Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Esame di cinema italiano. Prof. Daniele Dottorini, Appunti di Teoria Del Cinema

Appunti e riassunti del libro “lessico del cinema italiano” lemmi: quotidiano, storia, tradizione e ultimi.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 22/08/2019

ludo.1997
ludo.1997 🇮🇹

4.7

(3)

2 documenti

1 / 11

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Esame di cinema italiano. Prof. Daniele Dottorini e più Appunti in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! Quotidiano • Tra gli anni 20 e gli anni 30, all’interno del cinema italiano si crea un dibattito che coincide con la situazione politica di quel periodo, quella del fascismo. Questo dibattito si crea tra coloro che credevano che la vita quotidiana dovesse esprimersi nella vita rurale, contadina, tendenza che si identifica sotto il nome di strapaese, che si scontra con coloro che invece pensavano che la vita quotidiana dovesse esprimersi nella dimensione moderna, urbanistica, tendenza che si identifica invece sotto il nome di stracittà. • Il quotidiano comunque è qualcosa che non va visto solo dal punto di vista collettivo, bensì va visto anche dal punto di vista individuale, ognuno di noi ha la propria quotidianità che non necessariamente deve coincidere con quella degli altri. Weber, un famoso sociologo, affermava che la vita quotidiana non è qualcosa di assoluto, ma è qualcosa che con il tempo può anche cambiare, e questa è un’idea che appartiene ad ognuno di noi. • Però il quotidiano, in un certo senso è anche un “sistema di sicurezza”, poichè il ripetere determinati rituali e gesti è qualcosa che ci definisce. Se noi non costruissimo la nostra quotidianità e ogni giorno facessimo sempre cose diverse, mai uguali, ci sentiremmo spaesati. • Dunque la quotidianità è qualcosa che ha a che fare con la ripetizione e l’innovazione. Poichè si prova piacere nel ripetere determinati gesti, ma si prova anche piacere quando si scoprono cose nuove. Questa ambivalenza è qualcosa che appartiene profondamente ad ognuno di noi. • In quegli anni i registi si sono comportati in modo diverso, infatti c’è stato chi ha guardato alla vita quotidiana dandogli una certa immagine, quella della modernità. Potremmo fare l’esempio del film Ritmi di stazione di Corrado D’Errico del 1933, all’interno del quale emerge una vita quotidiana nuova, tutto girato all’interno delle stazioni ferroviarie, vengono mostrate non solo le macchine ma anche i corpi a contatto con queste macchine. Emerge anche un sottofondo politico, infatti vi è un'inquadratura che mostra il segno del fascio su una locomotiva. • Questa tendenza alla modernità, si scontra con chi invece pensa che la vita quotidiana debba fare i conti con la propria tradizione di piccole comunità. Ciò avviene per esempio nel film Cainà di Gennaro Righelli del 1922. Film girato nell’entroterra sardo, in cui vengono mostrate tutti rituali e le tradizioni appartenenti a questa comunità, contro la quale si scontra però la protagonista. Questa è una tendenza appartenente al cinema italiano, cioè mostrare lo scontro tra l’individuo e la propria collettività, che il più delle volte è vista come un mondo- gabbia, soffocante. • Dunque da una parte si svilupperà questa visione di piccoli mondi, visti come gabbie, dall’altra verranno però valorizzati. Come avviene nel documentario di Vittorio De Seta Lu tempi di li pisci spata del 1954, dove viene valorizzato questo rituale, questa caccia al pesce spada con le spatare. Dal film emerge una sorta climax che va crescendo, all’interno della quale c’è una cosa particolare che fa il regista, infatti De Seta sta mostrando diverse barche, che però all’interno del montaggio sembrano una sola. • Se mettiamo a paragone i film Cainà e Lu tempu di li pisci spata emergono due idee contrapposte: 1. Il conflitto tra l’individuo e la collettività; 2. La valorizzazione di questi territori che appartengono profondamente alla cultura italiana e che rischiano di scomparire e di essere distrutti dalla modernità. • Queste idee contrapposte