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ermetismo: giuseppe ungaretti, eugenio montale, salvatore quasimodo, umberto saba, Sintesi del corso di Italiano

ermetismo e simbolismo europeo. Degli autori troverete la vita, formazione letteraria, poetica e stile e itinerario delle opere, + analisi di brani giuseppe ungaretti: analisi di il porto sepolto, mattina, soldati, allegria di naufragi; eugenio montale: analisi non recidere forbice quel volto, ho sceso dandoti il braccio, forse un mattino andando, cigola la carrucola del pozzo, mareggiare pallido e assorto. salvatore quasimodo: ed è subito sera umberto saba: la poetica dell'onestà

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 29/11/2021

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Scarica ermetismo: giuseppe ungaretti, eugenio montale, salvatore quasimodo, umberto saba e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! ERMETISMO L'ermetismo è la principale fra le correnti liriche del Novecento italiano. Il termine ermetico fu coniato nel 1936 dal critico Francesco Flora, a indicare una forma di poesia oscura, difficile e con un valore negativo. Oggi invece ha una accezione completamente diversa. Alle origini dell'’ermetismo abbiamo le raccolte in versi di Ungaretti e di Montale. Da questi modelli, i maggiori poeti ermetici impararono a liberare il linguaggio poetico da ogni residuo di oratorio di eloquenza creando una poesia moderna sia nelle forme sia nei contenuti. Per quanto riguarda le forme, egli aspiravano ad una “poesia della parola”, la parola “pura e nuda”, con cui evocare gli oggetti poetici. Si tratta di eventi naturali, cose comuni, che i poeti però trasfigurano in modo visionario diventando così dei simboli. Di essi è molto difficile decifrarne il significato ma proprio l'ambiguità è una caratteristica della poesia ermetica. Per quanto riguarda i contenuti, gli ermetici danno vita a un viaggio nell’interiorità. Il loro canto si muove quasi sempre da uno spunto personale, spesso autobiografico. Questa sincerità si sposa infatti con una viva tensione a esprimere l'ansia di assoluto, anche in chiave religiosa. Questa tensione però non si sciolgono mai in una conquista definitiva: il poeta è il solitario testimone di un mondo sofferente. Alle spalle di questi temi vi è la cultura filosofica dell’ e<.sten71a/1mo che sottolinea il mistero dell’esistenza umana, nel suo incomprensibile esserci qui e ora. L'ermetismo si sviluppa negli anni 30 del Novecento a Firenze. Lì viveva all'epoca Montale, che aveva già pubblicato il suo libro d'esordio, ossi di seppia, ed era il punto di riferimento dei poeti attivi in città. A Firenze dimorò per breve tempo anche il siciliano Salvatore Quasimodo: fu lui a inaugurare l’ermetismo, pubblicando nel 1930 sulla rivista Solaria le liriche di acqua e terre. Al 1932 risale la prima raccolta di Alfonso Gatto, isola, mentre di poco posteriore è la barca di Mario Luzi. Uno spazio importante per l'elaborazione della poetica ermetica fu offerto da alcune riviste degli anni 30, come il frontespizio, Campo di Marte e letteratura. Carlo Bo e il manifesto dell'ermetismo Alcuni critici partecipano alle ricerche poetiche in corso. Carlo Bo, nel saggio letteratura come vita e considerato il manifesto dell'ermetismo, parlò di letteratura come di un impegno totale. La poesia canta il bisogno di verità che accompagna l'uomo, pur se in una dimensione di mistero. Per questa via di versi ermetici si avvicinarono ad una dimensione religiosa. IL SIMBOLISMO EUROPEO L' ermetismo, Montale e più in generale la linea novecentista vanno collegati alla stagione europea del simbolismo e della poesia pura. Le voci più note nel panorama europeo sono: ® Francia:Paul Valery e Guillame Apollinaire; ® UK:Thomas Stearns Eliot e Ezra Pound; ® Spagna: Antonio Machado e Federico Garcìa Lorca. Dunque, si configura una nuova tradizione per la lirica, un nuovo modo di concepire di fare poesia: la tradizione della modernità. LA RIVOLUZIONE RISPETTO ALLA LIRICA TRADIZIONALE Sino quasi alla fine dell'Ottocento, la poesia appariva chiaramente finalizzata al miglioramento civile, morale, religioso del pubblico. Consideriamo i componimenti di Leopardi: sono certo innovativi rispetto alla tradizione petrarchesca, ma benché diano più spazio al limpido del sentimento, si fondano comunque sono impianto sintattico rigoroso. Nel 900 tutto ciò viene meno. La poesia tende a utilizzare una sintassi quasi indipendente dalle esigenze del pubblico, non si pone più al servizio di un pensiero né è più finalizzato a comunicare contenuti razionali. Il poeta finisce così per isolarsi dalla società, ben più di quanto non fosse isolato Leopardi. Finisce per rinunciare a un linguaggio comune per crearsi un linguaggio nuovo, una lingua speciale. Il critico Luciano Anceschi ha riassunto tale passaggio: * la poesiatradizionale si fondava sull’eteronomia del fatto poetico, era cioè finalizzata ad altro, cioè al mondo e alla società; * nel 900si impone invece l'autonomia del fatto poetico, ovvero la poesia è finalizzata a sé stessa rinunciando a trasmettere ideali e valori. Le eccezioni Vi sono delle eccezioni tuttavia: In Italia abbiamo quasi solo Saba con il suo canzoniere. Egli riprende le forme tradizionali, come il verso endecasillabo, il sonetto e si avvale di un linguaggio semplice e quotidiano, in nome di una ricerca di facilità, chiarezza e comunicatività. La creazione della lingua simbolica AI di là di Saba e dei poeti che a lui si rifanno, la poesia del 900 rifiuta la lingua della tribù e se ne costruisce ià in Pascoli e poi in Ungaretti. In esso la forma coincide con il significato come accadeva già in Alcyone di D'Annunzio. Soltanto dopo il 1945 in Italia comincerà prevalere una tendenza diversa con il neorealismo. L'autonomia del sistema politico novecentesco costituisce un'importante conferma che il ruolo dell'intellettuale diviene oggetto di un profondo ripensamento e spostamento. Il poeta deve rinunciare al proprio privilegio poiché nella società di massa al poeta non tocca più il ruolo di guida riconosciute dall'opinione pubblica ma di coscienza critica, spesso nascosta e solitaria. Infatti, il poeta è consapevole che i partiti li hanno soppiantati. Da Rimbaud in una propria: una lingua di simboli e analogie, come avveniva la gente non li ascolta più perché altre voci come i giornali, poi, il poeta si separa dalla massa: egli è anzitutto e solo poeta; segue una propria logica e una propria verità, che non sono più la logica e la verità degli altri. GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970) La vita Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi. Il padre, tuttavia, muore due anni dopo ma la madre riesce a condurre con successo il panificio di famiglia permettendo al ragazzo di studiare. Egli si accosta alla poesia francese contemporanea leggendo compassione Mallarmé, Baudelaire e Nietzsche. Terminati gli studi, Ungaretti frequenta con entusiasmo nei circoli culturali della città e approfondisce la conoscenza del decadentismo. Sin dal 1908, anno di Fondazione