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Ermetismo, Ungaretti, Quasimodo, Saba e Montale, Appunti di Italiano

Appunti di letteratura riguardanti la corrente letteraria ermetica, la vita e le opere di Giuseppe Ungaretti, la vita e le opere di Salvatore Quasimodo, la vita e le opere di Umberto Saba, la vita e le opere di Eugenio Montale

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 07/11/2022

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Scarica Ermetismo, Ungaretti, Quasimodo, Saba e Montale e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Ermetismo Il secondo periodo del Decadentismo, che va dagli anni ’20 in poi, è la fase che ci porta al neorealismo, che coincide con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Da un punto di vista poetico, la corrente principale è quella dell’ermetismo. Si hanno due linee poetiche: • La prima è quella Sabiana, maggiormente influenzata da Giovanni Pascoli e dalla sua semplicità. Umberto Saba, il rappresentate del filone, affermò la sua idea di poetica semplice dal punto di vista stilistico, ma nei contenuti mise in evidenza l’influenza della psicoanalisi, in particolar modo fu il primo a trattare dell’infanzia secondo essa. Questa linea fu seguita anche da Giorgio Caproni, Sandro Penna e Carlo Betocchi. • La seconda è quella novecentista o ermetica. Nel periodo fascista, la cultura venne completamente cancellata e molti intellettuali, non aderendo al partito, non poterono esprimere liberamente la propria opposizione, poiché avrebbero rischiato la morte e di essere mandati nei campi di concentramento. Questi decisero di chiudersi in una sorta di torre d’avario e di scrivere tali critiche velate; lì si prediligeva l’aristocrazia del pensiero, fondando così la corrente dell’ermetismo, ovvero una poesia definita “pura” e volutamente difficile, indirizzata solo a chi poteva comprendere e sapeva apprezzare. I maggiori esponenti furono Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Mario Luzi, Vittorio Sereni. Giuseppe Ungaretti anticipò alcuni elementi dell’ermetismo nella sua raccolta “Sentimento del tempo”, mentre Eugenio Montale si avvicinò alla corrente nelle sue raccolte “Le occasioni” e “La bufera e altro”, il cui tema centrale di entrambe è la donna, vista come depositaria della cultura. L’ermetismo si affermò soprattutto a Firenze durante gli anni trenta, venne diffuso attraverso varie riviste e, tra i tanti che aderirono al movimento, ebbe come maggior rappresentante Quasimodo. Nel 1936, il critico letterario Francesco Flora coniò il termine “Ermetismo”, per indicare una forma di poesia in versi volutamente oscura e difficile, rivolta soltanto a lettori esperti; tale etichetta deriva dal Dio Ermes, poiché in quel periodo si era creata una setta religiosa dedicata a lui. Il linguaggio usato dai poeti ermetici è allusivo, simbolico e la parola non riprende il suo significato, ma rimanda ad altro; loro utilizzavano metafore ed analogie. I temi sono collegati all’io lirico, alla sofferenza e all’amore, trattati volutamente in modo oscuro. Giuseppe Ungaretti Giuseppe Ungaretti viene influenzato dalla poesia delle avanguardie durante il suo soggiorno parigino. La sua vita può essere riassunta nella sua poesia “I fiumi”, appartenente alla sua prima raccolta “L’allegria”, in cui ripercorre le epoche della sua vita, della sua esistenza. • Il fiume Nilo rappresenta la sua nascita, avvenuta nel 1888 ad Alessandria d’Egitto, da genitori provenienti dalla provincia di Lucca (Toscana); • Il fiume Serchio della Toscana, indica da dove provenivano i genitori. Il padre di Ungaretti si trasferì insieme alla madre per la costruzione del ponte di Suez, che avrebbe consentito il passaggio dal Mediterraneo al Mar Rosso senza passare dall’Africa. Il padre morì a causa di un incidente sul posto di lavoro e crebbe solo con la madre, che lavorava in un forno. • Il fiume Senna di Parigi, riporta al momento in cui si trasferì a Parigi, dove frequentò l’Università Sorbona, la più prestigiosa; ebbe come insegnante Henry Benson e venne a contatto con le avanguardie artistiche, nelle quali si riconobbe. • Il fiume dell’Isonzo è dove, idealmente, confluiscono tutti i precedenti fiumi. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale torna in Italia e si arruola nell’esercito come fante. La sua partecipazione è voluta e convinta, ma il poeta si renderà conto di quanto la guerra sia una terribile esperienza da condannare. • Conclusa la guerra, collabora a Roma con alcuni giornali, mentre scrive la raccolta “Sentimento del tempo”, per cui viene considerato un poeta che anticipa l’ermetismo. Successivamente, andrà in Brasile ad insegnare letteratura italiana all’università di San Paolo. • Muore il figlio Antonietto di 9 anni di appendicite ed anche il fratello; ciò scaturisce la stesura della terza raccolta, intitolata “Il dolore”, un sentimento legato alle vicende autobiografiche e storiche. Si riavvicina anche alla religione cristiana e al cattolicesimo. • Ritorna in Italia, dove scrive articoli di giornale. Muore nel 1970. Nelle sue poesie, spesso, come in quelle dei simbolisti, prevale il significante più che il significato; usa anche l’analogia, una metafora portata all’estremo, per cui si perdono i punti logici dell’autore. Raccolta “L’Allegria” Fu la prima raccolta di Ungaretti ed è il risultato di due precedenti raccolte, ovvero “il porto sepolto” (1916) e “allegria dei naufraghi” (1919). Egli condivideva gli ideali fascisti ed aderì al fascismo, per cui soffrì molto a causa dei continui rinfacciamenti. “Porto sepolto” nasce durante la Prima Guerra Mondiale: egli compone le poesie di guerra, che hanno l’aspetto di un diario in quanto presentano la data della composizione ed il luogo. Il titolo fa riferimento ad una leggenda riguardante Alessandria d’Egitto, nella quale sarebbe esistito un porto prima che Alessandro Magno fondasse la città; il porto sarebbe stato ricoperto dalle acque e questa leggenda venne utilizzata per creare un parallelismo con la poesia: spesso rimane nascosta, nell’ombra, ma se viene scoperta risulta meravigliosa. Queste poesie sono prettamente poesie di guerra. “L’allegria dei naufraghi” raccoglie altre poesie di guerra, che confluiscono nella raccolta “L’allegria”; tale titolo è un ossimoro, ovvero l’associazione di due termini con significato opposto. I temi sono diversi, ma universalmente validi: la guerra, la morte, la vita, l’attaccamento all’esistenza della vita, la caducità della vita, la solidarietà tra gli uomini, l’assenza di odio verso il nemico, il ricordo, la memoria, il tema dello sradicamento, la poesia come strumento di salvezza. Dal punto di vista stilistico, le poesie presentano numerose innovazioni rispetto alla lirica tradizionale, come poesie tendenzialmente brevi, utilizzo di versi liberi, assenza della punteggiatura sostituita con spazi bianchi, a capo o lettere maiuscole; la parola diventa illuminazione e si utilizzano le similitudini, le metafore e le analogie. “I fiumi” La poesia é stata composta il 16 agosto 1916; a differenza delle altre, dal punto di vista grafico è più lunga e non usa la virgola, spesso un gruppo di parole occupano e formano un intero verso. La poesia è divisa in 15 strofe e i versi sono liberi, quindi non in rima. La poesia è divisa nettamente in due parti: La prima (1-42): il poeta racconta di una notte estiva, nella quale, in un momento di tregua dalla guerra, si immerge nelle acque dell'Isonzo. Il poeta utilizza questo momento di serenità per riflettere sulla sua vita e sul suo passato. Il primo elemento che possiamo ritrovare é il tema del “panismo”, ossia un processo secondo il quale avviene “l’umanizzazione della natura”, per cui un individuo speciale entra in una forte fusione/armonia con la natura, e la “naturalizzazione dell’uomo” , per cui la natura si fonde/unisce con lui. Il poeta continua usando la metafora prolungata del circo, per rappresentare il continuo pericolo e la precarietà della vita, l’uomo costantemente in giro e senza un punto di riferimento. Il poeta richiama le sue origini egiziane facendo cenno ai Beduini. Salvatore Quasimodo Salvatore Quasimodo nacque nel 1901 in Sicilia, a Modica, in provincia di Ragusa. Nonostante frequentò studi scientifici e cercò invano di laurearsi in ingegneria, era appassionato di lirica greca e studiò letteratura da autodidatta; a soli sedici anni, assieme ad altre personalità di spicco, fondò la rivista “Nuovo giornale letterario”. Dopo il diploma si trasferì a Roma per studiare ingegneria al Politecnico, ma non riuscì a laurearsi, e le precarie condizioni economiche lo spinsero a praticare diversi lavori tecnici. Dal 1929 soggiornò a Firenze, dove frequentò salotti letterari e collaborò con la rivista “Solaria”; nello stesso periodo, scrisse due importanti raccolte: “Acque e terre” nel 1930 ed “Obeo sommerso” nel 1932. Nel 1940 pubblicò una traduzione, che ancora oggi viene apprezzata, dei “Lirici greci”. La buona fama acquisita, nonostante le polemiche sull’oscurità del suo stile, gli permisero di essere nominato professore di letteratura italiana presso il Conservatorio di Milano. Nel 1942 uscì l’edizione del suo libro più importante, in cui è racchiusa la sua poetica, “Ed è subito sera”, e pubblicò una raccolta chiamata “Giorno dopo giorno”. Il poeta si avvicinò anche alla politica, come militante nelle file del Partito comunista italiano. Nel 1959 ricevette il premio Nobel per la letteratura, quarto dopo Carducci, Deledda e Pirandello; tale riconoscimento fu fonte di molte discussioni, in quanto numerosi critici lo contestarono e lo giudicarono inferiore a personalità del calibro di Montale o di Luci. Morì nel 1968. “Ed è subito sera” Le poesie dell’ermetismo non posso scindere dal loro titolo, che fa già comprendere le tematiche che verranno trattate, e devono essere analizzate parola per parola, poiché ricca di significati. Quest’opera, pubblicata nel 1936 e facente parte della raccolta “Erato e Apòllion”, è un epigramma, in quanto è breve e sintetica, ma piena di significato. - Ognuno: pronome che indica ogni essere presenta sulla terra, sia persone che animali; - Sta: verbo che indica una condizione, un posizione di immobilità; - Solo: aggettivo che introduce il tema della solitudine; - Sul cuore della terra: metafora che spiega incisivamente come tutti noi crediamo di stare al “centro” di un posto, in attesa di qualcosa; - Trafitto da un raggio di sole: l’elemento del sole ha un’accezione negativa, per cui non sta baciando l’individuo o facendo del bene, ma lo sta trafiggendo; - Ed è subito sera: quest’ultimo verso sta a significare che la morte può arrivare in un attimo. Il componimento in origine era più lungo e s’intitolava “Solitudini”, ma in seguito l’autore isolò la terzina conclusiva e tali versi diventarono la sua lirica più nota ed il testo esemplare dell’Ermetismo italiano. “Alle fronde dei Salici” Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia abbandonò l’alleanza con i tedeschi e passò dalla parte dei anglo- americani. Mussolini venne destituito e fondò una Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò, vicino a Brescia, che nessuno però riconobbe. L’Italia si trovò a vivere una guerra civile, in cui i nazisti vennero considerati traditori ed invasero il territorio, concentrandosi nel nord, mentre gli Stati Uniti alleati nel sud; questa durò dal ’43 al ’45 e gli italiani si divisero: a nord si ebbero i partigiani della resistenza, che combatteva il nazifascismo, ed i repubblicani, che appoggiavano Mussolini; da Roma in su si concentrò il movimento partigiano. Nella poesia “Alle fronde dei salici”, pubblicata al 1947 e facente parte nella raccolta “Giorno dopo giorno”, Quasimodo mise in evidenza come, in questo momento di tragedia, la poesia non possa più essere considerata come uno strumento di comunicazione. L’opera inizia con una metafora inerente all’occupazione nazista, parlando dei cadaveri abbandonati appositamente nelle piazze, durante l’inverno del 1944; inoltre, è presenta la sinestesia “urlo nero”, mentre nell’ultimo strofa viene citato un verso della bibbia, che chiude a forma di anello una poesia in cui vengono trattati il tema della guerra, della cristianità in generale e quello religiosa. Così facendo, volle far comprendere al lettore l’impotenza della poesia e dello scrittore quando si verifica un evento come la guerra. Il testo è ricco di simboli, sinestesie ed analogie. Umberto Saba Umberto Saba nacque nel 1883 a Trieste, una città mitteleuropea che allora risentiva dell’influenza dell’Impero asburgico, in cui è tutt’oggi presente la sua libreria. Il suo vero cognome era Poli, ma poiché il padre abbandonò la madre prima della sua nascita scelse di utilizzare lo pseudonimo Saba, in omaggio alle origini ebraiche della madre Rachel Coen (il nuovo cognome in ebraico significa “pane”) e all’amata balia slovena, Peppa Sabaz. Durante i primi quattro anni della sua vita venne cresciuto dalla sua tata, per cui soffrì molto quando sua madre, una donna molta dura e poco affettuosa, decise di allontanarla da lui. Frequentò studi commerciali, senza diplomarsi, lavorò in un magazzino e per qualche tempo si imbarcò come mozzo. Fin da giovane, però, si appassionò alla letteratura e lesse autonomamente i grandi classici. Nel 1903 si trasferì a Pisa e poi a Firenze, dove chiese la cittadinanza italiana; cominciò a scrivere poesie e conobbe molti intellettuali. Nel 1908 si sposò, svolgendo il rito ebraico, con Carolina Wölfler, che divenne la donna della sua vita e con cui l’anno seguente ebbe la figlia Linuccia, che nelle sue poesie chiamerà “Lina”. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il poeta aprì a Trieste, divenuta italiana, una libreria antiquaria e nel 1921 sistemò e ordinò nella prima edizione del “Canzoniere” le raccolte pubblicate fino ad allora. Nel 1928, la sua fama diventò internazionale, ma a causa dei suoi disturbi nervosi e della rottura con la moglie, iniziò una terapia con lo psicoanalista Edoardo Weiss, in cui riuscì ad affrontare i traumi legati alla sua infanzia: l’abbandono e l’assenza del padre, il difficile rapporto con la madre e l’amore per la balia. Da tale esperienza nacquero le poesie della raccolta “Il piccolo Berto”, del 1931, e si riavvicinò alla moglie. Nel 1938, alla promulgazione delle leggi razziali, Saba dovette lasciare Trieste; si rifugiò prima a Parigi, poi a Roma e negli ultimi anni di guerra a Firenze, dove venne aiutato ed accolto da alcuni suoi amici, tra cui Montale. Nel 1945 pubblicò con Einaudi la seconda edizione del “Canzoniere”, che includeva le altre raccolte già uscite. Ritornò a Trieste, lavorò come libraio e pubblicò altri libri di poesia, favolette e aforismi, e raccolte di articoli. Morì nel 1957, ma nel 1975 uscì postumo un suo romanzo incompiuto, “Ernesto”, che narra di un’esperienza omossessuale dell’autore. “Il Canzoniere” Il termine “Canzoniere” indica un insieme di poesie che sono legate tra di loro da un filo conduttore. Il poeta scelse volutamente l’ordine con cui sistemare le poesie. Saba, come fece Petrarca, decise di scrivere un romanzo, una storia della sua vita in versi, intitolando la raccolta allo stesso modo; inoltre, legata ad essa, scrisse anche “Storia e Cronistoria del Canzoniere”, in cui spiega il percorso che ha intrapreso per la divisione delle poesie. Tra le raccolte di Dante, Petrarca e Saba sono presenti notevoli differenze: - “Rime” di Dante: scrisse poesie “sparse”, senza una precisa sistemazione e definite “Rime Dantesche”; - “Canzoniere” di Petrarca: organizzò le sue poesie in un percorso di vita, di pensiero e di poetica; - “Canzoniere” di Saba: scelse di usare delle sezioni per suddividere le poesie della raccolta, da cui nacquero le diverse edizioni e da cui si estrapola la volontà del poeta di creare un percorso letterario nel quale inserirle. Queste si hanno nel 1921, nel 1945, nel 1948 e nel 1951. Il Canzoniere è composto da 3 volumi: 1. Fino al 1920 raccolse poesie appartenenti alle sezioni casa e campagna, Trieste e una donna e quelle di guerra; 2. Dal 1920 al 1932 si ha la sezione dell’autobiografia e della psicoanalisi; 3. Dal 1933 fino alla sua morte si concentrò sulla sezione mediterranee. Saba appartiene alla linea dei poeti tradizionali, in quanto afferma che a lui piace la poesia semplice, con rime banali e che lo hanno sempre ispirato; si rivolge ai lettori dichiarando che è grazie a loro se la poesia riesce a diventare grande, apprezzandola seppur nella sua semplicità. Nel Canzoniere vengono affrontati temi innovativi, come l’infanzia e l’adolescenza trattate sotto il punto di vista della psicoanalisi; riporta i temi della famiglia, parlando di sua moglie e di sua figlia. Associa la città di Trieste ad una donna e narra della natura, legata sia al mare che alla campagna. Racconta di vita quotidiana, diventando il primo a scrivere sul calcio (metafora con la vita), e parla delle donne, sia dell’amata che di quelle sensuali (aspetto erotico). Lui definisce la poesia come un qualcosa di onesto, sincero e chiaro, che deve essere comprensibile a tutti e non solo agli aristocratici; la forma, quindi, è semplice ed i versi sono tradizionali. “Amai” La poesia “Amai”, appartenente alla sezione “mediterranee”, esprime la poetica di Saba: il poeta preferisce utilizzare parole trite, che non vengono usate dagli ermetici, piuttosto che parole complesse. Egli voleva portare poesie oneste, con tematiche legate alla quotidianità. Secondo lui, solo chi prova dolore può scoprire la verità, in quanto ci consente di esplorare a pieno il significato delle cose che ci accadono. Gli ultimi versi sono indirizzati al lettore: un inno a coloro che leggono ed apprezzano le poesie. È un’opera semplice e breve, in cui si trattano tematiche come la verità, l’aderenza alla realtà, il dolore ed il lettore, che diventa parte fondamentale della poesia. Lo stile è semplice, vicino a quello quotidiano. “La capra” La poesia “La capra” appartiene alla sezione “casa e campagna” e venne pubblicata tra il 1909 ed il 1910. La lirica si suddivide in tre strofe, nelle quali l’autore racconta di un suo casuale incontro con una capra: - La prima strofa ha carattere descrittivo, per cui spiega com’è la capra, parlandoci in modo diretto e quasi realistico. L’animale viene rappresentato come un soggetto senza libertà, che possiede tutto, ma a cui manca qualcosa; il suo dolore viene associato a quello del poeta. - La seconda strofa racconta l'episodio, affermando che il belato della capra esprime un dolore universale, il “male di vivere” che si manifesta in tutti gli esseri viventi. - La terza ed ultima strofa, di carattere sentenzioso, enuncia la conclusione, in cui l’autore mette in relazione i termini “Male” e “Vita”, tramite un parallelismo. Inoltre, il poeta individuò nel volto della capra i tratti tipici semiti, ricollegandosi al dolore e alla profonda sofferenza vissuta dagli ebrei. La poesia è divisa in tre strofe di endecasillabi e settenari, con la presenza di assonanze e rime. Lo stile è composto da una lingua semplice ed onesta, che analizza approfonditamente le questioni. “A mia moglie” La poesia “A mia moglie” è una delle più famose di Saba ed appartiene alla sezione “casa e campagna”; venne scritta nel 1910, in un periodo di pace e tranquillità, a Montebello, vicino a Trieste, dove l’autore si stabilì con la moglie. La poesia è dedicata proprio alla sua sposa, nella quale inizialmente non scaturì emozioni positive essendo paragonata alle figure del mondo animale, ma che si ricredette solo in seguito a svariate letture; tale decisione, in generale, fece scandalo e provocò commenti ironici. La poesia è composta da sei strofe di settenari, con rari endecasillabi, quinari e trisillabi, legati da molte rime ed assonanze. Il tema dell'amore, ricorrente in tutta la lirica, viene usato e rappresentato da Saba in modo innovativo: inizialmente offre un’immagine spiazzante della figura femminile, in quanto associa la donna ad una serie di animali, ma in seguito spiega che attua tale paragone dato che questi risultano più vicini a Dio; la poesia viene considerata così come una sorta di preghiera laica, non religiosa, che Saba rivolge come un atto d’amore a sua moglie. Accostare una donna ad un animale venne già fatto nell’antica Grecia, come da Semonide che la collegò ai vizi e alle virtù, mentre Saba risulta più spontaneo nei suoi paragoni, tanto che pare sia descritta dal punto di vista di un fanciullo. In ogni strofa è presente almeno un paragone tra la moglie ed un animale: 1. Ad una gallina per il modo di camminare e per il tono di voce; 2. Ad una giovenca gravida, la cui voce fa venire voglia di regalarle qualcosa; 3. Ad una cagna fedele, che non vede altro che il padrone; 4. Ad una coniglia timorosa, alla quale nessuno può fare del male; 5. Ad una rondine, per la grazia giovanile dei suoi movimenti; 6. Ad una formica previdente, che bada alla casa, e ad un’ape, che lavora instancabilmente. L’autore descrive alcuni animali in modo più approfondito, riportando più dettagli, mentre altri rimangono più asessuali e generici nella spiegazione. Saba e le donne Il filologo Lorenzo Renzi ha riportato nel suo saggio “Come leggere la poesia” un confronto tra la posizione di Saba e quella dei lirici medievali dell’amor cortese: essi celebravano le virtù della donna-angelo che porta a Dio, tendendo ad escludere la dimensione più umana e naturale della figura femminile e la sfera dell’eros. Saba, invece, riconcilia la donna ed il sesso, senza perdere l’idea della donna come salvatrice dell’uomo. “Ulisse” La poesia “Ulisse” richiama la figura mitologica di Ulisse, che rappresenta un topos, un personaggio fisso e ricorrente nella letteratura. Il suo vero nome pregreco è Odisseus, legato alla più antica storia greca, prima che arrivassero gli indi-europei. Odisseo è il protagonista dell’Odissea, presente anche nell’Iliade e nell’Eneide, che incarna l’intelligenza umana e che viene definito da Omero come un “soggetto dal multiforme ingegno”; rappresenta l’uomo che utilizza l’astuzia e la ragione per trovare delle soluzioni ad ogni problema, colui che preferisce l’avventura, il viaggio e la ricerca costante di qualcosa. La rivisitazione migliore della figura è presente nella Divina Commedia. Dante esalta il personaggio, ma allo stesso tempo lo critica poiché tenterà di conoscere l’inconoscibile con la ragione e non con la fede. Saba, nella poesia appartenente alla sezione “mediterranee”, si identifica nel personaggio di Ulisse, dato che per qualche tempo è stato un marinaio e durante il suo viaggio provò il costante desiderio di scoprire altri luoghi. Ulisse è un archetipo della letteratura, e Saba confrontandosi con lui fa un bilancio della propria vita, che, nonostante scrisse la lirica in età avanzata, aveva ancora voglia di fare avventure ed affrontare nuove esperienze. Nella poesia paragona gli avvenimenti e le insidie della vita e dell’esistenza ad isolotti molti pericolosi, che richiamano le peripezie vissute dal protagonista. La raccolta “Ossi di seppia” La raccolta “Ossi di seppia”, pubblicata nel 1925, viene definita da Montale come un romanzo di formazione, il cui titolo richiama gli ossi di mare ed il cui gruppo di parole sono riprese dalla raccolta “Alcyone” di D’Annunzio e si riferisce al panismo. Gli ossi di seppia rappresentano la condizione esistenziale dell’uomo, poiché in grado di galleggiare felicemente sul mare, per cui si avverte un senso di serenità e di abbandono panico, o in quanto possono essere sbattuti sulla terra, che rappresenta l’infelicità, il sacrificio, la vita quotidiana ed i problemi di tutti I giorni. L’uomo si trova costantemente lontano dal mare, per cui viene travolto dal desiderio continuo di tornarci, per trovare la propria beatitudine. La raccolta è divisa in quattro sezioni: 1. “Movimenti”, composta dalle opere più importanti, in cui è presente il contrasto tra terra e mare, natura e città, infanzia e maturità. 2. “Ossi di seppia”, comprende il tema di tutta la raccolta, ossia l’osso di seppia che rappresenta qualcosa di abbandonato e frantumato, simbolo della condizione umana e della poesia stessa di Montale, definita da lui esistenziale e scarna. Inoltre, si ha la mancanza di armonia tra uomo e natura. 3. “Mediterraneo”, è una sorta di poemetto, in cui pare che le nove poesie siano legate insieme. 4. “Meriggi ed ombre”, comprende i testi più importanti del poeta; si ha la figura della donna, Annetta o Arletta, che lui immagina sia morta giovane e che paragona alla Silvia leopardiana. “Spesso il male di vivere ho incontrato” La poesia “Spesso il male di vivere ho incontrato”, appartenente alla sezione “ossi di seppia” e pubblicata nel 1924, è composta da due quartine di versi endecasillabi ed uno è un doppio settenario. Il tema espresso è legato al concetto del correlativo oggettivo, una figura retorica introdotta da Thomas Eliot, che rimanda all’allegoria Dantesca e che consiste nel rappresentare i sentimenti astratti con oggetti concreti. Il poeta mette in evidenzia quali sono per lui le caratteristiche del male di vivere, esprimendole con oggetti legati al mondo minerale, vegetale ed animale. - Nella prima strofa vengono rappresentate tre immagini differenti che esprimono l’aridità e la morte, passando dal mondo inanimato, rappresentato dal rivo strozzato, a quello animato, riportando la figura del cavallo stramazzato. È presente un doppio climax, dato dalla difficoltà di esistere e di scorrere del ruscello, la vita che sta per finire (l’incartocciarsi della foglia) e l’immagine del cavallo morente. Inoltre, è presente una triplice anafora e l’espressione “il rivo strozzato che gorgoglia” riprende il modello stilistico di Dante. -Nella seconda quartina il poeta cerca una soluzione al male di vivere; la triste, ma necessaria decisione di distaccarsi ed essere indifferenti. Dal punto di vista filosofico, tale indifferenza viene associata allo stoicismo e all’epicureismo, che si basa maggiormente sul soddisfacimento del piacere. Quest’ultimo concetto fa riferimento agli Dei, che esistono, ma non si interessano alla sofferenza degli uomini; la divina indifferenza è caratterizzata da oggetti concreti: la statua, ossia il simbolo della condizione umana, la nuvola ed il falco, che va più in alto di tutti. I temi trattati sono quindi il dolore e l’indifferenza come antidoto al male di vivere. “I limoni” La poesia “I limoni”, appartenente alla sezione “movimenti” della raccolta “ossi di seppia” e pubblicata nel 1922, è composta da quattro strofe di versi liberi, formati principalmente da endecasillabi alternati. Quest’opera metta in evidenza la poetica di Montale. - Nella prima strofa l’autore si rivolge al lettore, affermando di non essere un “poeta laureato” ed esordendo con una riflessione sui poeti tradizionali, con cui cerca di spiegare la propria diversità: afferma che i poeti tradizionali preferiscono comporre la letteratura riportando piante dai nomi ricercati, mentre a lui piace parlare di alberi comuni e presenti negli ambienti quotidiani, come i limoni. - Nella seconda e nella terza strofa viene descritto il paesaggio in cui crescono i limoni, silenzioso e deserto, nel quale il poeta si sente a proprio agio e in cui potrebbe accadere improvvisamente una specie di miracolo. La poesia viene vista quasi come un’Epifania, un qualcosa che ci svela la verità sulla nostra esistenza e che può portarci a vivere in una sorte di età felice. - La quarta strofa evidenzia che l’apparizione della presenza rivelatrice è solamente un’illuminazione passeggera, ma forse il miracolo è ancora possibile, se si scorgono i limone oltre il portone di qualche cittadino. La poesia è ambientata d’estata, in un periodo di vacanza che il poeta decide di trascorrere in una località marina e campestre delle Cinque Terre, ovvero il luogo dove passò i momenti più felici della sua infanzia. Montale prende la distanza dai poeti laureati, utilizzando un linguaggio semplici e riportando contenuti semplici ed in sintonia col suo animo, e comprende che la ricchezza nasce proprio da una realtà semplice. Nel paesaggio semplice, avente una natura scarna e ridotta all’essenziale, il poeta attende un’apparizione, per cogliere la verità nascosta sulla propria esistenza, potendo dare un senso alla vita; ciò non si manifesta e Montale ne rimane deluso, fino a che il giallo dei limoni diviene segno di qualcosa di importante, risvegliando la sua speranza. Nella poesia si hanno diversi correlativi oggettivi: l’anello che non tiene ed il filo da srotolare, che avvicinano Montale alla filosofia; i limoni rappresentano la speranza. I temi trattati sono il rifiuto di una poesia troppo letteraria, l’esistenzialismo e la ricerca della libertà. “Non chiederci la parola” La poesia “non chiederci la parola”, appartenente alla sezione “ossi di seppia” e pubblicata nel 1922, è composta da tre quartine di versi liberi, con numerosi endecasillabi. Il poeta presenta una sua visione della poesia, in modo totalmente negativo; difatti, al contrario dei grandi scrittori, Montale non ha messaggi positivi da comunicare ai lettori. La lirica ha una struttura circolare, in quanto inizia e finisce con delle negazioni, richiamando il titolo stesso della poesia e cercano di comunicare qualcosa; la prima e la terza strofa affrontano il medesimo argomento. - Nella prima strofa è presente la parola “squadri”, utilizzata per richiamare qualcosa che consente di analizzare il nostro animo, che risulta prettamente irrazionale. Inoltre, viene offerta la descrizione di una natura arida, che simboleggia il male di vivere e la sofferenza dell’uomo. - Nella seconda strofa è presente una critica all’uomo troppo sicuro di sé, ovvero di colui che vive pacifico, senza porsi quesiti o grandi domande esistenziali, incurante della propria ombra, ossia dei propri problemi e della futura morte; attraverso tale riflessione attua anche un paragone ed una critica indiretta al fascismo e ai fascisti. Lo “scalcinato muro” rappresenta la condizione di limite dell’uomo. - Nella terza strofa il poeta afferma non sia più il tempo dei miti consolatori, per cui è necessario che l’uomo prende coscienza della crisi storica e della debolezza delle persone, facendo emergere un enorme pessimismo. Dal punto di vista stilistico, la lirica procede con un ritmo meditativo ed ha un linguaggio prosastico. I temi della poesia sono il paesaggio arido, la solitudine, la mancanza di certezza, il ruolo della poesia, l’errore di chi vive senza porsi domande ed il pessimismo, che si ampliò nelle sue opere successive. “Meriggiare pallido e assorto” La poesia “Meriggiare pallido e assorto”, appartenente alla sezione “ossi di seppia” e pubblicata nel 1916, è composta da quattro strofe di novenari, decasillabi ed endecasillabi. Il tema principale della lirica è il male di vivere, legato all’ambiente soleggiato della Liguria, per il quale si attua il confronto tra il mare che porta benessere e la terra che fa crescere in noi un senso di abbandono. La lirica inizia con un verbo all’infinito, mantenendo la poesia in un tempo e in un luogo sospesi, e nasce da un’attenta osservazione della realtà, ripresa nei suoi particolari più umili. L’ambientazione è fortemente simbolica ed è legata ad elementi sensoriali, in particolar modo alla vista e all’udito; il paesaggio marino, però, rimanda simbolicamente ad altro: la lontana vista del mare fa pensare ad una presenza infinita. Lo sfondo, però, dona infelicità e sofferenza, in quanto la flora è dissecata dal sole, si hanno rigonfiamenti e cavità del terreno e la fauna è composta da umili animali. Si hanno una serie di correlativi oggettivi: il sole che abbaglia e brucia, il mare lontano e che si vede solamente a pezzi richiama una felicità lontana, mentre la terra è arida come tutta l’esistenza. La vita viene paragonata ad un muro con delle scaglie di vetro, piena di difficoltà che si presentano; tale muro è costante nella poesia di Montale e rappresenta il limite umano, ma richiama anche la siepe leopardiane (limite oltre il quale il poeta immagine l’infinito). Da un punto di vista stilistico è presente un linguaggio vago ed indefinito. I temi trattati sono l’aspro paesaggio ligure e l’impossibilità di varcare i limiti della condizione umana. La raccolta “Le occasioni” La raccolta “Le occasioni”, pubblicata nel 1939, in pieno periodo fascista, è la seconda raccolta di Montale e rappresenta quella più influenzata dall’ermetismo, che diventa una riposta dei poeti alle repressioni subite; il poeta, infatti, si chiude in un’aristocrazia della poesia e si obbliga a comporre poesie volutamente difficili e per pochi. Le poesie appartenenti alla raccolta sono molto complesse e ricche di correlativi oggettivi. La donna di riferimento è la giovane ebrea americana Irma Brandeis, che Montale chiama con lo pseudonimo “Clizia” e che rappresenta la donna portatrice di cultura, che può salvare gli uomini dall’ignoranza; appare raramente nella raccolta, per cui il titolo è “Le occasioni”. Nella raccolta si fa particolarmente riferimento alla Laura di Petrarca, nonché al suo monostilismo, ossia uno stile sempre vicino a se stesso. Oltre a Clizia, è anche presente Annetta o Arletta, figura principale della raccolta “Ossi di seppia”. La raccolta è divisa in quattro sezioni, senza titoli, ma distinte ed indicate dai numeri romani; queste sono: I. Comprende figure di donne e sono descritti dei paesaggi; II. Comprende componimenti molto brevi, basati sulla figura di Clizia e sull’assenza o sulla presenza della donna; III. Parla dell’umanesimo delle lettere, in quanto la letteratura rende umani. Il concetto di umanesimo deriva dalla filantropia greca ed è legato all’humanitas latina: essere umani significa rispettare gli altri ed essere solidale (Terenzio affermò “sono uomo: niente di umano lo ritengo estraneo da me”); IV. Comprende le poesie più difficili della raccolta, in cui si ha una contrapposizione netta tra interni, che rappresenta l’aspetto positivo e la sicurezza, e l’esterno, che rappresenta la paura, la guerra ed il fascismo. “La casa dei doganieri” La poesia “La casa dei doganieri”, appartenente alla sezione IV e pubblicata nel 1930, è dedicata ad Annetta o Arletta. È una lirica molto complessa, in quanto si ha il contrasto tra il poeta che ricorda e la donna che ha dimenticato; alla fine non si comprende più chi ha rammentato o chi abbia rimosso, chi è ancora vivo o chi è già morto. Nulla è chiaro, poiché è una poesia fortemente simbolica, con molti punti da chiarire. Le prime tre strofe si riferiscono ad Annetta con il “tu” femminile, con cui la critica per non ricordare la casa dei doganieri, ossia il luogo in cui si trovavano i finanziari che controllavano non avvenisse il contrabbando. Il tema principale è la memoria, il ricordo, l’interno e l’esterno, che vengono espressi attraverso i correlativi oggettivi; gli oggetti emblema utilizzati sono: il libeccio che sferza (aggressività), la bussola impazzita (disorientamento), il calcolo dei dadi (imprevedibilità della vita), il filo aggrovigliato, la banderuola affumicata (lo scorrere inesorabile del vento), il varco (il limite tra la vita e la morte, ciò che è conoscibile e ciò che non è conoscibile), l’orizzonte (la vita falsa, la società di massa ed il fascismo) e la casa (ha un’accezione positiva e rappresenta la sicurezza, la vita vera, l’interiorità). Nella parte finale, il poeta si chiede chi tra i due soggetti sia vivo e morto, e cosa significa essere veramente vivi.
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