Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Esame completo letteratura spagnola I, Appunti di Letteratura Spagnola

Materiale completo per sostenere l'esame di Letteratura spagnola I organizzato attraverso le domande fornite dalla docente. Appunti, riassunti dispensa degli autori minori, analisi dettagliate delle poesie.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 03/02/2023

laura-cavaterra
laura-cavaterra 🇮🇹

4.8

(4)

4 documenti

1 / 122

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Esame completo letteratura spagnola I e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Domande esame letteratura spagnola I 2020-2021 1) Le guerre carliste e il regno di Isabella II Durante la seconda metà dell’800, in Spagna, vengono combattute le Guerre Carliste: guerre civili tra los carlistas, reazionari e conservatori, sostenitori dell’ascesa al trono di Carlo, fratello del re Fernando VII, esponente della monarchia assoluta e los isabelinos, sostenitori dell’ascesa al trono di Isabel, figlia legittima del re, di impronta liberale e progressista. Tali guerre carliste rappresentavano anche lo scontro tra due ideologie politiche:  I carlisti, Il cui motto era "Dio, patria, re" che incarnavano l’opposizione più reazionaria al liberalismo, difendendo la tradizionale monarchia assolutista e il cattolicesimo conservatore. Essi si trovavano principalmente nella metà settentrionale della Spagna, soprattutto nei Paesi Baschi e Navarra ed erano perlopiù proprietari impoveriti, artigiani rovinati e membri della piccola nobiltà;  isabeliani, sostenitori della futura regina e liberali formati dalla popolazione urbana, borghesia e ampie sezioni della nobiltà. Il re Fernando VII ebbe vari matrimoni: nel 1802 sposò Maria Victoria di Napoli, la quale morì senza lasciare eredi in seguito a due aborti; successivamente sposò la nipote Isabel de Bragaza, la quale diede alla luce una bambina che morì dopo quattro mesi; nel 1819 sposò Maria Josefa Amalia de Sajonia ma neanche lei gli diede dei figli. Solo nel 1829 si sposò con Maria Cristina di Borbone e finalmente ebbe due figlie, Isabel (1830) e Luisa Fernanda (due anni dopo). Il re, per evitare un problema successorio data la mancanza di una discendenza maschile diretta, decise di promulgare nel 1830 la "Pragmática Sánción", un editto attraverso il quale si derogava il Regolamento della successione che era in vigore dal 1713, approvato da Felipe V e chiamato comunemente ‘’Ley sálica’’, la quale impediva alle donne di ascendere al trono. Alla nascita di Isabel ella venne proclamata principessa delle Asturie. Nell’autunno del 1832 Fernando si ammalò gravemente, e i seguaci del fratello, Carlos María Isidro, riusciron a far firmare al re una deroga della Pragmática; ciò implicava che Carlos avrebbe asceso al trono. Il re successivamente guarì e ristabilì la validità della Pragmática Sánción prima della sua morte, avvenuta nel settembre del 1833. La principessa aveva solo tre anni, quindi la madre María Cristina assunse la reggenza e fece un accordo con i liberali per proteggere gli interessi della famiglia contro le pretese da parte dei carlisti. Il regno di Isabella II durò dalla morte di Ferdinando VII nel 1833 fino al trionfo della Rivoluzione del 1868, che costrinse la regina all'esilio. Il suo regno si divide in due fasi principali: il periodo di minorità (1833-1843), durante il quale la reggenza fu assunta prima dalla madre, María Cristina de Borbón-Dos Sicilias, e poi dal generale Baldomero Espartero. Una volta acquisita la maggiore età, dichiarata dalla corte nel 1843, il suo regno si divise in quattro periodi: 1. il decennio moderato (1844-1854) 2. Il biennio progressivo (1854-1856) 3. La fase dei governi dell’unione liberale (1856-1863) 4. la crisi finale (1863-1868) Il regno di Isabella II fu caratterizzato da un tentativo di modernizzazione della Spagna, contrastato dalle tensioni interne dei liberali, dalle pressioni che continuavano ad essere esercitate dai sostenitori dell'assolutismo, dai governi totalmente influenzati dall'establishment militare e dal fallimento finale di fronte alle difficoltà economiche e al declino dell'Unione Liberale che portarono la Spagna all'esperienza del Sessennio Democratico. La personalità della regina Isabella, che non aveva doti di governo ed era sottoposta a continue pressioni da parte della Corte, in particolare della madre, e anche dei generali Narváez, Espartero e O'Donnell, impedì di consolidare la transizione dall'Ancien Régime allo Stato liberale, con il risultato che la Spagna arrivò all'ultimo terzo del XIX secolo in condizioni sfavorevoli rispetto alle altre potenze europee. Prima guerra carlista (1833-1840) La Prima guerra carlista iniziò con la rivolta dei partiti carlisti nei Paesi Baschi e in Navarra. Ben presto controllarono le campagne, anche se città come Bilbao, San Sebastián, Vitoria e Pamplona rimasero fedeli a Isabella II e al liberalismo. L'esitazione del governo e il grande sostegno popolare permisero ai carlisti di organizzare la guerra con la guerriglia, finché il generale Zumalacárregui non organizzò un esercito nel territorio basco-navarro e il generale Cabrera unificò i partiti aragonese e catalano. La prima guerra carlista ha avuto uno sfondo politico che si è concretizzato in due persone con diritto al trono, secondo i loro sostenitori. Don Carlos entrò in Spagna e guidò l'esercito verso Madrid, obiettivo che non raggiunse. Egli ricevette il sostegno armato di Russia, Austria e Prussia, sebbene Isabella II godesse dell'appoggio di Inghilterra, Francia e Portogallo, che favorivano l'instaurazione di un liberalismo moderato in Spagna. La morte del generale Zumalacárregui nel 1835, durante l'assedio di Bilbao, diede il via a una reazione liberale. Il generale Espartero sconfisse le truppe carliste a Luchana nel 1836 e l'ultimo periodo del conflitto fu segnato dall'iniziativa dell'esercito liberale sotto il comando di Espartero e dalla divisione dei carlisti in quelli favorevoli a un accordo con i liberali. Con l'Accordo di Vergara del 1839, i generali Maroto ed Espartero firmarono un accordo di pace, accettando di mantenere le province basche e la Navarra e di integrare gli ufficiali carlisti nell'esercito liberale. I partiti intransigenti guidati da Cabrera continuarono la guerra nella zona di Maestrazgo in Aragona fino alla loro sconfitta nel 1840. Seconda guerra carlista (1846-1849) La Seconda guerra carlista, più che una guerra civile, fu un'insurrezione durante il decennio moderato, poiché i carlisti erano ancora la più piccola forza di opposizione al liberalismo. La "guerra dels matiners", incentrata nella zona di Granada, in Catalogna, fu facilmente abbattuta. La sua origine, almeno teorica, fu il fallimento dei tentativi di far sposare Isabella II con il pretendente carlista Carlo Luigi di Borbone, bersaglio di vari settori moderati di Isabella. Tuttavia, Isabella II finì per sposare il nipote Francisco de Asís de Borbón. Nel 1868 inizio il "Sexéne rivoluzionario" che si divise in quattro fasi:  Il governo provvisorio spagnolo (1868-1871);  Regno di Amedeo I di Savoia (1871-1873);  Prima Repubblica federale spagnola (1873) che termina con il colpo di Pavia nel 1874;  Repubblica unitaria, nota anche come dittatura di serrano favorevole al ripristino della monarchia dei Borboni nella persona di Alfonso XII, figlio di Isabella II (1874) ponendo fine alla rivoluzione dei sei anni. Terza guerra carlista (1872-1876) Durante il Sessennio rivoluzionario, il carlismo era rinato come forza politica. L'arrivo di Amedeo di Savoia provocò l'insurrezione armata di una parte dei carlisti, mentre un'altra fazione formò una piccola forza politica contraria alla nuova monarchia e con posizioni fortemente conservatrici. Il Modernismo in America prese una direzione fondamentalmente estetizzante. La poesia scritta era brillante, cromatica e sensuale, in armonia con il temperamento esuberante di quelle terre. In Spagna ha preso due strade fondamentali: una anch'essa estetizzante, radicata nel colorismo andaluso dei precursori, Reina e Rueda e più tardi Villaespesa e Machado. L'altro percorso spagnolo è quello che, sotto la tensione del '98, si rifugia nella sobrietà e nella scoperta castigliana e articola una letteratura fondamentalmente forgiata nella semplicità espressiva. Nel 1900 il Modernismo era già pienamente sviluppato in Spagna. Juan Ramón Jiménez è stato uno dei suoi maggiori rappresentanti. Unamuno entrò nel movimento suo malgrado e la sua straordinaria conoscenza della letteratura ispano- americana vi contribuì in larga misura. DIFFERENZE CON LA GENERAZIONE DEL ’98:  Il Modernismo è cosmopolita, dedicato al culto della parola, ha un carattere estroverso; fusione di influenze straniere con tradizioni autoctone spagnole.  La Generazione del ’98 ha un carattere introverso, va alla ricerca della parola semplice e si preoccupa della questione nazionale. 3) Rubén Darío Il suo influsso sui letterari spagnoli (non solo poeti, anche Valle-Inclán gli fu amico e fu suo ammiratore) fa in modo che lui sia un personaggio di grande interesse per la letteratura spagnola. Pseudonimo di Félix Rubén Darío Sarmiento, nasce in Nicaragua nel 1867 e muore nel 1916. Con lui nasce il Modernismo in quanto ne è il fondatore. Poeta prolifico, scrive numerose raccolte di poesie:  Azul (1888)  Prosas profanas (1896)  Cantos de vida y esperanza (1905)  El canto errante (1905)  El poema de otoño (1910)  El oro de Mallorca (1913) Incarna le varie tendenze di cui si compone il Modernismo, come il gusto del sincretismo per la fusione di suggestioni e tendenze che arrivano da vari ambiti, soprattutto dalla letteratura francese ma in generale dalle letterature straniere, assume un atteggiamento cosmopolita, evasionista; produce una poesia originale con contenuti cosmopoliti molto sensibili alle influenze esterne, ma la sua espressione è castiza (approccio purista alla propria cultura). Con due viaggi in Spagna, uno nel 1892 e uno nel 1898, conosce gli intellettuali spagnoli dell’epoca con cui condivide le difficoltà conseguenti al Desastre. Il suo atteggiamento cosmopolita è il risultato del suo costante pellegrinaggio, alle volte anche doloroso per lui, ma che è stato l’elemento cardine della nuova estetica universalista e aperta a tutte le innovazioni.  Nella prima raccolta poetica, Azul (1888) si nota questo atteggiamento sincretico ed eterogeneo della scrittura rubendariana: da un lato vi è l’esaltazione vitale propria dell’espressione ispano-americana che rappresenta l’esuberanza della natura americana, contesti in cui l’elemento vitale è accentuato (sembra rimandare a un tono leggero); dall’altro lato vi è una tendenza al simbolismo e al decadentismo (profondità di sentimento). L’arte di Darío unisce elementi apparentemente contrastanti. Lo stesso titolo parla di una simbolizzazione luminosa e pura della poesia: Azul è quasi un tecnicismo poetico che indica la bellezza cristallina dell’arte, aggettivo riferito alla poesia che tende verso la luminosità, la nitidezza e la bellezza in assoluto. È qualcosa di distante dai toni impuri della poesia simbolista: impuro ha un significato particolare  non vuol dire poco curato, ma intriso di soggettività lirica, di interiorità che entra prepotentemente nel testo; puro  depurato di ogni sentimentalismo. Darío riconosce che Azul è un libro che deve più al parnassianismo che al simbolismo. Contiene maggiormente i toni della poesia pura, anche se poi arriva a fondere queste due tendenze, cosa non facile e che rileva la grande statura di questo poeta. A Parigi, capitale europea nella quale trascorre molto tempo (conosce Sawa, Verlaine) continua la sua carriera di scrittura.  Con Prosas profanas raggiunge la pienezza artistica. La ricchezza della sua poesia sta nel fatto che riesce a unire antico e moderno, crea un dialogo fra arti differenti (musica e pittura) riempiendo il suo linguaggio di lemmi ed espressioni che rimandano alternativamente al mondo musicale e pittorico; la parte simbolica è quella intima; grande abilità versificatoria, riesce a costruire versi dotati di un ritmo impeccabile e organizzato, che si ripete senza infrazioni. Temi: presenza del sentimento religioso, su ciò che è metafisico, ciò che sta al di là della vita, si interroga sul senso dell’esistenza, insieme di inquietudini che fanno della sua scrittura un territorio affascinante e complesso. Mostra di conoscere anche le origini della letteratura spagnola (Berceo, Garcilaso, Cervantes) e questo, unito alle influenze delle altre letterature, fa sì che la sua poesia si configuri come un ambito eterogeneo e ricco di spunti e temi e stilemi. La sua poesia estremamente curata e raffinata nella costruzione prosodica, ritmo ed eufonia, nella creazione di sonorità e immagini inedite. Nel ‘98 torna in Spagna e a Madrid partecipa a una conferenza letteraria e intavola conversazioni con personaggi importanti della società spagnola: Benavente, Baroja, Valle-Inclán. Dopo il soggiorno a Madrid comincia a scrivere poesie che confluiranno successivamente nella raccolta Cantos de vida y esperanza, pubblicate nel 1905.  In quest’opera si nota un lavoro di sintesi fra estetismo e intimismo, spirito religioso e politico, universale e personale, ma anche una forte sensualità e la volontà di un’evasione immaginaria verso altri luoghi e altri tempi. Si presenta anche una maggiore riflessione interiore che conferisce maggiore spessore ai simboli. La raccolta si differenzia dalle altre per i toni più inquieti e amari poiché affronta il tema spagnolo non solo relazionato alla cultura con l’esaltazione dei grandi poeti spagnoli ma riflettendo anche sulla situazione politica causa dal Desastre.  Si segnala un testo isolato, Ode a Roosevelt in cui lui si propone come difensore dell’America spagnola di fronte all’espansionismo nordamericano: la fine del secolo segna il dissolvimento dell’impero coloniale spagnolo e da quel fatto storico in avanti comincia un dibattito sul futuro dell’America, sul suo ruolo e posizione rispetto all’Europa. Gli intellettuali di lingua spagnola partecipano a questo dibattito: Darío è a favore della difesa dei valori culturali e tradizionali dell’America ispanica che si vede dominata da quella anglosassone (già gli USA portano avanti espansionismo politico).  Canto a la Argentina è un poema in cui riprende la rivendicazione dell’America ispanica che rappresenta l’apice della sua proposta di difesa della cultura ispanica contro il colonialismo culturale e politico. La peculiarità si esplica tanto nei temi quanto nello stile: lui stesso nel prologo a Canto errante cerca di spiegare con toni e argomenti personali qual è il suo concetto di poesia e quale stile sceglie per sé: ‘’Non ho mai manifestato il culto esclusivo della parola per la parola (1). La parola insieme all’idea o coesiste con essa, perché non possiamo considerare l’una senza l’altra (2). La parola altro non è che un segno o una combinazione di segni, ma contiene tutto per la virtù demiurgica (3). Coloro che la usano male saranno i colpevoli se non sanno maneggiare questi pericolosi e delicati mezzi (4). E l’arte di ordinare le parole non dovrà essere sottoposta a un’imposizione di gioghi, poiché è appena nata la verità: l’arte non è un insieme di regole ma un’armonia di capricci. (5) (1): prende le distanze dal parnassianesimo. Dichiara che non è un cultore della parola fine a sé stessa, bella e piacevole ma che non ha altre finalità intrinseche; (2): la parola è sempre portatrice di un significato. Non si può comprendere il significato se non si riconosce la parola che lo veicola. Si distanzia dall’esteticismo dell’espressione poetica; (3): l’essere umano ha avuto la capacità di associare dei significati ai suoni. La parola è più di un segno, contiene tutto, anche il significato; (4): la parola è un mezzo pericoloso e delicato. Coloro che non lo sanno fare si macchieranno di una colpa; (5): metafora: la sintagmatica delle parole, l’ordinamento di esse non dovrà essere soggetti a costrizioni di nessun tipo poiché è appena nata la verità: l’arte non deve essere sottoposta a un rigido schema di regole, anche dal punto di vista della costruzione dell’opera, essa non nasce solo dall’applicazione di regole e principi formali ma da un’armonia di capricci. Nel concetto di armonia come insieme eufonico ed equilibrato di elementi sta la base della poetica di Darío. Capriccio è il contrario della regola, sfugge alle norme ma quando esso, dettato dalla creatività riesce ad essere imbrigliato in un sistema armonico nasce l’arte  elementi formali uniti a idee originali (capricci), insieme in cui ci sono regole ma anche armonia. Sonatina (Prosas profanas) – 1893 Nella sua poetica, Darío unisce la perfezione formale dei componimenti al veicolare un messaggio carico di contenuto. Il titolo ci introduce nella cultura musicale di Darío e nell’importanza che lui dava a tutte le arti, ognuna delle quali ha la sua importanza, un elemento che si ritrova in tutta la sua poetica, l’esaltazione dell’espressione artistica come sublimazione dell’essere umano. Sonatina è un termine tecnico-musicale che indica una forma musicale più elementare della sonata e che viene inaugurata da Muzio Clementi. È una designazione tecnica- musicale che Dario prende per battezzare il suo componimento. Abbiamo la sua impostazione dove l’elemento musicale è importante, con cui si intende la costruzione dei poemi, tutta una serie di elementi metrico-prosodici che formano il componimento. Sonatina è una sorta di favola, un racconto fantastico che narra le vicende di una principessa triste; anche l’ambiente è triste ma è anche modernista, sfarzoso, pieno di oggetti di grande valore, che tuttavia non contribuiscono a generare l’allegria della Guarda lontano a Oriente  indica il mondo esotico. Lei cerca nel cielo, introduce una metafora: la libellula  insetto che vola, campo semantico del volo che è il simbolo della libertà, la principessa auspica essere libera come un volatile che è capace di abbandonare la prigione. Chiasmo: la libellula vaga di una vaga illusione  sostantivo – verbo – verbo – sostantivo. Chiasmo rafforzato perché c’è la riproduzione dello stesso aggettivo. È anche una epanalessi  duplicazione di una parola o di un sintagma a breve distanza. L’illusione è vaga perché si riferisce a un sogno, un ideale, ma questo risulta confuso e indefinito: ha un desiderio la libertà e di amore, ma non è ancora ben identificato. C’è quasi un crescendo della voce narrante che illustra prima la condizione generale della principessa, poi insinua attraverso allusioni e vaghi accenni ai suoi pensieri; è una tecnica suggestiva di coinvolgere il lettore in questa storia che ha sin da subito aspetti di esotismo ed elementi fantastici. ¿Piensa, acaso, en el príncipe de Golconda o de China, o en el que ha detenido su carroza argentina para ver de sus ojos la dulzura de luz? ¿O en el rey de las islas de las rosas fragantes,  preziosismo o en el que es soberano de los claros diamantes,  campo semantico della luce, richiamo degli occhi di lei o en el dueño orgulloso de las perlas de Ormuz? Terza strofa: argentina preciosismo, descrive il lusso e la ricchezza della principessa, immagina che un principe la raggiunga in una carrozza d’argento. Elementi esotici dell’estremo Oriente. Iperbato: terzo verso. La dolcezza dei suoi occhi luminosi: la metafora descrive la dolcezza del suo sguardo ma allude anche al probabile colore dei suoi occhi, ossia chiari. Prototipo della bellezza femminile con gli occhi chiari. Sinestesia: dulzura de luz -> messa a contatto di due sensi diversi, dolcezza e luce. Il poeta insinua quelli che potrebbero essere pensieri della principessa, che vagheggia l’arrivo di un principe che la porti via da quella prigione, per amore. O en: sequenza anaforica ricca di elementi esotici: le isole delle rose fragranti richiamano un territorio esotico e lontano, il sovrano dei chiari diamanti  luogo in cui la ricchezza è così vistosa dai diamanti, campo semantico della luce, applicato in precedenza agli occhi di lei. Ormuz: luogo che si trovava nello stretto del Mar Rosso, luogo famoso per i giacimenti dei diamanti. In tutta la strofa, con questa serie di domande senza risposta, il lettore si sente immerso e coinvolto in una costruzione esotica di un mondo lontano che potrebbe essere vagheggiato dalla principessa. ¡Ay!, la pobre princesa de la boca de rosa quiere ser golondrina, quiere ser mariposa,  campo semantico del volo + parallelismo tener alas ligeras, bajo el cielo volar; ir al sol por la escala luminosa de un rayo, saludar a los lirios con los versos de mayo o perderse en el viento sobre el trueno del mar. Quarta strofa: la sua bocca diventa di rosa, altra metafora, continuazione del cromatismo. Metafora che pur avendo dei referenti diversi rappresenta lo stesso oggetto. Vuole essere rondine e farfalla, avere ali leggere, sotto il cielo volare, andare verso il sole attraverso la scala luminosa di un raggio, saltare i gigli coi versi di maggio, o perdersi nel vento sul tuono del mare. Il poeta continua con la narrazione personale di angosce e desideri di lei, torna campo semantico del volo, simbolo della libertà, compaiono un uccello e un insetto, dotati di ali e, come la libellula, questi volatili sono simbolo di libertà, aspirazione della principessa. Immagina plastica del cielo immaginato come una calotta chiusa, sotto la quale gli animali che volavano potevano muoversi. Altra immagine plastica significativa è quella della scalata della principessa attraverso le sue ali che sale verso il sole  rappresentazione metaforica, un raggio di sole rappresentato come una scala; quindi, l’ascesa della principessa verso il sole è plasticamente rappresentata dal raggio. I gigli rappresentano la primavera, la freschezza; rivolge un saluto ai gigli con i canti di maggio: canzoni primaverili della tradizione folklorica e popolare che hanno come tema centrale l’amore, la nascita dell’amore in primavera, stagione del risveglio. Salutare i gigli coi versi di maggio vuol dire cantare l’amore, ha bisogno dell’amore. Quella prigionia le fa preferire perdersi nel vento di un mare in tempesta, mare rumoroso -> l’azione di smarrirsi è preferibile alla condizione nella quale si trova. Ya no quiere el palacio, ni la rueca de plata, ni el halcón encantado, ni el bufón escarlata,  campo semantico della negazione, elementi lussuosi, ni los cisnes unánimes en el lago de azur.  cromatismo, rojo, blanco, azur Y están tristes las flores por la flor de la corte,  perifrasi metaforica los jazmines de Oriente, los nelumbos del Norte, de Occidente las dalias y las rosas del Sur. Quinta strofa: non vuole più il palazzo, né la rocca d’argento, né il falco incantato, né il buffone scarlatto ecc. Di nuovo la negazione, lei non vuole il palazzo, la rocca d’argento, il lusso, nulla che sia in relazione col palazzo. Il falco rappresenta il lusso, usato dai nobili e dai cavalieri, costoso e richiede un certo trattamento. Non vuole il buffone scarlatto: cromatismo del rosso che torna; né i cigni unanimi: hanno lo stesso colore, unanime è qualcosa di compatto, in questo senso vuol dire che sono tutti bianchi  si trovano nel lago azur (francesismo), Dario lo introduce per fare un richiamo esplicito a Hugo che aveva detto: l’art est l’azur, perché rappresenta ciò che è cristallino e perfetto, è la cifra estetica del Modernismo, questo concetto di azzurro è pure parnassiano. Esibizione dell’estetica modernista con questo termine. I fiori sono tristi (prima era comparso un fiore, ora sono in giardino, vivi ma tristi) per il fiore della corte  perifrasi metaforica per riferirsi a lei: i gelsomini di oriente, nelumbos del Norte (parallelismo), iperbato  de occidente las dalias, e le rose del sud: elenco dei punti cardinali. Rompe il parallelismo del verso precedente, lo fa per un motivo prosodico: de occidènte las dalias, così l’accento cade sulla terza, al contrario sarebbe stato las dàlias de occidente, sulla seconda. Flores e flor: poliptoto (in spagnolo è femminile), flor è singolare e flores plurale. ¡Pobrecita princesa de los ojos azules! Está presa en sus oros, está presa en sus tules, en la jaula de mármol del palacio real; el palacio soberbio que vigilan los guardas, que custodian cien negros con sus cien alabardas,  iperbole, esagerazione un lebrel que no duerme y un dragón colosal. Sesta strofa: Questa voce narrante empatizza con la principessa, esclamazione enfatica ‘’povera principessa’’, ojos azules, ulteriore cromatismo, prigioniera nei suoi ori e nel tulle (parallelismo), materiali che indicano la sua ricchezza, nella gabbia di marmo del palazzo reale: la prima volta che si parla del palazzo come una gabbia, marmo materiale pregiato, rimanda al preziosismo che caratterizza il testo. Palacio soberbio: anadiplosi, ripetizione di palacio a fine verso e a inizio verso successivo; superbo ha un’accezione di eccellenza (vuol dire sontuoso e lussuoso, prestigioso) non di superbia caratteriale. Le sentinelle lo vigilano e anche i neri (altro parallelismo), altro elemento esotico e fantastico del racconto (neri con le alabarde)  epanalessi (cien – cien); anche iperbole, addirittura cento guardie a custodire il palazzo. Protetto anche da un levriero (cane) che non dorme, climax ascendente di elementi fantastici, e poi un drago colossale.  elementi di chiusura della strofa. In questa strofa torna l’elemento esotico e preziosista e fantastico. ¡Oh, quién fuera hipsipila que dejó la crisálida!  