uccidessero con passione. Il senso della vita non era un problema, era un qualcosa che li accompagnava, in modo del tutto naturale, nelle loro botteghe, nei loro campi. A ogni mestiere corrispondeva una mentalità specifica, uno specifico modo di essere. Un medico pensava in modo diverso da un contadino, un militare si comportava in modo diverso da un insegnante. Oggi invece siamo tutti uguali, tutti accomunati dall’indifferenza verso il nostro lavoro. E questa indifferenza è diventata una passione. La sola grande passione collettiva del nostro tempo. Ma la noia non è una componente o una categoria psico-esistenziale monolitica e uniforme, in quanto si presenta sotto molteplici sembianze e numerose vesti, a seconda del quadro/sfondo frastagliato e in movimento entro il quale tende a manifestarsi003A [...] e Jean-Marc si ricordò di una sua vecchia teoria, secondo la quale ci sono tre specie di noia: la noia passiva – la ragazza che balla e intanto sbadiglia –, la noia attiva – gli appassionati di aquiloni –, e la noia ribelle – i giovani che danno fuoco alle macchine e spaccano le vetrine dei negozi. (Kundera, 1997, p. 23) Secondo due studiosi, già citati precedentemente, Miguel Benasayag e Gérard Schmit (2004, p. 18), viviamo in un’epoca dominata dalle passioni tristi nella definizione espressa dal filosofo francese Spinosa quando intende designare uno stato di impotenza e di disintegrazione: “assistiamo nella civiltà occidentale contemporanea, al passaggio da una fiducia smisurata a una diffidenza altrettanto estrema nei confronti del futuro”. Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 81 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Anche il linguaggio cinematografico appare particolarmente pregnante ed efficace nell’illustrare situazioni esistenziali improntate all’esasperante vacuità quotidiana e all’opprimente pressione di “nonluoghi” e spazi disumanizzanti, dove il soggetto stenta a trovare la montaliana “maglia rotta” per sfuggire a tali condizioni e per dirigersi piuttosto verso una gratificante realizzazione di sé. Cito un solo esempio fra i tanti: il film La haine di Kassowith. Sebbene sia ambientato nel preciso contesto delle “banlieues” parigine, il film e il suo messaggio si possono estendere, negli stati d’animo, nelle sensazioni, nelle emozioni provate e suscitate dai protagonisti giovanili, a diversi altri panorami e ambienti, sia esterni (non solo metropolitani), sia interni (geografie intrasoggettive). Subentra, in questi casi, l’impasse di una vita circolare, avvitata sui cupi canovacci della solitudine (subita e non voluta) e della disperazione, due elementi pronti ad opacizzare se non ad annullare qualsiasi orizzonte di senso in grado di sostanziare e rendere piena l’esistenza. Il superamento di una condizione poco accattivante e prospettica come quella testé abbozzata, credo implichi o richiami a una resistenza che non si limiti semplicemente alla richiesta di mobilitazione da parte delle sole nuove generazioni, ma chiama in causa tutti noi e la cultura occidentale stessa, perché sollecita a rivisitare radicalmente i nostri modelli di sviluppo in quanto genere umano. Si tratta, nella fattispecie, di rendere meno innocente e forse meno “assente” il nostro sguardo agli eventi della nostra contemporaneità. Scrive Tiziano Terzani (2006, p. 403): L’11 settembre era un’occasione straordinaria di ripensare a tutto, così come l’uomo ha cercato di ripensare da capo dopo la Prima guerra mondiale. Era successo qualcosa di nuovo e dinanzi a un mondo così cambiato non si può pensare in modo vecchio, non si può continuare a ricorrere alla vecchia conoscenza. E se bisogna pensare nuovo, bisogna pensare in grande, bisogna pensare senza pregiudizi, senza vecchi modi di reagire, senza tutta quella zavorra di sciocchezze che oggi assordano i giovani e li rendono sempre più delusi e senza speranza. Ma il “pensare nuovo” non vuol dire necessariamente tagliare i ponti con il passato. Anzi, entro la prospettiva qui presa in esame, può voler dire cercare la forza per un rinnovamento attingendo in profondità dal flusso della nostra storia e delle nostre esperienze, lungo il cammino della civiltà e delle varie traiettorie esistenziali individuali per dirigerci a riscoprire sensi, significati, indicazioni (per quanto allusive possano essere), suggerimenti, saggezze antiche e nel contempo attuali (attualizzabili). Ovviamente ogni possibile cautela è necessaria. Non si tratta, infatti, di riproporre una rivisitazione romanticistica e nostalgica alla ricerca del bel tempo Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 84 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 disaffezione e la diffidenza che larghe frange della popolazione nutrono rispetto alla politica; una politica che sempre più assume i connotati di uno spazio sociale in cui si giocano interessi particolaristici legati ai potentati economico-finanziari e in cui si affermano ambizioni particolaristiche di pura esibizione egocentrica all’interno della gestione del potere. A tutto ciò va contrapposto un atteggiamento e un clima di resistenza per il quale la scuola, unitamente ad altre istanze educative, potrebbe riscoprire un nuovo slancio ideale. Un ambiente/sistema scolastico che sappia sganciarsi dal retroterra burocratico-formalistico che ne pregiudica pesantemente la dinamicità e sia in grado di trovare canali comunicativi adeguati per scoprire nuovi orizzonti conviviali e conoscitivi. Ma, per profilarsi in tale direzione è necessario armarsi di un certo coraggio, obbligatorio se si vuole sostenere la condizione di marginalità insita nella figura dell’uomo che resiste: di colui che non ha paura della propria condizione di straniero nei confronti persino del suo gruppo d’appartenenza, di colui che rivendica il suo esotismo, esattamente nel significato attribuito al termine da V. Segalen, vale a dire secondo la capacità di vedere le cose in altro modo, di percepire il differente, di proiettare sul mondo uno sguardo stupito, caloroso ma nello stesso tempo critico. Tuttavia, questo nuovo tipo di cittadino che resiste può adottare e mantenere una tale posizione solo se trova, al di fuori di sé, degli elementi di sostegno. Come afferma Eugène Enriquez (2006, p. 13): “anche l’uomo più solo [...] deve assicurarsi una rete di relazioni che possa sostenerlo qualora sia in pericolo” (cfr. Mantegazza, 2003). Non ha dunque ragion d’essere per chi resiste isolarsi in una sorta di microcosmo a sé o di limbo autarchico separato da tutto il resto. Se, come ha visto R. Park – uno dei fondatori della Scuola di Chicago –, “l’uomo marginale è sempre un essere umano più civilizzato degli altri”, è bene tendere verso un rafforzamento del legame sociale nel perseguimento di una cittadinanza rinnovata che si fondi su di un nuovo patto sociale. Osserva Stefano Rodotà: Ma se vi sono diritti che si radicano nell’umanità stessa, l’idea di cittadinanza muta