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Emanuela Scarpellini, l'italia dei consumi, Sintesi del corso di Storia Sociale

Riassunto del cap.1 del libro L'italia dei consumi

Tipologia: Sintesi del corso

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Caricato il 18/01/2017

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Scarica Emanuela Scarpellini, l'italia dei consumi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! L'ITALIA DEI CONSUMI 1. L’Italia liberale Il periodo fra il 1870 e il 1913 è stato definito quello della “grande trasformazione” in riferimento ai mutamenti indotti dalla rivoluzione industriale. Il XIX secolo vede la fine del regime demografico d’Ancien Règime, grazie a:  rivoluzione industriale;  progressi nell’agricoltura;  fattori socioculturali;  avanzamento delle conoscenze tecniche scientifiche. Il moderno regime demografico lascia maggiore libertà all’individuo: egli può decidere per il proprio destino in una misura impensata anni addietro, grazie ad una vita più lunga e prospera, a una maggiore mobilità, a una maggiore libertà nella società e a uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. Cosa si consumava in quegli anni?  60% alimentazione (frumento, riso, patate, legumi, pomodori, carne e pesce, formaggi, zucchero, caffè e vino);  abitazione ed energia;  vestiario;  trasporti; Le differenze territoriali e di contesto storico rendono molto diversa la vita da regione a regione; le differenziazioni di classe sociale creano enormi disparità. I CONTADINI → Gran parte della popolazione (62%) era impiegata nei lavori agricoli. Le condizioni di vita erano molto dure: le entrate erano scarse e quasi completamente assorbite dai bisogni primari (alimentazione, casa, vestiario). Es. a fine Ottocento nelle Langhe i contadini mangiavano di norma polenta di granoturco, legumi, patate, castagne e niente carne; in Sardegna i coloni avevano solo due pasti: pane di frumento di giorno, minestra di legumi di sera; in Puglia i contadini ricevevano un pane di un chilo per tutto il giorno che la sera veniva inzuppato in acqua salata. Le condizioni erano molto variabili da una zona all’altra e dipendevano dalla disponibilità di prodotti locali, dai contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. 1 Solo una cosa era comune: il basso apporto calorico e la scarsità di vitamine e di proteine. Al cibo però veniva attribuito un elevato valore simbolico: il tempo della festa era scandito da una quantità e qualità dei cibi diversi da quelli del tempo del lavoro (dolci); allo stesso modo cibi diversi distinguono le fasi di normalità da quelle di eccezionalità (malattia, cerimonie e ricorrenze religiose). Le varie tipologie di cibo assumono poi molti significati: un valore positivo è collegato a tutto ciò che è grasso, che rappresenta il privilegio negato ai contadini (→ grassezza come allegoria di una vita felice); oppure a tutto ciò che cresce o vive in alto, come gli uccelli o i frutti degli alberi, di contro a tutto ciò che è basso, come i tuberi sottoterra o i maiali nel fango. Lo stesso vale per le forme del cibo, per i metodi di preparazione e per i colori: il bianco è associato alla raffinatezza e al lusso (pane bianco pregiato / pane nero dei contadini). Anche la religione ha il suo peso: le norme alimentari legate al calendario liturgico impongono una separazione tra il mangiare di grasso e il mangiare di magro, che bandisce rigorosamente la carne a favore di ortaggi e pesce. Le modalità di consumo del cibo erano molto significative: si trattava di un atto collettivo (spesso introdotto da una preghiera) che confermava le differenziazioni sociali nella distribuzione delle portate, nella selezione delle porzioni migliori e nella disposizione gerarchica dei posti a tavola (il capofamiglia a capotavola, i membri più importanti al suo fianco, e via via tutti gli altri). Mangiare e bere costituivano dunque un'importante pratica culturale che accompagnava molti momenti di socializzazione (soste in osterie, visite al mercato, feste del villaggio...) Com'erano le abitazioni contadine? Elementi comuni: – riferimento all'ambiente circostante → uso di materiali costruttivi locali – legame con il sistema di organizzazione produttiva. Così troviamo le corti padane (edifici quadrangolari disposti attorno all'aia centrale, con dimora padronale, case per i contadini, stalle e fienili), le