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Elenco in punti chiave delle dispense di TEORIE DEL TEATRO (Jovicevic 2023), Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

I contenuti sono classificati in base ai Registi, permettono di avere un'ordine estremamente più schematico rispetto alle dispense così come vengono fornite.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 30/06/2023

francescopio19052001
francescopio19052001 🇮🇹

4.5

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Scarica Elenco in punti chiave delle dispense di TEORIE DEL TEATRO (Jovicevic 2023) e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! ELENCO PUNTI CHIAVE DISPENSE TEORIE DEL TEATRO (Indice Registi) (TEORIE DEL TEATRO JOVICEVIC 22/23) EJZENSTEJN! - Nel periodo che precede il Cinema (esordio "Sciopero", 1924), EJzenstejn sarà attivo nel campo del teatro; - La sua attenzione si concentra sull'organizzazione dei movimenti dell'attore sul palcoscenico, influenzato dal maestro Mejerchol'd (maggior espressività e contagiosità nei confronti del pubblico); - Nel corso degli anni '20 entrò in contatto con l'avanguardia teatrale di Mosca e Pietrogrado, tra questi, appunto, Mejerchol'd; - "Il Messicano", tra le prime realizzazioni teatrali. Si occupò delle scene e dei costumi, figlie di quello stile cubo-futurista che nei primi del '900 furono di grande riferimento; - Ne "Il Messicano", Ejzenstejn compì una delle soluzioni sceniche più rivoluzionari di sempre in ambito teatrale: l'incontro da Boxe previsto nel terzo atto fu costruito al centro della platea; - Ne "Il Messicano" vi è un primo approccio a quello che sarà poi il "Montaggio delle Attrazioni", l'elemento di "aggressione" nei confronti dello spettatore; - "Il Messicano" rappresenta il primo passo di Ejzenstejn verso il Cinema; - Ejzenstejn si distaccà nettamente dal "metodo" Stanislavskij; - Nel 1923, Ejzenstejn si diletta nella scrittura del suo primo Saggio sul Montaggio, dopo varie esperienze di Regia teatrale in cui il Montaggio stesso era astrattamente presente. NEL 1923 SCRIVE "IL MONTAGGIO DELLE ATTRAZIONI"; - "Maschere antigas" (scritto da Tret'jakov), messo in scena nel 1924, venne considerato da Ejzenstejn stesso la tappa finale del suo percorso teatrale; - L'irruzione della realtà già sperimentata ne "Il Messicano", trova in "Maschere antigas" un approccio simile. Approccio che sà di passaggio del testimone tra il teatro ed il Cinema. In "Maschere antigas", Ejzenstejn sfruttò a pieno le caratteristiche dello spazio (una vera centrale del gas a Mosca), con stile costruttivista fatto di piattaforme in legno. Sullo sfondo le grandi turbine della centrale. INTERESSANTE, alla fine dello spettacolo entrano in scena degli operai VERI, che si mettono a lavorare; - La teoria del "MOVIMENTO ESPRESSIVO" (di Ejzenstejn) nasce come SVILUPPO e CRITICA alla BIOMECCANICA (teoria del movimento dell'attore sostenuta dal suo maestro MEjerchol'd); - BIOMECCANICA, tratti: mirava ad insegnare agli attori come gestire nel modo più consapevole e preciso i propri movimenti sullo spazio teatrale (attraverso l'allenamento). L'attore deve sapere tutto riguardante i propri movimenti, in ogni istante della rappresentazione. Imparare a conoscersi ed a conoscere tutte le più diverse sfumature. Imparare a "guardarsi da lontano" (come se fosse in terza persona). Ogni movimento dev'essere accuratamente calcolato: "Se cade, deve sapere perché cade"; - Tra le tendenze che convergevano nella BIOMECCANICA, il costruttivismo e l'ingegneria, oltre che al TAYLORISMO: lo studio dei processi lavorativi e dei gesti in relazione alla lavorazione industriale; - La BIOMECCANICA, oltre che a proporsi come una MECCANICA DELL'EDUCAZIONE FISICA DELL'UOMO, è soprattutto un METODO DELLA RECITAZIONE ATTORIALE (ovviamente): l'attore biomeccanico funziona come una macchina, muovendosi nella consapevolezza di farlo e nell'armonia, appare che un singolo gesto sia come il risultato del movimento di tutto il corpo; - La BIOMECCANICA si distacca NETTAMENTE dall'Immedesimazione e riviviscenza di Stanislavskij; - L'essenza BIOMECCANICA: "Mejerchol'd era convinto che le emozioni fossero il prodotto dei loro corrispettivi movimenti corporei, e non viceversa": sono triste perché piango; - Per Ejzenstejn la BIOMECCANICA appariva come una teoria LIMITATA; - La BIOMECCANICA (per Ejzenstejn) doveva trasformarsi in una teoria "Universale", appicabile per il teatro quanto per il cinema: MOVIMENTO ESPRESSIVO DELL'OPERA D'ARTE IN GENERALE; - Trasformare, quindi, la BIOMECCANICA in una vera e propria teoria del MONTAGGIO; MEJERCHOL'D! - Dai primi anni del '900 la questione della verità è elemento di spartiacque nel Teatro russo: Rivelazione del reale, della maschera tolta (Stanislasvskij)? Teatro della finzione, dell'artificio e della maschera (Mejerchol'd)?; - In sintesi, Mejerchol'd e Stanislavskij rappresentano le "DUE VERITA' del teatro russo"; - Nel 1934 Stalin condannò il percorso