profondamente. Quando oggi parliamo di cittadinanza, e dei diritti che l’accompagnano, il suo fondamento non è più soltanto nell’appartenenza ad un territorio o ad un gruppo. Nella comune natura umana risiedono diritti che ciascuno porta con sé quale che sia il luogo dove si trova o la sua storia familiare, come sono quelli legati alla salute o all’istruzione o al lavoro, al rispetto della dignità. La cittadinanza diventa così una idea unificante, non lo strumento che distingue e divide le persone: individua un patrimonio universale.16 Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 85 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Passioni: propellente del processo educativo Non sembrano tempi particolarmente entusiasmanti oggi per le passioni, relegate in spazi angusti o/e vissute “tristemente” secondo una postura nevrotica, in forme compulsive e con spirito obnubilato. Raramente un’epoca si è sentita così ‘spassionata’ come la nostra. Le passioni, che hanno costituito per secoli il fulcro dell’affermazione di sé e un nesso potente tra l’individuo, i rapporti privati e la vita pubblica, sembrano aver esaurito la loro funzione. Le scelte avvengono più per calcolo della convenienza che per un impeto appassionato, come se la fonte delle emozioni si fosse inaridita e nessuno credesse più alla possibilità di mutare l’esistente. [...] Poiché da sempre hanno rappresentato uno specchio in cui l’umanità si è riflessa, la loro opacità costituisce una perdita di identità che ostacola la valutazione del presente e la progettazione del futuro. (Vegetti Finzi, 2000, pp. V-VI) Alla base del raffreddamento generale di un atteggiamento passionale nelle persone vi sono innumerevoli motivi. Ad esempio, il primato della dimensione ‘economico-finanziaria’ e la centralità di quella ‘tecnico-strumentale’ sembrano comportare, al massimo, un’accelerazione delle passioni tristi a discapito delle passioni gioiose (Benasayag, 2015/2016). Se per secoli siamo stati abituati a considerare il futuro secondo orizzonti evolutivi positivi, negli ultimi anni questa dimensione temporale viene improvvisamente ad assumere i connotati di una minaccia, quasi un’insidia annichilente capace di oscurare prospettive di speranza e di slanci progettuali. Sono soprattutto le nuove generazioni a dare l’impressione di vivere una percezione prospettica siffatta, che deflaziona gli orientamenti positivi rispetto al futuro: lo denunciano gli psicologi e gli psichiatri più attenti alla galassia giovanile. Nella contemporaneità i giovani sembrano fare prevalere aspirazioni risucchiate, se non azzerate, da un generale appiattimento riduttivo sul presente: parlare con i giovani è diventato difficile perché il senso della loro condizione è quello di vivere nell’assoluto presente, perché lo sguardo del futuro non sprona, non porta a nulla. Vincoli di solidarietà sociali e affettivi collassano così di fronte a un individualismo sfrenato e a un autoinvestimento su di sé.17 Nondimeno, in un quadro sociologico più complessivo, appare scorretto sostenere che questo profilo sfiduciato nei confronti del futuro riguardi solo i giovani. In realtà, il disagio giovanile si rivela come l’aspetto più evidente di una condizione che è diffusa e trasversale alle varie generazioni e ai diversi ambiti dell’organizzazione socioculturale attuale. Difficile, infatti, ignorare quelle Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 86 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 manifestazioni depressive, di stanchezza o d’insignificanza, quei processi di demotivazione, esperiti in passiva e assoluta solitudine, secondo propensioni parasuicidali che si configurano come i “precipitati storici e sociologici” caratteristici della nostra epoca (cfr. Benasayag & Schmit, 2003/2004). Chi si occupa di educazione o in genere di formazione non può rassegnarsi a posizioni marcatamente rinunciatarie o pessimistiche. Non basta seguire passivamente il flusso degli eventi e decidere di desistere d’alimentare la speranza in un mondo migliore. Una postura del genere sarebbe contraddittoria rispetto ai pilastri su cui poggia il pensiero pedagogico, il quale è da sempre orientato a una progettualità eticamente positiva. Occorre invece recuperare la dimensione autenticamente sociale e culturale della formazione per invertire la tendenza del “pensiero unico” e per contrastare la generale tendenza a un rapporto con il mondo essenzialmente individualistico e utilitaristico che appiattisce gli investimenti in solidarietà e legami sociali, nonché considera la terra alla stregua di un territorio da saccheggiare per ricavarne il massimo di profitto monetario. Riducendo lo scopo della vita alla felicità terrena, riducendo la felicità al benessere materiale e il benessere al PNL, l’economia universale trasforma la ricchezza plurale della vita in una lotta per l’accaparramento di prodotti standard. La realtà della sfida economica che doveva assicurare a tutti la ricchezza non è altro che la guerra economica generalizzata. Come tutte le guerre, essa ha vincitori e vinti; i vincitori, chiassosi e superbi, appaiono risplendere di gloria e di luce; nell’ombra, la folla dei vinti, gli esclusi, i naufraghi dello sviluppo, costituiscono masse sempre più fitte. Le crisi politiche, i fallimenti economici e i limiti tecnici del progetto della modernità si rafforzano vicendevolmente e trasformano il sogno dell’Occidente in un incubo. Soltanto un reinnesto dell’economia e della tecnica nel sociale potrebbe consentire di sfuggire a queste cupe prospettive. Bisogna decolonizzare il nostro immaginario per cambiare veramente il mondo, prima che il cambiamento del mondo ci condanni a tutto questo, e nella sofferenza. (Latouche, 1997, pp. 213-214; cfr. Latouche, 2000/2002) Se si prende in considerazione l’etimologia, è possibile riconoscere, in linea di massima, due accezioni principali del termine passione succedutesi nel tempo e attualmente compresenti nelle sedimentazioni simboliche e semantiche della nostra cultura. In origine, la parola greca ‘páthos’, che i latini tradurranno passio, sta a indicare – soprattutto secondo l’interpretazione aristotelica – “un essere toccato o affetto”, in opposizione all’ ‘actio’. ‘Páthos’ esprime dunque un concetto che rinvia al carattere del ‘subire’, della ‘passività’. In tale ricostruzione ermeneutica non c’è alcun coinvolgimento morale: nessuno può essere lodato o biasimato per i suoi ‘páthe’, in quanto essi si presentano in forma eticamente neutra. In seguito, la morale stoica porterà le ‘passiones’ sotto una luce marcatamente peggiorativa, richiamando stati di irrequietezza e di agitazione suscitati dalle Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 89 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 È qui coglibile l’analogia fra lo “spirito vitale” citato da Einstein e l’ élan vital di origine bergsoniana, in cui non avremo difficoltà a riconoscere il tentativo di