però possono trovarsi all’interno dello stesso film, come accade nel film Stromboli, terra di Dio di Rossellini del 1950, all’interno del quale vi è il conflitto tra l’individuo e la collettività, la protagonista che è completamente estranea a quella cultura; e la valorizzazione del rituale che appartiene profondamente a quel territorio, cioè la pesca del tonno. • Nel dopoguerra si assiste invece a un panorama nuovo del cinema italiano, nasce infatti il neorealismo, all’interno del quale il concetto di “quotidiano” assume un significato nuovo. Infatti nel panorama neorealista viene posta l’attenzione sui punti morti, su ciò che nel grande cinema classico sarebbe stato eliminato dal montaggio. Lo stesso Zavattini, uno degli sceneggiatori più importanti del cinema italiano di quel periodo, afferma che bisogna porre l’attenzione su quei momenti e quei punti che magari non dicono nulla sul film, ma dicono molto sul mondo. • Il cinema neorealista lavora su delle situazioni eccezionali, mostra un’Italia distrutta dalla guerra, all’interno della quale però ognuno costruisce la propria quotidianità. • Come accade ad esempio nel film inaugurale del neorealismo, Roma città aperta di Rossellini del 1945. Un film che viene girato in una situazione assolutamente improbabile, non vi sono infatti industrie cinematografiche. Ma l’obiettivo del regista è proprio quello di mostrare ciò che sta ai margini, ciò che sta sullo sfondo che è ciò che da intensità alla vita. • Anche nel film di Vittorio De Sica Umberto D. del 1951, vi è una sequenza quella che mostra il risveglio della ragazza che si presta a preparare la colazione, viene mostrato tutto, ogni gesto, il regista non taglia niente, anche se quei gesti non sono funzionali all'andamento del film. Mostra i gesti di una quotidianità accompagnati da una situazione eccezionale, che in questo caso è la situazione in cui la ragazza si trova. • Anche in uno degli episodi di Paisà, del 1946, precisamente il secondo episodio, viene costruita una quotidianità all’interno di un mondo di eccezione, all’interno del quale viene calato un personaggio che scappa, che scappa perché non riesce a sopportare l’orrore che si trova davanti. • L’obiettivo di Rossellini è proprio quello di mostrare questa eccezionalità all’interno della vita quotidiana, che è tutto fuorché qualcosa di bello e meraviglioso. Ciò che fa il neorealismo è andare a fondo e quindi mostrare anche l’eccedenza. • Anche nel film Ladri di biciclette sempre di Vittorio De Sica del 1948, vi è una sequenza straordinaria, quando viene mostrata la scaffaliera piena di pegni, che fa si che quella situazione, da individuale diventa collettiva, mostra che la situazione che sta vivendo il protagonista è una situazione che stanno vivendo tutti. Il permanere della macchina da presa di fronte alla finestrella dell’impiegato non è un errore, ma è un gesto volontario, poiché vuole mostrare la scena successiva e cioè che tutti stanno impegnando i propri averi. La scena finale, si conclude esattamente nello stesso modo del film Umberto D., il regista immerge infatti i personaggi nella folla quasi a dimostrare che quella è una delle tante storie possibili. • Inoltre nel 1939, nella rivista cinema viene pubblicato un articolo a firma di Antonioni, all’interno del quale il regista immagina un film dove il protagonista principale è un fiume, dove i personaggi vivono grazie ad esso. Il film uscirà solo nel 1947, con il titolo Gente del Po. Antonioni non sceglie di riprendere un set finto, ma sceglie di riprendere proprio quel fiume. Viene mostrato tutto ciò che ruota intorno a questo fiume, quotidianità che si ripetono, il fiume è il centro della vita per le persone che abitano lì. Il regista mostra un’Italia che fino a quel momento non era mai stata mostrata. • A costruire questo tipo di sguardo, hanno contribuito alcuni studiosi delle scienze sociali, tra cui Ernesto De Martino. Un antropologo che ha pensato l’antropologia non come lo studio di culture altre, ma come lo studio della propria cultura. Lui infatti ha rivolto il suo sguardo