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Esame completo di Letteratura Spagnola III, Cerròn Puga, compreso di riassunto "L’ETÀ D’ORO DELLA LETTERATURA SPAGNOLA - IL CINQUECENTO", Profeti., Sbobinature di Letteratura Spagnola

Esame completo e dettagliato di Letteratura Spagnola III (Cerròn Puga), compreso di riassunto "L’ETÀ D’ORO DELLA LETTERATURA SPAGNOLA - IL CINQUECENTO", Profeti. Trascrizioni di tutte le registrazioni, analisi del Don Quijote, dei vari romanzi e delle poesie.

Tipologia: Sbobinature

2019/2020

In vendita dal 19/04/2020

carla.1997
carla.1997 🇮🇹

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Scarica Esame completo di Letteratura Spagnola III, Cerròn Puga, compreso di riassunto "L’ETÀ D’ORO DELLA LETTERATURA SPAGNOLA - IL CINQUECENTO", Profeti. e più Sbobinature in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! L’ETÀ D’ORO DELLA LETTERATURA SPAGNOLA - IL CINQUECENTO Epoca di Filippo II – Introduzione politica europea e americana di Filippo II – Nazionalismo e Controriforma Il conflitto ideologico, che divideva l’Europa in due blocchi contrapposti sempre più rigidamente, aumentò durante il regno di Filippo II (1556-1598) soprattutto con l’ascesa al trono di Elisabetta d’Inghilterra; lo scontro, che aveva già superato i confini della disputa religiosa, peggiorò con l’intervento dei due monarchi intenti a comportarsi come paladini intransigenti delle rispettive fedi. Filippo II si preoccupò di difendere su tutti i fronti (con un grande sforzo militare) la sua concezione assolutistica di potere, fondata su una rigida ortodossia cattolica, spendendo moltissime energie della Spagna e rischiando così di esaurire le risorse nazionali. Durante il regno di Filippo II la Spagna sembrò raggiungere il massimo del suo potere militare e politico: la vittoria di Lepanto, l’annessione del Portogallo, alcuni successi nelle Fiandre, la conquista delle Filippine… ma inseriti nel contesto generale degli avvenimenti, tutti questi episodi perdono un po’ di importanza. Anche la situazione economica creava un’immagine di floridezza ma invece dietro al bagliore dell’oro, che suscita la cupidigia dei conquistatori e l’illusione dei governanti, si nasconde il paradosso di un’economia totalmente improduttiva, in un paese le cui campagne si vanno spopolando al contrario delle città che si vanno gonfiando di masse parassitarie in cerca di fortuna. In realtà, con l’epoca di Filippo II inizia per la Spagna un inarrestabile processo di disfacimento politico, sociale ed economico. Nel 1560 re Filippo II fissò stabilmente la corte a Madrid che in pochi anni si trasformò in una capitale brillante; egli impose un controllo diretto sull’aristocrazia istituendo un complesso apparato di funzioni burocratiche e di attributi onorifici grazie a cui seppe conferire un lustro formale togliendo potere effettivo ai “grandes” della piramide sociale. Isolandosi a lungo nel palazzo dell’Escorial, il monarca spagnolo decise di governare personalmente attraverso controlli pignoli. Filippo II favorì la tendenza all’ordinamento teocratico della società e contribuì a imporre un’intransigenza dogmatica molto rigida, manifestata soprattutto nell’ambito degli studi umanistici, filosofici e religiosi. Già nel 1559 l’indice dei libri proibiti dall’Inquisizione aveva condannato moltissime opere. Avendo ormai una funzione di estremo baluardo dell’ortodossia cattolica, la Spagna inizia a presentare anche un forte sentimento nazionalistico (connubio mistico-patriottico) presente quasi in ogni ambito della produzione letteraria. Il fervore di riforma spirituale che anima i religiosi spagnoli durante e dopo il Concilio di Trento non tende solo verso una chiusura conservatrice, anzi si cerca di ravvivare la fede nelle verità trascendenti della dottrina cattolica (minacciate dalla predicazione protestante). Furono soprattutto i gesuiti spagnoli a cercare di recuperare la cultura antica attraverso un processo educativo. Il controllo sulla diffusione della stampa, attraverso la censura introdotta dall’Inquisizione, rappresentò il rischio di un’esclusione della Spagna dal libero scambio di idee ma stimolò una vera e propria esigenza di rigore morale. Nonostante ciò, la produzione profana era altrettanto ricca e vitale: la poesia tradizionale, la prosa romanzesca, il dinamismo del teatro arricchiscono la letteratura spagnola dell’epoca di Filippo II di una gamma straordinaria di manifestazioni creative. MIGUEL DE CERVANTES Y SAAVEDRA La vita Tutta l’esistenza di Cervantes si baserà sul percorso di un duplice binario: uno lo portò prima alla carriera militare e poi ad assolvere compiti di esattore per procurarsi un minimo di stabilità economica e ciò gli procurò sconfitte e amarezze; l’altro lo portò ad addentrarsi nel labirinto della scrittura rendendolo protagonista indiscusso negli scenari della memoria. Miguel de Cervantes Saavedra nasce ad Alcalá de Henares nel 1547 tra la fine di settembre e i primi di ottobre. La sua infanzia scorre in uno spazio urbano itinerante: Alcalá, Valladolid, Cordova, Siviglia sembrano essere state le città dove Miguel soggiornò seguendo le vicissitudini del padre che voleva migliorare l’economia familiare. Poi nel 1566 lui e la sua famiglia i stabiliscono a Madrid. Gli spostamenti dei nuclei familiari erano molto frequenti a quel tempo per chi no possedeva un reddito fisso; era quindi necessario spostarsi per trovare l’ambiente che offriva maggiori opportunità. Ad esempio per questo motivo la vita di Cervantes sarà caratterizzata dal VIAGGIO: lui e i suoi personaggi percorreranno le strade della Spagna, solcheranno il Mediterraneo, soggiorneranno volentieri in Italia e loro malgrado ad Algeri. Cervantes tenterà (senza successo) di trasferirsi nel Nuovo Mondo, cercherà poi di tornare nell’amata Napoli ma dovrà continuare la sua esistenza per terre andaluse e castigliane. Per ultimo fisserà la sua dimora a Madrid dove vivrà i suoi ultimi anni. Ricostruire il filo degli eventi che caratterizzarono la sua esistenza è un compito molto difficile a causa di alcune “zone oscure” prive di documentazione o introvabile o perduta. La prima testimonianza di una sua opera poetica risale al 1567: un sonetto celebrativo scritto in occasione della nascita della figlia di Filippo II e di Isabella di Valois. In quel periodo il giovane Cervantes molto probabilmente frequentava i cenacoli della capitale stabilendo relazioni amichevoli con alcuni poeti che saranno anche da lui lodati nel Canto de Calíope inserito nella Galatea, romanzo da lui scritto seguendo il modello pastorale di moda in quel periodo. Il suo inizio fu promettente ma venne seguito da 15 anni di peripezie durante i quali Cervantes non trovò modo di dedicarsi alla scrittura. Alla fine del 1569 inizia un nuovo e avventuroso periodo della sua vita: Cervantes lascia la corte e fugge in Italia perseguito dalla giustizia spagnola con l’accusa di aver ferito in duello Antonio de Sigura. La condanna per questo reato doveva essere il taglio della mano destra e l’esilio per dieci anni ma così Cervantes si autoriduce la pena al solo esilio. Nel 1571 parte per la battaglia di Lepanto: si batté coraggiosamente ricevendo tre colpi di archibugio, due al petto e uno alla mano sinistra che gli restò anchilosata/paralizzata per sempre. Questa ferita fu per tutta la vita motivo di orgoglio, come possiamo vedere nel prologo alla seconda parte del Quijote in cui Cervantes risponde all’offesa di “vecchio e monco” lanciatagli da Avellaneda. Miguel farà curare le sue ferite a Messina per poi partecipare ad altre tre missioni contro i turchi. Nel 1575 torna a Napoli dove soggiorna per diversi mesi, essendo per lui una città accogliente e stimolante. L’Italia rappresenta per Cervantes una civiltà raffinata e affascinante. Vivendo in quell’ambiente ebbe la possibilità di conoscere i modelli letterari della tradizione italiana e la nuova sperimentazione. Dalle tracce che lascia nelle sue opere possiamo supporre che leggesse Petrarca, Boccaccio, Boiardo, Ariosto, Sannazaro, Tasso, Leone Ebreo e che abbia assistito alle rappresentazioni della Commedia dell’Arte ( lo si nota ad esempio dai suoi Entremeses) ecc. A settembre del 1575 decide di tornare in patria a bordo della galera Sol che viene però catturata dai corsari barbareschi. A causa di alcune lettere di raccomandazione che Cervantes portava con sé, Miguel viene visto come un personaggio di valore al momento del riscatto. Viene catturato e fatto prigioniero per cinque anni ad Algeri. Questa esperienza sarà filtrata posteriormente da Cervantes in diverse opere dislocate nel tempo e nei generi della sua scrittura, ad esempio El trato de Argel, Los baños de Argel, l’episodio del Cautivo nel Quijote . Si tratta quindi di proiezioni letterarie di un vissuto. Dopo lunghe trattative e peripezie, il 19 settembre 1580 Cervantes viene liberato. Nonostante ciò, ad attenderlo c’è un’inaspettata difficoltà: l’ingratitudine del potere. Dopo 12 anni di assenza Miguel non trova nessuna porta aperta e ritrova molti problemi in famiglia, anche economici. Miguel reagisce chiedendo un sussidio al Consiglio di Castiglia ma non gli viene concesso: l’economia della Spagna aveva ormai iniziato la sua parabola discendente. A febbraio del 1582 Cervantes è di nuovo a Madrid e ritorna alla sua grande passione per le lettere: sta scrivendo il suo primo romanzo, La Galatea. Cervantes per questo suo primo romanzo sceglie i moduli del genere pastorale forse perché prende in considerazione l’attesa del pubblico. Infatti in quel periodo questo tipo di romanzo rappresenta una sorta di “letteratura di evasione” poiché caratterizzata da un mondo dolce ma non fantastico: un microcosmo idilliaco al contrario del macrocosmo esistenziale del periodo, pieno di tribolazioni. Inoltre nelle opere di tipo pastorale l’autore può intercalare componimenti poetici (probabilmente già scritti da Cervantes da tempo). La Galatea: fedeltà e scarto rispetto ai modelli La Galatea, primo romanzo di Cervantes, è la chiave con cui l’autore accede al mondo letterario. Nelle sue opere successive, l’universo pastorale appare e concretizza uno dei fili tematici e ideologici che caratterizzano la sua scrittura. Essa fluttua tra idealismo e realismo. La vicenda principale dell’opera vede protagonisti due pastori, Elicio ed Erastro e l’oggetto del loro amore, la pastora Galatea. La storia è caratterizzata dall’assenza di evoluzione. Nel rispetto del codice pastorale i protagonisti “non fanno”, “sono”. Il personaggio femminile non mostra la sua predilezione, stimando entrambi solo come amici. Il triangolo sentimentale quasi non si evolve e mostra solo una minima variazione alla fine del romanzo, data da una circostanza esterna: le nozze imposte di Galatea con un pastore sconosciuto e forestiero sarà l’unica molla che innesca il movimento della protagonista verso Elicio con una lettera in cui chiede aiuto. Elicio, aiutato da tutti i pastori del luogo e da Erastro (che accetta la scelta di Galatea pur di restarle amico), si propone nel ruolo di difensore. Comunque il romanzo finisce prima che i personaggi possano agire nella loro nuova veste. Tutta l’opera è caratterizzata da un’atmosfera di sospensione. All’interno di essa si inseriscono le storie d’amore, il vero motore del romanzo. Presentano una struttura ricorrente: sono presentate improvvisamente e modificano il tenue filo della narrazione principale. Il loro racconto si interrompe a causa dell’avvento di altri episodi che si impongono in un intreccio a catena, non sena che venga esplicitata la promessa di continuare la relazione quando lo svolgersi dell’azione presenterà un momento più favorevole. Quindi la storia primaria si rivela come collante, contenitore, pretesto per narrare altre storie, e la tensione la regge è tutta, e solo, nell’attesa di uno scioglimento che non ci sarà. A conferma della scelta di un tale artificio letterario, Cervantes lascerà interrotta l’opera, con l’impegno esplicito di scrivere la seconda parte. Questa promessa presente alla fine del testo si rinnova nella prima parte del Quijote, nella dedica delle Ocho comedias, nel prologo della seconda parte del Quijote e nella dedica del Persiles. Il finale aperto promette un seguito che non verrà mai scritto. Il romanzo si apre in medias res: il lettore incontra Elicio che canta il suo amore senza speranza per Galatea e poi viene immesso in un paesaggio fluviale sereno. Il narratore onnisciente introduce il secondo protagonista, Erastro, delineandone la tipologia di essere storico, antitetica a quella di Elicio che viene invece rappresentato come essere poetico. Le due figure presentano inoltre il tema classico dei due amici, tema che sarà elaborato anche in altre opere (come vediamo ad esempio nel racconto del Curioso impertinente intercalato nel Quijote). I personaggi di quest’opera vengono presentati come amabili e pacati mentre trascorrono le loro giornate in splendidi paesaggi agresti dove pascolano greggi; in solitudine o in amichevole compagnia cantano o scrivono componimenti per dare sfogo ai loro sentimenti d’amore; ragionano, parlano delle pene del cuore; esultano dell’allegria altrui o compiangono le altrui pene; danno sempre affettuosa protezione e sollecito aiuto a chi ne ha bisogno. Il ragionare dei pastori è solitamente interrotto da un vento che squarcia in modo inatteso lo schema bucolico: viene introdotta la violenza con la narrazione di un omicidio. Nella Galatea (spazio atemporale) la comparsa della morte introduce il tempo e scardina l’armonia dell’universo pastorale. I diversi “satelliti-racconto” che affollano La Galatea propongono temi classici e sempre ricorrenti nel genere pastorale e greco-bizantino, come amicizia, amore, gelosia, avventure, aridità del cuore, civetteria, moralismo. Le storie e i temi che si intrecciano nella Galatea possono essere così riassunti: - l’amicizia che vince anche l’amore; - la ricchezza che vince sull’amore; - l’imprudente civetteria; - l’incapacità di amare. In tutte queste storie, la narrazione degli eventi viene focalizzata dal punto di vista del narratore- protagonista. Nell’opera appare anche la tematica delle celebrazioni funebri, tipico del mondo pastorale. La Galatea presenta inoltre una numerosissima serie di componimenti poetici: un’egloga rappresentabile di dodicimila versi, il Canto de Calíope, un’ottantina di poesie tra sonetti e composizioni più lunghe. Strutturalmente pertinenti al genere pastorale, non sempre appaiono al servizio della narrazione ma si configurano come interruzioni nel flusso del racconto. Quando apparve, La Galatea non ebbe un grande successo. Essa rappresenta un tentativo fallito di ricreare una realtà integrale, dove vita e letteratura possano esprimersi in un sodalizio. La Galatea: nucleo di riferimento della narrativa cervantina Come spesso accade, la prima opera di un grande autore racchiude elementi costitutivi che ricorreranno nella produzione successiva, caratterizzandone la scrittura. Nel caso della Galatea di Cervantes, i riscontri si articolano su tre diversi livelli: ideologico, strutturale e tematico. La corrispondenza a livello ideologico si esprime nel tentativo di fusione tra letteratura e vita, tra Arte e Natura, che riuscirà pienamente nel Quijote, nelle Novelas ejemplares e nel Persiles. Il collegamento a livello strutturale si esplicita su un doppio binario: il movimento pendolare (rifiuto dello schema fisso) propone l’introduzione di un elemento al quale farà seguito il suo contrario, in un tentativo di rappresentazione globale; la configurazione del materiale narrativo come amalgama di generi di cui l’autore si serve per arrivare alla sua personale proposta creativa. Per quanto riguarda i legami che intercorrono a livello tematico, basti pensare ad alcuni esempi significativi che ritroveremo nel Quijote: la storia dei due amici che, con varianti, passerà nella novella intercalata i cui protagonisti saranno Lotario e Anselmo; l’episodio di Gelasia e Galercio, riproposto con la storia di Marcela e Crisostomo, dove la tipologia dei personaggi acquista la complessità che permette lo scioglimento tragico del racconto. EL INGENIOSO HIDALGO DON QUIJOTE DE LA MANCHA Storie di metamorfosi Il Quijote è un’opera caleidoscopica i cui cristalli mutano figura in base agli spostamenti che la mano del tempo compie. Ai lettori del Seicento l’opera appare come un romanzo indirizzato al loro divertimento MA i più accorti si resero conto della scia di malinconia che lo pervade. Per la sensibilità odierna, l’opera è un cosmo palpitante in cui il messaggio dell’autore si spande a raggiera e offre la rappresentazione esilarante e mesta della complementarietà tra vita e letteratura, per mezzo della formula saggezza/pazzia che sarà trascesa per diventare metafora del precario equilibrio esistenziale. Tale visione del mondo è plasmata da Cervantes con la creazione del personaggio di don Quijote, che poi si troverà in un rapporto di interdipendenza con quello di Sancho Panza. Intorno a essi, tanti altri personaggi apportano, con le loro storie, il materiale che rende più variegato e dinamico lo svolgimento dell’opera. Ambiguità e ironia sono i filtri attraverso i quali Cervantes costruisce l’impalcatura del testo, il cui tema portante è la volontà di essere che diventa l’essere. Per riassumere in modo sintetico l’argomento dell’opera possiamo dire: << un hidalgo fanatico lettore di libri di cavalleria diventa pazzo, immagina di essere un cavaliere errante ed esce tre volte dal suo villaggio alla ricerca di avventure che sono autentiche pazzie; finché, costretto a ritornare a casa, si ammala, rinsavisce e muore cristianamente >>. PRIMA PARTE DEL ROMANZO Il romanzo si apre con la presentazione del protagonista, modesto hidalgo della Mancia che, con dedizione, si è votato alla lettura dei libri di cavalleria. Stanco di una realtà piatta, trova nei valori che in essi si esaltano il vero senso della vita. Posseduto dal modello eroico letterario, decide di calarvisi e mutare sicurezza e noia in avventure e gloria. Preso da singolare FOLLIA, compie la metamorfosi: Alonso Quijano, pacifico e statico, si trasforma in don Quijote de la Mancha, cavaliere errante alla ricerca di avventure. Questa nascita del nuovo personaggio rispetta le fasi del rituale: l’autobattesimo, la trasformazione dell’aspetto estetico, il coinvolgimento del suo vecchio ronzino (ribattezzato Rocinante) e