sganciarsi da una visione deterministica della realtà per dare invece alla creatività e alla soggettività un ruolo assolutamente centrale nel nostro modo di pensarci come individui. Lo stesso Bergson (1979) scrive: Lo slancio di vita di cui parliamo consiste, in sostanza, in un’esigenza di creazione. Esso non può creare in modo assoluto, perché incontra davanti a sé la materia, cioè il movimento opposto al proprio; ma esso si impadronisce di questa materia, che è pura necessità, e tende a introdurre in essa la maggior somma possibile d’indeterminazione e di libertà. Entro questa visione delle cose, è possibile notare come esista uno spostamento significativo dall’idea di una ‘passione subita’ a quella, ben più moderna, di ‘passione agita’. In tal senso, la passione sembrerebbe seguire un moto o un movimento progettuale che irrompe nella normalità o quotidianità per destabilizzarla e per apportarvi una ventata (uno slancio, un frizzo) che accelera e intensifica le dinamiche creative dei progetti di chi ne è portatore. Si tratta di una passionalità travolgente rintracciabile anche nei processi (auto)conoscitivi, vissuti e partecipati intensamente, in cui il rapporto con l’oggetto di conoscenza può ammantarsi di una valenza squisitamente erotica, così come avviene in ogni relazione educativa non estemporanea. Educazione ed erotizzazione Come osserva senza false inibizioni Piero Bertolini (1988b, p. 137), “in qualsiasi esperienza educativa non occasionale è presente, sia pure in forme e con intensità diverse, la dimensione erotica della personalità”. Perciò, l’eros, inteso qui come carica desideriale trainante, impregna la relazione educativa di un autentico sentimento d’amore, “che si oppone ad ogni progetto di massificazione alienante e spersonalizzante che [...] rende ciascuno interscambiabile con qualsiasi altro [...], poiché nel rapporto erotico si ‘sceglie’ sempre una persona, possiamo ben dire che esso rende impossibile l’anonimato” (Bertolini, 1988b, p. 139). L’erotizzazione dell’evento educativo significa, dunque, inserirlo in una sostanziale, imprescindibile ed intensa dimensione relazionistica, la quale sancisce il radicale superamento dell’esclusivo e autoreferenziale ‘amore per se stessi’, concepito come autocentrazione e declinato non di rado, da parte del magister, nei termini di delirio d’onnipotenza. Ciò avviene allorché il docente o l’educatore, Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 90 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 credendosi signore e padrone dell’intera situazione pedagogica o scena didattica, è convinto che sia in suo potere la trasformazione dell’altro da sé, a cui si rivolge educativamente per assolvere al proprio mandato istituzionale, per plasmarlo o formarlo (metterlo in forma) a suo piacimento. In realtà, la sua intenzione o il suo desiderio di educabilità non necessariamente si traducono nei risultati sperati, giacché l’interlocutore, sulla scorta del principio di libertà in quanto persona a tutti gli effetti – e quindi orientata all’autodeterminazione –, ha la facoltà di opporre resistenza, senza voler entrare in quell’ordine d’idee. In effetti, non si può stilare una piena corrispondenza fra ‘insegnamento’ e ‘apprendimento’, i cui reciproci processi, per quanto in stretta connessione, non si sovrappongono pienamente: le ragioni e le logiche del primo non sempre collimano con quelle del secondo. Perciò, gli esiti comportamentali, cognitivi o affettivi della combinazione vettoriale dei tre lati del triangolo pedagogico (Houssaye, 2014) non sono affatto scontati e non convergono necessariamente nel raggiungimento di un obiettivo univoco e del tutto condiviso dai principali attori in gioco. Figura 1. Triangolo pedagogico-didattico In ogni caso, l’esperienza educativa, fondamentale per la stessa sopravvivenza dell’uomo come singolo e come specie (Bertolini, 1988a; Demetrio, 2009) , prevede nel suo manifestarsi e nel suo svolgersi intensi rapporti dall’evidente carica emotivo-affettiva, vale a dire erotica. L’eros, oltre che desiderio, è pure ‘ricerca’, ‘tensione verso …’, ‘schiudimento di orizzonti nuovi’: Potremmo definire l’eros come quel movimento esistenziale che spinge una persona verso un’altra persona, in un rapporto che ‘apre’, nel senso che ‘trascende’ il momento ‘già-dato’ (qualunque esso sia) e che soprattutto va oltre i limiti angusti Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 91 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 dell’individualità, per spingersi verso una realtà ‘altra’ che rappresenta un futuro da conquistare sotto il segno di una soggettività che agisce anziché essere agita, che ‘intenziona’ anziché accettare passivamente una presunta oggettività esterna a lei. (Bertolini, 1988b, p. 137) Rispetto alla conoscenza, un atteggiamento del genere potrebbe essere ben tradotto nell’espressione di Gotthold E. Lessing secondo cui la ricerca della verità è più preziosa del suo possesso. È a partire dalla consapevolezza di uno stato d’insoddisfazione e d’incompiutezza (di ‘mancanza’) che diverse personalità (scienziati, filosofi, letterati, statisti, gente comune) hanno sentito sorgere l’impulso impellente che li ha condotti a schiudere visioni nuove e a realizzare opere sublimi. Da un punto di vista molto generale è possibile rintracciare una serie di elementi caratterizzanti la portata innovativa della dimensione passionale nel processo di crescita globale dell’umanità affidato all’azione educativa. Essi potrebbero essere:  la trasfigurazione dell’esistente, dello status quo, del già dato e dello scontato, aprendo l’orizzonte della possibilità e dell’utopia, di ciò che non è ancora dato nel presente ma che potrebbe realizzarsi un domani senza peraltro ve ne sia alcuna certezza;  l’immediatezza del suo linguaggio, il quale, riportandoci ad una forma di comunicare originaria, precedente le categorie del pensiero logico-formale, permette un’espressione più diretta, olistica ed efficace di emozioni e sentimenti, attagliandosi maggiormente a uno stato d’animo improntato a benevolenza e alla forza dell’amore (Platone, 1979; Panikkar & Dürr, 2010; Bertin, 1981);  la ricomposizione, perlomeno tendenziale o ideale, della scissione tra corpo e anima radicata nella filosofia platonica e suffragata dalla cultura ebraico- cristiana. La passione chiama in causa, tanto da attribuirle un ruolo centrale, la nostra corporeità e sensibilità, attraversandole come un fremito vivificante;  la conciliabilità o la complementarità, non scontata o lineare bensì complessa e problematica, con la visione razionale: pur essendo incommensurabili e intraducibili l’una nell’altra (pena lo snaturamento dell’essenza reciproca) passione e ragione non sono affatto incompatibili o appartenenti a due ordini esistenziali o logici assolutamente irriducibili. Sebbene si tratti di due universi segnico-semantici differenti, se ben dosati e calibrati sinergicamente, essi hanno la facoltà di potenziare enormemente l’espressione delle manifestazioni umane, in particolare quelle di matrice educativa e pedagogica (Bruner, 1986/1988; Bruner, 1990/1992; Bruner, 1996/1997). Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 94 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 ricreativi e distensivi. Si perviene così all’affermazione di un’istituzione che apprende, nel suo insieme, grazie al contributo di ognuno e di tutti i suoi componenti, in un contesto progettuale e in un quadro ambientale dove a ciascuno sia consentito di trovare una propria collocazione soddisfacente e un ruolo dignitoso e gratificante da espletare. Un valido aiuto in tal senso può essere fornito dall’utilizzo creativo delle tecnologie più avanzate, fermo restando una loro imprescindibile umanizzazione che le sottragga alla logica eminentemente tecnicistica e strumentale, suscettibile di contribuire alla crescita intellettuale, affettiva, sociale, estetica, culturale a livello individuale e comunitario. La proposta didattica del capolavoro coniata da Célestin Freinet potrebbe fungere da ulteriore stimolo per dinamizzare il lavoro scolastico. Essa consiste nell’invito rivolto a ciascun studente a dare il meglio di sé e a profondere le migliori energie, abilità e competenze, investendo in un progetto personale da condurre sull’arco di un intero anno e da portare a compimento autonomamente con l’attivazione di tutta una serie di risorse sia interne sia esterne all’istituto formativo. La produzione viene poi valorizzata in una presentazione pubblica, di fronte alla classe o all’intero plesso scolastico, con l’invito a partecipare esteso a genitori e a ospiti esterni. Far questo significa trasformare ciascuna delle nostre scuole in una embrionale comunità di vita, esplicantesi mediante tipi di occupazione che riflettano la vita della più grande società e permeata nel profondo dallo spirito dell’arte, della storia e della scienza. Quando la scuola farà di ogni ragazzo della società un membro di questa piccola comunità, lo avrà impregnato dello spirito di servizio, e lo avrà provveduto degli strumenti di un effettivo autogoverno, avremo la più profonda e migliore garanzia di una più grande società rispettabile, amabile e armonica. (Dewey, 1987, pp. 19-20) Lungo una linea propositiva del genere, qui solo abbozzata per evidenti limiti di spazio, ritengo si possa edificare un nuovo patto educativo che sappia coinvolgere effettivamente e produttivamente tutti i principali attori sociali in gioco, vale a dire: famiglie, scuola, istituzioni politiche, enti territoriali. Così da promuovere un’efficace e promettente educazione alla cittadinanza attiva, in grado di contrapporre ad una sottocultura del gossip dilagante, una cultura fatta di idee consistenti e di proposte innovative portate avanti con entusiasmo ingegnoso per affrontare in maniera conveniente le sfide attuali (prima fra tutte quella ambientale), dove la forza intellettuale si sposi idealmente con il gusto per i valori di solidarietà e partecipazione, al fine di costruire un’umanità più credibile, nell’incremento del capitale umano e del legame sociale. Attualizzando il portato estremamente arricchente del poliedrico movimento pedagogico denominato Attivismo e incrociandolo – per certi versi – con la Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 95 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 provocatoria proposta di descolarizzare la società avanzata negli anni settanta da Ivan Illich, vi è chi è fautore di una radicale revisione/rivoluzione del sistema formativo attuale. È il caso di Paolo Mottana, il quale, con una certa enfasi, denuncia l’asfitticità, la devitalizzazione, l’avvilimento estetico di spazi, tempi, oggetti con cui le nuove generazioni si trovano confrontate nel loro percorso di (de)crescita scolastica. Bambini, ragazzi, giovani – unitamente a tutto il corpo insegnante – imbrigliati e coartati in luoghi istituzionali svuotati di qualsiasi dimensione vitale, puramente funzionali, rigidamente ortogonali: espressione di una razionalità economicistica e prevalentemente calcolante tesa a realizzare il proprio dominio mediante una soffocante logica all’insegna del misurare, verificare, quantificare tutto. A parte la breve stagione della scuola dell’infanzia, dove esistono realtà virtuose e accattivanti per crescere e condividere esperienze in un ambiente altamente formativo perché stimolante a più livelli (dagli arredi attrattivi per forme e colori, ai materiali didattici polivalenti; dagli spazi flessibili e porosi fra ‘interno’ ed ‘esterno’ della sezione, ai tempi delle attività commisurati ai ritmi dei bambini, ecc.), a mano a mano che si sale nella scala dei gradi e ordini scolastici aumentano paradossalmente i vincoli coartanti spazio-temporali, istituzionali, curricolari, proprio parallelamente a un potenziale aumento dell’autonomia e dell’indipendenza del soggetto in età evolutiva, che dovrebbe sviluppare ed espandere sempre più le proprie qualità e prerogative o dimensioni di personalità. Invece di far esperire alle nuove generazioni il nostro grande patrimonio culturale come una serie di conquiste e avventure euristiche fondate su esperienze incarnate ed “emozionate” di scoperta e di creazione, i percorsi di formazione istituzionalizzati si traducono nella maggior parte dei casi in una presa di contatto con una materia morta, noiosa, imbalsamata in una sorta di caricatura parossistica. Occorrerebbe, al contrario, rivitalizzare gli spazi, i tempi e gli oggetti di conoscenza attraverso l’attivazione di strumenti e linguaggi plurimi, come ad esempio il teatro, la danza, la musica, le immagini, affinché il nostro incontro con la cultura si traduca in una relazione plenaria e integrale, in cui il sapere si presenti e si costruisca come un’impresa artistica e corale, partecipata corporalmente e non solo come esercizio mentale astratto, asettico e fine a se stesso. Solo contenuti conoscitivi realmente “lavorati”, metabolizzati, messi in circolo in modo creativo e inusitato al di là delle barriere blindate costituite dalle geografie disciplinari consentono di superare quell’accumulo di nozioni compilative funzionali al superamento di prove di verifica e di esami, destinate il più delle volte a svaporarsi e a cadere nell’oblio. Allora, recuperando il potenziale affascinante di tutta una serie di oggetti culturali che ci circondano, ci è consentito procedere a contaminazioni interdisciplinari tali per cui si potrebbe arrivare alla letteratura attraverso l’arte figurativa, oppure all’architettura per il tramite della musica, Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 96 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 oppure a quest’ultima mediante la matematica, ecc. Si schiudono per tali vie innumerevoli possibilità combinatorie capaci di dare avvio a operazioni straordinarie di “rottura di questi sarcofagi mortificanti che sono