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El burlador de Sevilla, appunti letteratura spagnola 3, Appunti di Letteratura Spagnola

El burlador de Sevilla, appunti letteratura spagnola 3 per esame con Cerron

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 10/11/2023

leslie23-
leslie23- 🇮🇹

5

(1)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica El burlador de Sevilla, appunti letteratura spagnola 3 e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Lope de Vega, Peribáñez y el comendador de Ocaña El burlador de Sevilla y convidado de piedra è una commedia che riprende il mito di Don Giovanni, senza dubbio il personaggio più universale del teatro spagnolo. La sua paternità è controversa, ma è tradizionalmente attribuita a Tirso de Molina ed è conservata in una pubblicazione del 1630. Don Juan incarna una leggenda sivigliana che ha ispirato Molière, Antonio de Zamora, Carlo Goldoni, Lorenzo da Ponte (autore del libretto del Don Giovanni di Mozart), Lord Byron, Espronceda, Pushkin, Zorrilla, Azorín, Marañón e molti altri autori. È un libertino che crede nella giustizia divina ma che confida di potersi pentire ed essere perdonato prima di comparire davanti a Dio. Se ricordiamo anche che El burlador de Sevilla fu pubblicato nel 1630, possiamo concludere che si tratta di un'opera la cui vocazione è moralizzatrice, e che potrebbe essere stata concepita come una risposta alla teoria della predestinazione di Don Giovanni, secondo la quale la salvezza e l'ingresso nel regno dei cieli sono già stati determinati da Dio fin dalla nascita, donati per grazia attraverso Cristo e ricevuti per sola fede, per cui gli atti non sono determinanti per la salvezza delle anime. TRAMA: Il burlador è un giovane dell’aristocrazia sevillana, chiamato Don Juan Tenorio. L’opera inizia in medias res nel palazzo reale di Napoli dove Don Juan Tenorio passa la notte con Isabela, ingannandola facendole credere di essere il suo fidanzato sfruttando il buio della stanza. Il fatto che l’opera inizi in medias res ci fa capire che Isabela non è la prima vittima di Don Juan. Nel momento in cui Isabela accende la luce e riconosce Don Juan inizia a gridare: Don Juan fugge per nascondersi, ed incontra suo zio Don Pedro Tenorio, ambasciatore di Spagna. Al sentire le avventure del nipote, Don Pedro è rassegnato per il fatto che    nonostante sia stato allontanato dalla Spagna per questi suoi inganni, si ostini ancora a farlo. Tuttavia, Don Pedro lo lascia scappare, incolpando dell’accaduto il Duca Octavio, fidanzato di Isabela, che viene arrestato. La scena si sposta poi in Spagna, sulla costa nei pressi di Terragona, dove Don Juan e il suo gracioso Catalinón sono naufragati a seguito della fuga da Napoli. Sulla cosa si trova Tisbea, donna consapevole della sua bellezza ed orgogliosa del fatto di non essere mai ceduta alle tentazioni amorose. Don Juan, naufrago, finisce però tra le braccia di Tisbea, che si innamora di lui (ecco quindi che Tisbea è la prossima vittima). Se prima Don Juan aveva sfruttato l’oscurità per ingannare Isabela, ora che è giorno non può celare la sua identità. Ecco quindi che sfrutta le sue nobili origini per ingannare Tisbea, promettendole dei favori: Tisbea ospita Don Juan nella sua casa e i due consumano l’atto d’amore (vediamo quindi la corruzione della classe nobiliare) La scena si sposta poi al palazzo reale a Siviglia, dove avviene l’incontro tra il Re Alfonso XIV* e Don Gonzalo de Ulloa. Don Gonzalo è di ritorno da una missione diplomatica a Lisbona e, dopo aver fatto tutto un monologo con cui elogia Lisbona e il Portogallo, come ringraziamento per il suo operato il Re Alfonso XIV promette alla figlia di Gonzalo, Doña Ana, la mano di Don Juan (per le sue origini nobili). [*La presenza di Alfonso XIV costituisce un anacronismo nell’opera, poiché fu un re che regnò durante il XIV secolo. Esso è un elemento anacronistico perché l’opera non è ambientata nel XIV secolo, bensì rappresenta la Spagna del Seicento, con i suoi problemi e personaggi tipici (es. gli ambasciatori, figure tipicamente seicentesche)] Il primo atto termina con Don Juan che fugge dal villaggio di