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El BUSCON DE QUEVEDO, Appunti di Letteratura Spagnola

Analisi del "Buscòn de Quevedo" di Francisco de Quevedo

Tipologia: Appunti

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Caricato il 27/07/2020

Chiara.De_Fazio
Chiara.De_Fazio 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica El BUSCON DE QUEVEDO e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! BUSCÓN DE QUEVEDO La storia editoriale di quest’opera è abbastanza complessa, perché Francisco de Quevedo non riconobbe mai ufficialmente la paternità dell'opera, probabilmente per evitare problemi con la Santa Inquisizione, ma non la sconfessò neanche; non si pronunciò, si mantenne in un prudente silenzio, e non incluse questo titolo in un celebre repertorio di tutte le opere da lui pubblicate, ma l’opera è indiscutibilmente sua.  La sua attribuzione campeggia già nel frontespizio della princeps (prima edizione a stampa): “Historia de la vida del Buscón, llamado Don Pablos; exemplo de vagamundo, y espejo de tacaños” di Don Francisco de Quevedo Villegas, Cavallero de la Orden de Santiago, y Señor de Ivan Abad. Si stampa nel 1626 a Saragozza, ma circola già da vari anni in copie manoscritte. Si è arrivati ad immaginare che la datazione dell’opera debba essere collocata intorno al 1604/05. Sono state avanzate varie ipotesi; di certo sappiamo che è anteriore alla pubblicazione della princeps.  In una miscellanea che porta il titolo di “Enseñanza Entretenida, y Donairosa Moralidad”, de Don Francisco de Quevedo, pubblicata postuma nel 1648 (perché Quevedo muore nel 1645) viene pubblicato anche il Buscón, ma con un titolo diverso, che ha anche avuto una discreta fortuna: “La Historia y Vida de Gran Tacaño” (quindi se si sente parlare del “tacaño” per antonomasia, nell’ambito della letteratura spagnola aurisecolare, ci si riferisce al Buscón di Quevedo, e fu precisamente questa edizione del 1648 a garantire la fortuna di questo titolo.  Pagina di un celeberrimo manoscritto del Buscón, conservato a Madrid presso la Biblioteca de la Fundación-Museo Lázaro Galdiano: è un manoscritto eccellente, in cui possiamo vedere che anche il Buscón è suddiviso in 3 libri. Questo famoso Manuscrito “Bueno” viene identificato anche con la sigla “B” (dal nome di Juan José Bueno, bibliotecario de la Universidad de Sevilla, che fu uno dei primi proprietari di questo testo preziosissimo) ed è così importante perché si ritiene essere l'esatta copia dell'originale. Secondo alcuni sarebbe stata realizzata sotto la supervisione dello stesso Quevedo, che intendeva farne omaggio ad un’alta personalità. Non lo scrisse Quevedo di suo proprio pugno, ma è un esemplare preziosissimo, probabilmente commissionato da lui stesso per omaggiare qualche personaggio illustre della corte di Madrid. E’ considerato la migliore versione del Buscón, specchio dell’ultima volontà dell’autore; il testo definitivo, quello che avrebbe voluto licenziare. Perciò, molti editori moderni hanno scelto di pubblicare questo testo del Manoscritto B, che presenta delle varianti molto interessanti. Ci sono anche altre copie manoscritte del Buscón: tutti gli editori moderni, come Fernando Cabo Aseguinolaza, che ha realizzato una delle migliori edizioni del Buscón, le passa in rassegna nella sua nota al testo dell’edizione RAE e in quella Crítica (ad es. il Manoscritto “C” de la Catedral de Córdoba; il Manoscritto “S” Santander, de la Biblioteca Menéndez-Pelayo). LIBRO PRIMERO – CAPÍTULO 1 del manoscritto B “En que cuenta quién es el Buscón” tratto in comune con il Lazarillo de Tormes, che inizia con ⟶ tratto in comune con il Lazarillo de Tormes, che inizia con “Cuenta Lázaro su vida y cúyo hijo fue”, dunque vediamo che la genealogia infamante marchia dalla nascita entrambi i picari (Lázaro era figlio di un mugnaio ladro e di una donna dalla dubbia moralità). Il testo inizia con un “Señora”, variante esclusiva del manoscritto B, dunque, l’interlocutore di Don Pablos è una donna. Rosa Navarro ha formulato un’ipotesi per cui il “Vuestra Merced” del Lazarillo de Tormes sarebbe una nobildonna (e che l’arcipreste sarebbe il suo confessore) e che, quindi, questo di Quevedo sarebbe un omaggio al “Vuestra Merced” del Lazarillo. Solo il manoscritto B porta la variante señora; tutti gli altri testi presentano un interlocutore maschile: “Señor”. Don Pablos indirizza la sua autobiografia di picaro ad un unico destinatario (a differenza del Guzmán de Alfarache, che era rivolto ad un vasto pubblico, che includeva il volgo ignorante e superficiale, ma anche il discreto lettore, con il proposito di mettere in guardi tutti dai pericoli che comporta l’imboccare la strada del vizio), un “vuestra merced”, uomo o donna che sia. Perché scrive la storia della sua vita? Questo è il grande quesito che non trova una risposta plausibile; un tentativo proviene da due manoscritti, identificati con le sigle C e S (Córdoba e Santander), i quali includono una carta dedicatoria di pochissime righe: “perché è venuto a sapere che Vuestra Merced ha desiderio di conoscere le vicissitudini della sua vita”. Ma non si capisce