alla cultura italiana, in particolare a quella del sud d’Italia, mostrando gesti, comportamenti e rituali che appartengono profondamente alla vita quotidiana, mostrando soprattutto che la cultura italiana è tutto fuorché una monocultura. • All’interno del libro, Marabello cita infatti un saggio scritto da De Martino, in cui lui vuole far capire l’importanza della quotidianità per ognuno di noi, e che in un certo senso ci permette di costruire il nostro equilibrio. Infatti all’interno del brano vengono raccontate due culture diverse, ci sono gli antropologi che sono abituati a viaggiare e conoscere culture diverse, questi antropologi incontrano questo pastore che ha come punto di riferimento il campanile della chiesa. De Martino racconta che nel momento in cui il pastore viene portato talmente fuori da non vedere quel punto di riferimento che corrisponde alle coordinate della sua esistenza, si sente spaesato. • A tal proposito ci sono stati alcuni registi che hanno assorbito la lezione demartiniana. Come la regista Cecilia Mangini che realizza un film con la collaborazione di Pasolini, La canta delle marane del 1961, che viene ambientato nelle periferie di Roma. Da una parte viene raccontato questo sottomondo che appartiene alla cultura urbana, questi ragazzi che giocano alle periferie di Roma, e dall'altra emerge lo sguardo propriamente demartiniano cioè un cinema che cerca di raccontare le pratiche di vita di queste zone rurali. • Dunque da una parte vi la dimensione della ricerca della realtà da parte di Blasetti, dall’altra parte invece il personaggio storico diventa un modello di rilettura del presente, infatti l’equivalenza tra Scipione e Mussolini è molto evidente. • Il fascismo riprende la dimensione della storia come rilettura del presente, ed è evidente in alcuni registi che seguono le teorie del fascismo, il fatto che riprendono alcuni momenti della storia italiana per evidenziare un’identità, quasi come se la forma dello stato fascista fosse la concreta realizzazione del modello che nel passato ha fatto grande l’Italia, primo fra tutto l’impero romano. • Inoltre ci sono stati registi che si sono mossi verso uno sguardo documentaristico del regime, come ad esempio il film Camicia nera di Forzano del 1933, che può essere considerato una sorta di documentario didattico, che è stato realizzato per commemorare i 10 anni dalla marcia su Roma, ed è una rilettura di tutto quello che il fascismo ha fatto in quegli anni. • Tra i periodi storici c’è anche il risorgimento, uno degli aspetti che caratterizza questo periodo storico è sicuramente la centralità della politica, fatta però di sotterfugi, alleanze e in cui gioca un ruolo fondamentale l’abilità di dissimulare piuttosto che di dire la verità. Ad esempio il film La cena delle beffe di Blasetti del 1942, ambientato proprio nel risorgimento. All’interno del film vi sono inganni, finzioni, un gioco crudele che porta poi alla pazzia e alla morte dei personaggi. L’inizio del film ha a che fare con una certa rilettura che Blasetti fa del 500, dove ancora una volta il periodo storico diventa una sorta di rappresentazione del presente. Un altro che ha ambientato un suo film nel risorgimento è stato Visconti. Il film è Senso del 1954, dove vediamo all’opera una visione critica del risorgimento stesso. Infatti quest’epoca storica comincia a diventare il centro dell’analisi dell’Italia contemporanea, del punto di vista problematico. • In entrambi i film viene mostrato questo sipario che si apre e che ci permette di entrare nel gioco della finzioni teatrali. La differenza sta nel fatto che Blasetti fa entrare nello spazio e della finzione teatrale il gioco degli inganni, delle beffe, mentre Visconti esce dal teatro per entrare all’interno dello spazio della società, della politica, però raccontando un grande melodramma utilizzando le modalità del racconto della storia, perché infatti sta mettendo in scena un periodo storico ben preciso, cioè la fine dell’impero astro-ungarico. • Nel 1949 viene emulata la prima legge sul cinema a firma del sottosegretario dello