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Epoca 6 - La fine del Rinascimento e il Barocco, Appunti di Letteratura Italiana

appunti su Epoca 6 - La fine del Rinascimento e il Barocco del libro ''Letteratura italiana. Manuale per studi universitari. Vol. 1: Dalle origini a metà Cinquecento''.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 12/03/2021

sara-ghersi
sara-ghersi 🇮🇹

3.9

(13)

59 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Epoca 6 - La fine del Rinascimento e il Barocco e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Epoca 6 – La fine del Rinascimento e il Barocco Spesso si tende a individuare nella fine del Concilio di Trento la fine del Rinascimento, affidando ai decenni conclusivi del secolo l’etichetta di Manierismo. Questa considerazione escluderebbe la figura di Tasso e del suo capolavoro La Gerusalemme Liberata, che invece è a pieno titolo rinascimentale in quanto si rapporta ai modelli e include parzialmente le leggi della Poetica di Aristotele, sebbene le opere della seconda fase della vita di Tasso siano state condizionate dal decadimento delle corti italiane e dell’incremento delle preoccupazioni religiose. È quindi solo alla morte di Tasso, avvenuta nel 1595, che si può affidare la fase finale del Rinascimento. Marino rappresenta l’esponente della generazione post-Tasso che segnerà il Seicento. È caratterizzato dalla sua capacità poetica, che introduce nuove metafore, alla sua capacità di imporre nuovi soggetti ai sodali, spesso privilegiando la passione per le arti figurative. Marino compone l’Adone (1623) che sarà il poema simbolo del Barocco italiano, farà da base per una poesia su base mitologica che si distacca dal modello tassiano. Sarà un poema della pace, un’utopia letteraria, che cerca di alleviare le tensioni del secolo. Finirà nell’elenco dei libri proibiti. Sarà in questo periodo che molti intellettuali entreranno in conflitto con la cultura ufficiale, soprattutto romana, introducendo nuovi punti di vista per i quali pagheranno in prima persona. Dopo la condanna di Galileo nel 1633, la cultura italiana prenderà posizioni più prudenti, segnando la fine di una prima fase del Barocco italiano. Alcune di queste proposte erano presenti già a inizio secolo, mostrando che il Seicento è carico di correnti molto distanti fra loro, e che quindi non tutto il Seicento è Barocco. Esponenti di questo periodo meno sperimentale e attento ai contenuti è Maffeo Barberini, da qui il cosiddetto ‘’classicismo barberiniano’’ e Gabriello Chiabrera. Il secondo Seicento, nei luoghi più liberali (Genova e Venezia), si sviluppa un seicento nel seicento in quanto c’è un rilancio del marinismo (Lubrano) che si caratterizza da una ricerca metaforica piegata a esprimere la fragilità della condizione umana e il tempo ineluttabile. Torquato Tasso (1544 - 1595) L’esperienza letteraria di Tasso incapsula il quadro del secondo Cinquecento, anche considerato ‘’l’autunno del Rinascimento’’, siccome segnala il tramonto di questa fase. Tasso ribadirà sempre la centralità della letteratura come momento etico e formativo dell’uomo, utilizzando però due metodi diversi nel corso della sua vita. Nella prima fase Tasso nasconde l’aspetto educativo dietro un velo di finzione che serva a educare attraverso il diletto, rendendolo così inclusivo nei confronti di un pubblico ampio. Nella seconda fase Tasso ricerca una poesia eloquente per essere direttamente espressione della verità filosofica, destinando le sue opere a un pubblico più ristretto. Nasce a Sorrento nel 1544. La sua vita risulta non facile fin dall’inizio, con la morte della madre e il continuo spostamento nelle varie corti per via delle scelte politiche considerate ribelli del padre. Questo fatto però gli diede modo di entrare in contatto con molti intellettuali, facendo presto il suo esordio con il poema cavalleresco Rinaldo (1562). Rinaldo appartiene alla tradizione cavalleresca ed è presente nei poemi di Boiardo e Ariosto. Furono diversi i testi riguardanti i personaggi dopo le vicende raccontate nei due poemi sopracitati, tuttavia, Tasso scrive una sorta di prequel, trattando la formazione dell’eroe, sia militarmente che sentimentalmente. Spiega in una lettera che intende creare un compromesso tra il modello moderno e le norme aristoteliche descritte nella Poetica (alla quale aggiunge il diletto). Decide quindi di seguire la storia di un solo personaggio e di limitare la voce del narratore, al contrario di Ariosto). Riprende però dalla tradizione cavalleresca il ritratto dell’eroe che deve temprare le sue virtù per essere degno dell’amata. Tra il 1562 e il 1564 Tasso si dedica ai Discorsi dell’arte poetica, definendo le regole del nuovo poema epico-cavalleresco e riflettendo sul mediare tra modello antico e modello moderno. Visto l’insuccesso del poema di Trissino, Italia liberata dai Gothi, che seguiva rigorosamente le regole aristoteliche, Tasso si affida a un uso consapevole della verosimiglianza e della ricerca del diletto, sia per avere successo che per avvicinare una maggiore platea (grazie al coinvolgimento emotivo) al percorso conoscitivo e etico. Il trattato è diviso in inventio (ricerca del soggetto), dispositio (organizzare la trama in modo drammatico) e elocutio (usare uno stile magnifico). Il principio dietro la scelta del soggetto è la verosimiglianza. Il soggetto deve essere un argomento storicamente vero ma abbastanza lontano nel tempo da poter aggiungere degli elementi di finzione. Inoltre, elimina gli elementi meravigliosi se distaccati dai principi della religione cristiana. Abbandona l’idea di raccontare di un solo eroe, creando un ‘’piccolo mondo’’, incentrato principalmente su una storia ma che comprende una serie articolata di altre storie necessarie a dare unità al racconto. Lo stile più adatto è quello magnifico, un linguaggio e stile epico, senza ironia, che utilizzi parole rare e preziose. Vengono stampate 13 delle sue rime prima in una raccolta di poeti toscani e poi 42 testi nelle Rime de gli Academici Eterei dei letterati sotto la guida di Scipione Gonzaga che sperimentano una lirica che si rifà ai modelli canonici ma anche superandoli tramite l’esempio dellacasiano, ovvero di liriche più gravi. Entrerà a far parte della corte ferrarese prima sotto Luigi d’Este e poi sotto Alfonso II. Aminta Per la corte scriverà la favola pastorale Aminta, che apre la strada al genere della tragicommedia. Pur riprendendo la tradizione recente, Tasso non ambienta la scena in un luogo impreciso, bensì sceglie un bosco non lontano dalla città di Ferrara. Narra la storia della ninfa Silvia, che cerca di proteggere la sua verginità, e il pastore Aminta, innamorato di Silvia. Personaggi complementari ai protagonisti sono Tirsi, consigliere del pastore (riflette Tasso), e Dafne, tutrice di Silvia. Il testo allude a personaggi della corte ferrarese. La favola si concentra sui protagonisti, evitando un intreccio di personaggi tipico della tradizione ferrarese. Riprende una storia delle Metamorfosi di Ovidio ma, invece del finale luttuoso, Aminta apprende della presunta morte di Silvia e si getta da una rupe, portando Silvia a contemplare il suicidio, tuttavia, Silvia apprende del mancato suicidio di Aminta che li porterà a riunirsi e a sposarsi. Quest’opera rappresenta la perfetta sintesi dei due generi, con la drammaticità della tragedia e il lieto fine della commedia. L’amore appare con contrapposizioni risolvibili. Nel primo canto viene citata l’età dell’oro che risulta un sogno illusorio deturpato dalla necessità di controllare le proprie passioni Gerusalemme Liberata La composizione del poema durerà per la maggior parte della sua vita. Inizia da giovane, intorno al 1560, a comporre la Gierusalemme, un abbozzo di 116 