masserie del Mezzogiorno (fattorie fortificate), i casali nel Lazio e le abitazioni dei mezzadri nell'Italia centrale (su tre piani, con ampi spazi comuni, orti, rustici e pozzi, in cui le famiglie contadine formano un'unica grande azienda, la “fattoria”). Le abitazioni spesso erano unifamiliari e poverissime, realizzate in pietra o legno e di 2 • gerarchie d'età → l'età matura era penalizzata e il lavoro minorile veniva discriminato. I BORGHESI → questa classe sociale, in origine identificata con gli artigiani e i mercanti della città, fu adoperata per riferirsi principalmente a imprenditori e grandi finanzieri per poi dilatarsi agli impiegati e ai professionisti → è dunque un termine impreciso e carico di significati ideologici. Ci sono poche inchieste: i consumi si concentrano principalmente nell’alimentazione (50/60%) ma sono presenti alimenti “nobili” come carne e pesce; la spesa per l’abitazione è significativa, ma non quanto per gli operai; l’abbigliamento comporta una spesa elevata (20%) e ha un ruolo fondamentale. Il valore del cibo, il piacere della tavola e la convivialità non sono un tratto specifico della cultura operaia ma sono condivise da tutte le cassi sociali, si tratta cioè di un valore comune all'intera nazione: la cultura italiana assegna un ruolo primario al cibo e ai suoi rituali di consumo. Valore simbolico del cibo: ▪ Rinascimento → scene di banchetti e cene (scene mitologiche o bibliche) ▪ Cinquecento → gusto per le nature morte Gli abiti servivano per differenziarsi dalle altre classi sociali, specialmente se inferiori: le classi medie venivano identificate come “colletti bianchi”. Le abitazioni dei borghesi → l'ossessione per la pulizia e il decoro domestico sono spiegabili con il tentativo di cercare un rifugio dalla sporcizia del mondo: la casa era vista come un riparo dal mondo esterno; doveva essere pulita, sobria e incontaminata dagli affari mondani. Le abitazioni borghesi dell'Italia liberale sono molto diverse da quelle contadine e operaie: – sono luoghi molto più centrali nella vita quotidiana – sono ampie e funzionali, moderne nello stile – la loro divisione incarna la struttura culturale e sociale della famiglia – vi è una netta separazione fra interno/esterno e fra pubblico/privato: vi sono spazi pensati per la vita in società, dove ricevere gli ospiti (salotti), e spazi riservati all’intimità domestica (camere da letto) 5 – lo spazio domestico è intimo, lontano dal mondo esterno: è lo specchio di una famiglia ristretta, nucleare, in cui la donna ha molteplici funzioni e ha lasciato gli affari mondani al marito e in cui regna una grande preoccupazione per il decoro e la morale. Nella cultura contadina e operaia i figli venivano precocemente impiegati nel lavoro; in ambito borghese invece, dalla fine dell’Ottocento, si afferma l’idea che i bambini costituiscano un mondo a parte con proprie esigenze e necessità: creatività, purezza e vulnerabilità; gli educatori hanno il compito di spronare i bambini nell’espressione di tali valori senza forzarli. In Italia la principale fautrice di tali imposizioni fu Maria Montessori, che fondò numerose scuole ispirate a un metodo che esaltava le capacità positive dei piccoli. Questa nuova valorizzazione dell’infanzia fece sì che i bambini non fossero più visti come esseri in transizione verso l’unica fase significativa della vita, la maturità, ma come portatori di valori propri e che quindi necessitassero di spazi specifici. In quest'ottica andavano ripensati anche i consumi: si richiedevano educazione, giochi, abiti e pettinature adeguati. In questo periodo nacque in Europa e negli Stati Uniti una vera e propria industria di prodotti rivolta ai bambini; genitori ed educatori cominciarono a pensare che fosse giusto comprare oggetti per i più piccoli, anzi. che l’attaccamento emozionale a bambole, giochi e pupazzi sviluppasse attitudini positive, compensasse l paure e facesse compagnia ai bambini. Furono così gettate le basi del consumismo per l’infanzia che porterà in pochi decenni a una vera propria corsa agli acquisti → nelle classi alte i figli avevano consumi propri ed erano socializzati ai consumi adulti in un periodo più tardo rispetto ai coetanei proletari. Per quanto riguarda i consumi legati alla sociabilità extra-domestica, i borghesi si dilettavano in primo luogo con attività culturali e ricreative attraverso circoli, gabinetti letterari