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EGLOGA III - GARCILASO DE LA VEGA, Appunti di Letteratura Spagnola

EGLOGA III - GARCILASO DE LA VEGA

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 21/07/2021

LiaaaF
LiaaaF 🇮🇹

4.5

(95)

186 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica EGLOGA III - GARCILASO DE LA VEGA e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Definizione di egloga copiata dal dizionario della RAE: égloga Del lat. eclòga, y este del gr. ékAoyi] eklogé 'extracto', 'pieza escogida'. f. T. lit. Composicién poética del género bucdlico, caracterizada por una visién idealizada de la vida rùstica, y en la que suelen aparecer pastores que dialogan acerca de sus amores. È per esempio il tema della prima egloga che si leggerà per pochi frammenti, in cui due pastori, Salicio y Nemoroso effettivamente cantano | propri amori: oggetto dunque di questa egloga I è il “dulce lamentar de dos pastores Salicio y Nemoroso”. Salicio, nell'egloga I, piange per il tradimento della sua amata Galatea; Nemoroso, nell'egloga I, piange invece la morte della sua amata Elisa. Questo lamento del pastore Nemoroso per la compianta Elisa, viene ripreso nell'egloga III. Egloga IIl che Garcilaso dedica a una “ilustre y hermosisima Maria” (si trova anche su Quinientos Afios de Garcilaso, ma la professoressa qui ha numerato le strofe). EGLOGA HI Personas: TirrENo, ALcINO Aquella voluntad honesta y pura, ilustre y hermosisima Maria, que en mi de celebrar tu hermosura, tu ingenio y tu valor estar solia, a despecho y pesar de la ventura que por otro camino me desvia, està y estarà en mi tanto clavada, cuanto del cuerpo el alma acompafiada. Y atn no se me figura que me toca aqueste oficio solamente en vida; mas con la lengua muerta y fria en la boca pienso mover la voz a ti debida. Libre mi alma de su estrecha roca por el Estigio lago conducida, celebrandose irà, y aquel sonido harà parar las aguas del olvido. Ognuna di queste strofe è composta da 8 versi. Sono endecasillabi, il cui schema di rime è quello proprio dell'ottava rima, ovvero abab, “pura” rima con “hermosura” y “ventura”, “Maria” con “solia” y “ desvia”, ababab quindi rima alterna nei primi 6 versi e poi, gli ultimi due presentano la rima cc. Questo è lo schema metrico di questo tipo di strofa che si definisce in spagnolo “octava real” equivalente dell'ottava rima o semplicemente ottava, vi basti ricordare l''Orlando furioso', o la 'Gerusalemme' del Tasso, ababcc. octava real, u octava rima f. Métr. Combinacién métrica de ocho versos endecasilabos, de los cuales los seis primeros tienen rima alterna y los dos ùltimos forman un pareado. Quindi l'ultimo distico (està y estarà tanto en mi clavada cuanto del cuerpo el alma acompafiada) presenta quella che in italiano chiamiamo una rima baciata. Si notino come al solito, le maiuscole perché si sta parlando di versi endecasillabi quindi ababab, rima alterna e infine rima baciata, “clavada” rima con “acompafiada”. È lo schema che si ritrova in tutte le strofe di questa egloga che sono un totale di 47. Le prime strofe di questa egloga IIl sono strofe di dedica. Se la prima egloga, Garcilaso l'aveva dedicata a don Pedro de Toledo, viceré di Napoli dal settembre del 1532 fino all'anno della sua morte, il '53, del cui seguito Garcilaso fece parte nella corte napoletana; questa terza egloga sembrerebbe dedicata alla moglie di don Pedro de Toledo, do fia Maria Osorio y Pimentel. Si sono avanzate altre ipotesi circa l'identificazione di questa “ilustre y hermosisima Maria”, la cui bellezza, ingegno, virtù, Garcilaso si propone di cantare nei suoi versi. Se solo alle volte il destino non si accanisse contro di noi e vorrebbe farne oggetto del suo canto, non solo in vita, dice Garcilaso, “mas con la lengua muerta y fria en la boca pienso mover la voz a ti debida; libre mi alma de su estrecha roca,” > addirittura nell'aldilà, penso di/ho intenzione/è mio fermo proposito di “ mover la voz a ti debida” (si deve ricordare questo emistichio perché quando si studia il poeta Pedro Salinas, ci si renderà conto dell'omaggio reso a Garcilaso nella sua opera, che porta per titolo proprio “la voz a ti debida” del 1933). Anche Cervantes rese omaggio a questo celeberrimo verso di Garcilaso nel suo Chisciotte e allora, anche nell'aldilà vorrei cantare le tue virtù, la tua bellezza, | tuoi pregi. Mas la fortuna, de mi mal no harta, me aflige, y de un trabajo en otro Ile ya de la patria, ya del bien me aparta; ya mi paciencia en mil maneras prueba; y lo que siento màs es que la carta donde mi pluma en tu alabanza mueva, poniendo en su lugar cuidados vanos, me quita y me arrebata de las manos. La fortuna/la sorte s'accanisce contro di me e mi tormenta, mi distrae costantemente, “me Ileva de un trabajo en otro” + non trovo pace/non trovo requie, ora mi allontana dalla patria (una nuova allusione al “destierro”, all'esilio di Garcilaso), ora mi allontana “del bien”, dalla mia donna amata, mette alla prova in mille modi la mia pazienza e