intrapreso da Mejerchol'd, ufficializzando la dottrina del "REALISMO SOCIALSITA"; - STANISLAVSKIJ è FONDATORE DEL TEATRO d'ARTE di MOSCA; - IL TEATRO DELLA CONVENZIONE DI STANISLAVSKIJ: delle condizioni (tanto criticate e messe in dubbio da Stanislavskij), ne fa il perno della propria messinscena; - Per Mejerchol'd conta il carattere simbolico della scena, l'artificio appunto. Lo spettacolo va costruito, fabbricato: "Fatto"; - La fase convenzionale di Mejerchol'd segna il superamento della fase naturalista, punto fondamentale nell passaggio dal '800 al '900; - Stanislavkij è tradizionale, Mejerchol'd è moderno (passaggio al costruttivismo); - La Biomeccanica diverge incredibilmente dal "Metodo Stanislavskij" piscofisico; - Mejerchol'd, il suo studio, non ha nulla in comune con le convenzionali (paradossalmente lol) scuole di teatro. Attraverso l'approfondimento delle tecniche di recitazione della Commedia dell'arte, Mejerchol'd ha le intenzioni chiare: vuole educare un tipo di attore NUOVO; - PARADOSSALMENTE, (partendo in realtà anche dal legame con la convenzione teatrale) nel MODERNISMO di Mejerchol'd non esiste il rifiuto della tradizione. E' proprio la ripresa di tali tecniche che vanno a fondare la sua riforma teatrale; - COME PIRANDELLO, rifiuta il DRAMMA BORGHESE. Per fondare la sua riforma non fa un passo indietro restando fedele a quel Naturalismo ossessivamente presente (nel Teatro d'Arte di Mosca fondato da Stanislavskij). Bensì torna alla Commedia dell'Arte del XI sec., avvicinando (per davvero) il teatro alla vita quotidiana; - Da Mejerchol'd, la COMMEDIA DELL'ARTE rappresenta la matrice del "NUOVO ATTORE" moderno; - Tutto lo studio di Mejerchol'd è "ridotto" al problema del movimento e, appunto, della convenzionalità in relazione al LINGUAGGIO SCENICO (messinscena); - La BIOMECCANICA, la teoria, venne messa appunto negli anni '20, si presenta come una base di studio puramente fisiologica in relazione alla tecnica recitativa, fondata sul calcolo e sulla precisione: l'organciità e l'armonia; - Il METODO STANISLAVSKIJ, invece, segue un percorso (positivista sì) interiore, fondato sull'immaginazione, lo strumento fondante su cui è possibile l'attuazione della recitazione/immedesimazione/riviviscenza; PISCATOR! (RASSEGNA POLITICA) - Piscator, trova nel Naturalismo una delle radici del "Teatro Politico"; - Nelle sue messinscene, a partire dal 1925, Piscator non poteva più "limitarsi", limitare le sue idee, alle misure di una stanzetta. Doveva sconfinare, necessariamente, negli slums di una moderna metropoli; - Per poter trattare tematiche riguardanti il proletariato, bisognava ampliare i limiti del dramma, portandoli ai rumori di una MASSA che russa, geme, e che riempie tutta la scena, il conseguente risveglio di una grande città, i campanelli del tram, la ribellione di un quartiere intero contro la polizia: assurgere il DOLORE del SINGOLO alla GENERALITA', sconfinando dalla piccola stanzetta del mondo; - Modifiche di una drammaturgia che vuol essere sociale, adeguata ad essa; - "L'uomo sulla scena ha per noi una funzione sociale. Al centro del nostro interesse vi è il suo rapporto con la società, dove egli si presenta insieme alla sua classe. Quando entra in un qualsivoglia conflitto, egli entra in conflitto diretto con la società. L'uomo come essere politico, la sua posizione di fronte alla società e di conseguenza di fronte ai problemi della sua epoca"; - In tal modo, la scena drammatica proposta da Piscator è messa in rapporto col mondo esterno che la circonda/rappresenta. Inserita ad essa un procedimento dimostrativo, ricollegata comunque all'io epico (l'uomo come essere politico); - Piscator dà vita ad un teatro epico: la sua formula fondamentale è "SOLLEVARE L'ACCADERE SCENICO ad UN SIGNIFICATO STORICO", distruggendo l'assolutezza della forma drammatica ed esternenandola alla società. Un teatro utile, non di nicchia e che serve: un teatro politico, appunto; - Uno dei mezzi più importanti nel rapporto singolo-società, uomo-superuomo, teatro-esterno: il Cinema; - Il Cinema degli anni '20 diventa "maturo", un'arte epica autonoma, in grado di acquisire possibilità espressive PROPRIE, diventando un vero e proprio genere artistico. Come? con le avanguardie e sofisticazione della tecnica: Il PP. il Montaggio, la Mobilità della MDP; - Questo carattere del Cinema è ciò che lo rende "EPICO", in linea quindi l'Arte intesa da Piscator, e chiaramente da Ejzenstejn, così come Brecht; - Un Cinema capace, come Arte a sè, di rappresentare soggettivamente un dato elemento "oggettivo", rendendo quindi oggettiva la propria soggettività; - Nel suo Teatro (nella sua messinscena), Piscator "accoglie" le capacità espressive del Cinema (es. nell'allestimento di "Oplà, noi viviamo!"): utilizza, nell'effettivo, il Montaggio, il suo concetto tradotto al teatro così com'era stato teorizzato negli anni '20, cioè il "PALCOSCENICO SIMULTANEO", che Piscator utilizzava in varie forme; - Ne "Oplà, noi viviamo!", Piscator ha il bisogno di mostrare gli otto anni di isolamento del protagonista, con tutti i loro orrori e follie che un spazio di tempo così elevato, ormai passato, contiene. Solo attraverso lo "spalancare" così netto ed immediato del gap di otto anni, allora si - I SUOI SENTIMENTI (dell'attore) NON DEVONO ESSERE QUELLI DEL PERSONAGGIO: "altrimenti anche lo spettatore identificherà i propri sentimenti con quelli del personaggio". Come Brecht dice, lo spettatore dev'essere spettatore, posto di fronte ad una vicenda. STOP. L'attore, nella sua mancata immedesimazione totale col personaggio, supporta questa causa di SCISSIONE; - "Interpretare la vicenda e comunicarla al pubblico attraverso appropriati straniamenti". Gli avvenimenti non devono succedere inavvertitamente, bisogna invece che lo spettatore possa INTERVENIRE col suo giudizio, tra le singole fasi dell'opera. Vi è quindi una FRAMMENTAZIONE della vicenda, che supporti tale feedback da parte dello spettatore CONSAPEVOLE; BECKETT! - "Godot" (1953): l'Opera fu di un'importanza ENORME, al pari dei 6 personaggi di Pirandello. "Godot" segna una svolta decisiva nel teatro contemporaneo; - Godot ha un valore universale, capace di aver saputo parlare con IMMEDIATEZZA agli spettatori di ogni paese; - Beckett scrisse "ASPETTANDO GODOT" nel giro di pochi mesi, per distaccarsi "dalla terribile prosa di quel periodo"; - Beckett: "Il teatro è per me un modo di svagarmi dal lavoro sul romanzo. C'è uno spazio definito, con dentro delle persone. Questo è rilassante"; - Per Beckett non esisteva la possibilità, secondo la sua visione, di un mondo unitario e comprensibile; - I limiti spaziali e temporali del TEATRO, erano viste da Beckett COME UN'OCCASIONE, una libertà; - Beckett, in quello spazio definito, crea il suo mondo. Vero e reale tanto quanto la realtà "vera" al di fuori della scena. Un mondo nato dalla poetica di Beckett, che parla direttamente a noi, al nostro mondo; - La critica al teatro di Beckett era fondata principalmente sul Naturalismo: il salotto borghese, nella scena del Regista, venne completamente esplusa (cioè il dramma borghese); - Beckett ha bisogno di distanziarsi (anche con la trasgresività) dalle "regole" del teatro tradizionale del '900; - "Aspettando Godot" è l'Opera con cui Beckett rinnova, letteralmente, il teatro; - LE NUOVE IDEE DEL '900 fondamentalmente sono due: Il Teatro Epico di Brecht, il Teatro di "Svuotamento" di Beckett; - Beckett prende a prestito la forma dominante ("il Dramma Conversazione") per poi svuoltarla, letteralmente, dall'interno: RIDUCE LA CONVERSAZIONE AD UN DIALOGO FINE A SE' STESSO (privato del significante), mettendo in scena quindi il fatto teatrale MEDESIMO, rivelandone la natura di rappresentazione fittizia, teatrale (vedi la fase metateatrale di Pirandello); - In Aspettando Godot si risolve sì il dramma nella conversazione, ma nell'effettivo la stessa conversazione si dichiara come un vuoto, un succedersi di frasi per passare il tempo; - Il Teatro di Aspettando Godot è un miracolo di coincidenza tra forma e contenuto: Non c'è trama e non c'è vicenda, è forma, appunto, senza contenuto. E' l'apparente "senza", l'attesa dell'arrivo di Godot che però non verrà, ad essere il "contenuto": forma che è anche contenuto, appunto. Un significante senza significato ma che nel suo NON significare, significa qualcosa. E' questa l'essenza dell'esistenza umana, l'attesa; - Sono tanti, in "Aspettando Godot" i passaggi METATEATRALI: così come nel Teatri di Brecht, Beckett "costringe" lo spettatore a riconoscersi come tale, seduto in un Teatro a vedere uno spettacolo, con gli attori che "giustificano" la loro presenza; - La finzione teatrale si SVELA come finzione, anche ricollegandosi alla Commedia fitta di gags, eredi del cinema muto: una comicità grottesca e che si posiziona tra la commedia stessa e la tragedia comunque presente. "Niente è più grottesco del tragico"; - Parlando dell'Opera successiva, "Finale di partita": "Niente è più comico dell'infelicità!"; - "Il riso che ride, di ciò che è infelice": Ridiamo, ridendo, dell'infelicità umana. Ridiamo del fatto che non è possibile cogliere un senso, uno scopo, una finalità nella nostra esistenza; - Per i personaggi di Beckett la morte si sconta vivendo: Opera percorsa dall'idea di una condizione umana segnata dalla sofferenza e dall'assenza di senso (molto simile alla poetica di Pirandello). Intraprendendo un percorso pessimistico, ricolmo di negatività, come se fosse un meccanismo di difeso. Parlare dell'età contemporanea con i termini del pessimisto, per nascondere una speranza di positivismo; - La negazione di Beckett ci stimola a ripartire da zero, dall'assenza di senso. Dal progressivo svuotamento dal materialismo e dall'avidità dell'epoca; - Con "Aspettando Godot" l'idea del Teatro di Beckett è già ben delineato: mettere in scena il fatto teatrale stesso, rivelandone la natura di rappresentazione teatrale. Come?: utilizzando forme di spettacolo "basso", popolare, all'interno di un dramma "borghese" (un genere alto), riducendo la conversazione ad un dialogo fine a sé stesso, privandola della sua funzione significante, appunto. Questo approccio sarà coerente, progressivamente, con le successive opere "Finale di partita" ed "Happy Day": si avvertirà un progressivo svuotamento della forma teatrale ed in maniera direttamente proporzionale un incremento dello "svelarsi" della finzione, della messinscena; - Beckett, partendo da "Aspettando Godot" è il contributo più originale al teatro di metà '900; - In "Finale di Partita" vi è un incremento dei "momenti" metateatrali, la denuncia alla finzione: duplice significato di giocare e recitare; - A sostenere la metafora, è appunto il gioco degli scacchi. Il protagonista Hamm (l'essere umano) "è il Re in questa partita a scacchi (la vita) persa sin dall'inizio", "Sin dall'inizio sa di fare mosse senza senso... Ora nel finale fa delle mosse insensate che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe rinunciato già da tempo. Sta soltando cercando di rinviare una fine inevitabile". E' una metafora incredibile; - Simbolico, in "Finale di Partita", è anche il dialogo stesso, caratterizzato da due meccanismi: negazione di ciò che è stato detto ed abbandono e ripresa degli argomenti della conversazione: MANCANZA DI SVILUPPO LOGICO del Dialogo, inconsequenzialità (metafora del cattivo giocatore, che rimanda la fine con mosse insensate, come il dialogo vuoto e senza ombra di sviluppo); - Tutto questo, si traduce in un qualcosa che il teatro naturalista non aveva mai rappresentato. La cosa più vera: l'illogicità del dialogo. Il parlarsi si rivela un inganno. Gli individui non possono comunicare conversando. La comunicazione stessa annuncia la mancata comunicazione, l'impossibilità di comprendersi. L'umanità continua a vegetare nel vuoto e nell'illusione; - E' il tentativo di Beckett a cogliere l'essenza della realtà. Non l'apparente realtà mascherata come realtà (naturalismo); - Non bisogna dar per scontato la forma: questa potrebbe cambiare (e lo farà, lo sta già facendo), così come l'ha fatto in passato; - BENJAMIN indica con questo esempio che ci si trova, al momento, in un processo completo di rifusione delle forme letterarie (vedi il teatro di Brecht ad esempio); - Per indicare questo processo di riformulazione, BENJAMIN si rifà al giornale: la STAMPA non è organizzata in modo da "valorizzare" ciascun genere (es. scienza, narrativa, critica, politica ecc. ecc.). Per IMPAZIENZA del lettore struttura la propria "organizzazione" senza alcun legame tra le arti; L'AUTORITA' LETTERARIA NON SI FONDA PIU' SULLA CULTURA SPECIALISTICA, bensì sulla CULTURA POLITECNICA, diventando così un bene comune (il singolo che crede di aver diritto a prendere la parola in difesa dei propri interessi, criticando tale cultura politecnica, resta escluso); - In questo processo di rifusione dei generi, la Stampa è l'istanza più decisiva; - C'è da dire che però tutto è un paradosso: il giornale rappresenta la più importante posizione in campo letterario, MA questa è in mano al capitalismo: il diretto avversario della TENDENZA POLITICA (cioè il supporto della lotta di classe da parte degli scrittori); - BENJAMIN, poi, tratta i movimenti politico-letterari più importanti che hanno avuto come promotori gli intelettuali di sinistra. Due Movimenti che nell'effettivo danno ancora più ragione a quel paradosso sopracitato: nel tentativo di una tendenza politica RIVOLUZIONARIA, vi si nasconde una funzione CONTRORIVOLUZIONARIA (questo finché lo scrittore si limtia ad essere solidale con il proletariato, rinunciando alla sua effettiva libertà. E' UN CAZZO DI PARADOSSO, perché una delle basi fondanti delle ideologie di sinistra è proprio la LIBERTA', per combattere le oppressività capitalistiche. La politica non ha senso); -I DUE MOVIMENTI: l'Attivismo, la Nuova Oggettività; - l'Attivismo: ESPONENTI DELLO SPIRITO. Rappresentati di un certo tipo caratterologico. "Pensano in modo difettoso", i capipartito. L'Attivismo si pone di sostituire la dialettica materialistica con la GRANDEZZA DEL SANO BUON SENSO (lol è proprio di sinistra 'sto partito porcodi). Lo statement "Esponente dello Spirito" si ricollega facilmente alle ideologie socialiste: "libertà, spontanea unione degli uomini, rifiuto di ogni forma di costrizione, ribellione contro l'ingiustizia e la costrizione, umanità, tolleranza, atteggiamento pacifico"; L'Intellettuale di sinistra deve trovare il suo posto accanto al proletariato. Un posto impossibile perché sono incomparabili i due ruoli che hanno nella società, così come le loro reali battaglie. Il posto dell'intellettuale di sinistra è stabilito solo durante il processo produttivo, alienato da qualsiasi libertà (questo non va contro le stesse ideologie socialiste tanto supportate?); - Nuova Oggetività: ha messo in voga il reportage. BENJAMIN ESPONE LA SUA FORMA FOTOGRAFICA (della Nuova Oggettività). Vi fu un incremento in termini di diffusione: il più piccolo frammento di vita quotidiana dice più di un quadro. La NUOVA OGGETTIVITA' al suo apice trasforma in un oggetto di godimento la stessa miseria, rappresentandola in maniera perfezionata, alla moda. Miseria come oggetto di consumo. Il paradosso consiste nel rinnovare il mondo dall'interno, ma lasciandolo così com'è: "Rifornimento di un apparato di produzione, lasciandolo però così com'è". Benjamin definisce questo approccio come "ROUTINIERS", colui che rinuncia, per principio, a quelle correzioni nell'apparato di produzioone che mirano a sottrarlo alla classe dominante per metterlo REALMENTE a disposizione del socialismo. Gli intellettuali di sinistra hanno tante volte strappato elementi propri della politica per farne semplicemente intrattenimento: NUOVA OGGETTIVITA'; . BENJAMIN poi parla del Teatro di Coscienza di Brecht, che attraverso la scrittura Poetica, per davvero, si pone accanto al proletariato, battendosi con esso nella lotta di classe; FUTURISMO! - Nel 1909, Marinetti pubblica il manifesto sul FUTURISMO: rifiuta ogni espressione artistica ancorata al passato; - L'arte deve esaltare il movimento aggressivo, lo schiaffo, il pugno. Esalta i principi che "caratterizzano" la vita moderna: la velocità, l'energia, l'artificio; - Nel 1910, la serata futurista è improvvisazione, provocazione, attivazione; - SERATA FUTURISTA è sì improvvisata, però non nel senso assoluto del termine: sembra avere uno schema che progressivamente diventa struttura; - Uno schema che resta invariato: presentazione, lettura di programmi futuristi, opere futuriste, gran finale; - Marinetti, in queste serate è onnipresente e costuituisce una sorta di presenza registica; - Serate in cui vige l'assemblaggio di generi e mancanza di un filo narrativo. L'attenzione verso i generi minori: gli elementi, questi che saranno di forte ispirazione nei confronti delle avanguardie. Si alternano conferenze, lettura di poesia, parodie del teatro in vofa, canzonette, esecuzioni musicali, teatro di marionette e teatro d'ombre; - La SERATA FUTURISTA è letteralmente una fucina per la successiva SPETTACOLARITA' futurista; - Spettacolarità futurista che arriva con la seconda fase (dello stesso Futurismo): Il TEATRO SINTETICO; - Prima, però, del TEATRO di SINTESI, nel 1913 ARRIVA il MANIFESTO DEL TEATRO DI VARIETA': la leggerezza della "fisicofollia"; - Nel VARIETA' si invoca il meraviglioso, il grottesco, l'assirdo. Un Teatro privo di una tradizione "fossilizzante", con effetti di comicità, di eccitazione erotica oppure di stupore immaginativo. Galvanizza il pubblico, lo stimola, lo ATTIVA; - 1915, il MANIFESTO DEL TEATRO SINTETICO: ecco i fondamenti di un teatro NUOVO. "Stringere in pochi minuti, in poche parole, in pochi gesti innumerevoli situazioni, idee, sensazioni, fatti simboli (anticipa praticamente la NOUVELLE VAGUE). "Dato che la realtà ci assale con raffiche di frammenti di fatti, non ha più senso cercare di riprodurla (critical al naturalismo) in modo logico ed unitario"; - IL TEATRO SINTETICO è ATECNICO-DINAMICO-SIMULTANEO-AUTONOMO-ALOGICO-IRREALE; - Allo spettacolo futurista viene assegnato il CARATTERE DI PROPULSORE delle successive avanguardie europee degli anni '20. Da i suoi frutti oltre i confini nazionali (a quanto pare l'Italia non è ancora matura abbastanza per cogliere l'impeto rivoluzionario). A partire dalla scena, Enrico Prampolini crede nella scenografia DINAMICA, una scena "ATTORE". Allo stesso modo sarà considerata la luce, "materia squisitamente scenica". Depero, nel 1918 (ne "Balli plastici") concepisce la SCENA a PROSPETTIVA MULTIPLA e concepisce L'ATTORE COME MEZZO MECCANICO, SOTTOMESSO AL REGISTA ed ALLO SCENOGRAFO (anticipa la Biomeccanica di Mejerchol'd); Questo apre ad interpretazioni. Il Cinema di per sè contiene il movimento: NON "ci" dà un'immagine a cui VA AGGIUNTO Il MOVIMENTO, MA CI DA' I M M E D I A T A M E N T E UN'IMMAGINE-MOVIMENTO: ci dà ovviamente UNA SEZIONE (lo Still, un FRAME), ma questa è MOBILE: una SEZIONE MOBILE (un MOVIMENTO REALE con EFFETTIVA DURATA, non una sezione immobile da cui deriva un movimento astratto). Bergson, con il suo approccio allo studio del MOVIMENTO, ha colto l'essenza dell'Immagine- Movimento. NON A CASO, l'essenza del Cinema verrà consolidata con le avanguardie degli anni '20: il MONTAGGIO. Col Montaggio il Cinema diverrà un'arte TEMPORALE, diversa da quella spaziale come fino a quel momento era stata, alla ricerca del naturalismo statico; - SECONDA TESI: Illusione sul movimento DIVISA IN DUE, due teorie assai diverse. TEORIA ANTICA: Il Movimento intelligibile attraverso forme o idee ETERNE, IMMOBILI, FISSATE. DIALETTICA DELLE DOFRME, una "sintensi" di movimenti significanti che dà ordine e misura al Movimento stesso. E' un movimento, però, più inteso come CONCETTO: E' un passaggio accuratamente REGOLATO da una forma all'altra, le POSE, degli ISTANTI