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Emily bronte cime tempestose, Traduzioni di Letteratura Inglese

Traduzione italiana di Wuthering Heights a cura di Rosina Binetti del 1941

Tipologia: Traduzioni

2015/2016

Caricato il 28/04/2016

kiarasat89
kiarasat89 🇮🇹

4.4

(3)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Emily bronte cime tempestose e più Traduzioni in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Emily Bronté Emily Brontë Cime tempestose (Wuthering Heights, 1847) Traduzione di Rosina Binetti 2 ornamento. Il pavimento era di pietre bianche, levigate, le sedie dall'alto schienale, rustiche di forma, eran verniciate di verde e due o tre nere e pesanti stavano nell'ombra. Sotto la tavola s'allungava una enorme pointer, color marrone, circondata da un branco di cuccioli; altri cani occupavano tutti gli angoli. La stanza e il mobilio non avrebbero avuto nulla di straordinario se fossero appartenuti a un rozzo proprietario del nord, dalla dura grinta e dalle membra poderose, magari messe in maggior risalto dai calzoni corti fin sopra al ginocchio e dalle ghette. Un personaggio simile, seduto nella sua poltrona, con un boccale di birra spumeggiante davanti a sè, può vederlo chiunque tra queste colline, nella cerchia di cinque o sei miglia, purché capiti nel momento giusto, dopo pranzo. Ma il signor Heathcliff contrasta singolarmente con la sua dimora e con un simile stile di vita. L'aspetto è quello di uno zingaro, il suo viso è abbronzato, ma l'abito e i modi sono di un gentiluomo; voglio dire un gentiluomo come lo sono molti proprietari di campagna, cioè un po' trascurato; ma a lui tale negligenza non torna di svantaggio, essendo bello di persona, con un portamento eretto e piuttosto altero. Può darsi che alcuni lo taccino di volgare superbia; ma nulla di simile: io sento per istinto che la sua riservatezza nasce da avversione per ogni dimostrazione sentimentale troppo viva e per ogni manifestazione di gentilezza reciproca. Egli amerà o odierà dentro di sè e considererà come un'impertinenza ogni segno di amore o di odio altrui. No, forse corro troppo, e gli attribuisco con eccessiva prodigalità qualità esclusivamente mie proprie. Il signor Heathcliff può disporre di ragioni totalmente diverse per il suo non avere mai una mano libera quando incontra un conoscente quale sarei io. Amo sperare che un tal modo di sentire sia tutto mio particolare. A questo proposito la mia adorata madre soleva dirmi che io non avrei mai avuto una casa mia, e infatti anche la scorsa estate ho dimostrato di esserne veramente indegno. Mentre mi godevo un mese di bel tempo al mare, mi trovai in compagnia di una creatura affascinante, una vera dea ai miei occhi... finché lei non si accorse di me. Non rivelai mai il mio amore verbalmente; però se gli sguardi hanno un linguaggio, anche il più perfetto idiota avrebbe potuto indovinare che io ne ero perdutamente innamorato: alla fine mi comprese e mi ricambiò col più dolce sguardo immaginabile. E che cosa feci io? Lo confesso con vergogna, mi ritrassi scontrosamente in me stesso a guisa di una lumaca; a ogni occhiata mi sentii ricacciare sempre più lontano, e farmi di gelo, così la povera innocente cominciò addirittura a dubitare dei propri sensi, e, presa da 5 confusione per il supposto errore, persuase la madre a partire. Per questa singolarità del mio carattere mi sono acquistata la fama di duro di cuore, ma quanto sia immeritata solo io posso giudicare. Sedutomi all'estremità del camino opposta a quella verso cui il padrone di casa si era diretto, occupai un intervallo di silenzio cercando di accarezzare la cagna madre che con fare da lupa mi si era portata dietro le gambe, il labbro arricciato, le bianche zanne schiumose di saliva per la brama di mordere. La mia carezza provocò un lungo ringhio gutturale. «Fareste meglio a lasciarla stare!» borbottò il signor Heathcliff nello stesso tono, impedendo con una pedata che quella protesta degenerasse. «Non è abituata alle carezze, e non le diamo vizi.» Poi, andando a lunghi passi verso una porta laterale, gridò di nuovo: «Giuseppe!» Si udì Giuseppe mugolare indistintamente nelle profondità della cantina, ma non dette segno di salire; allora il suo padrone scese come un bolide da lui, lasciandomi vis-à-vis con la sua cagnaccia e con un paio di orridi e irsuti bastardi da pastore che subito condivisero con quella una gelosa sorveglianza di ogni mio movimento. Non essendo affatto ansioso di venire a contatto con le loro zanne, rimasi seduto, immobile; ma, pensando che difficilmente avrebbero compreso un tacito insulto, ebbi l'infelice idea di lanciar occhiate e far boccacce a quel trio, e una smorfia della mia fisionomia tanto irritò madama che a un tratto me la trovai sulle ginocchia. Respingendola a terra, senza perdere un istante misi la tavola tra di noi. Questo modo di procedere fece balzar fuori l'intera compagnia; mezza dozzina di indemoniati quadrupedi, di varie dimensioni e di varie età sbucò da nascoste tane slanciandosi nel centro della stanza. Sentii che i miei talloni e i lembi della mia giacca erano speciale oggetto d'assalto, e, difendendomi dai più grossi assalitori come meglio potevo con l'attizzatoio, fui ugualmente costretto a domandare aiuto a gran voce a quelli della casa perché ristabilissero la pace. Il signor Heathcliff e il suo servo risalirono le scale della cantina con una flemma irritante, credo non si siano dati la briga di affrettare menomamente il loro passo, anche se la stanza era tutta una tempesta di abbaiamenti e di squittii. Per mia buona fortuna mostrò maggior sollecitudine un'abitatrice della cucina: una florida donnona, che, con la gonna rialzata, le braccia nude, e le guance infocate, irruppe in mezzo a noi, roteando una larga padella, e adoperò quell'arma e la sua lingua così bene che la burrasca si placò all'istante quasi per magia, e, quando apparve sulla scena il padrone, quella era padrona del terreno, solitaria e ancora ansante come un mare dopo 6 che ha infuriato il vento. «Che diavolo mai succede?» disse Heathcliff, guardandomi in una maniera che ritenni poco sopportabile dopo quel trattamento inospitale. «Ah, per l'appunto che diavolo mai succede?» mormorai. «Il branco dei porci indemoniati non poteva avere in sè spiriti maligni peggiori di quelli di questi vostri animali. Sarebbe lo stesso lasciare un cristiano in un covo di tigri!» «Non se la prendono mai con chi non tocca nulla,» osservò egli, ponendo la bottiglia davanti a me e rimettendo la tavola al suo posto. «È bene che i cani siano vigili! Prendete un bicchiere di vino.» «No, grazie!» «Non siete stato morsicato?» «Se ciò fosse avvenuto, avrei lasciato la mia impronta sul colpevole.» Il viso di Heathcliff sembrò spianarsi. «Via, via, disse, «siete eccitato, signor Lockwood! Ecco, prendete un po' di vino. Gli ospiti sono così rari in questa casa che io e i miei cani non li sappiamo ricevere. Alla vostra salute, signore.» M'inchinai e contraccambiai l'augurio, poiché cominciai a capire che sarebbe stato sciocco conservare un viso sdegnoso per l'indisciplina di un branco di cagnacci, e per di più non mi sentivo affatto disposto a offrire a quel burbero un'altra occasione di divertirsi a mie spese, dato che il suo umore aveva preso tale piega. Egli, allora, pensando forse prudentemente alla follia di offendere un buon inquilino, abbandonò un poco lo stile laconico e introdusse un argomento che supponeva interessante per me un discorso cioè sui vantaggi e gli svantaggi di una dimora solitaria. Lo trovai molto intelligente nel discutere alcuni punti, e, prima di ritornare a casa mi sentii tanto incoraggiato da offrirgli un'altra mia visita per l'indomani; ma evidentemente egli non aveva alcun desiderio che tale intrusione si ripetesse. Ciononostante, ritornerò. È sorprendente quanto più socievole mi senta in suo confronto. 7 «Non ho bisogno di voi, li posso prendere da me!» disse seccamente. «Scusate!» mi affrettai a risponderle. «Siete stato invitato al tè?» mi domandò, annodando un grembiule sopra il suo abitino nero, e arrestandosi col cucchiaio ricolmo di foglie posato sull'orlo della teiera. «Ne prenderò una tazza volentieri,» risposi. «Siete stato invitato?» ripeté. «No,» dissi sorridendo. «Mi dovete invitare voi.» Rimise tè, cucchiaio e ogni cosa a posto e sedette di nuovo, corrugando la fronte e spingendo in fuori il labbruccio rosso come un bambino che stesse per piangere. Intanto il giovane aveva indossata una palandrana innegabilmente molto logora, e ritto davanti alla viva fiamma, mi guardava biecamente, proprio come se tra noi due esistesse un dissidio mortale da regolare. Cominciai a dubitare che fosse un servo; l'abito ed il linguaggio erano rozzi, e totalmente privi della distinzione che si notava nel signore e nella signora Heathcliff; i capelli bruni, fitti e ricciuti erano ruvidi e incolti, le basette gli ricoprivano quasi interamente le guance, conferendogli un aspetto selvaggio; le mani erano abbronzate come quelle di un qualsiasi contadino: eppure aveva il portamento sciolto, quasi altezzoso, e non mostrava la servilità di chi si tiene agli ordini della padrona di casa. In mancanza di indicazioni sicure sulla sua condizione pensai fosse meglio astenermi dal rilevare la sua strana condotta, e, pochi minuti dopo, all'entrare di Heathcliff mi sentii in parte sollevato da quella situazione penosa. «Vedete signore, sono venuto come avevo promesso,» esclamai, assumendo un tono allegro; «e temo che il cattivo tempo mi obbligherà a trattenermi presso di voi una buona mezz'ora, se vorrete offrirmi ricovero per questo tempo.» «Mezz'ora?» disse, scuotendo dagli abiti i candidi fiocchi di neve, «mi stupisco che abbiate pensato di andar in giro proprio in piena bufera. Non sapete che correte il rischio di smarrirvi nella palude? Gente che ha familiarità con questi luoghi, in una sera come questa, sbaglia spesso la strada, e vi posso garantire che non c'è da sperare in un cambiamento.» «Forse potrei valermi della guida di un vostro garzone che resterebbe a Grange fino al mattino, se vorrete mettermi qualcuno a disposizione.» «No, non posso.» «Oh, davvero? Bene, allora non mi resta che affidarmi al mio discernimento.» «Hum!» 10 «Preparate il tè, sì o no?» domandò il giovane dalla logora palandrana, passando col suo sguardo feroce da me alla giovane signora. «E a lui deve essere servito?» chiese ella rivolgendosi a Heathcliff. «Preparatelo,» fu la risposta pronunciata tanto sgarbatamente che trasalii. Il tono della voce rivelava un così brutto temperamento che non mi sentii più disposto a qualificare Heathcliff come un uomo non comune. Quando i preparativi furono finiti, egli mi invitò con un: «Ora, signore, avvicinate la sedia.» Tutti, compreso il giovane contadino, ci sedemmo alla tavola, e, mentre mangiavamo, regnò il più austero silenzio. Se ero la causa di tanto malumore, pensavo che sarebbe stato mio dovere cercare di dissiparlo. Anche ammettendo il loro pessimo carattere, non era immaginabile che ogni giorno sedessero così rigidi e taciturni, e che quel cipiglio fosse l'espressione loro abituale. «È strano,» cominciai dunque a dire, tra una tazza di tè e l'altra, «è strano come l'abitudine possa foggiare le nostre idee e le nostre tendenze. Ben pochi riuscirebbero a immaginare che in una vita così ritirata dal mondo quale è la vostra, signor Heathcliff, vi possa essere felicità; eppure oserei dire che, circondato dalla vostra famiglia, e con la vostra amabile signora, come un genio tutelare che presiede alla vostra casa e illumina il vostro cuore...» «La mia amabile signora!» mi interruppe con una risata diabolica, «dove è la mia amabile signora?» «La signora Heathcliff, vostra moglie, intendevo dire.» «Ah, vedo! volevate dire che il suo spirito fa da angelo tutelare e che veglia sulla fortuna di Wuthering Heights, anche se non esiste più in persona? Non è così?» Accortomi di aver commesso un errore, tentai di rimediare. Avrei dovuto capirlo che vi era troppa differenza d'età tra loro perché fossero marito e moglie: l'uno doveva avere quarant'anni all'incirca, periodo di vigore mentale durante il quale un uomo raramente accarezza l'illusione che una ragazza lo sposi per amore, un sogno simile può essere solo una specie di follia della nostra età più matura; l'altra invece, non ne dimostrava che diciassette. Mi venne un'idea: «Il contadino al mio fianco che prende il tè in una ciotola, e mangia il pane con le mani sudicie, ecco suo marito, Heathcliff junior, naturalmente. Ecco le conseguenze dell'essere seppelliti vivi; lei si è data a questo zotico semplicemente perché ignora che esistono individui migliori. È un vero peccato, debbo stare attento a evitare che lei abbia a rimpiangere la sua scelta.» 11 Quest'ultima riflessione potrebbe sembrare presuntuosa; non lo era; il mio vicino mi dava un senso quasi di ripugnanza e io, al contrario sapevo per esperienza di essere piuttosto attraente. «La signora Heathcliff è mia nuora,» disse Heathcliff, confermandomi nella mia supposizione; e, mentre parlava le rivolse uno sguardo pieno di odio, a meno che i muscoli del suo viso siano così perversi e dissimili da quelli dell'altra gente, da non essere capaci di tradurre il linguaggio dell'anima. «Ah, certamente, ora capisco: siete voi il felice possessore della fata benefica,» ripresi volgendomi al mio vicino. Peggio di prima: il giovane arrossì, e si strinse i pugni, come per un meditato assalto. Ma subito sembrò contenersi, e la sua collera si sfogò nella brutalità di una bestemmia che sicuramente mi concerneva, ma che io mi guardai bene dal rilevare. «Siete sfortunato nelle vostre congetture, signore,» disse il padrone di casa, «nessuno di noi due ha il privilegio di possedere la vostra buona fata; il suo compagno è morto. Ho detto che è mia nuora, ne segue quindi che deve aver sposato mio figlio.» «E questo giovane è...» «Mio figlio? no certamente.» Heathcliff rise di nuovo, come se l'attribuirgli la paternità di quell'orso fosse uno scherzo troppo audace. «Il mio nome è Hareton Earnshaw,» ruggì l'altro, «e vi consiglio di rispettarlo.» «Non ho affatto mostrato mancanza di rispetto,» risposi, sorridendo tra me e me dell'alterigia con cui quello aveva fatto la propria presentazione. Egli tenne lo sguardo fisso su di me tanto a lungo che evitai di ricambiarlo, per il timore d'essere tentato di schiaffeggiarlo o di lasciar trasparire la mia ilarità. Cominciai a sentirmi veramente molto a disagio in quel piacevole cerchio familiare; le cose circostanti dalle quali proveniva un benessere fisico tanto gradito, furono sopraffatte e come abolite da quella sqallida atmosfera incombente sullo spirito; e quindi formulai il proposito di non avventurarmi una terza volta sotto quel tetto senza la massima cautela. Il pasto essendo terminato, poiché nessuno pronunciava una parola di conversazione amichevole, mi avvicinai alla finestra per vedere che tempo facesse; uno spettacolo rattristante mi si presentò alla vista: calava prematuramente l'oscurità della notte e del cielo e le colline erano confuse in un vortice di vento e di neve fittissima. «Ora non mi sarà possibile ritornare a casa senza una guida,» esclamai mio 12 «Andrò con lui fino al parco,» disse. «Andrete con lui all'inferno!» esclamò il suo padrone, o quale altra parentela fosse la sua. «E chi governerà i cavalli?» «La vita di un uomo vale qualche cosa di più e può avere conseguenze ben diverse che il trascurare i cavalli per una sera; qualcuno deve andare,» mormorò la signora Heathcliff, più gentilmente di quanto mi sarei aspettato. «Non perché me lo comandate voi!» replicò Hareton. «Se vi sta a cuore, sarà meglio che ve ne rimaniate quieta.» «Quand'è così, che il suo spirito vi perseguiti, e che il signor Heathcliff non trovi un altro affittuario finché Grange sarà in rovina,» rispose. «Sentitela, sentitela, come invoca maledizioni su tutti!» brontolò Giuseppe, verso il quale io mi ero diretto. Egli si trovava poco discosto, e stava mungendo vacche alla luce di una lanterna. Senza tante cerimonie gliela presi, e, rimandata l'indomani, corsi alla vicina porticciuola. «Padrone, padrone, mi ruba la lanterna!» inseguendomi. «Qua, mastino! Su, su, lupo, azzannatelo.» Mentre aprivo la porticciuola due mostri dal lungo pelo si slanciarono su di me buttandomi giù e spegnendo il lume, e due risate all'unisono da Heathcliff e Hareton spinsero al colmo la mia rabbia e 1a mia umiliazione. Fortunatamente le bestie sembravano più disposte a stendere le zampe, e a sbadigliare, dimenando la coda, che a divorarmi vivo. Comunque non permettevano che mi alzassi e fui costretto a restarmene lì a terra finché gridando che l'avrei gridò il vecchio, piacque ai loro perversi padroni di liberarmi; indi, senza cappello e tremante d'ira, gridai a quei miscredenti di lasciarmi uscire, ché, se mi trattenevano un altro istante avrebbero dovuto risponderne, e gli gridai altre minacce ancora di rappresaglia, più o meno incoerenti, che, per intensità di sdegno, mi facevano somigliare a un Re Lear. L'agitazione violenta mi causò una copiosa perdita di sangue dal naso, ma Heathcliff non smetteva di ridere e io di gridare. Non saprei dire che cosa avrebbe potuto por fine alla scena, se non si fosse trovata lì presso una persona più assennata di me medesimo e più benevola del mio ospite. Era Zillah, la robusta massaia che alla fine apparve per domandare spiegazione di quel baccano. Aveva immaginato che uno di quei tre mi avesse assalito violentemente, ma, non osando affrontare il suo padrone, rivolse un fuoco di artiglieria vocale contro il giovane gaglioffo. «Bene, signor Earnshaw,» gridò. «Vorrei sapere che cosa ancora può succedere. Ora si uccidono le persone sulla soglia di casa! Questo posto non 15 fa per me, guardate quel povero ragazzo, è mezzo soffocato! Silenzio, silenzio, smettete! Entrate qua, vi curo io, ecco, state fermo!» E in così dire mi versò a un tratto una mezza bottiglia d'acqua gelata giù per il collo, e mi trascinò in cucina. Il signor Heathcliff ci seguì, e il suo solito malumore era già subentrato a quell'allegria casuale. Mi sentii molto sconvolto, e fui preso da capogiri e da deliquio, così mi fu forza accettare alloggio sotto il suo tetto. Disse a Zillah di darmi un bicchiere di cognac, poi si ritirò nella stanza attigua. Zillah si dolse con me per la triste sorte capitatami, eseguì gli ordini ricevuti, confortandomi un poco e convincendomi a coricarmi subito. 