quello che mi dispiace di più/quello che più mi fa soffrire, “lo que siento mas es que la carta” + è un italianismo, se ne sono già trovati altri, “espiritu” per esempio, “el papel donde mi pluma en tu alabanza mueva,” > quella carta, dove io mi accingevo a scrivere/a cantare di te, delle tue virtù, a lodarti, “alabanza” è la “lode” (la fortuna è il soggetto di tutto questo), “me quita y m’arrebata de las manos” > “mi strappa di mano le pagine in cui io mi accingevo o avevo appena iniziato a cantare/a tessere le tue lodi”, “poniendo en su lugar cuidados vanos” + “sostituendo tutto ciò, questa composizione poetica con pensieri vani” ma io confido che le muse mi assisteranno, mi daranno “Apolo y las hermanas todas nueve”, dice Garcilaso, Apollo e le nove muse mi daranno “ocio y lengua con que hable lo menos de lo que’n tu ser cupiere, qu’esto serà lo màs que yo pudiere.” + confido che le muse mi assisteranno in modo che io possa cantare presto le tue lodi, anche se (il seguente è un altro verso celeberrimo della poesia di Garcilaso) “entre las armas”, io mi vedo costretto per mio destino a dedicarmi alla carriera militare (si è già ricordato più volte che Garcilaso non era primogenito della sua famiglia, e dunque in virtù del “mayorazgo”, istituto che impediva la dispersione del patrimonio familiare, era suo fratello maggiore Pedro, l'erede del patrimonio di famiglia e Garcilaso doveva “buscarse la vida”, quindi dedicarsi o alla carriera ecclesiastica o a quella militare, come si supponeva all'epoca. Lui scelse la carriera militare.), votato quindi al “sangriento Marte”, al dio della guerra. Eppure tra una impresa militare e l'altra, ha trovato tempo, “hurté de tiempo aquesta breve suma, tomando ora la espada, ora la pluma.” (quello segnato in grassetto è un altro verso celeberrimo di Garcilaso) + “prendendo ora la spada, ora la penna”, dove si riassume in modo icastico in questo suo destino di poeta-soldato, sono riuscito tra un'azione militare e l'altra a sottrarmi agli affanni causati dalla mia scelta di votarmi al dio Marte, sono riuscito a comporre questi versi e allora, illustre Maria che con ogni probabilità è la sposa del viceré di Toledo, Maria Osorio y Pimentel, dice Garcilaso, “aplica un rato los sentidos al bajo son de mi zampofia ruda”, quindi “presta attenzione per un attimo al suono umile del mio strumento”, un cantare semplice il mio, forse indegno di arrivare alle tue orecchie, questo “d’ornamento y gracia va desnuda” > è una poesia priva di ornamenti eppure, alle volte, “a las veces son mejor oidos el puro ingenio y lengua casi muda, testigos limpios d'animo inocente, que la curiosidad del elocuente.” + “alle volte sono più graditi alle orecchie, l'ingegno e il cantare semplice che testimoniano un animo sincero, puro, innocente, piuttosto che” “ la curiosidad del elocuente.” + “l'artificio del poeta dotto, elocuente” oltremodo. Per questo motivo, dice Garcilaso rivolgendo a Marfa Osorio y Pimentel, “ merezco” + “io merito di essere ascoltato da te”, “aunque me falten otras razones” + come omaggio alla mia poesia semplice, umile, “lo que puedo te doy” + “quello che riesco ad offrirti, viste le condizioni precarie della mia vita, io ti offro”, tu ricevilo, mi basta che tu lo riceva con buon animo/con animo ben disposto, questo è già una grande ricchezza per me. questo angolino idilliaco, pieno di ombra/di fresco per fare lì la loro “siesta”, portando con sé “su labor” (poi si vede a cosa ci si riferisce con “su labor”). No perdiò en esto mucho tiempo el ruego, que las tres de ellas su labor tomaron y en mirando de fuera, vieron luego el prado, hacia el cual enderezaron. El agua clara con lascivo juego nadando dividieron y cortaron, hasta que el blanco pie tocò mojado, saliendo de la arena el verde prado. E le sorelle non si fanno pregare a lungo, si mettono a nuotare e raggiungono il verde prato. E allora a cosa si riferisce Garcilaso quando parla de “la labor”? La si ritrova nella strofa 11, poi ancora nella 12 e lo chiarisce in quella successiva, quando oramai hanno toccato terra, “va sacando”, dice Garcilaso, “ telas delicadas” quindi dei “tessuti delicati” o dunque, ricamando, queste 4 sorelle-ninfe del Tago stanno ricamando e queste tele, dice Garcilaso, “eran hechas y tejidas del oro que”! felice Tajo envia” + già lo si aveva ricordato, commentando il sonetto per Maria de Cardona dove la leggenda volesse che le acque del Tago fossero piene di sabbia dorata; con l'oro del Tago, tessono le loro tele, ricamano le 4 ninfe; non solo dopo aver “bien cernidas las arenas” > dopo averle setacciate bene, queste “menudas arenas” + dopo aver setacciato bene questa sabbia fina, dorata del Tago, la utilizzano per il loro lavoro, insieme a “las verdes ovas” (“las ovas” sono “le alghe”), “reducidas en estambre sotil” > “trattate in modo tale da diventare un filo sottile”, quindi ricavano fili d'oro e verdi, come le alghe di cui sono fatti e con questi fili d'oro e di alghe, ricamano I loro tessuti (I loro arazzi possiamo