ottave che subirà diverse modifiche. Nel 1575 arriverà alla stesura di una prima forma stabile del poema, alla quale sottopone il giudizio della ‘’revisione romana’’, un gruppo di esperti capitanato da Scipione Gonzaga, per ricevere eventuali critiche. A causa delle numerose censure (su parti considerate potenzialmente immorali nel periodo della Controriforma), Tasso sarà costretto a eliminare parti del poema, come viene documentato nella cinquantina di lettere che invia ai revisori (Lettere poetiche), stampate poi nel 1587, nella quale Tasso inizia con il difendere le sue decisioni per poi cedere. Una volta recluso a Sant’Anna da Alfonso II, Tasso abbandonerà il progetto ma, nonostante ciò, alcuni pubblicarono, prima separatamente e poi insieme, il poema tra il 1580 e il 1584. Quando si ritrovò a scegliere il soggetto, l’autore era indeciso tra la materia carolingia e quella bizantina (prima crociata), le quali entrambe aderivano ai canoni da lui posti nei Discorsi. La non-originalità dei temi non lo preoccupava in quanto era il modo in cui li avrebbe trattati a fare la differenza. La scelta ricade sulla prima crociata, sicuramente per via delle incertezze religiose che attanagliavano l’umanità nel periodo contemporaneo allo scrittore. Inoltre, l’autore sarebbe riuscito a fondere il tema religioso con quello delle armi, tipico dei poemi cavallereschi. Tratta l’ultima fase della crociata, quando sono ormai alle porte della città, e l’effettiva conquista. La guerra si combatte su tre livelli: nell’animo di ogni uomo, tra l’esercito cristiano e quello dei musulmani, e infine tra Cielo e Inferno. Il capitano, Goffredo di Buglione, si ritrova quindi a dover guidare i suoi compagni con intelligente prudenza e risoluta forza militare a liberare Gerusalemme dai musulmani e a correggere le tentazioni e i cedimenti morali dei suoi compagni. riprende alcuni personaggi e topoi. Ogni dettaglio nella sua opera diventa necessario per l’intreccio narrativo. Una maledizione grava sull’Arcadia da quando Diana ha imposto che ogni anno una fanciulla le venisse sacrificata. La punizione potrà avere fine solo quando due giovani di stirpe divina si sposeranno. Per questo Montano, sacerdote discendente da Ercole, intende unire il figlio Silvio in matrimonio con Amarilli, che discende da Pan. Amarilli ama corrisposta Mirtillo, del quale si innamora a sua volta Corisca (incarna tutti i vizi di Arcadia, è il motore dell’azione), la quale tenta di ordire un piano per attrarre a sé il giovane. Silvio preferisce dedicarsi alla caccia e disinteressandosi di Dorinda. Gli inganni di Corisca falliscono, mentre Amarilli e Mirtillo vengono sorpresi in una grotta, e lei è condannata a morte. Si scopre che Mirtillo è figlio di Montano, e così, sposando Amarilli, libera l'Arcadia dalla maledizione, mentre anche Silvio si converte all'amore unendosi con Dorinda in matrimonio. Guarini premia sempre l’amore, la fedeltà verso un unico amante, e l’onore. I vari avvenimenti possono essere letti anche in chiave biblico-religiosa. Guarini verrà criticato per aver mischiato i generi della tragedia e della commedia, alla quale risponderà cercando di legittimare il genere. Per colpa di liti con Alfonso II, a Guarini si chiudono le porte di diverse corti. In questo periodo scriverà le Lettere, che trattano il disincanto con la quale vede la vita di corte. Scriverà un trattato sulla superiorità della tirannide nel garantire la libertà del popolo e le sue rime verranno raccolte, suddivise per genere e tema. Viene rappresentata poi anche l’Idropica (due coppie sfasate dominate e risolte dal caso), una commedia che scrisse anni prima nel tentativo di ridare dignità al genere. Nonostante il non successo verrà stampato in due edizioni diverse, la seconda curata dall’Accademia degli Umoristi, della quale molti poeti esponenti del Barocco fanno parte. Giordano