perché questa Vuestra Merced dovrebbe aver coltivato il desiderio di conoscere la storia della vita di un picaro (nel caso di Lázaro, invece, la giustificazione era valida, perché abbiamo messo in relazione il rapporto stretto tra Vuestra Merced e l’arciprete). Continua Pablos, dicendo: “Per non dare adito ad altri di mentire, ho voluto mandarle questo racconto, che si connota anche per il suo carattere di lettura di evasione. Sarà motivo di svago nei suoi momenti di tristezza”. Questa giustificazione, però, si regge poco: è del tutto ingiustificato un eventuale interesse di una Vossignoria per la vita di Pablos. Il manoscritto Bueno inizia in medias res, presentando la famiglia di Pablos. Molto spesso Quevedo utilizza un “lenguaje de lampa”, dei bassifondi, della malavita (in cui si utilizza un termine volendone dire un altro); inoltre gioca con le parole, ne crea nuove, ecc. Fu figlio di Clemente Pablo, barbiere di mestiere, ma che aveva ambizioni più alte: si vergognava di essere definito un semplice barbiere, quindi si autodefiniva “tensore di mascelle”, “rifilatore di guance” e “sarto di barbe”. Era sposato con Aldonza de San Pedro, che era una conversa, la quale soffrì molto, perché le malelingue dicevano che suo marito metteva due dita della mano nelle tasche dei clienti per rubare il denaro (lo accusavano di essere un ladro, esattamente come Tomé Gonzales, il padre di Lázaro). Fu dimostrato che, mentre mio padre faceva la barba ai clienti, li derubava con la complicità di un mio fratellino di 7 anni, che poi morì per le tante frustate che ricevette in carcere. A mio padre dispiacque molto, perché era proprio un ladro provetto, riusciva a rubava a tutti perché era un bimbo incantevole. Anche mio padre venne imprigionato e punito pubblicamente, ricevendo 200 frustate. Mia madre “incantava” (echizaba) tutti coloro che avevano a che fare con lei: il verbo “echizar” ha un doppio significato in ⟶ tratto in comune con il Lazarillo de Tormes, che inizia con senso figurato, “incantava” può significare che era una donna incantevole; oppure, in senso proprio, può significare “fare dei sortilegi, quindi era una fattucchiera e anche alcahueta (alcuni compagni di scuola di Pablos gli dicono che era anche una prostituta). La descrizione dei vari mestieri della madre di Pablos ci riporta alla memoria la Madre Celestina: era maestra di restituito virginitatis, di cosmetici, profumi, copri capelli bianchi, ridava nuova vita al cuoio capelluto, creava polpacci posticci per rimpolpare gambe rinsecchite, ecc. Pablos comincia a crescere e i genitori litigano per decidere quali servizi di casa dovesse fare. “Yo, que siempre tuve pensamiento de caballero desde chiquito, nunca me apliqué ni a uno ni a otro”: Pablos ha sempre voluto essere altro da quello a cui lo condannava la genealogia infamante; non vuole essere come i suoi genitori. Mentre i genitori litigano, rinfacciandosi a vicenda cose poco edificanti, si scopre che sua madre è anche strega, si dedica alla magia nera e si vanta di aver salvato suo marito dalle torture a cui era stato spesso sottoposto perché doveva confessare il nome dei complici dei suoi furti. Pablos mette fine alle discussioni fra i genitori dicendo che lui non vuole essere come nessuno dei due, lui vuole andare a scuola, perché senza saper leggere né scrivere non si va da nessuna parte. I genitori non sono contenti di questa scelta, ma alla fine lo iscrivono a scuola, dove poi conoscerà il suo migliore amico, Don Diego Coronel, figlio di un nobile cavaliere (l’amicizia tra i due non conosce ostacoli di status sociale, diventeranno inseparabili e lo saranno fin quando Pablos non si macchierà di crimini che giungeranno alle orecchie del padre di Don Diego, il quale scriverà al figlio di troncare ogni rapporto con Don Pablos, che rischia di metterlo sulla cattiva strada). La frase di Pablos, il quale dice di voler essere cavaliere sin da piccolo, è importante perché, in qualche modo, la vita del Buscón è come una storia sull’identità sociale. Durante tutta la sua vita, Don Pablos aspira ad essere altro, a sottrarsi a quel marchio infamante che, in un modo o nell’altro, è presente in tutti i membri della sua famiglia. LIBRO PRIMERO – CAPÍTULO 7 “De la ida de Don Diego, y nuevas de la muerte de su padre y madre, y la resolución que tomó en sus cosas para adelante” tratta di quando Don Pablos ha accompagnato, come suo servitore, il ⟶ tratto in comune con il Lazarillo de Tormes, che inizia con suo amico Don Diego ad Alcalá, che si è iscritto all’Università. Lì è vittima di una serie infinita di burle e comincia a consolidare la sua fama di picaro, tanto che il padre di Don Diego gli scriverà di tagliare i ponti con Don Pablos e non avere più nulla a che fare con lui. Inoltre scopriamo un altro membro della famiglia di Pablos. Mentre sono ad Alcalá de Henares, arrivano due lettere, una per Don Diego e una per Don Pablos, da parte di un suo zio di Segovia, chiamato Don Alonso Ramplón, che fa il boia e ha dovuto giustiziare il padre di Pablos, che era stato condannato alla pena capitale.
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