anche chiamarli). Ognuna delle 4 sorelle va tessendo scene diverse, va ricamando tele diverse e la più grande di loro: Poniendo ya en lo enjuto las pisadas, escurrieron del agua sus cabellos, los cuales esparciendo, cobijadas las hermosas espaldas fueron de ellos. Luego sacando telas delicadas, que en delgadeza competian con ellos, en lo màs escondido se metieron, ya su labor atentas se pusieron. Las telas eran hechas y tejidas del oro que el felice Tajo envia, apurado después de bien cernidas las menudas arenas do se cria: y de las verdes hojas reducidas en estambre sutil, cual convenia para seguir el delicado estilo del oro ya tirado en rico hilo. La delicada estambre era distinta de los colores que antes le habian dado conla fineza de la varia tinta que se halla en las conchas del pescado. Tanto artificio muestra en lo que pinta y teje cada Ninfa en su labrado, cuanto mostraron en sus tablas antes el celebrado Apeles y Timantes. Filodoce, que asi de aquellas era llamada la mayor, con diestra mano tenia figurada la ribera de Estrimòn, de una parte el verde Ilano. y de otra el monte de aspereza fiera, pisado tarde o nunca de pie humano, donde el amor moviò con tanta gracia la dolorosa lengua del de Tracia. Qual è allora il soggetto rappresentato da Filédoce nel suo arazzo/nella sua tela? L'amore che mosse “la dolorosa lengua del de Tracia”, “del de Tracia” non è altri che Orfeo, quindi Filédoce, nella sua tela, rappresenta il mito di Orfeo che viene descritto nelle ottave successive. Estaba figura da la hermosa Euridice, en el blanco pie mordida en la pequefia sierpe ponzofiosa entre la hierba y flores escondida; descolorida estaba como rosa que ha sido fuera de sazòn cogida, y el anima los ojos ya volviendo, de su hermosa carne despidiendo. Filédoce raffigura Euridice morsa dal serpente velenoso sul suo bianco piede (un serpente che si era nascosto fra l'erba e | fiori) e viene raffigurata nel momento stesso in cui perde la vita. Pallida, “ descolorida como rosa” + come una rosa colta prima del tempo e rappresentata nel momento in cui l'anima si separa dal corpo. Figurado se via estensamente el osado marido + nella stessa tela viene rappresentato anche Orfeo, marito coraggioso. Figurado se via extensamente el osado marido que bajaba al triste reino de la oscura gente, y la mujer perdida recobraba; y como después de esto él, impaciente por miralla de nuevo, la tornaba a perder otra vez, y del tirano se queja al monte solitario en vano. È rappresentato anche il coraggioso Orfeo, sceso fino agli inferi per recuperare la sua amata Euridice che però tornava “a perder otra vez” + riperde di nuovo per la sua impazienza; impaziente di guardarla ancora, la perde per sempre e si lamenta invano, con | monti solitari per la sua tragedia. Questo dunque è il soggetto rappresentato da Filédoce: il mito di Orfeo ed Euridice. Poi la sorella Dinàmene. Dinaàmene no menos artificio mostraba en la labor que habia tejido, pintando a Apolo en el robusto oficio de la silvestre caza embebecido. Mudar luego le hace el ejercicio la vengativa mano de Cupido. que hizo a Apolo consumirse en lloro después que le enclavò con punta de oro. Non era stata meno brava Dinamene che aveva scelto come soggetto, un altro mito: quello di Apollo e Dafne. Apollo, tutto assorto nella sua caccia, viene colpito da una freccia dorata di Cupido. Apollo caccia e Cupido, che vuole vendicarsi per un'offesa ricevuta da lui, lo colpisce con la freccia dorata che gli provoca un amore irrefrenabile nei confronti di Dafne (trattata nell'ottava 20). Dafne con el cabello suelto al viento, sin perdonar al blanco pie corria por aspero camino, tan sin tiento que Apolo en la pintura parecia que, porque ella templase el movimiento, con menos ligereza la segura. El va siguiendo, y ella huye como quien siente al pecho el odioso plomo. Se Cupido ha colpito Apollo con una freccia d'oro, invece ha ferito Dafne con una freccia dalla punta di piombo che provoca odio. Dafne cerca di sottrarsi al dio Apollo che la insegue, corre disperatamente, “sin perdonar al blanco pie” > senza evitare di farsi male ai suoi piedi nudi, con cui si ferisce nel bosco tanto che Apollo sembrava rallentare la sua corsa, preoccupato delle ferite che Dafne si provocava sui piedi nudi, correndo coì disperatamente, “parecia que con menos ligereza la seguia” > l'uno insegue l'altra e si arriva all'ottava 21 che ricorda molto da vicino il sonetto 13. Masa la fin los brazos le crecian, y en sendos ramos vueltos se mostraban. Y los cabellos. que vencer solian al oro fino, en hojas se tornaban; en torcidas raices se extendian los blancos pies, y en tierra se hincaban; llora el amante, y busca el ser primero, besando y abrazando aquel madero. Quindi, se nel sonetto 13, Garcilaso aveva rappresentato l'inizio della metamorfosi di Dafne, trasformatasi in alloro e qui, nell'egloga III, si rappresenta l'intera scena della corsa a perdifiato della ninfa nel bosco, inseguita da Apollo fino ad arrivare alla metamorfosi in alloro. “Mas