infine la scelta di una dama da amare e servire (una contadina che attraverso la metamorfosi cavalleresca diventa Dulcinea del Toboso). Il tema della metamorfosi è tipico nel Barocco e vediamo che anche in quest’opera ricorre non solo per il protagonista, ma anche per altri personaggi che appariranno trasformati, spesso a causa di pene d’amore come nel caso di Cardenio (gentiluomo diventato folle selvaggio), Eugenio (ricco possidente mutato in pastore), Dorotea (ricca fanciulla trasformata in ragazzo che accudisce un gregge). Anche la realtà apparirà trasfigurata nella visione di don Quijote: i mulini saranno per lui giganti; la locanda sarà un castello; le sguattere saranno gentildonne ecc. Dobbiamo notare che tra la prima e la seconda parte vi è una differenza sostanziale nel meccanismo della metamorfosi: nel testo del 1605, esse avvengono per volontà dei protagonisti, specialmente per quanto riguarda don Quijote; nella seconda parte, quando la fantasia del cavaliere sospende il meccanismo di trasformazione della realtà, le trasfigurazioni saranno invece provocate da alcuni personaggi che, sapendo della follia che ha colpito l’hidalgo (avendo letto la prima parte dell’opera), si divertono ad architettare avventure burlesche e crudeli in cui lo cacciano. La STRUTTURA dell’opera completa (prima e seconda parte) si articola in una sequenza di funzioni costanti che vedono protagonista don Quijote e che si modificano solo per le modalità che l’istanza narrativa adopera riguardo alla strategia della fabulazione: presa di coscienza, follia, partenza autodeterminata, avventure, ritorno forzato. Solo di fronte alla percezione della morte, quando la fede negli ideali difesi vacilla e don Quijote è stanco, umiliato e vinto, il narratore spezzerà l’impulso che innescava la coazione a ripetere del protagonista e lo lascerà andare, “saggio”, a compiere l’ultimo viaggio. Ora è tornato in lui, ora è Alonso Quijano. Prima di finire savio, don Quijote, confortato dalla lucida follia, aveva intrapreso tre viaggi straordinari e meravigliosi. Il primo lo compie da solo, lasciandosi portare dall’estro del suo ronzino con lo scopo di ricevere l’investitura di cavaliere. Giunge esausto da una locanda che sarà per lui un castello, con un oste che ne diventa quindi il signore. Costui e le serve lo assecondano, lo rifocillano e all’alba viene ordinato cavaliere. La sua stravaganza può tutto; egli vive una realtà virtuale che si scontra con la realtà. Continua il viaggio, incontra un uomo che picchia un servo, lo ferma, gli fa promettere che il servo sarà pagato e si allontana. Appena se ne va, il padrone ricomincia a picchiare il servo. Ferito da alcuni mercanti, l’hidalgo viene raccolto da un compaesano che lo riporta a casa. Preoccupati dal suo stato confusionale, la governante e la nipote, insieme al curato e al barbiere del paese, decidono di far sparire i suoi libri. Don Quijote parte per il suo secondo viaggio, questa volta accompagnato dal suo scudiero: Sancho Panza, un contadino che viene convinto all’avventura con promesse di tesori, potere e gloria. Durante questo viaggio, l’hidalgo si scontra con i mulini scambiati per giganti, tenta di liberare una donna che crede essere una principessa, a un gruppo di pastori ricorda l’apologia dell’età dell’oro, ascolta il racconto del suicidio di Crisostomo e del suo amore per Marcela che l’ha rifiutato per mantenere la sua libertà, si batte con certi allevatori di cavalli e viene nuovamente ferito. Si rifugia in una locanda per poi riprendere il cammino. Inizia una battaglia contro un gregge che gli sembra un esercito, si scaglia contro un corteo funebre credendo che nella bara ci sia un cavaliere prigioniero. Nella bacinella di un ignaro e malcapitato barbiere riconosce l’elmo di Mambrino, uno dei suoi eroi; se ne impadronisce e ne fa il suo copricapo. In nome della libertà scioglie dalle catene un gruppo di galeotti; si rifugia nei boschi della Sierra Morena dove vaga Cardenio, anche lui pazzo ma per amore. Si ritira in penitenza e manda Sancho latore di un messaggio a Dulcinea. Nel viaggio lo scudiero incontra in una locanda il curato e il barbiere che decidono di riportare don Quijote a casa. Mentre si dirigono verso il cavaliere incontrano Dorotea, una facoltosa donna in preda alle pene d’amore. La convincono a fingersi una principessa bisognosa d’aiuto: l’hidalgo perderà interesse per tutte le altre avventure ed esulta poiché secondo lui il destino sollecita le sue imprese e crede che la lettera sia giunta realmente a Dulcinea. (studio dei proverbi), la tradizione carnevalesca. Da quando è stato pubblicato, il Quijote ha sempre conosciuto il favore del pubblico; sono moltissime le varie edizioni e le traduzioni dell’opera. Il Quijote, amalgama di vita e di letteratura, fusione dialettica di generi e ideologie, è un fiume in piena che fertilizza la letteratura successiva. Ogni sua lettura è uno stimolo alla scoperta del sorriso e della malinconia. NOVELAS EJEMPLARES Nell’estate del 1613 vengono pubblicate in un volume le dodici Novelas ejemplares. Viene subito da chiedersi perché l’autore diede il nome di “esemplari”. Possiamo dire che il primo scopo di Cervantes non è quello di scrivere i suoi racconti sull’impronta degli exempla medioevali. I nuclei tematici infatti si presentano, in molti casi, come anti modelli offerti al lettore perché si disponga a evitarli. L’epiteto “esemplare” segnala non tanto un doppio e contrapposto modello morale, quanto un modello di scrittura; l’originalità dei testi cervantini si riscontra proprio quando si esamina la possibile attinenza a un codice determinato. I modelli soddisfano l’orizzonte d’attesa del periodo: novella sentimentale, bizantina, picaresca, pastorale. Ma Cervantes riesce a modificare profondamente i sistemi e a presentare un testo che va oltre le coordinate insite nei moduli di riferimento. In questo senso l’esemplarità delle Novelas è nella novità che l’autore propone con i suoi testi, diventati prototipi di un’altra scrittura. Essa si fa magmatica, gli schemi crollano: è il movimento che ha accompagnato la nascita del nuovo romanzo. I racconti devono distrarre piacevolmente con moderazione e onestà. L’autore nel Prologo chiarisce il senso dell’epiteto e fornisce al destinatario i suoi intenti, evidenziando anche l’orgoglio e la sicurezza dell’autore stesso provato per la riuscita del suo progetto. Le Novelas furono valutate molto positivamente. Nel loro giudizio si sottolinea l’aspetto innovativo, la capacità di divertire serenamente e la lezione di vita che contengono ( intento dilettevole dell’opera). Un affresco letterario e sociale Il corpus delle dodici novelle porge al lettore (con linguaggi adeguati a ogni argomento e codice) intricate e seducenti storie d’amore e testimonianze filtrate sul logoro tessuto sociale dell’ormai decadente impero asburgico. Presentiamo rapidamente il nucleo tematico di ogni novella e i codici a cui ognuna attinge. La gitanilla è una storia d’amore e di amicizia risolta con l’agnizione finale che ne permette uno scioglimento felice. Mutua da codici picareschi e amoroso-sentimentali. El amante liberal racconta di un amore non corrisposto, di intrecci, prigionie, avventure e una catena di passioni. Si conclude con l’amore contraccambiato. Canoni della novella di cautivos e del romanzo bizantino. Rinconete y Cortadillo riferisce l’amicizia e le avventure di due ragazzi nei bassifondi sivigliani della Spagna imperiale. Moduli picareschi. La española inglesa espone, sullo sfondo del conflitto tra religioni, i travagli di un amore di grande spiritualità. Canoni del romanzo bizantino e di cautivos. Il licenciado Vidriera è a cronaca di una pazzia che rende libero chi la soffre e di un rinsavimento che lo condanna all’indifferenza. Schemi della novella picaresca con prospettiva psicologica. La fuerza de la sangre è una storia di violenza e amore. Codice sentimentale. El celoso extremeño presenta un caso di solipsismo e di trasgressione. Genere “celestinesco” con implicazioni metafisiche. La ilustre fregona propone la storia di un’amicizia che sostiene una storia d’amore, giunta a lieto fine con l’agnizione. Statuto picaresco e sentimentale. Las dos doncellas è costituita da casi d’amore felicemente risolti dalla passione e dall’ardimento. Genere pastorale e bizantino. La señora Cornelia è la storia di un amore contrastato che arriverà a un fortunato epilogo. Statuto del romanzo sentimentale. El casamiento engañoso è il racconto di un ingannatore ingannato che annuncia la testimonianza dell’evento raccontato nella novella successiva. Codice picaro-celestinesco. Coloquio de los perros è il dialogo tra due cani che ragionano sulla doppiezza degli umani e sulla loro crudeltà. Picaresco e letteratura filosofica. Importanza del tema amoroso nella raccolta: amore espresso da desiderio, gelosia, purezza. I personaggi delle novelle illustrano compiutamente la società seicentesca: nobili, picari, magistrati, mercanti, possidenti, governatori, servi, schiavi, padroni, giovani, vecchi, cristiani, turchi, cattolici, protestanti, ebrei, emarginati, integrati, ecc. L’unica immagine di Cervantes che è giunta fino a noi è quella descritta da Cervantes stesso nel Prologo di questa opera: si rammarica ma con ironia di non possedere un ritratto che lo renda noto ai posteri e prosegue quindi con una disinvolta autodescrizione. VIAJE DEL PARNASO: RITRATTO DELL’ANZIANO ARTISTA Il Viaje è un poema allegorico, burlesco in terzine a rima incatenata (ABA BCB CDC ecc.) in cui l’autore è allo stesso tempo protagonista e voce enunciativa (opera in prima persona). Divisa in otto capitoli, la storia racconta le peripezie dell’autore, esortato da Mercurio a compiere una spedizione-pellegrinaggio nel Parnaso per sostenere Apollo assediato dai tanti poeti che in quel periodo proliferavano nelle lettere spagnole. Lo scrittore aiuta il dio messaggero a scegliere, da un elenco che gli viene presentato, i poeti più gagliardi da condurre al sacro monte, in difesa del nume della Poesia. Il viaggio si compie su una nave singolare costruita di metri poetici. Arrivati al Parnaso dopo molti incidenti, i poeti validi sono onorati da Apollo. Il protagonista cade in un sonno profondo causato da Morfeo e si sveglia a Napoli, dove ricorda gli anni lieti della giovinezza e dove assiste alle feste del conte di Lemos, raggiunge la Francia senza capire come per ritrovarsi infine a Madrid, in modo altrettanto inspiegabile. Completa l’opera la composizione in prosa Adjunta al Parnaso, in cui Cervantes (sempre nelle vesti del personaggio) descrive l’incontro con un giovane poeta e suo ammiratore. Questi è latore di una lettera di Apollo, nella quale sono enunciate una serie di regole atte a salvaguardare la poesia spagnola. Possiamo dire che il Viaje, caratterizzato da un registro fantastico, è la parodia del mondo mitologico rinascimentale. I disseminati riferimenti autobiografici inoltre permettono di definire il testo come “testamento poetico di Cervantes”. Cervantes sceglie, per delineare il suo “itinerario d’autore”, il genere grottesco-satirico: rifiuto o capovolgimento di ogni pretesa didattica o moralizzatrice; sostiene attraverso il tono burlesco un messaggio dissacrante del codice letterario che promuove la scrittura. Quando Cervantes pubblica quest’opera è ormai un anziano ammalato e non gli è alieno il presagio della morte. Non a caso verso la fine del poema, un personaggio lo definisce come “semidifunto”. CERVANTES E IL TEATRO La teoria drammatica, i rapporti con l’ambiente Lontano dalla Spagna dal 1569 al 1580, anni fondamentali per la storia del teatro spagnolo, Cervantes tenta al suo ritorno di inserirsi nell’ambiente teatrale, a suo dire con buoni risultati, anche se lascia nel vago l’entità del proprio contributo. Il primo teatro cervantino appare vicino al sistema che si era forgiato verso la metà del secolo: argomenti di attualità e magari di taglio autobiografico, come le turcherie e il ricordo di Lepanto, si uniscono a quelli di tono ariostesco e tassiano. Nel Prologo alle Ocho comedias (1615), Cervantes tenta inutilmente di esagerare la propria autopresentazione in veste di novatore: certo egli non fu il primo a ridurre gli atti a tre, né a porre in scena “figure allegoriche”, che anche il giovane Lope utilizza. Le due opere che ci restano attestano poi un tipo di teatro povero di azione, declamatorio, ben lontano dagli sviluppi degli ultimi anni del XVI secolo e delle prime decadi del XVII. Forse il successo fu scarso. Trascinato dalle vicende personali, dal 1587 al 1591, Cervantes a suo dire si allontana dalla scrittura teatrale; forse i contatti tornano ne 1592 quando stipula un contratto con il capocomico Rodrigo Osorio. Comunque Cervantes guarda sempre più spaesato il panorama della scena spagnola, che gli appare confuso e dissennato. Ormai è sparita la distinzione tra comico e tragico (che ancora si manteneva nella prima metà del XVI secolo) ed è lontana e dimenticata la “semplicità” rinascimentale di Rueda, sulla quale l’anziano scrittore affabula. Nel 1615 Cervantes, ormai sessantottenne, pubblica Ocho comedias y ocho entremeses nuevos, nunca representados con un prologo molto amareggiato. Proporre la propria opera teatrale A STAMPA si configura così come un estremo tentativo, una rivendicazione contro un ingiusto e per Cervantes incomprensibile oblio. Stravagante è anche il numero di testi raccolti, otto, visto che di solito le commedie di Lope e poi quelle di Zorrilla, Calderón, si stampavano letteralmente a dozzine, riunendo quindi 12 testi. Osservando queste Ocho comedias ci rendiamo conto che Cervantes non tiene conto delle necessità e della composizione delle compagnie, proponendo testi che prevedono una ventina di attori in scena (a volte anche di più). Ugualmente spaesati dovevano essere i capocomici davanti alla mancanza di ruoli prefissati, di coppie come dama/galán, gracioso/criada… La rottura di questi schemi da parte di Cervantes non potevano coesistere con le ferree regole di produzione che legavano il commediografo del secolo d’oro alle compagnie. Quelle di Cervantes erano opere che non tenevano conto dell’ambiente teatrale del XVII secolo. Inoltre è soprattutto il tenore delle didascalie a far riflettere: la loro minuziosità (lontana dalle indicazioni sommarie di Lope, che si affida invece all’abilità delle compagnie) dimostra che Cervantes tenta di orientare nel testo letterario il testo spettacolo proprio perché non ne ha controllo. Egli, dunque, sembra confondere l’arte del drammaturgo con quella del romanziere. E così inserisce informazioni inutili dal punto di vista tecnico, fino a indulgere al ricordo autobiografico o a suggerire che certe spiegazioni saranno posticipate, rivolgendosi insomma a un lettore, non certo a uno spettatore e probabilmente nemmeno agli attori. Le commedie Le Otto commedie mostrano un indubbio adeguamento alla maniera di Lope, che risalta in modo particolare se le confrontiamo con le piezas superstiti del primo periodo. Los tratos de Argel (forse 1581-1583) presenta un tipo di teatro appoggiato sul racconto, effettuato dai personaggi, di avvenimenti storici e casi dell’intreccio. Nei Tratos grande spazio sarà dedicato alla presentazione di battaglie contro i turchi o avvenimenti di attualità, attraverso passaggi affidati a un unico personaggio. Nella commedia si alternano “relaciones” esposte da uno dei personaggi, con dialoghi tra due o più personaggi che raccontano fatti relativi alla trama della commedia. Cervantes non utilizza solo ricordi o esperienze personali, ma fa riferimenti anche a meccanismi letterari e teatrali che doveva aver conosciuto in Italia, mentre tenta di sfruttare un tema di moda (ambiente turco). I Tratos possono servire anche per fare un paragone con la successiva produzione di Cervantes, ma il paragone diventa quasi d’obbligo per i Baños de Argel (che fanno parte delle Ocho comedias), dove il tema della prigionia in Algeri riappare. Il nucleo centrale è quello di una coppia di schiavi innamorati, insidiati dai padroni dell’altro sesso. Paragonando queste due opere possiamo notare come nella prima siano presenti moltissimi monologhi che invece diminuiscono di molto nella seconda, forse perché Cervantes apprende la lezione da Lope che nel 1559 aveva pubblicato un’opera dalla tematica simile (Los cautivos de Argel) con pochi monologhi. Accanto ai Tratos, la produzione del primo periodo è caratterizzata anche da una tragedia, la Numancia, che mette in scena l’assedio di Numanzia da parte delle truppe romane nel 133 a.C., l’eroica resistenza degli abitanti e la loro decisione di morire tutti per negare il trionfo al vincitore Scipione. Questa è stata vista come una tragedia religiosa. Nelle Otto commedie possiamo ritrovare fonti classiche anche per effettuare una volontaria imitazione delle commedie di Lope, ma un’imitazione che tende agli effetti della parodia. questo per la monarchia che lo stesso Prim aveva creato, ma soprattutto per l'intera nazione che perdeva un uomo di Stato in grado di governare nel difficilissimo momento di passaggio dalla fase rivoluzionaria a quella di definizione di una nuova forma di governo.] La non coesione fra i repubblicani, la spaccatura del Partito progressista e le dispute all'interno della coalizione di Settembre, costrinsero Amedeo ad abdicare. LA REPUBBLICA: Nella notte del 10 febbraio 1873 venne affermata la nuova forma di governo. A distanza di un solo giorno dalla proclamazione della Repubblica, le insurrezioni al grido di "repubblica federale" rivelarono subito la sua difficilissima quanto precaria sopravvivenza e l'inizio di una nuova fase di disgregazione. Convinto della necessità di ristabilire il controllo del governo centrale, per salvare la dignità delle Cortes e l'unità della Spagna, Salmeròn ricorse ai generali, che occuparono i centri della ribellione in numerose città come Siviglia e Cartagena. Con la resa di quest'ultima si chiuse ogni possibilità per una costituzione federale, Salmeròn si dimise e lasciò dunque spazio alle forze di destra. Gli succedette Castelar, il quale recuperò la fiducia dell'esercito, restaurò la pena di morte, vietò la libertà di stampa e portò a compimento alcune importanti negoziazioni, ma anch'egli rassegnò le dimissioni. [ L'evocazione di Castelar mette in luce la concomitanza dei molteplici fatti che contribuirono alla caduta dei vari governi nati dalla