pescatori in cui aveva passato la notte con Tisbea che, disperata ed arrabbiata, decide di suicidarsi. Il secondo atto inizia nel palazzo reale a Siviglia, dove Don Diego Tenorio (padre di Don Juan) racconta al re le malefatte del figlio. Il re decide così di esiliare Don Juan per farlo riflettere sui propri errori (anche se sappiamo già che non lo farà, perché non lo ha mai fatto), e che non sarà più Don Juan a sposare Doña Ana, bensì il Duca Octavio, per poter rimediare all’ingiusta accusa subita. Sempre a Siviglia abbiamo l’incontro tra Don Juan e il Marqués de la Mota, amico di Don Juan e anch’esso solito ad ingannare le donne, che gli confida di essere innamorato della cugina Doña Ana de Ulloa, e che sta aspettando un suo messaggio per potersi vedere di nascosto nella sua stanza (il tema dell’incontro di nascosto durante la notte è un tema tipico della novela bizantina, della novela cortesana e della novellistica italiana). Tuttavia, il biglietto viene rintracciato da Don Juan: Doña Ana dava appuntamento al Marqués de la Mota alle undici nella sua stanza, e gli comunicava di farsi riconoscere indossando un mantello rosso. Don Juan così approfitta della situazione e dice al Marqués di andare a mezzanotte, così da poterlo anticipare. La notte, Doña Ana capisce che non si tratta del Marqués de la Mota ed inizia a gridare, facendo intervenire sulla scena suo padre Don Gonzalo: durante uno scontro, Don Juan uccide Don Gonzalo. Nel terzo atto appare l’altro elemento che compone il titolo dell’opera: il convidado de piedra. Abbiamo infatti Don Juan e il suo gracioso Catalinón che, nella fuga, si rifugiano in una chiesa per poter usufruire del diritto d’asilo e salvarsi dalla legge. All’interno della chiesa si trova una tomba, e Don Juan riconosce che sopra ad essa è presente una statua raffigurante Don Gonzalo. Al vederla, Don Juan si avvicina e compie una sorta di sbeffeggiamento: tira la barba della statua. A questo punto, la statua si anima e dice a Don Juan di aspettarlo perché un giorno sarebbe andata a cena da lui. Don Juan accetta, non credendo sarebbe stato possibile, ma effettivamente la statua si reca a cena da Don Juan. Durante la cena, la statua invita a sua volta Don Juan a cena da lei, e Don Juan accetta. Don Juan va alla cena (unica occasione in cui il giovane rispetta la parola data), ma la cena gli risulterà fatale: nel momento in cui Don Gonzalo prende la mano di Don Juan, il giovane muore e viene condannato agli inferi sotto gli occhi di Catalinón. L’opera si conclude con tutti i personaggi che si recano presso il re, per chiedere giustizia di tutti gli inganni subiti. A questo punto arriva Catalinón, che racconta la morte di Don Juan. A Analisi Dal punto di vista strutturale, il testo è suddiviso in tre jornadas, ed è evidente che non vengono rispettate le unità di luogo e tempo. Riguardo l’unità di azione invece, esistono due correnti di pensiero: - L’unità d’azione è rispettata, poiché nonostante i cambi di tempo e luogo la storia principale resta sempre quella del personaggio di Don Juan; – L’unità d’azione NON è rispettata poiché la seconda parte del testo non è più incentrata su Don Juan, bensì sul convidado de piedra. Le tre giornate sono internamente divise in scene, a loro volta numerate in versi. Tuttavia, vediamo che le scene non sono numerate e a distinguerle vi sono le didascalie che descrivono il luogo, il tempo e il movimento dei personaggi (la numerazione delle scene verrà introdotta nel Settecento circa). L’opera inizia in medias res, e infatti quelle che vengono descritte sono le ultime quattro burle della vita di Don Juan, prima di essere condannato. Con lo sviluppo della storia comincia ad essere evidente l’interesse di Tirso de Molina per il tema della verità. Il tema della verità che interessa a Tirso appartiene principalmente alla sfera teologica ed esistenziale, ma al tempo era una tematica molto dibattuta anche in ambito letterario (basti pensare ai vari generi di prosa che trattano il contrasto tra realtà e finzione o allo stesso Don Quijote in cui Cervantes mostra l’errore di Alonso Quijano nel non comprendere che le narrazioni