a la fin” + nonostante questa corsa disperata, Dafne sarebbe stata raggiunta comunque da Apollo ed ecco dunque che le sue preghiere vengono accolte e si cominciò a trasformare in albero, quindi le braccia si trasformano in rami, | capelli, che un tempo erano più lucenti dello stesso oro, si trasformano in foglie, | piedi affondano nel terreno, trasformati in radici contorte e Apollo e l'amante allora, comincia a piangere, quelle lacrime che vanno alimentando la pianta dell'alloro, come aveva raccontato Garcilaso nel sonetto 13, si dispera Apollo “y busca el ser primero” + cerca di ritrovare le sembianze umane di Dafne, “besando y abrazando aquel madero.” + “baciando e abbracciando il tronco in cui si è trasformata Dafne”. Dunque Filédoce rappresenta il mito di Orfeo ed Euridice, Dinàmene quello di Apollo e Dafne, Climene che viene presentata subito dopo invece, rappresenta il mito di Adone e Venere (si chiede di studiare questo mito): Adone, giovane bellissimo, fa innamorare di sé, Venere finchè un giorno, durante una caccia sfortunata, un cinghiale che secondo alcuni, altri non era che il dio Marte geloso, uccide Adone, provocando la disperazione di Venere. Secondo la leggenda, da qui ebbero origine | fiori che chiamiamo anemoni. Climene, Ilena de destreza y mafia, el oro y las colores matizando iba, de hayas una gran montafia, de robles y de pefias variando; un puerco entre ellas de braveza extrafia, estaba los colmillos aguzando contra un mozo; no menos animoso, con su venablo en mano, que hermoso. “Un puerco” qui evocato non è altri che il cinghiale che uccide, “con le sue zanne” (con sus colmillos) il povero Adone, questo “mozo” coraggioso che lo ha affrontato durante la caccia. Tutto questo “en una gran montafia de robles y de pefias” + “in un bosco fitto di querce e di rupi”. Tras esto el puerco alli se via herido de aquel mancebo por su mal valiente, y el mozo en tierra estaba ya tendido, «Sono Elisa, (recita l'epitaffio), e pronunciando il mio nome, risuona e si lamenta il monte pieno di caverne, testimone del dolore, della pena che tormenta il pastore Nemoroso» ed è lo stesso Nemoroso, il cui “dulce lamentar” era oggetto del canto di Garcilaso nell'egloga I. Nemoroso ha perso la sua amata Elisa e continua ad invocare il suo nome e si sente come un eco del fiume Tago che pare rispondere “a boca Ilena”. Il fiume Tago porta veloce il nome di Elisa fino “al mar de Lusitania”, Lusitania non è che il Portogallo (dove il fiume Tago sfocia nell'oceano Atlantico, in prossimità della città di Lisbona), lì, il mio nome, io confido che sarà ascoltato, recita Elisa in questo epitaffio, inciso sulla corteccia di un albero da una ninfa. Sull'identità di questa Elisa, “se han vertido rios de tintas” (si sono versati fiumi di inchiostro). È evidentemente una dama portoghese, altrimenti Garcilaso non scriverebbe qui che “el Tajo Ileva el nombre de Elisa al mar de Lusitania”, non rievocherebbe le origini luisitanie della Elisa morta prematuramente. Questa donna amata dal pastore Nemoroso, secondo tutti, non è che un alter ego di Garcilaso, però, in tempi recenti, si è avanzata una nuova ipotesi di interpretazione. En fin en esta tela artificiosa toda la historia estaba figurada, que en aquella ribera deleitosa de Nemoroso fue tan celebrada; porque de todo aquesto y cada cosa estaba Nise ya tan Informada, que llorando el pastor, mil veces ella se enterneciò escuchando su querella. Y porque aqueste lamentable cuento no sélo entre las selvas se contase, mas dentro de las ondas sentimiento con la noticia desto se mostrase, quiso que de su tela el argumento la bella ninfa muerta sefialase y asi se publicase de uno en uno por el humedo reino de Neptuno. Destas historias tales variadas eran las telas de las cuatro hermanas, las cuales con colores matizadas claras y luces de las sombras vanas, mostraban a los 0jos relevadas las cosas y figuras que eran llanas, tanto, que al parecer el cuerpo vano pudiera ser tomado con la mano. Bisogna completare il commento della egloga III. Si era arrivati alla descrizione degli arazzi a cui lavorano le 4 sorelle-ninfe del fiume Tago che intessono con l'oro del fiume Tago le verdi alghe (las verdes ovas del rio). Quindi si sono commentate le scene che rappresentano i miti di Orfeo ed Euridice, Apollo e Dafne, Venere e Adone e infine, la quarta tela, quella intessuta da Nise, che non riprende un tema della mitologia classica, bensì rappresenta la morte della bella ninfa Elisa, pianta dal pastore Nemoroso. Quindi tema comune di questi arazzi è la perdita della donna amata, perdita che si concretizza in modo diverso, si pensi al mito di Apollo e Dafne con la trasformazione di Dafne in alloro o a quello di Orfeo ed Euridice. Questa egloga è in ottave (octavas reales), in cui si rievocava l'origine portoghese di Elisa. Questa donna presuntamente amata da Garcilaso, che dovrebbe dunque essere aggiunta alla lista, vale a dire Beatriz de S4. Manca il canto amedeo. Si riprende dall'ottava 35. Los rayos ya del