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educazione digitale, Diodato Roberto, Appunti di Filosofia

appunti lezione del professor Roberto Diodato sui mezzi di comunicazione di massa. filosofia, educazione civica, educazione digitale

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 25/08/2023

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Scarica educazione digitale, Diodato Roberto e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! “Filosofia e tecnologia nell’era del virtuale” – Roberto Diodato (docente di Estetica all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano) Logos e techne Rapporto tra logos e techne oggi, in un’epoca di rivoluzione informatica. Riferimenti ad autori del Novecento. Una tesi classica esposta da Arnold Gehlen nell’opera “l’uomo nell’era della tecnica” (1956): la tecnica è da considerare come uno strumento di supplenza delle carenze adattive tipicamente umane. Non siamo soliti ad affidarci solamente alle nostre capacità fisiche come fanno gli animali, ma ci siamo creati degli strumenti (oggetti tecnici) per superare le carenze tipiche della nostra specie. Quindi gli oggetti tecnici sono delle risposte ai bisogni, sono degli utensili, sono delle macchine composte di potenze meccaniche elementari che possono ibridarsi, collaborare, svilupparsi, crescere e che tendono a una resa ottimale rispetto ai nostri bisogni. Un’altra tesi espressa classicamente dall’antropologo francese Andrè Leroi- Gourhan, nel primo volume del libro del 1964 “il gesto e la parola” (legato al tema della tecnica), esprime che la tecnica sia una protesi naturale dell’essere umano, è originariamente connessa alla sua natura umana perché la natura umana è di per sé ibridata con l’artificiale. Questa tesi può essere vista sotto il punto di vista dello sviluppo delle tecnologie della comunicazione. Infatti nello stesso anno esce un capolavoro del Novecento “Capire i media. Gli strumenti del comunicare” di Marshall McLuhan. La tesi tra questi ultimi due è molto simile, ma McLuhan immerge la tesi nel tema della medialità distinguendo 3 ere nella storia dell’uomo: era tribale, era meccanica (era moderna che usa oggetti tecnici (macchine tecnologiche) per espandere il nostro corpo nell’ambiente e nello spazio. Si ha una certa concezione del rapporto causale (A produce B), attraverso queste macchine produciamo degli effetti. Secondo McLuhan tra la causa e l’effetto si può sempre stabilire una differenza all’interno della quale c’è sempre un piccolo spazio temporale in cui accade una decisione umana, come la scelta di interrompere la catena causale) ed era elettrica/elettronica (è una cosa completamente nuova. Fa collassare per via della velocità della luce il rapporto causale impedendo che si possa davvero distinguere la causa dall’effetto: non c’è più il tempo per la distinzione. Si ha una crisi del modello causale classico. Metafora del “villaggio globale”: siamo connessi ovunque, ogni situazione è sia locale che globale. Ciò comporta una crescita enorme delle nostre responsabilità per cui dobbiamo prevedere gli effetti prima di mettere in moto la “macchina”). McLuhan dice che “il medium è il messaggio”: siamo in un intreccio di relazioni, per cui i media sono un ambiente, la struttura della comunicazione e delle relazioni che intratteniamo tra noi. Questo ambiente si chiama “mediale” e aumenta l’intersoggettività dei nostri scambi. I media non sono strumenti, ma sono scenari di azioni sociali. Il medium è il messaggio non solo nel senso che la specificità dello strumento condiziona la qualità e il tipo di significato che attraverso di esso può essere comunicato, ma soprattutto perché il messaggio, l’orizzonte del significato può prendere senso e forma solo nelle condizioni determinate dall’ambiente nel quale sorge e al quale appartiene. I nuovi strumenti tecnologici della comunicazione sono un vero e proprio ambiente. “Media” = sostantivo neutro plurale di medium. Medium deriva dall’uso sostantivato dell’aggettivo medius, che indicava nel latino classico ciò che sta nel mezzo, in quanto centro del luogo proprio del dibattito pubblico. Si ha avuto una trasformazione dei media da luogo a strumento ma oggi, attraverso le nuove tecnologie digitali, si ritorna dallo strumento al luogo. Nella storia della riflessione della tecnica del Novecento c’è un dibattito che si estende dagli anni Trenta fino ad oggi. Walter Benjamin nel saggio del 1936 “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, a proposito del cinema inventa il concetto di “inconscio ottico” (inconscio, Freud, Young)= inconscio umano proveniente dalla tecnologia. Attraverso l’uso di certe tecniche il nostro corpo adotta inconsapevolmente modalità percettive che prima non erano consentite al corpo (es: cinepresa come prolungamento e potenziamento del nostro occhio, al cinema le immagini ci sembrano naturali. Inconsapevolmente percepiamo il mondo come se il nostro occhio fosse una cinepresa). Avviene una modificazione percettiva che è tecnologicamente indotta. Questa idea viene ripresa da Derrik De Kerckhove per spiegare la nostra percezione causata a livello primario e cerebrale dell’influenza su di noi dai nuovi media, nel libro “brainframes”. Libro “la condizione postmoderna: rapporto sul sapere” del 1979 di Jean-Francois Lyotard che spiega il concetto filosofico di postmoderno (incredulità nei confronti delle metanarrazione) e lo sviluppo dell’informatica e dei processi di digitalizzazione dei messaggi e delle informazioni avrebbe avuto la conseguenza di esautorare progressivamente il modello fondamentale della formazione interiore dell’uomo nell’occidente derivante dal rapporto tra maestro e allievo. Procedendo nell’informatizzazione delle conoscenze, ciò che noi accetteremo del sapere sarà quel sapere che è stato possibile tradurre in linguaggio informatico, il quale circolerà socialmente in modo tale da oltrepassare il rapporto tra maestro e allievo che è un rapporto che fa crescere la persona. Noi acquisteremo il sapere dalle agenzie che l’hanno tradotto in digitale e lo acquisteremo come una qualsiasi merce. I nuovi media che ri-mediano i media tradizionali (televisione, radio), accentuano e rinnovano i pericoli per la persona e per la libertà della persona che i media tradizionali hanno già prodotto (comunicazioni di massa hanno costruito il regime del desiderio e il nostro immaginario). Libro di Guy Debord “la società dello spettacolo” del 1967 pensando allo sviluppo dello spettacolo che è il movimento autonomo del non vivente, la morte che si traveste da vita, qualcosa che in realtà non è propriamente reale, ma ci dà l’impressione di esserlo, di essere più reale della vita reale, la costruzione di un regime del desiderio, attraverso la forza delle immagini, che ci progetta, che progetta la nostra vita di spettatori consumatori di massa, che progetta la nostra passività. Fenomeno delle “folle solitarie”, in cui il regime delle immagine implica delle relazioni differenti che ci fanno perdere il contatto reale con gli altri, che non consentono la distanza critica, che costruiscono un ambito impersonale di gusti, di sentimenti, di emozioni, di desideri che ci coinvolgono completamente, che non permettono un processo di interiorizzazione, allora l’orizzonte spettacolare diventa il contrario del dialogo, attraverso le immagini diventiamo passivi. La nostra società si configura come una comunità del sentire, dove il sentire non è più personale, non è più il mio, ma soltanto la riproduzione di un sentire già dato, di un sentire già prodotto altrove, che vuole soltanto essere ripetuto, soltanto essere ricalcato. “del sentire” di Mario Perniola (1991) in cui si parla della mediocrazia, un sentire pervasivo dei media che orienta il nostro desiderio, contro il quale è difficilissimo resistere. Questione del virtuale in senso filosofico (ci sono dei margini in cui possiamo intervenire?). i nuovi media amplificano dei pericoli, ne aprono degli altri, ma hanno anche delle potenzialità che possono consentire il rinnovamento delle pratiche comunicative anche in direzione della crescita della persona. Nei nuovi media abbiamo un’accentuazione della dimensione personale che permette l’emergenza da una massa anonima, indistinta e passiva, che è intenzionata soprattutto dalla televisione. I nuovi media (web 2.0) si indirizza verso la dimensione di un protagonismo personale e da ciò deriva il suo successo. Si ha quindi una grande creatività che si applica in molteplici forme espressive. All’interno di questo ambiente dobbiamo sforzarci di indirizzare queste nuove potenzialità creative, verso forme di educazione alla persona, fare in modo che si aprano al bene comune (porsi al servizio dell’uomo): si tratta di una creatività sia personale che collettiva. Emerge una collaborazione tra le menti sempre più sviluppata che va indirizzata verso un bene comune (il web è fortemente dinamico). Tutto ciò incrementa la nostra personalità (McLuhan), ci dà una grande personalità perché stiamo passando da media che progettano la nostra passività a media che progettano l’attività, dallo spettatore all’attore. Quando parliamo di virtualità che verrà sempre più dispiegata (schermi diventeranno sempre più immersivi e interattivi), diventeranno parte del nostro vissuto, verranno incorporati da noi e dovremo capire questa virtualità e dovremo indirizzarla verso lo sviluppo della persona. Caratteristiche della virtualità a livello ontologico: ambiente immersivo (più immersivo, più forte, non si distingue dalla realtà), interattività costitutiva (posso modificarlo con le mie azioni e implica algoritmi flessibili), realtà intermediarie (sfuggono alla dicotomia esterno-interno, non sono un prodotto della mente, ma sono realtà altre da noi, ma non sono nemmeno realtà esterne. Sono ibridi tra esterno e interno a noi. Tendenzialmente assomigliano ai nostri sogni, tocchiamo le immagini, sono corpi-immagini virtuali), sfuggono alla distinzione tra oggetti ed eventi (sono eventi che passano ma hanno anche la loro persistenza), il virtuale è un complesso problematico, è un lodo di tendenze che accade in un processo di attualizzazione, perché l’ambiente virtuale si sviluppa nell’interattività con i fruitori. Quindi siamo di fronte ad una configurazione dinamica di forze che hanno un’intrinseca tendenza ad attualizzarsi in forme non
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