le discipline, che sono le materie”.22 Mottana giunge a perorare una vera e propria rivoluzione paradigmatica, che non esita a chiamare “controeducazione”, per prefigurare il ribaltamento di tutta una serie di pratiche in cui si è incrostato e impantanato il processo formativo rinchiuso routinariamente dentro gli autoreferenziali circuiti/contenitori scolastici e universitari odierni (“bambini e ragazzi rinchiusi dentro grossi edifici obitoriali” da dove possono “uscirne solo ad orari prestabiliti e sotto custodia”). Ciò significa non dare nulla per scontato, prendere sul serio la vitalità della tradizione culturale, renderla appassionante incarnandola con le emozioni e suscitando curiosità autentiche con vere sperimentazioni di vita reale e con l’espressività dei vari codici narrativi attraverso i quali si esplica la cultura. Condivisione dunque di spazi e tempi realmente vissuti con esperienze compartecipate, in maniera che la formazione non corra parallela alla vita me se ne abbeveri, con laboratori e atelier che si estendano ben al di là dell’angusto recinto o perimetro dell’istituto scolastico, perché l’apprendimento diventi un’impresa avvincente e coinvolgente a tutto campo. La scuola diventerebbe di conseguenza un luogo “diffuso” dove decostruire, rielaborare e risignificare la propria e l’altrui vicenda esistenziale, misurandosi con il patrimonio culturalmente più rilevate per dare senso al nostro essere/stare nel mondo. Non sarà forse questa la rivoluzione autentica dei bambini? Non un posto a loro dedicato, un nuovo ghetto, per quanto dorato, come tante esperienze anche belle ma fuori dal mondo spesso ci mostrano ma la loro reimmissione nel tessuto sociale, accanto ai grandi, ai loro prossimi per età un poco più avanti e un poco più dietro (non indietro, solo dietro per classe anagrafica), accanto ai vecchi, per colorare, intensificare, scuotere una vita sempre più omologata, accelerata, priva d’anima e di bellezza, priva di stupore e di freschezza che loro ci possono aiutare a ritrovare a patto che non li si imbalsami ancora dentro le maglie di procedure, regole, normative e sanzioni che ne soffochino l’immenso potenziale. (Mottana, 2016) Ecco tracciate le coordinate di una nuova architettura per l’apprendimento che getta le fondamenta di una “global scool”, anzi, ancora meglio, di una vera e propria città educante, dove l’edificio scolastico finisce per fungere solamente da punto di riferimento di partenza e di ritorno: sintesi di tanti momenti educativi svolti in molti luoghi significativi della città e dell’ambiente circostante (Campagnoli, 2007; Mottana & Campagnoli, 2016). Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 99 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221  Validato attraverso la falsificazione  Estensionale (si basa su proposizioni di portata generale che sacrificano la specificità a vantaggio di una più ampia estensione e applicabilità: es. calcolo delle probabilità)  Validato in termini di coerenza  Intensionale (cerca di costruire il quadro più completo di un caso individuale per cogliere la singolarità e l’originalità del soggetto, attraverso una narrazione coerente) Allo stato attuale della nostra cultura, appare urgente e di grande rilevanza coltivare con particolare cura la dimensione narrativa presso le giovani generazioni. È soprattutto grazie a questo approccio che esse avranno la facoltà di consolidare la propria struttura identitaria e di collocarsi creativamente nel mondo, apportando un contributo di rilievo al suo miglioramento. Scrive Bruner (1997, p. 55): Solo la narrazione consente di costruirsi una identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata. L’epistemologia pedagogica che fa da sfondo all’esortazione bruneriana è la concezione costruttivistica della realtà – idealmente attivabile sul piano individuale, sociale, culturale –, quella per cui la componente storico-situazionale, l’interazione sistemica fra tutti gli elementi in gioco e la capacità intenzionante del soggetto rivestono un ruolo del tutto primario e centrale (Bruner, 1990/1992 e 1991). In una simile prospettiva costruttivista-narrativo-interazionista, fin dalla più tenera età, l’individuo non subisce passivamente i condizionamenti e le determinazioni dell’ambiente, così come quest’ultimo non si presenta in forma statica e monolitica, alla stregua di una mera datità oggettiva e immutabile. L’individuo, infatti, si avvicina e si addentra nel mondo conferendovi sin dai primi passi un senso per sé, grazie e in virtù della facoltà più autenticamente umana di cui è dotato, vale a dire l’intenzionalità25. Tramite essa egli attribuisce tutta una serie di ‘significati’ e di ‘valori’ a quanto lo circonda e gli accade, costruendo una propria visione delle cose, una sorta di weltanschauung che si intreccia con quelle elaborate dagli altri membri della comunità d’appartenenza, nel gioco psico-sociale dell’inter-soggettività26. Dal canto suo, la sociocultura non è lì staticamente in attesa che i soggetti la scoprano e la investano di senso, ma si dà, si offre/porge sotto le spoglie di un Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 100 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 intero universo simbolico od orizzonte culturale composto di segni, simboli, linguaggi, contenuti di conoscenza via via sedimentatisi lungo il dipanarsi della storia della/e civiltà, e pertanto largamente condivisi all’interno di una data comunità. In quest’accezione essa ne rappresenta il patrimonio ereditario culturalmente costruito, non però in veste mummificata, bensì sempre in movimento perché in costante ritrasformazione, ricomposizione e risignificazione ermeneutica. Tutto ciò dà origine a un intenso scambio processuale bi-tri-direzionale raffigurabile come una spirale in perenne espansione, in cui uno dei principali strumenti o volani della costruzione sociale del significato è costituito dal discorso narrativo. È proprio la narrazione, allora, a fornire il propellente più ricco di promesse per il dispiegamento delle capacità di continuo rimodellamento simbolico del mondo, nel quale cioè l’uomo è impegnato incessantemente nella costruzione della propria identità singolare, gruppale, comunitaria, di genere e terrestre. Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? Mondo: si dà, si offre, si manifesta fenomenologicamente sotto forme molteplici e diversificate Intenzionalità A Intersoggettività: significati e sensi condivisi dai soggetti in interazione Intenzionalità C Intenzionalità B 101 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Figura 2: Processo di costruzione bio-psico-socio-culturale Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? Dimensione diacronica Dimensione sincronica Universo di segni, simboli, linguaggi, significati, tecniche, conoscenze, credenze, usanze, manifestazioni religiose e spirituali, produzioni artistiche, rappresentazioni psico-sociali che si sviluppano e si incrementano nel tempo… Pluralità di soggetti in interazione, che procedono ad una significazione soggettiva del mondo (Intenzionalità A, B, C …) N ar ra z i o n e Sogg. C Sogg. B Sogg. A Mondo Ambiente: fisico-biologico, politico-sociale, simbolico-culturale 104 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Nel primo caso, sul fronte del vettore diacronico, occorrerebbe recuperare il portato della lunga e ricchissima tradizione che ci portiamo alle spalle, costellata da significativi episodi della nostra storia/esistenza (su scala micro, meso, macro), esaltanti traguardi raggiunti, originali percorsi evolutivi e processi di crescita, errori e cadute campali … per ricavarvi utili lezioni di vita e letture critiche per spingersi con una migliore cognizione di causa verso il domani. Il sano principio che gli obiettivi dell’apprendere sono nel futuro e i suoi immediati materiali sono nell’esperienza presente, può realizzarsi solo nel grado in cui l’esperienza presente si allunghi, per così dire, all’indietro. Si può espandere nel futuro solo a patto che essa sia tanto allargata da comprendere il passato. (Dewey, 1973, p. 61) Dunque, costruire il futuro attingendo dal passato, ma non per imbalsamarlo e per celebrarlo agiograficamente e acriticamente, bensì per rivitalizzarlo e ricavarne originalmente ispirazione e la carica ermeneutica per costruire un avvenire ‘sensato’, vale a dire all’insegna dell’attribuzione di un senso non banale al nostro cammino terrestre. In estrema sintesi, una costruzione del futuro poggiante su un passato da rianimare, dove sussistono le radici profonde che costituiscono l’innervatura più solida della nostra umanità: propellente per cercare di alimentare una speranza di prospettiva al di là dell’autodistruzione paventata da illustri studiosi e scienziati, come Stephen Hawking29 se non cominciamo a pensare seriamente a contromisure per salvaguardare un habitat e una qualità di vita perlomeno decente, nonché a controllare con ragionevolezza e con lo spirito delle Humanities o della cultura umanistica la prorompente avanzata/esplosione delle tecnologie più sofisticate animate dalla cosiddetta ‘intelligenza artificiale’. L’impresa è titanica, ma non vi sono alternative e va affrontata con urgenza, giacché ne va “semplicemente” della nostra sopravvivenza esistenziale, nella contesa fra gli ego ipertrofici assetati di potere o gli indomiti apprendisti stregoni, da una parte, e chi crede ancora in una palingenesi condotta mediante l’unione di tutte le forze/motivazioni più nobili di cui il genere umano è dotato, dall’altra. Una lotta atavica tra bene e male, tra istanze e tensioni contrastive che spesso albergano contemporaneamente in ciascuno di noi, per cui la prima e più grande “battaglia” consiste proprio nell’auto-educazione (nella radicale trasformazione di noi stessi verso orizzonti di pensiero, di azioni e di interrelazioni talmente estrosi e innovativi da spianare la strada a nuove forme di sussistenza e di convivenza che consentano un reale e soddisfacente miglioramento del nostro essere nel mondo. Se l’autentico scontro di civiltà è, come io credo, uno scontro interno all’anima di ciascuno di noi, dove grettezza e narcisismo si misurano contro rispetto e amore, tutte le società contemporanee sono destinate a perdere a breve la battaglia, se continueranno ad Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 105 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 alimentare le forze che inevitabilmente portano alla violenza e alla disumanità e se negheranno appoggio alle forze che educano alla cultura del rispetto e dell’uguaglianza. Se non insistiamo sul valore fondamentale delle lettere e delle arti, queste saranno accantonate, perché non producono denaro. Ma esse servono a qualcosa di ben più prezioso, servono cioè a costruire un mondo degno di essere vissuto, con persone che siano in grado di vedere gli altri esseri umani come persone a tutto tondo, con pensieri e sentimenti propri che meritano rispetto e considerazione, e con nazioni che siano in grado di vincere la paura e il sospetto a favore del confronto simpatetico e improntato alla ragione. (Nussbaum, 2011, p. 154) L’Umanità ha cessato di essere una nozione solamente ideale, è divenuta una comunità di vita; l’Umanità è ormai soprattutto una nozione etica: è ciò che deve essere realizzato da tutti e in tutti e in ciascuno. Dal momento che la specie umana continua la sua avventura sotto la minaccia dell’autodistruzione, l’imperativo è divenuto: salvare l’Umanità realizzandola. (Morin, 2001, p. 121) Ne saremo capaci e saremo all’altezza di un compito tanto arduo e impegnativo? Martha Nussbaum, nel suo volume Non per profitto, non esita a tratteggiare uno scenario problematico di quella che lei definisce una “crisi mondiale dell’istruzione”, mettendo in guardia su possibili perniciose derive: Sono in corso radicali cambiamenti riguardo a ciò che le società democratiche insegnano ai loro giovani, e su tali cambiamenti non si riflette abbastanza. Le nazioni sono sempre più attratte dall’idea del profitto; esse e i loro sistemi scolastici stanno accantonando, in maniera del tutto scriteriata, quei saperi che sono indispensabili a mantenere viva la democrazia. Se questa tendenza si protrarrà, i paesi di tutto il mondo ben presto produrranno generazioni di docili macchine anziché cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da sé, criticare la tradizione e comprendere il significato delle sofferenze e delle esigenze delle altre persone. Il futuro delle democrazie di tutto il mondo è appeso a un filo. Quali sono questi cambiamenti radicali? Gli studi umanistici e artistici vengono ridimensionati, nell’istruzione primaria e secondaria come in quella universitaria, praticamente in ogni paese del mondo. Visti dai politici come fronzoli superflui, in un’epoca in cui le nazioni devono tagliare tutto ciò che pare non serva a restare competitivi sul mercato globale, essi stanno rapidamente sparendo dai programmi di studio, così come dalle teste e dai cuori di genitori e allievi. In realtà, anche quelli che potremmo definire come gli aspetti umanistici della scienza e della scienza sociale – l’aspetto creativo, inventivo, e quello di pensiero critico, rigoroso – stanno perdendo terreno, dal momento che i governi preferiscono inseguire il profitto a breve termine garantito dai saperi tecnico-scientifici più idonei a tale scopo. […] Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 106 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Senza il concorso di cittadini educati in maniera appropriata, nessuna democrazia può rimanere stabile. (Nussbaum, 2011, pp. 21-22, 28) Un punto di partenza degno di nota e alquanto promettente mi sembra quello di perorare la causa di un (neo)umanesimo volto ad affermare i principi di una democrazia sostanziale e non meramente di facciata. In particolare, vuol dire affermare il diritto