Bruno Nasce nel 1548 in una famiglia umile, motivo per il quale farà parte degli ordini domenicani (San Domenico Maggiore Napoli). Verrà messo sotto inchiesta e darà inizio alla sua peregrinatio europea. Tra le varie città soggiorna anche a Parigi, dove compone il Candelaio, commedia nella quale si prende gioco delle derive inconcludenti della cultura contemporanea (Bonifacio, petrarchista, Bartolomeo, alchimista, e Manfurio, pedante). Viene considerato positivamente Gioan Bernardo, il quale utilizza una lingua che descrive in modo non pretenzioso la realtà in modo concreto. A Londra compone diversi dialoghi in latino, tra cui il più celebre De la causa, principio et uno. In questo testo spiega la sua testi, secondo la quale la materia è la fonte generativa della vita e che l’uomo, finito, deve confrontarsi con l’universo infinito. L’uomo può arrivare a intravedere l’infinito tramite la memoria e la fantasia. La fantasia prende e ricompone in modo diverso le immagini della memoria ottenute tramite la conoscenza sensibile. Si ha inoltre un nesso tra immagine e parola. Il filosofo può inoltre creare dei neologismi per esprimere un’immagine. In De gli eroici furori, Giordano Bruno delinea un’altra via verso la verità: l’eroico furore, ovvero la forza di volontà che unità alla fantasia ti spingono oltre i suoi limiti. Il dialogo è composto come un commento a una galleria di immagini perché le immagini aumentano le potenzialità della scrittura. Per esprimere la natura infinta bisogna prendere le distanze dalle categorie tradizionali della poetica e utilizzare poetiche differenti, allontanandosi dalle regole prestabilite. È antipetrarchista perché lodare la donna non porta all’innalzamento dell’uomo e allo stesso tempo a favore perché apprezza il poetare petrarchesco. Dopo altri viaggi verrà invitato a Venezia dove verrà denunciato all’Inquisizione e arso sul rogo sette anni dopo (1600) in Campo de’ Fiori. Tommaso Campanella Gian Domenico Campanella, nato a Stilo (Calabria) nel 1568, prese il nome di Tommaso. Entrò nell’ordine dei domenicani. A causa della sua partecipazione ad una congiura, che mirava a rovesciare la dominazione spagnola sul regno di Napoli, fu condannato a morte. Si finse però pazzo. Ottenne così la commutazione della pena nel carcere a vita. Liberato dopo ben ventisette anni, rimase per un certo tempo a Roma, dove prese le difese di Galilei. Nuovamente sospettato di congiure antispagnole, fuggì in Francia, dove fu ospite del re Luigi XIII e del cardinale Richelieu. Lì morì nel 1639. Scrisse Del senso delle cose e della magia, dove Campanella concepisce l’intera realtà come pervasa di sensibilità. Tutte le cose sono dotate di senso, quindi di vita e di anima. L’uomo si differenzia dagli altri esseri perché possiede una sensibilità più complessa. Come ogni altra realtà, è dotato anzitutto del senso di sé, cioè della percezione del proprio essere. Crede nella magia naturale perché capace di alterare la sensibilità dell’uomo. Ne La città del sole, Campanella da vita a un’utopia dove c’è la comunione dei beni, per evitare l’egoismo. In una società razionalmente organizzata si può ristabilire l’equilibrio tra società e natura. Per lui il poeta fa da tramite tra l’Amore, la Potenza e la Sapienza. Le parole devono essere lo specchio delle cose e per questo motivo il poeta può usare anche neologismi e dialetti per esprimere al meglio le immagini. Nel suo canzoniere parla anche di come gli uomini indossino una maschera che copre la loro interiorità, e che solamente nel giudizio universale le maschere cadranno, fino a quel punto nel mondo regnerà l’ingiustizia. Giovan Battista Marino Nasce nel 1569 e studia il diritto per volere del padre. Il suo esordio letterario avviene con Canzone dei baci, che rappresenta la novità nei concetti e nel linguaggio che caratterizza la prima stagione di Marino. Si sposta poi a Roma, dove sarà sotto la protezione delle più importanti famiglie. Vengono pubblicate le sue Rime nel 1602 e ottiene straordinario successo. Il modello è tassiano, ovvero ci sono più argomenti per canzoniere. Voleva inoltre scrivere un poema epico chiamato Gerusalemme distrutta, per fare concorrenza a Tasso, che avrebbe raccontato della distruzione della città da parte di Tito nel 70 d.C. ma rimarrà inconcluso. Cerca di entrare nella corte dei Savoia scrivendo due testi encomiastici in onore dei matrimoni delle due figlie di Carlo Emanuele di Savoia e scrive poi il Ritratto del serenissimo Don Carlo Emanuello, rivolgendosi direttamente al duca. Scrive poi dei testi parodici contro Murtola, il poeta di corte. Murtola tenterà di ucciderlo ma viene arrestato, lasciandogli la posizione. L’Inquisizione lo vuole arrestare per aver composto poesie oscene. La protezione dei Savoia lo aiuterà anche se scriverà dei testi contro la casata che lo faranno finire in prigione per un anno. Nel 1614 pubblica le Lire, sempre divise per argomenti ma con metafore più marcate. Scrive in seguito le Dicerie sacre che mischiano la materia sacra con una tecnica inaudita, prodotto del suo virtuosismo. Degli esempi sono la Pittura, Dio come un pittore che lascia i segni sulla sindone, La Musica, le parole di Cristo in Croce, e Il Cielo, materia celeste come prodotto della Creazione. Si trattano di un tentativo di mostrare la sua conoscenza della materia sacra e di evitare l’Inquisizione. Al papa non piacquero e lui dovette andare nella corte francese. Loderà la regina Maria de’ Medici ne Il Tempio e le nozze del figlio ne La Francia consolata. Pubblica poi la raccolta La Galeria, testi poetici dedicati a varie opere d’arte. Sono divise in Pitture e Sculture. Vuole gareggiare con le opere figurative con la parola poetica. La seconda raccolta che pubblica si intitola Sampogna, composta da 12 idilli composti in stagioni diverse. Si tratta di materia mitologica, talvolta con tratti pastorali. Da sfoggio delle sue capacità mostrando giochi di rime e metriche diverse. Adone Ci lavora per trent’anni ed esce nel 1623. Parte con essere un poemetto fatto in tre libri, rispettivamente per innamoramento, amori e morte, e finisce per essere allargato. Utilizza la materia mitologica al posto di quella storica, tipica del poema epico. Nonostante il mito di Adone nelle Metamorfosi di Ovidio si solo pochi versi, il poema di Marino diventa il poema più lungo della letteratura italiana (20 canti, 5 mila ottave, 40mila versi). Si distacca dalla guerra e dal sangue creando un poema di pace. Adone è un antieroe dai tratti femminei e astratto, spesso passivo all’azione della narrazione. Marino tratta i piaceri della passione amorosa. L’opera non ha una narrazione compatta perché tratta anche di vicende secondarie. Marino rifiutando molte tradizioni diventa l’emblema del Barocco. Alcune parti del testo risultano ambigue in quanto suggeriscono riferimenti biblici. Marino torna in Italia nel 1623, sperando che con l’elezione di Urbano VIII, papa letterato, le difficoltà con la Chiesa fossero superate. Tuttavia, gli venne proibito di stampare l’Adone in Italia e dovette subire una condanna e quindi una pubblica abiura. Scapperà a Napoli e comporrà un poema sacro dedicato alla Strage de gl’Innocenti, che però non riuscirà a finire e quindi pubblicare. Dopo la sua morte nel 1625 l’Adone venne messo nell’indice dei libri proibiti. La poesia Barocca tra classicismo e sperimentalismo Gabriello Chiabrera Nato nel 1552. Fa il suo esordio nel genere epico con il poema Guerre de’ Goti nel 1582. In seguito, Chiabrera celebrerà sia i Medici che i Savoia. Diventa famoso però per le sue liriche che riprendono la tradizione classica ma sperimentano nei metri e nei ritmi. La raccolta Maniere di versi toscani esprime le sue abilità poetiche tramite soluzioni metriche diverse. Nella raccolta Scherzi riprende la poesia francese del Rinascimento, abbandonando l’interiorità della poesia petrarchesca e prestando attenzione piuttosto al ritmo e alla fonetica. Scriverà per il papa le Canzonette, di materia religiosa. Infine, scrive un’autobiografia. Questo movimento di sperimentazione trova supporto anche in alcune Accademie per esempio l’Accademia dei Gelati a Bologna (Es. Preti, usa metafore e insiste sulla cromatica del paesaggio). Si ricerca inoltre il concetto, qualcosa che sorprenda e meravigli il lettore. Un esempio è Achillini che nelle sue Rime nel 1632 omaggia il re di Francia racchiudendo nel concetto finale l’encomio. L’Accademia degli Oziosi a Napoli, influenzata da Tasso e Marino, da vita a una produzione di materia sacra mettendo il lettore davanti alla precarietà della dimensione umana difronte alla dannazione eterna. Sarà però l’Accademia degli Umoristi a diventare il luogo formativo per il nuovo gusto poetico. Alessandro Tassoni farà parte dell’accademia e sarà molto critico nei confronti di Petrarca e della tradizione letteraria. Si dice quindi fiducioso dei moderni nel libro Paragone degli ingegni antichi e moderni della raccolta dei Pensieri (1620). Forma il genere eroicomico grazie al poema in ottave di dodici canti chiamato Secchia rapita (1622). Riprende l’Iliade ma sostituisce l’altezza dell’epica con la materia umile. La storia si incentra sul conflitto tra modenesi e bolognesi nel Trecento, senza stare toppo attento alla correttezza storica. Si tratta quindi di una parodia del genere epico, quasi a sancirne il tramonto nella letteratura italiana. Questo genere avrà larga diffusione: Lo scherno degli dei di Francesco Bracciolini, Eneide travestita e la Moscheide di Giovan Battista Lalli. Maffeo Barberini nasce nel 1568. Scrive odi in latino, contribuisce a scrivere poemi sacri e soprattutto scrive un discorso di condanna alla letteratura mitologica perché spesso lasciva e immorale. Dopo l’elezione a pontefice del 1623, l’opposizione a Marino da parte sua e del suo circolo di letterati, i quali vogliono il ritorno a un classicismo regolato, diventa evidente. Fulvio Testi è un esempio di letterato che esordì con delle poesie in stile Marino e poi si spostò su un registro più aulico e morale, senza originalità. A metà secolo questa corrente perde forza, rimanendo un’esperienza lontana dalla stravaganza barocca che tornerà a pieni titoli verso la fine del secolo. Ciro di Piers, nato nel 1599, si forma sui testi di Testi e Preti, scrivendo poesie che verranno pubblicate solo postume a indicare la distanza dalla scena letteraria del tempo. Utilizza le metafore per impartire considerazioni di ordine morale, tipo la sua celebre poesia sugli orologi, a indicare la fugacità del tempo e la transitorietà della dimensione umana. Altro esempio del periodo è Giacomo Lubrano che offre un’esperienza lirica di matrice religiosa, facendo una sintesi della predicazione e della ricerca lirica. In questo caso ogni fenomeno viene amplificato e stravolto al fine di colpire il lettore. Delle opere che aiutano a identificare il periodo sono: il Ritratto del sonetto e della canzone (Mennini), il quale ripercorre la tradizione della lirica soffermandosi sul Barocco del Marino, e Cannocchiale aristotelico (Tesauro), che come in costante cambiamento e a una concezione dinamica degli uomini, al contrario della visione statica, immutabile e inalterabile-perfetta della Chiesa. Grazie ai vari personaggi i fenomeni descritti vengono visti prima dalla prospettiva tolemaica e poi da quella copernicana. Il personaggio che rappresenta la tesi tolemaica è però spessi bersaglio di ironia e rappresenta un prototipo di dogmatismo e presunzione. Nel corso dell’opera il suo atteggiamento si fa più aperto e pronto a dichiarare la sua ignoranza riguardo a certi argomenti. Galileo utilizza l’ipotassi facendo capire comunque i propri argomenti al lettore, anche non esperto, con grande lucidità. Dopo la stampa del Discorso, Urbano VIII si scaglia contro l’opera e l’autore organizzando una commissione di inchiesta. Galileo è sorpreso dalla reazione ottenuta, dichiarandosi più volte innocente. Il processo dura qualche mese e la condanna arriva il 22 giugno 1633. Galileo è costretto all’abiura pubblica dei suoi scritti e a riconoscere il suo errore nel sostenere la tesi copernicana. Il periodo di pontificato illuminato e di un rapporto tra fede e scienza si conclude. Galileo sarà forzato a vivere isolato in una villa di Arcetri e potrà mantenere contatti solo tramite lettere. Muore nel 1642. La narrazione nel Seicento La prosa esprime al meglio le nuove esigenze del pubblico, allargato grazie all’incremento del commercio librario, e il cambiamento del presente. La produzione del romanzo in Italia è maggiore tra il 1625 e il 1675, riportano vari temi, spesso ereditati dalla tradizione cavalleresca, la miscela di generi e hanno un pubblico non solo di letterati. Giovanni Ambrosio Marini scrive il Callandro fedele con al centro della vicenda Callandro, principe di Costantinopoli, e il suo amore per Leonida. Girolamo Brusoni scrive una trilogia su un don Giovanni, Glisomiro, e la società vuota e decadente veneziana. Francesco Frugoni scrive un romanzo su una nobildonna genovese, Heroina intrepida, e un romanzo dal punto di vista di un cane, Saetta, che morde i vizi degli uomini, chiamato il cane di Diogene. La novella subisce uno sviluppo parallelo a quello del romanzo. Verranno pubblicate delle raccolte di novelle scritte da più persone appartenenti all’accademia degli Ignoti (cento novelle amorose). A Genova viene pubblicata Le instabilità dell’ingegno di Sale che seguono la trama del Decameron. Letteratura in dialetto Giulio Cesare Croce nasce in una famiglia umile e fa il cantastorie nelle piazze e nelle corti e il venditore di libri. Scrive diverse operette in versi e in prosa, principalmente di carattere burlesco nella dimensione cavalleresca. Tratta delle classi più umili e della quotidianità. Giulio Cesare Cortese risulta il primo esponente di una produzione in napoletano. Gira in molte corti e considera il dialetto una vera lingua letteraria. Scrive il Vaiasseide, ovvero poema delle serve, dove parla della vita della plebe e di come alcune serve vogliano ribellarsi alla loro condizione. Scrive anche il Viaggio di Parnaso dove l’autore viaggia fino al regno di Apollo e rivendica la poesia originale in dialetto. Giovan Battista Basile nasce nel 1572. Dopo aver viaggiato molto torna a Napoli a ricoprire alcuni ruoli governativi. Inizia a scrivere in toscano secondo le esigenze cortigiane. Diventa filologo e linguista e aiuta nelle edizioni delle Rime di Bembo e Della Casa. Scrive in napoletano l’opera le Muse napoletane, nove egloghe per ciascuna musa. La sua opera più famosa è Lo cunto de lì cunti, una faccolta di cinquanta fiabe dette da 10 vecchiette in dieci giorni. Nonostante sia un testo complesso la forma della novella e del dialetto (denso di riferimenti alla tradizione popolare) lo rendono facilmente leggibile. Una delle fiabe più celebri è la prima redazione della famosa storia di Cenerentola. Qui Zezolla spinge il padre principe a sposare la maestra di cucito, che preferisce le sue figlie a Zezolla, tanto che rimarrà relegata in cucina. Durante un viaggio in Sardegna Zezolla chiede al padre di farsi dare qualcosa dalla farfalla delle fate, dalla quale riceve un dattero, una zappa, un secchiello d’oro e un asciugamano (il primo da piantare e il resto per curare la pianta). Venne vestita dalla pianta e poté andare alla festa. Il re si invaghi di lei. La ragazza perse la scarpetta, il re organizzò un banchetto per ritrovarla e diventò la regina.
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