sol se trastornaban, escondiendo su luz al mundo cara tras altos montes, y a la luna daban lugar para mostrar su blanca cara; los peces a menudo ya saltaban, con la cola azotando el agua clara, cuando las Ninfas, la labor dejando, hacia el agua se fueron paseando. “Las ninfas” qui ricordate, sono appunto le 4 sorelle, Filbdoce, Dinamene, Climene y Nise y ” la labor que dejan” ovviamente è un riferimento a queste tele a cui hanno lavorato fino ad ora sulle rive del Tago, a questi arazzi. E dunque è arrivato il momento di rientrare nelle loro dimore, che come si sa' dal sonetto 11, sono nelle profondità del fiume e perché è arrivato il momento? Perché “los rayos del sol ya se trastornaban, ya se ocultaban” vale a dire, è il momento del tramonto e il Sole si nasconde dietro le montagne e lascia il posto alla Luna, è il momento in cui pesci cominciano a saltare nel fiume e dunque, le ninfe fanno ritorno alle acque del Tago, passeggiando sulle rive del fiume. Poi l'ottava 36. En las templadas ondas ya metidos tenian los pies, y reclinar querian los blancos cuerpos, cuando sus oidos fueron de dos zampofias que tafijan suave y dulcemente, detenidos; tanto, que sin mudarse las oian, y al son de las zampofias escuchaban dos pastores a veces que cantaban. Filédoce, Dinamene, Climene y Nise stanno per fare ritorno nella loro dimora (che sono le acque del Tago), quando, all'improvviso, sono trattenute da un dolce suono, il suono di due zampogne che accompagnano il canto di due pastori. Si evidenzia l'ultimo verso di questa ottava 36 perché qui si trova la spiegazione dell'aggettivo “amedeo”. Comincerà a breve il canto amedeo di questi due pastori, Tirreno y Alcino “que cantan a veces”, vale a dire, alternandosi. Infatti si vede che a partire dalla strofa 39, una ottava è affidata a Tirreno e l'altra ottava è affidata ad Alcino. Ecco dunque spiegato questo aggettivo canto “amedeo” > alternato, una volta canta l'uno, una volta canta l'altro, “a veces”, si vanno alternando e dunque le ninfe, le 4 sorelle che stavano per fare ritorno nelle acque del Tago, si fermano, attratte da questo dolce canto alternato dei due pastori che naturalmente stanno facendo il loro mestiere y “vienen cantando tras el ganado” + seguono il bestiame perché è l'ora del tramonto e dunque devono fare ritorno all'ovile le loro bestie, ai rifugi per passare la notte e cantando, “van haciendo su trabajo menos grave” (il lavoro meno faticoso) se si passa il tempo, cantando. Ed ecco presentati | due pastori nella ottava 38. Mas claro cada vez el son se oia, de los pastores, que venian cantando tras el ganado, que también venia por aquel verde soto caminando; y ala majada, ya pasado el dia, recogido le llevan, alegrando las verdes selvas con el son suave haciendo su trabajo menos grave. Tirreno de estos dos el uno era, Alcino el otro, entrambos estimados, y sobre cuantos pacen la ribera del Tajo con sus vacas ensefiados; mancebos de una edad, de una manera a cantar juntamente aparejados y a responder, aquesto van diciendo, cantando el uno, el otro respondiendo. Si chiamano Tirreno e Alcino, “ensefiados” + “abili” (sinonimo di diestros, abiles) “con sus vacas”, sono due bravi pastori, anche se giovani (son mancebos, son j6venes), della stessa età, pronti a cantare insieme, alternandosi, l'uno risponde all'altro e si vede che dall'ottava 39, comincia questo canto amedeo. L'oggetto del canto è, naturalmente, l'amore e quindi ognuno dei due pastori canta la donna amata. Già nel primo verso dell'ottava affidata a Tirreno, appare il nome di questa fanciulla amata, Flérida e lo stesso dicasi per Alcino, la sua amata si chiama Filis. E allora cosa canta Tirreno? TIRRENO Flérida, para mi dulce y sabrosa màs que la fruta del cercado ajeno, màs blanca que la leche, y màs hermosa que el prado por abril de flores Ileno: si ti respondes pura y amorosa al verdadero amor de tu Tirreno, a mi majada arribaràs primero que el cielo nos muestre su lucero. L'ottava è costellata di confronti che permettono di cantare le lodi dell'amata Flérida. Flérida è più dolce e saporita della frutta del recinto altrui, “del cercado ajeno”, quindi dolce, saporita, più bianca del latte, più bella di un prato fiorito d'aprile e allora “o' Flérida” (anche questo è un vocativo), “ si ti respondes a mi verdadero amor”, arriverai al rifugio prima che (se “primero” vale per “antes que”) il cielo ci mostri la sua stella. Quindi ti prego Flérida, corrispondi al mio amore, affrettati perché al mio rientro con il bestiame, avrò piacere di trovarti. Cosa replica Alcino, cantando la “hermosa Filis”? “Hermosa Filis” è un altro vocativo. ALCINO Hermosa Filis, siempre yo te sea amargo al gusto màs que la retama, y de ti despojado yo me vea, cual queda el tronco de su verde rama, si mas que yo el murciélago desea la oscuridad, ni màs la luz desama, por ver ya el fin de un término tamafio de este dia; para mi mayor que un afio. In poche parole, Alcino esprime il suo desiderio irrefrenabile/ardente che arrivi finalmente la