spettacolo Giulio Andreotti, da una parte questa legge permette al cinema italiano di rinascere e di opporsi allo strapotere del cinema americano, dall’altra parte però permette lo sviluppo solo di un certo tipo di cinema, cioè quello commerciale. E questo tipo di cinema difficilmente ripenserà la storia. • Solo alla fine degli anni 50, inizio anni 60, all’interno della quale vi è un mutato scenario politico e l’avvio di una nuova generazione di registi, si sentirà il bisogno di raccontare quella storia assente dallo schermo. Però in quegli anni il discorso tra cinema e storia cambia, poichè c’è il tentativo di ripensare criticamente la storia, infatti viene pensato come elemento attraverso il quale capire il presente, anche crudelmente. • Nel 1959, infatti, al festival di Venezia, vincono il leone d’oro due film italiani, uno è La grande guerra di Mario Monicelli, l’altro è Il generale della rovere di Rossellini, entrambi raccontano due episodi centrali del novecento. Il primo è ambientato nella prima guerra mondiale e il secondo nella fase finale della seconda guerra mondiale, durante la resistenza. Entrambi i film vengono raccontati in modo particolare, infatti alcuni registi di quel periodo lavoreranno la commedia in modo completamente differente, cioè mostrando le mostruosità dei personaggi raccontati. Infatti il film La grande guerra introduce non solo il cambiamento del registro della commedia, ma anche un elemento importante dal punto di vista del rapporto cinema e storia, infatti emerge la dimensione del massacro senza senso, la dimensione delle scelte politiche che portano alla morte di tantissime persone, non solo soldati. • Dunque in quegli anni, rileggere la storia diventa un atto di critica del presente, critica che può avvenire anche attraverso un’alleanza, presente in Italia soprattutto in quegli anni, tra romanzo e cinema. Come ad esempio il film Il Gattopardo di Visconti del 1963, tratto dal romanzo di Tommaso di Lampedusa. In questo film emerge una visione fortemente critica della storia, non c’è un risorgimento eroico ed epico, ma al contrario, una visione fortemente Gramsciana. Visconti infatti quando gira questo film è come se lo facesse con gli occhiali gramsciani. Gramsci infatti è stato uno di quegli autori che ha letto il risorgimento come momento chiave della storia d’Italia però in senso critico. Il romanzo diventa anche il punto di partenza di un film di Pasolini, che gira un film intitolato La lunga notte del 43 tratto da una delle 5 storie del romanzo Cinque storie ferraresi. • Questa visione del cinema che rilegge criticamente la storia è che si avvale della letteratura come punto di partenza, non può non passare per il cinema di un grandissimo regista di quegli anni che è Bertolucci, con il film Il conformista tratto da un romanzo di Alberto Moravia. Questo film racconta questa storia in modo particolare, che già mostra la capacità di costruzione del cinema di Bertolucci, come si nota dalla costruzione dello spazio che riflette la freddezza dei perosonaggi. Un altro film di Bertolucci è Novecento, che racconta una prospettiva particolare del 900, quel secolo che per molti anni è stato invisibile nel cinema, e che adesso diventa l’ossessione di questo cinema, l’ossessione di riscoprire nella propria storia recente quello che l’Italia è diventata. • Nel corso del 900, c’è stato un lungo dibattito da parte di molti storici, infatti da una parte c’è un forte scetticismo nei confronti del cinema poichè non veniva considerato uno strumento in grado di creare un discorso sulla storia, dall’altra parte invece alcuni esponenti della scuola della “Nouvelle Histoire” cominciano a ripensare il concetto di storia come qualcosa di molto più ampio rispetto a quello tradizionale. 