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Elementi della domanda e Difese del convenuto, Schemi e mappe concettuali di Diritto Processuale Civile

Il testo di riferimento è il Balena, ma è stato ampiamente integrato con esempi, collegamenti a molteplici istituti, spiegazioni aggiuntive

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 04/04/2023

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dariocapaldo.gear1 🇮🇹

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Scarica Elementi della domanda e Difese del convenuto e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! La domanda e i suoi elementi Anzitutto è importante comprendere che un problema centrale, nell’ambito processuale è da un lato determinare le conseguenze giuridiche derivanti da certi fatti, dall’altro stabilire chi è come introdurre i fatti dei quali il giudice deve tenere conto. È imposto al giudice un divieto assoluto di utilizzare la c.d. scienza privata ossia di far uso dell’eventuale sua conoscenza dei fatti rilevanti per la causa. Detto ciò, va fatta una preliminare distinzione tra: • Fatti principali: sono quelli che possiedono efficacia costitutiva, modificativa, estintiva e impedita del diritto fatto valere in giudizio. Sono, in altri termini, quelli che rilevano in via diretta per l’accertamento dell’esistenza o inesistenza del diritto dedotto in giudizio. Essi entrano nel processo grazie agli atti difensivi del convenuto e le allegazioni dell’attore • Fatti secondari: essi non individuano il diritto o le eccezioni che il convenuto può proporre, ma i fatti che vengono allegati e conosciuti dal giudice a fini probatori, ossia allo scopo di dare prova dei fatti principali. Essi solitamente entrano nel processo attraverso i mezzi di prova L’introduzione dei fatti principali all’interno del processo, spetta in linea generale alle parti, le quali vi provvedono rispettivamente tramite la domanda (costituita dai fatti costitutivi), o l’eccezione quando si tratti di fatti impeditivi, estintivi o modificativi. a. Fatti costitutivi b. Fatti estintivi c. Fatti modificativi d. Fatti impeditivi L’articolo 2907 c.c. disponendo che “ alla tutela giurisdizionale dei diritti, provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte “ si riallaccia inscindibilmente all’art. 99 c.p.c. secondo il quale “ chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente “. Per tanto la prima ed essenziale funzione della domanda è quella di determinare l’oggetto stesso del processo, in quanto in base ad esso il giudice si vincola. In sostanza la parte proponendo una domanda giudiziale, limiti la cognizione del giudice, il quale (in base all’art. 112 c.p.c.) deve pronunciarsi esclusivamente su ciò che le parti hanno chiesto. È il principio di corrispondenza tra chiesto e giudicato. Possiamo fare alcune osservazioni su tutto ciò appena detto: • Sicuramente il giudice è vincolato ai fatti principali. Ma non necessariamente ai fatti secondari. Il giudice non può porre a fondamento di una sua decisione fatti diversi, ma può fondare la sua decisione su fatti secondari non allegati dalle parti ma che ha acquisito nel corso del processo. • Riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti (ossia l’individuazione della norma che regola quel fatto), per essa il giudice non è vincolato. Egli può porre a fondamento della sua decisione anche una qualificazione giuridica dei fatti diversa da quella indicata dalla parti. La norma che di volta in volta disciplina il fatto dedotto in giudizio è un’operazione intellettuale che spetta al giudice sulla base del brocardo latino “ iura novit curia “, con l’unico limite che ove il giudice intenda porre a fondamento della sua decisione una norma diversa da quella indicata dalle parti, ha l’onere di indicare alle parti l’esistenza di tale norma, in modo da permettere il rispetto del principio del contraddittorio. • Il giudice è vincolato a pronunciarsi “su tutta la domanda non oltre limiti di essa” nonché la sentenza passata in giudicato copre il dedotto e il deducibile così come sottolineato dall’ordinanza della Cassazione n. 16/2020 nonché dall’art. 2909 c.c. secondo cui “ l’accertamento contenuto nella sentenza fa stato tra le parti, gli aventi causa, gli eredi “. Esempio: io agisco in giudizio chiedendo la condanna di Tizio per il risarcimento del danno derivante dal fatto che sono stato investito da Tizio mentre attraversavo la strada sulle strisce pedonali; Tizio si costituisce dicendo che non mi ha investito e un testimone, che il giudice sente, dice che io ho attraversato la strada mentre il semaforo era rosso. Questo è un fatto secondario che anche se non è stato indicato dalle parti, deve essere tenuto in considerazione dal giudice, in quanto serve a dare prova dell’esistenza del fatto costitutivo. Esempio: l’a%ore ri*ene che in quella fa1specie ricorra una forma di responsabilità di *po extracontra%uale; il giudice può dire “no non si applica il 2043 cc ma si applica la norma sulla responsabilità contra%uale La prima parte del contenuto dell’art. 112 c.p.c. implicitamente dispone 3 vizi di sentenza: 1. L’omessa pronuncia del giudice (ad esempio il giudice non si esprime su tutte le domande giudiziali, ma solo su alcune) 3. Il caso dell’ultra petizione, ossia in un provvedimento che vada oltre la domanda (esempio: il giudice pronuncia sentenza di condanna quando l’attore aveva chiesto semplicemente un mero accertamento) 5. Il caso di extra petizione, ossia quando il giudice si pronuncia in assenza di una domanda, o su oggetto diverso della domanda. Gli elementi identificativi della domanda: A. Le parti B. Il petitum ossia l’oggetto della domanda C. Causa petendi • Tradizionalmente si distingue tra Petitum immediato ossia il provvedimento che si chiede al giudice (il mero accertamento, la condanna, il sequestro ecc.) • Il Petitum mediato ed esso si riferisce all’oggetto al cui soddisfacimento è diretta la domanda, ossia il bene della vita che si chiede nei confronti della controparte. Ai sensi dell’art. 163 c.p.c. viene qualificato come la cosa oggetto della domanda, l’utilità concreta a cui l’attore aspiraOssia le ragioni di diritto e di fatto su cui la domanda si fonda Esempio: Se io agisco in giudizio per la rivendica, il petitum immediato è l’accertamento della mia proprietà, il petitum mediato è il bene della vita ossia la casa Nell’individuazione della causa petendi il problema da sempre, in qualunque ordinamento processuale, è capire se il concetto di causa petendi si individua sulla base del solo diritto dedotto in giudizio o dei fatti costitutivi da cui questo diritto trae origine. Esempio: se io agisco in giudizio nei confronti di Marco, chiedendo che egli mi restituisca un immobile che occupa senza titolo. la causa petendi è costituita dal mio diritto di proprietà sul bene che egli occupa senza titolo o dai fatti costitutivi del mio diritto di proprietà Su questa domanda si sono contrapposte 2 diverse teorie: ➡ Teoria dell’individuazione ➡ Teoria della sostanziazione Secondo la teoria dell’individuazione per individuare la domanda era sufficiente indicare il diritto in forza del quale si agiva. Ciò comportava che anche se nel corso del processo muta il fatto costitutivo del diritto, in forza del quale si agisce, è necessario che sia sempre nell’ambito della stessa domanda Ma se passa in giudicato la sentenza che ha negato l’esistenza di quel diritto, il giudicato copre il dedotto e il deducibile e quindi non sarà possibile agire in un nuovo processo per la tutela di quel diritto sulla base di un diverso fatto costitutivo. Esempio: Tizio cita in giudizio Caio, sostenendo che occupa un’immobile di sua proprietà; e per tanto chiede al giudice di condannare Caio al rilascio dell’immobile. Per i fautori di tale teoria, il motivo per il quale Tizio è proprietario dell’immobile è totalmente irrilevante Esempio: se io agisco in giudizio nei confronti di Marco chiedendo al giudice di condannarlo al rilascio del mio immobile, perché ne sono proprietario. Passata in giudicato la sentenza che nega l’esistenza di tale diritto. Io non potrò agire in un nuovo processo chiedendo che venga riconosciuto proprietario perché avevo usucapitoCritica: tale teoria finisce per determinare un rischio di giudicati contrastanti, solo perché è stato mal indicato il fatto costitutivo del diritto da cui scaturisce la domanda Attività del convenuto Possiamo dire che 4 sono le azioni difensive a cui può ricorrere il convenuto, ossia colui contro il quale l’azione giudiziale è posta in essere: Nel nostro ordinamento non esiste, contrariamente a quanto accade in ordinamenti stranieri, un obbligo per il convenuto di partecipare al processo, nel senso che egli può scegliere di non costituirsi in giudizio e di rimanere quindi contumace.Nello specifico la legge distingue tra: • Costituzione tempestiva: ossia quella che il convenuto effettua, depositando (almeno nel processo ordinario) presso la Cancelleria del giudice competente, un atto di “ comparsa di risposta”. In tale atto il convenuto esercita la sua difesa. Si dice tempestiva la costituzione che il convenuto effettua almeno 20 giorni prima dell’udienza di trattazione (ossia l’udienza fissata dall’attore nell’atto di citazione). La costituzione tempestiva è molto importante in quanto da la possibilità al convenuto di esercitare azioni altrimenti precluse; ossia la proposizione di domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi e proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio. • Costituzione tardiva: ossia quando il convenuto si costituisce in giudizio dopo il termine di 20 giorni precedenti all’udienza ed entro la prima udienza di trattazione. La costituzione tardiva ha come conseguenza l’impossibilità per il convenuto di esercitare alcune attività difensive quali: proposizione di domanda riconvenzionale, chiamare in causa un terzo e proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio (queste tre azioni sono precluse) Nel nostro ordinamento la contumacia non equivale necessariamente a “ ficta confessio” (se non in specifiche ipotesi di legge) presumendo quindi ch è in torto, ma è considerato un comportamento neutro. Ciò significa che qualora il convenuto eserciti l’azione di contumacia non incorre in alcuna sensazione o conseguenza specifica. Infatti nonostante la contumacia del convenuto, l’attore dovrà comunque provare l’esistenza dei fatti costitutivi del suo diritto Generalmente la contumacia, avviene per volontà del convenuto, tuttavia è possibile casi nei quali il soggetto è contumace perché non è venuto a conoscenza della citazione in giudizio. Ossia la contumacia è determinata da vizi della notificazione o della citazione (è la c.d. Contumacia involontaria). Dalla contumacia involontaria derivano 2 conseguenza: 1. Il convenuto può, in qualunque momento del processo, costituirsi e chiedere ed ottenere dal giudice di esercitare tutte le attività difensive ( poiché io Dario convenuto solo ora sono venuto a conoscenza del processo, anche se sono già scaduti i termini per la costituzione tempestiva, lei giudice mi deve consentire di esercitare ugualmente tutte le mie azioni difensive, TUTTE) 3. La sentenza pronunciata nei confronti del contumace involontario è una sentenza nulla, per violazione del principio del contraddittorio. Attenzione qualora, tuttavia tale sentenza fosse passata in giudicato, bisogna soffermarsi sull’eventuale notificazione o meno della pronuncia. ‣ Se non gli è stata notificata, non c’è alcun dubbio: non può passare in giudicato. Come disposto dall’art. 327 c.p.c. “ il termine lungo di impugnazione (termine di 6 mesi dalla pubblicazione/deposito della sentenza) non si applica al contumace involontario, il quale se la sentenza non gli è stata notificata potrà impugnare la sentenza entro 6 mesi da quando ne ha avuto conoscenza “ ‣ Se la sentenza gli è stata notificata, in tal caso ove non impugna, la sentenza passa in giudicato ed è valida ed efficace in applicazione del principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione. Il contumace poteva impugnare la sentenza notificatagli, si è reso conto di un vizio ma non ha impugnato. La mancata impugnazione in tal caso è dipeso da una sua negligenza e quindi si applica l’art. 161 c.p.c. per cui la nullità deve essere fatta valere come mezzo di impugnazione; se non è fatta valere la mancata impugnazione sana il vizio A. Contumacia Possiamo dire quindi che per contumacia si intende quel fenomeno in forza del quale la parte (il convenuto) non si costituisce in giudizio ne nei 20 giorni prima dell’udienza ne direttamente all’udienza Si definisce attività di mera difesa o anche “ di contestazione “, la negazione da parte del convento della fondatezza della domanda; in particolare la negazione dei fatti costitutivi del diritto vantato dall’attore. B. Mera difesa In qualche caso l’attività di mera difesa può consistere anche nell’allegazione di un fatto nuovo, ma si tratta sempre e comunque di un fatto secondario, cioè un fatto che viene introdotto nel processo, non perché appartiene ai fatti costitutivi da un lato, o ai fatti estintivi/modificativi/impeditivi dall’altro, ma è un fatto che viene allegato nel processo solo a fini probatori, solo per dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di un fatto principale. Esempio: Se Io vengo citato in giudizio da uno di voi, dicendo: “professore lei con il suo scooter mi ha investito mentre io ero fermo al semaforo e mi ha distrutto la macchina, chiedo quindi il risarcimento del danno”. Io professore nego la fondatezza della vostra domanda (non si è mai realizzato il tuo diritto) e allego la ricevuta di un garage dalla quale risulta che il mio scooter nell’ora dell’incidente si trovava depositato in un parcheggio e quindi non potevo essere lì il giorno dell’incidente. Pertanto attraverso la mera difesa: • Non si allarga né l’oggetto del giudizio • Né l’esame, da parte del giudice, dei fatti rilevanti, salvo la possibilità per il convenuto di allegare fatti secondari al fine di dimostrare l’inesistenza di un fatto principale L’attività di mera difesa è molto importante perché la contestazione di un fatto, lo rende controverso e quindi bisognevole di prova (da parte dell’attore). L’istituto pone all’interno del processo 2 problemi: a. C’è una preclusione alla mera difesa? b. Quel’è l’effetto della non contestazione? Tale problema nasce dall’assenza di termini posti a carico del convenuto per la contestazione dei fatti costitutivi del diritto vantato dall’attore. Non esiste cioè all’interno del c.p.c. un termine entro il quale è possibile esercitare l’attività di mera difesa del convenuto. Esiste solo una generica espressione contenuta nell’art. 166 c.p.c. per la quale il convenuto deve prendere posizione sui fatti affermati dall’attore nella comparsa di risposta. • Una parte della dottrina, soffermandosi sul termine “ deve “ ha ritenuto che la contestazione del convenuto deve essere promossa, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta (tuttavia è una tesi molto debole in quanto prevede una preclusione che non è prevista dalla legge) • Altra parte della dottrina (tra cui Balena) ritiene che l’attività di mera difesa sia possibile per tutto il corso del processo: il convenuto può contestare in qualunque momento i fatti costitutivi dell’attore. ( anche essa tuttavia è debole perché consente al convenuto di contestare senza un termine i fatti, rischiando inoltre di non garantire all’attore il diritto alla prova dei fatti costitutivi ex art. 183 secondo il quale l’ammissione del mezzo di prova è concessa non oltre la seconda memoria) • Secondo la giurisprudenza e dottrina, oggi domindante, il convenuto può contestare i fatti costitutivi del diritto dell’attore fin quando l’attore ha il potere di provare quesi fatti, dopo tale momento al convenuto non è più concesso la contestazione. In sostanza: il convenuto può contestare fino ed entro la prima memoria ex art. 183 c.p.c. in modo tale da dare la possibilità nella memoria successiva all’attore di poter replicare e darne prova. a. Tale distinzione è molto importante per due ordini di ragioni: - Il giudice ai sensi dell’art. 112 c.p.c. non può rilevare d’ufficio eccezioni riservate alle parti, il che vuol dire che se per esempio rileva d’ufficio la prescrizione, darebbe vita ad una sentenza nulla. Così come sarebbe nulla la sentenza in caso di mancata rilevazione d’ufficio del giudice di un’eccezione in senso ampio. - In considerazione dei fini del sistema delle preclusioni, il cui regime è molto diverso ✦ Nel processo ordinario di cognizione, le eccezioni in senso stretto, vanno promosse, a pena di decadenza, 20 giorni prima dell’udienza di trattazione (dal convenuto che si sia tempestivamente costituito). Ciò significa che se un avvocato non eccepisce l’eccezione nel termine di 20 giorni prima dell’udienza, quell’eccezione (compensazione, prescrizione ecc.) non sarà più proponibile, ed il giudice sull’eccezione non potrà pronunciarsi ✦ In appello non si possono proporre nuove eccezioni a meno che non siano rilevabili d’ufficio Per capirci sul terzo punto: - Se il debitore ha pagato, il giudice non può condannarlo nuovamente solo perché non ha eccepito il fatto. Perché ciò significherebbe riconoscere all’attore un diritto che non ha Secondo parte della dottrina tradizionale poiché per le eccezioni in senso stretto il convenuto ha l’onere di provare i fatti estintivi, modificati o impeditivi, allora ha anche l’onere di allegare questi fatti. (Impostazione ormai superata) La dottrina moderna e pressoché prevalente, abbandona l’impostazione tradizionale in quanto onere della prova e onere dell’allegazione sono due istituti molto diversi: • Una cosa è provare un fatto • Una cosa è allegare questo fatto Perché una volta che il fatto è allegato in giudizio, indipendentemente da chi l’ha allegato (se dall'attore o dal convenuto) il giudice ne può tener conto in virtù del c.d. principio di acquisizione. Esempio: se l'attore deposita un documento in giudizio dal quale risulta che il convenuto ha pagato, anche se questo documento non è stato depositato dal convenuto, il giudice considera provato il pagamento e quindi rigetta la domanda. Questo dimostra che prova e allegazione sono su piani diversi, tanto è vero che quando l'eccezione è rilevabile d' ufficio chiunque alleghi il fatto il giudice ne tiene conto, indipendentemente su chi grava l'onere della prova. Oggi, La tesi prevalente in dottrina (accolta da Balena e Oriani) e giurisprudenza, supportata da almeno 2 sentenze delle Sezioni Unite è quella della Regola Dell’eccezione Rilevabile D’ufficio. Sulla base di vari argomenti: 1. Il primo si fonda sulla lettura dell’art. 112 c.p.c. secondo il quale il giudice non può rilevare d’ufficio eccezioni riservate alle parti. Ciò significa che può rilevare d’ufficio solo quelle che non riservate alle parti 2. La seconda di carattere sistematico: se si guarda le norme del c.p.c. ci si rende conto che il legislatore quando si occupa del regime delle eccezioni, lo fa quasi sempre disponendo che l’eccezione è in senso stretto e quindi la regola è l’eccezione rilevabile d’ufficio. In altri termini L’eccezione si considera sempre in senso ampio, quindi sempre rilevabile d’ufficio a meno che non vi sia una espressa previsione di legge in senso contrario. A ciò si deve aggiungere che il fatto estintivo, modificativo o impeditivo può essere posto a fondamento di un’autonoma. 4. La terza di carattere funzionale: il processo serve a tutelare i diritti, non a creare diritti inesistenti. Per usare una frase di Chiovenda Il problema è che in molti casi il legislatore non specifica se una certa eccezione è rilevabile o meno d’ufficio. E per tanto sorge l’esigenza di stabilire, in questi casi, se vi sia una regola a cui ci si può appellarsi: C. Proposizione di Eccezione Ulteriore problema è capire se esiste un termine per l’allegazione delle eccezioni in senso ampio, ossia le eccezioni rilevabili d’ufficio. Sul punto la legge contiene una sola norma espressamente dedicata alla materia: l’art. 345 c.p.c. secondo il quale “ in appello sono ammesse nuove eccezioni se rilevabili d’ufficio “. Tuttavia l’articolo dispone solo la possibilità di rilevare d’ufficio nuove eccezioni, ma non se esiste un termine massimo di allegazione rilevabili d’ufficio. Il problema si è posto perché per lunghissimo tempo la giurisprudenza ha distinto 2 concetti diversi: • Allegazione del fatto estintivo, modificativo o impeditivo • Rilevazione dei suoi effetti da parte del giudice Secondo una parte della dottrina della giurisprudenza, queste due attività operano su piani temporali diversi e anche concettuali diversi, ciò significava che il giudice poteva rilevare (notate rilevazione) d’ufficio l’eccezione per tutto il corso del processo e anche in appello, ma purché il fatto su cui si fondava l’eccezione fosse stato tempestivamente allegato nel processo (ossia con il primo termine dell’art. 183 c.p.c.) Tale orientamento della cassazione è oggi superato, grazie ad una importantissima sentenza a Sezioni unite in materia di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. Oggi per tanto si è stabilito che “ non esiste alcuna preclusione all’allegazione di un fatto modificativo, estintivo o impeditivo rilevabile d’ufficio, si può proporre senza alcun limite per tutto il corso del processo, anche in appello “. C. Proposizione di Eccezione L’ultima attività che il convenuto può assumere all’interno del processo è quella della domanda riconvenzionale: la domanda cioè che il convenuto rivolge nei confronti dell’attore con la quale allarga contemporaneamente sia il novero dei fatti rilevanti ai fini della decisione sia l’oggetto del processo e del giudicato (che si forma sia sulla pretesa dell’attore che del convenuto). Il convenuto non si limita a chiedere il rigetto della domanda dell’attore, ma propone una vera e propria contro-domanda. L’art. 36 c.p.c. disciplina due tipi di domanda riconvenzionale: 1. La domanda riconvenzionale connessa con il titolo della domanda principale. E con la quale il convenuto fa valere una sua pretesa che è fondata sullo stesso titolo della domanda dell’attore D. Domanda riconvenzionale Esempio: Tizio cita in giudizio Caio chiedendo la sua condanna per il risarcimento dei danni da circolazione di autoveicoli. Caio si costituisce e dice che non soltanto egli non è responsabile dell’incidente, ma che la responsabilità dell’incidente è di Tizio e quindi è quest’ultimo che deve risarcire il danno. 2. La domanda riconvenzionale connessa ad un’eccezione che sia proposta in giudizio. Qui la domanda riconvenzionale non è solo connessa al titolo, ma può essere connessa anche ad un’eccezione proposta in giudizio. In sostanza il convenuto propone un’eccezione dal quale nasce un suo contro diritto nei confronti dell’attore. Esempio: Il convenuto vanta uno contro-credito nei confronti dell'attore, il cui valore è addirittura superiore rispetto al valore del credito posto a fondamento della domanda dell’attore (Tizio cita in giudizio Caio chiedendo la sua condanna a dargli 100 mila E. Caio dice che deve avere 150mila E da Tizio. Caio allora può chiedere in via riconvenzionale la condanna di Tizio a pagare la differenza Va comunque chiarito che è una scelta discrezionale del convenuto proporre l’eccezione insieme ad una domanda riconvenzionale, non è detto che le due azioni vadano a braccetto. Il convenuto può benissimo scegliere semplicemente di proporre l’eccezione e quindi chiedere solo il rigetto della domanda, così come può con l’eccezione allegare un contro-diritto per chiedere anche la condanna dell’attore (c.d. eccezione riconvenzionale) c.d. eccezione riconvenzionale Attraverso l’eccezione il convenuto allega un contro-diritto che potrebbe essere posto a fondamento di un’autonoma domanda Esempio: Tizio agisce contro caio in rivendica. Caio si costituisce ed eccepisce l’usucapione. Questa eccezione può essere anche posta a fondamento di un’autonoma domanda 3. La domanda riconvenzionale non connessa all’oggetto del processo. Essa non è espressamente prevista dall’art. 36 c.p.c.. Tale domanda è caratterizzata dall’assenza di un qualunque legame con la domanda principale. Esempio: tizio chiede la condanna di Caio al il risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di autoveicoli, e Caio, in via riconvenzionale, chiede la condanna di Tizio a rilasciare l’immobile, di proprietà di Caio, che lui occupato nonostante la scadenza del contratto di locazione. Per tali ipotesi, poiché non sono espressamente disciplinate dall’art. 36 c.p.c., dottrina e giurisprudenza si sono domandate se fossero o meno ammissibili. La risposta è positiva a condizione che questo tipo di domanda riconvenzionale non determini uno spostamento di competenza. Infatti ai sensi dell’art. 36 c.p.c. se il giudice della domanda principale non è competente a decidere, anche la domanda riconvenzionale deve rimettere sia la domanda principale che riconvenzionale al giudice superiore, affinché esso decida su entrambe le domanda (salvo l’ipotesi ex art. 35 c.p.c. “ condanna con riserva “).
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