notte per potersi riunire con l'amata Filis e dunque dice: se non è vero che, io desidero/anelo l'oscurità, ovvero la notte/le tenebre, più del pipistrello (“el murciélago”), possa io essere per te, amaro al gusto più della ginestra, possa essere io privato della tua presenza, come un tronco privato dei suoi rami, se non è vero quello che ti ho detto, ovvero che io desidero che arrivi la notte perché così vedrò la fine di un giorno, che per me è stato eterno, visto che ero lontano da te, è durato più di un anno questo giorno perché l'ho passato lontano da te. Poi replica Tirreno e così, cotinua il canto amedeo. TIRRENO Cual suele acompafiada de su bando aparecer la dulce primavera, cuando Favonio y Céfiro soplando al campo toman su beldad primera, y van artificiosos esmaltando de rojo, azul y blanco la ribera, en tal manera a mi Flérida mia viniendo, reverdece mi alegria. si tratti appunto della sposa di don Pedro de Toledo, viceré di Napoli, al cui servizio si trova Garcilaso tra il '32 e il '36, protettore di Garcilaso a cui invece va dedicata l'egloga I ed è possibile anche che le 4 ninfe non siano altro che un riferimento alle 4 figlie che la coppia di viceré e viceregina avevano), dunque un inizio segnato dalla dedica a “la ilustre y hermosisima Maria”, in cui Garcilaso fa riferimento alla sua natura di poeta-soldato, “tomando ora la espada, ora la pluma” e che ha lasciato anche pensare che si trovasse nel bel mezzo di una campagna militare, forse l'ultima a cui prese parte, quella di Provenza dove poi trovò la monte di fatto, quindi secondo la quasi totalità dei critici, questo sarebbe uno degli ultimi bellissimi componimenti di Garcilaso de la Vega e segue poi la descrizione delle tele intessute dalle 4 ninfe e infine, la parte di vera e propria egloga, di canto pastorile, con questo canto amedeo affidato ai pastori Tirreno e Alcino. Per completare il discorso sugli amori di Garcilaso, si ritorna all'arazzo realizzato dalla ninfa Nise e all'ottava 31: «Elisa soy, en cuyo nombre suena y se lamenta el monte cavernoso, testigo del dolor y grave pena en que por mi se aflige Nemoroso y llama “Elisa”; “Elisa” a boca llena responde el Tajo, y lleva presuroso al mar de Lusitania el nombre mio, donde serà escuchado, yo lo fio». Questo è l'epitaffio che una delle ninfe silvestri incide sulla corteccia di un pioppo (alamo) e in questo epitaffio, è la stessa Elisa (la ninfa amata dal pastore Nemoroso e prematuramente scomparsa) che parla. Elisa inciso sulla corteccia di un pioppo, “Elisa soy” e nel mio nome risuona il lamento di Nemoroso che si sta disperando per tutti questi monti e non fa che invocarmi, “Elisa” llama” “y el Tajo a boca llena responde “Elisa”, il lamento di Nemoroso riecheggia nelle acque del Tago, si sente un eco, (el Tajo responde a boca Ilena) e porta, in fretta e furia, “al mar de Lusitania” (Oceano Atlantico) il mio nome, dove sarà ascoltato, io confido in questo. Si sa' che il fiume Tago effettivamente sfocia nell'oceano Atlantico, nei pressi della città di Lisbona e questo riferimento “al mar de Lusitania” (Lusitania è un altro sinonimo di Portogallo, un toponimo che equivale a Portogallo), questo riferimento al Portogallo, alle terre lusitane, alla maggior parte della critica, è parso chiaro riferimento alle origini portoghesi della dama cantata e fino ad alcuni anni fa, si identificava nella Isabel Freyre, a cui va dedicata anche una “copla de octosilabos”. Isabel Freyre che si sa' aver sposato, come indica la stessa copla, un uomo “fiera de su condicion” (molto più grande di lei) e morì (Isabel Freyre) tra il 1533 e il '34. Negli ultimi anni, si è molto ridimensionata questa figura di Isabel Freyre come musa ispiratrice della poesia di Garcilaso, in particolare a partire dal '98, quando grazie alle scoperte archivistiche del Vaquero Cerrano (?), si è dato un nome e cognome alla madre di quel figlio illegittimo che Garcilaso ricorda nel suo testamento del 1529, vale a dire Guiomar Carrillo, ma ancora più recentemente, la stessa Vaquero Cerrano (?) ha avanzato l'ipotesi che in realtà, la Elisa cantata da Garcilaso nelle egloge (perché viene citata come già defunta quindi pianta dal suo amato Nemoroso, anche nella egloga I) non sia la Isabel Freyre, portoghese effettivamente, bensì un'altra delle donne amate da Garcilaso, Beatriz de Sà che era, niente di meno che, la cognata di Garcilaso. Si è già citata varie volte la rivolta dei “comuneros” che vide Garcilaso schierato dalla parte dell'imperatore Carlo V e il fratello maggiore, Pedro Laso de la Vega invece, schierato dalla parte dei rivoltosi, tanto da essere poi condannato all'esilio da Carlo V, esilio che trascorse in Portogallo. In Portogallo, Pedro Laso de la Vega dovette conoscere Beatriz de Sa, con la quale si sposò nel febbraio del 1526; il matrimonio sfortunatamente durò ben pochi anni perché intorno al 1530, Beatriz de Sà mori, probabilmente di parto. Perché si ha questa data orientativa? Perché Vaquero Cerrano (?), qualche anno fa, ha scovato