1. Una delle prospettive di questa scuola fu quella di ripensare la storia degli eventi, nel senso che deve essere ripensata attraverso un ibridazione con altre scienze. Dunque non raccontare soltanto le battaglie, i giochi politici e le trasformazioni generali che vengono dai documenti ufficiali, ma per esempio raccontare come si vive, come si mangia, che tipo di pratiche di vita si sviluppano in un determinato periodo. Questo perché per loro ogni traccia può essere considerata un documento, dunque anche un film. 2. Un’altra prospettiva fu quella di pensare il documento, anche come qualcosa di neutro, nel senso che un determinato documento è sempre il frutto di un determinato modo di pensare e organizzare il mondo. Dunque quello che lo storico deve fare e comprendere quella determinata interpretazione, il perché si fa in quel modo. • Questa impostazione inizia ad essere importante anche per alcuni registi italiani, in particolare Rossellini, che è stato un regista che ha sempre sperimentato e che non è rimasto imprigionato all’interno di un modello specifico. Lui infatti fa un lungo viaggio in India e decide di realizzare due film, uno per la televisione è uno sotto forma di documentario. Rossellini inoltre si rende conto che il suo programma l’India vista da Rossellini è stato visto da molte più persone rispetto al pubblico del cinema, così inizia a pensare un progetto in cui realizzare una serie di film e programmi che avrebbero costruito nel loro insieme una grande enciclopedia del sapere umano, cioè della storia. Il metodo di Rossellini fu quello di pensare la storia come concentrata intorno a delle grandi figure, come per esempio La presa del potere da parte di Luigi XIV, e il modo in cui lo racconta è profondamente influenzato dalla scuola degli Annales, infatti quei film risultano straordinari dal punto di vista di rituali e di gesti che appartengono alla quotidianità, in quel caso della corte francese del 600. • Con il film L’armata brancaleone di Mario Monicelli del 1966, si assiste a uno dei primi esempi di cinema italiano che si interessa ad un’epoca storica abbastanza assente della narrazione cinematografica italiana, cioè il medioevo. Monicelli torna ad interessarsene poichè sono gli anni in cui la stessa idea di medioevo cambia, prima di allora infatti è sempre stato considerato come un’epoca statica, dove non è presente alcuno sviluppo storico. In realtà però è un’epoca di profonde trasformazioni e innovazioni, infatti nascono le banche, le università. Questa nuova storiografia fa sì che ciò che per molto tempo era stato dimenticato, ritorna e anche il cinema italiano se ne rende conto, con Monicelli e altri registi, che vedranno nel medioevo il punto di origine della cultura e della civiltà italiana. Il registro utilizzato da Monicelli ha come obiettivo quello di raccontare un medioevo finzionale, però al tempo stesso ricco di riferimenti storici precisi, che vanno dall’abbigliamento, dalle forme di pensiero, alla modalità che caratterizza il territorio italiano nel passaggio dal 13 a 14 secolo. • Un autore che invece ha pensato la storia però dal punto di vista della trasfigurazione, per creare una sorta di sospensione tra passato e presente, è stato sicuramente Pasolini. Con il film Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975. Salò è una cittadina in provincia di Brescia che fu la sede del governo fascista dopo il ritorno di Mussolini nel 44, dopo la liberazione della prigionia del Gran Sasso. C’è un testo di riferimento che è le 120 giornate di Sodoma di De Sade, da cui Pasolini riprende la struttura geometrica. Il libro infatti si basa sul l’idea che 4 libertini del 700, tengano prigionieri 20 ragazzi e 20 ragazze, con l’aiuto di 4 mediatrici, e queste 120 giornate sono fatte di puro sfruttamento dal punto di vista sessuale. Pasolini riprende questa struttura, però il film è ambientato in un epoca storica particolare, cioè quella del 1944, ma al tempo stesso, poichè non si esce da questa villa, il film sembra avere una sorta sospensione storica. Inoltre, le 40 vittime, nel corso del film, finiscono per essere complici, dunque si annulla la distanza tra vittima e carnefice. Per Pasolini è questa la cosa terribile della società contemporanea, cioè il fatto che c’è un sistema di potere che assoggetta i corpi, però questi corpi non si ribellano ma si adeguano. Questo è un film geometrico