della rivista voce, entra in contatto con il direttore, Giuseppe Prezzolini. Nel 1912 lascia l'Egitto sostando in Italia. A Firenze incontra di persona Prezzolini ma la sua meta è Parigi, dove intende completare la propria cultura iscrivendosi all'università della sorbona. A Parigi conosce gli scrittori d'avanguardia come Guillame Apollinaire e Max Jacob, pittori come Braque e Picasso, oltre alla schiera di artisti italiani residenti nella capitale francese. Guerra e dopoguerra Ungaretti è un fervente patriota e nel 1914 torna in Italia per partecipare alla propaganda interventista. A Milano scrive le sue prime poesie pubblicate sulla rivista futurista Lacerba. All'entrata in guerra dell'Italia viene richiamato alle armi ed è inviato al fronte e questa drammatica esperienza sarà presente nella * non intende rinnegare il proprio primo stile, così nuovo e piena di futuro; Intende solo renderlo più maturo e più pieno. Anche l'analogia è conservata ma tende a farsi più sottile, più scura e difficile da capire perché carica di simboli. Ungaretti e l'ermetismo Se i critici lo definirono all'inizio come un poeta ermetico oggi però vediamo che tale formula non è del tutto adeguata a definire Ungaretti, come anche il secondo Montale. Tuttavia, è vero che gli ermetici E Ungaretti condividono non pochi elementi: ® lacomune derivazione dal simbolismo francese; e ilgusto per il frammento, per la costruzione poetica spezzata e isolata; ® l'indagine sui temi più profondi dell’esistenza umana. L'ITINERARIO DELLE OPERE L'ALLEGRIA Ungaretti esordì con le poesie composte durante il primo anno di guerra e pubblicate nel 1916 con il titolo il porto sepolto. Le successive vennero scritte dal 1916 al 1919 e edite con il titolo allegria di naufragi. Dall’una e dall'altra raccolta nacque l'allegria: essa recava in sé la rivoluzione formale più importante che la poesia italiana abbia mai conosciuto nel 900. Una simile novità nasceva dall' urgenza di esprimere le emozioni i sentimenti generati nell’autore dall’orrore della guerra. Il nucleo più importante dell'allegria verte sull'esperienza della trincea: un luogo sempre a contatto con il desiderio di vita dei combattenti e con l'inevitabile esperienza della morte. ll bene della vita può essere perduto da un momento all'altro ed è per questo che si apprezzano maggiormente alle cose che contano davvero. Vediamo che quindi allegria di naufragi è un ossimoro. | due termini vogliono significare lo stato d'animo del naufrago, il quale è miracolosamente sfuggito alla morte e vuole dunque tornare a vivere nonostante tutto. Secondo il poeta quindi, la vita non è che una serie di naufragi; tuttavia, non ci si deve abbattere ma bisogna riprendere subito vigore, ripartendo senza indugi e offrendosi di nuovo alla speranza. Il naufragio perde in tal modo ogni connotazione tragica per diventare il traguardo di una liberazione finale. SENTIMENTO DEL TEMPO Quest'opera inaugura la stagione del secondo Ungaretti. Adesso la voce lirica si fa meno concentrata, la sintassi ritorna in parte al discorso poetico strutturato mentre la metrica ripristina i versi della tradizione e la costruzione per strofe. Il poeta ora insegue una musicalità più fluente, sulla scia dei grandi autori del passato come Petrarca e Leopardi. Tuttavia, questo libro poggia su basi assai moderne. L'autore continua a concepire la poesia come rivelazione di una verità che giace nel profondo dell'io. In quest'opera egli evoca vari momenti del giorno dell'anno (notte di Marzo; oh notte; Ultimo quarto), oppure momenti della sua esistenza con un atteggiamento mai descrittivo ma che tende alla rivelazione dell’essenza della vita umana. Concentrandosi sul tempo umano, il poeta avverte l'ansia, il bisogno di trovare valori eterni che superano il breve spazio di ciò che passa. Dunque, il sentimento del tempo e la percezione della fragilità di ogni bene e affetto, che nella morte inevitabilmente si consumano; Egli desidera restituire valore e significato al passato, così da conferire continuità alla vita. Qui giacciono le radici religiose di Ungaretti. Egli aspira a un'innocenza che l'uomo moderno ha perduto e che solo Dio può restituirci. Nascono così alcune liriche che sembrano veri e propri inni sacri mentre altre hanno soggetto mitologico, a sottolineare il tempo più remoto in cui l'umanità era innocente. Le ultime raccolte L'ultima stagione poetica di Ungaretti si estende per oltre un ventennio e si sviluppa intorno a due tematiche prevalenti: ® la prima, espressa nella raccolta il dolore è quella della sofferenza legata sia agli eventi drammatici vissuti dal poeta sia a quelli che colpiscono l'intera collettività. * La seconda tematica è quella dell’esilio e del desiderato ritorno a una vita più pura e piena. Il motivo ispira in particolare la terra promessa il cui protagonista è Enea, un eroe antico, in viaggio verso la terra che gli è stata promessa punto il tema allude al ritorno di Ungaretti stesso alle sue origini e canta l'aspirazione a un mondo perfetto, un mondo perduto di cui portiamo alla grazia dentro di noi. Dopo il dolore, Ungaretti ha scritto poco ma i temi più ricorrenti sono lo scorrere del tempo, l'amore, l'incalzare della memoria, il pensiero della morte. Lo stato d'animo prevalente è un riflessivo distacco dalla vita come un vecchio poeta saggio che osserva e giudica il magma confuso di eventi. || vecchio Ungaretti avverte con struggente partecipazione l'inesorabile deteriorarsi delle cose, ingoiate dalla morte ma la fede religiosa gli consente di guardare oltre scorgendo la misericordia di Dio Sul piano stilistico, il poeta prosegue fra modernità e tradizione le forme del passato attraverso l'uso ormai stabile di endecasillabi e settenari. Ancora però si interessa alle analogie, orchestrate in partiture sonore. L’ALLEGRIA Il punto di partenza: il porto sepolto Il primo nucleo del libro d'esordio di Ungaretti è il porto sepolto che comprendeva 32 liriche scritte tutte dal poeta soldato sul fronte del Carso. Fu poi stampato nel 1916 a Udine in 80 copie, grazie all' interessamento del letterato Ettore Serra che lo conobbe sul fronte del Carso. La tappa intermedia: Allegria di naufragi Nel 1919 il libretto venne ristampato dall'editore Vallecchi di Firenze come parte di una più ampia raccolta, intitolata allegria di naufragi. Quel nuovo titolo intendeva sottolineare la qualità contraddittoria sia dell'esperienza di guerra sia della condizione umana. I due termini, allegria e naufragi, figurano in sintesi anche lo sviluppo tematico del libro: dal disastro delle distruzioni belliche, dal naufragio dell'umanità in una spirale di cieca violenza, si passa a leggere di ricominciare, all'allegria di provare più intensi il gusto il valore della vita. Il punto d'arrivo: L'allegria Ungaretti approdò infine una terza versione dell’opera pubblicato a Milano nel 1931: il titolo definitivo è l'allegria. La raccolta avrebbe ricevuto ulteriori modifiche da parte del poeta fino all'edizione del 1969. Si presenta strutturato in 5 gruppi: ultime, il porto sepolto, naufragi, girovago, prime. Il