rivoluzione di Settembre, nessuno dei quali aveva il potere di garantire l'ordine pubblico e la stabilità. ll fallimento politico della rivoluzione non deve, tuttavia, offuscare la sua rilevanza fondamentale nella storia spagnola dell'Ottocento: essa pone le basi della democrazia, instaura il libero scambio dando impulso all'economia nazionale, afferma la libertà di pensiero, di coscienza e di culto. I principi della rivoluzione, violati spesso nella pratica, erano comunque le conquiste della Spagna liberale, che manterranno la loro condizione di diritto fino al 1923, inizio della dittatura di Primo de Rivera. ] IL ROMANZO Il romanzo tornò a impiantarsi nella letteratura spagnola verso l'ultimo terzo del XIX secolo, dopo essere quasi totalmente scomparso nel Settecento. Soltanto dopo la rivoluzione borghese del 1868, la narrativa troverà terreno fertile dove prima non riusciva ad attecchire. Prima di allora non esisteva un retroterra sociale adatto alla nascita del romanzo borghese, proprio perchè in Spagna non si era costituita una classe media che ambisse a vedere rappresentata in un nuovo genere letterario la propria visione del mondo. All'inizio dell'Ottocento, la Spagna si trovò ad affrontare un notevole sviluppo demografico senza le risorse economiche adeguate. Il rilancio dell'economia, necessario per sostenere il ritmo di crescita demografica, fu rallentato dalla mancanza di capitali e soprattutto dalla mentalità adatta a produrli. Fu soltanto verso gli anni 40 dell'Ottocento che l'industria si sviluppò in Spagna e gli effetti furono l'emigrazione in massa dei braccianti verso le città e la creazione della ricchezza necessaria al decollo del settore commerciale. Lo stesso fenomeno economico determinava così due fattori sociali paralleli: da una parte, la presenza incombente alle porte delle città di una massa di proletari in condizioni di vita disumane, e dell'altra, la nascita di una classe agiata, in grado di acquistare i nuovi prodotti industriali, che ben presto avrebbero preteso il potere politico. Entrambi i fattori, riletti in chiave letteraria, danno vita alle due grandi correnti narrative della seconda metà del secolo: il romanzo realista, che trae linfa vitale dalle aspirazioni e dalle frustrazioni della borghesia, e il romanzo naturalista, che sceglie come oggetto di analisi la miseria economica e umana delle periferie urbane. Busogna, però, fare subito una precisazione: il realismo e il naturalismo spagnoli hanno un diverso corredo genetico rispetto a quelli europei, una diversa impronta tematica e formale, data dal loro specifico rapporto con la classe sociale di riferimento. E' chiaro che anche la narrativa subì le conseguenze degli scontri politici dettati dalla Gloriosa: la prima forma narrativa dell'estetica realista fu quella del romanzo a tesi. Superato il primo momento di ardore ideologico, il romanzo a tesi lasciò il posto a una più libera espressione della realtà, ma sempre relativamente lontana dai canoni europei. In effetti, i romanzieri spagnoli parlano poco della vita in città, della borghesia e del confronto della sua visione del mondo con quelle delle altre classi sociali. Parlano invece molto della vita nei piccoli centri di provincia, del conflitto ideologico tra un protagonista liberale e un cacique conservatore o viceversa, dell'antitesi classica città/campagna, della vita a contatto con la natura, delle meraviglie paesaggistiche e sociali di una determinata regione. Quando poi si verificherà l'avvento del naturalismo, sarà anch'esso poco di città e molto di campagna, e racconterà più il conflitto tra natura e cultura che tra l'uomo e la società. Anche il naturalismo, quindi, sembrerebbe filtrato dalle particolari circostanze politiche e sociali della Spagna del momento. Nella scelta degli argomenti, e del modo di trattarli, si possono leggere in trasparenza le difficoltà della borghesia nell'imporre il proprio punto di vista persino ai romanzieri deputati a ritirarla, i quali cercano l'elemento pittoresco in linea con il costumbrismo di inizio e di metà secolo; raccontano di personaggi misteriosi ed eccezionali, e falsificano la realtà secondo i loro preconcetti ideologici, evitando la visione diretta voluta dai borghesi. I realisti spagnoli disprezzano la borghesia, i suoi valori, il capitalismo, la vita materialistica che l'industria impone; ma, a differenza dei romantici che in un contesto analogo reagirono rifugiandosi nell'interiorità, l'illusione e il passato, tentano di conoscere la realtà circostante e di cambiare ciò che non accettano, soddisfacendo comunque le esigenze di informazione dei loro interlocutori. Il costumbrismo di inizio e metà secolo aveva spianato la strada della narrativa allo stile basso caratteristico del realismo, con la sua attenzione per la gente comune, la lingua parlata e le vicende futili e quotidiane. La letteratura d'appendice, les folletines, dal canto loro, oltre all'attenzione per la gente comune e per la lingua di tutti i giorni, mise a disposizione del realismo una nuova sensibilità verso i problemi sociali e le loro cause. Ma la componente fondamentale dell'albero realista furono le traduzioni degli autori inglesi e francesi dell'Ottocento. I romanzieri europei riconoscevano il proprio debito nei confronti della narrativa spagnola del Siglo de oro, dalla picaresca a Cervantes, che diventa un leitmotiv ricorrente dei romanzi del periodo. Il destinatario del romanzo realista Se non si può certo dire che la classe media spagnola sia nata dalla rivoluzione del 1868, è invece discutibile che la sua affermazione come classe dirigente sia il prodotto del riassestamento politico ed economico da essa generato. Ma da tale sommovimento non una nacque una società ben definita. La borghesia al potere non aveva un modello culturale proprio e quindi si vedeva costretta a ricalcare gli usi, il gusto ed i comportamenti dell'aristocrazia. E' così che il borghese, dopo il fallimento della Gloriosa e l'avvio della Restaurazione, scopre il "piccolo" come dimensione rassicurante. E' chiaro che la rivoluzione cambiò totalmente l'assetto del mondo e della società, secondo cui non vi è più una gerarchia sociale caratterizzata da potenti e sottomessi, bensì da individui che hanno gli stessi diritti, doveri, ed a volte desideri. La nuova società propone sostanzialmente due soli archetipi umani: il produttore ed il consumatore. Il mondo della trascendenza non esiste più, e l'assenza di Dio dal mondo si manifesta nel romanzo attraverso la distanza tra le azioni dei personaggi e la loro anima, tra le loro aspirazioni ed il senso ultimo delle cose. La crisi del rapporto uomo-realtà esige nuove forme di rappresentazione; il romanzo è il genere nato come espressione di questa crisi, come desiderio di riappropriazione della realtà. L'universo senza Dio è diventato ostile all'uomo; l'interiorità di quest'ultimo non trova corrispondenza nell'esteriorità; cerca allora di riappropriarsi del mondo, di comprenderlo, ed il romanzo diventa così la storia dell'anima che procede sulla via di conoscenza di sè attraverso l'avventura e la lotta con l'ambiente ostile. Il realismo secondo i teorici della letteratura La nuova corrente letteraria, verso la metà dell'Ottocento, si è posta il fine di riprodurre la realtà nel modo più fedele possibile ed aspira al massimo della verosimiglianza. Il romanzo realista, almeno nelle intenzioni, non è che l'espressione concreta del mondo reale, il discorso particolare di un autore sul generale, sul vivere collettivo, filtrato attraverso il codice di rappresentazione all'uso. La realtà non è mai presente in un testo, bensì una sua ricostruzione codificata, in modo tale da renderla coerente e quindi ideale per il lettore. Le caratteristiche del romanzo realista spagnolo Sulle tracce del realismo francese, il romanzo spagnolo dell'ultimo terzo dell'Ottocento, ha lo scopo primario di raccontare la realtà così come è, senza che la presenza del narratore possa costituire un ostacolo e senza che un'espressione ricercata possa spostare l'attenzione sul versante estetico. Da ciò discende che il migliore mezzo per raccontare la realtà sia una lingua trasparente e quotidiana. Il romanzo realista rifugge dall'evocazione dei mondi lontani e dei tempi più o meno remoti, caratteristici del suo direttore precursore, il romanzo storico romantico. La cornice spaziale raramente valica i limiti geografici della Spagna; si narrano vicende futili avvenute in qualche paesino e raramente l'accaduto risale a più di qualche anno prima. I riferimenti a vicende storiche recenti sono una costante di tanti romanzi, nel tentativo di tessere una rete di informazioni sull'attualità, condivisa da narratore e lettore, che faciliti l'ambientazione della trama e la renda più verosimile. E' stato detto che nei romanzi realisti il vero protagonista è l'ambiente sociale, i personaggi assumono dimensioni umane, ed, inoltre, vi è una concezione fisica del sistema di relazioni interpersonali, mentre l'espressione delle aspirazioni e delle frustrazioni di un'intera classe sociale, in quanto tale, non può essere presentata in modo troppo individualizzato. Tutti i personaggi, seppur diversi tra loro, hanno in comune la prerogativa di essere l'incarnazione di un attributo, un epiteto caratteriale che li definisce e li costringe all'interno di determinati parametri d'azione, rendendoli facilmente prevedibili. Sarà poi il contesto sociale a mettere a dura prova il loro marchio caratteriale, instillando in loro i dubbi, le insicurezze e il disequilibrio che permetterà loro di crescere. Le eccezioni a questa regola generale si trovano nei cosiddetti romanzi a tesi, in cui il narratore si serve della conversione finale del protagonista per dare maggiore risalto alla tesi. L'inizio della trama ci presenta di solito un personaggio conseguente con le proprie scelte di vita; ma l'amore o il rimorso lo fanno vacillare e lo portano ad accettare il punto di vista opposto, la tesi del libro, appunto, che gli restituisce l'equilibrio perduto. La lingua letteraria, già pienamente formata da circa tre secoli, si arricchisce grazie al lavoro dei realisti con gli apporti della parlata colloquiale e, ancora più importante, con il capitale di voci regionali come andalusismi o valenzanismi. Ma chi probabilmente si avvicinò di più al registro linguistico della gente comune fu Galdòs con la sua straordinaria capacità di riprodurre il dialetto sociale dei bassifondi madrileni. In questo modo, lo scrittore realista cerca di annullare le distanze tra se stesso ed i suoi lettori, aumentando l'illusione della presa diretta dal mondo, senza la mediazione dell'autore demiurgo. I suoi personaggi vengono caratterizzati dalla lingua che usano, una lingua piena di modi di dire popolari, idiotismi, termini settoriali, deformazioni volgarizzanti. L'evoluzione del romanzo realista nell'Ottocento La prima fase della narrativa realista si caratterizza per il predominio dei romanzi a tesi, non da tutti i critici considerati realisti. Nel romanzo a tesi la funzione didascalica del discorso, la sua ragione di esistere, viene esplicitata in diversi modi; l'autore è continuamente presente, sia nella selezione dei fatti narrati, sia nella loro esposizione, sempre corredata da commento. E' frequente il dialogo diretto del narratore con il lettore, allo scopo di prevenire le sue domande, i suoi dubbi o, in generale, i suoi stati d'animo riguardanti la vicenda narrata. All'autore non interessa tanto la realtà quanto l'interpretazione della stessa, non tanto il mondo quanto la prospettiva su di esso, non l'oggetto, ma il punto di vista del soggetto. Il romanzo a tesi è ancora lontano dalla realtà. Ci vorrà tempo affinchè evolva nella direzione di una maggiore imparzialità di punto di vista e diventi la forma letteraria della nuova società borghese. Soltanto verso la metà degli anni Settanta, dopo un breve periodo di affinamento degli strumenti di osservazione e rappresentazione del mondo, gli autori inizieranno ad avvicinare le proprie opere all'ideale di obiettività del realismo. da non riconoscersi. "Dona Perfecta" è forse il resto esemplare di questa atmosfera: protagonista dell'intera vicenda, espressione più compiuta del conservatorismo politico e dell'oscurantismo clericale, Dona Perfecta è una persona fondamentalmente ipocrita, intransigente e dura, sotto l'apparente cortesia, ella esercita un potere totale sulle cose e sulle persone; la sua opposizione a Pepe Rey si traduce in una lotta senza quartieri. Seppure guidato da un'ottica più razionale e costruttiva, Pepe Rey non è in grado, tuttavia, di arginare, e nemmeno di smussare, la dispotica arroganza e la forza provocatrice di dona Perfecta, ben determinata, per altro, a eliminare il "diverso" Pepe Rey, perturbatore di un mondo chiuso, bigotto, statico ma proprio per questo rassicurante. Pepe si rende conto che l'iniziale equilibrio che lo distingueva dalla donna, piano piano si è incrinato, e improvvisamente si accorge di agire secondo i modi di dona Perfecta. L'uccisione di Pepe Rey, ordinato dalla donna, segna il rigetto dell'estraneo dal corpo sociale e il ritorno alla normalità, sia pure una normalità ammalata, di cui è sintomo ed emblema la conseguente pazzia di Rosario, una ragazza giovane e fragile destinata a pagare le conseguenze dell'intolleranza, da qualunque parte essa provenga. Gli episodios nacionales Distribuiti in 46 volumi, comprendono gran parte della storia di Spagna del secolo XIX. Dal 1873 al 1879, la prima serie tratta dei grandi avvenimenti della guerra di indipendenza contro Napoleone Bonaparte. Attraverso alcune peripezie, il lettore viene a conoscenza della storia recente della Spagna, nelle sue grandezze e nei suoi fallimenti, e insieme con lui riscopre il sentimento collettivo della patria in quanto Stato organizzato che si rende degno di rispetto. Risulta dunque chiaro il proposito di Galdòs: a differenza del romanzo storico che utilizza la storia per "rivivere" un passato distante e conchiuso, l'episodio nacional serve a Galdòs per narrare il passato prossimo, contiguo a tal punto che potrebbe essere ancora vivido nel ricordo del reduce che lo ha vissuto, con l'intento di ritrovare in esso le radici vitali della società attuale. In questo periodo l'atteggiamento di Galdòs nei confronti del passato remoto è quello del "progressista" che parteggia per la Spagna moderna, in polemica con coloro che sopravvalutavano la Spagna di un tempo. All'opera scritta, tuttavia, Galdòs affianca le molteplici informazioni che va raccogliendo con la sua attività di ricerca "dal vivo". L'episodio nacional di Galdòs completa l'effettivo processo storico, impostato su tutto lo spazio spagnolo geografico e sociale, con un'ampia azione romanzesca, nella quale si intrecciano, in proporzioni variabili, la trama amorosa "a lieto fine" con il percorso di formazione e sviluppo dei protagonisti. La seconda serie si differenzia tuttavia dalla prima per il predominio della nota politica rispetto a quella patriottica. Vi si narrano gli anni del "terrore bianco" e della Restaurazione di Ferdinando VII, che vedono gli spagnoli dapprima uniti nella lotta comune contro i francesi, ma poi, una volta ottenuta la vittoria sul nemico esterno, schierati in campi rivali, divisi da inconciliabili ideologie. A partire dalla terza serie, scritta a vent'anni di distanza, cambia sensibilmente il rapporto di Galdòs con la Storia; l'orizzonte si amplia e comprende anche il passato più lontano, e guarda con un certo interesse alla nobiltà rurale. La terza serie riguarda le guerre carliste; La quarta serie è dedicata al regno di Isabella II; La quinta serie si incentra sulla storia degli anni 1870-1898. Le "novelas espanolas contemporaneas" Sotto questa denominazione Galdòs comprende i 24 romanzi scritti tra il 1881 ed il 1915, ambientati principalmente a Madrid. Galdòs va liberandosi delo schematismo astratto del primo periodo e da modelli troppo esterni alla realtà spagnola, della quale resta sempre osservatore attento. Si rivela, in questo gruppo di romanzi, una naturale evoluzione di coscienza narrativa e dei mezzi atti a proporre artisticamente le polemiche attraverso una più attenta registrazione dei dettagli e della vita interiore dei personaggi, prende atto della mutata realtà sociale. I personaggi galdosiani, in effetti, sono così intimamente connessi con l'ambiente in cui agiscono che stentano ad acquistare una vita propria, a essere soggetti del proprio esistere. In certa misura, sembrano vivere di luce riflessa della dimensione spazio-temporale. Il dramma che si consuma è il dramma della società piuttosto che quello dell'individuo cosciente dei conflitti dentro e fuori di sè. Ma proprio a tutto questo tende la scrittura di Galdòs, realista e naturalista, per il quale l'arte del romanzo sta nell'essere "rappresentazione" del sociale e del rapporto dialettico fra individuo e società. Lo scrittore realista dell'Ottocento trova nella narrazione in prosa il modello di scrittura adeguato e assicura la propria autorevolezza avvalendosi di "garanti" quali la storia, la scienza e la conoscenza. Inoltre, perchè il messaggio possa essere recepito dal lettore senza interferenze, il discorso deve risultare "leggibile" sia a livello di linguaggio sia sul piano del verosimile, avvalendosi, per lo più di riferimenti espliciti o impliciti a un sistema di valori istituzionalizzati (extratesto) che surrogano il "reale". Anche per Galdòs, spazio, tempo, personaggi, avvenimenti, vengono esaltati dal procedimento descrittivo e tra loro interrelati in funzione dello sviluppo della finzione narrativa. Proprio attraverso la descrizione il soggetto narrante manifesta il suo essere onniscente e il suo dominio sulla totalità del narrato, guidando il lettore nel recupero degli antecedenti, delle cause che hanno prodotto lo stato attuale oppure nella lettura di particolari che anticipano i loro inevitabili effetti, instaurando altresì con lui una sorta di complicità mediante il riferimento a luoghi, strade, personaggi reali, ben noti. Il lettore riconosce tutti quegli elementi riscontrabili nel suo orizzonte quotidiano, ma ora tutti vivificati dai collegamenti e dalle interrelazioni che strutturano il mondo fittizio narrato, attraverso allusione a piazze, vicoli, edifici e quartieri di Madrid, nei quali i personaggi vivono e si muovono. In generale, il personaggio galdosiano pensa, agisce, esiste come prodotto naturale dell'ambiente sociale e culturale nel quale si muove, come suo intrinseco risultato, e per questo incapace di operare svolte decisive, di produrre cambiamenti significativi. Quasi tutti i protagonisti aspirano alla libertà di scelta e di coscienza, ma nessuno di essi persegue l'idea primaria fino a tradurla in progettazione di sè nel mondo; l'idea diventa idealismo sentimentale, fantasticheria, che può degenerare nell'ossessione, oppure in malattia fisica, quando si confronta con l'altro da sè, individuale o collettivo, con il sociale profondamente complesso e anch'esso contraddittorio. Da qui il rifugio in dimensioni alienate rispetto alla realtà. Così finiscono le molte "eroine" galdosiane, in qualche misura simbolo di quella società da cui deriva la propria "malattia": dapprima impazienti, eccitate, piene di idee e di ambizioni, ripiegano poi su stesse in quanto prive di strumenti idonei ed efficaci a vincere le resistenze dell'ambiente. Emblematica, in questo senso, è ancora Tristana, la protagonista dell'omonimo romanzo: la sua aspirazione a una vita autonoma, e attiva, in "libertà onestà", fuori dagli schemi e dai ruoli reservati alla donna dalla società, rappresenta il germe di un malessere diffuso e perturbatore che deve essere isolato. Il disagio di Tristana affonda, invece, proprio nei difetti della società, tra cui, in particolare, quello di non farsi carico di educare alla vita attiva il "genere femminile". L'eccitazione di Tristana deve, dunque, essere tenuta sotto controllo e ricondotta alla "normalità". Questa volta la soluzione non sarà la morte dell'eroina, nè la follia quale naturale conseguenza di una tara genetica, come in molti altri casi, ma un lento depauperamento della personalità. Con il male del corpo verrà estirpato anche il male intellettuale della protagonista, e cioè la sua aspirazione a vivere in "onesta libertà" e indipendenza, fuori dagli schemi di una società conservatrice e bigotta. Negli ultimi due romanzi Galdòs abbandona i canoni e i temi che avevano caratterizzato tutta la sua produzione precedente, trattando storie di pura immaginazione e "inverosimili", Drammi e commedie L'attività teatrale di Galdòs procede, come si è detto, in parallelo con quella di romanziere, e con la produzione narrativa condivide l'interesse nei confronti del sociale, delle interrelazioni fra individuo e società, intese come la materia prima del prodotto artistico. ll suo teatro rappresenta uno scarto significativo nei confronti di quello del suo tempo, di schema classico, perbenista, ottimista, di insipida evasione. Anche nei drammi teatrali, l'interesse di Galdòs è rivolto a quella classe media nella quale aveva individuato fin dalle prime opere, il terreno idoneo allo sviluppo di fermenti innovativi, ma anche le chiusure più intransigenti, quella zona della società dove trovano alimento concezioni morali e atteggiamenti socio- culturali del tutto contrapposti. All'interno delle suo opere vi sono figure ben precise e stabili: il personaggio autoritario, il personaggio opportunista, due giovani innamorati, e la figura del cosmopolita. Nelle tragedie prevale la distruzione dell'amore giovanile; le commedie si concludono, invece, con la vittoria dei due giovani, che è poi la vittoria della nobiltà d'animo sul dispotismo e sulla corruzione, della volontà sulla debolezza TRISTANA TRASFORMAZIONE DEI PROTAGONISTI Don Lope Garrido occupa all'inizio della novella un posto privilegiato: egli è il padrone, il signore, il properietario di una "cosa" che si identifica nella figura di Tristana. E' un Don Juan senza satanismo e, in materia religosa, inclinato allo scetticismo, anche se, in realtà ha anche una coscienza buona, che verrà svelata totalmente soltanto in seguito all'operazione di Tristana; le convenzioni sociali non lo spezzano, ed in determinate situazioni la sua volontà ha la forza di una legge. Alla fine la situazione cambia totalmente, e non soltanto per ragioni biologiche: il forte diventa debole, il tiranno cede alle volontà della sua vittima. Il corruttore diventa il corrotto; colui che ha fatto cadere la sua bambina nella trappola, è caduta a sua volta nella trappola sociale, a tal punto che egli stesso non si riconoscerà più nei suoi nuovi panni; capovolgimento contrario è invece quello di Tristana, prima bianca e piena di vita, ora losca in seguito all'operazione, sembra un "pezzo di carta". SILENZI All'interno dell'opera i cosiddetti "silenzi galdosiani" assumono un ruolo di estrema rilevanza, in particolar modo in quelle frasi inconcluse che si manifestano più volte nelle lettere, e che si rivelano chiara caretteristica della personalità di Tristana. I puntini di sospensione parlano da sè, e ciò che è taciuto non è altro che la parola del personaggio che non vuole essere pronunciata. La carenza di tutta la spiegazione rispetto alle cause della strana perdita di memoria di Tristana corrispone, invece, al secondo tipo dei silenzi citati. E' poi evidente il riserbo di Galdòs rispetto alle relazioni erotiche e a ciò che si può definire "personale"; tale astrazione del dettaglio può osservarsi in tutta l'opera. Il tempo della narrazione si rivela spesso e volentieri paralizzato, e il tempo oscilla tra lo scorrere ed il bloccarsi; l'azione, infatti, viene completamente sostituita dalla parola, che si rivela più che essenziale in tutto il testo, in quanto la seduzione avviene tramite la parola e la tentazione passa attraverso. Inoltre, in seguito alla conoscenza con Orazio, Tristana impara l'arte della dissimulazione, proprio a sottolineare la rilevanza della parola stessa. ONORE Tema fondamentale del testo è sicuramente la cosiddetta "honra", che Tristana perde in seguito all'incesto e all'atto di pedofilia compiuto da Don Lope (concetto del VIEJO VERDE - vecchio lussurioso che va con le giovani): essere disonorata per una donna implicata perdere il rispetto della comunità; Don Juan seduceva le donne privandole della loro "honra", e dunque della loro verginità, pensando solo ed esclusivamente al proprio piacere. In questo caso la grandezza di Galdòs sta nella distruzione del mito di Don Juan: contrariamente alle opere della sua epoca, infatti, l'autore si schiera con la vittima dell'uomo, e non con i suoi ideali donnaioli ed egoistici. All'interno dell'opera vi sono numerosi rimandi sia, ovviamente, al Don Juan, ma anche al Don Quijote e a Cervantes. - La descrizione che appare nel primo capitolo, infatti, è molto simile a quella del Quijote. - "no ha muchos anos": frase cervantina - "peregrino": termine cervantino - Don Lope de Sosa viene chiamato con un altro nome, proprio come Don Q. - Il punto debole di Don Lope, e dunque ciò che provoca in lui vera follia sono le donne, così come per Don Q. sono i libri di cavalleria. L’ETÀ D’ORO DELLA LETTERATURA SPAGNOLA - IL SEICENTO Avvenimenti storici e linee culturali Il Seicento inizia con la successione di Filippo III e la pace con la Francia avvenuta nel 1598. L'anno seguente una violenta epidemia spopola la Spagna; le ripetute crisi monetarie producono il definitivo collasso dell'attività manifatturiera castigliana e la crescita dei prezzi colpisce soprattutto i piccoli nobili. La politica protezionistica della corona, subordinata ai bisogni imperiali, favorisce solo lo strozzinaggio. La produzione risulta tropo costosa e non permette un'espansione economica, ma si verifica solo una diminuzione della capacità produttiva; vengono così perduti uno dopo l'altro una serie di mercati, a favore di olandesi, inglesi e francesi. Le campagne si spopolano, e plebi disperate si inurbano nei grandi centri di Madrid e Siviglia. Nel 1609 si espellono i moriscos, e ne consegue una rovina agricola e artigianale che colpisce soprattutto Valenza. La popolazione giunge a diminuire del 25% a causa di fame e pestilenze, ma ciò che è in crisi è l'imperialismo spagnolo e quanto aveva conservato di specificamente feudale. Fu proprio l'incapacità della Spagna al capitalismo a condannare il Paese all'inefficienza. Nel 1618 inizia la disastrosa guerra dei trent'anni, a cui la Spagna partecipa attivamente, mentre una nuova bancarotta statale e rinnovate pestilenze provano ancora più duramente l'economia. I successi bellici che la Spagna riscuote in Europa non producono in patria nessun esito positivo; l'amministrazione spagnola assiste impotente alla seconda bancarotta statale nel 1647, e l'anno seguente la pace di Westfalia sancirà la fine dell'egemonia della Spagna e l'apparizione di forti stati nazionali secolarizzati. La decadenza economia e politica spagnola è ormai inarrestabile quando muore Filippo IV (1665) e la regina Mariana d'Austria assume la reggenza per il figlio minore Carlo II; nel 1667 la Spagna deve riconoscere l'indipendenza del Portogallo, e si vede invischiata in una nuova guerra con la Francia, fino ala sconfitta di Nimega nel 1678. Quindi spopolamento, impoverimento, mancato sfruttamento dei metalli preziosi americani; la Spagna potrà presumere e pretendere di essere un paese imperialista nelle linee della sua politica estera, ma di fatto appare un paese "colonizzato" e dipendente dal punto di vista economico. La corruzione e l'incapacità dell'amministrazione si uniscono all'atteggiamento elitista e antiborghese che impedisce uno sviluppo delle attività produttive. E' solo verso il 1680 che si verificano sintomi di ripresa, soprattutto nella periferia: la crescita demografica e la fine delle spese belliche producono una diminuzione dei prezzi e una rivalutazione della moneta; si è soliti sottolineare meravigliandosene, come la gran fioritura letteraria dei secoli d'oro si produca nei momenti di più grave crisi economica e politica della Spagna; e decada poi dal 1680, cioè quando inizia la ripresa. Ma soprattutto bisogna notare come la coscienza della crisi è ben presente agli occhi dell'intellettuale barocco, il malessere è oggetto di riflessione forse per la prima volta. La stessa crisi, insomma, diventa stimolo alla meditazione e all'espressione letteraria. Così il desengano, la crisi della realtà, l'individualismo, il senso di elitismo e di orgoglio intellettuale collegato ai valori dominanti, l'angoscia dell'esistere costituiscono il raccordo ideologico tra le serie storica e l'elaborazione letteraria. L'ESPLOSIONE DEL TEATRO Il "corral" e la commedia La vita culturale del XVII secolo è segnata da una fortissima teatralità che investe ogni momento e manifestazione. In rapporto alla crescente domanda di spettacolo, il corral vede successivamente una sere di migliorie. Il corral è un luogo emblematico, dove si riuniscono e si stratificano senza mescolarsi i vari livelli sociali: il popolo minuto assiste alla rappresentazione nella platea, in piedi; gli artigiani e i piccoli industriali ed i commercianti sono seduti su panche; i ceti medi occupano una specie di gallerie, e le più alte erano riservate ai frati ed ai "dotti". Per le donne era previsto un luogo privato. La rappresentazione si svolge nel pomeriggio, sotto la piena luce del sole; alcuni musici cantano, poi si recita una loa (prologo), per richiamare l'attenzione del pubblico e presentare la compagnia, e a volte per fornire un riassunto dell'argomento. Segue la commedia, divisa in tre atti (jornadas); tra il primo e il secondo atto si rappresenta una breve farsa, chiamata entremès o sainete; tra il secondo e il terzo un baile, ed infine una mojiganga e un fin de fiesta; uno spettacolo compatto, senza momenti di pausa o cadute d'attenzione, per una durata di circa tre ore. Il ricambio delle opere messe in scena nelle grandi città era continuo: una commedia poteva tenere cartellone per due-tre giorni, fino a un massimo di quindici a Madrid. I generi. Commedia eroica, commedia di cappa e spada Dagli inizi alla fine del secolo perdura quindi la consapevolezza teorica di due generi tetrali ben definiti. Il primo è la commedia alta o tragica, magari a base storica, ma anche di invenzione fantastica o di materia agiografica. Questo tipo di commedia può avere anche un argomento amatorio; quello che la distingue è il dato tecnico di una messa in scena più sofisticata, oltre ai personaggi eroici ed ai soggetti elevati. Accanto a questa commedia alta si situa una commedia-commedia, che finge di dipingere la vita di tutti i giorni, e che pertanto non casualmente si definisce attraverso gli indumenti contemporanei (capa y espada). I suoi nessi strutturali sono una serie di congegni teatrali, di dialettiche dell'intreccio, in uno spazio scenico e in uno spazio argomentale ben delimitati. Commedia urbana, e di Madrid nella sua quasi totalità, commedia di "dentro" (casa, guardino). La peripezia si svolge in questo spazio fisico e mentale: spazio della parola (corteggiamento, gelosie) e spazio di meccanismi teatrali (duelos). Ancora pura deformazione della commedia di cappa e spada è quella de figuròn (fantoccio): si svolge attorno a un personaggio grottesco, che alla fine sarà sbeffeggiato. La principale costante del sottogenere è l'opposizione tra Madrid, centro dell'impero e luogo di eleganza e raffinatezza, e il paese o la città di provincia da cui il figuròn proviene. Il protagonista desidera uscire dalla propria condizione periferica attraverso un matrimonio, mezzo di promozione sociale a cui pensa di poter aspirare per la propria bellezza o ricchezza. Matrimonio che non si realizzerà, perchè nessuna evoluzione è possibile nel personaggio, che manca della capacità di entrare dentro il sistema comunicativo della capitale, che non riesce a capire l'eleganza di tratto e di linguaggio sulle quali si basa la commedia di cappa e spada. Commedie che avevano avuto successo si ripresentano "ammodernate", con un'operazione che ricorda i remakes di film hollywoodiani. Sono tuttavia arrivate a maturazione chiavi analitiche che permettono di superare la polemica relativa ai "plagi" e di considerare i testi "fonte". Ma talora si tratta solo di una nuova riproposta di un argomento dato, quanto di una vera e propria rifusione, in cui si rimaneggia un testo, utilizzandone anche frammenti più o meno ampi, a volte scene intere. Queste scene identiche, inserite in contesti diversi, possono avere una funzione diversa o perfino opposta. Il personaggio del teatro aureo diventa spesso un archetipo; si arriva, infatti, alla creazione di vere e proprie figure topiche, come quella della donna forte, la vergine guerriera refrattaria dell'amore, ma alla fine vita da esso; e che a volte si traveste da uomo, cosa che ovviamente piaceva molto allo spettatore, visto che così le attrici potevano esibire le gambe. Quello che si può rappresentare, dunque, è quello che il pubblico può gradire, o almeno accettare. Quindi, nella commedia non si può ridicolizzare il nobile, il galàn, la prima dama, ma ci si potrà prendere gioco solo di categorie disapprovate. Lo spirito aristocratico e antimercantile che regge la commedia barocca porta infatti al disprezzo e all'ironia nei riguardi di strati sociali legati al denaro: si ride dei "tipi" squalificati per allontanarli da se stessi; e da qui deriva anche la necessità che esista un professionista della risata, il gracioso, vero e proprio alter ego del galàn, portatore di tutti gli aspetti negativi da quello violentemente rinnegati: la paura, l'avidità, i diritti del corpo. Indubbiamente personaggio complesso, e non solo per per il teatro: tale spia ci fa pensare a questi testi per il teatro come una sorta di sottoletteratura. Ma quando ci si accorge che il testo drammatico scritto può dare un buon provento come letteratura di intrattenimento, alcuni editori cominciano a riunire i copioni teatrali e a stamparli. E' in questi anni che Lope pubblica l'Arte Nuevo, un trattatello con il quale Lope medita sul nuovo teatro spagnolo, che,con il lussureggiare della commedia lopiana, si contrappone totalmente all'ormai improponibile modello "classico", in quanto povero e statico. LOPE DE VEGA CARPIO LA VITA Lope de Vega nasce a Madrid il 25 novembre 1562. Figlio di un artigiano, di ingegno precocissimo, brucia nella sua vita tumultuosa esperienze culturali e avventure sentimentali, in un intreccio di vitalità e affabulazione letteraria che è stato visto come sua caratteristica peculiare. La sua resta comunque una figura che sfugge alle definizioni e alle canonizzazioni. Era considerato la “fenice degli ingegni”. Appena diciassettenne consuma i suoi primi amori, poi rielaborati in forma letteraria nella Dorotea: ha una relazione tumultuosa con l’attrice Elena Osorio, fino a che le satire violente che egli indirizza all’infedele gli procurano un imprigionamento, un processo e infine l’esilio a Valenza. Uscito di carcere, prima di partire esiliato a Madrid, rapisce Isabel de Urbina e la sposa nel 1588 per procura. A maggio dello stesso anno, Lope si arruola come volontario nella Armada e parte da Lisbona alla volta dell’Inghilterra. A bordo egli scrive poemi come La hermosura de Angélica, imitazione di Ariosto, o romances nei quali trasfigura l’amore per la moglie lontana. Nel 1589 lo troviamo a Valenza con la moglie e partecipa alla brillante vita letteraria della città. La sua produzione teatrale era già iniziata da tempo: all’inizio del XVII secolo aveva già scritto una cinquantina di commedie. L’esilio dura sei anni, prima a Valenza e poi a Toledo, presso il duca di Alba e poi ad Alba de Tormes, dove muore la moglie. Nel 1596 torna a Madrid e viene processato per concubinaggio, lascia il servizio del duca d’Alba per poi entrare in casa del marchese di Sarria, futuro conte di Lemos, dove rimane fino al 1603, anno in cui lo troviamo a Siviglia. Nel 1598 si sposa con Juana de Guardo ma ciò non impedisce a Lope di intrattenere un lungo concubinaggio con un’attrice, anch’essa sposata, che lui canterà con il nome di Camila Lucinda (probabilmente dalla loro relazione nasceranno 7 figli). Nel 1605 Lope torna a Madrid e inizia il suo rapporto con il duca di Sessa. Nel 1609 appare la riflessione teorica Arte nuevo de hacer comedias. Entra in varie congregazioni religiose; nel 1612 la sua salute non è buona, la moglie malata si aggrava e anche il figlio sta male; dalle lettere al duca di Sessa possiamo constatare quanto siano evidenti le tracce della depressione. L’anno dopo la moglie muore. Nel 1614 Lope prende gli ordini religiosi ma in seguito inizierà comunque l’amore appassionato e disperato per Marta de Nares. Mentre continua il suo lavoro teatrale, sembra crescere anche tutta la sua produzione letteraria. Lope muore nel 1635 a causa di un attacco cerebrale. IL TEATRO Parti autorizzate e non: la questione testuale Lope ha legato indissolubilmente il suo nome allo sviluppo e alla definitiva fisionomia del teatro spagnolo, non solo sperimentando e consacrando una formula ripetuta poi da contemporanei e successori, ma contribuendo a incrementare in maniera decisiva il patrimonio testuale con le centinaia di commedie che produsse. Bisogna comunque ricordare che non tutti i testi pervenutici sono affidabili. Nel 1617 Lope inizia a stampare direttamente le sue commedie. Questa attività editoriale in prima persona terminerà forzosamente nel 1625, quando la Junta de Reformación consiglia che vengano sospese le licenze per stampare in Castiglia libri di intrattenimento. Va ricordato quindi che non tutte le opere delle parti stampate fuori del controllo di Lope o quelle presenti nella collezione Diferentes Autores e a lui attribuite devono considerarsi sue, dal momento che per smerciare più facilmente il prodotto si potevano attribuire alla “fenice degli ingegni” testi di autori minori. La consapevolezza teorica. L’Arte nuevo. Quando Lope comincia a stampare in proprio le sue commedie, sa e vuole compiere un’operazione rivoluzionaria: egli dimostra di considerare letterario (riproducibile in proprio) un testo che fino ad allora era essenzialmente fugace: di considerare suo un testo di altri (detto, riprodotto da altri); un testo che può essere gustato nel “raccoglimento insieme alla propria famiglia”, e che magari può essere riletto dopo averlo visto rappresentato. Lope tenta quindi di ricostruire una dignità letteraria al testo per il teatro. “Queste commedie che qui ti presento, posso affermare come testimone che sono proprio quelle che si rappresentarono sul mio palcoscenico, e non sono false, finte, né rubate ad altri, dove c’è un verso del loro autore e trecento di chi, dopo averle viste, se le impara a memoria e le vende a questi tali che senza licenza del Supremo Consiglio la vendono sotto pubblica insegna, a disdoro dei poeti che le scrivono, tra cui si annoverano tanti cavalieri, letterati e uomini dotti…”. Ma prima ancora che nei prologhi delle sue opere (ricchi di riferimenti colti), Lope aveva riflettuto nel 1609 sull’arte di far teatro in un trattatello teorico, punto di riferimento di ogni studioso del teatro barocco. Le caratteristiche della commedia appaiono tutte enumerate nell’Arte nuevo: - si scelga l’argomento; - si scriva in prosa l’argomento prescelto e venga diviso in tre atti di tempo; - diviso in due parti l’argomento, metta l’intessitura dal principio; - l’unione di comico e tragico (“lo trágico y lo cómico mezclado (…) harán grave una parte, otra ridícula”); - rottura dell’unità di tempo (vedi vv. 193-210); - rispetto dell’unità d’azione (vedi vv. 181-187: “este sujeto tenga una acción…”). Tutte queste idee innovative sono ovviamente frutto di una sapienza costruttiva e di un gusto del teatro assolutamente maturi. Tutti i primi 156 versi dell’Arte nuevo sono una continua “scusa non richiesta”, lagnosa o ironica, che contrappone i precetti dell’arte all’uso, il “giusto” delle antiche precettistiche al “gusto” del pubblico ( rima “justo-gusto” molto presente nel trattato). Da questo trattato capiamo che a scrivere è l’uomo di teatro, ad esempio nel momento in cui ammonisce di non lasciare mai vuota la scena (vv. 231-245), o quando indica quale sia la lunghezza giusta per la rappresentazione, cioè un testo di 16 fogli per atto (vv. 338-340). Eliminata la barriera di discriminazione tragico/comico, gli argomenti potranno essere tratti da ogni repertorio: storie classiche, medioevali o della narrativa italiana. Una particolare e prolungata riflessione è dedicata alla definizione del linguaggio della commedia (vv. 246- 277). Lope sostiene un tipo di linguaggio funzionale, in cui potranno avere entrata anche “dicciones espléndidas, sonoras y adornadas” (vv. 262-263), magari in momenti particolari, adatti alla stasi e al commento (definito da Lope come “linguaggio politico”), oppure nel soliloquio, dove addirittura l’attore deve trasformarsi e trasformare lo spettatore con sfoggi di domande retoriche. Il discorso quindi non è del tutto “purista”, ma lascia ampi spazi proprio sulla linea di una necessità pragmatica, all’inserimento di raffinatezze verbali, di preziosismi. Viene poi codificata la polimetria, caratteristica fondamentale della commedia barocca spagnola (vv. 305- 312). Si devono usare diversi tipi di verso: per le narrazioni lunghe si usa il romance o le octavas (utili anche queste per raccontare), per chi aspetta il sonetto, per i pianti e lamenti le décimas (forma ispanica con meno di 8 versi), per le storie d’amore le redondillas (quartine), per le cose tristi e gravi i tercetos (la terzina dantesca). Se la regolamentazione non è da intendersi come assolutamente rigida, è indubbiamente consapevole di uno sfumare di atmosfere. Per quanto riguarda il codice ideologico, estremamente conservatore e timoroso di aperture all’esterno e al diverso, vi è un’assoluta chiusura. Ad esempio il potere non potrà mai essere messo in discussione; ci sono almeno due luoghi dell’Arte nuevo densi di consapevolezza “poltica”. Non si tratta di un discorso solamente teorico: non si potrà mai concepire sul tablado dei corrales l’uccisione di un re spagnolo, sia pur indegno. “Punga senz’odio, che se invece infama né applauso aspetti, né pretenda fama” (vv. 341-346). Della stessa valenza sono i consigli circa le dame, che non devono essere indegne del loro nome (v. 280); se si vestono da uomo, travestimento molto gradito al pubblico, non mostrino troppo impudicamente le forme; i loro innamorati devono portare sempre il dovuto rispetto alle signore (vv.278-279). L’Arte nuevo termina affermando che la commedia parla a tutti e che tutti ne possono trarre qualcosa (intento didattico). Vi è dunque una coscienza dei diversi livelli di pubblico e quindi delle diverse possibilità di significazione (trasgressione letteraria di Lope o assoluto elitarismo, ovvero “a ognuno il suo livello”). La classificazione: da un “Lope-pre Lope” a un “Lope-Lope” La produzione drammatica di Lope più di altre sembra richiedere al critico un tentativo di classificazione che la renda leggibile o almeno maneggevole. La via più facile è indubbiamente quella contenutistica: dalle commedie basate su argomenti dell’antichità a quelle desunte dalla novellistica. Un’altra via è quella che segue la linea cronologica, anche se molto difficile da seguire dato che per molte commedie non vi è una sicura data di composizione. Un tentativo è quello di segue le variazioni nella verificazione, attestate dalle commedie di data sicura, che vedono l’uso nelle prime commedie di metri di origine italiana, endecasillabi sciolti, terzi ecc., e una progressiva preminenza di versi tradizionali spagnoli nelle ultime (redondillas, romances, ecc.). Lo studio delle prime commedie di Lope rivela alcune interessanti caratteristiche di un teatro lopesco che si può definire arcaico, quali una struttura giustapposta, per cui varie scene o azioni non si unificano o intersecano, ma vengono proposte le une accanto alle altre; o la presenza di scene di satira o di pittura costumbrista. Si utilizzano, a imitazione degli autori contemporanei e rinascimentali, personaggi allegorici come la Fama; o si oscilla tra lirismo e una lingua parlata. Ma dal 1590 le commedie rivelano già tratti di maturità, abbiamo così un Lope più libero che utilizza una serie di temi molto ampia. Non solo una quantità di temi tra i più vari, ma soluzioni spesso inaspettate, che fanno delle commedie di questi anni un corpus particolarmente stimolante e ancora troppo poco conosciuto, con brividi di novità e riassestamenti, dove Lope sembra saggiare e ricercare la propria voce nel momento stesso in cui sonda le possibilità dello spettacolo. Dal 1604 in avanti si svolgerà poi in tutta la sua pienezza un tipo di rappresentazione matura, dalla formula sperimentale e piena. Appartengono a questo periodo le opere più conosciute di Lope, tra cui El caballero de Olmedo (1620-1625). Possono proporre il genere del dramma rurale, della commedia di cappa e spada, dei santi o possono attingere al materiale della novellistica italiana, o al romancero tradizionale. Ma ognuna di esse, da quelle più allegre e frivole a quelle più impegnate, si struttura su un senso del teatro vigile e abilissimo, capace di riassorbire anche pericolose incrinature alle leggi sociali sotto la logica del rappresentare. Nel Caballero de Olmedo, Lope dà voce a un amore impossibile basandosi su un fatto storico noto al pubblico attraverso precedenti redazioni (una copla, un baile, una commedia) e utilizzando un denso materiale letterario. Don Alonso, cavaliere di Olmedo, specchio di ogni perfezione, conosce durante la fiera di Medina doña Inés, e ne rimane perdutamente innamorato. Invece di chiederla subito in sposa al padre, ne sollecita l’amore tramite una mezzana, Fabia ( figura volontariamente rimandata a Celestina); il padre nel frattempo ne accorda la mano a don Rodrigo. Per scongiurare il matrimonio, Inés finge dunque di LA POESIA Romances, epica, lirica Lope è, insieme a Góngora e Quevedo, uno dei grandi lirici spagnoli dell’età aurea. Il sincretismo e lo sperimentalismo della sua poesia già si rivelano con i romances giovanili, in cui racconta i propri amori con Elena Osorio e il ratto di Isabel de Urbina, sotto la maschera di un ciclo morisco (circa 30 romances). Stampati nelle varie parti del Romancero general, essi inondarono il mercato editoriale e l’immaginazione di lettori e ascoltatori con l’esilio, la lontananza, gli amori, le gelosie dei personaggi. Il metro riappare nella maturità del poeta al servizio dell’espressione della sua crisi spirituale. La dedizione alla lirica popolare continua con la canzonette alla maniera tradizionale, rielaborate e incastonate nelle commedie, poemetti che con il supporto della musica divennero famosissimi. Mentre parte con l’Armada, Lope lavora anche a un poema di tipo italiano e di imitazione ariostesca: La hermosura de Angélica, che pubblicherà nel 1602. Lope si dedica anche alla redazione di ampi poemi epici come La Dragoneta, dieci canti che illustrano le gesta del pirata Drake. Bisogna ricordare che nelle sue opere Lope diventa “personaggio di se stesso” poiché racconta la sua vita personale. (  NON DISTINGUE VITA E OPERE). Il codice petrarchista e l’officina di Lope I metri italiani vengono coltivati ed editi amorosamente da Lope, prima nell’Arcadia, poi nelle Rimas Sacras, nella Circe, nelle Rimas de Tomé de Burguillos. Il codice utilizzato è ovviamente quello petrarchista, che risale a Garcilaso; la forma metrica più frequentata è il sonetto. Nelle sue opere è presente l’inquietudine di marca petrarchesca. LA PROSA. LA DOROTEA. Da quel vero e proprio “prodigio di letteratura” oltre che “di natura” che Lope fu, egli compose anche un buon numero di opere in prosa, inscrivibili nei vari “generi” seicenteschi. La Arcadia (1598) è catalogabile nel romanzo pastorale, ed è eminentemente a chiave: sotto i pastori che vi appaiono si celano i componenti della corte del duca di Alba: Lope, i suoi amici letterati, il duca stesso. In un paesaggio stilizzato e raffinato si svolge una storia pretestuosa che vede inganni e apparenti inganni di innamorati, infine separati dai loro stessi intricati percorsi. Poesie e autos sacramentales sono inseriti anche nel Peregrino en su patria, che si iscrive nel genere “di peripezia”, denominato abitualmente “romanzo bizantino” (molti viaggi e peripezie); altri vedono la tipica narrazione con il protagonista quale simbolo del cristiano nel cammino dell’esistenza. Inoltre bisogna ricordare che Lope compose quattro novelle: una fu inclusa nella Filomena e tre nella Circe. Esse sono conosciute anche come Novelas a Marcia Leonarda, apostrofe diretta e affettuosa all’amata Marta de Nevares. Il narratore osserva il proprio testo da una prospettiva metatestuale; commenta sornione i luoghi comuni abbondantemente utilizzati, consiglia la propria lettrice di saltare qualcuno dei versi intercalati per seguire più rapidamente le emozionanti avventure… Brillante prova, dunque, e tale da assicurare a Lope un posto tra i prosatori del suo tempo, a cui egli ha comunque diritto per La Dorotea, considerata uno dei più grandi romanzi del Seicento spagnolo. Lope opera la propria affabulazione su una base autobiografica: racconta il suo amore per Elena Osorio, la preferenza che essa accorda a un ricco amante e contorna la vicenda di una serie di personaggi prontamente identificati dalla critica in amici e conoscenti dello scrittore. Ma di questa base Lope organizza una rilettura squisitamente letteraria. Tratta dunque gli amori di due giovani, Dorotea e lo studente don Fernando. L’intervento della vecchia Gerarda, mezzana e strega secondo una chiara ascendenza celestinesca, fa sì che la madre della fanciulla preferisca al giovane e povero studente il munifico don Bela, che ha fatto fortuna nelle Indie. L’amore dei due giovani diventa tema di pettegolezzo a Madrid; Fernando tenta di dimenticare Dorotea trasferendosi a Siviglia ma non riesce a stare lontano dall’amata e torna a Madrid per assistere impotente alla corte sempre più pressante di don Bela, fino alla rottura della relazione tra i due giovani. Tuttavia, don Bela muore pugnalato e Gerarda cade per le scale di un’osteria, in una specie di vendetta letteraria. L’opera diventa dunque una sfacciata ricapitolazione degli amori con Elena Osorio ma anche con Marta de Nevares. In un incrocio di piani temporali, Lope nella sua vecchiaia ripensa la propria vita sentimentale ed erotica, si sdoppia in Fernando e in don Bela, a cui prestai propri versi petrarchisti; Dorotea è Elena e Marta e le altre amate dal Fénix: il testo diventa così allo stesso tempo illustrazione biografica e gioco di smontaggio svergognato della propria biografia. LA FORTUNA DI LOPE La validità generale della commedia lopesca era riconosciuta dallo spettatore contemporaneo, che vi ravvisava una specie di standard di livello alto, “se parece Lope” diventò sinonimo di “è bello”. Parlando dell’opera globale di Lope possiamo riconoscere una generale labilità del codice comico, così legato alle circostanze da cui nasce; con l’ulteriore difficoltà di capire giochi di parole e riferimenti collegati a costumi e avvenimenti contemporanei oggi perduti e talora inattingibili attraverso la documentazione d’archivio. Il teatro di Lope è più ricco di altri di riferimenti al contingente, la sua è una scrittura che voracemente si alimenta della vita, del quotidiano e quindi risulta per noi elusiva nella misura in cui è allusiva. Un’altra difficoltà è quella di recuperare oggi il testo spettacolo: musica, attività coreutiche, dizione, messa in scena, risonanza stessa dei temi un destinatario di essi tanto consapevole quanto oggi estraneo a essi. Bisogna ricordare che alcuni testi di Lope ci sono pervenuti spesso fortemente corrotti. Si suole dire che Lope non ha legato il suo nome a un “capolavoro” universalmente conosciuto, come succede ad esempio con Cervantes; bisognerà però ricordare che egli ha legato il suo nome allo sviluppo, alla fioritura di un intero genere, che dopo di lui non potrà più essere concepito nella forma che aveva prima. Egli ha lasciato, insomma, dopo di sé un grande teatro, quale può essere modernamente inteso. PEDRO CALDERON DE LA BARCA Calderòn nasce nel 1600, ed è uno dei più grandi esponenti del teatro spagnolo dell'epoca. La sua carriera letteraria si caratterizza per l'attività di scrittore svolta a corte e per la redazione degli autos sacramentales per il Corpus di Madrid. Il corpus di Calderòn è assai meno problematico rispetto a quello di Lope, e più contenuto, sua pure nella sua abbondanza: circa 120 commedie, 70 autos. Nè particolarmente difficile appare la classificazione del suo teatro, visto che ormai, quando Calderòn inizia la sua carriera di drammaturgo, la commedia presenta linee strutturali assestate. Innanzitutto le caratteristiche della pieza saranno da porre in relazione con il mezzo e con il destinatario: già dal 1635, anno in cui i legami di Calderòn con la corte si fanno più stretti, egli scrive solo sporadicamente per il corral: dato tecnico, ma sostanziale, che spiega in maniera risolutiva la differenza macroscopica di una gran parte della sua produzione rispetto a quella di Lope, per esempio. I testi che si indirizzano al corral, poi, si biforcano in maniera evidente: da un lato si identificano le commedie eroiche e de santos, che potevano ormai contare su scenografie abbastanza smaliziate; e dall'altro le commedie di intreccio; tra esse quella de capa y espada che si muovono in ambienti contemporanei. I cosiddetti dramas, poi, avranno come tema principale i fatti d'onore. Analizzando Calderòn, dunque, è possibile identificare nella sua opera una serie di costanti, di elementi che si ripetono lungo i quasi sessant'anni della sua attività teatrale, tanto che non si può parlare di evoluzione cronologica in senso stretto. Quello che appare evidente è in lui il rigore dell'impiego, unito a una serie di formule retoriche arrivate alla loro piena accettazione in periodo postgongorino: chiasmi, paradossi, antitesi, paranomasie, iperboli. E, naturalmente, la loro dipendenza da una serie di coordinate ideologiche, perchè tutti gli elementi di accelerazione non sarebbero tipici del barocco calderoniano se non spiccassero su uno sfondo statico di elementi solenni, che implicano grandezza, gloria, sublimità, potere, accentrati intorno a idee come religione, potenza politica e militare, amore, onestà, dignità femminile, purezza di sangue. Le commedie eroiche Tra le commedie eroiche, un'opera di estrema rilevanza p sicura "La vida es sueno", che, come le altre commedie eroiche, fu oggetto di culto da parte dei romantici tedeschi, che vi riconoscevano elementi di un faustismo ribelle e indagatore: il patto col demonio, una supereroicità grandiloquente, vinta infine da forze positive (la fede, l'amore), non potevano che destare risonanze profonde nel loro mondo poetico; anche se va detto che le tensioni e le intenzioni dell'autore sono forse altrove. Calderòn è solito consegnare previamente allo spettatore le coordinate secondo cui dovrà essere condotta la sua lettura, da verificare lungo l'intero testo, ma anticipate a costituire un'apertura secondo una felice metafora critica. Nelle opere di Calderòn vi è quindi un'imbricata serie di codici, da quello simbolico a quello retorico, che operano in modo solidale per comunicare allo spettatore un messaggio ben preciso. Ma la stessa densità dei piani può tradursi talora in ambiguità, il che spiega il proliferare di interpretazioni che si sono succedute su certi testi calderoniani, a cominciare dall'emblematica Vida es sueno, in cui vi è un'enorme quantità di travasi di significati operati nella forma dell'opera. La spiegazione di questa sovrabbondanza interpretativa va ricercata indubbiamente nella fondamentale ambiguità dell'opera, in bilico tra l'ingenuità della fiaba e la complessità della costruzione simbolica; alle ambiguità si sommano incongruenze e contraddizioni apparentemente inspiegabili. In effetti, l'intera opera gioca su un enorme sistema di duplicità e dualismo, che si evidenzia sin dall'inizio attraverso la figura dell'ippogrifo, ma anche attraverso la figura di una donna vestita da uomo, e da un Sigismundo dipinto secondo la dualità natura/ars. E' chiaro che la massima espressione di tale dualismo si manifesti nella contrapposizione passione-ragione, il cui unico mezzo di passaggio da un elemento all'altro è il sogno. La passione dei personaggi, infatti, è sempre controllata dalla ragione e dalla razionalità tipica di Calderòn come fosse una camicia di forza, ma è in questa esagerata passione che risiede l'essenza barocca. Il barocco di Calderòn, infatti, come del resto il suo teatro, è la codificazione razionale del caos, la ragione dell'irrazionale. E' da questo dualismo che deriva inevitabilmente il tema della violenza su cui si fonda l'opera, in quanto i protagonisti non sono altro che l'incarnazione di un disordine assoluto che tentano ad ogni costo di trasformare in armonia. Si comprende allora che Calderòn, rinarrando e funzionalizzando a una più vasta struttura la fiaba orientale, ripropone un problema che si presenta costante nel corso della sua produzione. Si tratta del tema della cultura, della civiltà come strumento di controllo del comportamento naturale dell'uomo. Di fronte all'umana natura la filosofia di Calderòn non fu meno pessimista: guidato dai suoi impulsi naturali l'uomo si abbandona all'aggressività e alla sensualità fino a rischiare di tutto distruggere e autodistruggersi. Argine al sempre incombente pericolo è la cultura, che, difendendo l'umanità dalla natura, regola i rapporti degli uomini tra loro. Questo pessimismo, ma anche questa fiducia, tutta laica, nella civiltà, si pone a fondamento di più di un dramma di Calderòn. I travagliati itinerari di Sigismondo fra la torre e il palazzo, le prove che supera per essere degno di restare a corte sono gli itinerari e le prove dell'uomo sulla via della civiltà. Il conflitto natura/cultura, che è alla base del testo, si traduce topologicamente nell'opposizione della torre, scenario della passione, al palazzo, scenario della ragione, e si risolve nella deflagrazione del campo di battaglia. Questi sono gli unici luoghi attraverso i quali passa l'azione drammatica. Nella torre Sigismondo è vissuto segregato fin dalla nascita. Il re Basilio, suo padre, ve lo ha rinchiuso nel timore che si avveri un oroscopo secondo cui il giovane gli si rivolgerà contro, umiliandolo e spargendo la discordia del regno. Per cambiare chi la sta guardando. Queste commedie, per altro numerose nel corpus calderoniano, hanno meritato spesso un'attenzione distratta. Ma dal "mondo tragico" di Calderòn esse non appaiono certo separate, se non altro perchè i meccanismi compositivi e letterari sono profondamente omogenei nei due tipi di piezas: per esempio, in entrambe si ripetono i blocchi di sequenze e lo straniamento metateatrale: anche nel momento più drammatico, per esempio, Calderòn può irridere la convenzionale entrata e uscita dell'innamorato nascosto. I drammi d'onore Quanto poi alle tragedie di onore e vendetta maritale, esse di fondano sul codice d'onore che impone al marito o al padre di uccidere la donna "colpevole"; conflitto che si risolve in maniera intellettuale mediante ragionamenti in cui, date determinate premesse, la conseguenza cruenta è fatale e irrevocabile. E si è invece sottolineato il ripetersi di sequenze teatrali, il gioco degli indizi, il meccanismo delle entrate e delle uscite dei personaggi che non permettono lo scioglimento incruento, insomma la sapiente preparazione teatrale di un'annunciata catastrofe finale, lo sfruttamento dei piani metaforici e perfino la parodia che lo stesso Calderòn è pronto a fare dell'ineluttabilità tragica. L'onore, quindi, con le sue regole inderogabili e la sua prevedibile scenografia, verrebbe ad essere la zona letteraria privilegiata di quella coazione a ripetere che, apparentemente conchiusa nell'andamento schematico della forma barocca, tradisce in realtà un disagio archetipo, un profondo sentimento della caducità e della morte di cui Calderòn diviene l'occasionale portavoce solo in quanto intimamente legato, forse in misura maggiore di altri suoi contemporanei, ai miti del suo tempo, alla loro sfuggente e angosciosa precarietà. In questo dunque, più che nel simbolismo metaforico o, all'opposto, nell'ossequio a una norma sociale di comportamento, consiste la vera ritualità dei drammi calderoniani dell'onore: nello stesso ossessivo affermarsi della loro struttura che, proiettandosi al di là degli stretti confini del testo, rivela l'ansia di ripetizione e dunque l'incrinarsi dell'orizzonte di scrittura di un'intera civiltà. Scrittura e palazzo Si tratta di una rappresentazione strettamente collegata alle proprie circostanze e al proprio destinatario. In queste opere, destinate all'intrattenimento di palazzo, il cerimoniale cortigiano diventa spettacolo accanto e dentro la rappresentazione teatrale, il cui centro è costituito dalla figura del re. Le allusioni a fatti e personaggi della corte sono continue. La scena è collegata alla sala. Il teatro breve Anche l'attività di Calderòn come creatore di piezas brevi è stata valorizzata solo da poco; gli si debbono entremeses, jacaras, loas, spesso create per completare le feste di palazzo o gli autos, ma anche per le commedie. Opere divertenti e brillanti, che trattano in chiave parodica alcuni temi seri dell'autore, o scoprono trucchi ed effetti. Partendo dalla consapevolezza che Calderòn ha dello spazio "scenico" e "pittorico", gli studiosi sottolineano il sistema di corrispondenza tra la struttura (e lo svolgimento) dell'azione drammatica, la disposizione dello spazio scenico e lo spazio del palazzo reale, ed è appunto grazie al suo essere consapevole che utilizza numerosi giochi visivi. E il testo dell'entremès diventa un incrocio, non solo di sguardi e prospettive, ma di testi, un accumulo di frammenti il cui scopo è quello della "decontestualizzazione", della rottura del decoro, nel momento in cui si colloca la "citazione" sulle labbra di un personaggio basso, instaurando così uno iato tra il soggetto dell'enunciazione e l'enunciato. Lo scopo sarò ancora una volta la manipolazione del destinatario, e sarà anche l'uso del ritratto regale e dello specchio a essere messo in gioco, teso a sottolineare il chiudersi in sè del re, nella sua ossessione narcisistica, tipica e necessaria della monarchia. Qui è lo spazio teatrale a marcare il testo. Auto sacramental In una chiara definizione dell'"auto" offerta da Calderòn, esso accomuna il lussureggiare visivo con la profondità dell'insegnamento dottrinale, nella pienezza della festa barocca. Per tutta la vita Calderòn scriverà autos; essi, circa 70, possono essere divisi in tre tappe: la prima, va dal 1648 e segue le caratteristiche del genere come era stato coltivato dai drammaturghi precedenti. Le allegorie sono abbastanza semplici e trasparenti, i testi relativamente brevi, con predominio del registro verbale. Segue a essa un periodo intermedio, tra il 1648 ed il 1660, i cui autos sono dedicati a Madrid; da questo momento la durata delle piezas può estendersi, e la scenografia è giunta ormai ad un'estrema ricchezza; anche dal punto di vista tecnico-formale le allegorie si complicano e si dilatano, mentre la lista dei personaggi si arricchisce. A partire dal 1660 circa, queste tendenze giungono alla loro piena maturazione, con autos di grande complessità scenografica, di profonda elaborazione teologica e notevole astrazione teorica, che non sempre rendono facile la loro comprensione. Egli rielabora, poi, miti classici, e basa la propria costruzione simbolica su avvenimenti contemporanei o su episodi storici, proponendo anche versioni allegoriche di sue stesse opere. Ma su qualsiasi materiale, Calderòn opera con rigore e con una capacità di analisi e sintesi dottrinale. Anche la scenografia contribuisce naturalmente a questo gioco di parallelismi e di significati, incrementato e sottolineato dalla musica, in un testo spettacolo pieno e integrato. Il brano cantato avrà valore esortativo, e l'esortazione passa dai personaggi della rappresentazione agli ascoltatori, cosicchè attraverso questa funzione perlocutoria si compie una nuova integrazione dello spettatore al testo spettacolo. La forma dell'espressione è dunque al servizio di una rappresentazione che tende a inglobare il destinatario. La grandezza di Calderòn risiede dunque nel suo dettato complesso e raffinato, che unisce giochi di parole spiritosi e godibilissimi a una singolare pienezza lirica, nella sua consapevolezza dello spazio e nella sua eccezionale sapienza scenica. ALTRI AUTORI DI TEATRO Le storie letterarie sono solite irreggimentare la falange degli scrittori teatrali dell’età aurea in un ciclo o scuola di Lope e uno di Calderón. Fondamentalmente si tratta di gabbie convenzionali che mostrano un certo logoramento. Il teatro dell’epoca presenta ormai caratteristiche ben fissate, sia per quanto attiene alle convenzioni del rappresentare, sia come individuazione dei vari tipi letterari: fiorisce la commedia di costume e d’intreccio, l’alta commedia eroica, con la gemella commedia “de santos”, appoggiate a giochi “de tramoya” e ad ardite soluzioni scenografiche; giunge poi al massimo sviluppo la rappresentazione di palazzo, con il suo raffinato apparato musicale e scenografico. Siamo di fronte a un’espressione sincretica, che richiederebbe duttili strumenti di analisi interdisciplinare: si tratta di forme mature e “difficili”. Il teatro del secolo d’oro magari tramonta, ma con prove manifeste della sua solidità e grandezza, proiettandosi dunque verso le colonie e verso il secolo successivo, quando alcuni intellettuali potranno, sì, manifestare moti di impazienza e intolleranza verso rappresentazioni ormai staccate dalle problematiche contemporanee, ma che continuavano a trovare entusiasti spettatori e appassionati lettori, fino a che si dovranno addirittura “proibire”, a riprova della loro vitalità. TIRSO DE MOLINA Tirso de Molina (1579-1651) è lo pseudonimo con cui diventerà famoso Gabriel Téllez, sotto il quale si nasconde una figura non sempre decifrabile. Si discute la sua data di nascita e la sua genealogia. Entrato nel 1601 come novizio del convento della Merced di Guadalajara, inizia nel 1606 a scrivere per il teatro. Farà molti viaggi determinati dalla sua carriera ecclesiastica soddisfacente. Dal 1620 si istalla a Madrid e partecipa attivamente alla brillante vita letteraria della capitale. Presso i due corrales della Cruz e del Príncipe debuttano le sue commedie, mentre nel 1621 completa la stesura della sua prima opera narrativa, Los Cigarrales de Toledo che pubblicherà nel 1624. Ma nel 1625 la Junta de Reformación non solo suggerisce che si neghi il permesso di stampare in Castiglia libri di intrattenimento, ma stila contro Tirso una dura censura, in quanto autore di “commedie profane” e ne sollecita l’allontanamento dalla capitale. Per fortuna la delibera non diviene operante: Tirso ha protettori autorevoli. Dal 1625 in avanti Tirso scriverà solo sporadicamente commedie; gli anni a venire sono dedicati a opere erudite. Nel 1632 termina il Deleitar aprovechando che utilizza a fini didattici il Decameron: durante un carnevale, per intrattenersi piamente senza commettere eccessi, alcune dame e cavalieri si riuniscono e si ricreano ascoltando autos, novelle sulla vita di santi, considerazioni devote, ecc. Oltre la biografia, anche il corpus drammatico di Tirso pare presentare dei problemi. Durante la sua vita si pubblicano infatti cinque parti di commedie, che tuttavia non risultano pienamente affidabili. Quella che dà più problemi è la seconda parte che comprende un’opera portante come El condenado por desconfiado e che presenta una dedica polemica e sibillina: “Dedico, di queste dodici commedie, quattro ce sono mie a mio nome, e a nome dei loro autori le altre otto (che non so per quale infortunio loro, essendo figlie di così illustri padri, le hanno esposte alla mi porta) che restano”. Nonostante qualche problema di attribuzione di alcune opere, quello di Tirso è un corpus di tutto rispetto. Gli stessi problemi di paternità non sembrerebbero così rilevanti se non coinvolgessero un testo come El burlador de Sevilla, opera destinata a rivestire connotati mitici. La commedia spagnola appare già matura e consolidata quando Tirso vi si avvicina. Egli ne sposa tutte le caratteristiche, sia quelle esterne, come la polimetria, sia quelle funzionali allo sviluppo dell’intreccio, come per esempio l’agnizione (il riconoscimento di persona nell’ultima parte di un dramma), sia la presenza di personaggi consacrati (come il gracioso), sia le tematiche (amore contrastato, gelosia, onore offeso). Tirso si occuperà di commedia storica, commedia agiografica, commedia di intreccio. Tirso si distingue per tipizzare al massimo situazioni, personaggi, scene, allestendo un teatro che si basa non certo sull’imitazione della “vita” o dei “costumi”, ma sull’osservazione del teatro precedente. Ciò produce una sensazione di iperrealtà e di straniamento e genera la sostanziale ambiguità dei suoi testi. Quando si esaminano le caratteristiche della forma dell’espressione, è evidente la sua “letterarietà”: sperimentalismo linguistico, palese nell’uso dei gerghi. L’elemento teatrale fondamentale, lo spazio, viene accortamente utilizzato a Tirso; portante è spesso l’opposizione città/campagna. Spazio, tempo, rottura “dell’apparenza” tramite il travestimento diventano così elementi privilegiati del montaggio dell’intreccio, punto di partenza e di arrivo della macchina della commedia, servita da squarci gongorini, usi gergali, giochi di parole, insomma da tutti i marchingegni espressivi a disposizione di un accorto artefice della parola, che intesse il suo testo letterario attento al testo spettacolo che ne deriverà. Una delle opere più importanti attribuite a Tirso è El burlador de Sevilla (1630 circa). Intorno a quest’opera si addensa una vivace bibliografia interpretativa, ma anche una questione attributiva indubbiamente spinosa. A nome di Tirso la commedia figura in una Parte miscellanea, Doce comedias nuevas de Lope de Vega Carpio y otros autores. Ma si dà il caso che esista un altro testo abbreviato, intitolato ¿Tan largo me lo fiáis?, che ci è giunto in una suelta senza indicazione di editore e senza data ma attribuito a Calderón. La questione è estremamente complessa. La versione conosciuta come ¿Tan largo me lo fiáis? venne rappresentata nel 1617 dalla compagnia di Jerónimo Sánchez a Cordoba. Oltre a Tirso, Calderón e Lope, un altro nome che appare come probabile autore dell’opera originaria è Andrés de Claramonte, attore e autore dell’epoca. L’opera attribuita a Calderón venne pubblicata con l’edizione di Faxardo tra il 1634 e il 1635 a Sevilla, utilizzando come base il manoscritto usato dalla compagnia di Sánchez nel 1617, ovviamente con le naturali variazioni di trasmissione. Si parla invece di un altro “testo di base” per l’edizione di Claramonte, un testo rimodellato dall’autore tra il 1619 e il 1625. Dall’unione della versione originale e del primo rimodellamento traduzioni. Finalmente nel 1847 si costituì una Società spagnola di autori drammatici. Ci fu un miglioramento generale nell’ambito teatrale. Alla fine della stagione romantica, il numero di teatri a Madrid era passato a sette. Ormai era possibile anche una miglior intesa tra i componenti del mondo teatrale: autori, attori, registi e tecnici collaboravano nel portare in scena con maggior fedeltà il testo e ne sfruttavano al meglio le potenzialità rappresentative. La tragedia La tragedia classica, fedele ai canoni aristotelici e ispirata ai testi classici, è un genere che in Spagna ha avuto poco successo durante la seconda metà del XVIII secolo, ma che tuttavia era ancora presente alla vigilia del romanticismo e negli anni centrali dell’Ottocento. All’insegna del precettismo e della funzione didattica dell’esempio “alto”, venivano ancora scelti i temi nazionali che ponevano al centro dell’attenzione drammatica un personaggio storico o leggendario, portatore spesso di ideologie liberali. I nessi fra “tragedia” e “dramma”, generi spesso difficilmente distinguibili quando trattano argomenti storici, risultano ancora più stretti in quegli autori che evolvono dal classicismo al romanticismo durante le loro carriere teatrali. La caratteristica comune, che viene sempre più in primo piano, è l’arricchimento psicologico dei personaggi tragici, che si esprimono ancora con un linguaggio enfatico più attento ai moti dell’animo. Il genere venne coltivato solo in maniera saltuaria durante il romanticismo; si possono tuttavia segnalare ancora i tentativi negli anni Quaranta dello stesso Zorrilla. Una volta superata la metà del secolo, insieme ai soliti drammi storici di difficile collocazione tra i generi, si scrivono delle vere tragedie. Il dramma Finito il periodo assolutista fernandino, come si è detto, la vita culturale spagnola si fece più vivace. Le prime rappresentazioni di drammi romantici diedero grande impulso all’attività teatrale. La situazione del teatro migliorò sensibilmente, tanto che il 1850, data dell’inaugurazione del Teatro Español, può essere considerato l’anno conclusivo di tutte le esperienze iniziate due decenni prima. Le attività teatrali alla vigilia del romanticismo toccavano numerosi generi ed erano di diversa tendenza: tragedia neoclassica, tragedia moderna, dramma storico, dramma romantico, commedia e alcuni sottogeneri nuovi come il comico vaudeville e il melodramma. Vi era dunque un fermento di diverse tendenze (“commedia antica, melodramma, cappa e spada, intrigo, gracioso, dramma sentimentale, commedia classica, tragedia classica, operetta di costume, dramma storico”  come afferma Larra). Vi era anche una forte presenza di opere tradotte. Un ruolo importante nell’ambito del nuovo dramma romantico ebbero le reposiciones (nuove messe in scena) di opere antiche (Lope de Vega, Tirso de Molina, Calderón…) e la pratica della refundición. Questo procedimento, già utilizzato dai classici spagnoli del Siglo de oro, tra i quali era comune che un autore rifacesse il lavoro di un altro, venne ripreso verso la metà del Settecento, col rimaneggiamento di testi appartenenti al secolo precedente. Consisteva fondamentalmente in una sorta di razionalizzazione della struttura dell’opera, con la riduzione del numero delle vicende drammatizzate e l’adattamento alle unità; il nuovo testo approfondiva la caratterizzazione del protagonista e ne snelliva il linguaggio rifiutandone gli eccessi, le sottigliezze e le ingegnosità barocche e potenziando di conseguenza la funzionalità drammatica. Le opere ne uscivano adeguate alle esigenze estetiche e politiche del momento e purificate, in genere, dalle immoralità e quindi con un maggior contenuto pedagogico. Sebbene di minore importanza, va comunque ricordata la commedia di magia, spettacolo dal grande impatto visivo, sempre più elaborato tecnicamente. In questo panorama, molto ricco perla complessità di apporti da diverse tradizioni teatrali, è bene inserire il dramma romantico. Il dramma rappresenta la nuova sensibilità ed è il centro dell’attenzione degli autori e della più vivace contesa culturale; generato da diverse esperienze che vanno dalla commedia antica rimaneggiata alla tragedia e al dramma sentimentale o melodramma, assunse dal teatro francese una forte carica ideologica rinnovata dallo spirito liberale. Senza prendersi mai troppe libertà nell’utilizzo delle unità drammatiche e adoperando lo stile linguistico proprio della borghesia, il dramma romantico metteva in scena eroi e eroine idealizzati, generalmente di origine sconosciuta, semistorica o leggendaria, appartenenti a ceti diversi, il cui amore è ostacolato da diverse circostanze storiche e sociali; personaggi in conflitto con il mondo o con il fatum, che si ribellano in nome della coscienza e delle libertà individuali. Spesso il pessimismo invade i loro animi e il sentimento della felicità, appena intravisto, viene a mettere in maggior risalto a fugacità del tempo, l’angoscia esistenziale e il finale tragico. Il ricorso alla storia, generalmente nazionale, fu un pretesto per mettere in scena, con metafore e contrapposizioni, i conflitti politici e sociali più attuali scaturiti dallo spirito liberale. Con il passare degli anni, la storia nazionale diventerà soprattutto motivo di orgoglio o di semplice ambientazione. ZORRILLA - TRAMA DI DON JUAN TENORIO: L’opera è la più rappresentativa del Romanticismo spagnolo e la più rappresentata. L’azione si sviluppa nella prima parte del secolo XVI, a Siviglia. E’ carnevale. Don Juan e Don Luis si incontrano per fare il punto su una scommessa fatta un anno prima: chi dei due ha avuto “più fortuna con le donne e più denaro”? Il vincitore sembra essere Don Juan, a cui manca, però, la conquista di una novizia. L’uomo, già impegnato con Donna Inés, figlia del Commendatore Don Gonzalo, promette al rivale di sedurre anche la sua fidanzata, Donna Ana. Così facendo si attira l’odio di Don Luis e di Don Gonzalo i quali, per vendicare l’oltraggio subito, si scontrano in un secondo momento con Don Juan, trovando entrambi la morte. Dopo cinque anni, durante i quali anche Donna Inés è mancata a causa del dolore per l’abbandono di Don Juan e per la perdita del padre, Don Juan torna a Siviglia in incognito, ma i fantasmi del passato lo perseguitano. Alla fatidica cena a cui partecipa anche la statua del Commendatore Don Gonzalo, invitata per burla dallo stesso Don Juan, viene annunciata la morte del seduttore impenitente che, grazie all’intervento dell’ombra di Donna Inés, si pente delle scellerate azioni commesse e così si guadagna il Paradiso. I tratti verginali con cui Zorrilla ha caratterizzato Donna Inés sono i più topici delle eroine romantiche; lei è, difatti, l'incarnazione della purezza, colei che darà vita all'evoluzione del protagonista, consentendone il passaggio dal "mito" del ribelle seduttore ingannatore, all'uomo totalmente umanizzato, disposto a sottostare alle leggi sociali e al matrimonio soltanto per amore. E' grazie alla donna, infatti, e, dunque, alla forza redentrice dell'amore, che Don Juan giunge al pentimento, nonchè unica possibilità di salvezza ed atto che sottolineerà l'inifinita misericordia di Dio (morale dell'opera). IL ROMANTICISMO, DON JUAN TENORIO E ZORRILLA Con la pubblicazione di "Don Juan Tenorio", è possibile affermare la nascita di un nuovo movimento denominato Romanticismo, che pone le sue radici negli ultimi anni del XVIII secolo e vede il proprio tramonto nella seconda metà del XIX secolo. Al giorno d'oggi sembra chiaro che la convivenza tra neoclassicisti e romantici persistette durante un lungo periodo senza che, in alcun caso, questo potesse determinare la sopressione di una corrente e la nascita di un'altra. Ma se l'essenziale nel Romanticismo è il suo contenuto e dunque non la forma, gli scrittori dei tre primi lustri del XIX secolo potevano definirsi romantici pur utilizzando le forme neoclassiche. IL ROMANTICISMO ed il SUO TEATRO La concezione dell' "io", elaborata dalla filosofia idealista tedesca, costituisce uno degli aspetti fondamentali della mentalità romantica. L' "io", infatti, si identifica con l'individuo, e lo spirito umano è capace di elevarsi al di sopra di qualsiasi legame terreno per cercare l'assoluto, anche se esso, in realtà, appare sempre come una meta irraggiungibile. Il sentimento si rileva, dunque, il mezzo di tutte le cose, ed il cuore, infatti, trionfa sulla razionalità e sui diritti, sulle leggi e sulle convenzioni. L'amore, tema centrale del Romanticismo, si mostra secondo due diversi punti di vista: il sentimento tenero, nostalgico, come una favola irrealizzabile, oppure come una passione vivida, disperata e angosciante. E' chiaro che nel Romanticismo spagnolo domini maggiormente quest'ultima idea, come, di fatti, si nota perfettamente nell'opera di Zorrilla. Nella coppia romantica, solitamente, la donna è la perfetta incarnazione dell'innocenza, della sensibilità e del candore, anche se non per questo meno passionale; al contrario, l'uomo è avventura, affanno, fuoco, passione e sfida. Quest'amore, inteso come l'ansia dell'assoluto, si risolve generalmente in una rottira, nell'impossibilità di raggiungerlo, e da qui nasce il pessimismo, la malinconia e la disperazione tipica del testo romantico, in cui i personaggi tentano ad ogni modo di trovare la verità che possa illuminare il cammino della vita. In questa ricerca, tali personaggi si imbattono spesso e volentieri nel soprannaturale, e per questo, improvvisano dialoghi con anime che derivano dall'oltretomba, con fantasmi che non sono altro che la trasposizione degli ideali e dei sogni dell'uomo romantico. La religione non offre, in generale, un'uscita sicura e infallibile ai desideri romantici. La figura di Dio, infatti, si presenta con una doppia polarità: da una parte, come colui che causa l'angoscia e la sofferenza, e dall'altra, come la soluzione definitiva alle problematiche, così come accade nel finale del Don Juan Tenorio. Molto più frequente all'interno dell'opera romantica è la presenza del cosiddetto satanismo, antitesi dell'oppressione religiosa e simbolo di libertà e ribellione. La figura del Don Juan, infatti, può essere definita una dei massimi esponenti di tale concetto, in quanto egli stesso simboleggia l'dea di ribellione contro ogni forma religiosa, ed incarna allo stesso tempo la figura di Satana in numerose occasioni. In questo caso, la morte non appare come qualcosa di negativo, bensì come la grande amica dei romantici, che molto spesso esaltano una morte di tipo eroica. Se la morte è la miglior forma di evasione, anche il tempo e lo spazio assumono un ruolo di fondamentale importanza: molte delle opere romantiche si collocano nel Medioevo, che favorisce l'incontro con la magia ed il mistero. Nonostante ciò, anche il Siglo de Oro è una grande fonte di ispirazione romantica, poichè è proprio da tale contesto che vengono riprese commedie dalle quali si estrapolano gesti eroici che successivamente verranno reinterpretati. Tema chiaramente fondamentale nel Romanticismo è la libertà, che incita i romantici a ricercare i suoi simboli in una serie di personaggi che rappresentano la ribellione contro i principi stabiliti e che si caratterizzano per una lotta permanente contro il destino, mossi da malinconia e disperazioni. A tal proposito, all'interno delle opere romantiche, appaiono spesso e volentieri dei personaggi stereotipati, che assumono una sorta di ruolo "fisso" e "stabile" all'interno dei testi. (il bandito, il pirata, il fuorilegge). Il mare rappresenta il simbolo assoluto di libertà. La notte e la tomba, i sepolcri, e la morte, si inseriscono nella nostalgia dell'infinito e nell'insoddisfazione e nell'angustia spirituale dell'eroe romantico, così come si può vedere nel Don Juan. IL DRAMMA ROMANTICO (TRAGEDIA) L'irruzione del dramma romantico sulla scena spagnola è un cammino irto di ostacoli, a volte per la ferrea censura imposta dalla monarchia assolutista, e altre per l'inerzia di un teatro ancorato al passato. Il dramma romantico si impone contro la regola delle tre unità e finisce per alterare definitivamente le norme classiche. Si affermò, infatti, il diritto di combinare i generi, e si diffuse un nuovo dramma che fondeva la commedia e la tragedia, il tono serio con quello gioco, e la prosa con il verso. Il dramma romantico si definisce, dunque, estremamente propenso per un ritorno al passato e alla storia, ma come abbiamo giò accennato, non con il fine di ricordare il passato, ma con l'intenzione di reinterpretarlo, in una forma libera in cui la storia si utilizza soltanto come riflesso dei sentimenti del Romanticismo. Gli autori di quest'epoca mostrano una grande preoccupazione per i conflitti contemporanei, per la libertà principali che definiscono, non solo il dramma di Zorrila, ma la maggior parte della drammaturgia romantica. L' "io" romantico non cerca l'individualizzazione realista, la complessità umana come Galdòs o Clarìn, bensì la trascendenza dell'essere umano di fronte alle circostanze concrete dell'esistenza. Il personaggio romantico è, prima di tutto, un tipo, un personaggio piano in cui possono riflettersi i desideri e le ambizioni della maggioranza. Non importa l'essere dell'individuo stesso, bensì la sua identificazione con gli spettatori, la sua funzione di specchio di fronte al pubblico. Il passato storico e letterario In primo luogo, Zorrilla indaga sul passato storico per cercare il suo personaggio, e lo trova, non solo nel Siglo de Oro attraverso la commedia di Tirso, ma anche nella più antica tradizione. La storia della Spagna è il miglior mezzo per risvegliare l'immaginazione dei romantici e situare in questa epoca, con questi personaggi, il desiderio di libertà che caratterizza l'ideologia dell'epoca. Il mistero Come abbiamo già detto, l'aria di mistero avvolge interamente l'opera. Ma se questo mistero iniziale ha l'intenzione di giocare con la curiosità dello spettatore, la personalità di Don Juan continua ad essere un mistero per molti dei personaggi durante lo svolgimento di tutta l'opera. Con tutto ciò, Zorrilla stabilisce un forte contatto e, soprattutto un vero e proprio rapporto di complicità con lo spettatore, in modo che quest'ultimo si senta ancor più vicino, o meglio, dentro, al dramma. Onore, coraggio e apparenza La figura di Don Juan si dipinge con tutta la grandezza di chi vanta le principali virtù del cavaliere spagnolo: il coraggio e l'onore. In effetti, Zorrilla tenta ad ogni modo di identificare il suo Don Juan con tutti i simboli del cavaliere delle commedie del Siglo de Oro, ed, infatti, non sarà Don Juan stesso a definirsi un uomo valoroso, bensì la società che lo circonda; pertanto egli è il prodotto dell'opinione altrui ed è per questo che vive. In effetti, l'apparenza, o semplicemente il desiderio mantenere la linea del suo coraggio come asse fondamentale della sua vita, muove la maggior parte delle azioni di Don Juan, ed in questo senso, egli si rivela un perfetto seguace della linea del teatro barocco, dove l'opinione degli altri si costituiva come la base dei rapporti sociali. Nonostante ciò, l'apporto romantico di Zorrilla si disegna nel suo Tenorio nel momento in cui quest'ultimo non si limita a seguire i canoni dell'onore imposti dalla società, bensì stabilisce i suoi propri principi oltre la norma esistente. Egli sarà dunque il simbolo della rivoluzione sociale e della libertà contro tutto ciò che è già prestabilito. L'amore: passione e fuoco L'amore del Romanticismo, come tutti i sentimenti in questo espressi, si presenta sempre in una forma iperbolica, esagerata. In effetti, nella maggior parte dei casi, se non in tutti, l'amore spassionato nasce nella forma e nel modo più naturale possibile, e pertanto, molto spesso, Zorrilla non sente la necessità di giustificare la passione amorosa con troppi dettagli. Come possiamo notare in alcuni versi dell'opera, in particolare nelle parole di Don Juan (atto I - scena III) , la relazione amorosa assume un potere trascendente, poichè essa non si rivela soltanto una mera passione umana, bensì il cammino fondamentale verso la salvezza che, in questo caso, il protagonista raggiungerà soltanto grazie all'amata. E' nelle ultime scene, infatti, che il Romanticismo esplode nella sua più ampia e profonda dimensione attraverso la metafora del fuoco, presente già in Ovidio e Virgilio. All'interno dell'opera, infatti, vi sono molte scene legate ad allusioni relative al fuoco, e qui la grandezza di Zorrilla emerge anche nel gioco dei verbi "abrasar" e "abrazar", grazie ai quali raggiunge una forte espressività e simbolismo. Satanismo Un altro aspetto tipico del Romanticismo è l'identificazione delle figure con il diabolico. All'interno dell'opera infatti, gran parte dei personaggi identifica Don Juan con il diavolo, in quanto capace di ribellarsi contro tutto ciò che è stabilito. La contrapposizione Satana-Dio si pone al centro di tutta l'opera: se il satanismo, come forza cieca e malvagia, si impossessa di Don Juan per gran parte della scena, a partire dalla scena III del quarto anno, in seguito alle parole di dona Ines, entra in gioco la forza divina, che si convertirò nell'asse centrale della seconda parte. E' importante prendeta atto, dunque, della struttura manichea dell'opera, fondata interamente sulla contrapposizione tra bene e male. Manicheismo: ideologia e struttura Tutta l'opera, dunque, si basa nel conflitto drammatico e manicheo, del confronto tra bene e male, Dio e il diavolo; Zorrilla, infatti, ha saputo trasportare questo conflitto, proprio dell'auto sacramental, nella struttura dell'opera, in modo che potesse giocare costantemente con i parallelismi, i dualismi e le bipolarità dell'azione. I grandi temi si presentano quindi in forma dicotomica e si caratterizzano per azioni parallele concrete. Magia e fantasia In Zorrilla, la tomba, uno degli spazi prediletti del Romanticismo, si adorna con tutti gli effetti magici del soprannaturale. L'immagine del soprannaturale, del gotico e del fantastico, trasforma il dramma in uno spettacolo di puro teatro, dove non c'è altra via d'uscita se non l'immersione emozionale. La confusione dei piani, tra realtà e finzione, non è altro che il riflesso di una concezione irrazionale del mondo, dove l'uomo cerca di trovare nel sogno il desiderio dell'immortalità. Il "plazo" L'idea del tempo che scorre in una forma inesorabile diventa uno degli elementi chiave del Tenorio, ma anche di tutta la produzione drammatica del Romanticismo, in cui provoca un effetto di supense. Il "plazo" più significativo e angosciante è quello che si stabilisce alla fine dell'opera, nel momento della morte. In questo caso, il tempo si riduce angosciosamente. Zorrilla tiene sotto controllo l'intensità drammatica intercalando abilmente le parole ed i fatti. Zorrilla mantiene la tensione fino alla fine, giocando con le emozioni dello spettatore per provocare in lui la stessa sensazione di angoscia che sente l'eroe. LA LIRICA DEL SEICENTO La lirica del XVII secolo è caratterizzata da un intenso sperimentalismo, che spinge la scrittura in molteplici direzioni, proponendo vari modelli e varie operazioni di elusione o di reinterpretazione dei codici assestati. Se a ciò si aggiunge un'annosa, malintesa e forse datata polemica critica su quelle che vennero definite le due scuole poetiche del periodo (concettismo e cultismo), si comprenderà la difficoltà di ripensare autori e generi in una prospettiva sincretica. I luoghi Il primo polo attorno al quale la produzione poetica si concentra è l'Andalusia, ma successivamente si sposta nei centri di Siviglia, Granada e Antequera, centri in pieno sviluppo economico, con abitudini al mecenatismo e in presenza di un'èlite colta. Madrid, poi, è destinata a diventare la cassa di risonanza di ogni innovazione e moda letteraria. Vi risiedono, intorno alla corte, un'aristocrazia e una classe colta con inquietudini umanistiche. Intorno a molti nobili si riuniscono piccole corti letterarie costituite in accademie; a Madrid, a Valenza, a Siviglia, in Aragona operano cenacoli poetici, si indicono sessioni straordinarie, si promuovono concorsi in occasione di feste religiose o profane, proponendo un tema unico da svolgere in una forma metrica prestabilita: è indubbio che dal confronto e dall'emulazione i partecipanti ricevessero stimoli e suggestioni. I modelli Su una linea di continuità con la poesia rinascimentale, i generi che il poeta del XVII secolo coltiva sono quelli legati ai modelli anche metrici italiani, che all'inizio conservarono una corrispondenza abbastanza stretta con i temi trattati, ma che in seguito appaiono veicolo non necessariamente legato al contenuto. Così il sonetto, in principio associato alla lirica amorosa, diventa poi alveo per una