16 III Nell'accompagnarmi su per le scale, Zillah mi raccomandava di tener celato il lume e di non far rumore, perché il suo padrone aveva idee molto strane riguardo alla stanza in cui lei mi conduceva, anzi non desiderava che vi si alloggiasse nessuno. Chiestogliene il motivo, Zillah mi rispose che non lo sapeva; soltanto da un anno o due si trovava in quella casa e ne aveva viste tante, che proprio le era passata ogni curiosità. Troppo stordito per volermi mostrare curioso a mia volta, quando fui entrato in quella camera, ed ebbi richiuso l'uscio, mi guardai attorno in cerca del letto. L'intero mobilio consisteva in appena una sedia, un armadio, e una gran cassa di quercia con due tavole quadrate tagliate nelle pareti a guisa degli sportelli di una carrozza. Avvicinatomi a quel cassone, vi guardai dentro; mi ricordai allora di quei singolarissimi, antichi letti, foggiati ad arte per risparmiare ai componenti di una famiglia di avere una camera ciascuno. Formava infatti come uno stanzino e l'assicella che stava sotto a un finestrino nell'interno serviva da tavolino. Fatti scorrere quei pannelli, entrai portando con me il lume, indi li richiusi, e così mi sentii al sicuro dalla vigilanza di Heathcliff, o di chicchessia. Posai il lume sull'assicella su cui, in un angolo, erano ammucchiati vecchi libri molto umidi, e appariva inciso qualcosa. Tale scritto consisteva tuttavia di un sol nome, ripetuto in ogni sorta di caratteri, grandi e piccoli. Caterina Earnshaw, alternato qua e là con Caterina Heathcliff, oppure con Caterina Linton. Svogliatamente, appoggiai il capo al finestrino e continuai a leggere quei nomi Caterina Earnshaw, Heathcliff Linton, finché mi si chiusero gli occhi; ma non erano trascorsi cinque minuti che ecco staccarsi sullo sfondo nero un bagliore di lettere bianche e vivide come spettri, e nell'aria turbinare il nome di Caterina mille volte ripetuto; risvegliatomi per scacciare quel nome insistente, mi avvidi che il lucignolo della candela si era ripiegato sopra uno di quegli antichi volumi, diffondendo nello stanzino un puzzo di pelle bruciacchiata. Raddrizzai il lucignolo, e, molto a disagio a cagione del freddo e di quell'odore nauseante, mi risollevai, presi il volume e me lo aprii sulle ginocchia. Era una Bibbia dai caratteri minuti, esalava un forte odore di muffa. Su una pagina bianca spiccava la seguente iscrizione: Caterina Earnshaw, il suo libro , e una data di circa un quarto di secolo prima. Chiusi 17 al suo posto...» Cominciai a sonnecchiare sulla pagina confusa; gli occhi vagavano dal manoscritto alla stampa. Vidi un titolo fregiato di rosso: «Settanta volte sette», pio discorso tenuto dal reverendo Jabes Branderham nella cappella di Gimmerden Sough. E, mentre semincosciente m'arrovellavo per indovinare quale sarebbe stato l'argomento di Jabes Branderham, ricaddi sul letto e m'addormentai. Ahimè! quale può essere l'effetto di un cattivo tè e del cattivo umore! che cos'altro avrebbe potuto farmi passare una notte tanto terribile? Da quando so che cosa sia soffrire non ne ricordo un'altra che regga il paragone con questa. Prima ancora di perdere ogni nozione del luogo ove io ero, cominciai a sognare. Pensavo che fosse mattina e che mi fossi incamminato verso casa, avendo per mia guida Giuseppe. La strada era ricoperta di neve alta più di un metro, e, affondandovi, avanzavamo con molta fatica; ma, con ancor maggiore mia pena, il mio compagno mi rimproverava continuamente perché non mi ero portato un grosso bastone senza di cui non avrei potuto entrare in casa, e in così dire faceva spavaldamente roteare il suo, robusto e nodoso. Dapprima trovai assurdo che per entrare nella mia propria casa dovessi armarmi in tal modo, ma poi mi si affacciò alla mente un'altra idea. La meta del nostro viaggio non era la mia dimora; noi ci eravamo messi in cammino per andare a sentire il famoso Jabes Branderham che doveva predicare sul capitolo «Settanta volte sette» e o Giuseppe, o il predicatore o io avevamo commesso «il primo dei settantunesimi» e dovevamo essere incolpati e scomunicati pubblicamente. Arrivammo alla chiesetta. Nelle mie passeggiate più di una volta vi ero passato davanti; è situata fra due colline in una conca dove è una palude di cui si dice che, per l'umidità prodotta dalla torba risponda a tutti i requisiti necessari all'imbalsamazione dei corpi che vi vengano sepolti. La cappella non è propriamente in rovina: il tetto è ancora saldo, ma un'abitazione di sole due stanze che minacciano di dover presto ridursi a una, un beneficio di sole venti sterline all'anno per il ministro, non bastano a invogliare alcuno ad assumersi l'ufficio di pastore, tanto più che è voce generale che i devoti lo lascerebbero morir di fame piuttosto che accrescergli l'emolumento di un sol centesimo tolto dalle loro tasche. Tuttavia, nel mio sogno, la congregazione di Jabes era numerosa e attenta, e costui predicava - oh, buon Dio, quale sermone! suddiviso in quattrocentonovanta parti, e cioè in quattrocentonovanta prediche non diverse dalle solite, ma in ognuna delle quali si trattava di una data colpa. Dove le andasse a pescare, non saprei dirlo! Aveva un suo modo speciale di interpretare i testi, e sembrava 20 che in ogni occasione immancabilmente si commettessero diversi peccati; erano curiosissimi; strane trasgressioni mai sognate prima. Oh, come ne ero stanco! Come mi contorcevo, come sbadigliavo, e ricadevo nel sonno per trasalire di nuovo! Come mi pizzicavo e mi sfregavo gli occhi, e mi mettevo a sedere, e daccapo mi riadagiavo, dando di gomito a Giuseppe perché mi dicesse quando mai sarebbe finita. Ero condannato a sentir tutto, dalla prima parola all'ultima. Finalmente Jabes arrivò al «Primo dei settantunesimi». A questo punto ebbi una subitanea ispirazione: mi sentii spinto ad alzarmi per accusare Jabes Branderham quale peccatore della colpa che nessun cristiano è in obbligo di perdonare. «Signore!» esclamai, «seduto qui tra queste quattro mura, ho dovuto sopportare, e ho perdonato, le quattrocentonovanta parti del vostro discorso. Settanta volte sette fui sul punto di prendere il mio cappello e di andarmene. Settanta volte sette con un cenno imperioso mi avete imposto di rimettermi a sedere. La quattrocentonovantesima è troppo! Compagni, martiri, acciuffatelo, trascinatelo, calpestatelo, riducetelo in polvere che la terra che lo conosce non lo riconosca più!» « Tu sei l'uomo!» gridò Jabes, dopo una solenne pausa, sporgendosi dal pulpito, appoggiato al cuscino. «Settanta volte sette hai tu contorto il viso, restando senza respiro, settanta volte sette ho interrogato la mia coscienza e mi son detto: è debolezza umana; questo pure può essergli assolto! Il primo dei settantunesimi è venuto. Fratelli, fate giustizia di lui come sta scritto! Tutti i santi godono di tale privilegio!» A queste parole conclusive, i fedeli là radunati si slanciarono in massa contro di me, agitando i bastoni, e io, non avendo armi da usare in mia difesa, venni alle prese con Giuseppe, il più feroce e il più vicino a me dei miei avversari, e tentai di impadronirmi del suo bastone. Nell'addensarsi della moltitudine parecchi bastoni si incrociarono, botte a me dirette caddero invece su altre teste. In un momento tutta la cappella risuonò di colpi e contraccolpi; il braccio di ognuno era levato contro il vicino, e Branderham che non voleva rimanersene fuori, sfogò il suo zelo con un rovescio di colpi applicati al legno del pulpito, producendo un tal baccano, che alla fine con mio gran sollievo, mi risvegliai. Ma che cosa dunque poteva aver dato origine a quel terribile tumulto? Chi mai aveva fatto la parte di Jabes nella zuffa? Null'altro che un ramo di abete che nell'imperversare della bufera sbatteva contro l'impannata della mia finestra, facendo suonare le pigne secche sui vetri! Stetti un istante in ascolto, preso da dubbio, ma, riconosciuto il mio disturbatore, mi girai e mi riassopii, e 21 cominciai di nuovo a sognare, un sogno se possibile peggiore del precedente. Questa volta, tuttavia, mi rammentavo di essere nello stanzino di quercia e sentii distintamente le folate del vento e il turbinare della neve; sentii pure il ramo di abete ripetere quell'uggioso rumore e lo attribuii alla vera causa, ma mi dava una tale molestia che decisi di trovare un mezzo per farlo cessare, e credo che mi alzai, e cercai di aprire la finestra, ma non vi riuscii. Il gancio era stato saldato, cosa da me notata quando ero sveglio, ma poi dimenticata. «Eppure bisogna che lo faccia finire,» mormorai, e picchiai le nocche delle dita contro il vetro che si frantumò; stesi il braccio al di fuori per afferrare il ramo importuno, ma la mia mano strinse invece le dita di una piccola mano diaccia. L'intenso orrore dell'incubo m'invase; cercai di ritrarre il braccio, ma la piccola mano vi si aggrappava, e una voce malinconica ripeteva singhiozzando: «Lasciami entrare! Lasciami entrare!» «Chi sei?» chiesi, facendo sforzi per liberarmi da quella stretta. «Caterina Linton,» rispose, tremando. (Perché pensai a Linton? avevo ben letto Earnshaw venti volte più di Linton.) «Sono ritornata a casa; mi ero smarrita nella palude.» Mentre parlava, scorsi, indistintamente, nel buio, un viso di fanciulla che guardava in direzione della finestra. Il terrore mi rese crudele, e, poiché era vano cercare di respingere quella creatura, trassi il braccio attraverso il vetro rotto, e sfregai il polso innanzi e indietro fino a farne uscire del sangue che sgocciolò sulle coperte del letto; ma la fanciulla non smetteva di gemere: «Lasciami entrare!» e non rallentava la sua stretta tenace, rendendomi quasi pazzo dal terrore. «Come potrei fare?» chiesi alla fine. «Staccati se vuoi che ti lasci entrare.» Le dita cedettero, ritirai immediatamente la mano dall'apertura e ammucchiati dei libri contro di essa, mi turai le orecchie per non sentire quella miserevole preghiera. Sembrandomi di essere rimasto un buon quarto d'ora a orecchie chiuse, mi posi in ascolto, ma riudii subito il doloroso lamento di prima. «Vattene!» gridai. «Non ti lascerò mai entrare nemmeno se mi pregassi per venti anni!» «Ma sono vent'anni!» gemette la voce. «Sì, sono vent'anni. Ho girato per venti anni come una vagabonda!» A queste parole seguì un leggero raschiamento e il mucchio di libri si scostò come se fosse stato spinto dal di fuori. Feci l'atto di saltar giù dal letto, ma non mi fu possibile muovere un sol membro, e in un eccesso di spavento detti un grido. Con mia grande confusione, constatai che il grido non era stato immaginario; passi affrettati s'approssimarono subito alla mia porta, una mano vigorosa l'apri e la luce brillò sopra al mio letto penetrando attraverso le aperture laterali. Rimasto seduto, ancora tutto tremante, mi 22 campagna. A un uomo ragionevole deve bastare la propria compagnia!» «Ah sì, bella compagnia!» brontolò Heathcliff. «Prendete il lume e andatevene dove volete. Vi raggiungerò subito. Però non andate in cortile, i cani sono slegati, e la casa... Juno è di guardia, e... potrete girovagare per le scale e per i corridoi. Ma ora via! Vi raggiungerò fra un minuto.» Ubbidii, e cioè lasciai la camera ma non sapendo dove conducessero gli stretti corridoi mi fermai, e senza volerlo fui testimonio della superstizione del mio padrone di casa, superstizione che contrastava stranamente con il suo apparente buon senso. Salì sul letto e, spalancata l'impannata, scoppiò in un irrefrenabile pianto: «Entra, entra!» singhiozzava. «Caterina, vieni, ti prego... vieni, ancora una volta! Oh! mia diletta, ascoltami almeno questa volta! Caterina, vieni, finalmente!» Lo spettro, capriccioso come ogni spettro, non diede più segno di vita; ma la neve e il vento turbinarono impetuosamente, giungendo fin dove ero io e spegnendomi il lume. Vi era tale intensità nello scoppio di dolore susseguente a quel vaneggiamento che la pietà mi fece dimenticare come fosse pura follia. Mi allontanai molto irritato contro me stesso per essere rimasto ad ascoltare e per aver narrato il mio ridicolo sogno, che aveva causato tanta pena, anche se il motivo di essa mi restava incomprensibile. Cautamente scesi a pianterreno, e mi trovai nel retrocucina, dove un po' di brace rimasta accesa nel focolare, mi permise di riaccendere il mio lume. Nulla si moveva all'intorno, a eccezione di una gatta tigrata, che uscì fuor dalla cenere e mi salutò con un querulo miagolìo. Due panche stavano intorno al focolare racchiudendolo quasi completamente: mi sdraiai su una di queste panche, e la gatta saltò sull'altra. Ci eravamo entrambi addormentati, poiché nessuno era venuto ad invadere il nostro rifugio, quando Giuseppe scese da una scala a pioli, che per un'apertura segreta spariva nel soffitto e probabilmente saliva al granaio. Gettato uno sguardo sinistro alla piccola fiamma da me attizzata, scacciò la gatta dal suo sedile elevato, vi si sedette lui, e cominciò a riempire di tabacco una grossa pipa. Evidentemente giudicava la mia presenza nel suo santuario una sfacciataggine troppo vergognosa per esser rilevata. In silenzio si portò la pipa alle labbra, incrociò le braccia e si diede a fumare sul serio. Lo lasciai indisturbato al suo godimento, e, quando fu all'ultima boccata di fumo si alzò con un profondo sospiro, indi si allontanò, solennemente come era venuto. Un passo più agile sopravvenne, e questa volta aprii la bocca per pronunciare un «buon giorno», ma la chiusi in fretta, ancor prima di esalare 25 il saluto. Hareton Earnshaw recitava le sue orazioni sotto voce, una serie di bestemmie contro quanto gli capitava fra le mani, mentre rovistava in un angolo in cerca di una vanga o di una pala per servirsene fuori nella neve. Diede un'occhiata torva in direzione della panca, dilatando le nari e non gli passò neppur per la mente di scambiare una cortesia con me, come non si sarebbe mai sognato di scambiarla con la mia compagna di poco prima, la gatta. Dai preparativi che faceva, compresi che l'uscita non mi era più vietata, e, abbandonato il mio duro giaciglio, mi mossi per seguirlo. Egli se ne avvide, e batté con la vanga contro una porta interna, intimandomi con un suono inarticolato di entrar là dentro se proprio volevo cambiar posto. Quella porta si apriva nella cosiddetta casa, dove le donne erano già in faccende. Zillah con un enorme soffietto faceva guizzar su per il camino lingue di fiamme, e la signora Heathcliff, seduta presso il focolare, leggeva un libro a quella vivida luce. Con una mano si riparava gli occhi da quel gran calore di fornace e la si sarebbe detta molto assorta nella lettura, non distogliendosene che per ammonire la domestica quando costei la ricopriva di faville e per scostare un cane che le sfregava il muso umido sul viso. Fui sorpreso di trovar lì anche Heathcliff. Si teneva in piedi presso il focolare, voltandomi le spalle, e doveva avere appena avuto un alterco con la povera Zillah che di tanto in tanto deponeva il soffietto, per rialzare un lembo del grembiule e protestare la propria indignazione. «E tu? buona a nulla!» stava gridando quando entrai, e si rivolgeva alla nuora con un epiteto innocuo come oca o pecora o qualcuno di quegli altri che in genere si preferiscono completare con qualche puntino. «Eccoti di nuovo ai tuoi inutili passatempi oca della malora! Gli altri si guadagnano il pane, tu vivi della mia carità! Via con quella tua roba, fa' qualcosa. Me la pagherai cara di doverti avere eternamente sotto gli occhi, mi senti, maledetta p...!» «Riporrò il libro, poiché, se rifiutassi, voi mi ci forzereste,» rispose la giovane signora, chiudendo il libro e gettandolo su di una sedia, «ma mi occuperò solo di quello che mi pare e piace anche se bestemmierete fino a perderne il fiato.» Heathcliff alzò la mano e la signora che senza dubbio ne conosceva il peso, si mise prontamente al sicuro, balzando lontano. Non desiderando affatto di assistere a un combattimento come di cane e gatto, quale minacciava di esser quello, mi inoltrai con passo lesto, quasi fossi ansioso di riscaldarmi io pure a quella bella fiammata, e con l'aria di non essermi accorto della disputa in corso. Tutti e due ebbero abbastanza decoro da 26 sospendere le ostilità; Heathcliff si cacciò i pugni nelle tasche, via dalle tentazioni, e la signora Heathcliff, stringendo le labbra, andò a sedere lontano, e mantenne la parola data, facendo la parte di statua per tutto il tempo che io mi trattenni da loro. Non fu a lungo. Ricusando di restare a colazione, al primo albeggiare colsi l'occasione per uscir fuori all'aria aperta, ora chiara immobile e fredda come ghiaccio impalpabile. Non ero ancor giunto in fondo al giardino, quando il padrone di casa mi gridò di fermarmi, e mi offrì di accompagnarmi attraverso la palude. Fu una fortuna che fosse venuto; il dorso della collina appariva come un'immensa successione di bianchi marosi, e le elevazioni e gli avvallamenti non corrispondevano ai rialzi ed abbassamenti del terreno; molte depressioni si erano colmate fino ad essere a livello, e mucchi di sassi, rifiuto delle petraie, erano cancellati dalla carta topografica che la passeggiata del giorno prima mi aveva impresso nella mente. Avevo notato, a esempio, a intervalli di sei o sette braccia, una fila di pietre erette lungo tutta l'estensione di quella landa incolta. Vi erano state collocate appositamente, e imbiancate poi di calce, perché servissero di guida nell'oscurità o durante una bufera come quella della notte passata, quando i profondi pantani da ambo i lati sparivano confondendosi col sentiero di terra battuta; ma, a eccezione di qualche punto oscuro che si alzava qua e là, ogni altra traccia era scomparsa e il mio compagno doveva avvertirmi di frequente di volgere ora a destra ora a sinistra, proprio quando ritenevo di seguire esattamente i serpeggiamenti della strada. Poche parole furono scambiate tra di noi, e, al cancello del Parco di Thrushcross, egli si fermò, dicendomi che ormai non potevo sbagliarmi più. I nostri saluti si limitarono a un cenno affrettato del capo, indi io mi spinsi avanti, affidandomi alle mie proprie risorse, dato che non ho ancora trovato un custode per il cancello. La distanza dal cancello a Grange è di due miglia, ma credo che per me diventassero quattro, sia perché mi smarrii tra gli alberi, sia perché affondavo nella neve fino al collo; inconveniente che soltanto quelli che lo hanno esperimentato sanno ben valutare. A ogni modo, con questo vagare di qua e di là, entrai in casa quando l'orologio suonava le dodici, questo voleva dire che avevo impiegato esattamente un'ora per ogni miglio della strada ordinaria che parte da Wuthering Heights. Quella specie di surrogato umano della mia governante e i suoi satelliti mi corsero incontro, dandomi il benvenuto ed esclamando tumultuosamente che non mi aspettavano più; tutti si erano ormai persuasi che fossi rimasto vittima della bufera di neve, e stavano appunto pensando al modo di 27 farlo rinunciare all'occasione di intascare qualche centinaio di lire di più. È strano che si possa essere così avidi quando si è soli al mondo!» «Pare che avesse un figlio?» «Sì, ne aveva uno; ma è morto.» E quella giovane signora, la signora Heathcliff, ne è la vedova?» «Sì.» «Di che paese è?» «Ma come, signore? È la figlia del mio ultimo padrone; il suo nome di ragazza è Caterina Linton; l'ho allevata io, poverina! Ho tanto desiderato che il signor Heathcliff venisse a vivere qui, poiché allora avremmo potuto stare ancora insieme.» «Come, Caterina Linton?» esclamai, attonito. Ma un momento di riflessione mi persuase che non poteva trattarsi della mia Caterina, di quella apparsami come uno spettro. «Allora,» proseguii, «il nome del mio predecessore era Linton?» «Per l'appunto.» «E chi è quell'Earnshaw: Hareton Earnshaw, che vive col signor Heathcliff? sono parenti?» «No, è il nipote della signora Linton, morta anche lei.» «Cugino quindi della giovane signora?» «Sì, come lo era anche il marito; uno, per parte della madre, l'altro, del padre. Heathcliff sposò la sorella del signor Linton.» «A Wuthering Heights ho visto il nome di "Earnshaw" scritto sopra la porta d'ingresso della casa. È una famiglia antica?» «Antichissima, signore; e Hareton ne è l'ultimo discendente, come la nostra signorina Caterina lo è di noi, intendo dire dei Linton. Siete, dunque, stato a Wuthering Heights? Perdonate la domanda, ma amerei sapere come sta lei.» «Chi? la signora Heathcliff? Aveva l'aria di star bene, ed è molto bella; tuttavia, non mi pare molto felice.» «Oh non me ne meraviglio! E che ne dite del padrone?» «Un uomo piuttosto ruvido, signora Dean. Non è questo il suo carattere?» «Ruvido come il filo di una sega, e duro più di una pietra. Meno lo avvicinerete, e meglio sarà per voi!» «Avrà avuto alti e bassi nella sua vita per esser diventato un simile tanghero! Ne sapete un poco la storia?» «È la favola del cuculo, signore; io la conosco tutta, eccettuato dove nacque, chi furono i suoi genitori, e in qual modo fece i suoi denari, in principio. E Hareton non è stato messo da parte come un papero senza piume? Lo 30 sfortunato ragazzo è il solo in tutta la parrocchia che non sappia come sia stato truffato.» «Ebbene, signora Dean, farete un'opera caritatevole, se vorrete narrarmi qualcosa dei miei vicini. Sento che non riposerei, se mi coricassi; vogliate dunque esser tanto buona da rimanere a chiacchierare ancora un po'.» «Oh, ben volentieri, signore. Andrò a prendere un lavoro e poi resterò quanto vorrete. Ma vi siete preso un'infreddatura, vi ho visto rabbrividire; sarà bene che prendiate una farinata calda per scacciarvela di dosso.» La brava donna uscì frettolosamente dalla stanza e io mi rintanai ancor più vicino al fuoco: mi sentivo la fronte bollente e il resto del corpo ghiacciato; avevo inoltre i nervi e il cervello eccitatissimi, mi pareva quasi d'impazzire, e questo mi era causa di paura più che di fastidio, paventando io le serie conseguenze degli incidenti di oggi e di ieri, come le temo tuttora. La signora Dean fu subito di ritorno con un bricco fumante e un cestino da lavoro: posto il primo sul fuoco, mi si accostò con una sedia, evidentemente molto contenta di trovarmi così socievole. «Prima di venire a vivere in questa casa,» cominciò a raccontare senza aspettare un mio ulteriore invito, «ero quasi sempre a Wuthering Heights, poiché il signor Hindley Earnshaw, padre di Hareton, era stato allevato da mia madre, e io ero solita giocare con i bambini. Sbrigavo anche commissioni; aiutavo a raccogliere il fieno, e mi tenevo sempre nei dintorni della fattoria, pronta a fare qualsiasi cosa mi venisse ordinata...» Un bel mattino d'estate, si era al principio della mietitura, me ne ricordo bene, il vecchio padrone, il signor Earnshaw, scese in abito da viaggio e, dopo aver impartito gli ordini a Giuseppe per la giornata, si diresse verso di noi: eravamo Hindley, Cathy e io; io per l'appunto stavo mangiando la zuppa con loro. Rivoltosi al figlio il signor Earnshaw gli disse: «Sappi, bell'ometto mio, che oggi vado a Liverpool, che cosa vuoi che ti porti? Puoi scegliere quello che vuoi, ma bada che sia una cosa piccola perché vado e torno a piedi; sessanta miglia l'andare e sessanta nel tornare, non è dir poco!» Hindley gli chiese un violino, e poi venne la volta della signorina Cathy: la piccola non aveva ancora sei anni, ma sapeva cavalcare qualsiasi cavallo della scuderia, e si scelse una frusta. Il padrone non si scordò neppure di me poiché aveva buon cuore, sebbene alle volte fosse un po' severo; promise che mi avrebbe portato una tasca piena di mele e di pere; infine baciò i bambini, e con un ultimo saluto partì. Quanto ci sembrarono lunghi i tre giorni in cui restò assente; e quante volte la piccola Caterina ebbe a chiedere quando sarebbe tornato suo padre! 31 La terza sera dal giorno della sua partenza, la signora Earnshaw l'attese per la cena, ma questa dovette essere rinviata d'ora in ora, non essendovi alcun indizio d'arrivo; e anche i ragazzi si stancarono di correre giù al cancello a vedere se mai comparisse qualcuno: poi si fece buio e la signora Earnshaw voleva mandare i ragazzi a letto, ma loro chiesero ansiosamente il permesso di rimanere alzati; ed erano già le undici circa, quando fu sollevato silenziosamente il saliscendi e fece il suo ingresso il padrone. Si lasciò cadere su di una sedia ridendo e lagnandosi nel medesimo tempo; volle che tutti si tenessero discosti da lui perché, diceva, era morto dalla stanchezza; proprio non avrebbe rifatto quella strada per i tre regni! «Ed essere per di più sovraccarico in questo modo!» disse, e aprì il cappotto che teneva tutto avvoltolato tra le braccia. «Guarda qui, moglie! In tutta la mia vita non mi sono mai sentito tanto stanco; ma te lo devi ugualmente pigliare come un dono di Dio, benché sia nero nero come se venisse dal diavolo.» Ci stringemmo intorno a lui; e io, spingendo lo sguardo al di sopra della testa di Caterina, potei scorgere un bambino lacero, sudicio, dai capelli neri, e già abbastanza grande da poter camminare e parlare. In realtà, dal viso si sarebbe detto maggiore di Caterina; tuttavia, quando fu messo in piedi, non fece altro che guardare intorno fissamente, ripetendo più e più volte le stesse parole in un dialetto che nessuno riusciva a comprendere. Io ebbi paura, e la signora Earnshaw sembrava volesse gettarlo fuori dall'uscio da un istante all'altro; ella diede quasi in smanie, chiedendo al marito come avesse potuto portare a casa quel figlio di zingari, quando avevano già i loro propri marmocchi da nutrire e da allevare. Che cosa mai intendeva farne? gli aveva dato di volta il cervello! Il padrone cercò di spiegare le cose, ma era realmente esausto dalla fatica, e io, in mezzo agli strilli della moglie, non riuscii a capire altro se non che l'aveva trovato per le vie di Liverpool, affamato, senza tetto, e incapace di parlare, come se fosse stato un muto; l'aveva quindi raccolto, e aveva chiesto in giro per apprendere a chi appartenesse. Ma nessuno lo sapeva, e, avendo mezzi e tempo limitati, egli aveva pensato che meglio era portarselo a casa subito, piuttosto che andare incontro a delle spese laggiù, avendo deciso che non l'avrebbe lasciato dove e come l'aveva trovato. Bene, la conclusione fu che la mia padrona, dopo infinite lamentele, si calmò, e il signor Earnshaw mi disse di lavare il bambino, di fargli indossare cose pulite e di metterlo a dormire con gli altri. Hindley e Cathy si erano accontentati di guardare e di stare in ascolto finché non fu ristabilita la pace, ma poi si diedero entrambi a frugare nelle 32 non verrai tu stesso scacciato subito.» Hindley lanciò il peso che andò a colpirlo in pieno petto, facendolo stramazzare a terra, ma il ragazzo si rimise subito in piedi, barcollante, senza respiro e pallidissimo, e, se non glielo avessi impedito io, sarebbe corso a denunciare il colpevole sicuro di ottenere ampia vendetta, quel suo stato medesimo avrebbe testimoniato in suo favore. «Ebbene, prenditi il mio puledro, zingaro,» disse il giovane Earnshaw, «e possa romperti il collo! Prenditelo, e sii maledetto, miserabile intruso! spoglia mio padre di tutto il suo avere, ma aspetta a fargli vedere quello che sei, figlio di Satana! prenditi anche il mio puledro! e spero che ti spaccherà il cranio con un calcio.» Heathcliff era andato a slegare il cavallo per farlo passare nel suo proprio stallo, e gli stava di dietro, quando Hindley a conclusione delle sue parole, con un colpo brutale lo mandò a ruzzolare sotto i piedi dell'animale, e senza fermarsi a vedere se i suoi voti si avverassero, si diede rapidamente alla fuga. Fui sorpresa di vedere coi miei propri occhi con quale freddezza il ragazzo si tirò su, continuando nel suo intento; cambiò le selle e ogni altra cosa, e, prima di rientrare in casa, sedette su un mucchio di fieno per vincere lo stordimento prodottogli da quel terribile colpo. Non ebbi difficoltà a persuaderlo a lasciar credere che le sue contusioni fossero dovute al cavallo; a lui poco importava quel che si sarebbe detto, una volta che aveva ottenuto quanto voleva. E per tali baruffe si lagnava così di rado che credetti in buona fede che non fosse vendicativo, ma, come sentirete, mi ero completamente ingannata. 35 V Con l'andar del tempo il signor Earnshaw cominciò a declinare. Era sempre stato attivo e sano, nonostante questo le forze lo abbandonarono all'improvviso, e, quando si trovò confinato in un angolo del camino, divenne dolorosamente irascibile. Un nulla lo contrariava e qualsiasi trasgressione alla sua autorità lo precipitava in un parossismo di furore. Questo si verificava specialmente quando qualcuno cercava d'ingannare o di opprimere il suo prediletto; soffriva per il solo timore che fosse oggetto di qualche mala parola, perché si era messo in mente che proprio per la ragione che lui lo amava gli altri odiassero Heathcliff, e non aspettassero che il momento di potergli giocare un brutto tiro. Era un guaio per il ragazzo, perché non desiderando nessuno di noi, neanche il meno gentile, far inquietare il padrone, tutti assecondavamo ogni suo capriccio; ma tale sottomissione non faceva che aumentarne l'orgoglio e la cattiva indole. Tuttavia, sotto un certo aspetto, divenne una necessità; più di una volta si dette il caso che, a una manifestazione di sprezzo da parte di Hindley in presenza del padre, il vecchio andasse su tutte le furie e, afferrato il bastone per darglielo sulle spalle, se poi non vi riusciva, rimanesse tutto tremante di rabbia. Alla fine il nostro curato (avevamo un curato che trovava modo di far bastare il suo beneficio insegnando ai piccoli Linton e agli Earnshaw e coltivando lui stesso il suo piccolo pezzo di terra), questo nostro curato consigliò di mandare il giovane Hindley all'università, e il signor Earnshaw finì per acconsentire, sia pure di mala voglia, perché soleva dire: «Hindley non val nulla e non riuscirà mai in qualsiasi luogo lo si mandi.» Speravo con tutto il cuore che così avremmo finalmente avuta la pace; mi faceva male pensare che il padrone dovesse ricavar tanti dispiaceri proprio da una buona azione. Immaginavo che quella sua irascibilità avesse origine dalla discordia in famiglia, come egli stesso affermava, ma in realtà, lo avrete capito, proveniva dal deperimento generale del suo organismo. Tuttavia, avremmo potuto andare avanti in modo tollerabile, se non ci fossero state due persone; la signorina Caterina e Giuseppe, il domestico; immagino che l'avrete visto lassù. Era, ed è tutt'ora, il più noioso e ipocrita fariseo, discolpatore di se stesso, che abbia mai scartabellato una Bibbia alla ricerca di promesse a proprio favore e di maledizioni ai danni del prossimo. Con quella sua facilità di tener sermoni e pii discorsi, era riuscito a fare una 36 grande impressione al signor Earnshaw, e, più debole diventava il padrone, e maggior impero egli acquistava su di lui. Era spietato nel tormentarlo per quanto riguardava l'anima sua e il rigore con cui devono essere allevati i figlioli. Lo spingeva a considerare Hindley un malvagio, e regolarmente, ogni sera, gli spifferava una lunga tiritera di ribalderie commesse da Heathcliff e da Caterina, badando sempre di viziare la debolezza di Earnshaw con il riversare il maggior biasimo su quest'ultima. Certo ella aveva dei modi come non vidi mai in nessun bambino, e cinquanta volte al giorno, a dir poco, metteva a dura prova tutta la nostra pazienza. Dall'ora in cui scendeva dalla sua stanza il mattino, fino all'ora in cui saliva a coricarsi, non avevamo un minuto di tranquillità, temendo sempre che ne combinasse qualcuna delle sue. Il suo spirito era sempre al più alto grado di ebollizione, la sua lingua andava continuamente, cantava, rideva e tormentava chi ricusasse di assecondarla. Era una piccola selvaggia dispettosa, ma aveva gli occhi tanto belli, il più dolce dei sorrisi, il piedino più leggero di tutto il contado e, dopo tutto, credo non avesse veramente cattive intenzioni, perché, se le accadeva di farvi piangere per davvero, ben di rado non dava in pianto pure lei, obbligandovi così a calmarvi per poterla consolare. Ma era troppo attaccata a Heathcliff. Il peggior castigo che potessimo inventare per lei era quello di tenerla separata da lui; eppure, per cagion sua, veniva sgridata ancor più degli altri. Giocando, le piaceva moltissimo far la parte della padroncina; era lesta di mano, e comandava ai suoi compagni per dritto e per rovescio, e così voleva fare con me; ma a me questo non andava, e glielo feci capire. Ebbene, il signor Earnshaw non era fatto per comprendere gli scherzi dei bambini, essendo sempre stato severo e grave con loro; e Caterina, da parte sua, non si rendeva conto che, nel suo stato di salute, il padre fosse più irascibile e intollerante di quando stava bene. I suoi rimproveri parevano eccitare in lei il crudele piacere di provocarlo: non era mai tanto felice come quando la sgridavamo tutti insieme, e lei ci sfidava con il suo sguardo ardito e insolente e con le sue parole vivaci: metteva in ridicolo le maledizioni religiose di Giuseppe, tormentava me e faceva proprio quello che il padre più detestava, con il mostrargli come quella insolenza apparente, che l'uomo riteneva reale, avesse più potere su di Heathcliff che la gentilezza paterna, e come il ragazzo ubbidisse a lei sempre, e a lui soltanto quando gli accomodava. Dopo di essersi comportata tutto il giorno nel peggior modo possibile, verso sera si faceva carezzevole per ottenere di far la pace. «No, Cathy,» le diceva il vecchio, «non posso volerti bene, tu sei peggiore di tuo 37 VI Il signor Hindley venne per i funerali e, cosa che ci sorprese e che diede luogo a un mondo di chiacchiere tra il vicinato, portò seco una moglie. Chi fosse, e di dove fosse non ce lo disse; probabilmente non aveva dote e nemmeno un nome che potesse conquistarle simpatie, altrimenti non avrebbe tenuta segreta la sua unione al padre. La sposa, per conto suo, non era persona da portare scompiglio in casa; anzi, dal momento in cui ebbe passata la soglia, sembrò rallegrarsi di tutto e di tutti; soltanto non poteva sopportare la vista dei preparativi funebri, e nemmeno la presenza dei parenti in lutto. A proposito di questo suo modo di comportarsi, mi feci l'idea che fosse poco intelligente; al momento del funerale corse in camera e insistette perché andassi con lei, benché sapesse che dovevo pure vestire i bambini; là si era seduta in preda a una forte agitazione, e, congiunte le mani, chiedeva ripetutamente: «Se ne sono andati? se ne sono andati?» E poi con una eccitazione isterica cominciò a descrivermi l'effetto che le produceva il nero; e, così parlando, sussultava, tremava, e alla fine si mise a piangere; quando le chiesi che cosa avesse, rispose che non lo sapeva; ma che aveva paura di morire. Mi parve lontana da qualsiasi minaccia di morte almeno quanto lo ero io. Era piuttosto esile, ma giovane, aveva un bel colorito fresco, e gli occhi le brillavano come diamanti. Avevo notato, è vero, che, nel salire le scale, il respiro le si faceva rapido, che il minimo rumore la faceva trasalire, e che alle volte tossiva spasmodicamente; ma, non immaginando affatto quel che annunciassero tali testimonianze, non mi sentivo spinta a compassionarla. In genere qui da noi, signor Lockwood, non simpatizziamo troppo con gli estranei, a meno che non siano loro i primi a dimostrarci la propria simpatia. Durante quei tre anni di assenza il giovane Earnshaw era cambiato notevolmente. Si era alquanto moderato; non aveva più il colorito vivo di prima, parlava e vestiva in altro modo, e il giorno stesso del suo arrivo, disse a Giuseppe e a me che, da allora in poi, dovevamo acquartierarci nel retrocucina e lasciare la «casa» esclusivamente libera per lui. Avrebbe voluto ridurre a salotto, ornandola con tappeti e tappezzerie, una piccola stanza libera, ma sua moglie si mostrò così soddisfatta del pavimento di pietre bianche, e dell'immenso camino risplendente, dei piatti di peltro, e delle maioliche di Delft, e del canile e di tutto quello spazio vuoto che ancora restava ove sedevano d'abitudine, che lui finì con il persuadersi che sarebbe 40 stata cosa superflua, e abbandonò l'idea di quell'innovazione. La moglie dimostrò di provar molto piacere a considerare, tra le nuove conoscenze, Caterina come una sorella, e da principio chiacchierava con lei, la baciava, la seguiva ovunque, e le faceva una quantità di regali. Ma ben presto tali dimostrazioni d'affetto cessarono; ella si fece capricciosa e Hindley divenne un tiranno. Poche parole di lei che denotavano un'antipatia per Heathcliff, bastarono a far risorgere in lui l'antico odio per il ragazzo. Escludendolo dalla loro compagnia, volle che rimanesse con i domestici; lo privò dell'istruzione del curato, e gli impose di lavorare in campagna, obbligandolo a un duro lavoro come se fosse stato un contadino. Heathcliff sopportò dapprima tale umiliazione quasi con indifferenza, perché Cathy gli insegnava tutto quello che lei stessa imparava, e lavorava e giocava con lui nei campi. Purtroppo, promettevano di crescere ambedue come rozzi selvaggi, non occupandosi affatto il giovane padrone dei loro modi e della loro condotta, pur di non averli tra i piedi. Non si sarebbe nemmeno interessato a che andassero in chiesa la domenica, se Giuseppe e il curato, non lo avessero rimproverato di negligenza tutte le volte che quei monelli restavano assenti; il che serviva a rammentargli di dar ordine che Heathcliff fosse frustato, e che Caterina fosse lasciata senza cena o senza pranzo. Ma fuggire al mattino nella landa e rimanervi tutto il giorno, era uno dei loro divertimenti preferiti, e la punizione che li attendeva pareva loro semplicemente irrisoria. Il curato poteva bene assegnare a Caterina tanti capitoli da imparare a mente quanti gliene piacesse, e Giuseppe poteva bene sferzare Heathcliff fino a farsi dolere il braccio, non appena quei due si trovavano di nuovo insieme, tutto era dimenticato, e veniva subito tramato un piano di vendetta. Quante volte non ho pianto nel doverli veder crescere di giorno in giorno così disperati, senza poter osare una sillaba nel timore di perdere anche quel poco ascendente che ancora mi rimaneva su quelle creature abbandonate da tutti. Una domenica sera capitò che fossero scacciati dal salone per aver fatto chiasso e per non so quale altra lieve mancanza, e, quando andai a chiamarli per la cena, non riuscii a trovarli da nessuna parte. Tutta la casa fu rovistata sopra e sotto, e la corte, e le rimesse, ma inutilmente; erano introvabili, e alla fine Hindley, infuriato, ordinò di chiudere la porta a catenaccio, e guai a chi li lasciasse entrare quella notte! Tutti se ne andarono a letto, ma io, troppo inquieta per coricarmi, aprii la mia finestra e rimasi in ascolto, con la testa fuori, benché piovesse, decisa nonostante quel divieto ad aprir loro, se fossero tornati. Poco dopo sentii risuonar passi sulla strada, e la luce di una lanterna brillò attraverso il 41 cancello. Gettatomi uno scialle in testa, corsi in giardino per impedire che, bussando, avessero a svegliare il signor Earnshaw. Era Heathcliff, ma qual spavento provai nel vederlo solo! «E la signorina Caterina dov'è?» gli domandai ansiosamente. «Nessuna disgrazia, spero.» «È a Thrushcross Grange,» rispose il ragazzo, «e ci sarei rimasto io pure, ma non hanno avuto abbastanza educazione per invitarmi.» «Ebbene, ora sentirai le tue!» dissi. «Già tu non sarai mai contento finché non ti avranno mandato fuori dei piedi! Per qual ragione siete andati fino a Thrushcross Grange?» «Lasciami togliere i miei abiti bagnati e poi ti dirò tutto, Nelly,» mi rispose. Lo avvertii che facesse piano per non svegliare il padrone, e mentre si svestiva e io aspettavo di poter spegnere il lume, lui riprese a dire: «Cathy e io siamo fuggiti passando per il lavatoio, per fare una bella corsa, e quando abbiamo scorto i lumi a Grange abbiamo pensato di andare a vedere se i Linton passino anche loro le sere della domenica seduti negli angoli, a tremare di freddo, mentre i loro genitori mangiano e bevono, cantano e ridono, e si bruciano gli occhi davanti al fuoco. Credi che lo facciano? Oppure che leggano sermoni, e ascoltino le prediche del loro servitore e, se non hanno saputo rispondere a dovere, imparino a mente una colonna di nomi della Sacra Scrittura?» «No, probabilmente!» risposi, «ma quelli sono senza dubbio buoni ragazzi e non meritano di essere trattati come voi due per la vostra cattiva condotta.» «Sono buoni! non meritano! sciocchezze, Nelly!» esclamò. «Noi abbiamo fatto una corsa dall'alto delle Heights fin giù al parco, senza fermarci. Caterina è rimasta completamente battuta nella gara, perché era a piedi scalzi. Domani dovrai cercare le sue scarpe nel pantano. Siamo penetrati da un buco della siepe, e, seguendo carponi il sentiero, ci siamo fermati in un'aiuola di fiori sotto la finestra della sala da pranzo. Veniva una gran luce perché non avevano ancor chiuse le imposte e le tende erano in parte rialzate. Stando sul basamento della casa e aggrappandoci al davanzale potevamo vedere nell'interno. Ah! quanto era bello! Un luogo splendido! tappeti rossi, e sedie e tavole pure rosse, e il soffitto bianchissimo a fregi dorati; nel centro, appesa a catene d'argento, una pioggia di gocce di cristallo tutte scintillanti nella luce di piccole candele di cera. Il signore e la signora Linton non erano nel salone; così Edgardo e la sorella ne erano i padroni assoluti. Non avrebbero dovuto esser felici? A noi sarebbe sembrato di essere in paradiso! E ora indovina invece che cosa stavano facendo i tuoi buoni ragazzi! Isabella, e credo che abbia undici anni, uno meno di Caterina, era nell'angolo più lontano della sala e strillava come se le streghe la stessero trapassando con aghi roventi; Edgardo era presso il 42 bell'acquisto che il mio vicino, che ora non è più, ebbe a fare nel suo viaggio a Liverpool. Un piccolo Lascar, o un bandito, americano o spagnolo." "A ogni modo un cattivo ragazzo, indegno di una casa rispettabile. Hai notato il suo linguaggio, Linton? Sono molto turbata al pensiero che i miei figliuoli l'abbiano udito." "Ho ricominciato a bestemmiare - non andare in collera, Nelly - e così Roberto ha ricevuto l'ordine di togliermi di là. Ho rifiutato di venir via senza Caterina; lui mi ha trascinato in giardino, e, cacciatami la lanterna in mano, mi ha assicurato che il signor Earnshaw sarebbe stato informato della mia condotta, e mi ha ordinato di andarmene subito, e ha richiuso la porta coi catenacci. Ho visto che le tende delle finestre erano ancora rialzate agli angoli, allora sono riandato a spiare dal posto di prima, perché, se Caterina avesse desiderato di ritornare, ero deciso a mandare in mille frantumi le loro grandi vetrate e a liberarla a onta di qualsiasi loro parere in contrario. Lei stava seduta quietamente sul divano. La signora Linton le ha tolto il mantello grigio della lattaia, di cui ci eravamo impadroniti per fare la nostra escursione, e, scuotendo il capo, credo la rimproverasse: era pur sempre una signorina, e quindi facevano distinzione tra il modo di trattar lei e me. La cameriera ha portato una bacinella di acqua calda e le ha lavato i piedi, e la signora Linton le ha preparato una bevanda di vino, acqua e zucchero; Isabella le ha rovesciato in grembo un piatto di dolci, ed Edgardo è restato a guardarla a bocca aperta, ad una certa distanza. Dopo le hanno asciugato e ravviato i bei capelli, le hanno messo un paio di pianelle e l'hanno trasportata in poltrona presso il fuoco. L'ho lasciata allegra, come lo è sempre, a condividere il suo dolce fra il cagnolino e Skulker; a quest'ultimo pizzicava il muso, mentre mangiava. Negli occhi azzurri e vuoti dei Linton si era accesa una scintilla, debole riflesso del volto incantevole di Cathy! Erano pieni di stupida ammirazione! Lei è così immensamente superiore a loro e a chiunque sulla terra, non è vero, Nelly?» «Chissà quali conseguenze avrà questa storia; peggiori, temo, di quel che ti aspetti!» gli risposi, coprendolo e spegnendo il lume. «Tu sei incorreggibile, Heathcliff, e il signor Hindley dovrà ricorrere a mezzi estremi; vedrai se non sarà così!» Purtroppo le mie parole si avverarono più di quanto avrei desiderato. Quell'avventura sfortunata rese Earnshaw furioso. Il signor Linton, per accomodare le cose, l'indomani venne a farci visita, e fece una tale predica al giovane padrone sul modo con cui governava la famiglia che costui si sentì in obbligo di guardarsi attorno sul serio. Heathcliff non fu battuto, ma fu avvertito che, alla prima parola che avesse 45 rivolta a Caterina, sarebbe stato mandato via, e al suo ritorno la signora Earnshaw ebbe cura di trattare la cognata con severità, ma con buona grazia, perché aveva capito che con la forza non avrebbe ottenuto un bel nulla. 46 VII Cathy rimase a Thrushcross Grange cinque settimane: fino a Natale. In quel frattempo il piede le era guarito perfettamente, e anche i suoi modi erano migliorati. La padrona si recava spesso a trovarla ed aveva iniziato il suo piano di riforma, cercando di risvegliare la dignità della ragazza, adulandola e abbigliandola elegantemente cose alle quali lei mostrava di essere molto sensibile; così che, invece di vederci piombare in casa una piccola selvaggia, disperata, senza cappello in testa, che tutta trafelata ci si sarebbe buttata addosso per stringerci tutti insieme tra le braccia, ecco smontare da un bel cavallino nero una personcina piena di dignità, con i riccioli bruni sfuggenti dall'ala piumata di un cappello di castoro, e con un lungo mantello di panno che doveva rialzare con ambe le mani per poter fare la sua entrata. Hindley la sollevò da cavallo, esclamando con gioia: «Ma come, Cathy, sei una vera bellezza! Non ti avrei quasi riconosciuta, ora sei proprio una signora! Isabella Linton non può reggere il confronto, non trovi, Francesca?» «Isabella non è favorita dalla natura come lei,» gli rispose la moglie, «ma lei deve badare a non ridiventare la selvaggia di prima! Elena, aiutate la signorina, e tu non muoverti, cara, o metterai fuori di posto i tuoi riccioli: lascia che ti sciolga i nastri del cappello.» Io le tolsi il mantello, ed eccola tutta risplendente in un ricco costume di seta scozzese, calzoni bianchi e scarpette di vernice, e, mentre le brillavano gli occhi di gioia nel vedere i cani accostarsi a lei a gran salti per farle festa, non osava quasi toccarli nel timore che le si sfregassero contro la splendida veste. Mi baciò con molto garbo, perché, infarinata com'ero per aver preparato il dolce di Natale, non sarebbe stato il caso di stringermi in un abbraccio; poi si guardò intorno in cerca di Heathcliff. Il signore e la signora Earnshaw assistettero al loro incontro, pieni di ansia, pensando che da quell'indizio sarebbero stati in grado di giudicare, in parte almeno, su quali basi avrebbero potuto fondare le loro speranze di riuscire a separare i due amici. Dapprima Heathcliff fu introvabile. Se era trascurato e selvatico prima dell'assenza di Caterina, in quel periodo di tempo lo era diventato dieci volte di più. Nessuno, se non io, gli avrebbe usato la finezza di dirgli che era un ragazzo sudicio, e di ordinargli di lavarsi almeno una volta la settimana; si sa che i bambini della sua età non amano molto l'acqua e il sapone. Perciò, senza parlare dei suoi abiti che avevano fatto tre mesi di servizio nel fango e 47 coricarvi.» Egli non abbandonò la sua occupazione, non volse nemmeno il capo verso di me. «Ma non vieni dunque?» gli dissi ancora. «Deve essere quasi pronto un dolcetto per ciascuno, e ci vorrà una buona mezz'ora per vestirti!» Aspettai cinque minuti, ma, non ottenendo risposta, lo lasciai. Caterina cenò con il fratello e la cognata; Giuseppe e io ci riunimmo per un pasto poco amichevole, condito di rimproveri da una parte, d'indifferenza dall'altra. Il vecchio lasciò tutta la notte il suo dolce e il suo formaggio sulla tavola per i folletti. Egli trovò modo di continuare a lavorare fino alle nove e poi si ritirò muto e solenne in camera sua. Cathy rimase alzata fin tardi, avendo un mondo di cose da ordinare per il ricevimento dei suoi nuovi amici; una volta venne in cucina per parlare al suo compagno di giochi d'un tempo, ma lui non c'era, così restò soltanto per domandare che cosa avesse, poi se ne tornò via. Il mattino seguente Heathcliff si alzò presto, ed essendo giorno di festa, uscì nella landa, portando con sè il malumore, e non riapparve fin che la famiglia non si fu assentata per recarsi alla chiesa. Il digiuno e la riflessione parvero averlo condotto a migliori propositi; per un poco egli mi stette d'attorno, poi, quand'ebbe raccolto tutto il suo coraggio, esclamò ad un tratto: «Nelly, rendimi presentabile, voglio diventar buono.» «È più che tempo, Heathcliff!» dissi. «Hai dato un gran dolore a Caterina. Scommetto che le dispiace di essere ritornata a casa. Si direbbe che tu abbia invidia perché è più accarezzata di te.» L'idea che si potesse provare invidia per Caterina non gli entrava in testa, ma quella di averle dato un dolore gli riuscì invece molto chiara. «L'ha detto lei che era addolorata?» domandò con aria molto seria. «Ha pianto, quando le ho detto che te ne eri andato via anche stamani.» «Ebbene, io ho pianto ieri sera,» egli replicò, «e avevo più ragione di piangere di lei.» «Sì; tu avevi ragione di andare a letto con il cuore pieno d'orgoglio e con lo stomaco vuoto,» dissi. «La gente orgogliosa crea a se stessa tristi affanni; ma, se ti vergogni della tua irascibilità, le devi chiedere scusa, bada, quando rientrerà. Devi andare da lei e chiederle di baciarla, e dire... lo sai meglio di me, quel che dovrai dirle; ma fallo col cuore e non come se tu pensassi che il suo bell'abito l'ha convertita in una estranea per te. E ora, benché io abbia il pranzo da preparare, ruberò un po' di tempo per metterti così bene in ordine, che Edgardo Linton vicino a te sembrerà solo un bamboccio come, del resto, 50 è. Tu sei più giovane, eppure scommetto che sei più alto di lui e hai le spalle il doppio più larghe; potresti buttarlo a terra in un batter d'occhio; non ti senti capace di farlo?» «Ma Nelly, se lo buttassi a terra venti volte non sarebbe meno bello, e non sarei più bello io. Vorrei avere i capelli biondi e la carnagione bianca e vestire e comportarmi bene come lui, e avere la probabilità di diventare ricco come lo sarà lui un giorno.» «E chiamare la mamma per ogni minima cosa,» soggiunsi io, «e tremare come una foglia se un contadinello alza il pugno contro di te, e startene in casa tutto un giorno per un po' di pioggia. Oh, Heathcliff! che poco spirito dimostri di avere! Vieni davanti allo specchio e ti farò veder io quello che dovresti desiderare. Vedi quelle rughe tra gli occhi e quelle folte sopracciglia che invece di alzarsi ad arco si abbassano nel centro, e quel paio di demoni neri così profondamente nascosti che non ardiscono spalancare le finestre ma stanno in agguato dietro ad esse, mandando lampi come due spie di Satana? Cerca di imparare a spianare quelle rughe ostinate, e ad alzare le ciglia con franchezza; e cerca di cambiare quei demoni in due angeli fiduciosi e innocenti che non sospettino nè dubitino di nulla e che vedano sempre amici ovunque non siano sicuri di trovare nemici. Non avere l'espressione d'un cagnaccio maligno che sa di meritarsi le pedate che riceve, ma che pure odia il mondo intero, compreso chi gli tira i calci.» «In altre parole devo augurarmi di avere i grandi occhi azzurri di Edgardo Linton e la sua fronte liscia,» mi rispose. «Me lo auguro, ma non mi serve ad averli.» «Un cuore buono ti darà un bel volto, caro ragazzo, anche se tu fossi realmente brutto, ed un cuore cattivo può rendere peggio che brutto anche il volto più bello. E ora che abbiamo finito di lavarci e di pettinarci, e di rammaricarci, dimmi se non ti credi piuttosto bello. Te lo dirò io! Potresti benissimo essere un principe travestito, e chissà mai che tuo padre non sia stato imperatore della Cina, e tua madre una regina indiana, capaci di comperare con la rendita di una settimana Wuthering Heights e Thrushcross Grange tutt'in una volta? E tu sei stato rapito da marinai cattivi e da loro portato in Inghilterra. Fossi io al tuo posto, mi farei idee grandiose della mia nascita, e il pensiero del mio passato mi darebbe coraggio e dignità per sopportare le angherie di un piccolo proprietario di campagna.» Così continuai a chiacchierare per un pezzo ed il viso di Heathcliff andava man mano perdendo quello scuro cipiglio, e, rasserenandosi, diventava piacevole; ma a un tratto la nostra conversazione fu interrotta da un rumore 51 di ruote risuonanti sulla strada e poi nel cortile. Heathcliff corse alla finestra e io alla porta proprio in tempo per vedere i due Linton scendere dalla carrozza di famiglia, soffocati da mantelli e pellicce, e gli Earnshaw smontare da cavallo, poiché spesso andavano alla chiesa a cavallo. Caterina prese per mano i ragazzi e li fece entrare in casa, ove sedettero presso il fuoco, che subito ravvivò i loro pallidi visi. Io insistetti presso il mio compagno perché s'affrettasse a scendere, e si mostrasse allegro e disinvolto, e lui mi ubbidì di buona voglia; ma sfortuna volle che, mentre stava per aprire la porta della cucina, Hindley l'aprisse pure dal di dentro: s'incontrarono, e il padrone, irritato nel vederlo tutto in ordine e allegro, o forse smanioso di mantenere la sua promessa fatta alla signora Linton, lo respinse immediatamente, e ordinò a Giuseppe con tono aspro «che badasse a non lasciarlo entrare, e lo chiudesse in solaio fin dopo il pranzo. Quello lì,» aggiunse poi, «caccerebbe le dita nelle torte e ruberebbe la frutta se lo si lasciasse un minuto cogli altri!» «Nossignore, vi sbagliate!» non potei fare a meno di replicare, «lui non toccherebbe niente! e penso che abbia diritto alla sua parte di leccornie quanto noi!» «Riceverà la sua parte dalla mia mano se lo colgo dabbasso prima di sera!» gridò Hindley. «Vattene, vagabondo! Che? ti metti a fare il damerino? Aspetta che ti prenda per quei tuoi eleganti riccioli e vedrai se non te li farò diventare più lunghi!» «Sono già abbastanza lunghi,» disse il signorino Linton, facendo capolino dalla porta; «mi meraviglio che non gli diano il mal di capo. Pare la criniera di un puledro che gli cada sugli occhi.» Si arrischiò a fare tale osservazione senza offendere; ma la natura violenta di Heathcliff sopportare quel che poteva sembrare un'impertinenza e tanto meno da chi sembrava già odiare come un rivale. Afferrata una salsiera che conteneva un giulebbe di mele calde (la prima cosa che gli capitò tra le mani), la scaraventò in faccia a quell'intruso, che subito prese a strillare facendo accorrere Caterina e Isabella. Il signor Earnshaw acciuffò immediatamente il colpevole, e lo portò dritto in camera sua ove, senza dubbio, gli somministrò una ben ruvida medicina per calmargli quell'accesso di passione; quando riapparve era rosso in viso e senza respiro. Io, intanto, con un tovagliolo e con un certo disprezzo avevo fregato il muso ad Edgardo, dichiarandogli che la lezione gli stava bene, così avrebbe imparato a immischiarsi nei fatti altrui. Sua sorella cominciò a piangere e voleva andar a casa, e Caterina se ne stava tutta confusa, vergognandosi di tutti. 52 in tal modo, lasciando che la vostra farinata si raffreddasse, e facendovi cascar dal sonno! Avrei potuto narrarvi la storia di Heathcliff, e tutto quello che vi può interessare con una mezza dozzina di parole al più.» Così interrompendosi, la governante si alzò da sedere, e mise da parte il suo lavoro; ma io non mi sentivo nessuna voglia di muovermi dal focolare e non avevo affatto sonno. «Sedetevi, signora Dean,» le dissi, «restate un'altra mezz'ora; avete fatto benissimo a narrarmi la storia con tutti i suoi particolari; è proprio il modo che piace a me, e dovreste terminarla nello stesso stile. I personaggi che avete nominato mi interessano quasi tutti moltissimo.» «Stanno per battere le undici all'orologio, signore.» «Non importa, non sono abituato a coricarmi prima delle ore piccole; alla una o alle due basta per chi non si alza prima delle dieci.» «Non dovreste stare a letto fino alle dieci. Le ore migliori sono già bell'e passate! Una persona che per le dieci del mattino non ha fatto metà del lavoro della giornata, corre il rischio di non fare l'altra metà.» «Sia pure, signora Dean, ma tornate a sedervi; perché ho intenzione di prolungare la mia notte fino al pomeriggio di domani. Per lo meno prevedo un ostinato raffreddore.» «Spero di no, signore. Bene, permettetemi di saltare tre anni; in tale periodo la signora Hearnshaw...» «No, no, non permetto nulla di simile! Voi non sapete dunque quello che si prova quando si è soli e davanti a voi sulla stuoia c'è la gatta, occupata a leccare i suoi piccoli, e voi l'osservate così minuziosamente che, se le accade di trascurare un'orecchia, vi sentite andare su tutte le furie?» «Mi pare sia uno stato di terribile pigrizia.» «Al contrario, è uno stato di fastidiosissima attività, ed è quello in cui mi trovo io in questo momento; perciò vogliate continuare la storia non saltando nulla. M'accorgo che la gente di queste parti acquista valore in confronto della gente di città, come il ragno di prigione in contronto del ragno di casa, eppure questa maggior attrazione non è dovuta interamente alla condizione dello spettatore. Le persone di qui prendono la vita più sul serio, e cioè vivono più di se stesse, e meno delle cose esteriori, frivole, mutevoli, superficiali.» «Oh, ma anche qui siamo come in qualsiasi altro luogo, una volta che ci abbiate conosciuti,» osservò la signora Dean un po' confusa dal mio discorso. «Scusatemi,» risposi, «ma voi, mia buona amica, siete una prova evidente 55 dell'errore della vostra asserzione. Fatta eccezione di qualche provincialismo di lieve importanza, voi non avete nessuno dei modi che io sono abituato a considerare come particolari alla vostra classe. Sono sicuro che avete pensato molto più di quanto faccia la generalità dei domestici. Voi siete stata obbligata a coltivare le vostre facoltà riflessive, per mancanza di occasioni di dissipare la vostra vita in piccole futilità.» La signora Dean rise. «Non v'è dubbio che io mi considero persona posata e ragionevole,» ella rispose, «non precisamente perché vivo tra queste colline, e vedo sempre le stesse facce e gli stessi avvenimenti da un principio d'anno a un altro, ma perché ho dovuto sottostare ad una disciplina severa, che mi ha insegnato la saggezza: e poi ho anche letto più di quello che vi immaginiate, signor Lockwood. Voi non potreste aprire nessun libro di questa biblioteca, che io non abbia fatto passare e dal quale io non abbia cavato qualche cosa, eccettuate quelle file di libri greci, latini e francesi; quelli so solo distinguerli gli uni dagli altri; non potreste aspettarvi di più dalla figlia di un pover'uomo. Tuttavia, se devo continuare la mia storia in modo particolareggiato, sarà meglio che tiri avanti, e, invece di saltare tre anni, mi accontenterò di passare all'estate successiva, l'estate del 1778, che è quanto dire circa ventitrè anni or sono.» 56 VIII Il mattino di una bella giornata di giugno nacque il bel bambino che fu il mio primo baliatico, l'ultimo dell'antico ceppo degli Earnshaw. Eravamo occupati a fare il fieno in un campo lontano, quando la ragazzina che generalmente ci portava la colazione, giunse un'ora prima del solito, correndo attraverso il prato, su per il sentiero, e chiamandomi per nome. «Oh, che bambino!» gridava, ansante. «È il più bel bambino che sia mai venuto al mondo! Ma il dottore dice che la signora deve morire, che già da mesi era ammalata di consunzione. Lo ha detto al signor Hindley; non c'è più nulla che possa salvarla, e morirà prima che sia giunto l'inverno! Nelly, dovete venire subito a casa. Toccherà a voi allevarlo e nutrirlo con zucchero e latte e averne cura giorno e notte. Come vorrei essere al vostro posto, perché, quando non ci sarà più la padrona, il bambino sarà tutto vostro.» «Ma la signora sta dunque molto male?» domandai buttando il rastrello da una parte, e legandomi il cappello. «Credo di sì; eppure dimostra coraggio e parla del bambino come se pensasse di vivere sempre e di poterlo vedere diventar grande. È fuori di sè dalla gioia, è una tal bellezza! Se fossi lei, non morrei di sicuro; guarirei soltanto al vederlo, a onta di quel che dice Kenneth! Non so che cosa gli avrei fatto! La signora Archer ha portato giù il cherubino al padrone e il viso di lui cominciava a illuminarsi di gioia, quando ecco quel vecchio brontolone farsi avanti e dire: «Earnshaw, è una benedizione che vostra moglie sia stata risparmiata perché vi desse questo figlio! Quando è arrivata tra noi ho subito avuto la convinzione che non avremmo potuto conservarla a lungo, e ora, vi devo dire, che l'inverno metterà fine alla sua esistenza. Non preoccupatevene oltre misura, e non state a dolervene troppo. È inevitabile. Avreste potuto pensarci di più prima di scegliervi una ragazza così delicata!» «E il padrone, che cosa ha risposto?» le domandai. «Credo che abbia bestemmiato: ma io non gli ho badato punto; volevo riuscire a vedere il piccolo!» e riprese a descriverlo con rapimento. Io, non meno impaziente di lei, corsi a casa, per estasiarmene a mia volta, benché fossi molto triste per Hindley. Egli aveva posto nel suo cuore solo per due idoli: la moglie e se stesso. Amava ambedue in sommo grado; ma per la moglie aveva un'autentica adorazione e non riuscivo a figurarmi come avrebbe potuto sopportarne la perdita. Quando giungemmo a Wuthering Heights, egli se ne stava sulla porta e, nel 57 dal principio perché molto ambiziosa, e che la spinsero ad assumere un carattere ambiguo, senza che veramente avesse l'intenzione di ingannare nessuno. Quando udiva chiamare Heathcliff «volgare villano», e «peggiore di un bruto», badava bene di non comportarsi come lui, ma a casa non si sentiva affatto inclinata a usare modi gentili, che sarebbero stati senza dubbio derisi, nè a frenare la sua natura violenta, dal momento che non ne avrebbe ottenuto credito, nè lode. Il signor Edgardo raramente si faceva abbastanza coraggio da visitare Wuthering Heights liberamente. Aveva terrore della reputazione di Earnshaw, ed evitava di incontrarlo; nonostante questo era sempre ricevuto con tutta la cortesia di cui eravamo capaci; il padrone stesso evitava di offenderlo, sapendo perché veniva, e, se non si sentiva di poter mostrarsi affabile, si teneva lontano. Credo piuttosto che la sua presenza non fosse desiderata proprio da Caterina; ella non era affettata e non faceva mai la coquette, ma era evidentemente contrariata che i suoi due amici si trovassero insieme. Poiché accadeva che, quando Heathcliff in presenza di Linton mostrava di disprezzarlo, Caterina non poteva essere della stessa opinione, come lo era, invece, quando Edgardo era assente; e così, quando Linton mostrava disgusto e avversione per Heathcliff ella non osava prendere tali sentimenti con indifferenza, come se un affronto al suo compagno di giochi fosse di nessuna importanza per lei. Quante volte risi delle incertezze e dei dispiaceri che lei cercava invano di nascondere al mio scherno. Ciò può sembrare una cattiveria da parte mia, ma, davanti al suo orgoglio, era impossibile compassionarla nelle sue disgrazie, finché un qualche castigo non l'avesse resa più umile. Finalmente, ella si decise a farmi la sua confessione, e ad aver fiducia in me; non vi era altra persona di cui si fosse potuta fare una consigliera. Un pomeriggio il signor Hindley si assentò ed Heathcliff pensò di valersi di tale occasione per concedersi una vacanza. Aveva allora sedici anni, credo, e senza essere brutto di lineamenti nè deficiente d'intelletto, suscitava tuttavia una certa repulsione, cosa di cui non v'è traccia nel suo aspetto attuale. Innanzi tutto non aveva ricavato alcun beneficio dall'educazione ricevuta nei primi anni della sua fanciullezza, e il lavoro continuo e faticoso al quale era stato tanto presto sottoposto, aveva distrutto quella curiosità, naturale in lui, che lo spingeva alla ricerca di cognizioni, e ogni amore per i libri e per il sapere. Quel senso di superiorità instillatogli nell'animo dalla predilezione del vecchio Earnshaw si era andato spegnendo. Cercò a lungo di mantenersi alla pari con Caterina negli studi, ma alla fine dovette 60 rinunciare a quell'ambizione con doloroso, sebbene segreto rimpianto. Vi rinunciò anzi completamente, e non fu più possibile ottenere da lui che facesse qualche sforzo per rialzarsi, quando capì che era inevitabilmente condannato a piombare al disotto del grado che prima aveva tenuto. Allora il suo aspetto si mise presto d'accordo con l'abbrutimento intellettuale; ostentò un portamento dimesso, e un contegno volgare; la sua naturale disposizione alla riservatezza si mutò in un'esasperata insocievolezza, quasi da idiota, e, apparentemente, sembrò trovare un piacere maligno a suscitare avversione piuttosto che stima nei suoi pochi conoscenti. Egli e Caterina erano ancora assidui compagni durante le ore di riposo, ma lui aveva smesso di esprimerle con parole il suo amore, e sfuggiva con rabbioso sospetto le carezze di lei, come se fosse stato consapevole che tutte quelle dimostrazioni d'affetto non davano alcun intimo piacere a chi gliele prodigava. Quella volta di cui vi parlavo, egli entrò in casa per annunciare la sua intenzione di rimanersene in ozio. Io stavo aiutando la signorina Cathy ad accomodarsi l'abito. Lungi dall'immaginare che Heathcliff sarebbe stato preso da una simile fantasia, ella era riuscita, non so con quale mezzo, a informare Edgardo dell'assenza di Hindley, e stava preparandosi per riceverlo. «Cathy, sei occupata questo pomeriggio?» le domandò Heathcliff. «Vai da qualcuno?» «No, piove,» rispose lei. «Allora perché ti sei messa quell'abito di seta? Non viene nessuno, spero.» «Nessuno che io sappia,» balbettò la signorina. «Ma tu ora dovresti essere nei campi, Heathcliff; è gia passata un'ora dal pranzo e credevo che fossi già andato via.» «Succede troppo di rado che Hindley ci liberi della sua maledetta presenza!» riprese il ragazzo, «per oggi non lavoro più, voglio restare con te.» «Oh ma Giuseppe lo dirà,» ribatté lei. «Faresti meglio ad andartene.» «Giuseppe sta caricando calce in fondo alla Rupe di Penniston; non tornerà prima di sera e non saprà nulla.» Così dicendo Caterina rifletté preparare il terreno a quell'arrivo. - «Isabella e Edgardo Linton hanno parlato di farci visita questo pomeriggio,» ella disse dopo un minuto di silenzio. «Siccome piove, non li aspetto quasi; ma potrebbero venire, e, se vengono, tu corri il rischio di essere poi sgridato per nulla.» si diresse pigramente verso il focolare ove sedette. per un istante, con le ciglia corrugate - occorreva 61 «Fa' dire da Elena che sei occupata, Cathy,» egli insistette; «scacciarmi per quei miserabili sciocchi amici tuoi! Alle volte sono quasi sul punto di lagnarmi, perché loro... ma, non voglio...» «Perché loro... che cosa?» gridò Caterina guardandolo tutta turbata. «Oh Nelly!» esclamò capricciosamente, togliendosi con una mossa brusca dalle mie mani, «mi hai disfatto i ricci! Così basta, ora lasciami. Di che cosa, di', saresti sul punto di lagnarti, Heathcliff?» «Di nulla, ma guarda quel calendario appeso a quella parete,» disse indicando un foglio chiuso in una cornice presso la finestra; «le croci sono per le sere che hai passato coi Linton, i punti per quelle passate con me. Vedi, ho marcato ogni giorno.» «Sì, molto scioccamente; come se ciò dovesse importarmi,» rispose Caterina con arroganza. «E a che scopo hai fatto questo?» «Per mostrarti che a me, invece, importa moltissimo,» disse Heathcliff. «Pretenderesti che io rimanga sempre con te?» domandò, allora, Caterina, e s'irritava sempre più. «Che vantaggio ne ho? Di che cosa discorri? Potresti essere muto o un bebè, per quello che mi racconti per interessarmi, o per quello che fai per divertirmi!» «Non mi hai mai detto prima d'ora che parlo troppo poco, e che la mia compagnia ti dispiace, Cathy!» esclamò lui con grande agitazione. «Non è affatto una compagnia, quando non si sa nulla e non si dice nulla,» mormorò lei a mezza voce. Il suo compagno si alzò ma non ebbe tempo di esprimere i propri sentimenti più oltre, perché in quell'istante si sentirono risuonare sul selciato gli zoccoli di un cavallo, e il giovane Linton, dopo aver battuto leggermente alla porta, entrò quasi subito, con il viso raggiante di piacere per quella chiamata inaspettata. Senza dubbio Caterina notò la differenza tra i suoi amici, mentre l'uno entrava e l'altro usciva. Il contrasto era simile a quello che ci colpisce passando da una campagna carbonifera, montagnosa a una bella fertile valle; e la voce e il saluto del nuovo arrivato contrastavano non meno dell'aspetto. Linton aveva un modo di parlare dolce e piano, e pronunciava le parole come voi, e cioè in modo meno aspro di quello che usiamo nel nostro linguaggio, con una cadenza armoniosa. «Non sono venuto troppo presto, vero?» disse, rivolgendo uno sguardo a me. Io mi ero messa ad asciugare un vassoio, e a riordinare i cassetti della credenza. «No,» rispose Caterina. «Che stai facendo Nelly?» «Il mio lavoro, signorina,» risposi. (Il signor Hindley mi aveva dato ordine 62 quand'era in quello stato), vidi che la lite li aveva portati ad una più grande intimità, aveva rotto gli argini della timidezza giovanile, e li aveva resi capaci di abbandonare i modi dell'amicizia, per dichiararsi innamorati. La notizia dell'arrivo del signor Hindley fece ritornare speditamente Linton presso il suo cavallo e Caterina in camera sua. Io andai a nascondere il piccolo Hareton, e a togliere le cartucce dal fucile del padrone, perché costui nel suo eccitamento insano si divertiva a sparare mettendo in pericolo l'esistenza di chiunque lo provocasse o solo attirasse eccessivamente la sua attenzione, e io prendevo appunto la buona precauzione di scaricargli l'arme, perché, se fosse arrivato a tali estremi, il male riuscisse minore. 65 IX Egli entrò vomitando bestemmie terribili e mi colse nell'atto di nascondere suo figlio nella credenza di cucina. Hareton era invaso da un terrore folle di sentirsi in balia delle tenerezze di un bruto, o del furore di un pazzo, perché nel primo caso correva il rischio di essere stretto e baciato fino al soffocamento, e nel secondo di essere lanciato nel fuoco o contro una parete: così il poverino rimaneva perfettamente immobile ovunque lo mettessi. «Eccolo, l'ho scoperto alla fine!» gridò Hindley, agguantandomi per la pelle del collo, come si farebbe con un cane. «In nome del cielo e dell'inferno, avete giurato tra voi di uccidere quel ragazzo? Ora capisco perché non ho mai il bene di vederlo; ma, con l'aiuto di Satana vi farò inghiottire il trinciante, Nelly! Non state a ridere; ho appena ficcato Kenneth, con la testa all'ingiù, nella marcita del Cavallo nero, e due contano come uno: bisogna che ammazzi qualcuno di voi, non avrò riposo finché non sarà fatto!» «Ma il trinciante non mi va! signor Hindley,» risposi, «è stato adoperato per le aringhe affumicate. Preferisco, vi prego, un colpo di fucile.» «Preferite essere maledetta,» disse egli, «e lo sarete. Non vi è legge in Inghilterra che impedisca ad un uomo di mantenere rispettabile la propria casa, e la mia è abominevole! Aprite la bocca!» Egli teneva il coltello in mano, e mi cacciò la punta tra i denti; ma per parte mia non avevo mai avuta molto paura delle sue stranezze. Sputai, e affermai che aveva un sapore detestabile, e che non l'avrei ingoiato per nessun motivo. «Oh,» egli disse, lasciandomi libera, «vedo che quel piccolo orribile villano non è Hareton. Scusate, Nelly. Se lo fosse, meriterebbe di essere scorticato vivo, perché non è corso incontro a salutarmi, e si mette a strillare come se fossi un fantasma. Piccolo snaturato, vieni qua! Voglio insegnarti come si fa a infinocchiare un buon padre deluso come lo sono io! Ma non vi pare che il bambino starebbe meglio tosato? Ciò dà un'aria di ferocia a un cane, e io amo le cose feroci; andate a prendermi le forbici; qualcosa di molto fiero e pulito. Eppoi, è un'affettazione infernale, una presunzione demoniaca, il tenerci, alle proprie orecchie, si è già abbastanza asini senza! 66 Silenzio, marmocchio, silenzio! Ah bene, allora sei proprio il mio amore! Ssst! asciugati gli occhi; ecco gioia mia! Baciami! Come? Non vuoi? Baciami, Hareton! Maledetto, baciami! Per Dio, come se fossi disposto ad allevare un simile mostro! Come è vero che sono al mondo, voglio tirargli il collo.» Il povero Hareton gridava e si dibatteva con tutta la sua forza nelle braccia del padrone; e i suoi strilli raddoppiarono, quando si sentì portato di sopra, e sospeso fuori della ringhiera della scala. Io gridai che al ragazzo sarebbero venute le convulsioni per lo spavento, e corsi per salvarlo. Proprio mentre li raggiungevo, Hindley, avendo udito rumore al di sotto, si sporse per ascoltare, dimenticandosi quasi di quel che teneva tra le mani. «Chi è? domandò, sentendo che qualcuno si avvicinava al piede della scala. Io pure mi sporsi per poter far segno a Heathcliff, di cui avevo riconosciuto il passo, di non venire più avanti, e, nello stesso istante in cui i miei occhi abbandonarono Hareton, questi, con uno strappo improvviso, si liberò dalla stretta e cadde. Non avemmo neppure il tempo di inorridire che già il povero disgraziato bambino era salvo. Heathcliff era giunto proprio nel momento critico, e con un gesto istintivo ne aveva arrestata la caduta. Rimessolo in piedi, guardò in su per scoprire l'autore del misfatto. Un avaro che per cinque scellini si fosse separato da un biglietto fortunato di una lotteria, e che il giorno appresso trovasse di aver perso in quell'affare cinquemila sterline, non avrebbe potuto mostrare un volto più disfatto del suo nello scorgere la figura del signor Earnshaw. Quel volto esprimeva, più chiaramente di qualsiasi parola, l'intenso rammarico di essere stato proprio lui a defraudarsi della vendetta. Se fosse stato buio, oso credere che avrebbe cercato di rimediare all'errore commesso, spaccando il cranio di Hareton sui gradini, ma noi eravamo stati testimoni del suo salvataggio, e io mi trovavo già dabbasso con il mio prezioso carico stretto al cuore. Hindley scese con minor fretta, ma rinsavito e umiliato. «È colpa vostra, Elena,» disse; «avreste dovuto tenermelo lontano! avreste dovuto portarmelo via! Si è fatto male?» «Male?» gridai con rabbia: «se non si è ucciso, resterà un idiota! Oh! mi domandò perché sua madre non si levi dalla tomba a vedere quel che fate di lui! Siete peggio di un pagano a trattare la vostra propria carne ed il vostro sangue in tal modo!» Egli fece per toccare il ragazzo, il quale dopo aver singhiozzato per il terrore si era poi calmato, sentendosi nelle mie braccia; ma, non appena il padre fece 67 «Se parli così, non ti dirò altro,» ribatté capricciosamente, rialzandosi. «L'ho accettato, Nelly. Ora dimmi subito se ho sbagliato!» «L'hai accettato? Allora che giova discutere la cosa? Hai dato la tua parola, e non puoi ritirarla.» «Ma dimmi se avrei dovuto fare così, dimmelo!» ella esclamò in tono irritato, torcendosi le mani, e aggrottando le ciglia. «Vi sono da considerare molte cose prima di poter rispondere come si deve a una tale domanda,» dissi sentenziosamente. «Prima di tutto, ami il signor Edgardo?» «Chi potrebbe non amarlo? Sì, naturalmente, l'amo,» ella rispose. Allora la misi alla prova del catechismo che, per una ragazza di ventidue anni, è molto istruttiva. «Perché l'ami?» «Sciocchezze, l'amo, questo è sufficiente.» «Nient'affatto: devi dire il perché!» «Bene, perché è bello, ed è piacevole stargli insieme.» «Male!» fu il mio commento. «E perché è giovane e allegro.» «Male, ancora.» «E perché mi ama.» «Di nessuna importanza, detto ora.» «E sarà ricco, e mi piacerà essere la più grande signora di tutta la contrada, e sarò orgogliosa di avere un marito come lui.» «Ancora peggio. E ora dimmi come l'ami.» «Come ama chiunque! Sei sciocca, Nelly.» «Nient'affatto.» «Amo la terra ch'è sotto ai suoi piedi, e amo l'aria sopra il suo capo, e tutto ciò che lui tocca, e ogni parola che lui dice. Amo i suoi sguardi, e tutte le sue azioni e lui, intieramente, tutto, tutto quanto! Ecco, ora!» «E perché?» «Oh, tu ne fai uno scherzo, e di pessimo gusto! Ma non è uno scherzo per me!» disse la signorina con cipiglio, volgendo il viso verso il fuoco. «Sono ben lontana dallo scherzare, Caterina,» risposi. «Tu ami il signor Edgardo perché è bello, perché è giovane, è allegro, è ricco, e ti ama. Quest'ultima cosa non ha valore: tu l'ameresti anche senza di questo, probabilmente, e, se ti amasse e non possedesse le prime quattro attrattive, tu non l'ameresti.» «No, certamente non l'amerei: mi farebbe soltanto compassione, e forse 70 l'odierei, se fosse molto brutto o sciocco.» «Ma vi sono molti altri giovani al mondo belli e ricchi; anche molto più belli credo, e più ricchi di lui. Che cosa ti impedirebbe di amare quelli?» «Ma anche se ve ne sono non si trovano sulla mia via! Non ho veduto nessuno simile a Edgardo.» «Potresti anche vederne, e lui non sarà sempre bello e giovane, e potrebbe anche non essere sempre ricco.» «Lo è ora, e io ho a che fare soltanto col presente. Vorrei che tu parlassi ragionevolmente.» «Bene, ciò decide la questione; se tu hai a che fare solo con il presente, sposa il signor Linton.» «Per questo non mi occorre il tuo permesso, io lo sposerò; ma ancora non mi hai detto se faccio bene.» «Perfettamente bene, se è giusto sposarsi soltanto per il presente. E ora sentiamo un po' perché non sei felice. Tuo fratello sarà contento, i vecchi genitori di Edgardo non faranno obiezioni, credo, e da una casa disordinata e squallida te ne andrai in una rispettabile e ricca; e poi tu ami Edgardo e ne sei riamata. Tutto sembra piano e facile; dove è l'ostacolo?» «Qui! e qui!» rispose Caterina, battendo una mano sulla fronte, e l'altra sul petto: «dove è l'anima. Ho nella mente e nel cuore la convinzione che sbaglio!» «Mi pare molto strano! Non capisco perché.» «È il mio segreto. Ma, se non ridi di me, te lo spiegherò. Non posso farlo chiaramente, ma proverò a darti un'idea di quello che sento.» Era di nuovo accanto a me adesso, il volto le si fece triste e più grave, le mani strette l'una all'altra le tremarono. «Nelly, non fai mai sogni strani tu?» disse ad un tratto, dopo qualche minuto di riflessione. «Sì,» risposi io, «di tanto in tanto.» «E così succede a me. Nella mia vita ho fatto sogni che poi sono rimasti sempre in me, e hanno cambiato le mie idee; mi hanno penetrata tutta, mescolandosi con me come il vino con l'acqua, e hanno alterato il colore della mia mente. E questo è uno di quei sogni; te lo dirò, ma bada di non riderne.» «Oh, non dirmelo, Caterina!» gridai. «Siamo abbastanza lugubri, senza invocare spiriti e visioni per impressionarci di più. Andiamo, via, andiamo, sii allegra come lo sei sempre! Guarda il piccolo Hareton, lui non sogna di certo cose tristi. Come sorride dolcemente, dormendo!» 71 «Ah sì! e come dolcemente suo padre impreca nella sua solitudine! Ti rammenterai credo, quando io non ero altro che una cosina come questa! e altrettanto giovane e innocente. Tuttavia, Nelly, ti sarò grata se mi ascolterai; non sarò molto lunga, e questa sera, del resto, non riesco ad essere gaia.» «Non voglio sentire non voglio sentire,» mi affrettai a ripetere ansiosamente. Allora ero superstiziosa riguardo ai sogni, e lo sono ancora: e Caterina aveva un'aria insolitamente sinistra, che mi faceva temere qualcosa da cui potesse uscire una profezia, la previsione di qualche spaventevole catastrofe. Ella parve contrariata, ma non proseguì. Non molto dopo, cambiando apparentemente soggetto, riprese a dire: «Se fossi in paradiso, Nelly, sarei infinitamente infelice.» «Perché non sei degna di andarvi,» le risposi. «Tutti i peccatori sarebbero infelici in cielo.» «Ma non è per questo. Una volta ho sognato d'esser già lassù.» «Ti ho già detto che non voglio sentire i tuoi sogni, Caterina! Me ne andrò a letto» la interruppi di nuovo. Ella rise e mi costrinse a star seduta poiché avevo fatto l'atto di alzarmi. «Questo è nulla,» gridò. «Stavo solo per dirti che il paradiso non mi sembrava fatto per me; ed io piangevo fino a farmi spezzare il cuore, perché volevo ritornare sulla terra e gli angeli erano tanto adirati che mi hanno buttato fuori, giù, in mezzo all'erica, sulla cima di Wuthering Heights, dove mi sono svegliata singhiozzando di gioia. Questo basterà a spiegarti il mio segreto. Non è cosa per me sposare Edgardo Linton, come non lo sarebbe il paradiso: e, se quell'infame, che ora è rinchiuso là dentro, non avesse ridotto Heathcliff tanto in basso, non avrei mai pensato di farlo. Ora, se sposassi Heathcliff, ne sarei degradata; così lui non saprà mai quanto io lo ami: e questo non perché è bello Nelly, ma perché lui è più me di me stessa. Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la sua e la mia sono simili; e l'anima di Linton è differente come un raggio di luna dal lampo, o il gelo dal fuoco.» Prima che questo discorso fosse finito, mi accorsi della presenza di Heathcliff. Avendo notato un lieve movimento, volsi il capo, e lo vidi alzarsi dalla panca e uscire senza far rumore. Egli aveva ascoltato fin quando Caterina non aveva detto che sposando lui si sarebbe degradata; e non rimase a sentir altro. La mia compagna, stando seduta in terra, protetta dall'alto schienale della panca, non aveva potuto accorgersi della presenza nè dell'uscita di lui, ma io, sbalordita, le ordinai di tacere. «Perché?» domandò, guardandosi in giro con inquietudine. 72 potesse aver impressionato Heathcliff. Rimase assente così a lungo che Giuseppe propose che non si dovesse aspettare più oltre. Egli congetturò maliziosamente che quei due se ne stessero fuori per evitare di dover ascoltare le sue lunghe preghiere. Erano «abbastanza cattivi per cose di questo genere» , affermò; e a loro beneficio quella sera aggiunse una preghiera speciale alla solita orazione di un quarto d'ora che precedeva il pasto; e ne avrebbe imbastita un'altra alla fine del rendimento di grazia, se la padroncina non fosse entrata in tutta furia a ordinargli di correre giù nella strada o dovunque Heathcliff potesse essere, di trovarlo a ogni costo e di farlo rientrare all'istante. «Ho bisogno di parlargli, devo parlargli prima di salire,» ella disse. «Il cancello è aperto: deve essere da qualche parte dove non può sentire perché non ha risposto, benché io abbia gridato a squarciagola giù in fondo all'ovile.» Giuseppe dapprima voleva trovare delle scuse, ma ella faceva troppo sul serio per sopportare di venir contraddetta, per cui alla fine lui si mise il cappello in testa e uscì continuando a brontolare. Nel frattempo Caterina andava su e giù per la stanza, e diceva: «Chissà dov'è, non so immaginare dove possa essere! Che cosa avevo detto, Nelly? Non me ne rammento più. Era irritato per il mio cattivo umore questo pomeriggio? Dio mio! Dimmi che cosa ho detto che possa averlo addolorato? Come vorrei che venisse! Oh come lo vorrei!» «Quanto baccano per nulla!» gridai, benché fossi io stessa piuttosto inquieta. «Una sciocchezza ti spaventa! Non c'è di sicuro da allarmarsi tanto perché Heathcliff fa un giro nella landa al chiaro di luna, o se ne sta rintanato nel fienile, troppo indispettito per risponderci. Scommetto che è proprio lassù. Sta' a vedere se io non saprò scovartelo fuori!» Uscii per provarmi io pure a cercarlo, ma il risultato fu un'altra delusione, e anche Giuseppe fallì. «Quel ragazzo va diventando sempre peggiore!» esclamò, entrando. «Ha lasciato il cancello spalancato, e il pony della signorina dev'esser passato a galoppo attraverso il grano giù nel campo, calpestando tutto. Domani il padrone farà il diavolo a quattro e avrà ragione. È la pazienza in persona con un essere così scorbutico; è la pazienza in persona! Ma non lo sarà sempre, anche con voi. Seguitate, seguitate a farlo dar fuori per nulla e vedrete!» «Avete trovato Heathcliff, asino?» lo interruppe Caterina. «Siete stato a cercarlo come vi ho ordinato?» «Avrei preferito andare in cerca del cavallo,» rispose. «Vi sarebbe stato 75 maggior senso; ma in una notte come questa non posso trovare un cavallo, nè un uomo; è nera come il camino! e Heathcliff non è proprio tipo da rispondere al mio fischio, potrebbe darsi che fosse meno duro d'orecchio con voi!» Faceva molto buio per una sera d'estate: le nuvole minacciavano un temporale, e io dissi che era meglio rimaner tutti in casa; la pioggia imminente avrebbe certamente fatto rientrare Heathcliff senza altro disturbo da parte nostra. Tuttavia, Caterina non voleva persuadersi a rimanere tranquilla. Ella non faceva che girare di qua e di là, dal cancello alla porta, in uno stato di agitazione che non le concedeva requie; alla fine si mise contro il muro dal lato della strada, e là rimase, non badando alle mie rimostranze, al brontolìo del tuono, e alle grosse gocce che cominciavano a spruzzarla tutta; chiamava a intervalli, e poi si poneva in ascolto, e poi si metteva a piangere dirottamente, come avrebbe potuto fare Hareton o qualunque altro bambino. Verso la mezzanotte, mentre eravamo ancora alzati, l'uragano si scatenò con tutta furia sulle «Cime Tempestose». Il vento era furioso non meno del tuono, e spezzò un albero all'angolo del fabbricato; un enorme ramo cadde attraverso il tetto, e abbatté una parte del camino producendo un rovinìo di pietre e di fuliggine sul fuoco della cucina. Credemmo che fosse scoppiato un fulmine in mezzo a noi; Giuseppe si buttò in ginocchio, implorando il Signore di voler ricordarsi dei patriarchi Noè e Lot, e, come in quei tempi, di risparmiare il giusto, e colpir solo gli empi. Io pure pensai che il castigo fosse piombato su di noi. Nella mia mente Gionata era il signor Earnshaw; e scossi la maniglia della porta della sua tana per accertarmi che fosse ancora vivo. Rispose a voce abbastanza alta, e in un modo che fece predicare al mio compagno, più clamorosamente di prima, che una grande distinzione dovesse esser fatta tra un santo come lui, e un peccatore come il suo padrone. Ma quella tempesta passò in venti minuti lasciandoci tutti incolumi, a eccezione di Cathy che si trovò bagnata fradicia per la sua ostinazione di non voler ripararsi, di rimanere senza nulla in testa, e senza nemmeno uno scialle a prendersi tutta quell'acqua. Rientrò e si sdraiò sulla panca, inzuppata com'era, voltando la faccia contro lo schienale, e coprendosela con le mani. «Ebbene, Caterina!» esclamai, toccandole una spalla; «non avrai, spero bene, l'intenzione di morire? Sai che ore sono? Le dodici e mezza! Vieni, vieni a letto! Non serve stare ad aspettare più a lungo quel pazzo figliuolo: sarà andato a Gimmerton, e resterà là. Si sarà immaginato che noi non lo aspetteremo fino a quest'ora; o forse che soltanto il signor Hindley sarà in 76 piedi, e vorrà evitare di farsi aprire dal padrone.» «No no, non è a Gimmerton,» disse Giuseppe. «Non ci sarebbe da meravigliarci che fosse in fondo a una marcita. Quell'avvertimento non è arrivato per nulla, e io vorrei che faceste attenzione, signorina, perché la prossima volta toccherà a voi. Sia ringraziato il Cielo che tutto opera per il bene degli eletti separati dai reprobi. Sapete cosa dice la Sacra Scrittura?» E cominciò a citare parecchi testi, riferendosi ai capitoli e ai versi dove li avremmo potuti trovare. Io, dopo aver invano pregato l'ostinata ragazza di alzarsi e di togliersi di dosso quella roba fradicia, li lasciai l'uno a predicare, l'altra a rabbrividire, e me ne andai a letto col piccolo Hareton che dormiva profondamente come se anche quelli intorno a lui fossero tutti addormentati. Udii Giuseppe leggere ancora per qualche tempo, poi ne distinsi il lento passo sulla scala, e mi addormentai. Scendendo un po' più tardi del solito, vidi, ai raggi del sole che penetravano dalle fessure delle imposte, la signorina Caterina ancora seduta presso il focolare. La porta della «casa» era socchiusa, la luce entrava dalle finestre ch'eran rimaste aperte; Hindley era venuto fuori, e se ne stava presso il focolare in cucina, pallido ed insonnolito. «Che cosa hai, Cathy?» stava dicendo quando entrai; «sembri intristita come un cagnolino annegato. perché sei così bagnata, e così pallida, bambina?» «Ho preso la pioggia,» rispose lei di mala voglia, «e ho freddo; ecco tutto.» «Oh, è ben cattiva!» gridai, accorgendomi che il padrone era sufficientemente in se stesso. «S'è presa l'acquazzone di stanotte, ed è rimasta alzata tutta la notte, non sono riuscita a farla muovere.» Il signor Earnshaw ci guardò sorpreso. «Tutta la notte!» egli ripeté. «Che cosa l'ha tenuta alzata? non la paura del temporale, certamente, perché è cessato presto!» Nè io nè lei desideravamo parlare dell'assenza di Heathcliff fin che fosse stato possibile tenerla nascosta; così risposi che non sapevo proprio per qual capriccio non si fosse coricata, ed ella non disse nulla. La mattina era fresca e limpida, aprii l'impannata e subito la stanza si riempì dei dolci profumi del giardino; ma Caterina mi gridò di cattivo umore: «Elena, chiudi la finestra! Muoio dal freddo!» E i denti le battevano mentre si faceva più vicina al fuoco ormai quasi spento. «È ammalata,» disse Hindley prendendole il polso; «credo che questo sia il motivo per cui non ha voluto andare a letto. Maledizione! Non voglio essere seccato da altre malattie! Per qual ragione sei rimasta fuori sotto la pioggia? 77 nostre. Poiché mi rifiutavo di seguirla, e visto che le sue preghiere non mi muovevano, andò a lagnarsi dal marito e dal fratello. Il primo mi offrì un compenso grandioso, l'altro mi ordinò di far fagotto; non voleva più donne in casa, disse, ora che non vi era più la mia padrona, e, quanto a Hareton, ci avrebbe pensato il curato a suo tempo; così non ebbi da scegliere; dovetti fare come mi veniva ordinato. Dissi al padrone che lui si liberava da tutte le persone oneste per correre più presto alla sua rovina: baciai Hareton, gli dissi addio, e da allora mi è diventato estraneo; è assai doloroso pensarlo, ma non ho il più piccolo dubbio che non abbia completamente dimenticata la sua Elena Dean, lui che era più che tutto il mondo per lei, e lei per lui! A questo punto della storia la mia governante ha dato per caso un'occhiata all'orologio sopra al camino, e si è meravigliata di trovare che la lancetta dei minuti indicava l'una e mezza. Non ha voluto saperne di restare un secondo di più, e in verità io stesso ho pensato che fosse bene differire il seguito della narrazione. E ora che lei se ne è andata a riposare, e che sono rimasto a meditare per altre due ore, bisognerà che mi faccia coraggio a onta della dolorosa inerzia della mia testa e di tutte le mie membra, e me ne vada anch'io a dormire. 80 X Graziosa introduzione alla vita di un eremita! Quattro settimane di tortura, di agitazione, di malattia! Oh questi rigidi venti e questi tristi cieli del nord! e queste strade impraticabili, e questi medici condotti che non hanno mai fretta; e la carestia di volti umani; e, peggio di tutto, la terribile ingiunzione di Kenneth di non pensare di poter uscir di casa prima che sia arrivata primavera! Il signor Heathcliff mi ha appena fatto l'onore di una visita. Sette giorni or sono all'incirca, mi mandò un paio di francolini - gli ultimi della stagione. Birbante! Non è del tutto senza colpa in questa mia malattia, e avevo una gran voglia di dirglielo. Ma, ahimè! come potevo offendere un uomo che aveva avuto tanta carità da rimanere al mio capezzale un'ora buona, a parlare solo di pillole e infusioni, di ventose e di mignatte? E ora sto un po' meglio. Sono troppo debole per leggere, ma potrei trovar un po' di svago in qualcosa di interessante. E perché non chiamare la signora Dean a finire la sua storia? Ricordo bene i fatti fino al punto al quale è arrivata. Sì, ricordo che il suo eroe era fuggito, e che per tre anni non si seppe più nulla di lui, e la sua eroina, intanto, si era sposata. Suonerò. Sarà felice di trovarmi disposto a fare una buona chiacchierata con lei. La signora Dean è arrivata. «Mancano ancora venti minuti all'ora della medicina,» ha incominciato a dire. «Via, via, non la voglio,» ho risposto, «desidero invece...» «Il dottore dice che può smettere di prendere le polveri.» «Con tutto il cuore; ma non interrompetemi; venite a sedervi qua. Lasciate stare quell'amara falange di fiale! Togliete la vostra calza dalla tasca, ecco; e ora continuate la storia del signor Heathcliff, dal punto dove l'avete lasciata al tempo presente. Dove ha compiuto la sua educazione, nel continente? ed è ritornato gentiluomo? o ha avuto un posto gratuito in un collegio? o è fuggito in America e si è conquistato una situazione succhiando sangue al suo paese di adozione; o ha fatto fortuna più speditamente sulle strade maestre dell'Inghilterra?» «Può darsi che le abbia seguite un po' tutte queste vocazioni, signor Lockwood; ma io non potrei dirvi niente di preciso su nessuna. Vi ho già 81 dichiarato che non ho mai saputo in qual modo abbia guadagnato i suoi denari; e non so nemmeno come sia riuscito a elevare la sua mente dall'ignoranza selvaggia in cui era caduta; ma, se permettete, procederò a mio modo, purché siate sicuro che ciò vi divertirà piuttosto che annoiarvi. Vi sentite meglio stamane?» «Molto meglio.» «Ecco una buona notizia. Dunque, la signorina Caterina e io arrivammo a Thrushcross Grange, e, con mia piacevole sorpresa, lei si comportò infinitamente meglio di quanto avessi osato sperare. Sembrava fin troppo attaccata al signor Linton, e anche alla sorella di lui mostrava molto affetto. Tutti e due erano pieni di premure per lei; ma non si trattava di concessioni reciproche; l'una si manteneva fiera, e gli altri cedevano; e chi può mostrarsi cattivo, pur essendolo di natura, e avendo un brutto carattere, se non trova mai opposizione, nè indifferenza? Avevo notato che il signor Edgardo aveva una gran paura di qualsiasi cambiamento del suo umore. Non lo lasciava vedere, ma, se mi sentiva per caso risponderle bruscamente, o se qualche altro domestico aveva l'aria di ricever malamente i suoi ordini imperiosi, si mostrava irritato e offeso come non lo era mai per conto proprio. Più di una volta ebbe a riprendermi severamente per la mia impertinenza e a confessarmi che la ferita di una lama non avrebbe potuto dargli un dolore più acuto che il vedere la sua signora malcontenta. Per non addolorare un così buon padrone, imparai a esser meno stizzosa, e per un mezzo anno la polvere da fuoco poté parere innocua come sabbia, perché non capitò mai vicino alla fiamma. Alle volte Caterina aveva periodi di tristezza e di silenzio, e venivano rispettati con tacita simpatia dal marito, che li attribuiva a un mutamento nella costituzione di lei, prodotto forse dalla pericolosa malattia, dato che prima d'allora non era mai stata soggetta a depressione di spirito. Il ritorno del sole era salutato con volto raggiante. Credo a ogni modo di poter asserire che godettero veramente di una profonda felicità; ma finì presto. Dopo tutto, ognuno pensa solo a se stesso; quelli di animo mite e generoso sono giustamente ancor più egoisti dei dominatori; e la loro felicità finì per l'appunto quando le circostanze provarono a ciascuno che il proprio interesse non era la principale preoccupazione dell'altro...» In una dolce sera di settembre, tornavo dal giardino con un cestino pesante di mele che avevo colto io stessa. S'era fatto buio, la luna guardando dall'alto muro della corte addensava grandi ombre negli angoli delle numerose sporgenze del fabbricato. Deposto il mio carico sui gradini della porta di cucina, indugiavo a respirare qualche altro sorso di quell'aria dolce e 82 «So che non hai mai avuto simpatia per lui,» ella rispose, non lasciando trasparire quanto fosse intensa la sua gioia, «tuttavia, per amor mio, ora dovrete essere amici. Devo dirgli di salire?» «Qui?» disse lui, «nel salotto? «Dove, se non qui?» ella domandò. Egli apparve contrariato, e suggerì la cucina come un luogo più adatto. La signora Linton lo guardò con una strana espressione, mezzo adirata, mezzo ridente, come se trovasse comico tanto sussiego. «No,» rispose dopo un momento, «io non posso certamente ricevere in cucina. Metti due tavole qui, Elena, una per il vostro padrone e la signorina Isabella, poiché sono i signori, l'altra per Heathcliff e per me, che siamo di un rango inferiore. Sei contento, caro, o devo far accendere il fuoco altrove? In tal caso dà tu gli ordini; io corro giù ad assicurarmi che il mio ospite non scappi. Mi pare una gioia troppo grande per esser vera!» Stava per correre via, ma Edgardo la trattenne. «Ordinategli di salire,» egli disse rivolgendosi a me, «e tu, Caterina, fa' in modo di mostrarti contenta senza essere assurda! Non c'è bisogno di dar spettacolo a tutta la casa dell'accoglienza che fai a un servo fuggiasco, come se fosse un fratello.» Discesi, e trovai Heathcliff che aspettava sotto il portico, prevedendo evidentemente un invito a entrare. Egli ubbidì al mio invito, senz'altre parole, così lo introdussi immediatamente dal padrone e dalla padrona che in quel frattempo dovevano aver avuto un diverbio come denotavano i loro volti accesi. Ma quello della signora s'illuminò di tutt'altra fiamma all'apparire sulla soglia dell'amico: gli volò incontro e, presegli tutt'e due le mani, lo trasse verso Linton, e poi, afferrate le mani riluttanti di costui, strinse le une alle altre. La trasformazione di Heathcliff, illuminato com'era in quell'istante dalla viva luce del fuoco e da quella delle candele, mi colpì ancor più di prima. S'era fatto un uomo alto, ben formato, un vero atleta, in confronto al quale il mio padrone appariva molto esile, e infinitamente più giovane. Il portamento eretto dava l'idea che fosse stato nell'esercito; l'espressione del volto e la linea decisa dei tratti rivelavano maggiore maturità di quella di Linton, e anche molta intelligenza, e non lasciavano più scorgere i segni del primitivo abbrutimento. Una ferocia mezzo incivilita covava sotto le sopracciglia arcuate e negli occhi pieni di un nero fuoco, ma lui la sapeva domare, e i suoi modi erano dignitosi, privi di rozzezza, forse troppo severi però per parer sgarbati. La sorpresa del padrone fu pari alla mia se non più viva, per un momento egli rimase incerto sul modo di indirizzare la parola 85 allo zingaro, al contadino, come l'aveva poco prima chiamato. Heathcliff lasciò cadere le scarne mani dell'uomo che gli stava davanti e rimase a guardarlo freddamente in attesa che si decidesse a parlare. «Sedetevi, signore,» disse il padrone alla fine. «La signora Linton, ricordando i tempi passati, desidera che io vi riceva cordialmente, e, naturalmente, non posso esser che felice, quando si presenta un'occasione di farle cosa gradita.» «E io pure,» rispose Heathcliff, «specialmente se si tratta di qualcosa in cui io abbia parte. Mi tratterrò un'ora o due, con il massimo piacere.» Sedette davanti a Caterina che gli teneva lo sguardo fisso addosso come se temesse che, distogliendolo, lui potesse scomparire. Heathcliff raramente alzava il suo verso di lei; una rapida occhiata di tanto in tanto gli bastava; ma lei rifletteva, ogni volta con maggior sicurezza, il piacere evidente che lui assorbiva dal suo sguardo. Erano troppo assorti nella loro mutua gioia per sentirsi imbarazzati. Non così il signor Edgardo; egli si fece pallido per il dispetto, risentimento che raggiunse l'apice quando la sua signora si alzò, e, attraversata la stuoia che li separava, afferrò di nuovo le mani di Heathcliff, e rise come pazza di gioia. «Domani penserò che sia stato un sogno!» ella esclamò. «Non sarò capace di credere che ti ho veramente veduto, e toccato, e che ti ho ancora parlato. Eppure, Heathcliff crudele, non meriti questa accoglienza. Stare via, in silenzio per tre anni, senza mai pensare a me!» «Un po' più tuttavia di quanto tu abbia pensato a me,» mormorò lui. «Ho saputo del tuo matrimonio, Cathy, poco fa; e, mentre aspettavo nel cortile qui sotto, meditavo questo piano: vedere per un attimo il tuo volto, un momento di sorpresa, forse, e di illusione; e poi aggiustare i conti con Hindley; quindi impedire alla legge di procedere, con un atto di violenza contro me stesso. La tua accoglienza ha mezzo scacciate queste idee dalla mia testa; ma bada bene a non ricevermi diversamente la prossima volta! Non mi respingerai più lontano! Hai veramente sofferto per me, non è vero? Ebbene, non è stato senza ragione. Ho affrontato una dura esperienza dall'ultima volta che sentii la tua voce, e devi perdonarmi perché ho lottato solamente per te!» «Caterina, favorisci venire a tavola se non vuoi che il tè si raffreddi del tutto,» li interruppe Linton, sforzandosi di mantenere il suo tono normale, e il debito grado di cortesia. «Il signor Heathcliff dovrà fare un lungo cammino ovunque alloggi, stanotte; e poi io ho sete.» Ella prese il suo posto davanti al vassoio, la signorina Isabella giunse a una mia chiamata di campanello, e, quando ebbi poste le sedie intorno alla 86 tavola, lasciai la stanza. Il pasto durò dieci minuti scarsi. La tazza di Caterina rimase sempre vuota; ella non poteva mangiare nè bere. Edgardo si era preso qualcosa sul piatto, ma fu incapace di inghiottire un sol boccone. Il loro ospite, quella sera, non protrasse la visita più di un'ora. Mentre usciva, gli chiesi se andasse a Gimmerton. «No, a Wuthering Heights,» egli rispose: «il signor Earnshaw mi ha invitato, quando gli ho fatto visita stamane.» Il signor Earnshaw l'ha invitato! e lui ha fatto visita al signor Earnshaw! Meditai penosamente su tali parole dopo che se ne fu andato. È diventato forse un ipocrita, ed è tornato in paese per tramare il male sotto false apparenze? pensavo tra me, e in fondo al cuore avevo il presentimento che sarebbe stato meglio se se ne fosse rimasto lontano. Verso la metà della notte fui svegliata nel mio primo sonno dalla signora Linton, che era venuta in camera mia, e, sedutasi al mio capezzale, mi tirava i capelli per svegliarmi. «Non posso riposare, Elena,» ella disse per scusarsi, «e ho bisogno che qualche anima viva mi tenga compagnia nella mia felicità. Edgardo è di cattivo umore perché io sono contenta di una cosa che non l'interessa; rifiuta di aprir bocca, se non per dire sciocchezze e mi ha ripetuto più di una volta che sono crudele ed egoista a voler parlare quando lui non si sente bene e ha sonno. Alla minima contrarietà dice sempre di non star bene! Mi è uscita qualche parola di lode per Heathcliff e lui, sia per il mal di testa o per una punta di gelosia, ha cominciato a piangere: così mi sono alzata e l'ho lasciato.» «Ma perché lodare Heathcliff davanti a lui?» io risposi. «Da ragazzi avevano una grande avversione l'uno per l'altro e Heathcliff non tollererebbe di sentir le lodi del padrone. È proprio della natura umana. Non dite nulla di lui al signor Linton, se non volete che scoppi una lite aperta tra di loro.» «Ma in questo modo non dimostra una grande debolezza?» proseguì ella. «Io non sono invidiosa: e non provo nessun dispetto per la lucentezza dei capelli biondi di Isabella, nè per la sua carnagione bianca, e per la sua raffinata eleganza e per l'affetto che tutta la famiglia le dimostra. Perfino tu, Nelly, se alle volte abbiamo una disputa, sei pronta a tenere la parte di Isabella, e io cedo subito come una mamma troppo indulgente. La chiamo con nomi affettuosi, e la metto di buon umore con un po' di adulazione. Il fratello è contento di vederci di buon accordo, e ciò fa piacere anche a me. Ma si somigliano; sono ragazzi viziati, e immaginano che il mondo sia stato fatto per il loro comodo: e, benché io assecondi l'umore di entrambi, penso che 87 Isabella a un tratto ebbe a dimostrare un'irresistibile attrazione per quell'ospite fino ad allora semplicemente tollerato. Era a quel tempo una graziosa ragazza di diciotto anni, di modi ancora infantili, ma di ingegno acuto, e di sentimenti profondi, e di un carattere battagliero se irritata. Suo fratello, che l'amava teneramente, fu spaventato da quella sconcertante predilezione. Lasciando da parte l'avvilimento di un'unione con un uomo senza un nome, e il fatto non improbabile che i suoi beni per mancanza di un erede maschio, potessero passare in potere di un simile individuo, il padrone aveva abbastanza giudizio da indovinare il sentire di Heathcliff; comprendeva, cioè, che costui, anche se era mutato d'aspetto, conservava immutate e immutabili le stesse idee. Egli temeva quella mente; ne era rivoltato e rifuggiva, come sotto l'influenza di un presagio funesto, dall'idea di abbandonare Isabella in quelle mani. E sarebbe stato ancor più contrariato nel sapere che quell'attaccamento era sorto non sollecitato, ed era prodigato senza la minima reciprocità; egli, invece, non appena ne scoprì l'esistenza, incolpò Heathcliff di perseguire un deliberato disegno. Avevamo tutti notato che da qualche tempo la signorina Linton si tormentava e soffriva ma non si sapeva per qual ragione. Si era fatta cattiva e noiosa; non faceva che rimbrottare e infastidire Caterina con il continuo rischio di logorarne la pazienza già molto limitata. Noi la si scusava, fino a un certo punto, attribuendo il suo malumore alla non buona salute; sembrava consumarsi e svanire davanti ai nostri stessi occhi. Ma un giorno in cui ella si mostrò ancor più particolalmente irritata, e rifiutò la colazione, e si lamentò che i servi non l'ubbidivano, e che la padrona permetteva che lei non contasse nulla in quella casa, e che Edgardo la trascurava, che si era raffreddata perché le porte venivano lasciate aperte, che noi lasciavamo che il fuoco si spegnesse nel salotto appositamente per farle dispetto, e formulò cento altre accuse ancor meno consistenti, la signora Linton insistette perentoriamente perché andasse a letto; e, dopo di averla sgridata per bene, la minacciò di mandare a chiamare il medico. Ma al nome di Kenneth, la signorina Linton gridò subito che la sua salute era perfetta, e che era soltanto la durezza di Caterina a renderla infelice. «Come puoi mai dire che sono dura con te, cattivella che non sei altro!» esclamò la padrona, stupita di quella irragionevole dichiarazione. «Sei certamente fuori di senno. Quando sono stata dura con te? dimmelo.» «Ieri,» singhiozzò Isabella, «e ora.» «Ieri?» disse la cognata. «In quale occasione?» «Durante la nostra passeggiata nella landa; mi hai detto di girare a mio 90 piacere, mentre tu passeggiavi con Heathcliff!» «E la chiami durezza questa?» disse Caterina ridendo. «Non è stato certo per farti capire che la tua compagnia era superflua; a noi non importava punto che tu fossi o non fossi con noi, ho pensato soltanto che i discorsi di Heathcliff non potessero aver nulla d'interessante per le tue orecchie.» «Oh, no,» disse la fanciulla, piangendo, «tu hai voluto mandarmi via perché sapevi che avevo piacere a rimanere.» «Ma è in senno?» domandò la signora Linton facendo appello a me. «Ripeterò la nostra conversazione parola per parola, Isabella, e mi indicherai ciò che avrebbe potuto avere tanta attrattiva per te.» «A me non importava della conversazione,» ella rispose. «Io desideravo stare con...» «Ebbene?» disse Caterina notando che esitava a compire la frase. «Con lui: e non voglio essere sempre mandata via,» ella riprese, accendendosi. «Sei come un cane nella mangiatoia, Cathy, e non vuoi che nessun altro sia amato all'infuori di te!» «E tu sei una piccola impertinente!» esclamò la signora Linton, molto meravigliata. «Ma non voglio credere a tanta imbecillità; non è possibile che tu cerchi l'ammirazione di Heathcliff, e che lo possa considerare una persona piacevole! Spero bene di essermi sbagliata, Isabella!» «No, non ti sei sbagliata,» disse la ragazza, infatuata. «L'amo più di quanto tu abbia mai amato Edgardo, e lui potrebbe amarmi se tu glielo permettessi!» «In questo caso non vorrei essere te per tutto un regno!» dichiarò Caterina con enfasi; ed ella sembrava parlare sinceramente. «Nelly, aiutami a convincerla della sua pazzia. Dille chi è Heathcliff: un essere cattivo, senza distinzione, senza educazione: una campagna arida, selvatica, tutta sassi e spine. Sarebbe lo stesso che mettere quel canarino nel parco in una giornata d'inverno, se ti consigliassi di dare il tuo cuore a lui. Solo una deplorevole ignoranza del suo carattere, bambina, può suscitarti un tal sogno nella testa, null'altro che questo. Non immaginarti, ti prego, che sotto quell'aspetto severo, lui nasconda profondità di benevolenza e di affetti! Non è il diamante grezzo, non è il guscio che racchiude la perla dell'ostrica; è un uomo feroce, spietato, rapace come un lupo. Io non gli dico mai: "Lascia stare questo e quel nemico perché non sarebbe generoso fargli del male"; io gli dico: "Lascialo stare perché io odierei chi gli facesse del male"; e lui ti schiaccerebbe come un uovo di passero, se tu diventassi per lui un legame fastidioso. So che non potrebbe amare una Linton, ma sarebbe capacissimo di sposare la tua fortuna e le tue speranze. L'avidità sta diventando in lui un 91 peccato travolgente. Questo è il ritratto che ti faccio io, io che gli sono amica, e a tal punto che, se lui avesse pensato seriamente di prenderti, io, forse, avrei taciuto e ti avrei lasciata cadere in trappola.» La signorina Linton guardò la cognata con indignazione. «Vergogna! Vergogna!» ella ripeté con ira, «tu sei peggio di venti nemici, tu, amica velenosa.» «Ah, non vuoi credermi, allora» disse Caterina. «Credi che io parli per egoismo?» «Ne sono certa,» replicò Isabella; «mi fai rabbrividire!» «Bene!» gridò l'altra. «Fanne tu stessa la prova, se ne hai l'animo. Per conto mio me ne lavo le mani, e abbandono la questione alla tua sfacciata cocciutaggine.» «E devo io soffrire del suo egoismo?», disse la ragazza tra i singhiozzi, mentre la signora Linton lasciava la stanza. «Tutto, tutto è contro di me; mi ha guastata la mia unica consolazione. Ma ha detto delle falsità, non è vero? Il signor Heathcliff non è un demonio; ha un animo stimabile, e sincero, se no, come l'avrebbe ricordata?» «Banditelo dalla vostra mente, signorina,» le dissi. «È un uccello di cattivo augurio: non è un compagno per voi. La signora Linton ha parlato con violenza, eppure non posso contraddirla. Conosce il cuore di lui meglio di me e di chiunque altro, e non potrebbe mai dir peggio di quello che lui è realmente. Le persone oneste non nascondono le loro azioni; ma come ha vissuto lui? Come ha fatto a diventar ricco? perché sta a Wuthering Heights, nella casa di un uomo che detesta? Si dice che il signor Earnshaw sia diventato ancora peggiore da quando c'è lui; passano le notti continuamente insieme, e Hindley prende denaro a prestito sulle sue terre e non fa altro che giocare e bere. Ho saputo una settimana fa - ed è stato Giuseppe a dirmelo quando l'ho incontrato a Gimmerton: "Nelly, un giorno o l'altro avremo un'inchiesta giudiziaria in casa nostra per quei signori. Uno di loro ci ha quasi rimesso un dito per aver voluto impedire all'altro di scannarlo come un vitello. È il padrone che dovrà andare alla corte d'assise. Non ha paura dei tribunali, nè dei giudici, nè di Paolo, nè di Pietro, nè di Giovanni nè di Matteo, di nessuno ha paura! Anzi vorrebbe incontrarsi faccia a faccia con loro! E quel caro ragazzo di un Heathcliff, ah, quello sì che è un tesoro! Sa ridere come nessun altro di uno scherzo d'inferno. Non vi dice mai nulla della sua bella vita tra noi, quando viene a Grange? Questo è il loro bel modo di passar l'esistenza: si alzano al tramonto: dadi, cognac, imposte chiuse e luce di candela fino a mezzodì del giorno seguente: allora il pazzo 92 brutalmente, quando la porta le si chiuse dietro. «Ma che intendevi fare con il tormentare quella creatura in tal modo, Cathy? Non dicevi la verità, non è vero?» «Ti assicuro che dicevo la verità,» rispose. «Da parecchie settimane muore d'amore per te; stamane sembrava impazzita, e mi ha coperta d'improperi perché le ho rappresentato i tuoi difetti in piena luce, allo scopo di moderare la sua adorazione. Ma non stare a badarvi più oltre: ho voluto punire la sua sfrontatezza; ecco tutto. Ho troppa simpatia per lei, mio caro Heathcliff, per lasciartela davvero prendere e divorare.» «E a me dispiace troppo per farne la prova,» egli disse, «potrei farlo solo come un orco delle favole. Ne sentiresti delle belle se dovessi vivere con quell'insulsa dal viso di cera, il più spesso possibile le dipingerei su quel bianco i colori dell'iride, e un giorno sì e l'altro no, le farei diventar neri quegli occhi azzurri che somigliano così odiosamente a quelli di Linton.» «Piacevolmente!» ribatté Caterina. «Sono occhi di colomba, di angelo!» «È l'erede di suo fratello, vero?» chiese lui, dopo un breve silenzio. «Mi spiacerebbe pensare che così dovesse essere,» rispose la sua compagna. «Una mezza dozzina di nipoti cancelleranno il suo diritto, grazie al Cielo! Per il momento togliti pure dalla mente una simile idea: sei troppo pronto a desiderare la roba del vicino; ricordati che la roba di questo vicino è mia.» «Se fosse mia, non sarebbe meno tua per questo,» disse Heathcliff; «comunque, se Isabella Linton è sciocca, non è affatto pazza; ma non parliamone più, come tu suggerisci.» Non ne parlarono più infatti e Caterina probabilmente allontanò davvero quell'idea dalla sua mente. L'altro, invece, ne sono sicura, ci ripensò spesso nel corso della sera. Lo vidi sorridere tra sè, o piuttosto sogghignare, e sprofondare in meditazioni sinistre ogni volta che la signora Linton aveva occasione di assentarsi dalla stanza. Mi decisi a osservare i suoi movimenti. Il mio cuore propendeva invariabilmente per il padrone invece che per Caterina: con ragione, credo, perché egli era gentile, sincero, e stimabile; ed ella, se non poteva essere qualificata proprio l'opposto, sembrava tuttavia accordare a se stessa una tale libertà, che potevo avere poca fede nei suoi principi, ed ancor meno simpatia per i suoi sentimenti. Desideravo che accadesse qualche cosa che potesse servire a liberare tanto Wuthering Heights che Grange da Heathcliff, ma tranquillamente; lasciandoci come eravamo prima della sua venuta. Le sue visite erano un continuo incubo per me, e, temevo, anche per il padrone. La sua dimora alle Heights mi dava un'oppressione al di là di ogni dire. Sentivo 95 che Dio aveva abbandonata ai propri traviamenti la pecora smarrita lassù, e che un animale iniquo si aggirava tra di essa e l'ovile, aspettando l'istante di poter assalire e distruggere. 96 XI A volte, mentre rimuginavo in solitudine tali idee, mi veniva da alzarmi, presa da subitaneo terrore, e, messo il cappello in testa, correvo a vedere come andassero le cose alla fattoria. Mi ero convinta che fosse un dovere avvertire Hindley di come la gente sparlava del suo modo di vivere, ma poi, rammentandomi delle sue inveterate cattive abitudini, senza speranza di giovargli, tralasciai di rimetter piede in quella triste casa, dubitavo di sostenere il confronto, nel caso che fossi stata creduta. Una volta passai davanti al vecchio cancello, deviando dal mio cammino, mentre ero diretta a Gimmerton. Era presso a poco il periodo al quale sono giunta con la mia narrazione: un pomeriggio rigido, splendente; la terra nuda, la strada dura e secca. Arrivai a una pietra dove la strada maestra svolta a sinistra verso la landa, un rozzo pilastro con incise le lettere W.H. a nord; G. a est; e T.G. a sud-ovest, pietra miliare per Grange, per le Heights, e per il villaggio. Il disco dorato del sole appariva sulla grigia sommità di quel pilastro ricordandomi l'estate; e io non saprei dire il perché, ma a un tratto sentii un fiotto di sensazioni infantili invadermi il cuore. Venti anni prima quello era uno dei posti preferiti da me a da Hindley. Guardai a lungo quel pilastro battuto dalle intemperie, e, curvatami, scorsi un buco presso la base, ancor pieno dei gusci di chiocciola e dei sassolini, che amavamo radunare in esso con altre cose ancor più caduche; davanti a me come la stessa realtà, mi parve di vedere il mio primo compagno di giochi sedere sull'erba secca, con la sua testa quadrata e scura china in avanti e la piccola mano intenta a scavare la terra con un coccio di ardesia. «Povero Hindley!» esclamai involontariamente. Trasalii: i miei veri occhi, non quelli della mente, poterono credere per un momento che il fanciullo avesse alzato il volto e mi fissasse intensamente. La immediatamente un desiderio superstizione mi spinse a cedere a quell'impulso: se fosse morto! pensai, o dovesse morire presto! se fosse un preannuncio di morte! Più m'avvicinavo alla casa e più cresceva la mia agitazione, e, quando essa fu in vista, mi sentii tremar tutta. L'apparizione mi aveva preceduta e stava guardando attraverso il cancello. Questa fu la mia prima idea nel vedere un ragazzo dai ricci di folletto e dagli 97
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