titolo della prima sezione, ultime, si giustifica per il fatto che l'autore vi raccolse le sue poesie giovanili, invece sotto il titolo prime vengono raggruppati componimenti scritti nel 1919 e che preannunciano la successiva evoluzione di sentimento del tempo. La zona centrale del libro è composta dalle tre sezioni che costituiscono una sorta di diario del poeta soldato. La serie il porto sepolto risale quasi tutta al 1916, naufragi e girovago ai due anni successivi fino al 1918 anche se i temi sono gli stessi del porto sepolto. Il titolo nauttagi allude anche alla disfatta itallana di caporetto (1917) nella quale naufragò l'intero esercito italiano, mentre il titolo girovago segna l'andirivieni del fante Ungaretti, insieme al suo reggimento, dall' uno all'altro dei fronti di guerra. IL PORTO SEPOLTO Questa breve poesia porta il titolo della prima e omonima raccolta di Ungaretti, pubblicata a Udine nel 1916. Il titolo del componimento è fondamentale per comprendere il senso della poetica ungarettiana: il porto è infatti simbolo del viaggio introspettivo del poeta alla ricerca del mistero dell’essere umano Il “porto sepolto” di Ungaretti è quindi un'immagine carica di simbolismo. Il poeta viaggia attraverso il suo porto sepolto, e vi si immerge; esce di nuovo la luce con i propri versi; e li dona al mondo, disperdendoli. La poesia e l'attività del poeta sono il compimento dell'illuminazione iniziale che ha permesso la scoperta del mistero stesso. La prima strofa si riassume in tre momenti, che esprimono il senso stesso del far poesia secondo Ungaretti. La poesia è: * viaggio: è immersione nel mio profondo, un inabissamento verso le radici nascoste, alle quali la poesia attinge i propri canti; *. ritorno: la poesia e poi risalita alla luce, all'esperienza del mondo e della vita vissuta fra gli altri; *. dispersione: infine, i canti si disperdono nell’attimo in cui si comunicano al mondo: il messaggio della poesia è fragile, affidato alle cure dei lettori. La seconda strofa, dopo il dinamismo della prima, sembra arrestarsi a ciò che il poeta giudica il contenuto più prezioso della precedente avventura: quel nulla / d’inesauribile segreto. È un'immagine ardita e intraducibile: e da una parte vi è il vuoto, il nulla, appunto; * dall'altra, un segreto inestimabile e inesauribile. Tale segreto coincide con la vita profonda dell'io, con la sua memoria personale su cui il giovane Ungaretti riflette e si interroga mentre è nelle trincee della Prima Guerra Mondiale; ma riguarda anche un orizzonte più largo, il mondo delle origini, che allude ad un porto di età tolemaica nella città di Alessandria, che colpisce la fantasia del poeta. Dal punto di vista metrico la lirica è composta da versi liberi e molti brevi, inframmezzati da pause frequenti. Molto significativa e in questa lirica l'assenza totale della punteggiatura: la lingua nuova della poesia novecentesca sei libera dalle regole delle linguaggio tradizionale; il discorso che un tempo era affidato alla sintassi e la punteggiatura e ora comunicato attraverso il silenzio degli spazi bianchi. La protagonista assoluta è la parola “nuda”. MATTINA Mattina è un componimento di Giuseppe Ungaretti, uscito all’interno di Allegria di naufragi del 1919 e poi confluito, insieme ai componimenti di Porto sepolto (1916), nella raccolta L'allegria (1931). Il messaggio che la lirica vuole comunicare è la fusione di due elementi contrapposti: Per quanto riguarda il lessico, ora si fa più letterario ed elevato, divenendo però più simbolico e spesso oscuro. Sfumando i riferimenti alla realtà concreta, storica, si impongono le allusioni, l’evocazione di che è irraggiungibile. La tecnica dell’analogia diviene ora dominante. SERA Appiè dei passi della sera Va un'acqua chiara Colore dell'uliva, E giunge al breve fuoco smemorato. Nel fumo ora odo grilli e rane, Dove tenere tremano erbe. AI calar della sera l'acqua scorre limpida di un colore verde oliva E arriva sino ai vecchi ricordi. Ora ricordo il verso dei grilli e delle rane, e l'erba smossa dal vento Metrica: 6 versi liberi. C'è una punteggiatura, versi settenari e un endecasillabo. Questa poesia è polivalente e polisemica, possiamo leggerla anche dal punto di vista dell’analogia. C'è un uso forzato delle metafore e ossimoro > BAROCCO. Qui si parla di una poetica della lontananza rifacendosi ai miti classici e all'antichità romana. Personificazione della sera, come un qualcosa di divino poiché in questa raccolta è impregnata della sua fede. ®* Questasera gli dà tranquillità e pace, scritta nel 1929, una sera che arriva dopo un periodo travagliato. In questo periodo siamo in piena dittatura e Ungaretti aderisce al fascismo. Di questa poesia si possono ottenere diverse interpretazioni ed è questo il risultato che Ungaretti avrebbe voluto: lasciare che sia la sensibilità del lettore e non un processo logico (mediante un ragionamento) a trarne le conclusioni. Per capirla bisognerebbe lasciarsi abbandonare al fluire delle sensazioni e delle immagini presenti nel testo. Proviamo a dare una nostra spiegazione analizzando verso per verso. Appiè dei passi della sera = potrebbe fare riferimento all'imbrunire, quando il cielo diventa scuro dopo il tramonto oppure ai passi della sera personificata come una donna dalle sembianze divine che avanza passo dopo passo, verso il poeta. Va un'acqua chiara = "acqua chiara" è un binomio ripreso da "Chiare, fresche et dolci acque" di Francesco Petrarca. Colore dell'uliva = è una tonalità di verde (olivastro) che può essere interpretato come il cielo limpido che tende a scurirsi e si riflette sulla corrente d'acqua oppure a una figura femminile in abito da sera appunto di questo colore. E giunge al breve fuoco smemorato = significa che la luce dell'acqua si va mescolandosi con quella del tramonto; il fuoco smemorato è da intendere come un ricordo che si acceso. Nel fumo ora odo grilli e rane = potrebbe essere la nebbia che sale verso sera sui corsi d'acqua, ma probabilmente si tratta del fatto che la memoria di Ungaretti è ancora appannata e, quindi, coperta dal fumo. Seppure esso non gli permette di vedere bene, attraverso l'udito riesce a sentire (o meglio ricordare) i suoni della natura, in questo caso i versi dei grilli e delle rane. Dove tenere tremano erbe = questa è un’altra cosa che Ungaretti riesce a ricordare. Il poeta non vede nemmeno l'erba che trema, cioè smossa dal vento, egli si accorge di questa presenza sentendo l'impercettibile vibrazione dei fili di erba. Figure retoriche ® Allitterazione della p = "appiè, passi" (v. 1). ® Allitterazione della c = "acqua, chiara, colore" (vv. 2-3). * Allitterazione dellar= "ora, grilli, rane" (v. 5). ® Allitterazione della t e della r = "tenere, tremano, erbe" (v. 6). * Personificazione = "passi della sera" (v. 1). ® Personificazione = "fuoco smemorato" (v. 4). ®@ Anastrofe = "tenere tremano erbe" (v. 6). COMPARA ALLA POESIA DI “è SUBITO SERA” DI QUASIMODO EUGENIO MONTALE (1896-1981) LA VITA Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. Nella città ligure compie i primi studi ma per