PRIVILEGIATI, come in una danza. TEORIA MODERNA: Il Movimento non è più ben inteso come POSA oppure ISTANTE PRIVILEGIATO, MA ALL'ISTANTE QUALSIASI!..."Il movimento, non lo si ricomponeva più a partire da elementi formali trascendenti (pose, istante privilegiato), ma a partire da elementi materiali immanenti (sezione, istante qualsiasi). INVECE DI UN'ANALISI INTELLIGIBILE (comprensibile solo attraverso la riflession e l'intelletto), LA TEORIA MODERNA DEL MOVIMENTO (estremamente simile alla prima tesi, ovviamente direi), SE NE CONDUCEVA UN'ANALISI "SENSIBILE". Il Cinema è figlio di tale TEORIA MODERNA del MOVIMENTO. E' il sistema (il Cinema) che RIPRODUCE IL MOVIMENTO IN FUNZIONE DEL "MOMENTO QUALSIASI", in funzione di istanti equidistanti (i frame), SCELTI "furbamente" in modo tale da supportare quell'illusione di continuità temporale (non spaziale). Il Cinema, però, sembra anche ricollegarsi anche alla TEORIA ANTICA: Ejzenstejn seleziona in montaggio anche i punti culminanti, gli istanti privilegiati, il Climax. Il CINEMA DI EJZENSTEJN E' la SANA COESIONE DELLE DUE TEORIE: sono sì ISTANTI PRIVILEGIATI, ma "trattati" come qualsiasi, perché equidista allo stesso modo con gli istati "qualsiasi". E' sintomo di un Cinema maturo; - TERZA TESI: MOVIMENTO COME SEZIONE MOBILE DELLA DURATA, non solo del movimento, ma di TUTTO. IL MOVIMENTO ESPRIME UN CAMBIAMENTO DELLA DURATA, NEL TUTTO. UN MOVIMENTO CHE RINVIA SEMPRE AD UN CAMBIAMENTO, la "migrazione a una variazione stagionale". MATERIA CHE CAMBIA, mutazione nello spazio. Se parto da un PUNTO A per arrivare ad un PUNTO B, arrivato al PUNTO B non sarò la stessa persona partita dal PUNTO A, sono cambiato, il MOVIMENTO (riconducibile non solo al movimento fisico, ma anche a quello spirituale, nel suo organico) mi ha CAMBIATO. Nel suo libro "Evoluzione Creatrice", Bergson ci fornisce un esempio ICONICO: "Mettendo zucchero nell'acqua, devo aspettare che esso si sciolga", vi è quindi un passaggio QUALITATIVO (data da una durata qualitativa). Se però "Agito con il cucchiaio, accellero il movimento, MA cambio anche il TUTTO, il quale ora (il TUTTO) comprende adesso il cucchiaio". Questo tipo di movimento non è illusiorio, in quanto segna un REALE passaggio qualitativo del TUTTO che diventa ALTRO. Una Terza tesi che non comprende il riferiment alle arti oppure alle immagini, ma semplicemente studia il MOVIMENTO in sè; CARMELO BENE / GILLES DELEUZE ("Sovrapposizioni") - Il teatro e la sua critica: Questa sezione tratta del, così definito da Bene, "saggio critico" sul teatro, ovvero il processo di riscrittura mediante cui riconverte le opere originarie (in questo caso) shakespeariane, facendo proprio il motto esplicativo wildiano-diderotiano: "l'immaginazione imita, mentre lo spirito critico crea". Quindi Deleuze spiega mirabilmente cos'è questa rilettura critica: «Non si tratta di "criticare" Shakespeare, né di un teatro nel teatro, e tantomeno di una parodia o di una nuova versione dell'opera shakespeariana, ecc... Bene procede diversamente, ed è più nuovo. Supponiamo che egli amputi l'opera originaria di uno dei suoi elementi: sottrae qualcosa all'opera originaria. E in effetti, il suo lavoro su Amleto, non lo chiama un Amleto di più, ma Un Amleto di meno, come Laforgue. Non procede per addizione, ma per sottrazione, per amputazione.[2]» - Il teatro e le sue minoranze Qui Deleuze tratta del concetto di "minore e "maggiore" rapportato al teatro di Bene. Il "maggiore" è ciò che viene normalizzato, ridotto alla "museificazione", direbbe Bene, e alla cultura ufficiale. Il "minore" è ciò che sfugge all'omologazione, alla comprensione, è un processo in divenire. Un autore "maggiore" lo si può comunque sottrarre al suo tempo e al processo storico di sedimentazione operato dalla cultura normalizzata e normalizzante e farlo diventare così (una volta rivisitato con spirito critico) "minore", come è appunto il teatro shakesperiano di Bene pervertito in Laforgue. Il processo inverso alla minorazione produrrebbe invero una cristallizzazione è una stagnazione del divenire. Deleuze fa l'esempio di autori che scrivono in una lingua "minore", o fatta diventare tale, adattandosi ad essere "stranieri nella propria" lingua. In definitiva il minore sta al maggiore come la santità sta alla teologia, il genio al talento, il teatro allo spettacolo, ecc. - Il teatro e la sua lingua: In questa sezione Deleuze parla della "lingua" e del linguaggio del teatro che nel caso beniano è un processo di sottrazione e di amputazione di una serie di caratteristiche. Stabilito una volta per tutte che il teatro di Carmelo Bene è ben altro dal rappresentare formule avanguardistiche o dissacratorie tout court, il filosofo francese enumera possibilmente queste amputazioni operate a più livelli, conditio sine qua non del teatro nel suo dis-farsi direbbe Bene: «...si comincia con il sottrarre, con il detrarre tutto quanto costituisce elemento di potere, nella lingua e nei gesti, e nella rappresentazione e nel rappresentato. E non si può nemmeno dire che sia un'operazione negativa in quanto dà inizio e mette già in moto tanti processi positivi.[3]» Viene dunque amputata la Storia in quanto "marchio temporale del Potere", la struttura, le costanti, poiché negherebbero il divenire e la "minorità". Il "testo a monte" viene sottratto alla cristallizzazione dei significati e restituito ai significanti, facendo prevalere la forma sul contenuto e sul senso, e così via, in una rilettura critica e riscrittura totale. - Il Teatro e i suoi gesti: Questa sottrazione critica prosegue nell'afasia della parola e nell'aprassia dei gesti, dando luogo a quella che Deleuze chiama "variazione", onde scongiurare il "senso" storico del Potere accumulato, facendo in modo che "la scrittura e i gesti" siano variazioni musicali che superino il "dominio delle parole". - Il Teatro e la sua politica: Il teatro beniano elimina le invarianti e le costanti anche nella rappresentazione, con i suoi ruoli definiti, testo, struttura, regista, attore. Ricordiamo che Bene a volte parla della coesistenza del "potere del teatro" e del "teatro del potere", e di conseguenza ne evince che la "rappresentazione è sempre di Stato". Il teatro di Bene, scrive Deleuze non fa parte dell'avanguardia, non mette in scena conflitti, siano essi esistenzialisti, sociali o meno (che sono sempre prodotti normalizzati, codificati, "maggioritari", istituzionalizati), non è vincolato a "un modo di fare" ma è un "superamento dei modi", dirà altrove, ovvero, una vittoria sulla "sfida del modale"; WELLES! rimaneva nel buio per un istante, poi si accendevano da qualche parte. Questo cambiamento rapido, brusco, rafforzava i ritmi dello spettacolo; - L'espressionismo (soprattutto rilevante nelle sue regie Shakesperiane... questo ha senso se ripensiamo anche al Paleari ed al suo concetto di Amleto, un uomo esistante, diverso dal personaggio ottocentesco, inconsapevole dello strappo nel cielo di carta, della rivelazione della finzione), era rintracciabile nell'isolamento dell'individuo, nel senso di simultaneità, disintegrazione, ossessione della morte; - A riassumere l'approccio di Welles nei confronti del suo teatro, il considerare questo come una scatola magica: un potere immenso nella realizzazione di un'illusione (nella consapevolezza che sia tale); TEATRO E CINEMA! Bazin si concentra sui rapporti tra teatro e cinema privilegiando la riflessione sul momento del passaggio da un sistema estetico (il teatro), all’altro (il cinema). Così facendo, parlando cioè di qualcosa che sta a cavallo tra teatro e cinema, che rischia di confondersi o di restare un ibrido indefinito, che suscita timori di eresie artistiche inaccettabili e ingenue (il “cinema impuro”, che Bazin al contrario auspica), egli fornisce una serie di spunti per una riflessione lucidissima e profonda sull’uno e sull’altro. Il “drammatico” non è per Bazin una prerogativa esclusiva del teatro, esso esercita piuttosto un'influenza immensa sulle altre arti e il cinema è l’ultima delle arti che possa sfuggirgli: la storia mostra quanto il cinema sia stato, per molti generi teatrali minori o abbandonati, una sorta di continuazione, se non addirittura il momento di massimo splendore, vale l’esempio che Bazin propone della farsa classica, riesumata e sviluppata da Buster Keaton, Laurel e Hardy, Chaplin, il cinema comico degli anni ’10, ma anche quello della commedia americana anni ’20. I rapporti del teatro e del cinema sono dunque stati più antichi di ciò che si pensa generalmente, e inoltre non si limitano a quello che viene definito “teatro filmato”, ma anzi sono stati decisivi per determinati generi cinematografici, ritenuti come esemplari per “purezza” e “specificità”. Bazin sostiene che, se si considera il teatro come l'arte specifica del dramma, allora moltissimi romanzi e film sarebbero delle succursali del teatro. Infatti il problema centrale riguarda il testo drammatico, perchè, secondo Bazin, nel teatro esso si difende mediante la sua specifica dipendenza dalle convenzioni della scena teatrale: il testo contiene, almeno in parte, lo spettacolo teatrale. Tale sistema di regole, posto in relazione al carattere dell’immagine fotografica mostra le specificità dei due sistemi, cinema e teatro, che riguardano lo spazio e l’uomo. Sembrerebbe a questo punto liquidata la nozione classica di “presenza” (intesa come compresenza di spettatori e attori) dall’insieme delle possibili differenze ontologiche tra cinema e teatro: secondo Bazin infatti anche lo schermo è in grado di mettere lo spettatore in presenza dell’attore, ma lo fa come uno specchio e in maniera differita. Ad una lettura più attenta capiamo però che Bazin conferma, forse in modo non consapevole, la fondatezza del concetto di “presenza” (con una lieve variante) nel momento in cui la ritrova analizzando la psicologia dello spettatore, il suo modo cioè di percepire la “presenza” nella scena e nello schermo. Considerando la presenza, il cinema e il teatro non sono due arti opposte, piuttosto entrano in causa due modalità psicologiche diverse di partecipare allo spettacolo. A teatro lo spettatore e l’attore sono reciprocamente consapevoli della loro compresenza, ciò motiva la partecipazione dello spettatore al “gioco” dell’attore. Lo spettatore cinematografico è invece “solo”, di fronte a sé ha uno schermo dove si agitano le tracce luminose lasciate da un evento che lo ignora, nessuno si cura di lui durante la proiezione. Questo stato di cose difficilmente contestabile comporta, in Bazin, atteggiamenti psicologici ovviamente diversi. Da un lato lo spettatore partecipa allo spettacolo nel suo tempo biografico, ne è un elemento costitutivo che accetta le regole del gioco; dall’altro egli è un individuo di fronte ad un mondo “altro”, indipendente, che viene accolto come continuazione della realtà esterna. Ecco dunque la variante rispetto alla nozione comune di “presenza”: non è tanto la presenza dell’attore ad essere determinante nello svelare le diverse dinamiche che fondano teatro e cinema, ma una diversa presenza dello spazio e dell’uomo nella “mente” dello spettatore. Il teatro esibisce un gioco, il cinema la realtà. L’illusione non si fonda al cinema, come al teatro, su convenzioni tacitamente ammesse dal pubblico (come quando un personaggio asce di scena dicendo di andare in qualche luogo mentre noi sappiamo benissimo che va dietro le quinte per cambiare abito o trucco), ma sul realismo imprescindibile di quello che ci viene mostrato. E’ significativo che i film che intendono svelare l’illusione del cinema lo facciano sforzandosi di sconvolgere le relazioni spaziali a cui lo spettatore si era abituato (svelando le scenografie finte del set, per esempio). Secondo Bazin non esiste teatro senza l'uomo, ma può facilmente esistere un cinema in cui l’uomo è ridotto a oggetto (comparsa) o manca del tutto. Il problema del teatro filmato sta soprattutto nella trasposizione da un sistema drammatico ad un altro, cercando di conservare la sua efficacia. Secondo Bazin, volendo rispettare il testo, il regista deve “riconvertire uno spazio orientato verso la sola dimensione interna, dallo spazio chiuso della recitazione teatrale ad una finestra sul mondo”. Le soluzioni possibili al paradosso dello spazio sono molteplici e interessanti, come dimostrano ad esempio i lavori di Jean Cocteau e Laurence Olivier. Quest'ultimo, nel suo Enrico V (tratto dall'omonima opera teatrale di Shakespeare) ha saputo risolvere la dialettica del realismo cinematografico e della convenzione teatrale ed ha sottolineato fortemente la teatralità del soggetto. Infatti questo film, inizialmente, ci porta fin dentro il teatro: Oliver ambienta la scena nel corso di una rappresentazione di teatro elisabettiano all'interno del teatro dove realmente la compagnia di Shakespeare recitò. Quindi il film non è direttamente ed immediatamente Enrico V, ma è la sua rappresentazione. Ciò è evidente fin da subito visto che questa rappresentazione non è attuale (come a teatro) ma si svolge ai tempi stessi di Shakespeare. Bazin sostiene che non c'è quindi possibilità di errore: per godere dello spettacolo non è richiesto l'atto di fede dello spettatore davanti al sipario che si alza. La strategia estetica di Olivier, infatti, era un espediente per eludere il miracolo del sipario. Facendo del teatro cinema, il regista ha eliminato l'ipotesi di realismo che si opponeva all'illusione teatrale. Dopo essersi assicurato della complicità dello spettatore, Olivier poteva a questo punto permettersi sia la deformazione pittorica della scenografia sia il realismo della battaglia di Anzicourt. L'ambientazione, dunque, si sposta all'esterno dalle mura del teatro. Quindi lo sviluppo cinematografico, difficile da far accettare se il film fosse stato solo la rappresentazione dell'Enrico V, trovava così il suo alibi nella stessa opera teatrale. Jean Cocteau, invece, portando sullo schermo la sua commedia Les parents terribles, ha moltiplicarla ma semplicemente ad intensificarla. Dunque, in questo film, la cinepresa rispetta la natura della scenografia teatrale e si sforza soltanto di accrescerne l'efficacia. Risolto il problema della scenografia, restava il più difficile: quello del découpage. Secondo Bazin è proprio qui che il regista ha dato prova della più ingegnosa immaginazione. Pur restando fedele al découpage classico, Cocteau gli conferisce un significato originale utilizzando praticamente solo inquadrature della terza categoria, cioè solo ed esclusivamente il punto di vista dello spettatore, uno spettatore straordinariamente perspicace e messo in grado di vedere tutto. Si realizza in questo modo la “macchina da presa soggettiva”, la quale è finalmente lo spettatore e nient'altro. Così facendo Cocteau ha conservato l’essenziale del suo carattere teatrale, decidendo di seguire solo un punto di
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