e società scientifiche. È nei club e nei caffè che Habermas colloca la nascita di una sfera pubblica borghese, l’origine dell’opinione pubblica moderna. Ci sono poi divertimenti nuovi e adattati come il ballo (prima ad appannaggio esclusivo della nobiltà), il mangiare fuori casa, il teatro, e, in seguito, le associazioni sportive, che rispecchiavano i valori della nascente società di massa: competizione, divertimento, gusto per le novità tecniche, sport business (→ sport-spettacolo). GLI ARISTOCRATICI→ per le classi aristocratiche il consumo giocava un ruolo 6 centrale nel processo di legittimazione della loro posizione. Non si tratta necessariamente di un consumo sfarzoso: se il risparmio e la parsimonia sono virtù apprezzate, lo stile di vita parco e severo da parte di mercanti notoriamente ricchi può svolgere per contrasto la stessa funzione ostentatrice. Bisognerà attendere il periodo moderno per assistere a una rivalutazione del lusso inteso come mezzo di promozione del commercio e del benessere individuale → il lusso è così sottratto al giudizio morale e può entrare nella sfera economica pubblica come elemento positivo. Resta però una certa ambivalenza: il lusso è tenacemente legato all'idea di sperpero e ozio (stereotipo del nobile visto come dissipatore indolente). La distribuzione territoriale dei nobili in Italia era difforme: più numerosa in Toscana, Campania, Veneto, Piemonte, Lombardia e Sicilia. Stile di vita → tendenza all'endogamia geografica, al perpetrarsi di professioni tipiche, alla sociabilità domestica e all'esclusivismo sociale. Nonostante la decadenza economica e il restringimento numerico degli aristocratici, l'impatto sull'immaginario collettivo è forte grazie al loro ruolo storico e alla visibilità. Le abitazioni aristocratiche tendono a ospitare famiglie allargate: non solo il nobile e la sua famiglia, ma anche fratelli e sorelle non sposati e molti servi. L’edificio rispecchiava la ricchezza della famiglia con stemmi e imponenti facciate; all’interno vi erano molte stanze divise secondo i basilari principi giorno/notte e pubblico/privato. Buona parte dello spazio domestico veniva utilizzato per ricevere e divertirsi in compagnia (sociabilità domestica): saloni, anticamere, stanze da gioco e da ballo. Inoltre, dopo secoli di pulizia a secco (poiché si temeva che l’acqua potesse penetrare nei pori del corpo diffondendo malattie) a partire dall’800 si diffuse una diversa immagine del corpo e i progressi della medicina portarono a una nuova attenzione verso l’igiene: ora i bagni d’acqua non sono più legati a un’idea di piacere o di cura, come nell’antichità, ma alla salute. Igiene e pulizia divengono sinonimi di ordine e disciplina e sono associati alle classi superiori, in contrapposizione alla sporcizia materiale e morale dei ceti subalterni. Come mangiavano i nobili? Nella vita quotidiana degli aristocratici si assiste ad un processo di autocontrollo verso tutte le manifestazioni di impulsi ed emozioni, in particolare crudeltà, 7 Una possibile risposta per contenere l’esplosivo conflitto sociale proveniva dalla Germania bismarckiana, che aveva varato un’avanzata legislazione sociale per contenere l’influenza del movimento socialista e legare le masse operaie allo Stato. Un esempio diverso giungeva dall’Inghilterra, dove la protezione sociale non era decisa dall’alto, ma era frutto della cooperazione tra le forze liberali e quelle ispirate al Labour: una politica che mirava all’effettiva integrazione degli strati operai nella nazione. In Italia Destra e Sinistra storica avevano fatto un grande sforzo, concentrandosi però principalmente sulla creazione di infrastrutture (ferrovie) e sull’edificazione della struttura amministrativa del nuovo Stato. C'era ben poco spazio per le spese riguardanti l’istruzione o l’assistenza, che dipendeva dal reddito: i benestanti potevano chiamare un medico privato e sostenete cure costose a casa o negli ospedali civili; i poveri dovevano ricorrere alle associazioni caritatevoli. Bisognerà attendere fino a Crispi per ulteriori passi avanti. Nel 1888 interviene una nuova riforma sanitaria: viene creata una direzione generale di sanità; a livello locale si stabilisce la presenza di un medico e di una levatrice pagati dal comune per i poveri, e viene disposta una rete di medici provinciali operanti a livello locale con compiti di prevenzione e di igiene. Inoltre le Opere pie divengono istituzioni pubbliche e vengono poste le basi per una modernizzazione delle strutture ospedaliere → nasce il Policlinico di Roma e crescono molti ospedali minori. Nel periodo giolittiano l’attenzione fu concentrata sulla lotta alle malattie come la tubercolosi, il colera e soprattutto la malaria. L’impegno si sposta quindi sulla prevenzione e sull’igiene, complice la nascita della medicina sociale. L’impatto di queste riforme è importante: testimonia il crescente ruolo che la medicina assume nella società italiana da metà 800 e pone le premesse per una crescente domanda di consumi sanitari. Per quanto riguarda l’istruzione solo le classi abbienti potevano permettersi maestri privati, la frequenza dopo le elementari di istituti educativi e l’università. La legge Casati del 1859 aveva istituito due anni di istruzione elementare obbligatoria, portati a quattro dalla legge Coppino nel 1877, ma con scarsi risultati nel Mezzogiorno e nelle campagne dove la responsabilità finanziaria era addossata ai comuni (che non potevano o non volevano spendere tanto per l'istruzione). La legge Daneo-Credaro del 1911 stabilì che tale onere dovesse essere assunto dallo Stato e ciò portò un netto 10 miglioramento (anche se un bambino italiano aveva un'istruzione comunque inferiore rispetto ai coetanei europei). Nonostante le oscillazioni e le incertezze dell'Italia liberale, lo Stato comincia a comprendere l'importanza di una politica pubblica dei consumi: si pongono cioè le basi culturali per i consumi sanitari ed educativi → i consumi dello spazio sociale si affacciano allo spazio politico. I provvedimenti adottati non avevano solo scopo di controllare il territorio, ma anche quello di potenziare la nazione: l'attenzione principale quindi è andata inizialmente al settore educativo, utile per assicurare il progresso agricolo e industriale. Si potrebbe dire che in questo periodo inizia a crearsi uno “spazio nazionale” che orienta le scelte di consumo; ma la strada verso un'effettiva integrazione e un diverso rapporto era ancora lunga. IL MONDO DELLA PRODUZIONE → il rapporto tra produzione e consumo è ovviamente di reciproca influenza. Gli economisti hanno però storicamente assegnato un peso maggiore ai produttori, o meglio, il loro pensiero ha subito nel tempo un’evoluzione: ➔ gli economisti classici, come Adam Smith e Ricardo, si concentravano sulla produzione; Marx si poneva sulla stessa linea, pur riconoscendo la distinzione fra il valore d’uso di una merce (legato al suo effettivo utilizzo nel tempo) e il valore di scambio (legato al suo prezzo sul mercato) e soffermandosi sulla specificità dell’economia capitalista nel produrre una grande quantità di merci. ➔ Gli economisti neoclassici (Marshall, Walras, Pareto) ponevano al centro della scena il rapporto tra domanda dei consumatori e offerta dei produttori: entrambi volevano massimizzare la loro utilità (rispettivamente nella soddisfazione di un bisogno o nell’ottenimento di un profitto), e il loro ideale punto di incontro rappresentava l’equilibrio del mercato. ➔ In successive analisi si nota come il potere di controllo sui mercato da parte dei produttori aumenta in presenza di situazioni di monopolio e oligopolio; Weber legge il capitalismo alla luce di un'ispirazione religiosa e ascetica verso l'accumulazione. ➔ I consumatori prendono la loro rivincita a partire dalle teorie di Keynes, che attribuisce al consumo, oltre che allo Stato, un ruolo fondamentale nel garantire la crescita economica; 11 e soprattutto nel secondo dopoguerra, con studiosi come Duesenberry e Katona. Il primo, noto per la teoria dell’effetto dimostrativo, spiega come il consumo diventi fondamentale in società moderne caratterizzate da un’elevata mobilità sociale per segnalare la propria condizione sociale; il secondo vede nel consumo la vera forza dietro la nuova società di massa, dove il consumatore è un soggetto guidato non solo da redditi e prezzi, ma da abitudini e aspettative per il futuro. ➔ Analisi più recenti → Friedman pensa al consumo come a una quota costante di reddito permanente; Modigliani prende come riferimento per il consumo il reddito percepito nell'intero ciclo vitale. ➔ A partire dagli anni Sessanta-Settanta si sviluppa una forte corrente critica verso il “consumismo” che influenza anche gli economisti. È interessante notare come il ruolo dei consumatori sia cresciuto e divenuto più visibile con il passare del tempo: da soggetti passivi e manipolati, i consumatori acquisiscono via via un ruolo attivo sulla scena economica, quasi alla pari dei produttori. Inoltre viene progressivamente in luce il ruolo dei mediatori, cioè dei commercianti. Le scelte dei consumatori si svolgono di fatto all'interno di questa offerta produttiva con due importanti correttivi: 1. l'importazione dall'estero → l’Italia attraversa negli anni '60-'70 il primo effettivo slancio industriale. Nel quadro europeo appare come un Paese a metà tra economia tradizionale ed economia industrializzata: esporta prodotti agricoli, tessili e alimentari; importa frumento, materie prime, semilavorati e prodotti industriali finiti. 2. L'autoconsumo→ nelle prime fasi dell'industrializzazione molte attività legate alla produzione non avvengono attraverso il mercato e quindi non “appaiono”. Tendenze dei prodotti consumati: • si passa dal consumo dei beni primari a quelli industriali → a fine Ottocento un terzo dei prodotti consumati proveniva dall’agricoltura, un altro 30% dalle industrie alimentari; nel giro di sessant’anni la situazione di rovescia, con le industrie alimentari al primo posto e i prodotti agricoli primari ridotti al 16%. Questo significa che molte operazioni condotte in ambito familiare sono state trasferite all’industria alimentare, per motivi sociali (mutamenti verificatisi 12 GLI SPAZI DEL COMMERCIO → la società si trasforma in direzione della spettacolarizzazione. Il primo esempio di spettacolarizzazione sorse a Parigi, città simbolo di cultura ed eleganza. La città francese era segnata da due elementi: 1) la velocità, che si esprime in un ritmo frenetico e diventa la cifra di lettura della vita urbana; 2) la mercificazione, che spinge gli uomini a sfinirsi di lavoro, a rubare e persino a vendersi. La nascita della nuova Parigi metropolitana è descritta da Baudelaire: operai sempre in movimento, prostitute e ladri, strade geometriche, luoghi di divertimento affollati. Nel 1789 una strada commerciale venne coperta con archi e un tetto in vetro che creava l’illusione di essere all’aperto, e l’asfalto fu sostituito da una pavimentazione che giocava forti effetti di luce. Parigi era una città molto buia e questa scelta di decoro segnò un’importante passaggio culturale, un cambiamento netto → la realizzazione della galleria commerciale, definita dai francesi “passage”, che creava un forte effetto di meraviglia sui visitatori attraverso la tecnologia. I passages erano dunque luoghi di passaggio coperti tra una strada e l’altra, lussuosamente pavimentati e ben arredati; l’ingresso non implicava la volontà di fare acquisti, semmai invogliava a passeggiare e soffermarsi accanto a sfavillanti vetrine che si allineavano una dopo l’altra insieme a caffè, ristoranti e teatri. I passages si proponevano come luoghi di incontro e di ritrovo, dove la funzione commerciale era inscritta nell'architettura stessa: qui si veniva a contatto con una folla mutevole e sconosciuta; si era attratti da rumori, suoni e luci di tutti i tipi; si era immersi in un’atmosfera scenografica; tutto poteva essere comprato e venduto (compreso il sesso). Il richiamo di questi luoghi era affidato anche alla tecnologia: costruiti nell'Ottocento con moderne coperture di vetro e ferro, essi lasciavano filtrare di giorno una luce bianca e di sera si illuminavano con l’abbagliante chiarore della luce a gas, che contrastava la penombra del resto della città. Molti individuarono nel passage il format teatrale: spettatore-attore → i passages sembravano dei palcoscenici, dove si recitava senza soste un copione per il pubblico dei passanti, mentre l’intera strada si era trasformata in un teatro senza confini. Inoltre, se nel passato i rapporti interpersonali erano minori ma più approfonditi e il silenzio era una cosa normale; nella città moderna, invece, non vi era mai silenzio e gli stimoli erano continui. L’uomo moderno si integra perfettamente in questo ambiente 15 frenetico attraverso l’indifferenza, una forma di difesa che si manifesta con l'attenzione ridotta, la superficialità e la casualità dei rapporti con le altre persone. Il passage ha suscitato l’attenzione di molti studiosi, tra cui: • Habermas autore della “teoria sull’opinione pubblica”, un sentimento popolare che ha le sue radici nell’illuminismo, che contiene due elementi fondamentali: ➔ la nascita delle prime forme di stampa che danno spazio all’opinione pubblica; ➔ la nascita dei Caffè dove chiunque poteva consultare le Gazzette. I Caffè erano luoghi di ritrovo di persone appassionate di politica e di letteratura e il caffè divenne la bevanda simbolo dell’illuminismo per il suo effetto stimolante (con riferimento alla borghesia) contrapposta alle bevande alcoliche, che invece intorpidiscono la mente (con riferimento alle classi popolari). I passages hanno uno stretto legame con i caffè, ma l’elemento innovativo è la forte presenza delle donne, prima escluse. • Il sociologo berlinese Walter Benjamin, nel 1935, fu colpito dal fascino della città francese descrivendola come la “capitale del XIX secolo” facendo riferimento a Baudelaire. Secondo lui, gli shock esperiti di continuo nella vita urbana (luci, rumori, incontri, situazioni nuove) avrebbero forgiato la nascita di una figura umana più sensibile, più nervosa e più instabile: il flaneur, visitatore ideale del passage, ben curato e amante della bellezza, che vede la città come uno spettacolo e trova la sua realizzazione nel grande magazzino. Benjamin parlò dell’inizio di un vero e proprio cambiamento antropologico: il passage era un archetipo della modernità, un evento che avrebbe cambiato radicalmente la società. • Vari anni prima, un altro berlinese, Georg Simmel, aveva colto acutamente simili tratti nella vita della metropoli. In particolare sottolineava l’atteggiamento intellettuale e distaccato (blasè) dell’abitante metropolitano, che in tal modo si difendeva dalla sovreccitazione sensoriale che lo aggrediva di continuo; la sua solitudine; e la centralità del denaro. Le gallerie commerciali si diffusero rapidamente nelle principali città europee, divenendo un polo di attrazione e un vanto; nell’Ottocento la sola Parigi ne conta 150, ed esse si moltiplicano anche a Londra e in Italia, dove negli ultimi decenni si costruirono varie gallerie di grandi dimensioni, come quelle di Torino, di Genova (Galleria Mazzini) e di Napoli (Galleria Umberto I). 16 La più grande al mondo è la neoclassica galleria Vittorio Emanuele II a Milano, progettata da Giuseppe Mengoni e costruita tra il 1865 e il 1877: ha un’enorme cupola centrale, quattro braccia laterali e due archi di trionfo dedicati al re (è un monumento rappresentativo di una città in crescita). Il gradino successivo alle gallerie furono i grandi magazzini. Diversamente dalla galleria commerciale, formata da un insieme eterogeneo di imprese, il magazzino costituisce una singola unità. Il primo grande magazzino fu il Bon Marché, realizzato dall’ingegnere Aristide Boucicault a Parigi nel 1852: era un edificio imponente all’insegna della modernità, con il tetto in vetro (→ passage) e l’interno con una scala d’onore per dare un effetto spettacolare e attrarre i clienti (→ sala di un teatro). Esso spalancava davanti agli occhi dei clienti una grande abbondanza di merci lussuose, esotiche e ordinarie, scale e passaggi, vetrine e luci, musiche ed eleganti commessi, bar e ristoranti. Gli elementi innovativi furono: o l'introduzione degli ascensori idraulici; o l'uso elevato di specchi; o l'eliminazione dell’obbligo di acquisto: il cliente doveva avere piena libertà di movimento; o il commesso visto come un consigliere; o il prezzo fisso imposto sul cartellino. I GRANDI MAGAZZINI → Molti studiosi predissero il fallimento dei grandi magazzini, ma le persone accolsero con grande entusiasmo la novità e l’idea del grande centro commerciale si diffuse in altre città. La formula fu subito ripresa in tutta Parigi e in tutta Europa. Nel 1867 i fratelli Bocconi, ex commercianti di stoffe, decisero di aprirne uno a Milano dal nome Città d’Italia (Aux Villes d’Italie); nel 1917 il grande magazzino fu distrutto da un incendio e ribattezzato da Gabriele D’Annunzio “La Rinascente”. Il grande salone scenografico creava un forte impatto visivo, la gente poteva salire al piano superiore continuando ad ammirare la merce; l’impiego nei grandi magazzini celava una realtà di dura disciplina, fatta di stipendi a cottimo, precarietà e limitate possibilità di far carriera per la maggior parte dei dipendenti (in maggioranza uomini). I grandi magazzini creano un forte impatto nell’immaginario collettivo perché: 1) rappresentano la “modernità” urbana: la tecnologia è messa in primo piano. 17
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