nel senso che la freddezza e la lucidità con cui Pasolini racconta, attraverso la storia, la propria contemporaneità, è costruito attraverso i multipli di 4, le perfette inquadratura geometriche ed esempio, per lui sembrano stabilire l’idea di chiusura, il simmetrico e il pari per lui corrispondono alla chiusura. Questo perché nella dimensione della modernità, influenzata dal pensiero Cristiano, la parità è la perfezione, dunque la geometria, la simmetria, che però per Pasolini diventano chiusura, prigione. • Dunque Pasolini con questo film, rappresenta il rapporto tra cinema e storia, un’idea di storia come letteralmente sovraimpressa al presente. Ci troviamo a Salò nel 1944, ma siamo anche in Italia nel 75, allo stesso tempo non siamo in nessuno dei due luoghi poiché ci troviamo in questa villa sospesa nel tempo. • La corona di ferro, Alessandro Blasetti 1941 • Il mestiere delle armi, Olmi 2001 Tradizione • Solo a partire dall’età moderna, dal 700, il concetto di tradizione inizia a diventare qualcosa di significativo. Per l’illuminismo tutto ciò che è tradizione, tutto ciò che appartiene al passato deve essere messo in discussione, deve essere abbandonato, poichè per gli illuministi bisogna fondare la propria identità sull’innovazione e su un’aderenza al presente. Questa idea però viene messa in discussione verso la fine del 700, con la nascita del romanticismo, che vede invece nel passato e nella tradizione il punto di partenza su cui basare e costruire la propria identità. • Questa diatriba, comunque è vista in senso ideologico, ognuna di queste posizioni continua ad essere problematica, poichè ancora oggi non c’è una definizione netta di cosa significhi tradizione. • Questa è però una produzione minore rispetto ai film che venivano prodotti in quel periodo, cioè quello fascista, all’interno del quale venivano prodotti molti più film sotto il genere della commedia, che sembravano escludere la faccia più vera del paese. I film del periodo fascista però all’interno portano una contraddizione, poiché da una parte viene mostrato quel processo di modernizzazione e industrializzazione, mentre dall’altra parte veniva condivisa l’idea che solo nella vita povera potevano sopravvivere i valori di una tradizione. Come accade ad esempio nel film Rotaie di Mario Camerini del 1929. • Il compito del cinema del dopoguerra sarebbe stato quello di mostrare ciò che fino a quel momento non era mai stato mostrato, è ciò è stato fatto percorrendo due direzioni di realismo, da una parte un realismo drammatico e dall’altra un realismo fiabesco. Queste due linee di realismo vengono individuate dall’antropologo Ernesto De Martino, all’interno di un film di De Sica, cioè Miracolo a Milano del 1951. Dove il volo che i poveri protagonisti spiccano su scope magiche, alla fine del film, dimostra che gli ultimi possono trovare un luogo dove vivere bene insieme solo in una dimensione fantastica, dove dimenticare le proprie sventure e cominciare ad essere felici. • In quegli anni lo stesso realismo fiabesco, lo si può ritrovare all’interno di una coppia di film, entrambi interpretati da Giulietta Masina, che sono La strada di Fellini del 1958, e Fortunella sempre del 1958 di De Filippo. In quest’ultimo film Fortunella sembra la messa in scena di una meta-fiaba, che incrocia un reale dalla quale è impossibile fuggire • All’interno del lemma ultimi, può anche essere immessa la figura della prostituta. Infatti dopo l’approvazione di una legge che istituirà il reato di prostituzione e la messa al bando delle case chiuse, alcuni registi si sono mossi verso questa strada, come ad esempio ha fatto Pietrangeli, realizzando un film intitolato Adua e le compagne del 1960. Il film narra la storia di questo gruppo di prostitute che trovatesi senza un lavoro, decidono di aprire una trattoria alla periferia di Roma. Il caso vuole però che presto si troveranno ad essere sotto scacco di un uomo che vuole farle tornare a prostituirsi utilizzando come copertura proprio la trattoria. Le ragazze rifiutano e decidono di incendiare la trattoria. All’interno