termine che introduce un ambiente esotico e fantastico (La princesa está triste, la princesa está pálida) ¡Oh visión adorada de oro, rosa y marfil! ¡Quién volara a la tierra donde un príncipe existe, —la princesa está pálida, la princesa está triste—, más brillante que el alba, más hermoso que abril! Settima strofa: magari fossi Ipsipila che lasciò la crisalide. Cambio di passo del poema, subito si intuisce che viene introdotta la voce della principessa. Il termine hipsipila è il nome tecnico della farfalla ma è anche una figura mitologica, menzionata da Ovidio. Regina dell’Isola di Lemno, introduce il mito che contribuisce a creare un ambiente esotico e fantastico. Questa regina convince le donne di Lemno a smettere di offrire sacrifici alla dea Afrodite, perché quest’ultima era stata infedele a Efesto (marito). Afrodite la punisce facendo in modo che tutte le donne di Lemno siano abbandonate dai loro uomini, e che a loro preferiscano le schiave. Le donne uccidono tutta la popolazione maschile, Ipsipila ha pietà del padre e gli salva la vita. Il mito presenta Ips come una donna libera e determinata ma anche capace di fare delle scelte che andavano contro la vocazione collettiva, scelte determinate dal proprio mondo interiore (l’affetto filiale la porta a risparmiare suo padre). Determinazione ma anche umanità. In questo verso Ips compare e costituisce un’antonomasia (un nome proprio di persona per il carattere simbolico di quel personaggio diventa una virtù/vizio, una caratteristica che in questo caso è la libertà  vuole lasciare la crisalide. Ritornano i due emistichi usati (di due versi diversi) nella prima strofa tra parentesi: il poeta si inserisce in un inciso e in un richiamo a quanto detto in precedenza. Oh visione adorata di oro, rosa e avorio: cromatismi che sono gli stessi visti nelle strofe precedenti: oro, bocca, e avorio  colore della pelle. Metaforicamente presenta la visione di una figura maschile che lei vagheggia. Magari potessi volare nella terra dove un principe esiste, di nuovo tornano in posizione inversa altri due emistichi sempre tra parentesi; poi torna la figura del principe  più brillante dell’alba, più bello di Aprile; luminoso lui come gli occhi di lei, è in grado di portare gioia, è il momento della giornata (alba), e più bello del risorgere della natura, della nascita degli amori (aprile). Ultimo verso: parallelismo. —«Calla, calla, princesa —dice el hada madrina—; en caballo, con alas, hacia acá se encamina, en el cinto la espada y en la mano el azor, el feliz caballero que te adora sin verte, y que llega de lejos, vencedor de la Muerte, a encenderte los labios con un beso de amor». Ottava strofa: Entra in scena la fata madrina, che ha ascoltato le parole della principessa e interviene dicendo: taci, taci principessa, su un cavallo con ali – elemento fantastico, rimanda al campo semantico del volo, anche il principe incarna la libertà – verso di noi, si incammina con la spada alla cintola e in mano l’astore – altro uccello rapace che rappresenta lo status del cavaliere, principe – il felice cavaliere che ti adora senza vederti – cavaliere medievale che ama senza vedere, amore che nasce senza conoscere la figura femminile, la ama solo per la fama della sua bellezza, si innamora  il mal de España, la malattia di cui soffriva il popolo spagnolo e che molti intellettuali descrivono come abulia (mancanza di volontà, incapacità di agire e di dirigere la propria vita). Riflette sopra la crisi spagnola, analizza le cause e cerca le soluzioni.  le preoccupazioni religiose ed esistenziali (il tempo, la morte, l’esistenza di dio).  forte spirito individualistico;  amore per la Spagna e per il paesaggio di Castiglia. Spesso Modernismo e Generazione del ‘98 vengono fatti coincidere e si intende il Modernismo come una particolare espressione delle inquietudini della Generazione del ‘98. C’è un certo ecletticismo nei confronti della Generazione ereditato dai parnassianisti (antiromanticismo), ma d’altro canto, questi scrittori non sono totalmente estranei all’estetica romanza, ne recepiscono le influenze (Baroja, Darío, Unamuno).  Unamuno: basco e si trasferisce a Madrid per l’università, diviene docente e rettore a Salamanca. Viene esiliato da Primo de Rivera nel ‘24 e si traferisce in Francia. Fu un uomo libero, diceva quello che pensava e a causa di questo ebbe molti problemi. Poligrafo, si dedica a tutti i generi letterari: poesia, prosa narrativa, teatro e saggio filosofico. Produzione variegata. Tuttavia, all’interno dei suoi scritti si intuisce una compattezza di pensiero, coerenza di temi che lo rendono una personalità unica e inconfondibile. Il suo primo romanzo Paz en la guerra si inquadra ancora nella tradizione realista, narra la terza guerra carlista e contiene elementi autobiografici (aveva vissuto nella sua infanzia) ed è il suo primo esperimento narrativo, non riesce ad affrancarsi del tutto dal canone realista. Con Amor y pedagogia trova una nuova strada (1902) si può considerare il primo romanzo modernista. Rottura rispetto ai canoni del romanzo realista.  Altri romanzi vengono pubblicati lo stesso anno (02): La voluntas di Azorín, Sonata de otoño di Valle-Inclán (prima di quattro opere narrative, tetralogia), Camino de perfección di Baroja. Momento di snodo e rinnovamento della storia del romanzo spagnolo. Il capolavoro del romanzo modernista è Niebla (1914), segna la maturità di Unamuno.  Ganivet: meno prolifico, esistenza breve, muore suicida a poco più di trent’anni (1898). Personalità complessa, scrive saggi e romanzi. Nel 1897 scrive un saggio importante, Idearium español, e altri romanzi: La Conquista del reino de Maya por el ultimo conquistador español, Pio Cid, Los trabajos del infatigable creador Pio Cid e un dramma in versi: El escultor de su alma. Il tema della Spagna è la sua maggiore preoccupazione, teorizza uno dei sintomi più rilevante nell’abulia: la mancanza di volontà, atteggiamento spirituale e psicologico che paralizza anziché muovere all’azione -> caratteristica più rilevante di molti protagonisti di romanzi modernisti. 6) La questione dell’identità nazionale: Unamuno, Azorín e Ortega y Gasset. Molti intellettuali della Generazione del ‘98 affrontarono il problema dell’identità nazionale. Si può dire che questa preoccupazione diffusa sia il denominatore comune più pertinente per l’equivoca dicitura “Generazione del ‘98”, che crea un nesso tra una periodizzazione derivata dal positivismo e un evento storico considerato traumatico per l’orgoglio nazionale. UNAMUNO: Per Unamuno il paesaggio castigliano e la figura di Don Quijote riflettono l’anima spagnola. Nel suo saggio “En torno al casticismo”, dopo aver analizzato la storia della Spagna, sostiene la necessità di aprire il paese alla modernità (gli stessi temi sono trattati in La crisis del patriotismo, 1896). Condanna il fatto che la Spagna sia castiza, termine che significa puro, non contaminato da agenti stranieri; il paese dovrebbe rivolgersi maggiormente verso l’esterno e modernizzarsi seguendo l’esempio delle altre potenze europee. Le istituzioni della Spagna, dopo il Cinquecento europeizzante e cosmopolita, hanno portato il paese ad adagiarsi nella morte spirituale dell’immobilismo. Entrambi i libri avevano già proposto da una parte l’apertura all’Europa e alla modernità, dall’altra, l’immersione nel popolo ancora non indagato, considerandone le vicende profonde e autentiche dell’agire quotidiano (intrahistoria), sottostanti agli eventi della storia ufficiale. L’interesse per la nazione coincide quindi con l’interesse del popolo, portatore dell’avvenire. Unamuno rivede poi la sua posizione, per avviarsi in una prospettiva ispanocentrica, espressa in Vida de Don Quijote y Sancho (1905), riscrittura ideologica e personale di Cervantes, il cui protagonista è visto come simbolo ideale dell’anima spagnola nel suo desiderio di sconfiggere il destino, nella volontà di credere e nell’anelito di immortalità. In Soliloquios y conversaciones (1911) lo scrittore esalta l’appassionata tensione ispanica verso l’assoluto, generata dalla consapevolezza della morte, vocazione spirituale e vitalista che egli contrappone al gelido razionalismo europeo. Per Unamuno l’anima della comunità iberica è visibile nel paesaggio, oggetto di una contemplazione sensibile che evita la semplice descrizione della realtà esteriore dei luoghi e si apre a sollecitazioni spirituali, secondo la visione romantica del paesaggio come stato d’animo. AZORIN: come Unamuno, dopo la radicale critica del tradizionalismo espressa in El alma castellana, vuole esplorare con animo ormai più nostalgico che acre, l’anima del paesaggio nazionale e delle località minori in Los pueblos, Ensayos sobre la vida provinciana e in La ruta di don Quijote, con l’intento di cogliere la grandezza del banale e delle piccole cose, sintomo della vita profonda che si cela nell’umiltà del quotidiano, come dimostra il viaggiatore instancabile di España e Castilla, libri nei quali si riscontra il suo “spirito del 98”. Esso consiste nel ritrovamento di un’essenza arcaica della tradizione, custodita nelle località meno frequentate, in città assopite, in vecchi borghi, in paesaggi brulli. Quest’essenza si riflette in un’estetica della sobrietà piuttosto che in una consapevolezza sociale. ORTEGA Y GASSET: i suoi primi libri Meditaciones del Quijote (1914), España invertebrada (1921) si riferiscono al problema nazionale, ma lo fanno da una prospettiva meno passionale, poiché, abbandonando categorie assolute, riconducono la cultura nell’alveo della storia presente. Fondamento dei mali della Spagna, la cui monarchia parlamentare è vista, con lucida prognosi, in rapida disintegrazione, è, secondo la visione elitaria di Ortega, il ruolo preponderante delle masse inerti e nello stesso tempo incapaci di esercitare l’autocontrollo razionale, di fronte all’insufficienza di minoranze dinamiche e influenti che costituiscono la colonna vertebrale di un paese. È un principio che svilupperà, nel quadro più ampio della civiltà occidentale, in La rebelión de las masas. In un saggio presenta il ceto intellettuale di un determinato periodo storico, la “generazione”, come l’unica possibilità di costituire un’élite capace di esercitare un influsso profondo sulla vita della nazione. 7) Le ricerche di Ramón Menéndez Pidal e la nascita della scuola filologica spagnola. Ramón Menéndez Pidal (1869-1968), fondatore della moderna linguistica storica in Spagna. Le sue prime ricerche sono collegate alla questione dell’identità nazionale, e le affronta con un rigore scientifico. Con lui la storiografia spagnola entra nella sua fase moderna. Studia le origini della lingua nel Manual elemental de gramática Histórica española (1904), che riflette una concezione evoluzionista della lingua, e in Orígenes del español (1926), dove osserva la tendenza delle forme popolari ad affermarsi nella lingua dotta e mostra che la storia linguistica e la storia generale camminano insieme e si chiariscono a vicenda. Pubblica, inoltre, edizioni critiche della letteratura medievale spagnola ritenuta ancora indenne da contaminazioni straniere o transnazionali, in particolare il monumentale ‘’Cantar de Mio Cid’’. Attraverso queste indagini giunge all’interpretazione storica - con La España del Cid (1929), libro nel quale difende l’originalità del progetto politico della Castiglia, proponendo un modello di Nazionalità forte, contrapposte a rivendicazioni autonomiste - e all’interpretazione storico culturale con L’epopea castigliana attraverso la letteratura spagnola, 1910. In questo testo Mendez Pidal espone la sua concezione ‘’tradizionalista’’ della letteratura spagnola secondo la quale l’opera creata da un individuo viene rielaborata attraverso molteplici variazioni nel corso dei secoli da una folla di anonimi, un popolo che così sceglie nella continuità il proprio patrimonio caratteristico; l’idea ha affinità con la concezione unamuniana di intrahistoria. Lo studio del processo di trasmissione culturale deve essere affrontato da un collettivo, quello degli allievi riuniti nel Centro de Estudios históricos, promosso dallo stesso Pidal e istituito nel 1910. 8) La traiettoria poetica di Antonio Machado (1875-1939) Antonio Machado nasce a Siviglia dove abita anche il nonno, le cui idee liberali, come quelle del padre, si ispirano al krausismo. Il nonno è un folklorista appartenente alla nobiltà: vivono al Palacio de las Dueñas. La famiglia si trasferisce a Madrid quando Machado ha solo otto anni, e insieme al fratello Manuel studia nella Institución Libre de Enseñanza. Le sue prime pubblicazioni consistono in articoli di cronaca per il giornale La Caricatura. Nel 1902 incontra Rubén Darío a Parigi. Nel 1907 pubblica Soledades insegna francese a Soria, dove incontra Leonor Izquierdo Cuevas, la quale sposerà nel 1909 e con cui rimarrà fino alla prematura morte di lei, nel 1912. Il successo di Campos de Castilla allevierà la sua sofferenza. Dopo la morte della moglie, lascia Soria e va in Andalusia e lì continua come insegnante fino al 1919. Poi torna in Castilla e vi risiede fino al 1931. Ha contatti molto importanti a Madrid e dopo la proclamazione della Repubblica vi si trasferisce, nell’istituto Calderón de la Barca. Sostiene la repubblica; si trasferisce poi a Valencia (1936) e nel 1939, quando Franco instaura la dittatura, abbandona il paese, va in Francia e si insedia in un paesino nel quale muore. Con il fratello scrive dei rifacimenti delle commedie di Tirso de Molina e Lope de Vega e anche testi originali per il teatro. Machado mantiene un forte legame con la tradizione poetica che lo indirizza su una strada molto personale, diversa sia da quella di Jiménez che dagli altri poeti degli anni Venti e Trenta che avevano dimenticato l’esigenza di testimoniare il sentimento e il tempo vissuto. Proclamata la Repubblica si trasferisce a Madrid dove collabora alla politica culturale del governo.  I testi di Soledades sono scritti tra il 1899 e il 1902, il cui titolo diventerà poi Soledades, galerías y otros poemas. È una raccolta che presenta l’impronta formale del modernismo di Darío, ma l’introversione dei testi conferisce un tono personale alla scrittura di Machado. Nel prologo afferma, infatti, di ammirare Darío, ma preferisce seguire un percorso differente. Il titolo “soledades” rimanda all’essenza intimistica del libro mentre l’immagine delle “galerías” rappresenta l’intricato percorso interiore. Le solitudini non sono solo dell’uomo ma anche dello spazio deserto, abitato solo dal soggetto che dialoga con sé stesso. In Soledades ci sono immagini tipiche del decadentismo: giardini abbandonati, vecchi parchi, fontane. Tutto sembra velato di malinconia e nostalgia. Inoltre, queste immagini, ripetute costantemente, formano un paradigma lessicale di simboli, compongono infatti i campi semantici della vecchiaia, del tempo, della morte, dell’angoscia e della solitudine. Nella raccolta la parola poetica è voce viva di un dialogo intimo, per l’antitesi cándida y vieja che è allo stesso tempo un ossimoro o addirittura un paradosso  candida suggerisce qualcosa di innocente, pulito, gioviale (si collega all’infanzia), mentre vecchia vi si contrappone. In questa apparente opposizione c’è una coerenza perché da adulto cerca un ricordo nella sua memoria che fa parte del suo passato che lo rimanda quindi alla sua infanzia: un ricordo quindi candido, puro e innocente ma allo stesso tempo vecchio perché è lontano nel passato – qualche ombra sul bianco muro – cromatismo del bianco, il poeta fa un chiaro riferimento a una figura umana – qualche ricordo nel muretto di pietra della fonte addormentato – recuerdo dormido  il poeta cerca di rievocare momenti di infanzia; e pretil de piedra  questo muretto è statico, immobile, immerso in questo ambiente di pace che domina il patio che contempla. L’aggettivo dormido rimanda a un contesto di sogno, surreale – o nell’aria qualche fruscio di tunica leggera – viene impiegata anche la dimensione acustica, cerca di afferrare i ricordi anche attraverso l’aria – Nel clima della sera aleggia (fluttua) quell’aroma di assenza che dice all’anima luminosa: mai, e al cuore: spera – è cosciente di trovarsi in un pomeriggio che contiene un aroma di assenza  è un aroma che si configura con qualcosa che non c’è, cerca di rievocare una scena presente nella sua memoria sensoriale ma che non riesce a materializzare (metafora per mancanza). Interessante è vedere l'intervento della dimensione olfattiva: tutto ciò è applicato all'anima del poeta è diviso tra esperienza intellettuale e sensoriale. L’anima luminosa rappresenta la parte razionale, ciò che non crede a quello che non vede. Il cuore è la parte emotiva, la parte che attende e/o spera, poiché anche la speranza è una forma di attesa. L’anima razionale non ha fiducia che questa illusione candida si possa riprodurre, ma il cuore l’aspetta perché spinto da sentimenti – questo aroma che evoca i fantasmi delle fragranze vergini e morte – ancora una volta il poeta evoca il campo olfattivo con un aroma di assenza che concretamente non c’è ma evoca fantasmi, ossia i profumi dell’infanzia. La coppia di aggettivi antinomici vírgenes y muertas ha la funzione di mettere in evidenza cose candide e morte, cose giovani ma ormai lontane nel tempo. – Sì, ti ricordo sera allegra e chiara, quasi di primavera, sera senza fiori, quando mi portavi il profumo intenso della menta, e del buon basilico, che mia madre aveva nei suoi vasi. – affermazione molto netta del poeta in cui si rivolge direttamente alla sera quasi fosse un personaggio del testo riuscendo a passare dal presente fino al passato. Viene usato l'aggettivo clara che già aveva usato in precedenza, anche se in questo caso è accompagnato dall'aggettivo alegre in quanto il poeta si colloca nella dimensione dell'infanzia: anche se lui nel presente non è allegro, nel passato, quando era piccolo, lo era. Negli ultimi due versi è presente una sorta di chiasmo (hierbabuena e buena albahaca) che ha a che vedere con la struttura delle parole: hierbabuena sono due parole. Queste piante richiamano il cromatismo del verde; è una tarde sin flores perché la sera è invasa dai profumi di queste piante e non dai fiori. Infine, vi è l'evocazione di una figura femminile che si intuiva in vari riferimenti del testo (quando viene citata la tunica, ovvero un capo di abbigliamento femminile, quindi il fruscio era quello di una figura femminile.): questa donna potrebbe essere la madre. – Tu mi vedesti immergere le mani pure nell’acqua serena per cogliere i frutti incantati che oggi sognano in fondo alla fonte – si rivolge nuovamente alla sera/pomeriggio. Le mani sono pure perché appartengono al Machado bambino; esse vanno nell’acqua serena, quindi statica, per raccogliere i frutti incantati. Questo verso fa chiaro riferimento al terzo verso con l'incanto come visione gradevole, anche se qui grazie al participio passato encantados dà un'altra interpretazione: questa scena potrebbe essere vista come una sorta di incantesimo.  i frutti sognano come sognava il poeta quando li contemplava. Si ricollega l'immagine introduttiva perché usa hoy riferendosi al presente. Ritorna a una scena che lui aveva tratteggiato nei versi precedenti: il passaggio dal passato al presente si ha proprio al verso 31, la rievocazione del passato termina con i frutti incantati perché il bambino pensava che questi frutti stessero nell'acqua e per questo cercava di prenderli mentre invece non prendeva nulla. Per lui, nella sua innocenza da bambino, era una specie di incantesimo ovvero qualcosa di magico – Sì, ti conosco, sera allegra e chiara, quasi di primavera. – versi 30, 31  ripete quasi integramente i due versi che aveva già utilizzato nella strofa precedente però con una sostanziale differenza, ovvero cambia il verbo. Mentre in precedenza aveva usato il verbo recordar con l'intento di rievocare questa scena, qui usa il verbo conocer. Quindi passa dalla dimensione del ricordo, che è fatto di memoria ma anche di percezioni sensoriali, alla dimensione conoscitiva: attraverso il ricordo di un'esperienza infantile ha acquisito consapevolezza intellettuale di ciò che in quel momento della sua infanzia aveva vissuto. Attraverso il ricordo, finalmente è riuscito a comprendere il vero significato di quel gesto che aveva compiuto in modo ingenuo e istintivo quando era un bambino e in questo modo il ricordo diventa per lui un'attività intellettuale superiore che gli ha dato più consapevolezza. Il testo presenta una descrizione che può essere suddivisa in tre parti: ma la scusa della vera ancora: il pomerigg la 1a e la 3a per descrizione si unisce in un dialogo (o monologo) con il pomeriggio del passato (si usa la seconda persona). Il lessico del testo è semplice e chiaramente connotativo. Così troviamo la sera come un grande simbolo. Il tempo prima della notte, la maturità prima della vecchiaia. Da lì, da quel luogo si visita il passato ( Sì, mi ricordo di te, pomeriggio felice Da lì, da quel luogo si visita il passato ( Sì, mi ricordo di te, pomeriggio felice e limpido ) e si produce la nostalgia che pervade l'intera poesia. Il pomeriggio del presente è solo chiaro, non è più felice. In questo senso, si può affermare che nella poesia predomina Retrato – Campos de Castilla Manuel, in un testo omonimo, si era presentato al suo pubblico focalizzandosi sul suo carattere, sul suo modo di vestire e di vivere e si era dichiarato da un lato cosmopolita e uomo elegante e raffinato ma dall’altro molto vicino al folklore andaluso, spiccato senso di appartenenza al mondo andaluso. Antonio risente anche di un certo fascino che su di lui esercitava il mondo andaluso che era la sua terra di origine e di infanzia (famiglia originaria di Siviglia poi trasferitasi a Madrid) aveva sempre sentito la nostalgia della sua terra. In Limonero lánguido suspende lui rievoca una scena della sua infanzia. In Retrato parla di sé stesso, si ispira al componimento del fratello (scritto diversi anni prima), la finalità del componimento è la stessa, quella di presentarsi al pubblico; la maestria tecnica è certamente superiore rispetto a quella del fratello. Testo Mi infancia son recuerdos de un patio de Sevilla, y un huerto claro donde madura el limonero; mi juventud, veinte años en tierras de Castilla; mi historia, algunos casos que recordar no quiero.   Ni un seductor Mañara, ni un Bradomín he sido —ya conocéis mi torpe aliño indumentario—, mas recibí la flecha que me asignó Cupido, y amé cuanto ellas puedan tener de hospitalario.   Hay en mis venas gotas de sangre jacobina, pero mi verso brota de manantial sereno; y, más que un hombre al uso que sabe su doctrina, soy, en el buen sentido de la palabra, bueno.   Adoro la hermosura, y en la moderna estética corté las viejas rosas del huerto de Ronsard; mas no amo los afeites de la actual cosmética, ni soy un ave de esas del nuevo gay-trinar.   Desdeño las romanzas de los tenores huecos y el coro de los grillos que cantan a la luna. A distinguir me paro las voces de los ecos, y escucho solamente, entre las voces, una.   ¿Soy clásico o romántico? No sé. Dejar quisiera mi verso, como deja el capitán su espada: famosa por la mano viril que la blandiera, no por el docto oficio del forjador preciada.   Converso con el hombre que siempre va conmigo —quien habla solo espera hablar a Dios un día—; mi soliloquio es plática con ese buen amigo que me enseñó el secreto de la filantropía.   Y al cabo, nada os debo; debéisme cuanto he escrito. A mi trabajo acudo, con mi dinero pago el traje que me cubre y la mansión que habito, el pan que me alimenta y el lecho en donde yago.   Y cuando llegue el día del último viaje, y esté al partir la nave que nunca ha de tornar, me encontraréis a bordo ligero de equipaje, casi desnudo, como los hijos de la mar. Analisi È un testo scritto in quartine di versi alessandrini. C’è uno schema rimico, ogni quartina è composta da versi che presentano rime alternate (ABAB), per questo parliamo di struttura in quartine, i versi si raggruppano in strofe di quattro. In questo caso, a differenza del testo di Manuel, c’è sempre una cesura precisa tra due emistichi (che terminano sempre con una parola piena). Un’altra peculiarità è che Antonio presenta sé stesso cominciando dalla sua infanzia, rappresentando la sua traiettoria vitale (lo scrive a quarant’anni, da poco sposato con Leonor, più giovane di lui ma muore prematuramente per la tubercolosi), e poi parla del suo temperamento e della sua concezione di poesia: la sua biografia si mescola alla poetica per costruire delle descrizioni o riferimenti che sono meta poetici (parlano della poesia), testo biografico e anche meta poetico. QUARTINA 1, traduzione: la mia infanzia sono ricordi di un cortile di Siviglia e di un orto (si può intendere anche come giardino) chiaro, dove matura il limone. La mia gioventù, venti anni in terra di Castiglia, la mia storia, alcuni fatti che ricordare non voglio (iperbato, usato per fare la rima) – comincia a presentare sé stesso dall’età infantile, ricordi di un cortile di Siviglia, cortile di una casa importante che apparteneva ai duchi di Alba per i quali lavoravano i genitori e i nonni di Machado. Questo palazzo signorile in cui abitavano si chiama Palacio de las Dueñas. Con patio de Sevilla si riferisce a questo palazzo. Con huerto claro si intende la zona verde del cortile, occupata da fiori e alberi dove matura il limonero, albero tipico del Sud Europeo e dell’Andalusia; claro si riferisce alla luce e luminosità del luogo e della terra andalusa in generale. Sintesi dell’infanzia. Poi gioventù: venti anni in terra di Castiglia, aveva otto anni quando va a Madrid, poi a Soria dove insegna francese in una scuola superiore e conosce Leonor. La sua storia fa riferimento a un percorso che ingloba tutta la sua vita, sia infanzia che gioventù, ci sono alcuni fatti che non vuole ricordare  verso interpretato in vari modi, alcuni pensano che alluda alla morte della moglie ma il componimento è stato scritto prima che morisse Leonor, magari ricorre a un topos letterario, retorica a brevatio  forma di sintetizzare un’esposizione narrativa: non può raccontare molti fatti della sua vita, non vuole ricordarli non per forza perché sono sgradevoli (può essere che non voglia ricordare la morte del padre) ma perché vuole dire altre cose in questo contesto. QUARTINA 2 Né un seduttore Manara, né un Bradomín sono stato, - conoscete già il mio goffo modo di vestire – ma ricevetti la freccia che mi assegnò Cupido e amai quanto esse (donne) possono avere di ospitale – qui parla del suo modo di comportarsi con le donne: afferma di non essere stato un seduttore e cita Miguel de Manara (antonomasia), personaggio storicamente esistito. Egli apparteneva alla nobiltà castigliana del 600, era un giovane che conduceva una vita dissipata che a un certo punto si pente e si converte e trasferisce in un convento. Machado lo chiama in causa per presentarsi come il suo opposto. Non è neanche un Bradomín, personaggio letterario di Ramon del Valle-Inclán che fu amico di Machado. Questo personaggio, alter ego del suo autore, è un dandy decadente e molto simile a Valle-Inclán, un esteta un po' trasandato e molto eccentrico in tutto, tipico della fine del 800. Questi due personaggi sono due figure dalle quali Machado prende le distanze dicendo che lui l’opposto di entrambi. ya conocéis mi torpe aliño indumentario  questo verso serve per contrapporsi sia al marchese di Bradomín, che voleva richiamare l'attenzione grazie al suo abbigliamento, sia a Manara, che seduceva le donne con un bel abbigliamento. Segue poi la metafora di Cupido, figlio di Venere, il quale era il dio dell'amore. La sua freccia lo ha colpito, quindi confessa di essere stato innamorato. Nell'ultimo verso dice che ha amato ciò che le donne avevano da dargli: il suo amore non è stato strumento di dominio, possesso o controllo sulle donne (come i personaggi da lui descritti), ma uno strumento con il quale si è fatto accogliere. La caratteristica quasi materna delle donne è quella di accogliere e questi due versi spiegano il suo modo di concepire l'amore = come complicità, generosità e condivisione. que lame el Duero! Un musgo amarillento le mancha la corteza blanquecina al tronco carcomido y polvoriento.   No será, cual los álamos cantores que guardan el camino y la ribera, habitado de pardos ruiseñores.   Ejército de hormigas en hilera va trepando por él, y en sus entrañas urden sus telas grises las arañas.   Antes que te derribe, olmo del Duero, con su hacha el leñador, y el carpintero te convierta en melena de campana, lanza de carro o yugo de carreta; antes que rojo en el hogar, mañana, ardas en alguna mísera caseta, al borde de un camino; antes que te descuaje un torbellino y tronche el soplo de las sierras blancas; antes que el río hasta la mar te empuje por valles y barrancas, olmo, quiero anotar en mi cartera la gracia de tu rama verdecida. Mi corazón espera también, hacia la luz y hacia la vida, otro milagro de la primavera. Alla fine di luglio 1912 compare Campos de Castilla, opera a cui appartiene questa poesia. Conosciamo la data esatta di composizione: 4 maggio 1912. Nel luglio 1911, mentre è a Parigi, la moglie Leonor soffre di una violenta emottisi e tornano a Soria, dove morirà il 1° agosto 1912. Tenendo conto di queste circostanze, il lettore può scoprire il simbolismo del poema e collegare questi versi alla grave malattia che ha sofferto Leonor e interpretare questa composizione in questo verso: la profonda preoccupazione per la malattia di Leonor e il desiderio della sua guarigione. C'è chi suggerisce un'interpretazione più ampia in relazione al tema della Spagna, in questo caso l'olmo rifletterebbe il declino del paese e la speranza del poeta nella sua rigenerazione. In entrambi i casi, che non devono necessariamente escludersi a vicenda, si può notare che questa poesia risponde a una tecnica simbolista: in primo luogo, presentazione di un oggetto; alla fine, se ne svela il significato profondo. Traduzione e analisi STROFA 1: All’olmo vecchio, rotto dal fulmine e putrefatto/putrido per metà, con le piogge di aprile e il sole di maggio, alcune foglie verdi sono uscite: sta contemplando un olmo che è stato spezzato dal fulmine, ma con le piogge di aprile e il sole di maggio – definizione temporale – i mesi centrali della primavera, c’è un’esplosione di vita, infatti sono presenti alcune foglie verdi, è il mese di aprile per la precisione, un mese piovoso in cui la natura si risveglia grazie alle piogge e all'umidità misto al calore. Parallelismo al terzo verso dove gli elementi sintattici sono anche equivalenti con "lluvia" e "sol" come elementi atmosferici insieme ai due mesi "april" e "mayo". STROFA 2: L’olmo centenario (antico) sulla collina che lambisce il Duero – toponimo importante, il Duero è uno dei due fiumi più importanti di Castiglia (l’altro è il Tago), molto presente nella poesia di Machado perché attraversa la città di Soria, in cui vive vari anni, esclamazione quasi commossa rispetto alla maestosità di questo albero – un muschio giallognolo macchia la corteccia biancastra al tronco mangiato dai tarli e polveroso (aggettivo usato anche per il limonero languido) – anche la polvere è un elemento naturale. Sta descrivendo l’albero, si notano i cromatismi: il giallo del muschio, il biancastro nella corteccia. L’albero è dotato solo di tronco, essendo stato colpito dal fulmine. STROFA 3: Non sarà come i pioppi cantori (metonimia) che costruiscono il sentiero e la riva abitata da scuri usignoli – non sarà come i pioppi cantori che stanno sul percorso del fiume abitato dagli uccelli; con il riferimento agli usignoli si comprende il significato della metonimia cantores, perché il pioppo dotato di rami, quindi sano, è rifugio di uccelli cantori, pioppo cantore in questo senso. Quest’olmo non è cantore perché gli uccelli non si posano su di lui. ribera quasi come se fossero dei vigilanti. Questo olmo, a causa della sua amputazione, non sarà un albero cantore abitato da scuri usignoli identificati con questa nota cromatica (pardos). STROFA 4: Esercito di formiche in fila si arrampica su di lui e nelle sue viscere ordiscono le loro tele grigie i ragni. Si tratta di un olmo che sembra essere morto attorno a cui ruota molta vita: formiche e ragni. Se prima aveva parlato di elementi relativi all'albero per poi introdurre gli usignoli, qui va avanti introducendo elementi della fauna e in particolare gli insetti con le formiche e i ragni che fanno le loro ragnatele nelle viscere di questo albero che ha un tronco cavo e morto. È una scena naturale molto ben descritta. L’olmo, anche se sembra morto, è circondato di vita. STROFA 5: comincia un lungo periodo con varie subordinate correlative temporali. Prima che ti abbatta olmo del Duero con la sua ascia il boscaiolo e il falegname ti trasformi in mozzo di campana, lancia di carro o giogo di carretta, prima che rosso nel focolare domani tu arda (iperbato importante) di qualche misera casetta (si collega all’hogar) sul bordo di un sentiero – tutte queste proposizioni temporali presagiscono la distruzione definitiva dell’olmo che lui sa che verrà sradicato – prima che ti distrugga un ciclone e ti spezzi il soffio delle montagne bianche – parla della possibilità che sia distrutto da un movimento d’aria o anche dal vento invernale che viene dalle montagne, metonimia per le montagne, ma anche determinazione temporale; corre il rischio di essere abbattuto dal vento gelido dell’inverno – prima che il fiume verso il mare ti spinga (leggero iperbato) per valli e precipizi, olmo (vocativo, si rivolge all’albero, quasi fosse personificato), voglio (frase principale dopo una lunga serie di subordinate) annotare sul mio taccuino la grazia del tuo ramo verdeggiante. – erano spuntate alcune foglioline – Il mio cuore aspetta, verso la luce e verso la vita, un altro miracolo della primavera. Termina la presentazione dell’olmo e tutta la presentazione che potrebbe essere il destino di quell’albero. Vuole fissare nella sua memoria attraverso la scrittura (quiero anotar en mi cartera  verso meta poetico, è un richiamo alla sua attività di scrittore). Finisce la descrizione dell’albero. Negli ultimi versi Machado ha la capacità di inserire parte della sua interiorità nella contemplazione di un elemento naturale, le foglie verdi gli suggeriscono una sua aspirazione, il suo cuore aspetta verso la luce e la vita un miracolo della primavera  stagione della rinascita. Anche Machado spera di poter ricevere un miracolo che porti alla luce e alla vita, anche lui si trova in uno stato moribondo. Testo caratterizzato da una forte tendenza anaforica, soprattutto nell’ultima strofa: ripetizione costante di antes che crea un ritmo iterativo tra i versi; testo significativo della sensibilità di Machado verso i fatti naturali e i lemmi dell’esistenza. È anche un pensatore, molti suoi scritti in prosa sono veri e propri saggi filosofici. 9) La poesia di Juan Ramón Jiménez: traiettoria, temi, stilemi Juan Ramón Jiménez nasce a Moguer nel 1881. A undici anni viene messo nel collegio dei Gesuiti di Puerto Santa Maria, vicino a Cadice in cui avverte le prime tristezze, provocate dalla lontananza dalla famiglia e appena alleviate dai ritorni estivi a Moguer. Studia giurisprudenza a Siviglia e dipinge ma è appassionato anche alla lettura dei poeti romantici: Byron, Hugo, Goethe, tra i poeti spagnoli preferisce Bécquer e Rosalia de Castro. A quattordici anni scrive le sue prime poesie che vengono pubblicate in riviste andaluse. Nel 1900 si trasferisce a Madrid dove fa la conoscenza di Francisco Villaespesa, che lo introduce nel gruppo di letterati che fanno circolo intorno a Rubén Darío, la cui poesia influenzerà successivamente Jiménez, e saranno costoro che lo aiuteranno a trovare i titoli per i suoi primi libri, Ninfeas e Almas de violeta, che in seguito ripudierà. Sempre nel 1900 il poeta ritorna a Mouger dove la morte del padre acuisce la sua paura nevrotica per la morte e le malattie. Si trasferisce in una clinica a Bordeaux. In Francia si avvicina alla poesia simbolista di Mallarmé, Rimbaud e Baudelaire. Successivamente si trasferisce in una clinica a Madrid, dove organizza riunioni alle quali partecipano i fratelli Machado, Valle-Inclán, Benavente e in seguito si stabilisce presso il suo medico personale, Louis Simarro che lo introduce nell'ambiente della Residencia de Estudiantes, dove conosce le opere di Nietzsche e Schopenhauer. Nel 1902 pubblica Rimas e fa la conoscenza di Pío Baroja, dei fratelli Antonio e Manuel Machado e di Miguel de Unamuno. Nel 1903 appare Arias tristes e vanno formandosi Jardinés lejanos e Pastorales. Nel 1916 si imbarca per New York per sposare Zenobia Camprubí Aymar, conosciuta a Madrid tre anni prima e con la quale aveva lavorato. In quello stesso anno, così decisivo per la sua vita e la sua poesia, egli scrive Estio e durante il viaggio per New York, in nave, scriverà “Diario de un poeta recién casado“ e apprenderà con dispiacere la morte del maestro di tutti, Rubén Darío. In una prima fase egli dimostra la forte influenza ricevuta dal modernismo, soprattutto per il sensualismo, l’erotismo e il cromatismo. La poesia di Jiménez, che accoglie nei suoi versi la purezza (filone intellettuale), risente dell'influenza di Goethe diventa universale e il poeta è al centro della vita culturale del suo paese. Tra il 1921 e il 1927 cura riviste di breve durata e pubblica la rivista, Indice. Poco dopo lo scoppio della guerra civile spagnola il poeta insieme alla moglie lascia la sua patria per gli Stati Uniti: qui cerca invano di spingere il governo ad intervenire per riportare la pace in Spagna. Trascorre un breve periodo a Porto Rico, quindi si stabilisce con la moglie all'Avana. Nel 1939 ritorna negli Stati Uniti dove collabora a riviste americane, tiene conferenze e corsi nella Carolina, nel Maryland, a Washington, a Riverdale. Nel 1946 è colpito da una grave depressione e due anni dopo compie un viaggio in Argentina e in Uruguay dove è accolto calorosamente ed è invitato da tutte le università. Di esilio in esilio il destino lo spinge di nuovo a Porto Rico dove egli insegna all'università, ma nel 1956 lo accoglieranno gli avvenimenti ultimi della sua vita, la morte della moglie Zenobia, avvenuta tre giorni dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la letteratura e infine, nel 1958, la morte. La poesia di Jiménez segue un percorso ben preciso che va dal simbolismo ai miti della perfezione formale, passando dalla musicalità esteriore ad una musica sottile che nasce dall'interno. La lirica del suo primo periodo, fino al Diario de un poeta recién casado, rappresenta caratteri tipici del simbolismo, che dalla ricchezza modernista attinge solo una consumata sensibilità decadente. La poetica di Jiménez può essere suddivisa in diverse tappe: parte dal sensoriale, passa al sentimentale per poi culminare con un carattere intellettuale. che ad alcuni può apparire freddo e distaccato ma che rivela un grande esercizio di astrazione. Si passa dunque da una prima fase molto legata ai sensi e alle percezioni alla fase della maturità in cui tutto è rarefatto e condensato. Componimento scritto in versi de arte menor, ottosillabi, componimento isometrico, e presenta una assonanza ricorrente nelle sedi pari, a-e: lo schema metrico è quello del romance, genere poetico medievale e che ha grande fortuna che si caratterizza per essere una successione indeterminata di ottosillabi assonanzati nei versi pari. Testo dalla struttura rigorosa e si nota subito l’ambientazione in un luogo che è tipicamente modernista, il parco/giardino, parte dell’immaginario modernista, luoghi eleganti nei quali l’uomo costruisce la bellezza attraverso la coltivazione dei fiori, la combinazione dei colori, cura degli alberi. In questo testo vi è la descrizione di un parco al tramonto dove all'interno di esso ascolta una voce. La sonorità e la percezione acustica lo fa pensare a qualcos’altro, gli evoca un ricordo indefinito che non sa concretizzare e che lo emoziona. Si riscontra un'osservazione accurata dell'ambiente e al contempo, attraverso le percezioni sensoriali dell’autore, si intuisce un suo pensiero nostalgico che suggerisce al lettore come questo scenario un po' decadente del parco al tramonto può ispirare una persona a fare un'analisi approfondita di sé stessa. Traduzione e analisi C’è un oro dolce e fresco nel malva del pomeriggio – colore violaceo malva: nei primi due versi forte cromatismo che si riferisce a due colori, il giallo oro metaforico, colore dorato che intravede nella luce violacea del pomeriggio; malva è un’altra metafora che indica il tramonto; i due colori si mescolano, il sole si vede ancora all’orizzonte e – conferisce regalità alla bella sontuosità dei parchi. – Questa prima quartina descrive da un punto di vista cromatico questi parchi, sontuosi ed eleganti. Questo tripudio di colori conferisce loro regalità. E sotto il malva e l’oro si sono raccolti gli alberi verdi, rosati e verdi di germogli primaverili – sotto il colore del cielo (malva e oro al tramonto) gli alberi sono al di sotto e sono verdi, rosati (in fiore) hanno le foglie verdi tipiche della primavera, epanadiplosi  ripetizione di verdes, il verso si apre e si chiude con la stessa parola. Descrive cosa c’è dentro il parco. Dopo aver presentato questo spazio passa a descrivere una condizione sentimentale, intima e privata, passa al soggetto lasciando l’ambiente esterno. – È prigioniero il cuore in questo sogno ineffabile – non si sa ancora di chi è il cuore, l’immagine del parco che sta contemplando è come un sogno ineffabile, uno che non si può descrivere – che gli getta la sua rete (il sogno è il soggetto, per questo il cuore è prigioniero). Vede solo luci alte ali di angeli – si nota al verso 12 una forte allitterazione del fonema vocalico -a, verso nel quale introduce delle immagini che sono da un lato realistiche, poiché lo sguardo è rivolto verso l’alto e le luci potrebbero essere le stelle che cominciano a intravedersi nel cielo man mano che il sole si abbassa; dall’altro potrebbe trattarsi di immagini più surreali, ali di angeli  immagine metaforica: magari sono proprio le luci alte che l’Io osserva nel cielo e che associa o paragona ad ali di angeli, strumenti per volare, magari rappresentano l’ansia e l’aspirazione di libertà ed elevazione che può anche essere spirituale o morale. Gli resta solo da attendere le stelle – nella scena che contempla bisogna soltanto attendere le stelle – la carne si fa incenso e penombra per i sentieri dei roseti – ritorna alla descrizione del parco, qui la carne (quanto di più materiale e concreto esista) si dissolve in incenso, spezia che quando brucia genera un aroma che rappresenta ciò che è meramente allo stato gassoso, ha perso la sua materialità; la carne perde la sua consistenza, è come se in questo contesto così incantato non avvertisse più la presenza della carne, come se la materia si dissolvesse in questa bellezza e sontuosità. Anche la parola penombra appartiene al campo semantico immateriale, assenza di luce e non è concreta, si percepisce con effetto ottico; entrambe le parole rappresentano visivamente e alludono a due sensi diversi (vista e olfatto) alla distruzione della carne, questo avviene per i sentieri dei roseti. Sono tutte considerazioni che gli vengono suggerite dal parco. – E improvvisamente una voce malinconica e distante ha tremato sull’acqua nel silenzio dell’aria – fin qui aveva fatto riferimento soprattutto a immagini e oggetti percepibili con la vista, in questa quartina introduce elemento acustico della voce, che ha una caratteristica, malinconica e distante, produce l’effetto di far tremare l’acqua (metonimia, non trema la voce ma l’acqua), e si percepisce nel silenzio, lo spezza. – È una voce di donna accompagnata dal piano, è un dolce benessere per le rose assonnate del pomeriggio – in questa bellezza del parco, dove c’è il tripudio di colori che ispira serenità, anche dal punto di vista sonoro e acustico si produce una situazione che causa benessere, il quale si ripercuote soprattutto sulle rose, assonnate perché partecipano di questo ambiente di pace calma e silenzio; ripetizione insistente della parola voce (17, 21 e 25); – voce che mi fa piangere per nessuno e per qualcuno, sotto questa triste e dorata sontuosità dei parchi. – Ultima quartina introduce l’Io lirico, si ha la conferma che l’io partecipa di questa regalità dei parchi, pronome personale me. Ritorna il concetto dell’ineffabilità, il piangere per nessuno e qualcuno vuol dire piangere senza un motivo certo, piangere di emozione, non saperne spiegare il motivo, pianto anch’esso ineffabile, le cui motivazioni lui non riesce a spiegare. Un pianto (non triste). Sotto la sontuosità dei parchi, a cui aveva fatto riferimento in modo identico al quarto verso, anche gli aggettivi triste e dorato erano stati utilizzati. Torna il cromatismo del giallo alla fine del componimento, unito al triste, coppia di aggettivi che connota i parchi: oro, parco toccato e avvolto dal sole, apre e chiude il componimento; si aggiunge il triste che indica la malinconia che l’ambiente produce nell’Io lirico, malinconia che non causa dolore, contemplazione compiaciuta di un ambiente pacifico e sereno. L’ortografia per Jiménez deve essere fonetica: per rappresentare il fonema velare /j/ doveva essere usata sempre la j – per questo scrive ánjeles, recojido, anziché con g. Grafia etimologica quella che si è affermata. Lui si sforza di applicare questa sua norma ortografica, che non viene accettata e rimane una sua peculiarità. Octubre. Introduce nella stagione autunnale. Tratto da Sonetos Espirituales, del 1914. Estaba echado yo en la tierra, enfrente del infinito campo de Castilla, que el otoño envolvía en la amarilla dulzura de su claro sol poniente. Lento, el arado, paralelamente abría el haza oscura, y la sencilla mano abierta dejaba la semilla en su entraña partida honradamente. Pensé arrancarme el corazón, y echarlo, pleno de su sentir alto y profundo, al ancho surco del terruño tierno, a ver si con romperlo y con sembrarlo, la primavera le mostraba al mundo el árbol puro del amor eterno. Si compone in due quartine e due terzine in endecasillabi, le rime sono ABBA per le quartine, CDE per le terzine. Testo in cui l’Io lirico compare in modo netto sin dall’inizio. Yo al primo verso. Io ero disteso sulla terra di fronte all’infinito campo di Castilla: descrive sé stesso come disteso in posizione orizzontale in contatto diretto con la terra, in un luogo preciso, l’infinito campo di Castilla (rimanda a Machado, imponenza della natura castigliana), sintagma che è riferimento intertestuale alla poesia di Machado; infatti si nota la stessa modalità di Machado di descrivere una situazione naturale, un fatto che l’io osserva e di applicarlo alla propria vita. Questo campo che l’autunno (soggetto) avvolgeva nella gialla dolcezza del suo chiaro sole ponente: ci si trova in autunno e al tramonto, il campo è avvolto nella gialla dolcezza (sinestesia ed enjambement) del sole chiaro, sole che tramonta. Importante enjambements tra primo e secondo verso, enfrente del infinito. Lento l’aratro, parallelamente apriva il solco oscuro e la semplice mano aperta lasciava il seme nelle sue viscere aperte onorevolmente: descrizione della semina  in autunno si semina il grano, l’aratro che scava il solco, e la mano (metonimia) del contadino che è semplice perché è di un uomo onesto e lascia il seme nella viscera del terreno (entraña – metafora, parte interna del terreno); l’avverbio onorevolmente si riferisce al lavoro del contadino, lavoro puro, genuino e utile. Vari enjambements, il più importante è sencilla mano. Dopo aver descritto la scena autunnale e della semina passa nelle terzine a parlare di ciò che vorrebbe fare dopo aver osservato la scena. – Pensai di strapparmi il cuore, e di gettarlo, pieno del suo sentire alto e profondo nell’ampio solco del terriccio tenero . – Metaforicamente diventa una semente, così come fa il contadino con i semi; il suo cuore è la sede dei sentimenti alti e profondi, lo immagina come trasformato in seme. Vuole farlo – per vedere se rompendolo e seminandolo la primavera avrebbe mostrato al mondo l’albero puro dell’amore eterno. – I semi gettati nel solco dal contadino in autunno genereranno in primavera il grano e le varie colture; il suo cuore gettato nel solco avrebbe generato in primavera l’albero dell’amore eterno (albero metafora) – un poeta dona sé stesso ed è nella poesia che lui riesce ad esprimere tutta la sua interiorità. Si mostra al suo pubblico come un poeta che dona le sue creazioni agli altri e che spera che grazie alla sua attività, al dono che quotidianamente fa scrivendo poesia possa far scaturire in chi lo legge l’amore eterno, amore del poeta verso il prossimo e che qui rappresenta l’effetto che può produrre la poesia su chi la legge. La poesia rende migliori, rende capaci di contemplare la bellezza e di amare il prossimo. Componimento che pur partendo da un evento naturale, della semina, offre al poeta la possibilità di esprimere un concetto molto più ampio, che ha anche una componente meta poetica, perché lui riflette sulla propria attività, sugli effetti che essa produce su sé stesso e sugli altri. L’albero puro dell’amore eterno nasce dal suo cuore gettato nel solco. LEZIONE DEL 25 OTTOBRE 2022 Juan Ramón Jiménez, Vino, primero, pura (Eternidades, 1918) Componimento metapoetico, parla della poesia. Il poeta enuncia la sua traiettoria poetica, costituita da varie fasi e che descrive introducendo la metafora del corpo femminile (personificazione della poesia), attraverso la quale racconta quello che è stato il suo percorso di poeta. Testo diviso in due strofe, versi prevalentemente corti, settenari con qualche verso più lungo, strofe eterometriche, ciascuna delle quali è composta per lo più da settenari ma anche novenari e tre versi endecasillabi. Ci sono delle assonanze e c’è una rima identica, interessa due versi (tunica al verso 11 e 14). Assonanza i,a nella seconda strofa, e nella prima e,a ed e,o -> non hanno una natura sistematica nel testo, non interessa tutti i versi pari come Hay un oro dulce y fresco. Testo  l’intero componimento è una metafora Vino, primero, pura, eventi. L'argomentazione viene presentata spesso in forma dialogica; il contenuto intellettuale del romanzo acquista così una grande importanza e diventa determinante il ruolo della variabile prospettiva soggettiva. Nel panorama della narrativa un fenomeno importante è la moltiplicazione di settimanali destinati alla pubblicazione di novelle e romanzi brevi. In El cuento semanal scrivono Baroja, Benavente, Galdós, Unamuno, Valle-Inclán. I maggiori esponenti del realismo e del naturalismo, tra cui Galdós, Emilia Pardo Bazán, Ibáñez, continuano a scrivere i loro romanzi realisti. 11) Il pensiero politico di Miguel de Unamuno (En torno al casticismo) La partecipazione attiva alla vita politica e culturale dell’epoca traspare con evidenza dai suoi scritti, spesso legati fra loro da intense connessioni testuali, oltre che da costanti allusioni interne. En torno al casticismo (1895) è un saggio pubblicato inizialmente su rivista sotto forma di 5 saggi che in seguito furono uniti in un unico libro incentrato sull’essenza della Spagna. Unamuno riflette sulla tendenza della Spagna a essere “castiza”; l’autore rifiuta il casticismo, preferisce un’apertura verso il nuovo perché la Spagna ha bisogno di rinnovarsi. Per casticismo, Unamuno intende un popolo e delle lingue che si mantengono puri, incontaminati da elementi stranieri. In questo saggio sono presenti tre idee principali: • europeizzare la Spagna attraverso l’integrazione spirituale e intellettuale con il resto d’Europa, • b. non dimenticare il valore dell’intrahistoria, • c. connessione tra la Spagna e la Castiglia 12) Contenuto e impianto di Vida de Don Quijote y Sancho Vida de don Quijote y Sancho definisce una prospettiva decisamente ispanocentrica. È un saggio filosofico che riflette sulla condizione della Spagna, usa la caratterizzazione dei due personaggi per parlare del “mal de España”. A partire da questa opera, Unamuno, sostituisce il desiderio di europeizzare la Spagna, espresso in En torno al casticismo, con quello di spagnolizzare la Spagna, riaffermando l’importanza dei valori castizi. Con il personaggio del Quijote, Unamuno espone l’idea di una Spagna ideale, capace di superare lo stato di crisi in cui si trova. Il problema spagnolo si definisce come una mancanza di nuovi Quijotes che diano vitalità al mondo. Biografia: nasce a Bilbao nel 1864; da giovane eredita dal padre una biblioteca di oltre quattrocento volumi storici, politici, letterari, scientifici. Perde presto due sorelle. Viene educato secondo rigidi principi cattolici, si laurea in lettere e filosofia a Madrid tra il 1880 e il 1884. La sua prima formazione filosofica è di stampo positivista: fiducia nel progresso. Ottiene la cattedra all’università di Salamanca, prima di lingua e letteratura greca e poi di storia della lingua spagnola. Scrive alcuni articoli per il partito socialista, di cui fa parte per un periodo. Nel 1897 viene colpito da una crisi spirituale, le cui angosce sono annotate in dei quaderni che verranno pubblicati postumi col titolo di Diario Intimo; da allora, Unamuno respinge ogni rigidità ideologica ed evita prese di posizione univoche, riservandosi il diritto a una contraddizione vitale. Comincia a prediligere un pensiero filosofico asistematico: la comprensione totale e integrale del mondo è quanto più asistematico si può avere, la rigidità del pensiero non consente di captare la complessità dell’esistenza. Sono gli asistematici che comprendono la realtà. Nel 1900 diventa rettore dell’università di Salamanca, ma successivamente verrà destituito per via delle sue posizioni politiche. Nel 1902 perde uno dei dieci figli che gli aveva dato Conception Lizarraga, evento che lo colpisce duramente. Il suo atteggiamento nei confronti della dittatura di Primo de Rivera è molto critico, e per questo viene allontanato dalla Spagna. Al suo ritorno diventa membro dell’Assemblea costituente della repubblica ma è deluso dalla politica del governo, contraria al suo senso di democrazia; per questo appoggia l’insurrezione dei militari, nella speranza di un cambiamento. Protesta in seguito contro il regime franchista e viene destituito definitivamente dai suoi incarichi e messo agli arresti domiciliari. Muore nella sua casa a Salamanca per infarto l’ultimo giorno dell’anno 1936. 