vasta gamma di argomenti; e lo stesso accade per la canzone e le ottave. Accanto alle forme metriche italiane vengono utilizzate quelle tradizionali spagnole, come il romance o la letrilla, per conferire ala materia un'aria di semplicità e di rusticità, impossibile da ottenere con il nobile endecasillabo. Nel 1600 viene pubblicato il Romancero general, in cui vengono raggruppate opere ormai di decise imitazioni dotte della materia romancistica. Il giovane Lope o il primo Gòngora si dedicano a questo tipo di poesia, che innova profondamente la materia romancistica tradizionale, con le due modalità dei pastoriles e moriscos: ciò che si racconta e si canta è un raffinato mondo sentimentale, più appassionato e acceso nei moriscos, più malinconico e sfumato nei pastoriles. I temi La ricchezza tematica della poesia barocca è notevole: si spazia dalla poesia amorosa, morale, religiosa, mitologica, panegirica e laudatoria, eroica, funerale ed elegiaca a quella satirica e burlesca. Il desiderio di ricambio anche tematico spinge verso una commistione tra vari livelli argomentali. I procedimenti stilistici Quindi tutto il panorama poetico mostra una tendenza sperimentale, operando sulla base dei modelli formali, ma rinnegati, dall'eredità classico-italiana e dalla tradizione popolareggiante spagnola. L'innovazione si manifesta soprattutto nel sincretismo, nell'accumulazione e commistione di temi e di forme metriche. La personalità letteraria dove la tendenza trasgressiva si manifesta con maggiore evidenza è Gòngora, e questa rottura delle gabbie tematico-formali costituisce il primo scandalo agli occhi dei contemporanei. Solo in un secondo momento le censure si appuntano sulle caratteristiche morfosintattiche della sua poesia, sull'iperbato, le formule latineggianti, e sulle innovazioni lessicali, soprattutto sui neologismi e sui latinismi. La linea di discriminazione tra poeti "culti" e "concettisti" passa appunto per l'accettazione da parte dei secondi dei consueti procedimenti di ornatus retorico (allitterazione, paranomasia, dilogia), comuni anche ai primi peraltro, e la ripulsa invece delle innovazioni lessicali e morfosintattiche. Il risultato di entrambi i procedimenti è l'anfibologio, la possibilità di un "senso nascosto" che il lettore deve scoprire nel dettato poetico; ma mentre quelo annodato nelle figure retoriche consuete poteva apparire "facile" alla decifrazione, data una lunga abitudine a siffatte operazioni, l'interpretazione da condurre per iperbati, formule sintattiche giustapposte, bimembrazioni e simmetrie, o peggio per neologismi, appariva sino campanitas de plata que tocan a la alba, sino trompeticas de oro, que hacen la salva a los soles que adoro. Lo artificioso que admira y lo dulce que consuela no es de aquel violín que vuela ni de esotra inquieta lira; (...)" Qui, il poeta, strumento che attrae i sensi migliori, opera secondo due tonalità, riassunte in una formula dicotomica: "lo artificioso que admira/ y lo dulce que consuela": quindi da una parte la poesia come opus mirabilis, dall'altra il valore edonisitico della scrittura attraverso una confortante "facilità". Composizioni burlesche, satiriche, parodie Alla letteratura cosiddetta d'evasione, si possono ascrivere le letrillas, dove tuttavia si ritroveranno temi, abitudini lessicali, usi retorici, comuni ai testi il cui fine è l'admiratio. " Ándeme yo caliente y ríase la gente Traten otros del gobierno del mundo y sus monarquías, mientras gobiernan mis días mantequillas y pan tierno; y las mañanas de invierno naranjada y aguardiente, y ríase la gente. Coma en dorada vajilla el Príncipe mil cuidados, como píldoras dorados; que yo en mi pobre mesilla quiero más una morcilla que en el asador reviente, y ríase la gente. Cuando cubra las montañas de blanca nieve el enero, tenga yo lleno el brasero de bellotas y castañas, y quien las dulces patrañas del Rey que rabió me cuente, y ríase la gente. Busque muy en hora buena el mercader nuevos soles, yo conchas y caracoles entre la menuda arena, escuchando a Filomena sobre el chopo de la fuente, y ríase la gente. Pase a medianoche el mar y arda en amorosa llama Leandro por ver su dama, que yo más quiero pasar del golfo de mi lagar la blanca o roja corriente, y ríase la gente. Pues Amor es tan cruel que de Píramo y su amada hace tálamo una espada, do se juntan ella y él, sea mi Tisbe un pastel y la espada sea mi diente, y ríase la gente. Gòngora mette qui alla berlina i valori consacrati di virtù, fedeltà, nobiltà, ma bisognerà riflettere che si tratta di un luogo del tutto topico, di provenienza classica: l'esaltazione della vita semplice, del ritiro spirituale, di oraziana memoria. Tutto ciò viene riproposto ora nella forma del "disprezzo della città e lode della campagna", e nella struttura della canzonetta, che di per sè lo spoglia di ogni pomposità. I piaceri cantati sono quelli corposi della mensa (burro, pane fresco, grappa, aranciata, sanguinaccio) e del benessere corporale (stare accanto al braciere, cercare conchiglie nella sabbia); e perfino quello della mancanza di occupazione intellettuale (las dulces patranas del rey que rabiò). Le ultime tre strofe ripresentano rovesciati i miti classici: l'allusione al canto dell'usignolo (mito di Filomena) apre il cammino alla "demitificazione" di Ero e Leandro, e Piramo e Tisbe. Alla forza e alla pazzia dell'amore si preferisce il tino ribollente di mosto, e un buon pasticcio in cui affondare la "spada del dente". All'interno dell'opera, vi sono, inoltre, numerosi parallelismi oppositivi (gobierno/gobiernan dorada vajilla/ cuidados dorados como pìldoras, buscar nuevos soles/buscar conchas y caracoles, espada-tàlamo/espada- diente) ognuno portatore di doppi sensi, oltre che indicativo di un'antitetica maniera di vivere. Nel 1603, poi, Gòngora dà vita ad un corpus poetico escrementizio, una serie di sonetti dedicati al fiumicello Esgueva, diventato una specie di collettore di immondizie. Una serie di doppi sensi, di vere e proprie barzellette, riempie la nobile forma del sonetto, mentre, altre volte, si rintracciano temi più seri quali il "desengano", suscitato dalle delusioni personali. Questo è il caso in cui il conte di Lemos parte per Napoli senza invitare al suo seguito il poeta: " Como sobran tan doctos españoles a ninguno ofrecí la Musa mía; a un pobre albergue, sí, de Andalucía que ha resistido a grandes, digo Soles. Con pocos libros libres (libres digo de expurgaciones) paso y me paseo, ya que el tiempo me pasa como higo." Quindi gioco sulla dilogia di "grandes": non nobili signori, ma soli implacabili; allitterazione libros-libres, con il successivo chiarimento: liberi da censure; e ancora paso-paseo-pasa, dove "pasar", trascorrere, richiama l'accezione di "appassire", e il collegamento dissacrante, tipico della poesia gongoriana. Non si propone, insomma, l'immagine cara alla poesia metafisica della "fuga del tempo", ma un prosastico "fico secco". L'amarezza esistenziale, se esiste, si riassorbe nella trovata umoristica. Il rovesciamento del mito ha il suo luogo privilegiato nei romances-parodia, vere e proprie riscritture della storia patria o della favola greca. Per il romancero tradizionale si potrà vedere un testo come "Diez anos viviò Belerma": "A verla vino doña Alda, viuda del conde Rodulfo, conde que fue en Normandía lo que a Jesucristo plugo, y hallándola muy triste sobre un estrado de luto con los ojos que ya eran orinales de Neptuno, riéndose muy de espacio de su llorar importuno sobre el muerto corazón envuelto en un paño sucio, le dice: «Amiga Belerma, cese tan necio diluvio, que anegará vuestros años y ahogará vuestros gustos." Nella natura squisitamente spirituale del rapporto Belerma-Durandarte cominciano ad insinuarsi i primi elementi corporei: l'idea di sporcizia e consunzione temporale espressa dal "pano sucio" che avvolge il cuore sembra corrompere la purezza del sentimento che esso rappresenta mentre gli occhi, orinales de Neptuno, eccedono iperbolicamente, in abbondanza e in materia, le lacrime che, nei modelli precedenti, Belerma versava in simbolico contrappunto con lo scorrere del sangue di Durandarte. Il processo di fisicizzazione si accentua verso la fine del romance, in cui, dopo aver ridicolizzato il dolore dell'amica in nome di un amore che sia attualità e non ricordo, dona Alda la invita a tradire la causa cavalleresca e a scegliersi, tra gli uomini di chiesa, un nuovo amante: "La iglesia de san Dionís canónigos tiene muchos delgados, cariaguileños, carihartos y espaldudos: corso. Con un'operazione di bricolage, Gòngora non solo ripropone la prima quartina, ma addirittura mantiene parzialmente le parole in rima nella seconda e nelle terzine. "La dulce boca que a gustar convida un humor entre perlas destilado, y a no envidiar aquel licor sagrado que a Júpiter ministra el garzón de Ida, amantes, no toquéis, si queréis vida; porque entre un labio y otro colorado Amor está, de su veneno armado, cual entre flor y flor sierpe escondida. No os engañen las rosas, que a la Aurora diréis que, aljofaradas y olorosas se le cayeron del purpúreo seno; manzanas son de Tántalo, y no rosas, que después huyen del que incitan ahora y sólo del Amor queda el veneno." In questo sonetto, perfettamente accostabile con "quel labbro che le rose han colorito" di Torquato Tasso, la rottura più violenta si effettua nei primi due versi, con la presentazione, al di là della lecita "dulce boca", di un oggetto fortemente proibito, la saliva, che rimonta probabilmente alla lirica araba. Come abbiamo accennato, poi, vi sono numerosi rimandi alla letteratura e ai miti italiani, come possiamo notare nei vv.7-8, chiari rimandi alla figura di Virgilio. E' evidente, poi, che in questo caso, l'immagine si riferisce a Proserpina, mentre il mito di Tantalo appare esplicito nel terzultimo verso dell'opera. Ulteriore rimando a Bernardo Tasso, infine, è quello dei vv.9-10, poichè essi risultano estremamente simili a quelli del poeta italiano. E' evidente, inoltre, come vi siano numerosi richiami all'attenzione degli interlocutori (vv.5 e 11), ma soprattutto appare chiara la volontà di Gòngora di porre l'accento su termini che possano esaltare in ogni modo la dolcezza d'amore. A questo c'è poi da aggiungere il sottile gioco allusivo dettato dalla presenza di quei "pomi" della lirica petrarchesca che sono il seno desiderato e sfuggente della dama; qui viene in effetti evocato un "purpureo seno", anche se con processo neutralizzante esso è quello dell'Aurora. L'aspetto di maggior interesse è poi la "liquidità" del sonetto del cordovano, proposta a tutti gli effetti nel v.2, ma anche attraverso una densissima immagine fonica dominata da sequenze di liquide. Al centro del sonetto, precisamente a v.7, inoltre, vi è una forte allitterazione "Amor...amado", che risulta speculare rispetto all'Amor che centra il v.14. Questo rapporto di allusione ed elusione di Gòngora rispetto alle proprie fonti e ai modelli contemporanei e pregressi appare con tutto il suo peso in un altro celeberrimo sonetto, che ripropone il tema della fugace bellezza femminile e del carpe diem: " Mientras por competir con tu cabello, oro bruñido al sol relumbra en vano; mientras con menosprecio en medio el llano mira tu blanca frente el lilio bello; mientras a cada labio, por cogello, siguen más ojos que al clavel temprano; y mientras triunfa con desdén lozano del luciente cristal tu gentil cuello; goza cuello, cabello, labio y frente, antes que lo que fue en tu edad dorada oro, lilio, clavel, cristal luciente, no sólo en plata o vïola troncada se vuelva, mas tú y ello juntamente en tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada." Il sonetto si pone come un fascio di elementi preesistenti, fortemente codificati, sui due piani della forma dell'espressione e della forma del contenuto. Si individua quindi una serie di testi spagnoli ed europei, contemporanei e dell'antichità classica, che hanno come tema il "carpe diem" e che rivelano accentuate somiglianze tra loro. All'interno del testo, il codice petrarchista delle metafore di fiori e metalli preziosi per le fattezze della donna bella funziona introno ai tre semi: oro/colore/luce; ma ciò che si rivela importante da sottolineare è sicuramente la base dell'opera, posta su due livelli chiaramente oppositivi: da una parte la gioventù, con la sua bellezza ed il suo godimento, dall'altra la vecchiaia, con la sua bruttezza e frustrazione. La differenza consiste, inoltre, nella prospettiva temporale opposta: nel primo gruppo dal futuro al presente e nel secondo gruppo dal presente al futuro. Il codice correlativo, poi, viene svuotato già al v.9, con la preferenza data all'ordine fonico anzichè a quello semantico, e soprattutto al verso finale, che privilegia per la correlazione il piano connotativo a spesse di quello denotativo, proiettando ombra su tutta la luce prima connotata; e in realtà risulta implacabilmente referenziale contro ogni figura dei versi precedenti. La dissoluzione intacca anche le figure. Svaniscono le serie metonimiche, si esce dalla metaforizzazione, e la distribuzione geometrica dei quattro mientras anaforici delle quartine, ieratica nella sua rigida distribuzione per distici, si dissolve e annulla nella serie continua e nelle forme indistinte della parte finale. La conclusione rileva il modo in cui alcuni codici, che il sonetto condivide con altri testi, si intersecano all'interno del sonetto dando luogo a una strumentazione semiotica autonoma. Di questa intersezione, la parola cristal è un luogo privilegiato. A cavallo tra il più logoro arsenale di metafore petrarchiste per la bellezza femminile e l'indicazione metonimica del grande luogo comune dello specchio, cristal appunto con la sua guizzante polisemia svolge quella che, su un altro terreno, è stata chiamata una funzione reiperbolizzante; e con la sua condensazione allusiva, costituisce ancora una volta un esempio di quella omogeneità tra le due epoche gongorine. Il sonetto distrugge, dunque, dal di dentro tutta l'impalcatura formale e tematica che trova nella tradizione. Il significato del sonetto non è il "carpe diem"; è il nulla, perchè non c'è nulla per cui dire "carpe". Non è forse un caso il fatto inquietante che "mientras" sia anagramma perfetto di "mentiras". CONDENSAZIONE E COMMISTIONE NEI POEMI Le 63 ottave che costituiscono la Fabula de Polifemo y Galatea utilizzano un mito molto frequentato durante tutto il XVI secolo, icastica coincidenza e contrasto tra il tema della bellezza e quello dell'orrido, che ora esplode con una violenza tipicamente barocca. I meccanismi formali che lo sostengono sono da un lato le metafore di metafore, che proiettano la bellezza della ninfa in una progressione iperbolica, a partire dal piano petrarchista ormai recepito; e dall'altro un'insistenza in immagini basse e "realistiche", se non degradate, che rompono quel piano e gli fanno acquistare un inusitato risalto. L'iperbato spesso violento, la sintassi complessa, con numerosi incisi, apposizioni, costruzioni assolute, sono gli ostacoli volontariamente frapposti alla lettura; l'"oscurità" che ne deriva è enfatizzata dai latinismi. Ma si tratta di processi funzionali all'esaltazione delle contrapposizioni. Questo ne è un esempio: "Donde espumoso el mar sicilïano el pie argenta de plata al Lilibeo (bóveda o de las fraguas de Vulcano, o tumba de los huesos de Tifeo), pálidas señas cenizoso un llano cuando no del sacrílego deseo del duro oficio da. Allí una alta roca mordaza es a una gruta de su boca." La poesia inizia con un violento contrasto cromatico. A questa costruzione correlata corrispondono sul versante fonico i versi argentini con predominio di "e" ed "a" nei primi due versi che descrivono il mare, in contrasto con i vv.4-5, dove il buio della caverna è evocato tramite il predominio dei toni oscuri ("o" e "u"), enfatizzati dagli accenti iniziali su "bòveda" e "tumba". E, per quanto riguarda il lessico, i neologismi come "argenta" contrastano con parole basse come "mordaza". Le "Soledades" , non solo luogo disabitato e condizione di solitudine fisica e spirituale, ma anche senso di deprivazione, malinconia e nostalgia, narrano di un giovane e misterioso peregrino, respinto dall'amante, che approda naufrago ad una riva. Viene soccorso da alcuni caprai, assiste ad una festa di nozze, dove un vecchio lamenta l'ambizione che spinge a viaggiare: in mare è morto suo figlio. La seconda Soledad inizia con scene di pesca e amore, per interrompersi dopo 975 versi. Il termine che costituisce il titolo dell'opera appare al terzo verso, unica presenza in tutto il poema: "Pasos de un peregrino son, errante, Cuantos me dictó versos dulce Musa En soledad confusa, Perdidos unos, otros inspirados." Questa strofa iniziale campiona innanzitutto il metro scelto: la silva, di origine italiana, con risonanze latine, solitamente utilizzata per opere di tipo pastorale e boschereccio. Di questa "silva", Gòngora ne sottolinea la polisemia, in quanto da un lato essa indica la selva, paesaggio naturale, e dall'altro la silva come forma astrofica. In effetti, la soledad è un poema silvestre, inscritto in una silva di 1.091 versi: i personaggi che vi incontriamo sono pastori selvaggi, la cui dimora abituale, fuori da qualsiasi abitato, è la selva. Analogia silva=selva; Sinonimia selva=soledad. Analizzando in modo dettagliato l'opera è giusto, poi, soffermarci sul protagonista, il peregrino. Il pellegrino l'esiliato: la sua condizione di essere unico, diverso dagli altri, lo costringe alla solitudine. Ma peregrino, nella lingua classica, evoca pure la qualità di ciò che è insolito, fuori dal comune, come la sua ineguagliabile perfezione dell'ingegno. Egli è poi errante, poichè i suoi passi, invece di condurlo alla meta del viaggio, si perdono nella selva dove viene raccolto dai pastori. Quanto al poeta, i suoi versi sono i passi di un essere singolare, che è penetrato in una silva la cui forma astrofica impone, a chi la crea, un'andatura erratica, non regolata a priori dalle leggi della metrica. Ricapitolando, quindi, gli esseri qui implicati sono due: il poeta e il pellegrino. L'uno interno al poema, è la sostanza, l'altro, esterno è colui che opera. Il pellegrino è l'argomento del poema, il poema è l'argomento del poeta. Pasos, infatti, si riferisce al protagonista, verso al poeta. In questo modo, fin dall'inizio creatura e
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