del film convivono due registi realistici diversi, uno a tratti commedico che permette alle ragazze di sognare, e un realismo tragico appunto, che rappresenta la fine di questo sogno e un ritorno alla realtà, che corrisponde al loro ritorno alla strada. • Il film La terra trema di Visconti del 1948, è quello che meglio racconta gli ultimo come vittime di un sistema sociale ingiusto e anche di un destino incontrollabile. Film ispirato al romanzo de I malavoglia di Verga, un autore che come Visconti, vede gli ultimi come coloro che hanno perso qualsiasi rapporto con la storia, che sono rimasti agganciati ad una condizione dalla quale è quasi impossibile uscire. In questo panorama gli ultimi risultano essere in qualche modo l’espressione di un mondo che resiste alla modernità. • Con l’arrivo della modernità che da lì a poco avrebbe assunto l’aspetto dell’omologazione e dello sterminio culturale, molti registi si trovano a guardare con molto interesse a un mondo rurale che resiste a questa modernizzazione. Ciò avviene per esempio con Carlo Levi , intellettuale torinese, spedito in Lucania a causa del suo impegno antifascista nel 1936. Dall’incontro con questa cultura, nasce un romanzo intitolato Cristo si è fermato ad Eboli, da cui poi nel 1975, Francesco Rosi trarrà l’omonimo film. Levi dipinge la Lucania come un luogo immobile e chiuso, da cui la storia non ha mai preso le distanze, dove è impossibile non fare ritorno, almeno con la forza del pensiero. • In questa prospettiva che si può definire anti moderna, può essere inserito anche il lavoro di Vittorio De Seta, che all’interno di un film del 1961, Banditi a Orgosolo, racconta la storia di un pastore che viene accusato di essere un ladro e che dunque diviene un bandito. I rituali presenti nel film vanno da tutt’altra parte rispetto alla modernità, il pastore non ha fiducia per la giustizia e infatti fugge. De Seta sta raccontando spazi di resistenza alla modernità, che in un certo senso sono per lui spazi che appartengono al sud. Qui sembra entrare in una prospettiva simile a quella pasoliniana, che vede la modernità come un abbruttimento, un’involuzione. • In seguito al boom economico, l’Italia sembra sempre di più divisa tra sud, ancora legato alle forme di vita rurali e quasi fuori dal tempo, e un nord al passo con il progresso e l’industrializzazione. Le periferie cittadine diventano protagoniste di numerosi documentari dei primi anni 60. Si possono ricordare i lavori di Cecilia Mangini come ignoti alla città del 1958 e la canta delle marane del 1962, entrambe ispirate ai primi due romanzi di Pasolini, all’interno del quale viene posta l’attenzione su coloro che popolano le periferie delle città in crescente espansione, in cui aumentano le distanze e le ingiustizie sociali. • I due romanzi che Pasolini aveva dedicato a questo mondo sono ragazzi di vita e Una vita violenta. Però Pasolini dopo aver raccontato questo mondo in sotto forma di romanzo, decide di volerlo raccontare anche a livello cinematografico, poichè era convinto che per via della modernizzazione, questo mondo sarebbe scomparso. • Gli abitanti delle periferie appaiono come ultimi non soltanto per le loro misere condizioni, ma anche e soprattutto perché sono l’esempio di una forma di esistenza destinata all’annientamento. Ciò lo si può notare dalla frase di Orson Welles, alla fine della sequenza del film La ricotta, “povero Stracci, crepare era l’unico modo che aveva per ricordare al mondo che era vivo”. Ecco questa frase spiega esattamente le condizioni degli ultimi. • Nel 1965, Alberto Asor Rosa, pubblica un volume intitolato scrittori e popolo in cui, attraverso alcune delle più importanti pagine della letteratura italiana contemporanea, rintraccia un vizio populista nell’attenzione di alcuni autori nei confronti di determinati popoli. Per Asor Rosa, questa è una colpa di cui si sarebbero resi responsabili gli intellettuali italiani. • Banditi a Orgosolo, Vittorio De Seta 1961 • Smetto quando voglio, Sydney Sibilia 2014
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved