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ENRICO BERTI GUIDA AD ARISTOTELE, Schemi e mappe concettuali di Storia della filosofia antica

Le fonti principali della vita di Aristotele ad oggi in nostro possesso sono il suo testamento, conservato da Diogene Laerzio e mai messa in dubbio per la sua autenticità, e la biografia scritta dallo stesso Diogene Laerzio derivante probabilmente da una biografia perduta (a questa biografia se ne uniscono molte altre, risalenti a quell’epoca, tuttavia sono considerate tutte poco attendibili).

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 24/10/2022

NottoladiMinerva95
NottoladiMinerva95 🇮🇹

4.4

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Scarica ENRICO BERTI GUIDA AD ARISTOTELE e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! ENRICO BERTI GUIDA AD ARISTOTELE VITA Le fonti principali della vita di Aristotele ad oggi in nostro possesso sono il suo testamento, conservato da Diogene Laerzio e mai messa in dubbio per la sua autenticità, e la biografia scritta dallo stesso Diogene Laerzio derivante probabilmente da una biografia perduta (a questa biografia se ne uniscono molte altre, risalenti a quell’epoca, tuttavia sono considerate tutte poco attendibili). Certo è che Aristotele nacque nel 384/3 a.C. a Stagira, una poleis greca, appunto da genitori greci (il padre probabilmente morì quando lui ancora era in tenera età), e a circa 17 anni entrò a far parte dell’Accademia di Platone ad Atene, dove vi rimase per vent’anni (347 a.C. morte di Platone), qui conobbe anche Eudosso, per il quale Aristotele ebbe sempre grande considerazione. In questo periodo lavorò dal punto di vista scientifico e astrologico, ma anche filosofico: abbiamo per esempio la tematica dell’immortalità dell’anima. Lasciata Atene, Aristotele si recò presso un certo Ermia, col quale strinse amicizia e del quale sposò una parente. Aristotele scrisse in onore di Ermia un epigramma, posto su una sua statua eretta a Delfi, e un Inno alla virtù, in cui paragonava Ermia agli eroi della mitologia. Nel 345/4 Aristotele incontra Teofrasto, il quale diventerà suo discepolo. Mentre nel 343/342 fu chiamato dal re Filippo II per educare il figlio Alessandro, tuttavia il filosofo non esaltò mai di questa figura dal punto di vista politico, tantoché considerava l’impero di Alessandro di tipo primitivo, sicuramente quindi non considerò le imprese di quest’ultimo come frutto dei suoi insegnamenti. Inoltre i rapporti tra i due con il tempo andarono a deteriorarsi per diversi motivi. Nel 335/4, come si è detto, Aristotele fece ritorno ad Atene, e forse in quest'occasione scrisse la famosa Elegia a Eudemo, nella quale narra di qualcuno - probabilmente lui stesso - che, entrando nel suolo dell'Attica, elevò un altare all'amicizia, è chiaro che l'uomo al quale è rivolto un così profondo elogio non può essere che Platone, verso il quale dunque Aristotele attesta tutta la sua amicizia e la sua venerazione nel momento in cui ritorna nella terra che aveva lasciato a causa della morte del maestro. Ad Atene, all'età di cinquant'anni, Aristotele aprì finalmente una sua scuola nel giardino dedicato ad Apollo Licio e perciò detto Liceo. Il carattere di questa scuola è controverso: secondo alcuni si trattò di un tiaso cioè di un'associazione per il culto delle Muse, dotata di un proprio 'edificio, con un peripato (passeggiata coperto o in genere luogo per passeggiare), da cui il nome di scuola peripatetica, una biblioteca, un museo, dei locali per l'alloggio ed altri per l'insegnamento. Secondo altri, invece, Aristotele, essendo meteco (cioè abitante ad Atene, ma cittadino di un'altra città), non poteva possedere alcun edificio, e quindi avrebbe insegnato in un ginnasio pubblico. In ogni caso Aristotele vi dovette tenere dei veri e propri corsi su singole discipline filosofiche e scientifiche, quali la logica, la fisica, la psicologia, la zoologia, la filosofia prima, l’etica, la politica, la retorica, la poetica, come è attestato dai suoi trattati. Probabilmente vi si trovavano dei libri e vari altri strumenti di ricerca, quali raccolte di proverbi, di costituzioni, di osservazioni su astri, animali e piante. Dopo la morte di Alessandro nel 324/323 Aristotele fu accusato (per ostilità politica) di empietà, per paura dell’esito il filosofo decise di scappare da Atene trasferendosi a Calcide, nella vecchia casa materna, tuttavia il soggiorno fu breve, perché dopo un solo anno, nel 322/1, Aristotele morì, probabilmente di malattia. Nel testamento, come si è detto, il filosofo nominò esecutore delle sue volontà il governatore Antipatro ed erede delle sue proprietà Nicanore, figlio di Prossena, che probabilmente aveva adottato. Tuttavia, poiché questi era assente (forse partecipava alla spedizione in Persia), egli incaricò Teofrasto di aver cura dei figli, cioè la figlia Pizia e il più piccolo Nicomaco, nonché di una donna di nome Erpillide e di tutta I' eredità. La moglie Pizia, da cui la figlia aveva preso il nome, era già morta. Aristotele dispose poi che Nicanore sposasse la figlia, una volta che questa avesse raggiunto l'età necessaria, e si prendesse cura anche di Nicomaco. In caso di impedimento di Nicanore, la stessa richiesta era rivolta a Teofrasto. Al medesimo Nicanore e in genere ai tutori dei figli Aristotele chiese poi di avere cura di Erpillide, in ricordo del premuroso affetto che questa gli aveva dimostrato, nonché di darla eventualmente in sposa a un uomo degno, di assegnarle un talento d'argento, alcune ancelle, un alloggio a Calcide o la casa patema di Stagira. Un trattamento, come si vede, particolare, che ha fatto ritenere Erpillide la compagna di Aristotele, o addirittura la sua seconda moglie. Infine Aristotele ordinò che fossero liberati tutti i suoi schiavi e che fossero erette statue di Prossena, di Nicanore, della madre di questo, del fratello Arimnesto e della madre Festide. Dispose che le sue ossa fossero sepolte vicino a quelle della moglie Pizia e che Nicanore, qualora fosse sopravvissuto alla guerra, sciogliesse un voto fatto per lui dallo stesso Aristotele, dedicando in Stagira due statue di quattro piedi rispettivamente a Zeus Salvatore e ad Atena Salvatrice. Come si vede, Aristotele risulta essere uomo dai forti affetti familiari ed in qualche misura anche devoto agli dèi. OPERE Delle opere di Aristotele sono pervenute tre liste antiche, l’una compresa nella biografia di Diogene Laerzio, la seconda in quella di Esichio e la terza in quella dell’arabo Usaibia. La prima, secondo gli studiosi,, risale a una lista del III secolo a.C., che può essere o –il catalogo delle opere di Aristotele esistente nella biblioteca del Museo di Alessandria (nell'ipotesi che la biografia di Diogene Laerzio risalga a Ermippo), o quello esistente nella biblioteca del Liceo di Atene (nell'ipotesi che la stessa biografia risalga ad Aristone di Ceo). La seconda lista deriva dalla stessa fonte della prima, ma in modo indipendente, perciò può servire per colmare lacune esistenti in quella. La terza deriva invece, per ammissione unanime, attraverso la biografia scritta da Tolomeo, da un catalogo stilato da Andronico di Rodi, che fu scolarca del Liceo nel I secolo a.C. ed artefice di una famosa edizione "delle opere di Aristotele, dalla quale deriva l'intera tradizione manoscritta di esse. 1) il bene supremo e la felicità; 2) la virtù etica in generale e le virtù etiche particolari; 3) le virtù dianoetiche o intellettuali; 4) i vizi, l'incontinenza; 5) l'amicizia; 6) la virtù perfetta, la felicità completa Questi argomenti non sono semplicemente posti gli uni accanto agli altri, ma sono collegati da un percorso logico, che conduce ad una progressiva scoperta di cosa siano il bene umano e la felicità. Per certi versi infatti i trattati etici di Aristotele non hanno una struttura deduttiva o dimostrativa, ma piuttosto un andamento simile a quello di molti dialoghi platonici: all'inizio si pone un problema, in questo caso cos'è il bene umano, e si cerca poi di risolverlo attraverso una serie di ricerche successive, che affrontano il tema da vari punti di vista, con varie riprese, false partenze e doppie discussioni. QUESTIONI DI VOCABOLARIO Uno dei problemi maggiori per il lettore delle Etiche di Aristotele è dato dalla difficoltà di intendere in modo completamente esatto il significato dei termini impiegati da Aristotele. La maggior parte della terminologia filosofica greca venne tradotta in latino a partire dal I secolo a.C. da Cicerone, Lucrezio, Seneca, Quintiliano ed altri. I termini che noi oggi usiamo per tradurre in italiano le parole dei filosofi greci derivano in gran parte dai termini latini scelti, o, molto spesso, appositamente inventati dai filosofi romani. In base all'uso corrente dei termini, la felicità per Aristotele risulterebbe essere una specie di piacere dell'autocontrollo, il che è quasi esattamente l' opposto di ciò che Aristotele voleva dire. Infatti Aristotele molto probabilmente intendeva dire che il bene umano consiste nella piena realizzazione di se stessi, e che tale autorealizzazione consiste nel perfetto funzionamento della parte razionale della nostra mente. Per ovviare a questa situazione molti tentativi sono stati compiuti, ma non sempre con buoni risultati. Alcuni hanno cercato di risalire al senso etimologico delle parole greche, per riscoprire in esso il significato originario da recuperare, contro le confusioni della lingua moderna, ma questa procedura, nel caso di Aristotele, ci pare impraticabile. Un'altra possibilità, tentata a volte dai traduttori di lingua inglese, consiste nel cercare nella lingua corrente termini nuovi per tradurre le nozioni chiave del pensiero di Aristotele, abbandonando i termini tradizionali derivanti dal latino. La via migliore è probabilmente quella di tradurre le Etiche servendosi dei termini tradizionali (eudaimonia = felicità; arete = virtù), avvisando tuttavia il lettore del fatto che la parola italiana va intesa in un'accezione particolare, e non nel suo senso più comune. EsempI: • Agathon e kakon, bene e male, non hanno sempre un significato morale, spesso essi mantengono un significato di distinzione di classe sociale, che avevano in origine, e indicano ciò che è nobile e ciò che, è ignobile. Più vicino di agathon al nostro significato di 'bene morale' è to kalon, il bello o il nobile, termine che indica una qualità delle azioni ed è, insieme al giusto, oggetto della politica. Ma, a differenza del dovere morale (Sollen) delle etiche moderne, to kalon ha una precisa dimensione pubblica • Eudaimonia, felicità, è indicato da Aristotele come il nome che tutti danno al bene umano, ma egli aggiunge che sul contenuto di questo termine nessuno è d'accordo, si tratta di uno stato che oggi potremmo definire di 'autorealizzazione' • Arete, virtù, indica l'eccellenza di un ente o di una attività svolta da un ente. Da questa definizione deriva che il concetto di arete è strettamente connesso al concetto di ergon, uno dei termini più complessi, e più difficili da tradurre, di tutta l'etica aristotelica: esso indica, insieme, sia l'oggetto prodotto sia l'attività dell'agente, quindi sia l'opera (una casa) sia l'operare tipico (l'edificare). In genere oggi si traduce ergon con 'funzione', ma questo termine italiano può essere sviante, infatti con 'funzione' noi intendiamo un «compito specifico, assegnato nell'ambito di una attività organizzata o di una struttura», oppure, in matematica, la «correlazione tra due o più grandezze». Ciò non si applica all'etica di Aristotele, in cui erg on non indica l'operazione di una parte di un contesto più vasto, ma l'attività tipica dell'ente. Per questo a volte ergon è connesso a zoe, vita, intesa come 'modo di vivere' • Logos non è certo un termine tipico esclusivamente del vocabolario etico aristotelico, tuttavia in alcune traduzioni molto prestigiose assume la valenza di ‘regola’ . Ma queste nozioni sono estranee all'etica di Aristotele, che non mira a formulare regole universali, ed anzi, come vedremo, ritiene che I’ universalità sia un difetto nelle prescrizioni etiche. Il logos delle Etiche non ha un carattere universalmente normativo, come la ragione kantiana IL METODO DELL’ETICA Aristotele non si pone mai il problema del metodo dell'etica come disciplina filosofica: egli afferma nella Metafisica che «è assurdo ricercare allo tesso tempo una scienza e il metodo di questa scienza. Aristotele non definisce mai la sua etica come episteme praktike, si serve piuttosto dell'espressione he peri ta anthropeia philosophi·a , la disciplina filosofica che riguarda le cose umane con cui l’ etica viene distinta dalla filosofia prima, chiamata alle philosophia. Dobbiamo intendere la phjlosophia di cui parla Aristotele in un senso alquanto più vasto del nostro 'filosofia', dato che nella Metafisica comprende anche la fisica e la matematica, potremmo tradurla con sapere intellettuale, ricerca teorica o simili. Rispetto al contenuto, il problema del metodo della filosofia pratica aristotelica può essere affrontato da due punti di vista, o attraverso il confronto con il metodo dell'etica di altri autori, antichi e moderni, o attraverso il confronto con il metodo delle altre trattazioni aristoteliche, della Fisica, della Metafisica o della Retorica. Di solito gli storici dell'etica filosofica seguono la prima strada, noi seguiremo invece la seconda, il che, forse, ci permetterà di precisare meglio il modo di procedere di Aristotele. In una parola, il metodo della filosofia pratica aristotelica non è altro che il consueto metodo dialettico di Aristotele, con alcuni adattamenti dovuti alla materia ed agli scopi particolari di una discussione sull'etica; molte caratteristiche che oggi, erroneamente, vengono considerate tipiche della filosofia pratica aristotelica sono invece tipiche della filosofia di Aristotele in generale, e si ritrovano quasi identiche anche nelle opere teoretiche. Ma vi sono anche alcune caratteristiche proprie del metodo delle Etiche in particolare. II procedimento di Aristotele, nelle opere teoretiche come nelle Etiche, consiste nel partire da una rassegna delle opinioni; l'esame delle opinioni notevoli tende a: • liberare le opinioni stesse dalle oscurità e dalle imprecisioni, • contrapporre le opinioni opposte per trovare la verità tra due alternative, • risolvere i problemi, risalendo alla natura della cosa stessa, • dimostrare come mai può essere nata l’opinione errata. Aristotele non ha mai voluto dire che il bene umano è oggetto solo della saggezza, ed esclusivo dominio dei politici, e che il filosofo non ha diritto, dal punto di vista sistematico, di occuparsene. Ma pare sostenere che il contributo del filosofo consiste soprattutto nel chiarire, nel fondare teoricamente una nozione di bene umano già implicitamente presente nelle opinioni degli uomini migliori, e nell'incoraggiare, nell'esortare i giovani già ben formati dall'educazione familiare e pubblica, dato che i suoi logoi non bastano da soli a rendere qualcuno buono. FELICITA’ E FELICITA’ PERFETTA La felicità è quindi un modo di vivere e di agire organizzato intorno ad un' attività principale, che è il fine della vita, e che, per essere un vero fine, non deve servire a null'altro, ma deve rendere la vita completa e perfetta, in modo tale che neanche l'aggiunta del bene più piccolo la potrebbe. Per determinare quale sia l’attività umana più adatta a svolgere questo ruolo, Aristotele si rifà alla sua teoria antropologica, e cerca di stabilire quale sia l'attività propria dell'uomo in quanto tale. Per determinare quale sia l'attività principale migliore, tuttavia, Aristotele non prende le sue premesse dalla teologia, né stabilisce che la felicità umana consiste in quell'attività che imita la vita di Dio quanto più possibile. Il confronto con la vita divina si trova in Aristotele, ma solo alla fine del discorso, e non serve a fondare la teoria del bene supremo e della felicità, serve solo a precisare quale sia la felicità più perfetta.
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