nell'’ Archivo General de Simancas”, una lettera scritta dall'imperatrice Isabel al fratello e datata 11 marzo 1530, in cui comunica la notizia della morte di Beatriz de Sà; era una delle sue dame e dunque, evidentemente, la morte di Beatriz de Sà si colloca prima della data di questa lettera (11 marzo 1530) o, presumibilmente, alcuni mesi prima. Quindi Beatriz de Sà sicuramente nel febbraio del '26 sposa Pedro Laso de la Vega che, pochi mesi dopo, ottiene finalmente dall'imperatore, il permesso di fare rientro in Spagna, dove visse con la moglie e dove presumibilmente Garcilaso ebbe modo di frequentarli entrambi, fratello e cognata. Si ricordi che la condanna all'esilio per Garcilaso arrivò solo qualche anno dopo e quando, comunque, già era passata a miglior vita Beatriz de Sà. Si potrebbero citare molti versi che cantano la bellezza di Beatriz de Sa, ma ci si limita a dire che Beatriz de Sa fu cantata come la donna più bella del Portogallo in quell'epoca, addirittura 25 poeti del 'Cancionero general' (Canzoniere generale) portoghese del 1516, dedicarono dei versi a Beatriz de Sà, la cui bellezza era veramente straordinaria, ma quello che ci interessa di più è che dedicò dei versi a Beatriz de Sa e a Garcilaso, anche Francisco Sà de Miranda che come si vede dalla somiglianza/affinità dei cognomi, evidentemente era parente di Beatriz de Sa, il poeta Francisco Sa de Miranda. Ebbene, nel 1537, Francisco Sa de Miranda pubblica questa egloga, Nemoroso', di cui si leggeranno alcuni versi che spiegheranno il perché del titolo “Beatriz de Sà, musa de Garcilaso” e questa è una delle prove presentate da Vaquero Cerrano (?) per dimostrare la sua teoria che Elisa cantata da Garcilaso nelle egloghe, altri non era che la cognata Beatriz de Sa, di cui doveva essersi innamorato lo stesso Garcilaso, pur essendo chiaramente un amore proibito e impossibile, essendo la cognata, ma, tuttavia, non riuscì a resistervi. Al muy antiguo aprisco de los Lasos de Vega 520 por suerte el de los Sds viste juntado. Si cae el mal pedrisco, abrigando se allega y canta ende el pastor, huelga el ganado. Elisa, el ti cuidado, 525 que acd tanto plafiste, por muerte (jay suerte!) falta, plafiiéndola en voz alta, iquién no plaid después do la subiste? Si noti il titolo dell'egloga, Nemoroso e Nemoroso cantato da Francisco Sa de Miranda è indiscutibilmente Garcilaso. È Garcilaso, il Nemoroso cantato da Francisco Sà de Miranda, parente di Beatriz de Sa e allora le vostre famiglie, quella dei Lasos de Vega e quella dei Sa, si sono unite per il matrimonio di Pedro e Beatriz, ma cosa dice negli ultimi versi Francisco Sa de Miranda? Chiama Elisa, rivolgendosi a Garcilaso Nemoroso, “e/ tu cuidado” — “il tuo pensiero, la tua ossessione amorosa”, Elisa, “falta por muerte” che disgraziatamente è morta quella Elisa che tu qui, “acd tanto plafiiste” — “hai pianto tanto”. Indubbiamente, nel nome Elisa pare risuonare un gioco di parole, “Ela” e “sa” con riferimento al cognome Sà, Beatriz de Sa. Quando all'inizio si era parlato dell'identificazione della Elisa delle egloghe con Isabel Freyre, pure si era fatto riferimento a un possibile gioco di parole, perché Elisa è l'anagramma imperfetto di Isabel, manca soltanto la B ma molti poeti del 'Canzoniere generale' giocano con il cognome Sa di Beatriz de Sa, cantandola come Elisa, “Ela” e “sa” in portoghese. E allora nella lettura di Vaquero Cerrano (?), corroborata soprattutto da questi versi di Francisco Sa de Miranda che ben doveva conoscere la vicenda umana e amorosa di Beatriz de Sà, questi versi appaiono corroborarli dell'identificazione tra la Elisa, cantata da Garcilaso e quella Beatriz de Sa perché tu, Nemoroso, hai avuto “como tu cuidado” (come tuo pensiero amoroso, pensiero e pena d'amore perché si trattava di un amore proibito, impossibile), Elisa già morta. Molti critici, all'inizio avevano attaccato questa identificazione fra Beatriz de Sà e la Elisa delle egloghe, dicendo che non c'è nessuna prova che la Beatriz de Sa Miranda fosse morta in quell'anno del '37, mentre si sa' per certo che Isabel Freyre era morta di parto tra il '33 e il'34 ma a queste critiche, Vaquero Cerrano (?) ha risposto, esibendo quella lettera del marzo del 1530, in cui, niente di meno che, l'imperatrice Isabel parla della morte di Beatriz de Sà, quindi avvenuta nel '30 e ciò darà agio a Garcilaso, di comporre molti versi in memoria della defunta cognata, se effettivamente ha ragione Vaquero Cerrano (?), perché fu uno dei suoi più profondi amori, forse proprio perché proibito/impossibile. E allora si completa il discorso su Beatriz de Sa, Elisa, “Ela” y “sa”, commentando il sonetto 25 che rientra in questo discorso di identificazione della musa ispiratrice con una dama diversa da quella di solito invocata dalla critica. Con questo si vuole dire che fino a pochi anni fa, quasi tutti I critici concordavano nel dire che questo sonetto 25 fu composto da Garcilaso, effettivamente, in memoria della defunta Isabel Freyre che si sa' per certo che morì di parto, ma è lecito immaginare che anche Beatriz de Sà morì di parto e allora ben potrebbe aver composto Garcilaso questo sonetto 25, in memoria della cognata defunta, la cui tomba è andato a visitare in uno dei suoi viaggi in Spagna, realizzati anche durante l'esilio per compiere missioni diplomatiche da parte del viceré di Napoli, don Pedro de Toledo. ARGUMENTO Aqui, en su Soneto XI, Garcilaso reclama la atenciòn de las Ninfas en el primer cuarteto, en el segundo describe lo que ellas estàn haciendo y les pide que dejen de realizar sus actividades en el primer terceto, para concluir en el cuarto con el motivo de su solicitud. TEMA Tristeza inconsolable del poeta. EI poeta sufre y sin uso de cultismos y a través de un lenguaje sencillo y natural, el autor busca conmover el alma del lector y la empatia de este para con su dolor. El primer cuarteto es en el que el yo poético invoca a las ninfas y para ello, para darle profundidad a la estructura oracional, està construido mediante un hipérbaton. Por otra parte, el encabalgamiento suave de los tres iltimos versos nos transmiten la sensaciòn de armonia que deben sentir las ninfas en sus moradas. El lugar que se describe es un /ocus amoenus, el rio es un remanso de paz, pues de otro modo las ninfas no podrian vivir en él; y sin nombrar al sol ni al agua, la imagen que proyecta la descripciòn del hogar de las ninfas nos da la sensaciòn de soleado, calido y transparente. Son las relucientes piedras las que reflejan el resplandor del sol, piedras fabricadas que podrian hacernos pensar en perlas, lo que embellece mas la imagen. Y es el vidrio de las columnas el que nos transmite la transparencia de las aguas del rio. Las ninfas estàn felices en contraposiciòn a la tristeza del poeta. En el segundo cuarteto encontramos una anàfora que aporta ritmo al poema. También aqui el poeta contrapone el estado de las ninfas con el suyo propio, puesto que todas estàn atareadas, despreocupadas y en paz. El primer terceto se inicia con la solicitud de que dejen de realizar aquello que les ocupa para prestarle atenciòn, no piensa entretenerlas mucho, ese segrim ando del tercer verso ya nos da un primer indicio de que no se siente bien y de que ese dolor es profundo. Aqui, al igual que en el primer cuarteto donde habia utilizado el epiteto hermosas para dirigirse a las ninfas, vuelve a hablar de su belleza cuando menciona sus rubdias cabezas, ya que el cabello rubio era parte del ideal de belleza femenino de la época. Con la ùltima estrofa del poema llega la motivaciòn del poeta, sufre tanto que las ninfas, apenadas, o no podran escuchar su historia o bien tendran que consolarlo. Para conmovernos el autor utiliza dos figuras retòricas, un hipérbaton en el primer verso reforzando la importancia de la palabra /astima, y una hipérbole, es tan grande la angustia que esta puede vencer su corporalidad y transformarlo en agua, agua de lagrimas que iràn a parar al rio, espacio vital de las ninfas y donde asi ellas podran consolarlo màs tiempo. El poeta parece querer transmitirnos através de ese despacio del ùltimo verso, que convertirse en parte del rio seria un alivio para él y un descanso. FUENTES PRINCIPALES. En este poema podemos encontrar varios t6picos de la literatura renacentista, por una parte, el Locus amoenus que es un estereotipo paisajistico cuyo modelo es La Arcadia de Sannazaro, a su vez influido por Las Bucdlicas de Virgilio. Este es un paisaje campestre idealizado que aùna sensibilidad, opulencia y colorido. Paisajes con escenas de agua, grandes arboledas y alguna que otra ruina. Pero son, ademàs, paisajes con una concepciòn emocional, que transmiten el sentir de los protagonistas de los poemas. Vemos que en este soneto el lugar ameno descrito es acorde a la hermosura y despreocupaciòn de las ninfas, pero también vemos que las lagrimas del poeta pueden acabar formando parte del paisaje, en esa fusion emocional a la que se hacia referencia. Otro de los tépicos es el ideal de belleza femenino de la época que describe a las mujeres hermosas como poseedoras de una tez blanca, mejillas sonrosadas, 0jos claros, frente amplia y cuello esbelto asi como cabellos largos y rubios. Que las ninfas son hermosas, lo sabemos, ya no porque nos lo diga el poeta en el primer verso, sino porque su propia condiciòn de ninfa conlleva esta caracteristica, pero el autor, siguiendo las pautas poéticas de la época, las exalta aludiendo a su cabellera. La mayor parte de los poemas de Garcilaso tienen por tema el amor, un amor espiritual e idealizado que no busca ser correspondido y que por tanto conlleva sufrimiento. Este tipo de sentimiento es el topico del amor cortés, tipico de la poesia provenzal y trovadoresca y que tuvo gran influencia en nuestro autor. Aparte del sufrimiento, hay otro dato que nos hace pensar que es amor el mal que aflige al personaje, démonos cuenta que realmente no solicita a las ninfas que le escuchen, sino que le miren, y es que, segun el
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