13) La traiettoria di Unamuno come narratore. La produzione unamuniana comincia negli anni Ottanta del XIX secolo e risulta estremamente variegata dal punto di vista dei generi: dal saggio letterario e filosofico al romanzo, dalla poesia lirica al teatro. Tuttavia, tanta varietà non produce una frammentazione della scrittura, ma si risolve piuttosto in una singolare omogeneità, in una unità che pervade l’intera produzione unamuniana. La stagione creativa si apre con la scrittura saggistica, alla quale Unamuno si dedica con continuità e costanza per tutta la vita, privilegiando inizialmente la forma dell’articolo breve e indirizzandosi poi sempre più decisamente verso il modulo del trattato. • Contra esto y aquello (1912), raccolta di saggi in cui mostra il suo costante atteggiamento di protesta e provocazione contro le autorità; è decisamente uno scrittore scomodo e anticonformista; • Del sentimiento trágico de la vida (1912), in cui l'autore indaga il problema individuale dell'esistenza e della morte, problema che riflette anche quello collettivo. Il sentimento tragico si fonda sull'immagine che l'uomo ha dell'io come radice del proprio essere, dilaniato da continui conflitti e in lotta per la sopravvivenza; il libro è una meditazione sul contrasto tra ragione e fede, che rappresentano per Unamuno la morte e la vita. • La agonía del cristianismo (1925) scritto durante l’esilio, esprime la concezione della fede di Unamuno: l’uomo è consapevole di essere mortale e senza prospettiva di un aldilà ma vuole comunque riaffermare il proprio essere, insieme alla disperazione di non poter prolungare all’infinito la propria esistenza, e vuole credere nel diritto 7all’immortalità dell’io, con tutti i condizionamenti e le passioni della vita. Questo paradosso provoca ‘’agonia’’ e irrequietezza spirituale. Unamuno intende provocare nel lettore inquietudine, per strapparlo dall’inerzia passiva e spingerlo a occuparsi dei problemi fondamentali dell’uomo. La sua preoccupazione sui problemi esistenziali dell’uomo trova nella narrativa uno strumento di riflessione. • Paz en la guerra (1898) è il primo romanzo di Unamuno che ha ancora le caratteristiche del romanzo di formazione. È ambientato durante la seconda guerra carlista, e il protagonista è un alter ego dell’autore. Non è un’autobiografia ma vengono riportati ricordi e avvenimenti infantili e adolescenziali propri dell’autore. In quest’opera non vengono mostrati eventi politici e militari, ovvero la storia, si parla piuttosto di intrahistoria, la storia della piccola gente. Il romanzo presenta ancora la struttura del romanzo realista, la sperimentazione di Unamuno era ancora in fase di perfezionamento. La ricerca di uno stile narrativo personale si evidenzia in Amor y pedagogía (1902) in cui Unamuno abolisce la costruzione degli ambienti e altri particolari che possano distogliere l’attenzione dall’interiorità dei personaggi. • Amor y pedagogía (1902) rappresenta una satira del positivismo poiché vengono mostrate le conseguenze negative di un’educazione razionale e scientifica che allontana dai sentimenti e da concessioni a bisogni vitali, critica il razionalismo esasperato che voleva rappresentare la realtà in maniera univoca. Unamuno cerca di scrivere qualcosa che faccia riflettere ma allo stesso tempo anche sorridere. Il romanzo ha una seconda edizione, nel 1934, con l’aggiunta di un secondo prologo. Attraverso il paratesto, Unamuno cerca la complicità del lettore. Il prologo anonimo con cui il romanzo si apre è un’importante chiave di interpretazione in maniera parodica (mescolanza di buffonate e spropositi messi in bocca a personaggi grotteschi e assurdi palesando per scherzo ciò che l’autore pensa sul serio). Nel prologo Unamuno anticipa dei giudizi che si aspetta di ricevere e lo fa sempre in maniera ironica sottolineandone la ricerca linguistica. Nel prologo aggiunto nel 1934, dando uno sguardo complessivo alla sua produzione, Unamuno battezza a posteriori Amor y pedagogía come sua prima nivola. Narra la storia del fallimento di un progetto educativo imposto ad Apolodoro dal padre, Avito Carrascal, sostenitore di un rigoroso spirito scientifico. Questo processo è segnato da interferenze da parte delle pulsioni dell’istinto e dai condizionamenti del sentimento. Carrascal infatti sceglie una donna, Marina del Valle, che si mostrerà inadeguata al ruolo che le è stato assegnato, e educherà il figlio a seguire gli istinti e le passioni. Una volta maturo, Apolodoro, si innamora di Clarita e si dedica alla scrittura letteraria. Il protagonista alla fine sarà portato al suicidio per via del fallimento della sua esperienza sentimentale (Clarita lo lascerà per un altro uomo) e di quella letteraria (il romanzo pubblicato era stato un fallimento). La morte del figlio porterà Carrascal al pentimento e a una metamorfosi, il finale rimane aperto perché si aspetta la nascita del figlio di Apolodoro frutto di un incontro fugace con la cameriera Petra. Amore e pedagogia: coppia antinomica di sostantivi  l’amore è contrapposto alla pedagogia, e quest’ultima produce infelicità dei personaggi che vi ricadono. La critica di Unamuno è rivolta allo spirito positivista, scientifico e filosofico, al krausisimo, e a coloro che hanno fede incondizionata nella scienza e nel razionalismo, che invece lui mette in dubito, non perché non dia valore alla ricerca ma perché mette in dubbio l’esistenza di una visione univoca e la fede cieca e assoluta nei confronti di un unico sapere: è affascinato da un approccio alla realtà che sia permeabile a tutti i saperi e a tutti i metodi, più umana. Costante è la lotta tra ragione e religione: la prima impedisce all’essere umano di credere a un dio superiore, tutto ciò che attiene alla fede va oltre la ragione e implica un salto; al tempo stesso l’uomo è sopraffatto dalla paura della morte e sente il desiderio di credere nell’eternità attraverso la fede. In questa contrapposizione si sviluppa molto del pensiero di Unamuno, che a tratti assume atteggiamenti incoerenti perché è sempre invischiato in questo conflitto irresolubile. Un modo per vincere la morte è eternizzarsi attraverso l’arte. Vita come teatro: in amor y ped si intuisce la tragicommedia e realtà riflessa nel mondo autentico che è trascendente. Con Amor y pedagogía Unamuno perfeziona una sperimentazione letteraria che sfocerà poi nel romanzo Niebla. Nel romanzo la storia dei personaggi viene definita attraverso dialoghi e monologhi, questo rende la lingua del romanzo variegata. La distanza dalla narrazione ottocentesca viene quindi sottolineata dall’invenzione della nivola che definisce gli sviluppi della scrittura unamuniana, tesa a sovvertire gli schemi a cui il pubblico era abituato. Unamuno ritiene che il romanzo sia un genere aperto. Un esempio di nivola è sicuramente Niebla. La modernità di questa invenzione narrativa ricorda quella di Pirandello, in particolare in Sei personaggi in cerca d’autore. In Niebla, come negli altri romanzi unamuniani, l’azione non si svolge né in un’epoca, né in luoghi precisi, le descrizioni dei personaggi sono eliminate per evidenziare il conflitto intimo. • Abel Sánchez (1917) presenta un caso opposto a quello di Augusto Pérez. Viene rappresentata l’ossessione di Joaquín Monegro, roso dall’invidia per l’artista Abel Sánchez. Secondo Unamuno, l’invidia è una delle componenti negative dell’anima collettiva spagnola. Al didatticismo del romanzo naturalista ottocentesco comincia ora a contrapporsi un modello narrativo che privilegia gli aspetti introspettivi e simbolisti, spesso non scevro da un certo compiaciuto autobiografismo. È la prima volta che appare il termine nivola: Víctor Goti rivendica la paternità di questa designazione. Parla delle origini basche di entrambi (Víctor e l’autore) e del fatto che ci sia tra loro una lontana parentela. Víctor Goti parla dell’ingenuità del pubblico che spesso fraintende quello che legge e poi parla di alcune scelte polemiche e controverse di Miguel de Unamuno nel rapportarsi al pubblico: ironizza sul fatto che il pubblico non riesce a capire l’originalità e la creatività di Unamuno, come il suo gusto per i neologismi  la parola logomaco ha un’etimologia greca, colui che ingaggia una guerra con le parole; attraverso Goti, Unamuno si fa burla di certe ingenuità dei suoi lettori che per insufficiente cultura o ingenuità non sanno dare il giusto valore alle sue scelte. Parla anche dell’umorismo in Spagna, termine che molte volte nasconde le etichette di satira e ironia. Non è umorismo la satira aspra, chiara e trasparente di Quevedo; era un umorista Cervantes, il quale riderebbe se sapesse che alcuni hanno preso sul serio alcuni suoi scherzi. Dice che la preoccupazione di Don Miguel è quella di morire senza aver scritto una commedia tragica o una tragedia comica, non unendo il tragico e il comico ma fondendo questi due elementi e facendoli apparire come un’unità. Egli crede che se la sua anima – e quella degli altri uomini – non è immortale, nulla valga la pena di essere fatto. Cita anche Leopardi, uno dei tre autori preferiti di Unamuno insieme a Sénancour e Quental: la dottrina di questo grande personaggio della letteratura italiana, dopo aver perso l’ultimo ed estremo inganno, si basava sulla convinzione di credersi eterno (‘’ch’io eterno mi credea’’). Questo strano e aspro umorismo, tuttavia, non piace a molti: il pubblico vuole ridere per migliorare la digestione e per distrarsi dalle proprie pene, mentre Unamuno vuole che buttino fuori tutto ciò che hanno ingoiato, perché crede che il senso della vita e dell’universo si percepisca meglio a stomaco vuoto da eccessi golosi e prelibatezze. Questo è uno dei tanti motivi per cui il pubblico critica la sua scrittura: causa loro mal di testa, sostengono che temi come la Ragione, la Scienza e altri concetti metafisici non possano essere trattati in modo burlesco, anche se ciò è stato fatto anche con dio e i santi. I suoi libri sono protetti anche dalle accuse di pornografia, data la risaputa repulsione di Unamuno nei confronti delle opere e degli scrittori pornografici, i quali ritiene i meno intelligenti. Dice che l’erotismo è legato alla metafisica, e la religione alla guerra: durante il Medioevo la società era mossa da religione e guerra, mentre le donne e l’erotismo erano messi in secondo piano. La sensualità risveglia l’istinto metafisico, come è avvenuto con Eva, la quale provava ansia di conoscere la scienza del bene e del male. Cita in questo caso anche il personaggio di un altro romanzo di Unamuno, Fulgencio Entrambosmares di Amor y pedagogía. Alla fine del prologo, Víctor Goti pronuncia una frase riguardante la sorte di Pérez, in cui afferma che il finale del romanzo sia erroneo. Il personaggio dichiara che Augusto Pérez si suicidò veramente, non solo idealmente come desiderio, ma di fatto con prove. Finale provocatorio di Víctor Goti, scelta geniale di Unamuno per poter ribadire nel post-prologo che lui è l'autore demiurgo e che i personaggi sono enti di finzione. In questo modo enfatizza la lotta del personaggio di finzione per acquisire un’autonomia. Post-prologo nel dettaglio: Unamuno riprende una serie di considerazioni che Goti aveva fatto in precedenza anche rispetto al suo rapporto con il pubblico. Riprende l’ultima frase del prologo e, con ironia e con voglia di disorientare – gioca il ruolo dell’autore che controlla e dialoga con i personaggi – dice di non voler ribattere su ciò che è stato ormai scritto Víctor Goti, ma vuole puntualizzare che Goti è inopportuno ad ironizzare sul non capire del pubblico: erano confidenze personali tra l’autore e Víctor, il quale non avrebbe dovuto renderle pubbliche senza volontà di Unamuno stesso. Esprime inoltre il suo disappunto sull’opinione di Víctor riguardante il suicidio effettivo di Augusto Pérez. E qui con una minaccia, intima a Víctor di farlo sparire/morire come ha già fatto con Augusto. Unamuno si identifica in un medico che in questo caso può decidere in che modo salvare la vita dei suoi personaggi, oppure eliminarli. 15) Caratterizzazione del protagonista di Niebla, Augusto Pérez: gestualità ed espressione verbale. 16) Abulia e volontà nel protagonista di Niebla, Augusto Pérez. Augusto Pérez è un uomo affetto da abulia, tipico antieroe del romanzo modernista, incapace di prendere decisioni, un inetto che si muove in un’esistenza nebulosa (da qui il titolo Niebla) e che, quindi si barcamena in una realtà di cui non sempre comprende fino in fondo i meccanismi di funzionamento. Proviene da una buona famiglia, ha appena perso sua madre, non ha fratelli e ha già perso il padre. È un uomo riflessivo che non ha un obiettivo chiaro nella vita e passa le giornate a fare passeggiate senza avere una meta precisa. La visione della vita di Augusto è prendere gli eventi così come arrivano e filosofeggiare su di essi piuttosto che agire. È solito interrogarsi sulla vita ed è immerso nella nebbia della non esistenza spirituale finché non si impegna in un amore che lo porterà solo alla delusione. Augusto riflette spesso sulla vita e sull’amore con un amico o con il suo cane, Orfeo. L’insuccesso di riempire con un amore a caso il vuoto della sua vita gli provoca un’angoscia esistenziale: la vitalità si manifesta in lui ma non è capace di sopportarla. Ricorrerà a Miguel de Unamuno, facendogli visita a Salamanca, il quale gli nega il diritto di uccidersi. Augusto però insinua nello scrittore un dubbio: la vita reale potrebbe essere a sua volta finzione, il sogno di un altro creatore che potrebbe a proprio piacimento porvi fine. L’insicurezza di Augusto è l’insicurezza di Unamuno, la nebbia è il simbolo della vita e rappresenta indirettamente le opinioni di Unamuno sulla vita: si vive quando si ama e quando si soffre, ma forse amore e sofferenza sono solo invenzioni che alimentano la nostra necessità di essere. Il mondo è un teatro e ciascuno recita un ruolo. In Amor y pedagogia aveva introdotto la teoria della morcilla, cioè l’intervento personale di un attore, un modo di entrare nella commedia/opera teatrale dicendo qualcosa di personale, per garantire l’espressione di un io più autentico. Sembra l’unica possibilità di sfuggire alla subordinazione e mancanza di libertà che gli uomini sentono mentre rappresentano la commedia delle loro vite. È questo che spinge Pérez a porre fine alle sofferenze della sua vita: il suicidio è l’unica decisione presa da lui che gli garantirebbe la fine del suo dolore. Augusto è contraddittorio e ambivalente, ma rappresenta in generale l’essere umano. Anche per questo la vicenda non è ambientata in un luogo e un tempo precisi, con l’obiettivo di universalizzare il romanzo. Trama Il romanzo si apre con l’uscita di Pérez da casa, in un giorno di pioggia e la prima scena è quella di Augusto che allunga il braccio per vedere se scende della pioggia. Figura che ricorda l’imperatore Augusto quando con il braccio steso e la mano in giù dava segno di pace al suo grandissimo Impero. L’azione di Pérez è sicuramente più banale, perché l’intento è quello di vedere se piove. Inizia un soliloquio (importanti nei romanzi di Unamuno) sulla possibilità o meno di aprire l’ombrello, su cui Unamuno enfatizza. Durante questa uscita incontra gli occhi di una ragazza e che automaticamente si trasformerà nella donna che lui aspira a sposare. Gli occhi di questa fanciulla sembrano una calamita che spinge Pérez a seguirla, fino a che giunge a casa degli zii (è orfana). 17) Caratterizzazione di Eugenia. Eugenia incarna la figura di una donna indipendente, gelosa della sua indipendenza, autonoma, dà lezioni di piano anche se non ama la sua professione, lo fa per pagare l’ipoteca lasciata dal padre. Nel momento in cui Augusto chiede la sua mano agli zii, offrendosi di pagare l’ipoteca della casa e di aiutare economicamente la ragazza, questa si sente offesa nel suo orgoglio femminile e rifiuta. Ha un fidanzato, Mauricio, che lei ama ma che rappresenta uno scapestrato ed economicamente è inferiore a Pérez e non fa nulla per migliorare la sua vita. Quando è sul punto di convincersi a sposare Augusto, scappa con Mauricio lasciando lo stesso Pérez nella disperazione. Continuazione della trama: A questo punto il protagonista si reca a casa di Unamuno. Il personaggio entra in contatto con l'autore del romanzo, che a sua volta diventa parte della storia - originalità della scrittura di Unamuno -. Vi si reca per consultarlo dopo aver letto un trattato di Unamuno sul suicidio. L’incontro tra i due avviene negli ultimi capitoli del romanzo, esilaranti dal punto di vista del contenuto: da un lato abbiamo il personaggio che manifesta la volontà di suicidarsi; dall’altro il personaggio-autore che si arrabbia con il personaggio di finzione Pérez, e gli dice che non può suicidarsi perché l’ultima decisione spetta al vero autore. La casa di Unamuno a Salamanca è l’unico luogo che viene specificato, in quanto nel romanzo non ci sono toponimi o indicazioni precise: il romanzo non ha luogo. Sembra che la concretezza della realtà entri nella storia solo quando un personaggio reale entra nella storia, tutto il resto è nebbia, indefinito. Il confronto con Unamuno non porta a nulla: Pérez torna a casa, decide di placare la rabbia mangiando una quantità notevole di cibo, mangia talmente tanto che muore con un malore nella notte. È una morte banale e ambigua: non è un suicidio vero e proprio ma vi sono elementi di autolesionismo. 18) L'epilogo di Niebla: il monologo di Orfeo. L’epilogo è molto ironico, è costituito da un monologo interpretato da Orfeo, il cane di Augusto il quale, vedendo il proprio padrone morto, si mette vicino a lui e inizia a pensare ad alcune abitudini umane, pensando che l’uomo sia uno strano animale, che attraverso la parola è diventato ipocrita: la lingua gli serve per mentire, per inventare ciò che non c’è e per confondersi. È malato, non lo è soltanto quando dorme, e a volte parla nel sonno. Ha deciso di vestirsi perché si vergognava, e in seguito all’uso di vestiti gli uomini non si riconoscono più gli uni con gli altri. È strano perché conserva i morti, si fa illusioni e sogna. Ciò che rimarrà degli uomini saranno solo ossa. Orfeo sapeva tutto ciò che Augusto gli raccontava, lo capiva, e manteneva sveglio il suo cinismo. Tramite Orfeo si nota quindi l’ironia di Unamuno. È un monologo molto lungo e a tratti divertente, in seguito al quale Orfeo, appurata la morte del padrone, da amico fedele, muore non avendo altra ragione per vivere. In qualche modo questo epilogo, che fa parte del paratesto, è importante come corollario della storia. 19) Funzioni e caratteristiche del narratore in Niebla. In Niebla il narratore è anche autore e personaggio. Grazie a questa coincidenza, in Niebla viene introdotta una doppia narrazione: l’autore della seconda narrazione è personaggio della prima, il racconto fittizio è ciò che avviene in un secondo livello della narrazione mentre il primo livello si identifica con il piano reale. Nel capitolo XXXI, l’autore, a cui Augusto ha fatto visita, gli impedisce di suicidarsi diventando un narratore intradiegetico, entra nell’universo fittizio fingendosi personaggio. Nella nivola non viene lasciato molto spazio alla narrazione poiché predomina il dialogo grazie al quale sono descritti fatti e personaggi, non c’è più bisogno dell’intervento del narratore onnisciente. Quando l'autore decide di eliminare il suo personaggio, impedendogli di suicidarsi, forza il meccanismo romanzesco per mostrare il suo potere. Unamuno penetra nell’universo fittizio da lui creato e si trasforma in un personaggio, per perpetuarsi in un ente immortale: nel momento in cui entra nel romanzo raggiunge un’esistenza eterna e prolungata. Ciò che quest’opera può avere di nebuloso e vago è ben espresso dal titolo: con esso viene segnalato il carattere ambiguo del suo ambito, territorio di frontiera fra il quotidiano vivere e la divagazione introspettiva. Questo romanzo, come molti romanzi modernisti, presenta poche azioni e molte riflessioni, soprattutto del protagonista, il quale compie numerosi monologhi, più numerosi rispetto ai dialoghi. seguirla. Augusto solitamente si distrae, guarda continuamente quello che accade attorno a lui: osserva un ragazzo sdraiato a terra e pensa stia contemplando delle formiche. Comincia una riflessione riguardo il fatto che le formiche sono animali ipocriti. Unamuno cerca di disorientare: Augusto dice che la formica è una passeggiatrice della vita, che finge di lavorare ma non fa mai nulla in realtà. Coloro che sembrano più indaffarati secondo lui sono i primi a non fare nulla. Osserva un uomo. Sta per riferirsi a sé stesso come a un nullafacente ma sottolinea che la sua immaginazione non riposa mai: il suo pensiero è sempre in movimento, è estremamente dinamico dal suo punto di vista. Viene presentato come una figura dalla mente attiva, capace di passare da un pensiero all’altro, salta da un argomento all’altro semplicemente osservando ciò che lo circonda; poi, vede passare un’automobile e dice che essa è rumore e polvere, non serve a nulla, in cosa ci si avvantaggia sopprimendo le distanze? La mania di viaggiare viene dalla topofobia (U creatore di neologismi) – paura degli spazi – e non dalla filotopia, dall’amore per gli spazi. La macchina nasce non dall’amore per gli spazi ma dalla paura: è uno strumento per sconfiggere la paura delle distanze. Mentre fa questo ragionamento Unamuno dà informazioni anche su cosa sta facendo il personaggio, dalle parole del personaggio si capisce quale altro personaggio ha visto, cosa sta facendo, si sta infastidendo di portare l’ombrello. Ad un tratto vede qualcosa: ‘’cos’è questo?’’. Tutti questi pensieri li ha mentre segue ipnotizzato la ragazza, arriva davanti alla porta di casa di lei. Si rende conto di averla seguita: è stato quasi un atto involontario e automatico, non dettato da una sua scelta personale. Augusto parte sempre da una azione banale per terminare con una riflessione generale: odia ciò che è imperfetto, non concluso; è il caso quindi di informarsi maggiormente sul conto della ragazza, deve scoprire chi è. Vuole dare una mancia alla portiera per farsi dare informazioni. Si ha il primo dialogo del romanzo: la ragazza è dona Eugenia Domingo, altra riflessione linguistica di Unamuno, discorso non appropriato nel caso dei cognomi, ironizza sul gioco di concordanza delle parole. Fa molte domande: se è sposata, se ha genitori. Gli viene risposto che è nubile, orfana, e vive con gli zii, si dedica a dare lezioni di piano, ed è molto brava in questo. La portiera dà informazioni precise e riceve la moneta da Augusto. Si offre di aiutarlo in altro modo, l’uomo dice che forse in futuro ne avrà bisogno, e la saluta. Si preoccupa del fatto che la portiera potrebbe pensare male di lui se non dovesse tornare: ha trovato qualcosa da fare nei prossimi giorni. Grande ironia di Unamuno che attribuisce al personaggio la peggiore e la migliore arte di imparare a memoria, ridicolizza la mnemotecnica. Torna indietro e chiede il nome della portiera, che si chiama Margarita. Cambia la scena: si trova in un viale alberato, nei romanzi modernisti c’è una indeterminazione spaziale, non vi sono dettagli, né sono indicati i nomi dei luoghi. Si avvicina a una panchina e nel toccarla si accorge che è umida per via della pioggia. Si siede e sostiene di dover scrivere il nome di lei per non dimenticarla, ricorda solo i suoi occhi, teme che la sua immagine verrà cancellata dalla sua memoria. Continua a parlare del suo cognome, vuole che si chiami Dominga; già immagina come si chiameranno i loro figli maschi. Inanellarsi di pensieri da cui dopo un po’ si distoglie per poi parlare di ‘’pazza fantasia’’. ‘’dalla culla viene la tristezza e sempre dalla culla l’allegria’’: l’esistenza umana è caratterizzata dalla compresenza di bene e male sin dai primi giorni di vita. Questi due endecasillabi sono l’esordio di quello che potrebbe essere un suo testo lirico, quasi lui se ne rallegra. L’uomo non fa altro che cercare, nelle vicissitudini della fortuna, un alimento della sua tristezza o la sua allegria originarie. Continua col suo gioco verbale: la parola hogar viene da fuoco, ma la sua casa non è un focolare, è un posacenere, non rimane più nulla, è un luogo in cui tutto si è consumato, di cui rimane soltanto un contenitore di ceneri. Decide di tornare. Fa riferimento al casino, altro spazio importante di Niebla, in cui si incontra sempre con Víctor, col quale parla e si confronta. 23) Sintesi dei capitoli XXX-XXXIII di Niebla. XXX: Capitolo 30: Víctor trova Augusto sconsolato perché è stato abbandonato da Eugenia, cerca di consolarlo ma non riesce. Si prende gioco di Augusto perché voleva prendere come cavia di un esperimento Eugenia quando invece è successo il contrario. Ciò che maggiormente infastidisce Augusto è la burla che gli è stata fatta, non soffre per amore. Víctor gli consiglia di burlarsi di sé stesso, e di essere spettacolo non degli altri ma di sé stesso. È diventato saggio da quando è diventato padre, e dice al suo amico che almeno lei non lo ha reso padre. Augusto dice che in realtà lo ha reso padre di sé stesso, che si sente come se fosse nato una seconda volta ma solo per soffrire e morire. Víctor parla di commedia: ogni uomo rappresenta la propria, all’interno della quale tutto si fonde e si confonde in un’unica nebbia (il vero con il falso, la realtà con la finzione, il sogno con la veglia). Augusto confessa di volersi suicidare e Víctor lo lascia solo con questo pensiero. XXXI: Capitolo 31: Augusto legge un articolo di Unamuno riguardo il suicidio e decide di andarlo a trovare a Salamanca. Il narratore onnisciente entra prepotentemente nella storia e diventa personaggio. Augusto decide di consultarsi col narratore, che coincide con l’autore del romanzo, ‘’conmigo que soy el autor de todo este relato’’. Unamuno-autore parla di sé stesso. Dice di vivere da più di vent’anni a Salamanca, unico luogo citato all’interno del romanzo. L’autore racconta e sintetizza ciò che Augusto è andato a dirgli: Unamuno sa tutto della vita di Augusto, perché lo ha creato lui, non è necessario che lui parli. La grande sfasatura che Unamuno crea è il fatto che faccia entrare sé stesso nell’opera, ma anche che Augusto non sia consapevole che Unamuno è autore demiurgo della sua storia e di tutte le sue vicende. La vita umana può essere un grande gioco, una grande finzione nella quale le persone coinvolte pensano di muoversi e agire secondo il proprio libero arbitrio ma stanno semplicemente riproducendo un disegno che un demiurgo superiore ha deciso ancor prima della loro nascita. Topos letterario della contraddizione tra destino e libero arbitrio. Augusto è spaventato perché l’autore gli dimostra di conoscerlo come lui conosce sé stesso, non capisce se sia un sogno. Unamuno sa già il motivo per cui Augusto è andato a visitarlo, sorprendendolo ancora di più. Unamuno si impone su di lui: non può suicidarsi anche se lo vuole perché non è una persona viva, è soltanto il personaggio di un’opera, non è sveglio e non dorme, non è morto né vivo = doppio piano della realtà e della finzione. Augusto è confuso, non esiste nella realtà, è soltanto un ente di finzione, è solo un prodotto della fantasia di Unamuno, un personaggio di novela o di nivola (ritorna questo termine). Non può decidere liberamente cosa fare. Si sviluppa un violento diverbio fra i due: Augusto insinua nell’autore un dubbio: l’ente di finzione potrebbe essere lui. Inoltre, Unamuno stesso aveva affermato che Sancho e Don Quijote fossero più reali di Cervantes stesso. In questo capitolo ci sono due parole chiave: salir de la niebla e ansia de immortalidad; l’ansia di Augusto, quindi quella di Unamuno stesso e più in generale dell’uomo è quella di voler uscire dalla nebbia, quindi da uno stato di offuscazione e sapere se davvero esiste un dio nel nostro destino; l’ansia di immortalità è proprio il fatto di sapere che siamo tutti personaggi di finzione creati da un essere superiore e quindi la nostra vita sta nelle sue mani, la convinzione dell’idea della morte crea ansia. Alla fine del dibattito Unamuno comunica ad Augusto che morirà una volta tornato a casa, ma Pérez lo supplica di non farlo morire, ha cambiato idea. Tuttavia, Unamuno è irremovibile nella sua decisione e Augusto irritato decide di uscire sbattendo la porta. XXXII: Mentre ritorna a casa Augusto comincia a dubitare della sua vita e inizia a pensare che potrebbe essere tutto un sogno. Si autoconvince di essere immortale e comincia a mangiare senza fine. Si corica con accanto Domingo e la mattina successiva muore perché aveva mangiato troppo. XXXIII: Unamuno pensa di far resuscitare Augusto, si addormenta e in un sogno egli gli dice che è impossibile resuscitare un personaggio di finzione com’è impossibile resuscitare un uomo. 24) L’opera narrativa di Azorín Nato a Monóvar (Alicante) nel 1873, in seno a una famiglia benestante e per tradizione conservatrice, José Martinez Ruiz studia a Yecla presso gli Scolopi. Inizia a studiare giurisprudenza all’Università di Valenza, dove conosce il Krausismo, per passare quindi alle università di Granada e di Salamanca e rispuntare a Madrid, dove, fino al 1900, si dedica soprattutto a battaglie politiche, con articoli e libelli di stampo anarchico, e a battaglie letterarie, mostrando un atteggiamento fortemente polemico (Anarquistas literarios, 1895). La sua personalità è molto eccentrica, caratterizzata da stravaganze e da uno stile di vita da bohémien. Dopo una probabile crisi, con Diario de un enfermo, la scrittura di José Martínez Ruiz (1901) si avvia verso il simbolismo decadente: il malato è un aspirante suicida, deluso dallo scontro tra la propria vitalità intellettuale e la monotonia del trantran quotidiano. La lettura di Nietzsche e di Schopenhauer si riflette anche nei due successivi romanzi, La voluntad (1902) e Antonio Azorín (1903), che chiudono il ciclo di questo personaggio, assieme al complementare Las Confesiones de un pequeño filósofo. La biografia del protagonista del ciclo compone in modo non lineare il percorso della formazione dell’intellettuale e del suo conflitto con la realtà, dalle letture dei capisaldi dell’anarchismo alle malinconiche e scettiche considerazioni in tono minore che concludono la sua esperienza. La voluntad trasferisce in ambito rurale il conflitto del Diario, che così risulta esasperato dallo scontro di Antonio Azorín con l’insensibilità di un ambiente gretto e stagnante, a conferma delle esperienze vissute in una Madrid sordida e disumana e in una Toledo chiusa nella sua vetusta rigidità. L’imperativo dell’essenza di trama enunciato fin da La voluntad è la chiave della narrativa di Azorin. Nel romanzo la prassi della frammentarietà viene giustificata con l’osservazione che la vita non ha una trama precisa ma è multiforme, ondivaga, contradittoria (mentre i romanzi del realismo la presentano come simmetrica, geometrica, rigida e ci raccontano punto per punto opere e miracoli del protagonista). La conseguenza è che, una volta eliminato l’asse tradizionale, e in mancanza di un punto di vista fisso – per effetto del convincimento che l’uomo è incapace di districarsi nella confusione delle apparenza e delle opinioni –, non resta che lo stile, come proiezione del romanziere, a fungere da connessione tra le impressioni istantanee, le quali rinviano alla sensibilità del personaggio osservatore, al suo conflitto tra azione e contemplazione e alla consapevolezza dolente della fugacità del tempo, assunta come tema estetico nel riscatto dall’oblio di frammenti anche minimi del mondo. Nei saggi sulla letteratura spagnola, Lecturas espanolas, Clasicos y modernos, Los valores literarios, applica anche alla letteratura il progetto di conservazione dell’effimero contro la cancellazione operata dal tempo, con l’intenzione di trasmettere il proprio concetto della lettura come esperienza vitale, o quanto meno di indurre una nuova sensibilità nel pubblico. Nei romanzi si avvale dell’indisciplina narrativa, il cui ricercato disordine si adegua alla visione di una realtà informe e mutevole. Si dedica alla cura del linguaggio, in linea del suo raffinamento stilistico: la sintassi è semplificata, le frasi brevi e dalla cadenza ripetitiva. La grande ricchezza lessicale, che sembra inizialmente voler compensare la stringatezza sintattica, si contrae poi fino a costituire un lessico purista. Nel 1894 riprende a scrivere testi teatrali: la sua insoddisfazione per il teatro coevo si traduce nella scelta di un linguaggio scenico lontano da quello d’uso. In Old Spain realizza un confronto tra passato perduto e presente; In Brandy, mucho brandy inverte la direzione cronologica, proponendo la fuga di un giovane dal presente, reso insopportabile dalle condizioni che gli vengono imposte da un testamento, verso un futuro ignoto. ribrezzo per il popolo. Torna a Madrid dove si sposa e trova una momentanea felicità. Rimane sconvolto dalla morte per parto della moglie e, confermando la crudeltà della vita, si uccide. La critica delle condizioni della Spagna a inizio secolo è sconfortata e diretta nella trilogia La lucha por la vida. Con una diversa ambientazione, apparentemente realistica, questa trilogia narra i tentativi di Manuel Alcázar per trovare la propria strada. Il protagonista si muove nella periferia di Madrid alla ricerca di una condizione stabile che ponga fine alla disoccupazione e alla delinquenza. Nell’ultimo romanzo il protagonista è Juan, fratello di Manuel, che rientrato da Cuba cerca di cambiare il mondo insieme a un gruppo di anarchici. Baroja dipinge un quadro amaro della Madrid negli anni della Restaurazione, dove i condizionamenti sociopolitici si oppongono a ogni progetto di redenzione individuale che non accetti il compromesso. I destini dei due fratelli divergono: da un lato Manuel, che accetta le norme della borghesia, dall’altra Juan che muore. 26) Gabriel Miró e Ramón Gómez de la Serna Gabriel Miró – appartenente a una famiglia borghese, benestante e colta, nasce ad Alicante nel 1879. Educato dai Gesuiti: quest’educazione incide sul suo sentimento religioso, senza provocare manifestazioni ideologiche esplicite, e gli fornisce una buona preparazione umanistica, che si tradurrà in entusiasmo per il mondo ellenico. Studia diritto a Valenza e a Granada. Il contatto con la cultura francese viene facilitato dal rapporto con la famiglia di Clemencia Mignon, che sposerà. Determinante è, nella sua ammirazione per Azorín, il ruolo rilevante che questo investe nel rinnovamento del linguaggio letterario spagnolo, opinione che costituisce un sintomo dell’interesse per la ricerca sulla parola, portata poi al virtuosismo stilistico da Miró. Autore di ventidue libri, tra romanzi, racconti e impressioni di viaggio, mostra la volontà di accentuare la già spiccata omogeneità stilistica dei suoi testi nella selezione attuata per l’edizione delle sue opere complete. La maturità letteraria viene raggiunta da Miró con Las cerezas del cementerio, romanzo nel quale i temi della sensualità, malattia e morte sono connessi al rapporto sentimentale tra un giovane ipersensibile, innamorato della bellezza, che si smarrisce nelle rievocazioni, e una donna matura. Nel breve romanzo El abuelo del rey, varca la soglia della rappresentazione introspettiva di conflitti interiori e dedica una particolare attenzione all’ambientazione della storia di tre generazioni in un villaggio del Levante, dove si ripete costantemente la lotta tra tradizione e progresso. Estampas de la pasión del señor (1917) – riversa l’esperienza interrotta dell’enciclopedia cattolica sui fondali di uno spazio che dovrebbe raffigurare la Palestina, ma che conserva I connotati della propria terra. Nuestro padre San Daniel (1921) ed El obispo leproso (1926) costituiscono un insieme – entrambi ambientati in Oleza, località immaginaria e trasposizione letteraria di Orihuela, dove era stato educato dai Gesuiti. La narrazione illustra l'indole contrapposta dei protagonisti dei due romanzi: la rigida crudeltà di don Daniel e la tollerante bonomia del vescovo, condannato dopo aver amato a lungo una donna, a vivere segregato nel suo palazzo per una malattia che ne deforma il corpo. Nell'ambiente oppressivo di Oleza l'innocenza, l'amore e la voglia di vivere vengono schiacciate dall'intolleranza, moltiplicando gli amori frustrati e le vite sprecate. Il tutto è animato da una folla di personaggi che agiscono poco e discorrono molto. Ellissi narrativa che con incisi secondari e irrilevanti spezza la continuità. L'intera narrazione si intesse di dialoghi e monologhi appartenenti a voci non identificate, creando così una pluralità prospettica. Sono artifici che, insieme all'ironia, consentono lo straniamento dello scrittore. Miró è convinto che per l'individuo quasi tutta la verità della vita risiede nelle sensazioni, e quel quasi è tutta la realtà che resta estranea alla coscienza del singolo. Dunque, nel realismo soggettivo dell'autore, la percezione sensoriale è uno dei tratti dominanti della sua prosa. Poiché la realtà dipende dalla proiezione della sensibilità del soggetto nell'oggetto percepito, la singolarità della propria esperienza viene espressa dal valore attribuito alla parola, cioè la realtà umana più preziosa perché ha una funzione creatrice nello svelare e ripristinare la realtà dell'idea, cui dona il proprio corpo nella materialità sensoriale. Ramón Gómez de la Serna – nasce nel 1888 a Madrid. La sua è una famiglia abbiente e interessata alla cultura. Nel 1908 si laurea in diritto a Oviedo. Sulla vocazione letteraria precoce influiscono anche la relazione con la scrittrice impegnata Carmen de Burgos e l’amicizia con lo stravagante e polemico romanziere Silverio Lanza. Tra il 1909 e il 1911 soggiorna a Parigi e ne assimila l’effervescenza culturale. La tendenza all’autobiografismo è presente fin da Morbideces (1908), nelle cui prime pagine dichiara freudianamente che la sua vocazione letteraria e filosofica è un sublimato della propria sensibilità; poi ribadisce il nesso tra corpo e letteratura nel manifesto El concepto de la nueva literatura. La sensualità è il tema dominante, entro un complessivo atteggiamento anticonvenzionale, di una serie di testi dialogati scritti tra il 1909 e il 1912. La nudità corporea è anche una metafora riferita alla fisicità sensoriale della parola, un’arma che dirige contro la realtà travestita, contro la convenzione del luogo comune, contro l’ipocrisia dell’intollerante e ottuso ambiente madrileno degli “altri”. Gli eventi esterni per Ramón non hanno senso se non vengono ricondotti nei propri spazi interiori in una inquietante soggettività. Nel 1931 si reca in America Latina: a Buenos Aires conosce e sposa la scrittrice Luisa Sofovich. Automoribundia (1948) – libro della delusione e del senso del fallimento dominato dall’ossessione della morte. Le storie di una Madrid smarrita ma presente nella memoria compongono i malinconici romanzi Las tres gracias (1949) e Piso bajo (1957), nel quale si conclude che la vita è la più profonda disapparenza, poiché in essa tutto è vero, troppo vero. La metafora è per lui l’espressione consona alla relatività della conoscenza: essa consente di osservare una cosa alla luce di un’altra e di collegare ciò che sembra separato. Egli inventa una forma personale di metafora, la greguería, negando la parentela con l’aforisma, troppo enfatico, per rilevarne l’intricata origine nell’inconscio come prova dell’acume vitalista (metafora + umorismo = greguería). 27) Il teatro di Jacinto Benavente. (1866-1954). È stato etichettato come il maggior esponente del teatro borghese spagnolo del secolo XX perché tutte le sue opere descrivono e presentano i costumi, i vizi, le virtù della borghesia, che era la classe sociale che maggiormente usufruiva del teatro. Un drammaturgo come lui si dedicava ad un teatro commerciale e doveva soddisfare le esigenze di quella classe. I primi drammi messi in scena sono basati sul conflitto tra etica e trasgressione, caratteristico della società borghese di Madrid. La novità determinante è l'abolizione dell’artificiosità da tutti gli elementi della rappresentazione teatrale, dalla parola alle situazioni sceniche. I personaggi sono adesso normali borghesi che intessono dialoghi molto fluidi da salotto con toni misurati. L'ambiente cosmopolita dei ricchi e degli aristocratici è considerato un luogo che può essere meta di fantasticherie, ma nasconde la sua decadente incapacità di mutamento. L'impostazione di questo teatro, dove il ruolo dell'azione è molto ridotto e sostituito dal movimento interiore dei personaggi, espresso in dialoghi ricchi di battute ingegnose, trova un pubblico desideroso di riconoscersi nella collettività della famiglia o del gruppo sociale che Benavente sceglie a protagonista del singolo dramma, per vedervi rappresentati in modo selettivo le proprie consuetudini, preoccupazioni e pregiudizi. Un pubblico disposto anche ad accettare la critica moderata veicolata dallo spettacolo, per gustarne il moralismo allusivo e sottile nelle implicazioni, talvolta condito di ironia pungente, di paradossi ma smorzato da uno scetticismo che consenta agli spettatori di uscire dalla sala con il convincimento di avere assistito a una satira di gusto moderno. Benavente fa tornare il dramma alla realtà attraverso la critica sociale, abbandona il verso declamatorio per la prosa, la retorica d'effetto per un dialogo naturale, i personaggi di epoche distanti con i borghesi, preferisce a scene forzate situazioni della vita quotidiana. La critica si divide tra i sostenitori e i detrattori del suo teatro: i critici più severi ne denunciano la superficialità e l’eccessivo peso della meccanica teatrale, della retorica e l’inconsistenza ideologica. È un teatro statico, poco dinamico, con poco intreccio. Questo teatro è stato etichettato come arte nuevo, e dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Venti del Novecento, Benavente è il maestro indiscusso della scuola madrilena. Il suo teatro attraversò mezzo secolo. In Los intereses creados gli aspetti tratti dalla commedia dell'arte si fondono con la tradizione del teatro classico spagnolo, mettendo in scena la coppia del padrone idealista, Leandro, e del servo picaresco, Crispín, scaltro conoscitore dei meccanismi sociali e vero protagonista dell'opera, burattinaio che controlla i destini delle altre figure e dimostra che l'avidità e l'ipocrisia regnano sovrane. La commedia più famosa è El nido ajeno – 1894  opera incentrata sul tema dell’adulterio fra la moglie di un personaggio e l’amico del marito di lei. Poiché queste opere erano una rappresentazione dei vizi e della classe borghese, il tema del tradimento è quasi sempre presente.  Autore molto prolifico: scrive 172 opere teatrali.  Prevale un criterio tematico: ciclo satirico, ciclo dell’alta commedia, ciclo drammatico e ciclo simbolico;  opere satiriche, psicologiche, rurali, fantastiche e miscellanee. Francisco Ruiz Ramon riunisce le opere benaventine in base agli spazi scenici che rappresentano: 1. commedie con interni borghesi (saloni e studi), 2. con interni cosmopoliti (saloni di palazzi, yacht ecc), 3. interni provinciali, 4. interni rurali (cucine e saloni di ricche case contadine). Si sviluppa al contempo un teatro poetico in versi che, contrariamente al suo teatro (di carattere realista), ha un carattere antirealista. Sorge in connessione con la nuova estetica modernista. Contribuisce alla sua diffusione anche l’influenza del dramma romantico, privo dell’enfasi normale e della carica patetica. All’interno di questo teatro poetico c’è un teatro storico in versi, genere maggiormente coltivato insieme al dramma rurale in versi: anche i fratelli Machado scrivono diverse opere teatrali in versi con carattere antirealista, intrisi di elementi modernisti. Altri rappresentanti sono Francesco Villaespesa, Fernández Ardavín y López Alarcón, i fratelli Machado e Goy de Silva. 28) La traiettoria drammaturgica di Ramón del Valle-Inclán La produzione drammaturgica di Valle-Inclán (1866-1926) è la più rivoluzionaria, straordinaria e originale del XX secolo in Spagna. La sua opera drammatica comincia nel 1899 con un dramma intitolato Cenizas, adattamento teatrale di un racconto pubblicato nel suo primo libro (Femeninas, 1895) e si chiude nel 1927 con Sacrilegio e con l'esperpento La hija del capitán.  Cenizas  riprende un tema caro alla "alta comedia", quello dell'adulterio. Tuttavia, la morale che rappresenta è antiborghese e il tema è svuotato dell'interpretazione ideologica tradizionale. Egli ha una visione più disincantata Los cuernos de don Friolera. Utilizza tecniche meta teatrali all’interno delle sue opere, parlando del suo stesso teatro, delle sue scelte estetiche e stilistiche. 29) Definizione e caratteristiche dell'esperpento di Ramón del Valle-Inclán. Il teatro di Valle-Inclán adotta inizialmente due direzioni fondamentali: il mito che porterà all’adozione di uno spazio galiziano e la farsa che porterà all’adozione di uno spazio settecentesco. I due cicli confluiscono poi nella creazione dell’esperpento. "Esperpento" allude a un qualcosa di strano e assurdo ed è il personale genere di Valle-Inclán in cui si fondono tragico e grottesco. Per questi l’esperpento è l'unico modo per esprimere, attraverso la caricatura, la tragicità della vita spagnola, testimonia il tragico che può essere rappresentato solo attraverso il grottesco e non attraverso la tragedia classica. Esso è una forma e insieme visione drammatica del mondo, implica la presa di coscienza sull’assurdità di alcuni valori su cui è fondata la società. L'esperpentismo è frutto di una determinata situazione storica non solo individuale e nemmeno nazionale ma europea, attraversata dai fenomeni di avanguardia (futurismo, espressionismo e dadaismo in particolare). In Valle-Inclán si osserva anche una certa influenza della tradizione barocca di Quevedo e Goya, da lui molto amati. È anche uno strumento di smascheramento: come visione drammatica della realtà, l'esperpento presuppone una rottura con la tradizione umanistica e, più concretamente, con la tradizione aristotelica del teatro occidentale. La sua rappresentazione risulta difficile e di conseguenza i drammi di Valle-Inclàn sono scritti anche per un pubblico di lettori, come si può dedurre dalle didascalie elaborate che hanno una dimensione narrativa. Le caratteristiche principali degli esperpentos sono: • deformazione e distorsione della realtà con l’obiettivo di esprimere la deformazione e il caos della Spagna del tempo; • degradazione dei personaggi che diventano come fantocci, marionette, animali; • deformazione del linguaggio, mescolando i differenti registri; • ironia e satira. Gli esperpentos di Valle-Inclán sono:  Luces de Bohemia (1920), opera che inaugura il genere dell’esperpento;  Los cuernos de don Friolera (1921)  Las galas del difunto (1926)  La hija del capitán (1927) Los cuernos de don Friolera rappresenta uno stesso avvenimento con tre visioni differenti che corrispondono ai tre modi di Valle-Inclán di vedere il mondo dell’arte: de rodillas, en pie o levantado en el aire.  in ginocchio, si dà ai personaggi una posizione superiore rispetto al narratore o al poeta; strategia usata da Omero  gli eroi classici sono personaggi ai quali gli stessi autori guardano in posizione di sudditanza;  in piedi, si considerano i personaggi come persone alla pari rispetto agli uomini, ai narratori o ai poeti, come se fossero sdoppiamento dell’Io. È la maniera più famosa, utilizzata da Shakespeare. Lo scrittore è alla stessa altezza dei personaggi, si identifica in loro;  sospeso nell’aria, i personaggi sono considerati come esseri inferiori rispetto agli autori, i quali li guardano come sospesi in aria con una nota ironica. È il modo di scrivere di Quevedo, Cervantes e Goya, una maniera da demiurgo: nonostante la grandezza del Quijote, Cervantes si crede più integro e intelligente di lui e non si emoziona mai con le sue vicende. È questa considerazione che lo porta a scrivere gli esperpentos. Los cuernos de don Friolera La prima versione è quella del teatro del compare Fidel, la cui forma è quella di una farsa popolare di marionette, nella quale l'autore guarda le sue creature dall'alto, sentendosi superiore ad esse e prendendosi gioco di loro. La terza versione è quella del romance de ciegos, nella quale il tema della sposa infedele e della vendetta del marito rappresenta una mitificazione eroico-popolare dei tristi avvenimenti narrati: don Friolera lava il suo onore dando la morte alla sposa infedele ed è premiato e nominato aiutante del Re, dopo aver combattuto contro i mori. La seconda versione, molto più ampia, è quella che corrisponde alla visione esperpentica. La prima e la terza versione sono presentate da don Manolito e don Estrafalario. La terza versione è presentata invece dallo stesso drammaturgo ed è sconosciuta agli altri due personaggi. Invenzione di Valle-Inclán, equidistante dalla pura farsa popolare e dal melodramma letterario. La presenza della forma della farsa (teatro di burattini) e del melodramma (romance de ciego) nel dramma di Valle-Inclán fa sì che l'esperpento acquisti forza e vitalità. Valle-Inclán propone qui una visione frontale dove grottesco e tragico si fondono in un fantoccio tragico che è don Friolera stesso. Valle-Inclán non solo capta la realtà come realtà deformata ma anche il senso tragico di quella ontologica deformazione. Attraverso il ciclo mitico (componente del primo teatro sperimentale) lui prepara questa nuova immagine scenica dell’uomo, nuova rappresentazione dell’essere umano e della società. Dialogo DON ESTRAFALARIO: reservemos las burlas para aquello que nos es semejante. DON MANOLITO: Hay que amar, don Estrafalario. Las risas y las lágrimas son los caminos de Dios. Esta es mi estética y la de Usted. DON ESTRAFALARIO: La mía, no. Mi estética es una superación del dolor y de la risa, como deben ser las conversaciones de los muertos al contarse historias de los vivos. DON MANOLITO: ¿Y por qué sospecha usted que sea así el recordar de los muertos? DON ESTRAFALARIO: Porque ya son inmortales. Todo nuestro arte nace de saber que un día pasaremos. Ese saber iguala a los hombres mucho más que la revolución francesa. DON MANOLITO: ¡Usted, don Estrafalario, quiere ser como Dios! DON ESTRAFALARIO: Yo quisiera ver el mundo con la perspectiva de la otra ribera. 30) Struttura e trama di Luces de Bohémia di Ramón del Valle-Inclán. Luces de Bohemia racconta l’ultima notte di vita di Max Estrella, poeta cieco (secondo alcuni critici è la trasfigurazione letteraria del poeta Alejandro Sawa), e finisce con la sua morte sulla soglia della porta di casa sua. L’azione si svolge in quindici scene e supera di poco il tempo di ventiquattro ore, dal tramonto alla notte del giorno seguente. 31) Rappresentazione dello spazio in Luces de Bohémia. I luoghi scenici sono diversi e non presentano alcun tratto di nobiltà: una stanza miserabile, una taverna cupa, la strada, la prigione, la redazione polverosa di un giornale, un cortile di cimitero, ecc. Carattere sistematicamente degradato dello spazio in cui Max Estrella passa le sue ultime ore di vita. Continua… Il titolo della storia contrasta con gli ambienti privi di luci, e diventa espressione di un paradosso dei personaggi che cercano la luce e l’affermazione personale ma cadono nell’oscurità, nel baratro, nella miseria. Anche il cognome del protagonista, Estrella, è un paradosso dato che, essendo non vedente, Max è privo di quella luce. L’esperpento inizia in casa di Max Estrella, il quale si trova in un momento di crisi economica e personale e propone alla moglie di suicidarsi insieme a lui e alla figlia. Subito dopo esce con Don Latino per reclamare più denaro per un libro che Don Latino ha venduto per suo conto. Non riuscendo a ottenere più soldi, Max e Don Latino vanno ad ubriacarsi in una taverna dove incontrano diversi personaggi madrileni, intanto per le strade continuano gli scontri tra polizia e operai. Max e Don Latino si fermano in un’altra locanda, lì Max viene arrestato e deve passare la notte in carcere, verrà poi liberato grazie alla raccomandazione di un giornalista. Quando esce va da un ministro, suo amico di vecchia data, che gli promette dei soldi ogni mese per mantenere la famiglia. Dopodiché cena con Don Latino e Rubén Darío. Don Latino e Max Estrella concludono la loro passeggiata notturna incontrando due prostitute e una donna con il figlio morto tra le braccia, le urla della donna fanno rabbrividire Max Estrella che se ne vuole andare. A conclusione di questo vagabondaggio notturno, Max Estrella ha una visione di un funerale e dopo poco muore sulla porta di casa sua, abbandonato da Don Latino che lo lascia con una smorfia che gli deforma il volto. L’esperpento si conclude con la sepoltura di Max Estrella e con Don Latino che va ad ubriacarsi in una locanda. Attraverso questa opera Valle-Inclán mostra come sia diventato impossibile, in quella Spagna, fare letteratura, e ne mostra la decadenza. Parte dalla consapevolezza della crisi ottocentesca in Spagna e da una osservazione di un disincanto per cercare di sensibilizzare il pubblico rispetto a quello che lui aveva notato e rappresenta una società degradata per rendere coscienti gli altri di quanto sia misera la vicenda umana. Mette in scena un mondo dove prevalgono l’ingiustizia, la miseria, la violenza a cui l’unica via d’uscita è la morte. Grazie alla tecnica dell’esperpento questo mondo viene rappresentato attraverso il filtro del grottesco, attraverso l’ottica dello “specchio concavo”, nella serie di battute tra Max e Don Latino. La vita e morte di Max Estrella rappresentano la vita e la morte del nuovo eroe tragico moderno. 32) Il dialogo fra Max Estrella e Don Latino (Escena XII). Max dialoga con Don Latino, una sorta di Lazarillo de Tormes: il primo incarico di Lazaro era stato quello di accompagnare un cieco avaro e prepotente. Nel primo dialogo tra i due personaggi Valle-Inclán attribuisce la parola esperpento a Max. 1) MAX: ¡Don Latino de Hispalis, grotesco personaje, te inmortalizaré en una novela! DON LATINO: Una tragedia, Max. MAX: La tragedia nuestra no es una tragedia. DON LATINO: ¡Pues algo será! MAX: El Esperpento. 