di cittadinanza delle lettere, delle arti e del patrimonio di tutte le discipline umanistiche per contrastare il prevaricante e arrogante utilitarismo tecnico-finanziario. Si tratta, se si vuole, di un vero e proprio schieramento di campo per educare in modo più creativo e felice bambini e giovani e per rinsaldare i legami sociali al fine di promuovere un’educazione alla cittadinanza attiva e solidale. In definitiva, è nel riconoscimento dell’eticità e della politicità della pedagogia che dovremmo trarre ispirazione per alimentare le nostre ancora non sopite passioni civili e per consegnare ai più giovani l’opportunità di pensare che il mondo non è una banale palestra di affari soggettivi e tornaconti personali. Così da infondere e da riscoprire nell’ “educazione” il suo senso più profondo, prezioso e gratificante, al fine di prefigurare una scuola intesa come laboratorio di democrazia per edificare una società più coesa, più giusta e più rispettosa delle differenze/alterità; una scuola fondata sulla formazione di cittadini dotati di coscienza civica e critica costruita su una pratica di convivenza quotidiana fra alunni e insegnanti; una scuola capace di stimolare l’impegno personale richiesto dal compartecipare a un progetto comune di convivenza dove operare responsabilmente scelte coraggiose e decisive per la stessa sopravvivenza dell’uomo. Per dirla con Alain Goussot, occorre promuovere: “una Agorà pedagogica che sensibilizza e attiva, tramite la partecipazione dei cittadini, la presa di coscienza e una opposizione consapevole in grado di produrre progettualità nella difesa del carattere pubblico e democratico della scuola [di tutti e per tutti, dunque] della Repubblica”.30 Impresa assai ardua e quasi/forse “impossibile” e proprio per questo avvincente, poiché deve fare i conti con quello che Yves Citton e altri (2012) chiamano “Envoûtememnts médiatiques”, vale a dire il nostro essere immersi “dans le medium des médias”: l’immenso apparato mediatico supportato dal capillare e reticolare/tentacolare dispositivo informatico – costituito dagli svariati “devices” tecnologici e dalle innumerevoli connessioni elettroniche – dove passano immagini, testi, messaggi di ogni genere, dunque idee, orientamenti, mode, tendenze … Pertanto, i flussi mediatici ci attraversano e informano, costituendo – lacanianamente – quel linguaggio che plasma non solo le nostre menti e i nostri gusti e comportamenti, ma anche il nostro essere nel mondo, anzi, il nostro Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 109 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 Bibliografia Althusser, L. 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Roma: Armando Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 114 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 1 Negli ultimi lustri, il lemma ‘formazione’ è gradualmente ma inesorabilmente venuto a scalzare – sulla scena terminologico-concettuale delle scienze umane e segnatamente della pedagogia – il termine ‘educazione’. 2 Zingarelli e Dizionario Etimologico Zanichelli. 3 Per Durkheim l’educazione “è, prima di tutto, il mezzo grazie al quale la società rinnova perpetuamente le condizioni della sua propria esistenza. La società non può vivere se non esiste fra i suoi componenti una sufficiente omogeneità. L’educazione perpetua e rinforza questa omogeneità fissando a priori nell’anima del fanciullo le similitudini essenziali che suppone la vita collettiva. Ma, d’altro canto, senza una certa diversità, qualsiasi cooperazione sarebbe impossibile. L’educazione assicura la persistenza di questa diversità necessaria, diversificandosi essa stessa e specializzandosi. Consiste dunque, sotto l’uno o l’altro dei suoi aspetti, in una socializzazione metodica della giovane generazione” (Durkheim, 1972, pp. 98-99). Il sociologo francese, come appare dalla citazione, sembra controbilanciare la pressione esercitata dalle strutture sociali e dalle istituzioni di socializzazione sull’individuo con il riconoscimento di una differenziazione e varietà soggettiva, ma in verità anche questa “diversità” è accettata e ammessa solo nella misura in cui si rende funzionale al buon funzionamento complessivo dell’organismo tutto integrato della società. (cfr. Cesareo, 1974) 4 “La scuola in quanto custode di un numero sempre crescente di individui che vi trascorrono una parte sempre maggiore della propria vita […] si sta portando allo stesso livello delle forze armate, delle prigioni e dei manicomi come istituzione totale della società. In senso stretto, sono totali quelle istituzioni che controllano in modo totale la vita dei loro ‘ospiti’ […] La scuola plasma la vita e la personalità dei suoi ‘ospiti’ in molti modi insieme efficaci e insidiosi ed è diventata l’istituzione dominante per la vita dell’uomo moderno, nei suoi anni formativi” (Reimer, 1973, p. 110). (cfr. Illich, 1971/1972; Illich, 1972; Pain & Oury, 1972 e 1998). “In questo concerto c’è però un apparato ideologico di Stato che ha un ruolo dominante bell’e buono […] Si tratta della Scuola. Essa prende i bambini di tutte le classi sociali a partire dalla scuola materna e, fin dalla scuola materna, con metodi nuovi e vecchi inculca loro, per anni – gli anni in cui il bambino è più ‘vulnerabile’, costretto tra l’apparato famiglia di Stato e l’apparato scuola di Stato – dei ‘savoir faire’ rivestiti dell’ideologia dominante (la lingua, il far di conto, la storia naturale, le scienze, la letteratura) o semplicemente dell’ideologia dominante allo stato puro (morale, educazione civica, filosofia)”. (Althusser, 1978, p. 59) 5 “Un fanciullo senza compagni, senza altre relazioni se non quella con il suo precettore, che allontana da lui perfino i domestici. Un precettore che regola tutta la vita del pupillo, compresa l’alimentazione, e che giudica delle cure da procurargli in caso di malattia; un maestro pronto a tutti gli inganni per organizzare le esperienze che crede necessarie al progresso intellettuale e morale dell’allievo, e che utilizza tutti i mezzi che siano in rapporto con l’età di costui per ottenere e mantenere la sua totale fiducia e la sua docilità; che si identifica talmente con lui, da voler commettere una sciocchezza insieme con lui se non è riuscito a distoglierlo dal farla, che si interpone tra lui e la fidanzata e s’intromette poi nei loro rapporti coniugali. Non è chi non veda quanto sembrino sospette queste pratiche e queste pretese, se fossero qualcosa di più di un artificio letterario escogitato per enunciare Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 115 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 tutte le condizioni richieste per una felice preparazione dell’uomo alla vita”. (Wallon, 1975, p. 14) 6 Merita forse precisare che l’azione modellizzatrice o forgiatrice rispetto a determinati intenti formativi esplicitati o meno può avvenire o in forza di un’azione smaccatamente repressiva volta a piegare il destinatario all’adeguamento e riproduzione degli assetti sociali e culturali dominanti, oppure, viceversa, mediante un influenzamento più sottile e surrettizio facente leva sul plagio, la seduzione, la lusinga. 7 “L’istituto educativo al quale viene giustamente assegnato, come tipico, il compito di realizzare l’istruzione è la scuola in ogni suo ordine e grado. Ad essa di conseguenza si va sempre più chiedendo l’assunzione di una consapevolezza e di una competenza tecniche tali da farla uscire dall’improvvisazione e quindi da farle utilizzare le varie teorie soprattutto psicologiche che hanno indicato le principali condizioni necessarie a rendere efficace non dogmatica (violenta) la preparazione. Ma altrettanto giustamente si tende oggi a sostenere l’opportunità che questo non sia però il compito esclusivo della scuola, alla quale deve chiedersi una sensibilità ed una capacità educativa più ampie e complete (ad esempio nell’ambito dell’affettività e della socializzazione). In questo senso, la polemica che di recente è stata sviluppata tra l’istruire e l’educare appare distorcente ed ingiustificata: l’istruire per evitare di essere unilaterale e settoriale deve essere concepito come un momento dell’educare, ma l’educare non può fare a meno dell’istruire se non vuole cadere in forme inaccettabili di sentimentalismo e di più o meno nascosto ideologismo” (Bertolini, 1996, p. 293). 8 Per un’esauriente illustrazione del dualismo anima e corpo inaugurato da Platone e riproposto da Cartesio agli albori dell’età moderna si veda Galimberti (1979). 9 “Voi imparate ad andare in bicicletta come hanno imparato ed imparano tutti gli uomini, i ‘chiacchieroni’ vi spiegheranno che questo è un errore: non bisogna forse prima conoscere le leggi dell’equilibrio e le esigenze della meccanica? Essi però non sanno andare in bicicletta! Se osassero, vi dimostrerebbero che avete torto a lasciar parlare i vostri bebè in modo così poco scientifico e vi insegnerebbero, per giorni e giorni, le leggi ineluttabili del vero linguaggio. Ma i vostri bambini sarebbero muti! […] Io non ho nulla da dire al mio allievo-lavoratore se non le parole indispensabili per dare, al momento giusto, i consigli pratici o i gesti attesi e i sentimenti intimi che si traducono in un movimento, in uno sguardo o in un silenzio. Ma il mio uomo crescerà a quella filosofia dei saggi che è il risultato della scienza, della logica e del lavoro.” (Freinet, 1976, pp. 62-63) 10 “Credere che ogni educazione autentica proviene dalla esperienza non significa già che tutte le esperienze siano genuinamente o parimenti educative. Esperienza ed educazione non possono equivalersi. Ci sono difatti delle esperienze diseducative. È diseducativa ogni esperienza che ha l’aspetto di arrestare o fuorviare lo svolgimento dell’esperienza ulteriore. Un’esperienza può procurare incallimento; può diminuire la sensibilità e la capacità di reagire. In questi casi sono limitate le possibilità di avere una più ricca esperienza nel futuro.” (Dewey, 1973, pp. 10-11). “Quando diciamo che le condizioni oggettive sono quelle che l’educatore ha il potere di regolare, intendiamo, naturalmente, che la sua abilità di influenzare direttamente l’esperienza degli altri e quindi la loro educazione, gli impone il dovere di determinare quell’ambiente che interagirà con le capacità e i bisogni che Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile? 116 Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 13, 1 (2018) ISSN 1970-2221 posseggono coloro a cui insegna, per creare un’esperienza che abbia valore” (Ibid., p. 30). Vi è qui il rifiuto dello spontaneismo e dell’improvvisazione, per affermare la necessità di una progettazione educativa che compete, a livello di regia, all’adulto-educatore. L’insegnante, infatti, in base alla sua più ampia esperienza e competenza rispetto agli educandi, è chiamato a scegliere nell’ambiente circostante le situazioni educativamente più significative, per sottoporle alla scolaresca in maniera che si trasformino in fruttuose esperienze, nella direzione della crescita e dell’arricchimento personale e sociale. L’educatore “dovrebbe conoscere in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a promuovere esperienze di valore” (Ibid., p. 24). Ciò non in maniera unilaterale né tantomeno autoritaria, quanto piuttosto nel pieno rispetto dell’altro termine della relazione educativa: “la responsabilità di scegliere condizioni oggettive porta allora con sé la responsabilità di comprendere i bisogni e le attitudini degli individui che imparano in un dato tempo” (Ibid., p. 30). “L’attitudine che più importa sia acquistata è il desiderio di apprendere” (Ibid., p.33). 11 Il volume presenta i risultati salienti di una ricerca effettuata nel 1978 su un campione di oltre 1000 studenti delle scuole medie superiori pubbliche di Torino e condotta mediante l’ausilio di un questionario di un’ottantina di domande, interviste in profondità e dibattiti in classe. 12 “Il fatto che la trasmissione avvenga lungo linee orizzontali, in cui prevalgono le relazioni fra pari, fa sì che la trasmissione stessa non sia più riducibile a mera riproduzione di modelli dati, ma possa anche funzionare come produzione di contenuti nuovi.” (Ricolfi & Sciolla, 1980, p. 9) 13 “La cultura – cioè le esperienze condivise che attribuiscono un significato alla vita dell’uomo – viene spinta inesorabilmente verso il mercato dei media, dove viene rielaborata secondo parametri commerciali”. “Cinema, radio, televisione, industria discografica, turismo globale centri commerciali, parchi di divertimento, città e parchi tematici, moda, cucina, sport professionistico, gioco d’azzardo, industria del benessere, i mondi simulati e le realtà virtuali del ciberspazio rappresentano la linea della frontiera economica dell’era dell’accesso”. “Quando l’intera vita è un’esperienza a pagamento, la cultura si atrofizza e muore, lasciando i soli legami economici a tenere insieme la civiltà. Questa è la crisi della postmodernità” (Rifkin, 2000, pp. 186, 187 e 14). 14 Vedi l’Appello a governo e parlamento sottoscritto da seicento docenti universitari per denunciare il degrado dell’italiano e per promuovere nella scuola un piano per porvi rimedio: http://gruppodifirenze.blogspot.ch/2017/02/contro-il-declino-dellitaliano-scuola.html. Appello che, peraltro, ha dato avvio a una ridda di reazioni anche assai critiche rispetto a questa stessa presa di posizione, animando un dibattito acceso e interessante, anche se un po’ inconcludente: https://www.illibraio.it/italiano-scuola-appello-426879/ ; http://www.societadilinguisticaitaliana.net/index.php? option=com_content&view=article&id=486:lettera-di-mg-lo-duca-in-risposta-alla- qproposta-dei-seicentoq-sul-declino-della-lingua-italiana-con-le-prime-firme-di- adesione&catid=12:notizie&Itemid=9 Fulvio Poletti – Educare oggi: passione, necessità o impresa impossibile?
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