motivi di salute deve abbandonare gli studi tecnici al terzo anno; li riprende in seguito da autodidatta. Con la Prima guerra mondiale, Montale viene arruolato nel 1917. Congedatosi nel 1920, può fare ritorno a Genova. Frequenta artisti e letterati e riprende lo studio del canto e comincia a scrivere articoli di letteratura. Conosce la giovane Anna degli Uberti, che successivamente canterà in versi con lo pseudonimo Arletta (o Annetta): prima di una serie di figure femminili destinate ad abitare le sue poesie. Appaiono intanto le sue prime poesie sulla rivista torinese «Primo tempo». Nel 1925 Montale firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. In quello stesso anno esce il suo primo volume di versi, Ossi di seppia. Gli anni della maturità Per rendersi economicamente indipendente, si trasferisce nel 1927 a Firenze, e viene chiamato a dirigere come bibliotecario una prestigiosa istituzione culturale, il Gabinetto Vieusseux. Sul piano letterario, sono anni fecondi e pieni di incontri per Montale, che frequenta il caffè «Le Giubbe rosse», punto di ritrovo dei giovani poeti ermetici e degli scrittori di «Solaria». Nel 1933 conosce la futura moglie Drusilla Tanzi (da lui ribattezzata Mosca), all'epoca sposata. Nel dicembre del 1938 Montale viene licenziato dal Vieusseux perché non iscritto al Partito fascista. Nel 1939 pubblica il suo secondo libro di versi, Le occasioni. Trascorre gli anni della Seconda guerra mondiale a Genova, tra molte difficoltà e ospitando anche amici profughi (Saba, Carlo Levi e altri). Nel 1943 esce Finisterre, nucleo iniziale della successiva raccolta poetica, La bufera e altro. L'ultimo periodo Dal 1946 Montale comincia a collaborare come critico musicale al «Corriere d'informazione» e nel 1948 inizia a scrivere sul «Corriere della sera»; il suo primo articolo è un sulla morte di Gandhi. Nel 1956 esce il suo terzo libro di versi, La bufera e altro, seguito dalla raccolta di prose Farfalla di Dinard. Nel 1963 si sposa con Drusilla, che però mesi dopo muore, in seguito a una caduta accidentale. Nel 1967 il presidente della repubblica Saragat nomina Montale senatore a vita. Escono intanto i libri che raccolgono il meglio dei suoi scritti giornalistici: Auto da fé nel 1966 e Fuori di casa nel 1969. La società italiana è attraversata, in quegli anni, dal boom economico, dalla diffusione dei mass media ma anche dal fenomeno della contestazione giovanile: Montale guarda con ironia e amarezza al mondo massificato che lo circonda e nel quale la poesia sembra avere perduto il proprio ruolo. Il suo silenzio poetico è interrotto nel 1971 da un nuovo libro di versi, Satura. Nel 1975 ottiene il premio Nobel per la letteratura, quinto italiano dopo Carducci (1906), Grazia Deledda (1926), Pirandello (1934) e Quasimodo (1959). Montale muore a Milano il 12 settembre 1981. tradizione, «all'eloquenza della nostra vecchia lingua aulica» (è p. 252); non teme quindi di usare parole comuni, anche dialettali, specie quando si tratta di designare gli animali e le piante dell'ambiente ligure. Non rinuncia di quando in quando a qualche accensione, alle «trombe d'oro della solarità», come dice nella lirica I limoni; ma in prevalenza la sua rimane una poesia che si presenta come scarnificata, depurata da ogni residuo di sentimento «esposto» o gi L'essenzialità nei simboli: la poetica del secondo Montale Nelle Occasioni e nella Bufera, invece, «essenzialità» è soprattutto un modo molto sobrio di comunicare concetti, emozioni e stati d'animo senza esibirli, senza «spiattellarli» (è una parola di Montale), ma riassorbendoli nelle situazioni e negli oggetti via via evocati. Se i poeti romantici amavano dichiarare i loro sentimenti, per farne partecipi i lettori, Montale li esprime solo attraverso i simboli, o meglio, attraverso oggetti da lui caricati di un valore simbolico. Nasce così la poetica dell'«oggetto emblematico», già parzialmente presente in Ossi di seppia ma poi, soprattutto, nelle Occasioni e nella Bufera. Il correlativo oggettivo L'uso degli oggetti emblematici avvicina indubbiamente i due libri centrali di Montale alla poetica degli ermetici. Ma forse li avvicina ancor più alla tecnica del «correlativo oggettivo» utilizzata dal poeta angloamericano Thomas Stearns Eliot. I versi, cioè, rivelano situazioni («occasioni») biografiche, ovvero fatti, cose e persone che ispirano un certo sentimento. Il poeta evoca tale sentimento in modo indiretto e allusivo, sostituendolo con un oggetto che ne costituisce il «correlativo» (cioè l'equivalente) simbolico. Non è sempre facile decifrare il reale significato degli oggetti e quindi ricostruire l'allusione. Da qui la sensazione di difficoltà e oscurità suscitata nei lettori, anche per l'alta liricità con cui il poeta riveste i suoi simboli. Benché difficili da decifrare, i simboli di Montale non obbediscono sintatticamente alla logica dell razionale. Montale ha sempre preferito attenersi al valore della ragione, convinto che la poesia debba opporsi come può al disordine e all'incoerenza della vita contemporanea. Perciò, nelle sue liriche, accanto ai versi liberi, incontriamo anche i più tradizionali endecasillabi, osserviamo strofe e rime, pur se assai meno comuni rispetto alle rime di Saba. Per lo stesso motivo, il periodare di Montale è sintattico (vuole costruire un «discorso») e non paratattico (non si riduce a una somma di sensazioni, come fa Ungaretti nell'Allegria). La poesia «al cinque per cento» dell'ultimo Montale L'ultima stagione di Montale è quella milanese, inaugurata da Satura (1971). Il vecchio poeta stile «basso» rivoluziona completamente il proprio modo di scrivere e sconvolge, quindi, le aspettative di pubblico e critica. Invece di chiudersi nella nostalgica rievocazione di sé e del suo mondo, coraggiosamente abbandona i toni «alti» delle Occasioni e della Bufera. Anche il linguaggio si fa più basso, «comico», ora che la letteratura rischia di scomparire. Già in Ossi di seppia Montale aveva polemizzato con i «poeti laureati», quelli che (come D'Annunzio) scelgono timbri altisonanti e temi impegnativi; adesso però, nei suoi ultimi libri, denigra tutti i poeti. «I poeti defunti dormono sonni tranquilli / sotto i loro epitaffi», leggiamo in Satura. Lo scrittore stesso si presenta «in abito borghese» (Satura), è un poeta «al cinque per cento», come dice in Diario del '71 e del '72, un intellettuale chiuso in una dimensione privata, minima. lato. conscio, dell' In ogni caso, neppure l'ultimo Montale abbandona mai la nostalgia dell'arte, anche se la dichiara morta, nel mondo alienato e massificato in cui si sente costretto a vivere. La sua denuncia rimane, malgrado tutto, un atto d'amore all'umanità. LE OCCASIONI Le occasioni è il titolo della seconda raccolta poetica di Montale, pubblicata da Einaudi nel 1939. Rispetto ad Ossi di seppia, sono evidenti da subito alcuni cambiamenti nella poetica montaliana: dalla poesia del paesaggio ligure di Ossi di Seppia passiamo a testi che si concentrano maggiormente su una figura femminile, di nome Clizia, che diventa una figura emblematica della poesia di Montale. Clizia - al secolo, Irma Brandeis - assume contemporaneamente i tratti di una donna reale e quelli della donna salvatrice e angelicata che diventa per il poeta l'ultima àncora di salvezza dal disastro storico e personale cui egli assiste. Tuttavia, nelle occasioni, anche la realtà esterna e contingente riveste un compito importante: il pessimismo montaliano si sviluppa ulteriormente, accettando come un dato di fatto la disarmonia del mondo e della vita già intuita nella raccolta precedente. Questo moto introspettivo si traduce in una poesia più complessa e 'difficile' rispetto a quella della raccolta precedente: spesso gli oggetti reali che il poeta evoca sono simboli o sfumate allusioni per dare forma ai propri stati interiori. Sul piano stilistico, colpiscono le scelte letterariamente più elaborate da parte di Montale, l'uso di termini non comuni e rari, una sintassi più complessa e frequentemente "spezzata" dal ricorso all'enjambement o dall'uso di figure retoriche e metafore (in particolar modo, per la figura femminile). NON RECIDERE, FORBICE, QUEL VOLTO. COMMENTO Non recidere, forbice, quel volto è una poesia di due strofe di quattro versi endecasillabi e settenari ciascuna, composta da Eugenio Montale e pubblicata nella sua seconda raccolta, Le occasioni, del 1939, nella sezione Mottetti. Le “occasioni” da cui nascono le poesie altro non sono che alcuni momenti casuali e quotidiani, da cui il poeta cerca di carpire il significato della stessa esistenza. Non recidere, forbice, quel volto fa parte di quelle che trattano il tema del ricordo, anzi dell’impossibilità angosciante di conservare il ricordo del volto della donna amata, che, in questo caso, è Irma Brandeis. Il viso della donna sembra protendersi ancora in ascolto verso le parole del poeta, ma la nebbia dell'oblio è destinata ad avvolgerlo, anche se è “grande”, perché domina nella mente del poeta. A fare da correlativi oggettivi a questa dolorosa esperienza della perdita della memoria sono tre immagini: la forbice, che è pregata di non tagliare via il volto della donna, il freddo che giunge improvvisamente e il guscio della cicala che viene fatto cadere dall'albero colpito da un colpo di accetta. La nebbia è una tipica immagine per indicare i ricordi che svaniscono. AI di là dell'esperienza individuale del poeta, la forbice che elimina impietosa il ricordo rappresenta la precarietà della condizione umana e la tristezza degli uomini che non riescono ad accedere ai propri ricordi per sfuggire all'insensatezza della loro condizione presente. Da un punto di vista stilistico, nell'analisi del testo di Non recidere, forbice, quel volto si evidenzia notevole anche la fitta trama fonica, di richiami tra i suoni, che collega tra loro parole chiave come recidere e forbice, acacia e cicala che costituiscono due paronomasie o la rima “sfolla-scrolla” che contribuisce a collegare strettamente fra loro le due strofe. TESTO DELLA POESIA 1. Non recidere, forbice, quel volto, 2. solo nella memoria che si sfolla, 3. non far del grande suo viso in ascolto 4. la mia nebbia di sempre. 5. Un freddo cala... Duro il colpo svetta. 6. E l'acacia ferita da sé scrolla 7. il guscio di cicala 8. nella prima belletta di Novembre. FIGURE RETORICHE PARAFRASI 1. Non tagliare, forbice, l'immagine di quel viso di donna 2. ormai solo nella memoria che si svuota, 3. non avvolgere il suo grande viso che ricordo nell'ascoltare 4. nella solita nebbia della dimenticanza. 5. Arriva il freddo... Il colpo si abbatte duramente. 6. E l’acacia colpita scuote via 7.il guscio di cicala 8. nel primo fango di novembre. * Enjambements “scrolla / il guscio di cicala” (vv. 6-7); * Apostrofi “forbice” (v. 1); * Personificazione “forbice” (v. 1); e Metafore “Non recidere, forbice, quel volto” (v. 1); “la mia nebbia di sempre” (v. 3); “un freddo cala” (v.5); * Paronomasia “recidere/forbice” (v. 1); “acacia-cicala” (vv. 6-7); * Reticenza “un freddo cala...” (v. 5) 12. erano i tuoi. PRAFRASI DISCORSIVA Ho disceso, porgendoti il braccio, almeno un milione di scale (di questa immensa scalinata che è la vita) ed ora che non ci sei più ad ogni gradino sento la solitudine. Nonostante ciò (l’aver sceso tante scale assieme) il nostro lungo viaggio della vita è stato breve. Il mio continua ancora adesso, e non mi servono più i casi e le necessità dell’esistenza, gli inganni e le delusioni di chi crede che la realtà consista nell’apparenza delle cose. Ho disceso milioni di scale porgendoti il mio braccio, non perché con quattro occhi forse si vede meglio. Le ho scese con te perché sapevo che tra noi due gli unici occhi capaci di distinguere il vero, per quanto tanto offuscati dalla miopia, erano i tuoi. FIGURE RETORICHE ® Anaforev. 1: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”; v. 8: “Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio”; * Enjambements vw. 4-5: “né più mi occorrono/ le coincidenze”; vv. 5-6: “le coincidenze, le prenotazioni/ le trappole, gli scorni”; OSSI DI SEPPIA Ossi di seppia è una raccolta poetica di Eugenio Montale pubblicata a giugno del 1925 da Piero Gobetti. Ossi di seppia comprende ventitré liriche, ed è una delle otto sezioni della prima raccolta di poesie di Montale: Movimenti, Poesie per Camillo Sbarbaro, Sarcofaghi, Altri versi, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre. Nella lingua di Montale ritroviamo musica e pittura, e in buona misura la lingua di Dante, di D'Annunzio e di Pascoli. Il “dantismo” di Montale è generalmente considerato un fenomeno unico nel Novecento italiano per intensità e attualizzazione delle situazioni: la lingua pietrosa e aspra e il fascino della condizione umana “infernali” hanno trovato in Montale una eco di grande forza. Invece la lezione di Pascoli, perfettamente assorbita da Montale, fu la scelta di una terminologia esatta e specifica, soprattutto per gli elementi della flora e della fauna. A D'Annunzio, infine, va ricondotta la ricerca metrico-ritmica, e il gusto per l'invenzione delle parole, che si può far risalire al rapporto privilegiato con la natura, in alcuni momenti deformata allo sguardo del poeta dalla sua stessa forza vitale - non più positiva come in Alcyone ma negativa. Quando parliamo di Montale, un primo punto fondamentale è il rapporto con la natura, rapporto tutt'altro che sereno. C'è infatti una sorta di contrapposizione tra il mare, visto soprattutto come un mondo felice ed incontaminato da cui però il poeta - e l'uomo in generale - è escluso per sempre, e la terra. Se il mare rappresenta la felicità, la terra rappresenta l'opposto: è il luogo dove il poeta si ritrova dopo essere stato esiliato dal mare e dove è costretto a fare i conti con l'esclusione dalla beatitudine naturale pura. Quindi, il mare è l'infinito, la terra è il limite. Nonostante questa condizione di esclusione in sé tragica, peggiorata dalla sensazione di impotenza assoluta dell'uomo in un mondo che sta andando in pezzi e in cui difficilmente si riconosce (poesie sono state scritte tra il 1921 e il 1924), Montale non si lascia sopraffare e fa della terra il luogo dove l’uomo può, seppur in modo non tradizionalmente eroico, mostrare il proprio valore, che consiste principalmente nell’accettazione stoica della propria condizione. L'ambivalenza del rapporto con la natura è riflessa anche nella scelta del titolo: il significato degli ossi di seppia è doppio, possono galleggiare in mare oppure, come più spesso accade, si trovano sulla spiaggia, per sempre scacciati dal mare e dalla felicità che esso rappresenta. Gli ossi di seppia sono, quindi, il simbolo dell'esclusione da una condizione beata per sempre perduta: per di più, quello che viene sputato fuori dalle profondità marine non è che un relitto, consumato e privo di utilità. In sintesi si pensa che il nome "ossi di seppia" sia un modo per descrivere come, nel periodo in cui il poeta lo ha creato, della libertà di ogni uomo sia stato annientato tutto e sia rimasto poco o nulla, proprio come quando muore una seppia ne rimane solo l'osso ovvero l'anima e il pensiero umano. FORSE UN MATTINO ANDANDO COMMENTO Questo testo descrive una rivelazione, una manifestazione improvvisa (epifania) del "nulla", del "vuoto", e dunque del prendere coscienza dell’assoluta apparenza del mondo e dell’assurdità dell'essere. Il poeta riesce a cogliere solo per un attimo brevissimo questa sensazione. La scoperta o l'intuizione del "nulla", del "vuoto", è considerata dal poeta positiva (un "miracolo" come lo definisce) perché corrisponde a prendere coscienza anche di ciò che gli si contrappone ovvero dell'apparente realtà delle cose ("l'inganno consueto"). Dopo quest’attimo di folgorazione torneranno nuovamente a profilarsi le cose consuete della realtà, "alberi case colli”, ma il Poeta sa che si tratta di una realtà apparente, rappresentazioni fittizie, come le immagini di un film proiettate "s'uno schermo", che però inganna tutti coloro che non si pongono interrogativi esistenziali e metafisici. Ormai il Poeta, dopo la miracolosa esperienza, non può più tornare alla condizione abituale ma illusoria degli "uomini che non si voltano", ed egli portando dentro di sé questa consapevolezza sarà obbligato alla solitudine e al silenzio ("me n'andrò zitto"), impossibilitato a svelare una realtà troppo terribile per essere accettata dagli uomini. E' da sottolineare che "gli uomini che non si voltano", nella loro indifferenza per tutto ciò che va al di là dell'apparenza, ricordano "l’uomo che se ne va sicuro" di un'altra famosa poesia montaliana: Non chiederci la parola. TESTO DELLA POESIA 1. Forse un mattino andando in un'aria di vetro, 2. arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: 3. il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro 4. di me, con unterrore di ubriaco. 5. Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto 6. alberi case 7. colli per l'inganno consueto. 8. Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto 9. tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto. PARAFRASI Forse: il primo verso si apre con un'ipotesi che segna l’intero componimento. Il futuro ipotetico ("Forse... vedrò") serve a introdurre il "miracolo" (cioè la percezione del "nulla") come un possibile eppur straordinario evento, che infrange le leggi naturali; aria di vetro = tersa come il cristallo; così tersa, limpida e secca da sembrare artificiale, indica il carattere irreale di una simile esperienza; rivolgendomi indietro; compi provoca una sensazione di vertigine. voltandom realizzarsi; il miracolo = l'evento straordinario; nulla: terrore di ubriaco: esprime il terrore di chi ha perso ogni stabile punto di riferimento, come gli ubriachi che possono cadere a terra in ogni momento. Come s'uno schermo: come sopra uno schermo cinematografico (metafora che richiama il mondo dell’uomo moderno), si proiettano le immagini che a noi sembrano reali (inganno consueto) ma sono frutto invece di un'illusione ottica; di gitto = freneticamente, una cosa sull'altra. Sarà troppo tardi: ormai ha visto il nulla e il poeta ha acquisito una consapevolezza che lo rende diverso da tutti gli altri uomini (gli uomini che non si voltano) che continuano a credere alla realtà apparente. CIGOLA LA CARRUCOLA NEL POZZO COMMENTO Cigola la carrucola del pozzo è una lirica inclusa in Ossi di seppia, raccolta pubblicata da Eugenio Montale nel 1925. Il titolo fa riferimento alla conchiglia interna della seppia (di colore bianco e dalla consistenza schiumosa) che altro non è che la testimonianza di un organismo vivente che è stato scartato dal mare. Cigola la carrucola del pozzo affida l'illusione di potersi sottrarre al “male di vivere” al ricordo che emerge come un secchio che risale pieno d'acqua da un pozzo, alla possibilità vana di riportare dal passato un volto caro. A Montale sembra, infatti, che sulla superficie dell’acqua contenuta nel secchio si delineino i contorni di un volto a lui caro, appartenente al passato. Avvicinando il volto alla superficie dell’acqua però, l'immagine s’increspa e scompare, venendo risucchiata immediatamente da un passato COMMENTO Meriggiare pallido e assorto è stata composta molto probabilmente da Eugenio Montale nel 1916 e venne poi inclusa nella raccolta Ossi di seppia, datata 1925. all'interno della raccolta ha il valore emblematico di introdurre il tema-chiave dell'estate infiammata che rende tutto arido e secco. Il meriggio di una calda e assolata giornata estiva è un momento di immobilità e sospensione: per effetto della calura e della luce accecante, la vita è quasi ferma, tutto si muove molto lentamente e a fatica. Il paesaggio ligure delle Cinque Terre, arido e scarno, è quello tipico di tutta la raccolta. Infatti, l’aridità della natura è l'emblema di una condizione esistenziale di prigionia, solitudine e abbandono, di assenza di ogni slancio vitale. Il poeta si vede costretto ad accettare la triste e limitata condizione umana: l’uomo è simile alle formiche rosse che si muovono incessantemente senza meta. Il paesaggio è chiuso, non comunica con l’uomo e non è fatto per l’uomo, è solo un tramite verso qualcosa di indefinito, che dovrebbe essere in grado di rompere la monotonia della vita quotidiana, tuttavia rimane sempre misterioso e insondabile. La verità, l'essenza metafisica delle cose, rappresentata oggettivamente dalle “scaglie di mare”, si colloca al di là dell'ostacolo, della “muraglia” sovrastata dai “cocci aguzzi di bottiglia”. La muraglia simboleggia la dimensione meramente contingente: ciò significa che la parola poetica non è in grado di raggiungere la dimensione metafisica. L'uso dei verbi all'infinito (“meriggiare”, v. 1; “ascoltare”, v. 3; “spiar”, v. 6; “osservare”, v. 9; “sentire”, v. 14), interrotto soltanto da un gerundio (“andando”, v. 13), accentua la sensazione di una continuità informe e conferisce alla poesia una valenza universale e non personale: anche il poeta non partecipa alla scena che sta descrivendo, sembra quasi scomparire e diventare anche lui un'entità indeterminata. PARAFRASI DISCORSIVA Passare il pomeriggio (“meriggiare”), con il viso pallido (per il caldo e la luce del sole) e riflessivo, vicino a un recinto di un giardino arroventato dal sole, ascoltare tra i rovi e le sterpaglie il canto rumoroso dei merli, il fruscio dei serpenti che strisciano. Nelle crepe del terreno o sulla pianta della veccia sporgersi a osservare le file di formiche rosse, che in un attimo si dividono e si sparpagliano e appena dopo si riuniscono, in cima ai piccolissimi mucchietti di terra dei formicai. Guardare attentamente tra i rami il movimento regolare in lontananza delle onde che si accavallano, mentre si alzano tremolanti friniti di cicale dalle alture prive di vegetazione. E procedendo verso il sole che abbaglia la vista, percepire con uno stupore malinconico come davvero la vita intera e la sua sofferenza, siano come un cammino attraverso una lunga muraglia che ha in cima cocci di vetro taglienti di una bottiglia rotta. FIGURE RETORICHE ap» ® Allitterazioni della pResso “; ” tRa i pRuni “; “meRli”; “fRusci”; “cRepi”; “intRecciano”; “fRondi”; “scRicchi”; “spiaR le file di Rosse foRmiche/ ch'oRa si Rompono ed oRa si intRecciano”; del gruppo “tr”: “menTRe”; “TRemuli”; “TRiste”, “Travaglio; della “c”:”sCriCChi di CiCale dai Calvi piCChi”; * Onomatopea “schiocchi” (v. 4); “fruscii” (v. 4); “scricchi” (v. 11); SALVATORE QUASIMODO (1901-1968) Salvatore Quasimodo è il rappresentante dell’ermetismo italiano. Mentre Ungaretti ne è considerato il precursore per la sua sperimentazione poetica messa in atto ne “L’allegria”, Quasimodo ne è l'esponente più importante. Salvatore Quasimodo nacque nel 1901 da una modesta famiglia di Modica, nella provincia di Ragusa. Condusse gli studi a Messina e, conseguito il diploma in fisica e matematica, si iscrisse a Roma alla facoltà d’ingegneria. Costretto dal bisogno, tuttavia, il giovane Quasimodo non poté ottenere la laurea e quindi abbandonò ogni impiego per dedicarsi esclusivamente alla letteratura e ai suoi studi preferiti, che proseguì da autodidatta fino ad imparare addirittura il greco. In quegli anni conobbe Elio Vittorini, di cui ne divenne il cognato, il quale lo introdusse, a Firenze, nell'ambiente della rivista Solaria, con cui collaborava, tra gli altri, Eugenio Montale. Quasimodo vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1959 ma ci furono delle polemiche perché non era uno scrittore di professione. Morì a Napoli nel 1968. POETICA Il nucleo essenziale della poetica di Quasimodo è il segno distinto di una reale esperienza di vita. E purtroppo, tra le esperienze che maggiormente colpirono la sua sensibilità umana furono, da bambino, gli orrori del terremoto di Messina (1908 ), da giovane, la Grande Guerra e, da adulto, la Seconda Guerra Mondiale. Secondo Quasimodo, la posizione del poeta nella società non può essere passiva, in quanto egli “modifica” il mondo. Tutto il suo lavoro mira, quindi, a scuotere l’uomo nel profondo ancor più di quanto possano fare la storia o la filosofia. Per Quasimodo la poesia è etica e scrivere in versi vuol dire subire un giudizio estetico, nello specifico le reazioni sociali che una qualsiasi poesia suscita. * Nella prima parte della sua carriera letteraria, quella a cui appartiene Acqua e Terre, Quasimodo è influenzato dal panismo dannunziano, esalta il legame con la natura contrapponendolo più volte al senso di esilio che vive chi sta in città. La Sicilia e il suo mare sono la sua ispirazione. In questa fase ermetica il poeta inaugura un rapporto strettissimo tra parola, immagine e intimità. Questa prima fase della ricerca ermetica di Quasimodo si conclude col volume Ed è subito sera, nel 1942, nella quale è contenuta la famosissima poesia omonima. La Raccolta del giorno dopo, datata 1947, è frutto del passaggio di Quasimodo attraverso la guerra. Quest'opera segna il confine tra il Salvatore ermetico a quello attento ai temi civili e impegnato per il bene dell’uomo. * La seconda parte che di Quasimodo emerge non va a rinnegare la prima, anzi, la completa. Il Quasimodo attento ai temi capire. Nella prima fase le sue opere prediligevano immagini rarefatte in una Si scrive in maniera più aperta, esplicita e argomentata: vuole farsi ia dal sapore quasi mitico. In seguito, Quasimodo comincia a dedicare i suoi versi a riflessioni dirette, opponendosi al regime fascista e alla guerra, percepita con orrore. In ultimo, a prevalere fu il carattere narrativo, spesso legato anche a temi di cronaca. ED È SUBITO SERA Ed è subito sera è la più celebre poesia composta da Salvatore Quasimodo ed è stata pubblicata per la prima volta nel 1930 all’interno della raccolta Acque e Terre, come parte finale di un testo più lungo. La poesia così come la conosciamo oggi è poi confluita nella raccolta omonima del 1942 Ed è subito sera. La peculiarità di questa poesia consiste nella capacità dimostrata da Quasimodo di condensare in soli tre versi una profonda riflessione sulla condizione umana, abbracciata nella sua totalità. Il testo, tanto breve nella forma quanto efficace da un punto di vista comunicativo, è passato alla storia come uno dei testi- simbolo dell’ermetismo. La tragica sorte dell’uomo rappresenta la tematica portante di Ed è subito sera, che, da un punto di vista dell’interpretazione letterale, sembra descrivere con estrema fugacità il momento del tramonto, che diviene per il poeta occasione di introspezione e riflessione sulla vita umana nella sua complessità. TESTO DELLA POESIA Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera. PARAFRASI AFFIANCATA 1. Ogni essere umano vive in solitudine (illudendosi di essere) al centro del suo mondo 2. colpito dalla luce del sole (fonte di gioia e dolore), 3. poi all'improvviso cala la sera (giunge la morte). PARAFRASI DISCORSIVA Ogni essere umano vive in solitudine, illudendosi di essere al centro del suo mondo, ed è colpito dalla luce del sole, fonte di gioia e dolore nel contempo. Poi all'improvviso cala la sera, ovvero giunge inesorabile la morte. FIGURE RETORICHE * Allitterazioni v.1: “Ognuno sta solo sul cuor della terra”; v.3: “ed è subito sera”; * Enjambementsvv. 1-2; * Assonanze vv. 1-3: “terra"/"sera”; * Paronomasia vv. 1-2: “solo”/”sole”; * Antitesi vv.1-2: “terra”/"sole”; vv. 2-3: “sole”/"sera”; * Sineddoche v. 2: “un raggio di sole” indica la luce solare in generale (la parte per il tutto), fonte per l’uomo della vita e della conseguente illusione di felicità, ma anche origine della “ferita” e della rapida disillusione dopo il suo tramonto; * Sinestesiav. 2: “trafitto da un raggio di sole” (integrazione di sfera tattile e sfera visiva); * Metafore/Analogie v. 1: “cuor della terra”= indica il centro del mondo esteriore e interiore di ciascun uomo, ma esprime al tempo stesso un senso di profondo radicamento all’esistenza' ; v. 2: “un raggio di sole” indica il ciclo dell’esistenza attraverso la luce solare che colpisce e tramonta (cfr. supra); v. 3: “ed è subito sera”= l’arrivo della sera simboleggia la brevità della vita umana, la fugacità del tempo e il sopraggiungere improvviso della morte. La donna in Saba Va però notato che la donna è fonte di una forte contraddizione. Esiste infatti un conflitto tra sensualità e misoginia, due dimensioni ineliminabili nel carattere dell'autore. La donna attrae soprattutto fisicamente, ma contemporaneamente allontana il poeta desideroso di solitudine. Il poeta dunque riesce a liberarsi di questa contraddizione solo creandone un'altra: mettendo cioè in antitesi la donna e la fanciulla. La critica spiega tale contraddizione notando l’incapacità congenita del poeta stringere rapporti adulti con le donne su un piano paritario, dato principalmente dalla sua malattia. Saba però fornisce un’altra spiegazione: sostiene di amare le fanciulle perché loro ritrova una creatura inconsapevole del domani, spettando alla poesia il compito di sottrarla alle devastazioni del tempo. Nella donna adulta invece il poeta coglie un'essenza più piena e matura e nasce da qui l'affinità segreta che lega la donna alle femmine del regno animale. Di questa realtà l'uomo non ha piena conoscenza né controllo ma proprio ciò lo attrae e lo affascina. Si generano così due atteggiamenti ancora una volta antitetici: il sincero stupore del fanciullo e la diffidenza dell’uomo maturo. Trieste Il canzoniere è dominato dal luogo fondamentale in cui la vita si svolge ossia Trieste. Il poeta ama la sua città in sé stessa e ritrova la pienezza di quella calda vita. Perciò Trieste diviene una fonte di poesia. Deriva inoltre da qui la tendenza al nominalismo, poiché Trieste è un inesauribile serbatoio di nomi a partire dei luoghi e delle vie. In ciascuna di esse poeta rispecchia e ritrova la parte di sé. Trieste però rivela un carattere contraddittorio: è una città portuale quindi aperta ma allo stesso tempo una città riservata. Siamo davanti è una delle contraddizioni tipiche di Saba nelle quali il poeta rispecchia la doppiezza della propria anima. La concezione della vita e dell'amore L'amore che il poeta porta la vita non è un amore senza contrasti. Anche il suo conosce le sue pene profonde e segrete, vive l'angoscia e il tormento dell’incomprensione. Egli sostiene che non potrebbe essere diversamente perché la vita umana è la somma di esperienze ora felici e ora dolorose. Infatti se si vuole vivere la calda vita bisogna saper gioire e saper soffrire e per questo Saba fu uomo di pena. Esiste una sofferenza generale, per i mali che affliggono la vita all'umanità. Saba vede tutte le creature soffrire intorno a sé e fraternamente ne soffre a propria volta. L’universalità del dolore è uno dei temi più ricorrenti nella sua poesia. Tutta via Saba soffre anche in prima persona: esiste infatti una sofferenza più profonda, eco oscura di terrore giovanili e il suo frutto è la nevrastenia. Scaturisce da qui uno dei compiti essenziali della poesia: sollevare dalla pena, accettazione e consolazione. Ernesto Nel maggio del 1953 compose un racconto scandaloso e impubblicabile che pubblicò nel 1975. Nacque così Emesto, romanzo breve dei forti colori autobiografici. Narra la storia di un sedicenne, delle sue prime esperienze sessuali, prima con un uomo e poi con una prostituta, del suo rapporto con la madre eccetera e si ambienta a Trieste. Il linguaggio è crudamente realistico. | primi lettori rimasero sconcertati ma oggi vediamo che è un interessante romanzo di formazione, il cui protagonista è un adolescente che si affaccia alla vita pieno di entusiasmo e di curiosità. Tale formazione approda un lieto fine perché la precoce esperienza del sesso non torbida la naturale purezza dell’animo del protagonista, ne frena la sua crescita interiore. Stupisce anche la scelta di Saba di far esprimere personaggi in dialetto triestino. Manca inoltre una vera caratterizzazione sociale nella parlata dei diversi personaggi: anzi, le battute più spinte sono pronunciate proprio dal borghese Ernesto. Il canzoniere Il progetto di raccogliere i propri versi presentandoli come un'opera unitaria risale all'inizio dell'attività di Saba. Questa idea fu ripresa nel 1919 quando Saba rientro a Trieste dopo la guerra. Egli desiderava creare una struttura unitaria, un libro o romanzo in versi, capace di testimoniare i sentimenti e avvenimenti di una vita. Si giunse così nel 1921 alla prima edizione del canzoniere. Questo progetto viene ripreso dopo la fine della seconda guerra mondiale con l'uscita della seconda edizione del canzoniere nel 1945, fino all'ultima pubblicata postuma nel 1961. L’opera è composta da 395 ‘he divise in 26 sezioni e suddivise in tre volumi, ciascuno diviso in più sezioni: * il volume primo comprende i versi scritti dal 1900 al 1920 e celebra il tempo dell'esperienza, dell'apertura la vita delle due sfere della caserma e degli amori; * il volume secondo raccoglie versi scritti tra il 1922 e il 1931. Questo volume segno il tempo della conoscenza: non a caso si conclude con il piccolo Berto; * ilvolume terzo include versi scritti fra il 1933 e il 1954. Qui l'autobiografia si allarga la letteratura al mito; molte liriche cantano storie e figure leggendarie. Quindi segna il tempo della sapienza, anche perché saba tende a farsi filosofo che riflette non più sull'origine intima delle proprie sofferenze ma sulla natura universale del dolore. Il titolo è ricalcato sul più prestigioso modello della lirica italiana, ossia quello di Petrarca. In un canzoniere le Liriche entrano in relazione le une con le altre, quali tessere di un unico mosaico, diventando in tal modo parte di un tutto. Un simile obiettivo giustifica le cure riservate da Saba al proprio libro. Inoltre per connettere un componimento all’altro l’autore crea delle cerniere. Per esempio la sezione Trieste e una donna è conclusa dalla lirica la solitudine, che prelude allo stato d'animo della successiva sezione, la serena disperazione. Malgrado queste attenzioni, Saba ha rispettato fedelmente l'ordine di stesura dei vari componimenti Le ho messe solo in segnalando nell’indice del canzoniere le date di composizione di quasi tutte le sezi quattro casi: ® nelle due sezioni poesie scritte durante la guerra e 1944, dove il titolo contiene l'indicazione cronologica; e nelle due sezioni successive, tre poesie fuori luogo e varie. Tali omissioni vogliono suggerire lo smarrimento prodotto dei due conflitti mondiali. Il fondo del libro è un fondo autobiografico ma quella di Saba è un’autobiografia solo poetica, più o meno fedele ai fatti. Infatti Saba non vuole ricostruire i fatti in quanto tali ma la vita interiore, gli stati d'animo, le intenzioni eccetera. Dunque è la storia di un'anima: l’espressione più sintomatica e sincera delle verità che L'io scopre su di sé, lo specchio fedele di un malessere esistenziale. Per questo Saba vuole attenersi all'ordine cronologico di elaborazione dei testi. Sempre per tale motivo l'autobiografia di Saba si concede licenze: scorre avanti indietro nel tempo, si proietta altrove, mescola cose reali fantasie. Non solo: poiché la sua origine nell’inconscio, il racconto ritorna costantemente sulle ferite sui traumi che lacerano l'io del poeta, costruendo un tempo circolare che ricorda molto quello di Svevo. Infatti sia Saba e Svevo hanno scritto autobiografie contaminate dalla coscienza psicoanalitica.
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