2) MAX: El esperpentismo lo ha inventado Goya. Los héroes clásicos han ido a pasearse en el callejón del Gato. DON LATINO: ¡Estás completamente curda! MAX: Los héroes clásicos reflejados en los espejos cóncavos dan el Esperpento. El sentido trágico de la vida española sólo puede darse con una estética sistemáticamente deformada. DON LATINO: ¡Miau! Te estás contagiando. MAX: España es una deformación grotesca de la civilización europea. DON LATINO: ¡Pudiera! Yo me inhibo. MAX: Las imágenes más bellas en un espejo cóncavo son absurdas. DON LATINO: Conforme. Pero a mí me divierte mirarme en los espejos de la calle del Gato. MAX: Y a mí. La deformación deja de serlo cuando está sujeta a una matemática perfecta. Mi estética actual es transformar con matemática de espejo cóncavo las normas clásicas. DON LATINO: ¿Y dónde está el espejo? socialisti: emergono motivi e preoccupazioni di ordine filosofico e religioso, che apportano spessore e inquietudine metafisica alla ricerca individuale. Dal 1936, con la Guerra Civile, questo gruppo sarà destinato a dividersi, alcuni andranno in esilio mentre altri moriranno. Nel romanzo le novità riguardano soprattutto il linguaggio, di carattere prettamente realistico e talora persino violento; inoltre, dopo un periodo di stasi e indeterminatezza, si torna al racconto storico fantastico, che vive un periodo di grande risveglio. Nuove forme di poesia si affermano nei decenni successivi: veemente e radicata, esistenzialistica, di carattere sociale, oppure intimistica e soggettiva. Le conquiste ideologiche e formali vissute dal gruppo subiscono nel tempo spinte diverse e contrastanti: poesia pura e poesia umana, tradizione e modernità. La Generazione del ‘27 non ha un manifesto ma un’opera rappresentativa: la Antología di Gerardo Diego, uscita nell’edizione del 1932 e poi in edizione completa due anni dopo, che riunisce i testi di diciassette autori, dodici dei quali appartengono alla Generazione del ‘27. Gerardo Diego costituisce la coscienza critica del gruppo del ‘27, ne definisce i maggiori esponenti e ne fissa con precisione i caratteri e l’evoluzione estetica. Egli è un attivo organizzatore dell’omaggio a Góngora nel 1927. Aderirà poi al Creazionismo dopo l’incontro con Huidobro. Diego sarà capace di dedicarsi sia a una poesia tradizionale che a una poesia più libera e avanguardista. Tra i grandi ammiratori di Góngora ricordiamo anche Dámaso Alonso dedica al poeta barocco molti scritti teorici. La sua opera principale rimane, però, Hijos de la ira in cui parla dell’angustia e della collera davanti al dolore e alla miseria del mondo. Pedro Salinas utilizza la poesia per approfondire e analizzare sentimenti e momenti della vita quotidiana, preferisce una poesia semplice e sincera, la sua poesia è così semplice che sembra essere prosa. Tra le sue opere più celebri ci sono Seguro azar di grande influenza futurista, La voz a ti debida con la quale inizia la sua fama di poeta amoroso e El Contemplado che scrive durante l’esilio: il mare è l’elemento preponderante della raccolta. Jorge Guillén è un poeta puro, ricerca l’essenza delle cose esprimendole attraverso un linguaggio attento. Tra le sue opere più importanti va ricordata Cántico in cui esprime un entusiasmo verso la vita e il mondo, è un inno alla creazione e all’armonia dell’universo, ha sempre un approccio ottimista anche nei confronti della morte. La stessa serenità è rintracciabile in Clamor, nonostante parli del dolore, delle ingiustizie e della guerra. Per quanto riguarda la prosa è importante ricordare Lenguaje y poesía, un testo critico in cui analizza autori classici e contemporanei. Luis Cernuda è un autore differente rispetto agli altri della sua Generazione, affronterà un cammino molto personale, non riesce a integrarsi con la società che soffoca la sua omosessualità. La sua poesia è caratterizzata dalla ribellione e da una frustrazione causata dalla realtà in cui vive e dal desiderio di vivere e amare, nei suoi versi sono riversate le inquietudini e le preoccupazioni dell’uomo contemporaneo: la rivendicazione della libertà dell’uomo e la protesta in un mondo pieno di convenzioni sociali. Nel 1936 raccoglie in unico libro, La Realidad y el Deseo, tutta la sua produzione poetica fino a quel momento, è in questa raccolta che si incontrano i temi fondamentali della sua poesia. La poesia di Vicente Aleixandre si caratterizza per un tremendo pessimismo vitale, il miglior avvenire per l’uomo è di ritornare alla terra, alla natura pura. Aleixandre si avvicina alla letteratura quando conosce Dámaso Alonso, che lo introduce alla lettura di Darío, facendogli scoprire la propria vocazione poetica. Nella traiettoria poetica di Rafael Alberti si distinguono quattro tappe: la prima segnata da Marinero en tierra in cui il motivo popolare si fonde con una lirica raffinata, il tema è la nostalgia per la sua terra natale e per il mare, nella seconda tappa è evidente l’influsso delle avanguardie, Sobre los ángeles è una raccolta vicina all’estetica surrealista in cui introduce il verso libero; c’è poi la tappa della poesia civile e infine quella dell’esilio. 35) Le avanguardie poetiche del XX secolo: ultraismo, creazionismo, surrealismo. Le avanguardie presuppongono una rottura stilistica e concettuale con il Romanticismo e il Realismo. Il termine deriva dal francese “avant-garde” e allude a un sentimento di guerra, di lotta e opposizione. Le avanguardie sono chiamate anche ismos: Surrealismo, Creacionismo, Cubismo, Ultraísmo, Dadaísmo, Futurismo. In comune hanno tutte l’ossessione per il rinnovamento. Il Futurismo nasce nel 1909, quando Filippo Tommaso Marinetti pubblica il manifesto futurista in undici punti, che definiscono l’orientamento di questa nuova corrente di pensiero. Il futurismo celebra il culto per la velocità e l’aggressività, è contro il pensiero romantico e decadente, rivendicando un atteggiamento che tende a scandalizzare. A livello formale si esprime con parole in libertà, versi liberi, libero uso della sintassi e della punteggiatura, attenzione all’aspetto fonico della poesia. L’intento è quello di fuggire dalla banalità, si cerca di creare una sensazione di straniamento. De la Serna fu uno dei primi autori a entrare a contatto con le avanguardie traducendo il manifesto futurista di Marinetti.  Il Cubismo inizia con la sperimentazione di Picasso nella pittura. In letteratura, Apollinaire scrive il manifesto del Cubismo. È un movimento che va contro il Realismo: per i cubisti, l’artista deve immaginare una realtà diversa, analizzandola nelle sue diverse parti, scomponendola e ricomponendola. Tra il 1913 e il 1916 escono i Calligrammi di Apollinaire: le parole sul foglio sono disposte in modo da costruire delle figure, inaugura la tendenza alla poesia visiva. In Spagna fu Vicente Huidobro il maggiore scrittore di calligrammi.  L’Ultraísmo nasce in Spagna e si diffonde a partire dal 1918 grazie alla rivista Ultra. Fra i maggiori esponenti vi sono: Guillermo Torre, Gerardo Diego, Juan Larrea, Borges. Il movimento si scaglia contro l’opulenza (eccesso) del modernismo e propone l’evocazione di immagini forti, talvolta scioccanti, influenzate dal simbolismo e dai Parnassiani. Abbandona la rima in favore di schemi metrici anticonformisti ed elimina la logica, adottando un sistema libero di disposizione del poema sulla pagina, cercando di fondere arti plastiche e poesia. Scopi dell'ultraismo sintetizzati da Borges:  Riduzione dell'elemento lirico al suo elemento primordiale, la metafora (importanza ripresa dalla Generazione del ’27).  Cancellazione di frasi esplicative, congiunzioni e aggettivi inutili.  Evitare artifizi ornamentali, confessionalismi, circostanzialismi, prediche e nebulosità portate agli estremi.  Sintesi di due o più immagini in una, ampliandone così la suggestività.  Il Creacionismo viene fondato da Vicente Huidobro che elabora le sue teorie prima in America latina, poi a Parigi e infine a Madrid. Consiste nella ricerca di una poesia che si opponga alla realtà e che sia strumento di creazione assoluta: essa trova il suo significato in sé stessa, l'atto della creazione è la vera poesia. In questo modo ciò che conta veramente non è più l'oggetto della poesia, ma la capacità del poeta di creare e inventare nuovi metodi poetici, ma soprattutto nuovi mondi, immaginari e personali, anziché descrivere ciò che offre la realtà. Nei mondi che i poeti creano per le loro opere essi assumono il ruolo di "un piccolo Dio". Per questo motivo, all'interno delle loro opere è permesso tutto, compresa la creazione di nuove parole o l'uso di metafore senza basi logiche, la combinazione di immagini e metafore. Pertanto, la poesia creazionista implica la necessità di creare nuove immagini sufficientemente vivide da costituire una nuova realtà in sé stesse. I nuovi linguaggi rompono spesso con le regole e l'estetica della lingua, oltre che con la sintassi; manca una linea narrativa, vi è la presenza di giochi di parole e lunghe sequenze di enumerazioni. Un'altra caratteristica fondamentale era la sua natura poliglotta. Dato che questa corrente è creata principalmente da autori di lingua spagnola stabiliti a Parigi, i suoi lavori hanno riunito diverse lingue che sono state talvolta utilizzate in modo indifferenziato.  Il Surrealismo si basa sul mondo onirico, seguendo i principi della psicanalisi di Freud. Molti autori della Generazione del 27 tenderanno al Surrealismo. Nel 1924 viene pubblicato il manifesto. I surrealisti credevano in un’arte svincolata dalla realtà, indipendente dalla razionalità, espressione profonda dell’io. È il movimento d’avanguardia più eversivo. 36) Gerardo Diego e le avanguardie. Tra i protagonisti della vita letteraria impegnati nell’opera di rivalutazione di Góngora. Nato a Santander nel 1896, compie i primi studi presso i Gesuiti di Deusto (Bilbao), frequentando prima i corsi di letteratura all’Università di Salamanca e quindi a Madrid. Come docente di francese soggiorna a Soria, Gijon, Santander, Madrid, viaggiando quindi nei paesi dell’America latina e in Europa. Alla fine della guerra civile rimane a Madrid, dove muore nel 1987. È uno dei protagonisti delle tendenze d’avanguardia proclamate all’interno della rivista Ultra, poi confluite nel creazionismo. Sua è la rivista Carmen, con il supplemento Lola, che svolge un ruolo fondamentale nel dibattito culturale del Paese. Diego costituisce la coscienza critica del gruppo del ‘27. Nella sua formazione artistica risulta determinante l’educazione musicale e lo studio del pianoforte. La conoscenza della rigorosa struttura spazio-temporale della musica spiega l’analogo processo di assimilazione dei valori plastico-cubisti, espressi dal movimento creazionista, a cui aderisce con entusiasmo dopo l’incontro con Vicente Huidobro. Diego diventa il punto di unione fra passato e presente, fra tradizione e novità, che caratterizza la poetica del 27. Il passaggio dalla partitura musicale a quella ultraista-cubista è illustrato dal poeta nelle parole introduttive a una selezione di versi del libro Manual de espumas. Attua un’operazione personale diretta a restituire – su un piano puramente musicale – l’equivalenza di valori plastico-mentali propri della lezione cubista-creazionista. È un’azione tesa a tradurre l’essenza della elementarità poetica, considerata dal nostro autore requisito peculiare dell’espressione sonora, in grado di assicurare quel “distanziamento artistico” necessario al controllo della fonte delle emozioni. Lo sforzo d’integrazione della nuova estetica è particolarmente visibile in alcuni libri come Imagen (1922), Manual de espumas (1924) e in Fabula de Equis y Zeda (1932), che traduce in termini creazionistici la preziosità della mitologia gongorina. In Poesia de creación (1974), l’autore riunisce l’esperienza ultraista e quella creazionista. In queste opere elabora un’immagine indipendente, funzionale, utilizzando un nuovo concetto di spazio tipografico (spazi bianchi, eliminazione della punteggiatura, delle pause e delle rotture del verso), idoneo a visualizzare la sovrapposizione di distinti piani temporali, volumi e ritmi, in modo da creare autonome associazioni scaturite da comuni linee costruttive. Sembra andare alla ricerca di un assoluto lirico, per cui anche il ricorso a tecniche moderne e l’uso di schemi popolari della tradizione letteraria rispondono a un’esigenza di valori puri, elementari, che si traducono in linea verticale, slancio mistico e ricerca di perfezione. Un dinamismo tendente verso l’alto, un desiderio di infinito che, quando non si precisa negli elementi familiari del paesaggio di Spagna, si serve di nuovi simboli della vita moderna, la gru, la fabbrica, l’hotel, realizzando un processo di osmosi tra antico e moderno, tradizione e avanguardia, tra poesia assoluta e poesia relativa (basata sulla realtà). biologico, attraversati dalla forza vivificante dell'amore che trasforma il corpo in un liquido eracliteo, consentendo il passaggio alla comunione con le cose. La pubblicazione di Historia del corazón conferma la conversione a una poesia in cui protagonista fondamentale della storia è il vivere umano, o meglio l'uomo con la sua circostanza temporale e la coscienza dei suoi limiti. A quest'uomo concreto, immerso nell'humus storico del suo tempo, che la forza dell'amore non riesce tuttavia a salvare dalla caducità fisica, va la totale solidarietà del poeta. En un vasto dominio, la raccolta più estesa dei libri Aleixandre, accentua il processo di socializzazione dell'uomo, nato con Historia del corazon, costituendo una ratifica e quindi un ampliamento delle due anime, quella cosmica e quella umana, che formano il nucleo centrale della ricerca poetica. Nelle ultime opere si affaccia per la prima volta l'immagine della vecchiaia e della consumazione fisica, la cui condizione costituisce una forma di conoscenza, un'oscura illuminazione raggiunta attraverso il ritorno a forme irrazionali. Il poeta canta con lucidità e verità la situazione del vecchio che guarda alla giovinezza trascorsa come l'equivalente dell'unica vita; la parola ormai stanca registra con amaro distacco il senso della perdita nel presentimento della fine. 38) Luis Cernuda: traiettoria poetica e temi principali Luis Cernuda nasce nel 1902 a Siviglia, dove trascorre l'infanzia e la prima giovinezza, durante la quale ha come compagno di studi, e poi docente all'università, Pedro Salinas che lo inizia alla lettura dei poeti moderni francesi (Rimbaud, Baudelaire, Valéry, Mallarmé, Reverdy). Precocemente segnato dalla diversità del suo eros privato, venato di asprezza e solitudine, alla cui comprensione è di grande aiuto la lettura dell'opera di Gide, il giovane, dopo la laurea in legge, abbandona l'ambiente ostile di Siviglia per trasferirsi a Madrid. Nel 1927 esce, come supplemento della rivista Litoral, diretta da Prados e Altolaguirre, il suo primo libro di versi, Perfil del aire, in cui traspare il senso di un'intima pena adolescenziale. Nella capitale spagnola il giovane impone subito la sua immagine di dandy elegante e raffinato; poco dopo, grazie a Salinas, ottiene un posto di lettore a Tolosa, dove rimane fino alla fine di maggio del 1929, facendo poi ritorno a Madrid. Viaggia quindi a Parigi, entrando in contatto con il mondo del surrealismo francese, con cui condivide lo spirito critico di protesta e ribellione contro la morale borghese. Al termine della guerra civile, durante la quale si schiera con il governo repubblicano, Cernuda abbandona la campagna, rifugiandosi in Inghilterra, negli Stati Uniti e poi in Messico, che sceglie come patria adottiva e dove, nel 1951, pubblica Poemas para un cuerpo, una raccolta di poesie d'amore. Cernuda muore in Messico il 5 novembre 1963, in casa di Concha Méndez, vedova del poeta Altolaguirre. Pochi poeti spagnoli come l'elegante, ribelle, difficile Cernuda sono riusciti a legare in un unico nodo l'opera e la vita, al punto che riesce impossibile separare l'una dall'altra. Pochi poeti, se si eccettua forse l'umanissima figura di Garcia Lorca, hanno saputo rovesciare interamente nella verità dell'esperienza artistica l'espressione (e l'insoddisfazione) più autentica del destino personale, in contrasto con la morale e la realtà della loro epoca.  La realidad y el deseo, il titolo voluto dall'autore per la sua opera completa, illustra in modo eloquente gli estremi di dissidio in cui si dibatte l'universo cernudiano: l’attrazione e il desiderio nei confronti del reale e al tempo stesso il disprezzo per questo, dovuto al fatto di non essere mai stato in grado di possederlo. Una realtà non evasa ma perseguita in virtù del sentimento dell'amore e della sua immagine di giovanile bellezza, alla quale Cernuda guarda con nostalgia e desiderio. Le tappe della creazione finiscono per coincidere con quelle fondamentali dell’itinerario esistenziale: la prima con il periodo della formazione sivigliana, la seconda con il soggiorno madrileno e l'ultima, la più dolorosa, con la stagione dell'esilio in Inghilterra e in America.  Stagione sivigliana: Le componenti principali della poesia di Cernuda - spontaneità e meditazione - attraversano ogni fase del tormentato cammino artistico dell'autore. Perfil del aire è caratterizzato dal sentimento di una pena fatta di tenerezza e dolente nostalgia, lirismo e sensualità arabo-andalusa, che brucia nel desiderio e nel lamento per un paradiso perduto d'innocenza e d'amore. Il processo di sintesi e depurazione stilistica colloca questa prima esperienza nell'ambito dell'ideale estetico della poesia pura, col quale il primo Cernuda aveva elementi in comune. Nuovi sono invece il tono e l'accento appassionato del verso, diversa la sensibilità adolescenziale che evoca pigri e sensuali abbandoni e felicità irraggiungibile. La parola è delicata, ineffabile, propizia alla confessione e all'intimità amorosa, ricca di struggente malinconia che, nella raccolta posteriore Donde habite el olvido e nei libri surrealisti, si accende di spasimi e deliri onirici. Il sogno, languidamente accarezzato, scolpisce immagini perfette, piene di grazia e stupore; ma la sua mancata realizzazione apre una ferita profonda che causa dolore e impotenza.  La guerra e l’esilio: Dopo la parentesi dionisiaca e holderliniana di Invocaciones (1934 -1935), fa ingresso nella poesia di Cernuda la tematica della guerra e dell'esilio, unitamente al motivo della patria sconvolta dall'aggressione e dalla violenza franchista. Las nubes è il libro che segna il passaggio dalla fase contemplativa della giovinezza, attraversata da lampi di inquietudine e dolore, alla visione tragica della maturità, in connessione con la fuga del poeta dalla Spagna. Cambiano il tono e il linguaggio della poesia, mentre l'io lirico si polarizza sulla seconda o terza persona singolare, in un intento di oggettivazione che denuncia il peso dell'attualità. L'esilio materiale della Spagna lontana e l'esilio spirituale dalla perfezione della natura si alternano, prevalgono le immagini di disperazione. Il processo si approfondisce in Como quien espera el alba, guarda agli eventi della guerra mondiale, investendo la struttura ritmica del verso con moduli colloquiali. Prevale il tono elegiaco in giusto equilibrio tra introspezione meditativa e tensione lirica, tendente a tradurre in accadimento interiore i grumi della realtà esterna: l'esperienza personale finisce per diventare materia di poesia che aspira all'immortalità. Durante l'esilio inglese Cernuda inizia a comporre i poemi in prosa di Ocnos, un libro che nel suo lirismo intimismo tenta di esorcizzare la desolata realtà personale mediante l'evocazione di un Eden che riconduce direttamente al mondo mitico dell'infanzia e dell'adolescenza sivigliana. Il poeta attraversa uno stato di apatia generale che lo allontana da ogni interesse della vita reale; fortunatamente viene a salvarlo da questa situazione la forza rigenerante dell'amore, nato da un'ultima appassionata avventura sentimentale. Desolación de la Quimera costituisce il consuntivo finale riconfermando l'indiscutibile valore del messaggio lasciato dall'autore, il quale ripercorre con grande sincerità e ironia i temi a lui peculiari: l'amore, la giovinezza rappresentata dalla figura dell'adolescente, la solitudine e la morte. Permane l'atteggiamento di denuncia e condanna contro le convenzioni sociali e non manca la critica e la satira mordace contro certi personaggi pubblici o amici letterari facilmente identificabili, come Pedro Salinas, Damaso Alonso che l’autore, animato da un rancore personale, accomuna ingiustamente ai nemici della verità. 39) I poeti professori: Pedro Salinas e Jorge Guillén. PEDRO SALINAS - Con Alonso, Diego e Guillén, Pedro Salinas (1891-1951) fa parte del gruppo dei poeti-professori che alimenta di continuo lo spirito di ricerca ed erudizione dei principali protagonisti della Generazione del ‘27. Insieme a Guillén, modello perfetto del poeta-professore. Nato a Madrid, Salinas segue gli studi di legge e poi quelli umanistici, laureandosi in lettere e filosofia. Dal 1914 al 1917 vive a Parigi, come lettore di spagnolo alla Sorbona; quindi, per nove anni, risiede a Siviglia quale docente universitario di letteratura spagnola. Attratto dalle problematiche della cultura europea, insegna nel 1922 all'Università di Cambridge, per fare poi ritorno a Madrid e quindi dirigere, nel 1933, il corso estivo dell'Università di Santander. L'iter biografico di Salinas, segnato dalla militanza accademica e da lunghi periodi di soggiorno all'estero, mostra dunque due tappe principali, separate drammaticamente dallo spartiacque della guerra civile: la prima, fino al 1935, vissuta in Spagna e in Europa; la seconda in America. La prima produzione poetica, rappresentata dai volumi Presagios (1923), Seguro azar (1929), Fabula y signo (1931), forma un trittico coerente che segna un distacco, o meglio una differenziazione della produzione coeva nazionale. Salinas porta alle estreme conseguenze il processo di sublimazione e astrazione della realtà, scindendola in due parti antinomiche, l'anima e il corpo. La tendenza a privare la realtà del suo peso specifico conferisce alla parola un particolare spessore e in generale, dal punto di vista stilistico, un movimento breve e conciso che traduce in immagine interiore – appunto in "presagi” come recita il titolo del primo libro – ogni forma del mondo esterno. La presenza della quotidianità aneddotica e colloquiale, visibile soprattutto in Presagios, si configura come un espediente del poeta per circoscrivere e ricondurre la sfera della realtà al suo puro dato orale e visivo. In Presagios si avvertono lontani echi di Bécquer, Antonio Machado e, più concretamente, di Juan Ramon Jiménez, il quale cura la pubblicazione del libro e ne scrive il prologo, mentre già si annunciano i grandi temi della poesia successiva: la dialettica dell'amore, l'idea incombente del nulla e del mistero, il presentimento di un’irrealtà celata dietro il diaframma di oggetti effimeri e domestici. Anche il secondo libro, Seguro azar, rivela fin dell'ossimoro del titolo, una nota intellettuale che aspira a colmare il vuoto dell'astratto con figure e aspetti colti dallo spettacolo della vita moderna. La gradualità con cui Salinas va spogliando di concretezza le immagini che osserva dalla realtà urbana è ampiamente attestata dal loro intrinseco potere autocorrosivo: le cose, gli oggetti sono lì unicamente per essere negati, svolgono una funzione pretestuosa in quanto denunciano l'assenza della persona amata, raggiungibile solo attraverso il sogno e la fantasia. Con Fabula y signo continua e si approfondisce il processo di rimozione e superamento del reale quotidiano. La stagione della maturità: con la pubblicazione della raccolta La voz a ti debida, cui seguono Razón de amor e Largo lamento, il tema d'amore fa nuovamente ingresso nella poesia di Salinas. La poesia La voz a ti debida giunge a un senso di ascesi e verticalità che non è solo il frutto del sentimento di pienezza e abbandono con cui l'autore aderisce alla materia del canto, ma è piuttosto il risultato di uno sforzo che vuole dare una collocazione universale alla realtà umana e personale dell'amata. Ciò che vuole è convertire la sua esperienza individuale in una favola collettiva senza cadere nel simbolo. In particolare, La voz a ti debida e Razón de amor mostrano una stretta dipendenza tematica e strutturale rappresentando, rispettivamente, le due fasi della parabola amorosa: lo slancio vitalistico e il ripiegamento meditativo. Largo lamento, legato a una realtà più difficile, la guerra civile, rivela un sentimento di solitudine e distacco, sostenuto interiormente da un atteggiamento di serena compostezza di fronte al dolore e alla sventura umani. Nell'ultimo decennio di vita Salinas scrive una serie di opere comprendenti vari generi letterari: la poesia; il teatro, in cui l'autore affronta con precisione, mediante l'uso del dialogo, i diversi aspetti della vita del tempo; Il romanzo, che ripropone la condanna e con la insignia marinera: sobre el corazón un ancla y sobre el ancla una estrella y sobre la estrella el viento y sobre el viento la vela! ANALISI Si tratta di un componimento in versi ottosillabi. Presenza di assonanza e-a che interessa il primo e il terzo verso e poi occupa le sedi pari. Lascia una sorta di testamento morale, chiede al suo pubblico di essere trasportato da morto nei pressi del mare, sulla riva del mare. La parola voz è una metonimia: qualcosa che configura l’essere umano, una facoltà che l’uomo ha. È inevitabile anche pensare ad una accezione meta-poetica, è voce sia dell’uomo che del poeta – Se la mia voce morisse in terra portatela al livello del mare e lasciatela sulla riva – gli imperativi si riferiscono a un vosotros a cui chiede di trasportarlo. La tierra è in contrapposizione al mare. Scrive la raccolta a Madrid, quindi per lui la terra è l’entroterra, dimensione opposta a quella marina. Non vuole, una volta morto, rimanere in entroterra: vuole rientrare in contatto con il mare. Il verso quattro è coincidente al verso due – Portatela al livello del mare e nominatela capitana di un bianco vascello da guerra – la voce simboleggia sé stesso, ed è parte integrante del mare, il vascello si muove solo nel mare – Oh mia voce decorata con l’insegna marinara – la voce che diventa parte di quel contesto marino che l’accoglie. Negli ultimi quattro versi descrive una sorta di barca che accoglierebbe la sua voce – Sul cuore un’ancora e su di essa una stella e sulla stella il vento e sopra il vento la vela – le parole cuore, ancora, stelle e vento creano un gioco di anadiplosi  ripete sempre l’ultima parola all’inizio del verso successivo per creare un climax (gradazione ascendente). Il lessico è semplice ma ricorda l’ambiente marinaro: la stella guida i marinai e il vento che consente alla barca di muoversi. Descrive la fine di sé stesso, della sua voce che diventa un tutt’uno con il mare attraverso il vascello che lo accoglie. Il testo è molto simbolico e semplice da un punto di vista sintattico e linguistico, e contiene una celebrazione del mare e dello stato di beatitudine e pienezza che provoca nel poeta. La paloma Appartiene al libro Entre el clavel y la espada (1941). Il contesto è completamente cambiato: era già quarantenne ed era in esilio, aveva dovuto abbandonare la Spagna nel 1939. Il primo luogo in cui approda insieme a sua moglie è Parigi, in cui si rifugiano. Questo componimento nasce una notte durante la quale lui si sveglia di soprassalto dopo aver sognato una colomba che lo chiamava. Il testo esprime lo stato di agitazione, smarrimento, disperazione in cui si trova, costretto a lasciare la patria, lontano da casa e preoccupato per le sorti del paese. Non ci sono cenni al tema politico, è quasi una rappresentazione simbolica a questo stato di disorientamento e disperazione nel quale si trovava. Si nota una certa predilezione per la poesia dal sapore popolare, i versi sono corti e vi è un uso persistente e continuo di assonanze. TESTO Se equivocó la paloma, se equivocaba. Por ir al norte fue al sur, creyó que el trigo era el agua. Creyó que el mar era el cielo que la noche la mañana. Que las estrellas rocío, que la calor la nevada. Que tu falda era tu blusa, que tu corazón su casa. (Ella se durmió en la orilla, tú en la cumbre de una rama.) Rappresenta una colomba disorientata che compie una serie di azioni errate elencate dal poeta. Alla fine, avviene una sorta di sostituzione, un incrocio tra la colomba e una figura femminile che compare, complicando e disorientando la lettura. Il disorientamento della colomba è insinuato anche nel pubblico. - Si sbagliò la colomba, si sbagliava. Per andare al nord, se ne andò al sud. Credette che il grano era l’acqua – la colomba disorientata non riesce nemmeno a riconoscere i punti cardinali, confonde il nord con il sud e scambia i campi di grano (la terra) con l’acqua. Tema della confusione con gli elementi dell’acqua e della terra, due elementi naturali – Credette che il mare fosse il cielo, che la notte era mattina – sull’acqua comincia il cielo. Tutti opposti: nord-sud, mare-cielo (alto e basso), notte-mattina – che le stelle fossero rugiada – metafora: le stelle stanno in cielo, la rugiada sta sul terreno. La lucentezza, lo splendore delle goccioline di acqua vengono comparate alle stelle che brillano in cielo – che il calore fosse la nevicata – confonde il caldo con il freddo. La neve è sinonimo di freddo, appare solo dove c’è il freddo – Che la tua gonna era la tua camicetta – appare un TU femminile a cui il poeta si rivolge, lo si capisce dai capi di abbigliamento, confonde questi due capi di abbigliamento molto diversi tra loro – che il tuo cuore era la sua casa – il cuore di lei diventa la casa della paloma. Casa in quanto nido, quel cuore femminile era ciò che doveva accoglierla – Lei si addormentò (la paloma) sulla riva del mare, tu sulla cima di un ramo – sostituzione: la colomba assume le sembianze di un essere umano che si addormenta sulla riva del mare, e questo TU femminile, come fosse un uccello, si addormenta sulla cima di un ramo. Il compimento di questo processo di confusione è proprio la sostituzione della paloma con questa lei a cui lui si rivolge. La colomba, in questo suo disorientamento, rappresenta la crisi del poeta stesso: entrambi cercano protezione in questa figura femminile (Maria Teresa Leon) che rappresenta un punto di appoggio per il poeta che evita di perdere il controllo. In questa sorta di fusione fra la colomba e lei, in uno scambio i ruoli, possiamo interpretare la piena compenetrazione di questa esperienza di dolore, sconforto e l’una si appoggia all’altra. Testo formato da ottosillabi salvo il secondo che è un pentasillabo. Tutti gli altri sono versi corti. Presenza di una assonanza nei versi pari a-a, molto rigorosa. FEDERICO GARCIA LORCA, ultime domande 41) La poesia giovanile di Federico García Lorca: forme e temi. Fu artista a tutto tondo: poeta, drammaturgo, musicista e pittore. Creatività fuori dal comune. Nato nel 1898 a Fuente Vaqueros, in provincia di Granada da una famiglia benestante; la madre è una maestra e il padre un commerciante; riceve un’ottima formazione  la madre lo indirizza alla musica, gli insegna a suonare il piano. Ricorda la sua infanzia come un periodo felice, e nella sua memoria viene esaltata come una stagione totalmente libera e selvaggia in mezzo ai campi di Fuentevaqueros. Nel 1909, a undici anni, si trasferisce a Granada con la famiglia: studia poi diritto (il padre voleva che si formasse nella giurisprudenza per portare avanti l’attività di famiglia) all’Università e anche lettere (per passione), senza terminare nessuna delle due carriere. A Granada instaura una amicizia con Manuel de Falla, musicista e compositore, esperto di musica e cultura flamenca, insieme a lui organizza un festival di musica flamenca  fa parte del folklore andaluso.  