cavalleresche non sono storie reali, cercando di far capire che il lettore deve essere in grado di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è, e che la letteratura, pur rispettando la verosimiglianza, è comunque frutto di finzione). Nella scena dell’inganno ad Isabela vediamo infatti come i vari personaggi si rapportano nei confronti della verità: all’inganno di Don Juan si legano tutta una serie di altre menzogne e di racconti in cui la verità appare solo parzialmente, poiché vengono rielaborati in virtù dell’apparenza (tema del ser y parecer) e del vantaggio personale (corruzione classi nobili). Tirso de Molina non è il primo ad inventare un personaggio come quello di Don Juan: la figura del libertino, del seduttore seriale e di colui che inganna donne di più bassa estrazione sociale era già molto diffusa nella tradizione folkloristica spagnola barocca. Tra gli elementi del folklore spagnolo che vengono ripresi nell’opera abbiamo: – Il giovane sfacciato che si prende gioco dei defunti dando un calcio ad un teschio o tirando la barba delle statue: ecco quindi che il comportamento di Don Juan di fronte alla statua di Don Gonzalo non è un’invenzione di Tirso de Molina, ma era già presente nella cultura del tempo. – L’immagine del morto che chiede vendetta ad un vivo – Il convidado de piedra (elemento appartenente ad un folklore di natura più colta) Vediamo quindi che attraverso l’inserimento di immagini folkloristiche sia colte che popolari, Tirso di Molina riusciva a rivolgersi a tutte le classi sociali e a garantirsi l’attenzione del pubblico, attratto dal fatto di vedere in scena degli elementi che già conosceva. Inoltre, l’inserimento di questi elementi garantiva anche un forte effetto sorpresa a fine rappresentazione, poiché nella tradizione popolare il giovane peccatore finiva per essere salvato (cosa che nell’opera invece non accade). Le novità di Tirso de Molina Nonostante i numerosi richiami alla tradizione folkloristica spagnola, El burlador de Sevilla y convidado de piedra è un’opera che presenta moltissime novità ed innovazioni. Sul piano contenutistico abbiamo l’introduzione di una forte riflessione di natura teologica ed esistenziale. Ricordiamo infatti che Tirso de Molina era un religioso, e che ci troviamo nella prima metà del Seicento, quindi in piena Controriforma. Ecco quindi che in concomitanza con la diffusione di nuove idee riguardanti la religione e l’esistenza umana, tra le tematiche innovative che vengono trattate nell’opera troviamo la riflessione sul peccato, il libero arbitrio, il tema del pentimento e della possibilità di salvezza. La riflessione sulla salvezza si realizza attraverso il fatto che, nonostante in altre opere Tirso de Molina permetteva ai peccatori di salvare la loro anima, dato che Don Juan chiede di potersi confessare solamente in punto di morte, viene condannato alla dannazione eterna. Nel corso dell’opera, Tiso de Molina ci fa capire che il peccato di Don Juan è una sorta di peccato di superbia, poiché Don Juan crede di avere tutto il tempo a disposizione per potersi pentire. È ciò che viene espresso nella frase tan largo me lo fiáis (“c’è tempo”) che Don Juan ripete a Catalinón quando l’amico gli suggerisce di smetterla di compiere i suoi inganni e pentirsi. Vi è quindi questa attitudine di sfrontatezza nei confronti di tutti, che lo porta a pensare che il tempo a sua disposizione sia infinito: il peccato di superbia risiede nel fatto che Don Juan non riconosce la finitezza della dimensione temporale in cui si muove l’essere umano, credendo di avere a disposizione un tempo infinito che però è riservato solo a Dio. Attraverso la negazione della confessione in punto di morte, Tirso de Molina ci vuole far capire che l’uomo non ha tutto il tempo che desidera per riconoscere i propri peccati, che la dimensione in cui si muove l’uomo è una dimensione finita. Potremmo quindi vedere questo suo peccato anche come una sorta di eccessiva fiducia nella benevolenza di Dio, che ci fa capire (assieme al fatto che chiede di potersi confessare) che, nonostante le sue malefatte, Don Juan è un uomo credente. Altra novità introdotta da Tirso de Molina è la condanna finale di Don Juan. Con la sua opera infatti, Tirso de Molina si oppone al modello della comedia de santos, genere teatrale nato durante i secoli d’oro che, a causa del suo successo, era molto conosciuto da tutto il pubblico. La comedia de santos metteva in scena la vita di un santo, andando a rappresentare tutte le fasi della sua vita: le cattive azioni, l’abbandono dei vizi, la conversione, il martirio e la santificazione. Questo tipo di rappresentazione aveva un intento moralizzatore ben preciso, poiché mostrava che attraverso il pentimento e la confessione si poteva raggiungere la salvezza. Nella storia del burlador invece, nonostante l’estremo pentimento e la richiesta di confessione in punto di morte, a Don Juan viene negata la confessione e viene condannato agli inferi perché ormai troppo tardi. Per questo motivo la conclusione del burlador costituiva un vero e proprio colpo di scena che il pubblico non poteva aspettarsi. Dal punto di vista strutturale, novità importante è la struttura fortemente pensata, caratterizzata da tutta una serie di simmetrie e di equilibri. Il tema del tempo non è importante solo nell’ambito della riflessione teologico- esistenziale di Tirso de Molina, ma anche come caratteristica del teatro teatrale. La narrazione della storia è caratterizzata infatti dall’uso di tre tempi: – Tempo narrativo della peripezia: tempo in cui avviene la narrazione degli eventi che intercorrono tra un inganno e l’altro, caratterizzato da un ritmo regolare – Tempo teatrale dell’inganno: tempo in cui avviene la narrazione degli inganni di Don Juan, caratterizzato quindi da un ritmo molto incalzante – Tempo lento della parola: tempo in cui avvengono le seduzioni di Don Juan e i monologhi dei personaggi (es. monologo di Tisbea), caratterizzato da un ritmo piuttosto lento che aumenta l’intensità della scena Questi tre tempi vanno a confrontarsi con il tempo per eccellenza: l’eternità. Attraverso l’immagine dell’apparizione della statua che rappresenta l’intervento della giustizia divina, Tirso de Molina tratta la sua riflessione sulla condanna (altra problematica tipica del periodo della Controriforma). Tirso de Molina vuole riflettere su fino a che punto l’uomo è padrone del proprio destino e su quanto le azioni degli uomini sono importanti per un’eventuale condanna. A questa riflessione si lega un’altra opera di Tirso de Molina, intitolata El condenado por desconfiado: opera che può essere considerata come l’altra faccia della medaglia del    burlador. Infatti, nell’opera ci sono due protagonisti che sono l’uno l’esatto opposto dell’altro: Enrique, un peccatore incallito che nonostante i suoi errori alla fine si pente e ottiene la salvezza, e Pablo, uomo che pur non commettendo grandi peccati mette costantemente in dubbio la benevolenza di Dio, e viene quindi condannato. Ecco quindi che pur avendo una situazione completamente opposta rispetto alla storia di Don Juan, El condenado por desconfiado mette in scena la stessa riflessione sul libero arbitrio presentata anche ne El burlador de Sevilla. Infatti, se possiamo vedere il peccato di Don Juan come un eccesso di fede nella benevolenza di Dio, il peccato di Enrique può essere visto come un eccesso di dubbio riguardo la giustizia divina. Le due opere condividono l’ambientazione (Napoli, Siviglia…), giacché il teatro di Tirso de Molina può essere definito un teatro urbano: le rappresentazioni si ambientano sempre nelle città, poiché sono i luoghi in cui si muovono i tipi di personaggi che vengono raffigurati e il pubblico che assiste alla rappresentazione. Attraverso la narrazione di storie e la descrizione di luoghi e personaggi già noti dal pubblico (le storie raccontate sono tratte dalla quotidianità sia delle classi nobili sia di quelle più basse), Tirso de Molina si assicura una cera immedesimazione degli spettatori che si rivedono nella vicenda. Vediamo infatti che nonostante le sue cattive azioni, Don Juan risulta molto simpatico al pubblico, che simpatizza per lui perché è un personaggio molto intelligente che sa muoversi nella società.
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