Nel 1918 pubblica il suo primo libro, Impresiones y paisajes, in prosa e autofinanziato: a metà fra il diario e il racconto di viaggio, che scrive raccogliendo le impressioni tratte da alcuni suoi viaggi per la Spagna, regioni e luoghi diversi, fatti negli anni precedenti. Curioso che il suo primo libro sia in prosa, perché poi la abbandona completamente, non scrive mai romanzi o racconti, ma esordisce con un libro in prosa che non ha un genere inquadrabile. Si può notare la sua capacità di usare il linguaggio in un modo lirico: anche quando scrive in prosa riesce a creare immagini suggestive. Anche quando scrive le conferenze in prosa, riunite e pubblicate in Obras completas, si tratta di una prosa lirica, a tratti sembra poesia. Vocazione all’eleganza formale che fa parte del suo essere. Nel 1919 si trasferisce a Madrid e si insedia nella Residencia de Estudiantes, fondamentale per la sua crescita personale e culturale, dove rimarrà fino al 1929, anni in cui è ospite in questa residenza. Qui conosce e frequenta scrittori e artisti di grande importanza, che costituiranno con lui la Generazione del ‘27. ‘’La imagen poética de Góngora’’ in cui Lorca parla della sua capacità di costruire nuove immagini poetiche.  Nel 1920 scrive El maleficio de la mariposa, prima opera teatrale, scarso successo di pubblico: opera altamente simbolica, i protagonisti sono insetti, farfalla e scarafaggio. Ha una struttura e un contenuto che a un pubblico borghese, abituato a commedie facili, risulta un po’ ostico da comprendere e difficile da accettare anche nelle sue componenti scenografiche.  Nel 1921 pubblica Libro de Poemas, prima raccolta di poesie (ventitré anni) in cui dialoga con la natura, accogliendo nella nota modernista inquietudini che si manifestano come nostalgia o angoscia sempre più estesa e che diverrà motivo di lacerazione e protesta;  nel 1927 scrive Canciones e un’altra opera teatrale, Mariana Pineda;  nel 1928 pubblica nella rivista di Occidente la raccolta Romancero gitano che rappresenta la fase cruciale del primo periodo di formazione letteraria di Lorca; I cervi bianchi compaiono nelle radure dei tronchi – contrasto cromatico: oscurità della notte in contrapposizione con la luna, la quale spicca nell’oscurità; poi c’è l’immagine dei cervi che appaiono nelle radure – L'intera notte è raccolta sotto uno schermo di voci. Acque profonde e ferme si increspano/saltellano tra i giunchi... – altre metafore, l’azione di saltellare è tipica di alcuni animali, qui si riferisce alle acque – È necessario uscire. E questo è il momento pericoloso per il poeta. Il poeta deve portare con sé una mappa dei luoghi che percorrerà e deve essere sereno di fronte a mille bellezze, creature di gesso e rappresentazioni di follia che passeranno davanti ai suoi occhi. – si tratta di un percorso insidioso che il poeta deve affrontare, e Lorca gli consiglia di rimanere sereno di fronte alle mille bellezze, alle creature di finzione (di gesso), poco reali e dichiaratamente artificiose, e alle rappresentazioni di follia = tutti elementi potenzialmente insidiosi e pericolosi per il poeta – Deve tapparsi le orecchie come Ulisse di fronte alle sirene e deve e deve scagliare le sue frecce contro le metafore vive e non contro quelle figurate o false che lo accompagnano – le sirene sono figure ammaliatrici e rappresentano i richiami falsi, ingannevoli che possono distogliere il poeta dalla vera arte; deve lanciare le frecce (metafora caccia) sulle metafore vive e non quelle false. La metafora viva è una metafora nuova, non abusata, che perdura nel tempo, crea dei nessi logici fra le cose reali, implica uno sforzo intellettivo da parte di chi le scrive e di chi le deve comprendere; si contrappone alla metafora falsa, quella comune e cristallizzata, non obbliga il lettore a nessuno sforzo perché molto utilizzata e conosciuta – Il poeta deve andare a caccia pulito e sereno, anche sotto mentite spoglie. Si opporrà con forza ai miraggi e perseguirà con cautela la carne reale e pulsante che si armonizza con il piano della poesia che egli sta trasportando/abbozzando – il poeta, nel momento in cui si appresta a scrivere, nella sua mente ha già un abbozzo di ogni poesia; poi deve cacciare le metafore vive, deve vestire l’idea iniziale di metafore intense, innovatrici e originali che rifuggano dal linguaggio banale – A volte è necessario gridare ad alta voce in solitudine poetica per scacciare gli spiriti maligni della facilità – deve imporsi e urlare per scacciare desideri e tentazioni di facilità della scrittura, deve fuggire dalla scrittura semplice: qui Lorca non si riferisce ad aspetti meramente stilistici di complessità del linguaggio, ma alla ricchezza di costruzione delle immagini che il poeta deve perseguire – Nessuno è più preparato di Góngora per questa caccia interiore. La metafora è sempre governata dalla vista (a volte da una vista sublimata), ma è la vista che lo rende limitato e gli dà la sua realtà – bisogna vedere, anche solo idealmente, quello che si sta rappresentando, la vista domina la costruzione metaforica – La metafora unisce due mondi antagonisti attraverso un salto equestre compiuto dall'immaginazione – infatti, essa è unione fra due realtà o due elementi che non sono simili tra loro ma che hanno un punto di contatto grazie alla capacità umana dell’immaginazione – La grandezza di una poesia non dipende dalla grandezza del suo soggetto, né dalle sue proporzioni o dai suoi sentimenti. Una poesia può essere fatta epopea dell'avvincente lotta dei leucociti nei rami imprigionati nell’insieme di vene, e si può dare un'impressione di infinito con la sola forma e il profumo di una rosa – non è importante il tema di una poesia, la grandezza di questa dipende da come il poeta riesce a manovrare e gestire la sua immaginazione – ‘’’’  in questo frammento (1) vi è una concezione della poesia e della scrittura come di qualcosa che richiede anche una tecnica e organizzazione razionale dei contenuti. Lorca sottolinea che non crede nella figura del poeta invasato che è quasi posseduto dall’ispirazione e scrive di getto e riceve e consegna al suo pubblico un testo, il poeta ha un’ispirazione ma dopo averla vissuta deve far riposare le immagini e trasformarle grazie alla tecnica in parole ed espressioni che veicolino quell’ispirazione. (1): ‘’Nemico del mistero, assetato di aguzzi spigoli dove si ferisce le mani, Góngora è tornato dalla battuta di caccia pieno di polvere stellare e si è burlato e ha sfruttato tutti gli incantesimi magici del bosco notturno e la luna di musica’’  Góngora assetato di spigoli che feriscono e lui si è ferito; questa esperienza interiore gli ha dato la possibilità di cogliere il senso dell’universo, la polvere stellare è qualcosa di lontano e recondito, ha conosciuto i segreti più profondi dell’esistenza e ha sfruttato gli incantesimi magici del bosco; è riuscito a trarre il massimo profitto dalla battuta. ‘’Dice il poeta francese Paul Valery che lo stato di ispirazione non è lo stato conveniente per scrivere un poema. Dato che credo nell’ispirazione che Dio ci manda, credo che Valery sia sulla strada giusta. Lo stato di ispirazione è uno stato di raccoglimento, ma non di dinamismo creatore – lo stato di ispirazione consiste con un raccoglimento, astrazione e concentrazione su sé stessi ma non consente la creazione poetica - La visione e il concetto devono riposare in modo che possano essere da classificare. Non credo che nessun artista lavori in uno stato di febbre. – concetto di poeta invasato che scrive di getto, nozione tipica dei romantici – Si torna dall’spirazione come si torna da un paese straniero, la poesia è la narrazione del viaggio. L’ispirazione dà l’immagine ma non il vestito – metafora del vestito. L’immagine nasce dall’ispirazione, è contenuta in essa ma non dà il vestito, che è la forma esteriore del testo, e un testo poetico si costruisce con le parole – E per vestirlo, bisogna osservare la qualità e la sonorità della parola – concetto cruciale: alla base del testo poetico vi sono qualità e sonorità delle parole, come queste si combinano fra di loro e come suonano, che catene foniche formano attraverso la loro combinazione. – Gli scontri di consonanti – allude sia alla qualità delle parole e alla loro consistenza significante ma anche alle rime – plasmano i suoi versi come piccole statue, e la sua preoccupazione architettonica li unisce in splendide proporzioni barocche – Góngora aveva una grande preoccupazione per la struttura dei poemi: usava molto le rime consonanti e aveva ben presente l’architettura testuale –. E non cerca l'oscurità – nonostante sia stato criticato e giudicato come un poeta oscuro, enigmatico e criptico, amante dello stile difficile – È necessario deve essere ripetuto. Rifugge dalle espressioni facili, non per amore del colto, non per odio nei confronti del volgo, ma per una preoccupazione nei confronti dell'impalcatura che rende il lavoro resistente al tempo – ciò che spinge Góngora a questo esperimento è stata appunto una preoccupazione di complessità architettonica che doveva rendere l’opera resistente al tempo –. Da una preoccupazione per l'eternità – desiderio di perpetuare la propria creazione nel tempo grazie alla ricerca di una architettura complessa, studiata, non banale. – ALTRA CONFERENZA: Imaginación, inspiración, evasión. Lorca torna sulla questione dell’ispirazione e capacità immaginativa del poeta e torna anche sul concetto di metafora, la sua poesia è altamente metaforica. ‘’Per me l'immaginazione è sinonimo di attitudine alla scoperta – l’immaginazione è quasi ansia di scoperta, propensione verso essa – Immaginare, scoprire, portare la nostra piccola parte di luce nella penombra vivente dove esistono tutte le infinite possibilità, forme e numeri – l’immaginazione è gettare un po’ di luce in quella penombra viva e vitale, feconda, dove esistono tutte le possibilità – L'immaginazione fissa e dà vita chiara a frammenti della realtà invisibile in cui l'uomo si muove – grazie alla immaginazione l’uomo riesce a dar vita dei frammenti misteriosi di realtà, frammenti non immediatamente chiari all’essere umano. È una capacità conoscitiva e gnoseologica – Figlia diretta dell'immaginazione è la "metafora", talvolta nata dal colpo rapido dell'intuizione, illuminata dalla lenta angoscia del presentimento – presentire è la capacità di conoscere prima e oltre ciò che si percepisce sia a livello sensoriale che razionale. La metafora è la figura retorica prediletta di Lorca – Ma l'immaginazione è limitata dalla realtà; non si può immaginare ciò che non esiste. Ha bisogno di oggetti, paesaggi, numeri, pianeti, e si rendono necessarie le relazioni tra di essi all'interno della logica più pura – si ricollega a ciò che aveva detto a proposito del senso della vista come senso principale per costruire una metafora, che deve essere retta necessariamente dalla vista, che può essere anche solo ideale – Non può fare un salto nell'abisso o fare a meno dei termini reali – il poeta è un essere umano che guarda il mondo ed è in grado di riprodurlo, di riprodurre le analogie e fatti che vanno oltre il mondo sensoriale – L'immaginazione ha degli orizzonti, vuole disegnare e concretizzare tutto ciò che comprende – l’immaginazione poetica non è astratta, si basa sull’esperienza – L'immaginazione poetica viaggia e trasforma le cose, dà loro il significato più puro e definisce relazioni insospettabili; ma opera sempre su fatti della realtà più chiara e precisa. È all'interno della nostra logica umana, controllata dalla ragione, dalla quale non può essere staccata – l’immaginazione opera su fatti della realtà, è qualcosa di fondato saldamente sulla realtà, su ciò che regge le leggi naturali, sta all’interno della nostra logica umana, dalla quale non può allontanarsi. È razionale e controllata, ha bisogno dell’ordine logico e del limite fisico – Il suo modo speciale di creare ha bisogno di ordine e di limiti. L'immaginazione è colei che ha creato i quattro punti cardinali, che ha le cause intermedie delle cose; ma non è mai stata in grado di lasciare le mani nelle braci senza logica e senza senso in cui si muove l'"ispirazione", libera e senza catene – l’ispirazione è il contrario dell’immaginazione, è libera e senza limiti. L’ immaginazione poetica non può abbandonarsi alla mera ispirazione, non ne è capace – […] È difficile per un poeta puramente immaginativo (chiamiamolo così) produrre emozioni intense con la sua poesia. [....] Un'emozione poetica, vergine, incontrollata, priva di pareti, poesia rotonda con le sue nuove leggi appena create per lei, certamente no – sebbene l’immaginazione poetica sia fondamentale ci vuole anche ispirazione. Poeti che scrivono solo grazie all’immaginazione ma non possiedono l’ispirazione non riescono a emozionare – L'immaginazione è povera, e l'immaginazione poetica lo è ancora di più. La realtà visibile, i fatti del mondo e del corpo umano sono molto più sfumati, più poetici di quello che scopre – l’immaginazione poetica ha limiti ed è una funzione umana, retta dalla ragione, è molto più povera dell’immaginazione semplice, quindi la realtà vera, che ci circonda, è molto più poetica dell’immaginazione poetica – Così come l'immaginazione poetica ha una logica umana, l'ispirazione poetica ha una logica poetica – può sfuggire alla logica umana – La tecnica acquisita non serve a nulla, non c'è un postulato estetico su cui basarsi. E come l'immaginazione è una scoperta, così l'ispirazione è un dono, un dono ineffabile [...] – l’ispirazione non la possiedono tutti, l’immaginazione è una caratteristica degli esseri umani – Questa evasione poetica può essere fatta in molti modi. Il surrealismo utilizza il sogno e la sua logica per evadere. Nel mondo dei sogni, il mondo molto reale dei sogni, si trovano indubbiamente norme poetiche di una vera emozione – si riferisce alle caratteristiche di certi testi surrealisti, si trovano senza dubbio. di vera emozione. Ma questa evasione per mezzo del sogno o del subconscio, pur essendo molto pura, non è molto diafana (chiara) – tutto ciò che rimane poco chiaro e sfugge alla comprensione il poeta non lo apprezza – I latini vogliono profili e mistero visibile – quasi ossimoro, mistero è qualcosa di invisibile. Per Lorca un mistero visibile possiede elementi di difficoltà ma può sempre essere sviscerato e compreso. Qualcosa di nascosto che si offre alla comprensione – Forma (si riferisce al profilo) e sensualità [...] La sua concezione di poesia: Questo è il mio attuale punto di vista sulla poesia che coltivo. Attuale, perché è di oggi. Non so cosa penserò domani. Come autentico poeta che sono e sarò fino alla mia morte, non smetterò di percuotermi con le mie discipline – rappresentano tutti i saperi – in attesa del flusso di sangue verde o giallo che necessariamente e per fede il mio corpo un giorno dovrà emettere – metafora con Si conclude col ritornello: il poeta vuole dire che questo cavaliere sa di dover morire, si sta dirigendo verso la sua città ma sa che non ci arriverà, compie il percorso attraverso una pianura e di notte ma non si sa perché muore, se è ferito, se morirà dissanguato oppure qualcuno lo aspetta per ucciderlo. Il lettore può fare ipotesi che non saranno mai definitive, l’atmosfera è enigmatica e misteriosa. L’assonanza o-a nelle strofe è solo nei versi pari. 42) Temi e stilemi di Romancero gitano di Federico García Lorca. Romancero gitano (1928), pubblicato sulla Revista de Occidente, segna il successo popolare di Lorca. Nella raccolta decide di approfondire e sviluppare il tema dei gitani, rimanendo sempre accorto a difendere la sua natura di tema colto. Lorca non riprende solo l’espediente metrico dei romances ma riproduce un genere: con Romancero gitano ricrea questo genere lirico narrativo nato nel medioevo, cercando di riprodurre le stesse caratteristiche stilistiche dei romances medievali  come l’inizio in medias res, senza spiegazioni preliminari; l’alternanza di sezioni narrative e dialogate, le interazioni fra personaggi introdotti nel testo che dialogano tra di loro; l’alternanza dei tempi verbali, l’uso non canonico della consecutio temporum (passaggio da presente a passato che crea uno straniamento nel lettore); quella più importante è che il romance ha una struttura narrativa, racconta una storia, presenta una o più azioni ma ha una forte componente lirica, data dall’io che esprime il proprio sentire, magari descrive semplicemente una scena o un paesaggio ma c’è una dimensione personale che non è la asettica dimensione di un narratore esterno che assiste a una scena, la presenta ma non ne fa parte. Compie un’operazione stilistica complessa perché fa dei gitani il tema della sua poesia anche se lui non lo è. Illustra la complessità del mondo gitano colto alla radice del suo dolore e del suo mistero. Il Romancero è composto da otto liriche che inizialmente vengono pubblicate separatamente e poi riunite in questo progetto. Presenta quattro nuclei tematici: • Il mondo umano in cui i gitani lottano contro la Guardia Civil, espressione di ordine e legalità; • Il mondo celeste rappresentato dall’iconografia religiosa; • L’universo magico delle forze oscure; • Realtà storico-letteraria. I gitani sono creature primitive, innocenti e non corrotte, rappresentano tutto ciò che è vero. Anche se vivono di contrabbando hanno solidarietà da parte di Lorca che ne apprezza la cultura. Lorca mostra di avere simpatia per chi vive al margine della società e a stretto contatto con la natura, alla quale i gitani finiscono per attribuire valori magici. Intorno al tema dei gitani ci sono anche la morte e l’amore che non possono essere scissi, restano uniti come due facce della stessa moneta. Il Romancero è caratterizzato dall’uso del verso tradizionale spagnolo, il romance, e dall’invenzione di metafore audaci. Questo progetto fa parte dell’arte neo-popolarista, una nuova tendenza culturale che interessa musica, pittura e letteratura, vuole riscoprire le radici folkloriche. Affermata nella fine Ottocento inizio Novecento: dal punto di vista poetico è una trasfigurazione di un mondo primitivo e folklorico da cui si intende partire per parlare di valori, principi e aspetti universali dell’esistenza, lontano dal costumbrismo romantico, ma più esistenzialismo, parte da una realtà concreta per suggerire grandi astrazioni. Il successo dell’opera causa in Lorca una crisi letteraria ed esistenziale perché il pubblico ne comprende solo la parte esteriore. In realtà, il mondo gitano viene usato come pretesto per cantare e rappresentare una realtà universale, per indagare i grandi dilemmi della vita. Questo aspetto non viene colto neanche da alcuni suoi colleghi della Generazione del ’27, come Dalì e Bunuel, che disprezzano apertamente la sua opera. Conferencia-recital del Romancero gitano: era solito di concedere conferenze durante le quali recitava i suoi componimenti e li spiegava, ma non era molto amante delle spiegazioni, i poeti affidano i testi al pubblico; dare al pubblico una spiegazione univoca di quello che scrivono non è mai un’operazione corretta e legittima, è il pubblico che deve dare anche nuove interpretazioni. Ci sono metafore, stilemi ricorrenti ma la vocazione di Lorca è stata sempre quella di creare immagini imperiture, nuove e svincolate da interpretazioni univoche. La bellezza della sua poesia consiste nel fatto che i suoi testi conservino la novità perché è stato in grado di plasmare nuove immagini, che andassero oltre il comune sentire. In questa conferenza parla in particolare di un verso, ‘’mil panderos de cristal herian la madrugada’’  dice ‘’se mi domandate perché dico ‘mille aquiloni di cristallo ferivano l’alba’ dirò loro che li ho visti in mani di angeli e di alberi, ma non saprò dire di più, né saprò spiegare il significato. Ed è bene che sia così. L’uomo si avvicina grazie alla poesia con più rapidità al filo in cui il filosofo e il matematico voltano le spalle in silenzio’’. Se i lettori gli chiedono cosa abbia voluto intendere con quei due versi che introducono questa metafora particolare, quella dell’alba, per descriverla usa la figura degli aquiloni di cristallo (richiama il colore brillante del bagliore), l’aquilone per il suo movimento veloce rappresenta le scie del bagliore, e il suo movimento è come se stesse ferendo il cielo dell’alba. Lui dice di averli visti tenuti da angeli e alberi, immagini antropomorfizzate e surreali. Il senso della poesia è ineffabile, non bisogna essere ossessionati di sviscerare il significato delle immagini, lo stesso poeta magari dopo un po’ non ricorda più il senso. L’uomo si avvicina attraverso la poesia con più rapidità a quello stadio del sapere oltre il quale non possono andare né il filosofo né il matematico, cioè le scienze esatte non possono spiegare dei fenomeni che la poesia (per la sua capacità di scoprire in modo fulmineo i segreti della vita) può fare. La poesia è forma di conoscenza, consente all’essere umano di conoscere oltre ciò che è tangibile, di andare oltre ciò che è percepibile con i sensi, classificabile da un punto di vista razionale. Maria Sambrano era allieva di un grande filosofo e pensatore, Ortega y Gasset; lei concepisce il concetto di razón poética, una ragione fatta di sentire profondo che consente all’uomo di andare oltre ciò che viene percepito e ciò che il razionalismo ha classificato, codificato, descritto ma oltre cui il razionale non può andare. Lorca riprende il concetto da lei. Lui attribuisce alla poesia il potere conoscitivo, una forza gnoseologica che le scienze esatte non possiedono. CONFERENZA ROMANCERO GITANO: captatio benevolentiae  si presenta al pubblico dicendo che non è un poeta che si è fatto notare ansioso, ma un amico. Enorme faccia baffuta del diritto mercantile: metafora che rappresenta il disprezzo riguardo il diritto che il padre lo aveva costretto a studiare… manca un pezzo Cap ben: non vorrei annoiarvi ma so che è tipico delle conferenze – metafore ironiche per dire che servono per dormire. Colui che fa la conferenza parla di ciò che sa senza sforzarsi troppo e con assenza di volontà e amore che dà origine a quell’odio profondo che si prende momentaneamente verso di lui e fa sì che il pubblico desideri con ansia andare via. Per evitare di annoiare il pubblico, Lorca vuole parlare di temi che non ha mai studiato, che nessuno gli ha insegnato, di ciò che è sostanza e magia pura, ossia la poesia. Importante questo passo: ho scelto da leggere con piccoli commenti il Romancero gitano, non solo perché è la mia opera più popolare (famosa e conosciuta) ma perché è quella che finora possiede maggiore unità – insiste sul concetto di unità, soprattutto in una lettera a Jorge Guillén – ed è l’opera in cui il mio volto poetico – metafora – appare per la prima volta con una personalità propria – traguardo importante perché in quella raccolta aveva raggiunto una sua identità poetica libera da influssi di altri autori, come Jiménez – vergine dal contatto con un altro poeta e definitivamente disegnato (volto poetico) – il suo volto poetico acquisisce una fisionomia completa e autonoma. Ciò che lo delude è l’interpretazione che il pubblico dà ai suoi testi. Non farò una critica del libro – non vuole causare noia – non dirò né studierò ciò che significa come forma di romance né mostrerò la meccanica delle sue immagini – aspetto importante nel suo atteggiamento nei confronti della poesia e del pubblico – né il grafico del suo sviluppo ritmico – non dirà il perché ha usato determinate parole – ma mostrerò le sue fonti e i primi abbozzi della mia concezione totale – ciò che spiega sono le fonti, quali sono gli spunti tematici dai quali parte per costruire i suoi testi, che sono però del tutto nuovi e originali, che superano le fonti per creare una costruzione poetica totalmente originale rispetto allo spunto. LEZIONE DEL 9 NOVEMBRE 2022 La raccolta del Romancero aveva avuto tanto successo, cinque ristampe in poco tempo, lavoro molto noto e conosciuto. Lorca sentì il bisogno di spiegare come era nato quel libro, da quali impulsi e propositi era derivata la costruzione della raccolta. Nella conferenza, dopo un’introduzione retorica, entra nella spiegazione di ciò che è Romancero gitano. Il libro nel suo insieme, anche se si chiama gitano, è il poema dell’Andalusia, non si possono identificare in modo netto i due mondi, ma l’elemento gitano è la cosa più elevata, profonda e aristocratica del suo paese. Sono una minoranza ma lui li considera come elementi più rappresentativi del suo modo di essere e ciò che costituisce il sangue, la brace e l’alfabeto dell’Andalusia – sono delle metafore, alfabeto rappresenta verità assoluta. Andalusa: locale; universal: concetto di universalità importante, voleva che il pubblico lo percepisse. L’opera va oltre, parte da una realtà locale per trasfigurarla e trasformarla in un mondo poetico universale. Punto cruciale della presentazione: davanti al pubblico che in parte conosceva l’opera e ne apprezzava certe caratteristiche vuole specificare che non vuole descrivere il mondo andaluso. Il libro è un relittico? dell’Andalusia  metafora che rappresenta una descrizione dell’Andalusia con gitani, cavalli, arcangeli, altre descrizioni. È un libro dove appena espressa l’Andalusia che si vede, quella più visibile, ma dove sta tremando quella che non si vede: c’è un complesso di elementi che appaiono nei romances in cui è nascosta l’Andalusa non immediatamente visibile. E ora lo dirò – sembra rivolgersi a quelli che hanno letto male il suo libro – è un libro anti pittoresco, anti folklorico, anti flamenco, dove non c’è alcuna giacca corta… un solo personaggio, la Pena, che si introduce nel midollo delle ossa e nella linfa degli alberi. E che non ha nulla a che vedere con la malinconia, né con la nostalgia né con qualsiasi altra afflizione dell’animo, che è un sentimento più celeste che terrestre. Pena andalusa che è una lotta amorosa con un mistero che la circonda e non può comprendere. – Lui non ha voluto rappresentare con interesse folklorico il mondo andaluso e gitano. È una poesia libera dagli oggetti costumbristi: abiti di toreri, tamburi ecc. esiste invece un solo importante personaggio, la Pena nera, che aleggia in tutta la raccolta e la descrive come un qualcosa che pervade tutta la realtà vivente andalusa, anche la natura ne è avvolta. La Pena nera non è un sentimento che si può definire: non è tristezza o nostalgia, è un sentimento celeste, prova a definirla nell’ultima frase  lotta dell’intelligenza Atteggiamento dell’essere umano, volontà di comprensione che è affettiva perché si comprende quando si accoglie l’altro. Questa volontà di intelligenza si scontra con la difficoltà di sviscerare e comprendere il mistero della realtà. La pena nasce dall’incapacità di dominare la realtà e di comprenderla. Siamo tutti vittime di un fato che costringe ad accettare gli eventi. Tema ricorrente nella sua poesia insieme al presagio di morte. Un fatto poetico come uno criminale o giuridico sono tali quando vivono nel mondo e sono portati/interpretati – un fatto poetico va interpretato e ciascuno lo fa a suo modo – per questo non mi lamento per la falsa visione andalusa che si ha di questo poema a La luna è un elemento astrale, oggetto di trasfigurazione mitica nella tradizione occidentale: nel mito di Endimione, pastore di cui la luna si era innamorata, lui era condannato da Atena a dormire profondamente ogni notte, e la luna, Selene, ogni notte andava da lui e poteva solo baciarlo mentre dormiva. Lorca non intende riprodurre né trasfigurare questo mito, ma lo colloca sullo sfondo di questo componimento. La luna è antropomorfizzata, assume le fattezze di una donna sensuale che è in grado di sedurre ed Endimione diventa il bambino che instaura un dialogo con lei. Il bambino ne è attratto e ha un atteggiamento protettivo nei suoi confronti, le dice di non farsi trovare dai gitani che potrebbero catturarla; tuttavia, sin dal primo momento, la luna annuncia il triste epilogo perché dichiara di non essere preoccupata dei gitani, in quanto quando arriveranno troveranno il bambino con gli occhi chiusi, che anche se non alludono esplicitamente alla morte la sottintendono. Il bambino ricompare nel cielo mentre i gitani piangono. È presente un nucleo narrativo, anche se sfumato e misterioso. La luna dialoga col bambino e a un certo punto lo uccide. Aneddota viene definita da Lorca. Struttura: due sequenze narrative, la prima dal verso 1 al verso 8, la seconda dal 21 al 36. Al centro c’è invece una sequenza dialogica, in cui ci sono battute tra la luna e il bambino. Lo schema è rigoroso, la costruzione ponderata. Non c’è soluzione di continuità, non ci sono segni tipografici che rivelano interventi dei personaggi, si intuisce grazie ai verbi, agli aggettivi e ai pronomi personali  tipico dei romances medievali. Prima sequenza narrativa: – La luna venne alla fucina – luogo in cui si lavorano i metalli, primo elemento che introduce il mondo gitano, loro tipica attività di lavorazione. Essendo luogo frequentato dal gitano è luogo in cui incontra il bambino. Già l’apertura del testo, che indica la venuta della luna, indica la surrealtà che caratterizza l’intero componimento – con la sua gonna di nardi – in realtà il polison è qualcosa di molto preciso, un’imbottitura di crine e molle di acciaio che serviva per alzare le gonne delle donne, per sineddoche possiamo interpretarlo come gonna ma indica un oggetto che stava sotto la gonna. Nardi è una metafora, i nardi sono fiori bianchi, quindi la gonna era di colore bianco (la luna infatti è bianca) – il bimbo la guarda guarda – epanalessi, rievoca il linguaggio infantile delle ninne nanne – il bambino la sta guardando – la luna ha caratteristiche non realistiche, in più anafora di questi due versi – nell’aria mossa/agitata – allude a un movimento di aria – muove la luna le sue braccia e mostra lubrica e pura i suoi seni di duro stagno – ci si rende conto che la luna è rappresentata come una figura femminile, muove le braccia come una ballerina andalusa, il ballo flamenco è improntato sul movimento delle braccia; coppia di aggettivi antinomici, lubrica (sensuale) opposto di pura, la luna incarna in sé questa ambivalenza in quanto figura femminile, un’ambivalenza che governa tutto il testo: esso è infatti caratterizzato dalla contrapposizione tra luce e tenebre, vita e morte, purezza e sensualità. Mostra anche i seni di duro stagno, metallo povero che nell’immaginario lorchiano è simbolo di morte, di qualcosa di nefasto. Viene rappresentata come qualcosa di inquietante, introduce un presagio di morte. La prima sequenza presenta i due personaggi. Il bambino viene descritto solo mentre la osserva. Sequenza dialogica: dal verso nove inizia il dialogo tra i due, il primo a parlare è il bambino. – Fuggi luna luna luna – il bambino assorbe lo stile delle ninne nanne infantili e attraverso questa enfasi si capisce la concitazione del bimbo che cerca di convincerla ad andare via – se venissero i gitani, farebbero con il tuo cuore collane e anelli bianchi – la esorta ad allontanarsi perché i gitani, abili artigiani e forgiatori di metalli, la ucciderebbero e farebbero col suo cuore collane e anelli bianchi, ricompare il cromatismo del bianco, anche il suo cuore lo è. Elementi concreti che introducono la presenza dei metalli, continua la presenza dell’elemento nefasto legato ai metalli – Lasciami ballare bambino, quando arriveranno i gitani ti troveranno sull’incudine con gli occhietti chiusi – qui si intuisce che la luna non vuole farsi intimorire dal bambino, è sicura di sé e del suo potere di imporsi sul mondo terrestre; annuncia la morte del bambino – Fuggi luna luna luna – continua a volerla proteggere – che sento già i loro cavalli. Bambino lasciami, non calpestare il mio biancore inamidato – prodotto che si usa per stirare gli abiti bianchi ma anche per dar loro un colorito bianco più intenso. La luna cerca di mantenersi a distanza rispetto a ciò che il bambino rappresenta, il mondo terrestre. Contrapposizione tra mondo terreno e mondo celeste, lei non vuole essere contaminata dal mondo degli umani. Seconda sequenza narrativa: la voce esterna descrive ciò che avviene. – Il cavaliere (metonimia, il singolare sta per il plurale) si avvicinava toccando il tamburo della pianura – metafora, il tamburo è uno strumento a percussione e i gitani, cavalcando, riproducono lo stesso suono. Si realizza il presagio della luna – All’interno della fucina il bambino ha gli occhi chiusi. Attraverso l’uliveto arrivavano, bronzo e sogno, i gitani – l’uliveto si oppone all’astralità della luna, esso esprime il destino terrestre dell’essere umano, i gitani lo attraversano e sono descritti come bronzo e sogno  il bronzo è legato al presagio di morte ma allude anche al colore olivastro della loro pelle e forse anche alla materia con si costruiscono le armi. Attraverso queste due metafore Lorca rappresenta i gitani come coraggiosi perché affrontano il maleficio della luna; d’altro canto, introducendo la metafora del sogno sono rappresentati come fragili perché cedono al sonno, perdono il controllo delle proprie azioni. Negli altri due versi continua la rappresentazione ambivalente dei gitani – Le teste dritte e gli occhi socchiusi – contrasto tra atteggiamento vigile del cavaliere con la testa dritta che cavalca ma gli occhi un po’ socchiusi che stanno per cedere al sonno – come canta la zumaia, ah come canta sull’albero …. – uccello rapace della notte. Questo avviene sulla terra – In cielo la luna cammina tenendo il bambino per mano – lo ha preso con sé, lui non esiste più, è adesso accompagnatore della luna, rappresentata come psicopompa, portatrice di anime. Vengono rappresentati due mondi contrapposti. Ultima quartina: – All’interno della forgia piangono emettendo grida i gitani – lo hanno trovato morto sull’incudine e piangono. – l’aria la veglia, veglia. L’aria la sta vegliando – non si capisce inizialmente su cosa stia vegliando. Lorca è volutamente misterioso, emblematico nell’utilizzo di questi versi. Non sono suoi versi, come spesso accade: li riprende da una ninna nanna gitana che aveva un verso preliminare  tengo una chofa (capanna) en el campo. El aire la vela vela. Estrapola i versi dalla ninna nanna e li ricontestualizza in questo componimento: questo genera una forma di straniamento e mistero, elemento a cui punta sempre quando scrive, costringe il lettore a sforzarsi di dare interpretazione. Probabilmente questo la si riferisce alla fragua: l’ambiente esterno fa da spettatore al dramma, magari l’aria, quasi antropomorfizzata, sta vegliando il luogo in cui il bimbo è morto. LEZIONE DEL 15 NOVEMBRE 2022 Romance sonámbulo: presenta una difficoltà interpretativa già nel titolo. Durante la conferenza presenta il testo: uno dei più misteriosi del libro, interpretato da molta gente come un romance che esprime l’ansia di Granada per il mare (città dell’entroterra, lontana dal mare; ansia e desiderio per il mare); l’angoscia di una città che non sente le onde e le cerca nei suoi giochi di acqua sotterranea e nelle nebbie ondulate con cui copre i suoi monti – fonti sotterranee, le molte terme che ci sono a Granada per via della cultura musulmana; quest’ansia delle onde la gente la cerca nelle nebbie ondulate (metafora che allude alle creste delle montagne e agli stati di nebbia che le accolgono) – va bene, però c’è anche dell’altro: è un fatto poetico puro del fondo andaluso, e avrà sempre luci cangianti – metafora che rappresenta il tessuto poetico eclettico e mutevole che caratterizza soprattutto la sua poesia – anche per l’uomo che lo ha creato, che sono io – un poeta non ha mai le stesse sensazioni e percezioni, non interpreta mai allo stesso modo un fatto poetico – se mi domandate perché dico mille aquiloni di cristallo ferivano l’alba… – citazione già spiegata, parla della differenza tra poeta e filosofi e matematici. Il poeta è un pensatore che riesce ad andare oltre ciò che si vede. In seguito, sempre nella conferenza, legge il Romance sonámbulo. TESTO Verde que te quiero verde. Verde viento. Verdes ramas. El barco sobre la mar y el caballo en la montaña. Con la sombra en la cintura ella sueña en su baranda, verde carne, pelo verde, con ojos de fría plata. Verde que te quiero verde. Bajo la luna gitana, las cosas la están mirando y ella no puede mirarlas. * Verde que te quiro verde. Grandes estrellas de escarcha, vienen con el pez de sombra que abre el camino del alba. La higuera frota su viento con la lija de sus ramas, y el monte, gato garduño, eriza sus pitas agrias. ¿Pero quién vendrá? ¿Y por dónde...? Ella sigue en su baranda, verde carne, pelo verde, soñando en la mar amarga. * Compadre, quiero cambiar mi caballo por su casa, mi montura por su espejo, mi cuchillo por su manta. Compadre, vengo sangrando, desde los montes de Cabra. Si yo pudiera, mocito, ese trato se cerraba. Pero yo ya no soy yo, ni mi casa es ya mi casa. Compadre, quiero morir decentemente en mi cama. De acero, si puede ser, con las sábanas de holanda. ¿No ves la herida que tengo desde el pecho a la garganta? Trescientas rosas morenas lleva tu pechera blanca. Tu sangre rezuma y huele alrededor de tu faja. Seconda sequenza Ritorna il verso come una sorta di ritornello anche all’inizio della seconda sequenza, in cui il poeta descrive, com’è solito fare, il momento della giornata nel quale si sta svolgendo l’azione, introducendo una metafora complessa con la quale vuole rappresentare il momento dell’alba, momento in cui cominciano a vedersi le prime luci nell’oscurità. – Grandi stelle di brina vengono con il pesce di ombra che apre il cammino dell’alba – le stelle di brina possono indicare da un lato i punti luminosi del cielo, le stelle, che hanno la stessa lucentezza della brina che si deposita sul terreno; d’altra parte, si può interpretare come una comparazione fra il luccichio della brina che si deposita all’alba sul terreno con le stelle che brillano nel cielo, doppia corrispondenza che Lorca crea con questa immagine, mette in relazione il mondo celeste con quello terrestre: brina e stelle. Le stelle di brina rappresentano bagliori di luce, punti luminosi che vengono col pesce d’ombra che apre l’alba, altra metafora. Il pesce vive nell’acqua e difficilmente si prende con le mani, guizza per sua natura. Il pesce d’ombra è elemento di oscurità (assenza di luce). Vuole esprimere il contrasto tra luce e oscurità, tipico di quel preciso momento della giornata in cui si passa dal buio alle prime luci dell’alba, anche l’oscurità acquisisce un suo dinamismo perché si alterna alle luci. Come se l’oscurità acquisisse una sua vita, che è anticamera dell’alba. Metafora naturalistica che rappresenta l’alternarsi di luce e ombre durante l’alba. La scena che sta descrivendo avviene alla fine della notte, in seguito a un’attesa vana. Introduce successivamente anche una personificazione – il fico strofina il suo vento con la raspa dei suoi rami – questo fico viene antropomorfizzato, descritto nell’azione volontaria di strofinare il vento, ma in natura è il contrario: il vento scuote i rami; qui, l’albero acquista una vita antropomorfa per cui con la raspa dei suoi rami scuote il vento  metafora, i rami hanno la forma di una raspa che asporta qualcosa dalla superficie. Il fico diventa agente sul vento in un’azione dinamica. L’immagine vuole attribuire azioni e volontà e vita a elementi naturali che normalmente non hanno azione né volontà. – e la montagna, gatto selvatico – garduno si usa a Granada per indicare una lince, gatto selvatico che popola le sue terre, rappresentazione della montagna. Ci sono due procedimenti che Lorca mette in atto: la comparazione/metafora che vede il monte paragonato a un gatto selvatico; poi la metafora la spiega e si complica: gli sembra un gatto – che rizza le sue piante aspre – la schiena della montagna è paragonata alla schiena del gatto che rizza la schiena in posizione difensiva, la montagna è dotata di vegetazione, il gatto di pelo. L’elemento dell’asprezza è un altro elemento molto ricorrente nel testo. Successivamente, la voce poetica interviene con due domande che introducono il lettore nella situazione, nell’evento – ma chi verrà? E da dove? – qualcuno sta per arrivare, anticipa l’azione. La situazione in quell’ambiente vede la ragazza che continua a stare nella cisterna. Ripete il verso sette nella stessa sequenza, ribadisce la descrizione della fanciulla morta, aggiunge – sognando il mare amaro – sogna quel luogo amaro per lei e per tutto il mondo gitano perché è il luogo nel quale è cominciato quel cammino di avvicinamento alla morte che ha colpito il suo fidanzato. Campo semantico introdotto con l’aggettivo agrias. Tutto il contesto è avvolto in un’atmosfera di amarezza. Terza sequenza È scomparsa la voce esterna, si assiste a una sequenza dialogata, c’è un’apostrofe. I lettori possono dare risposta a quelle due domande introdotte in precedenza, nulla è esplicitato in modo chiaro ma si può intuire ciò che sta avvenendo: dialogo tra il fidanzato ferito a morte che arriva a casa del suocero e chiede aiuto e di poter morire decentemente in un letto ben arredato e decoroso; chiede anche di salire in quel luogo alto, la cisterna,  a Granada esiste un quartiere gitano, chiamato Sagro Monte, che confina con el Albaicin, dove c’è un belvedere e da cui si vede la lambra; vuole contemplare Granada per l’ultima volta, i parapetti rappresentano anche la cisterna nella quale è annegata la ragazza. – Compare, voglio cambiare il mio cavallo con la sua casa, la mia sella con il suo specchio, il mio coltello con la sua coperta – vuole spogliarsi delle sue cose: cavallo, sella, coltello per avere ospitalità, rinuncia a ciò che lo contraddistingue come gitano e contrabbandiere. – Compare, vengo sanguinando dai monti di Cabra – città dell’entroterra cordovese, famosa per il contrabbandismo; Lorca esplicita la dedizione del giovane a questa attività. È stato ferito violentemente. – Se potessi, ragazzino, questo accordo si chiudeva – uso dell’imperfetto anziché del condizionale, tipico del romance medievale. Si capisce che parla il suocero: se fosse dipeso da lui, lo avrebbe fatto senza problemi. Introduce un’avversativa – ma io non sono più io, né la mia casa è più la mia casa – non è più sé stesso perché è successa una cosa molto grave. – Compare, voglio morire decentemente nel mio letto. Di acciaio, se è possibile, con lenzuola di filo di olanda – rappresentano una biancheria molto pregiata – non vedi la ferita che ho dal petto alla gola? – ampiezza del taglio che aveva nel petto – Trecento rose scure porta la tua camicia bianca – iperbole che rappresenta le macchie di sangue, rosso intenso e scuro. – Il tuo sangue stilla e odora intorno alla tua fascia – fascia che veniva collocata intorno alla cintura. Il sangue continua ad uscire e si sente il suo odore. È consapevole che è ferito a morte, riconosce la sua condizione – ma io non sono più io, né la mia casa è ormai la mia casa – continua a insistere su un fatto che ha sconvolto la sua vita. – Lasciatemi salire almeno fino agli alti parapetti, lasciatemi salire almeno fino ai verdi parapetti – stavolta l’aggettivo verde è usato dal ragazzo – parapetti della luna da dove rimbomba l’acqua – parapetti così alti che raggiungono la luna, in cui c’è acqua stantia che al massimo può produrre un rimbombo, non è acqua viva. Si conclude il dialogo e torna la voce narrante. I due si spostano, il suocero accoglie la richiesta di portarlo ai parapetti. La voce narrante descrive – I due salgono ormai verso le alte ringhiere (il primo titolo del testo è presente) – forte allitterazione del fonema vocalico a – lasciando una scia di sangue, lasciando una scia di lacrime – sono quasi identici, cambia solo l’ultima parola, versi parallelistici, uno attribuito al ragazzo, l’altro al padre della fanciulla – tremavano sui tetti lucerne di latta – farolillos sono dei punti luce, elemento metallico della latta, rappresentazione del clima tragico. Rappresentano le stelle che nella notte hanno questo aspetto un po’ tremulo, quello della luce non ben definita, e sembrano tremare nel cielo come delle lanterne di latta – mille aquiloni di cristallo ferivano l’alba – descrizione naturalistica con la metafora. Gli aquiloni sono elementi guizzanti e il cristallo indica lucentezza. La metafora si complica col verbo ferire, che indica lacerazione dell’oscurità. Atto di ferire il cielo dell’alba come una prima entrata della luce nell’ultima parte della notte. Quarta sequenza In questa sequenza c’è una parte di narrazione e descrizione della voce lirica e una parte di dialogo fra i due personaggi, gli unici vivi del componimento. Il giovane chiede al suocero di salire verso la cisterna, sta per conoscere ciò che è accaduto. L’aggettivo largo attribuito al vento, non fa riferimento alla forma del vento ma alla sua durata, vento persistente – Il lungo vento lasciava nella bocca uno strano sapore di fiele, di menta e di basilico – Parallelismo, verbo tripartito. Tre elementi di colore verde: hanno uno strano sapore, un retrogusto amaro, sinestesia: si gioca sulla dimensione della vista (colore verde) e del gusto aspro. La menta (in spagnolo hierbabuena) è tradizionalmente simbolo di frustrazione amorosa, in questo contesto ha un significato spiccato  la fanciulla ha atteso il ritorno del suo amato. Sovrapposizione tra i sensi molto complessa: il vento come spostamento di aria implica anche il campo sensoriale del tatto, il vento si sente sulla pelle; anche l’olfatto è coinvolto, c’è l’evocazione di piante aromatiche. Il dialogo tra i due si apre con un’esclamazione che è anche apostrofe del giovane nei confronti del suocero che lo esorta a rispondergli e a dirgli dove si trova lei, vuole sapere dov’è la sua amata. È tornato anche per congedarsi da lei. – Dov’è la mia fanciulla amara – aggettivo riferito in precedenza al mare, qui è lui che lo attribuisce a lei – quante volte ti ha atteso – probabilmente non era la prima volta che lei attendeva invano il suo innamorato – quante volte ti aveva aspettato – forma arcaica del trapassato prossimo che colloca il lettore in una dimensione di fine dell’azione, adesso non può più aspettarlo. Si nota anche l’anafora significativa, quasi identità completa dei due versi: cambia solo la forma verbale, si può parlare di una riproduzione puntuale con una variazione lieve da poliptoto – volto fresco, neri capelli – variazione di termini che finora sono stati accompagnati dall’aggettivo verde, fa riferimento alla morte e alla putrefazione, qui fanno riferimento alla vitalità, il padre la ricorda quando era viva, aveva un volto fresco ed era nel pieno della saluta – in questa verde cisterna – Ultima sequenza: la prima immagine – sul volto della cisterna – prima volta che compare questo sostantivo al quale finora il poeta ha alluso sempre per sineddoche con barandas; compare el aljibe, vero luogo in cui si è consumata la tragedia – si dondolava la gitana – il volto ha una forma ovale e tonda, metafora usata spessa per indicare il pozzo, altro luogo per indicare acqua stantia. Il volto ‘ la superficie della cisterna che ha una forma rotonda. Su questo circolo, che metaforicamente diventa il volto, galleggiava inerte la gitana. Torna il verso che rappresenta lo stato mortale della fanciulla – carne verde, capelli verdi, con occhi di freddo argento. Un ghiacciolo gelato la sostiene sull’acqua – altra metafora che fa riferimento alla forma allungata della luna sull’acqua che continua in quanto elemento astrale e nefasto a osservare impassibile la tragedia consumata, così come tutto l’universo astrale. Questo riflesso della luna che sembra un pezzo di ghiaccio riflesso nell’acqua, la sostiene. Il riflesso immateriale sembra incarnare l’intervento nefasto della luna, che sta in alto nel cielo ma che sembra avere una protuberanza e sembra riesca a toccare la fanciulla, quasi a sostenerla sull’acqua – la notte divenne intima come una piccola piazza – come se la notte si concentrasse in quel piccolo luogo, el aljibe; siamo alla fine della notte. Forse è implicito il riferimento a tutto il resto che si stava illuminando, l’aurora si stava avvicinando ma non in quel luogo di tragedia. Nei versi successivi compaiono altre persone. In questo punto del testo, nell’ultimo elemento narrativo, Lorca dà un altro elemento della diegesi, dice che sono arrivate a Granada delle guardie civili che erano incaricate di arrestare il giovane contrabbandiere. Descritti in modo infamante, ubriachi. Lorca detestava l’alcolismo e sosteneva che ubriacarsi e perdere la lucidità rappresentava una forma di corruzione dell’essere umano. Usa l’aggettivo borracho per rappresentare un’umanità corrotta, viva, selvaggia e priva di cultura e autocontrollo. Lorca era un difensore degli emarginati e degli ultimi della società, aveva grande empatia per le etnie e le fasce sociali fortemente discriminate, oggetto di razzismo e maltrattamenti. La guardia civile rappresenta l’ordine costituito, la forza brutale che si oppone alla bellezza dei gitani e degli emarginati. Quando compaiono, compare l’umanità degradata, umanità vile, violenta e ipocrita – le guardie civili ubriache colpivano la porta – Ripetizione della quartina iniziale alla fine. Si capisce meglio il significato dei versi: verde è il colore che descrive la morte, la barca sul mare e il cavallo sulla montagna. Sembra che sanciscano il fatto che la storia di questi personaggi in fondo è la storia di tutto un popolo: anche dopo la morte della fanciulla, dopo che il giovane moribondo è stato informato dal suocero che lei si è suicidata, in fondo la barca continua a stare sul mare e il cavallo continua a percorrere la montagna e per metonimia hanno tutti lo stesso destino di morte. Questo testo cercalo su internet perché ci sono errori. Il verso verde que te quiero verde non è di Lorca ma è della tradizione andalusa, appartiene a una copla: verde que te quiero verde/ del color de la aceituna. Questo in un contesto di copla cantata ha un suo significato; nel contesto di questo romance è
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved