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Guide e consigli
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esame di Linguistica italiana della prof. Palumbo., Sbobinature di Linguistica

trattasi del corso di linguistica italiana, parti fondamentali per l'esame.

Cosa imparerai

  • Come si costruiscono i derivati da una stessa base in italiano?
  • Come si distinguono le parole piane e ossitone in italiano?
  • Quali tipi di parole hanno l'accento sull'ultima sillaba in italiano?
  • Come funziona la derivazione di nuove parole in italiano?
  • Che tipo di relazione di significato esiste tra le parole 'no' e 'b'?

Tipologia: Sbobinature

2019/2020

Caricato il 02/05/2023

potenza-martina
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Scarica esame di Linguistica italiana della prof. Palumbo. e più Sbobinature in PDF di Linguistica solo su Docsity! LINGUISTICA ITALIANA Slide + Appunti LINGUISTICA ITALIANA LEZIONE 1 INTRODUZIONE SULLA LINGUA ITALIANA Lingua, dialetto e minoranze linguistiche  Genealogia dell’italiano L’italiano è una lingua che appartiene alla famiglia indoeuropea insieme al latino, al greco, all’albanese, all’armeno, alle lingue baltiche, germaniche, slave e lingue orientali, antiche e moderne, dell’India e della Persia. L’italiano è una lingua neolatina (o romanza), ciò vuol dire che deriva direttamente dal latino parlato, al pari dello spagnolo, del portoghese, del francese, il provenzale e il rumeno. Dall’evoluzione del latino parlato, mescolato alle lingue di popoli invasori, nascono anche i dialetti italiani. L’italiano è stato per secoli una lingua utilizzata prevalentemente nella scrittura e poco nella comunicazione parlata. Fino alla metà del XX secolo, l’italiano è stato per molti una seconda lingua, spesso solo compresa, non parlata e tanto meno scritta. La lingua materna era il dialetto. Italiano e dialetti Le differenze tra lingua e dialetto non sono di ordine linguistico, ma sociolinguistico: sono, in altre parole, legate ai rapporti di egemonia o subalternità che si stabiliscono tra le varietà in campo. I dialetti non sono delle varietà corrotte della lingua italiana, ma dei sistemi linguistici autonomi sviluppatisi, al pari del fiorentino, a partire dal latino. I principali parametri che differenziano sociolinguisticamente i dialetti dalle lingue sono: • la limitazione territoriale (es. dialetti utilizzati solo in un ambito circoscritto); • la modalità di apprendimento (es. dialetti appresi spontaneamente in famiglia); • la limitazione negli ambiti d’uso (dialetti usati solo nella comunicazione familiare, informale); • il valore identitario: al dialetto sono attribuite valenze identitarie più forti. Il dialetto è il codice in cui una comunità si riconosce e tramite il quale si differenzia dalle altre comunità. Dal fiorentino all’italiano 1200-1300 → inizia un processo di unificazione linguistica sulla base della lingua Toscana. Prevale, dunque, il fiorentino: ciò è testimoniato da autori come Dante, Petrarca, Boccaccio. Questo processo è favorito dalla centralità geografica della Toscana, dalla sua vivacità economica, culturale e commerciale. Inoltre, il toscano somigliava al latino più degli altri volgari e per questo motivo, venne accettato più facilmente dalle persone colte. 1525 → i letterati adottano lo stesso modello grammaticale indicato da Pietro Bembo (modello della lingua scritta e non parlata); inoltre, aumenta il numero dei lettori, grazie alla prosa scientifica di Galileo Galilei. 1840 → Il divario tra lingua scritta e parlata si attenua, con la diffusione del comando di Manzoni, i Promessi Sposi, nel quale l’autore semplifica e ripulisce la lingua letteraria, modellandola sul fiorentino moderno. Manzoni si rese conto che per raggiungere questo obiettivo bisognava scegliere uno dei dialetti italiani e promuoverlo a lingua in tutta la popolazione: infatti, per scrivere il testo, si servì di una lingua semplificata, che segnò il successo del romanzo. Si affermò, quindi, la “lingua risciacquata in Arno”, ovvero il fiorentino moderno (semplificazione della lingua letteraria). 1859-1870 → a partire dal XVI secolo, in Italia, si consolidò il modello unico per la lingua scritta, ma le lingue parlate continuavano ad essere quelle regionali, anche tra i ceti alti, oppure l’italiano popolare, semplificato e ricco di errori. Con le lotte per l'unificazione politica, nel periodo che va dal 1859 e il 1870, si fece strada la necessità di diffondere l'italiano come lingua parlata. Anche dopo l’unità d’Italia, nel 1861, non vi era una piena unificazione linguistica: solo una piccolissima percentuale della popolazione era italofona (in grado di capire e parlare la lingua italiana). L’effettiva unificazione linguistica avvenne solo nel 900, grazie anche ai mezzi di comunicazione di massa. Il processo di standardizzazione di una lingua, nel caso dell’italiano, avviene attraverso diverse fasi: 1. Selezione → viene selezionato il fiorentino nel 300, utilizzato da autori come Dante, Petrarca, Boccaccio. Successivamente, con Manzoni, avviene la selezione del fiorentino parlato dalle persone colte. 2. Codificazione → le regole della varietà scelta vengo esplicitate attraverso grammatiche (prime grammatiche dell’italiano nel Cinquecento). 3. Diffusione → utilizzo della varietà scelta da parte di un numero più ampio di utenti, per via del maggiore prestigio culturale attribuito all’italiano-fiorentino rispetto alle altre varietà. 4. Estensione delle funzioni → possibilità di usare la varietà standard in tutti gli usi, orali e scritti. Questo processo risulta concluso per gli usi scritti, mentre per la lingua orale il percorso si è avviato con l’Unità d’Italia, ma non è ancora concluso, almeno per quanto riguarda il processo di standardizzazione della pronuncia. L’italiano standard, inteso come fiorentino emendato, è solo virtuale: è praticato da gruppi ristretti di persone, come i doppiatori e gli attori professionisti, anche se a partire dagli anni 70 in poi, il parlato radio-televisivo e cinematografico risente molto delle influenze regionali. Inoltre, non è del tutto condiviso: infatti, non è considerato un punto di riferimento dalle persone colte quando devono parlare in contesti formali. Nel 900, l’italiano standard ha cominciato ad accogliere alcune caratteristiche della pronuncia milanese (es. casa [kaza], realizzazione sonora di s anziché sorda). Varietà standard → Si tratta di una varietà di lingua dotata di una norma codificata, che vale come modello di riferimento per l’uso corretto della lingua (es. grammatiche, dizionari). È una varietà scritta (supportata anche da opere letterarie) e diffusa su tutto un territorio geografico nazionale; viene considerata di prestigio e utilizzata principalmente dai ceti sociali alti e con un grado elevato di istruzione (sempre in riferimento ai testi scritti e non orali). In altre parole, per comunicare in situazioni informali, possiamo scegliere di utilizzare sia l’italiano sia i dialetti: per rappresentare questa situazione, è stato proposto il termine dilalìa. Nozioni di base di linguistica L’italiano cambia in base all’area geografica in cui ci troviamo: la lingua non è un blocco monolitico, ma un sistema che varia in base a diversi fattori, come il contesto geografico, lo status del parlante (livello di scolarizzazione), il contesto comunicativo (formale, informale), l’argomento. La linguistica si suddivide in due parti: • linguistica esterna → studio del linguaggio come entità esterna all’individuo; si privilegia la dimensione sociale, storica e culturale del linguaggio; • linguistica interna → studia le caratteristiche strutturali della lingua; l’oggetto di studio è la lingua come sistema. Formalismo → le forme e le strutture della lingua sono autonome, indipendenti dalla funzione; la grammatica (descrizione della competenza linguistica) è indipendente dall’uso e dai parlanti. Il suo principale esponente è Noam Chomsky. Le categorie sono discrete e ben definite; i principi e le regole che spiegano i dati empirici sono di carattere deduttivo (i fenomeni linguistici vengono spiegati a partire da regole e assiomi) Funzionalismo → lingua come strumento di comunicazione, adattato ai bisogni degli utenti; le forme e le strutture della lingua sono condizionate dalla funzione. La grammatica è atteggiata in relazione ai caratteri e alle esigenze dell’uso e dei parlanti; le nozioni e le categorie tendono ad essere continue. I principi e le regole che spiegano i dati empirici sono di carattere induttivo (a partire dal dato concreto si cerca di ricostruire la regola) Grammaticalità Per spiegare questo concetto, osserviamo questi esempi: “I corsi saranno erogati attraverso la piattaforma Microsoft Teams” Qualunque parlante nativo, riconoscerà che questo enunciato è ben formato, dunque è grammaticale, in quanto rispetta le regole del sistema linguistico dell’italiano. “I corsi sarà erogato attraverso la piattaforma Microsoft Teams” “Corsi attraverso la erogati Microsoft Teams saranno piattaforma” Cosa non funziona in questi esempi? Nel primo manca l’accordo soggetto-verbo, nel secondo la struttura dell’enunciato è malformata, dunque agrammaticale: non rispetta le regole generali del sistema linguistico. Accettabilità Per spiegare questo concetto, osserviamo questi esempi: “Se l’avessi saputo, non sarei venuto” - “Se lo sapevo, non venivo” “Vi sono molti libri interessanti in questa libreria” - “Ci sono molti libri interessanti in questa libreria” Gli esempi non violano le regole dell’italiano, ma hanno un diverso grado di accettabilità. I primi esempi di ogni frase sono accettabili in un contesto formale, i secondi sono accettabili in un contesto informale: godono, dunque, dell’oscillazione d’uso. La linguistica strutturale oppone il piano astratto della lingua ai suoi usi concreti. Nella prospettiva funzionale (sociolinguistica e pragmatica), invece, la lingua è influenzata dal contesto e dalla situazione comunicativa. Ci sono definizioni diverse per descrivere cos’è una lingua, in base alla prospettiva che si assume. Secondo la linguistica interna (prospettiva formale), si definisce lingua, in generale, qualunque sistema linguistico esistente, o esistito in passato, presso un certo gruppo di individui parlanti, come manifestazione, in concrete situazioni sociali e culturali, della facoltà umana del linguaggio verbale. Dunque, non solo l’italiano, il francese o il cinese vengono considerate come lingue, ma anche il calabrese, il ladino delle valli dolomitiche, l’idioma di una tribù australiana o di comunità dell’Africa Equatoriale. Secondo la linguistica esterna (prospettiva funzionale), invece, il concetto di lingua è relativo, opposto a quello di dialetto, inteso come lingua socialmente “bassa”, che non ha subito un percorso di standardizzazione (es. grammatiche e dizionari). La sociolinguistica È una disciplina che si occupa dei rapporti fra lingua e società e quindi dei fatti e dei valori sociali connessi alla lingua e ai suoi usi. L’oggetto della sociolinguistica riguarda la correlazione tra fenomeni linguistici e determinati fattori sociali, ovvero l’influenza che la società e i fatti sociali hanno riguardo ai fatti linguistici. La sociolinguistica fa parte della linguistica esterna, poiché si occupa di osservare la lingua all'interno del contesto economico, sociale e culturale in cui è usata. Come abbiamo già detto, la lingua non è un blocco monolitico, ma un sistema che varia in base a diversi fattori: le dimensioni di variazione, ovvero parametri extra linguistici (l'età, il sesso, il gruppo sociale di appartenenza, il luogo di nascita). I principali sono quattro: • lo spazio geografico → variazione diatopica (es. l’italiano parlato al nord è diverso da quello parlato al centro o al sud); • le caratteristiche sociali e il grado di scolarizzazione → variazione diastratica • la situazione comunicativa (situazione e rapporto tra gli interlocutori) → in base al contesto, cambieranno i termini, i registri e i sottocodici → variazione diafasica • il canale o mezzo (scritto, orale, trasmesso) → variazione diamesica Un esempio di variazione diatopica è l’italiano regionale: nel parlato, vi sono dei tratti distintivi che riconducono al suo luogo di appartenenza. La variazione diafasica si realizza attraverso l’uso di diversi registri (livelli di lingua - modi diversi dire la stessa cosa) e sottocodici (o lingue speciali). La configurazione di un testo è determinata: • dalla situazione (piò o meno formale: conversazione in famiglia, esame universitario, dialogo medico-paziente) • dall’argomento (conversazione libera, su argomenti specialistici ecc.) • dalle relazioni sociali (confidenziali, formali, gerarchiche). Un esempio di variazione diastratica è l’italiano popolare, ovvero un insieme di usi ricorrenti nel parlato e nello scritto di persone non istruite: l’italiano, dunque, di chi parla dialetto. Presenta numerose devianze rispetto all’italiano normativo. LINGUISTICA ITALIANA [LEZIONE 2] I SUONI DELL’ITALIANO  PARTE 1 RISULTATI DEL QUESTIONARIO SOCIOLINGUISTICO  PARTE 2 I SUONI DELL’ITALIANO E DELLE SUE VARIETA’ REGIONALI PUNTI DEBOLI DEL SISTEMA GRAFICO DELL’ITALIANO  PARTE 3 FENOMENI PROSODICI DELL’ITALIANO PARTE 1 Dopo l’analisi dei dati riportati nel questionario sociolinguistico… REPORT ISTAT (DICEMBRE 2017 RIFERITO ALL’ANNO 2015) Stabile l’italiano, in calo l’uso esclusivo del dialetto, in aumento le altre lingue Nel 2015, le persone che parlano prevalentemente italiano in famiglia rappresentano il 45,9% della popolazione di sei anni e più (circa 26 milioni e 300mila individui). La scelta dell’italiano come lingua prevalente è più frequente nelle relazioni con gli amici (49,6%) e ancor più nelle interazioni con gli estranei (79,5%). Nei tre contesti relazionali considerati è diffuso anche l’uso misto di italiano e dialetto: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,2% delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,1% e con gli estranei il 13% circa. Soltanto il 14,1% della popolazione parla prevalentemente il dialetto in famiglia (8 milioni 69mila persone), ancor meno con gli amici (12,1%) e gli estranei (4,2% circa). Ricorre, infine, ad un’altra lingua per esprimersi in famiglia il 6,9% della popolazione (all’incirca 4 milioni di persone), il 5,1% la usa con gli amici e il 2,2% con gli estranei. Nel 2015 per la prima volta è stato rilevato il linguaggio abitualmente usato nel contesto dell’attività lavorativa: la maggior parte delle persone di 15 anni e più fa un uso esclusivo dell’italiano (77,5%) e nel 15,8% dei casi un uso misto di italiano e dialetto. Contesti formali → viene utilizzato l’italiano standard Contesti informali (amici e famiglia) → italiano o dialetto → LA POSSIBILITA’ DI SCEGLIERE TRA ITALIANO E DIALETTO IN CONTESTI INFORMALI → DILALIA (BERRUTO) Diglossia → Quando le due varietà non hanno uguale prestigio e sono utilizzate in ambiti funzionali diversi I SUONI DELL’ITALIANO E DELLE SUE VARIETÀ REGIONALI FONETICA E FONOLOGIA Fonetica → livello concreto La Fonologia → livello astratto «La fonologia (phoné «voce» + logos «parola, discorso») studia i suoni da un punto di vista astratto e relazionale, cioè sulla base delle reciproche relazioni che si instaurano tra loro entro un determinato sistema linguistico» (Palermo, 2020) → in altre parole studia la funzione linguistica dei suoni «La fonetica, dal greco phoné «voce», «suono», è la scienza che studia la voce, o in altri termini, i suoni prodotti e percepiti dagli esseri umani per comunicare verbalmente» → livello CONCRETO (Leoni, Maturi 2001) Fonetica → livello concreto Fonologia → livello astratto. L’unità di studio della fonologia è il FONEMA. I Fonemi sono quei suoni che hanno una funzione linguistica. La fonetica Cerca di scoprire: COS’E’ LA LINGUA ALLORA? SISTEMA SIMBOLICO, I CUI SEGNI SONO ARBITRARI E CONVENZIONALI IL SIGNIFICATO DIPENDE DAL MODO CONCRETO CON CUI SI IMPIEGA UNA CERTA PAROLA, FRASE O GESTO IN UNA DATA SITUAZIONE (CONTESTO). CONTESTO L’insieme delle condizioni, delle opportunità, dei vincoli spaziali, temporali, culturali che assieme a un dato testo (ovvero ciò che viene detto) genera un certo messaggio dotato di senso. Pertanto non vi è un contesto unico e oggettivo, ma ogni contesto è il risultato di una SCELTA. In passato si credeva che il messaggio fosse dato, in modo oggettivo e universale e univoco, dalla somma del testo e del contesto (MESSAGGIO= TESTO+ CONTESTO) Tuttavia, qualsiasi messaggio (verbale o non verbale) si fonda sulla sintesi INTERDIPENDENTE tra testo e contesto. Pertanto, tutti i significati non sono universali e fissi nel tempo, ma mutano al mutare del contesto di riferimento. COMUNICARE SENZA LE PAROLE Il linguaggio non è indipendente richiede sempre e necessariamente il supporto di un mezzo extralinguistico. I sistemi non verbali sono autonomi, come la mimica facciale e la voce. LA VOCE: Sistema di comunicazione arcaico e potente. LA SILLABA → COMPONENTE FONOLOGICO SU CUI SI REALIZZANO ALCUNI FENOMENI PROSODICI DOMANDA: COM’È FORMATA UNA SILLABA? SILLABA È FORMATA DA:  NUCLEO (PICCO DI SONORITÀ) (IN ITALIANO ABBIAMO SOLTANTO NUCLEI COSTITUITI DA VOCALE)→ ES. ORO – O.RO, - A.PRIRE –  ATTACCO → ELEMENTI CONSONANTICI PRIMA DEL NUCLEO. → ES. TA.NE; TRA.VE –  CODA → ELEMENTI CONSONANTICI DOPO IL NUCLEO → ES. AL.BER.GO; GAT.TO  NUCLEO + CODA = RIMA  SILLABA APERTA → QUANDO TERMINA CON VOCALE (E QUINDI È PRIVA DI CODA) → ES. TA.VO.LO  SILLABA CHIUSA →QUANDO TERMINA CON CONSONANTE → ES. COR.TO; PEN.NA L’ACCENTO Si deve alla quantità di energia impiegata per articolare una sillaba. Pone in rilievo una determinata sillaba all’interno della parola. Una stessa parola può assumere significati diversi variando la posizione dell’accento → in italiano ha un ruolo fonologico contrastivo L’ACCENTO IN ITALIANO Parole ossitone o tronche → hanno l’accento sull’ultima sillaba (es. tribù, virtù, felicità) Parole piane o parossitone → hanno l’accento sulla penultima sillaba → es. vedere, camicia, andare) N.B: il 93% delle parole italiane è costituito da parole piane. Parole sdrucciole o proparossitone → hanno l’accento sulla terzultima sillaba → musica, piccolo. Parole bisdrucciole (rare in italiano) → hanno l’accento sulla quartultima sillaba → es. visitano IL RITMO L’accento è l’elemento essenziale su cui si basa l’organizzazione ritmica di una lingua. Il ritmo è un evento prosodico presente in TUTTE le lingue. È determinato dall’ALTERNANZA di ELEMENTI FORTI (accentati) e ELEMENTI DEBOLI (privi di accento). L’Italiano è una lingua che si basa sulla successione regolare di sillabe. LE PAUSE Momentanea interruzione all’interno del parlato. PAUSA SILENTE  REALE MOMENTO DI SILENZIO ALL’INTERNO DI UN ENUNCIATO PAUSA NON SILENTE  FENOMENI DI VOCALIZZAZIONE (MM, AH, HM, EHM) O DI PROLUNGAMENTO VOCALICO LA VELOCITÀ D’ELOQUIO Numero di fonemi o sillabe prodotte in un’unità di tempo. È influenzata dal contesto, dallo stile, dall’intento comunicativo. STILE INFORMALE E TRASCURATO  PIU’ VELOCE STILE FORMALE E ACCURATO  PIU’ LENTO L’INTONAZIONE Andamento melodico di una frase (ad esempio, quello di un enunciato interrogativo). È un elemento universale del linguaggio umano. Non esistono lingue prive di melodia. È una componente innata. Ritmo e intonazione sono i primi elementi che il bambino apprende; la melodia anticipa la comparsa della parola. LA FUNZIONE LINGUISTICA La funzione grammaticale: - La melodia rappresenta l’unica risorsa linguistica per la corretta interpretazione di frasi identiche a livello superficiale, ma potenzialmente AMBIGUE a livello sintattico o semantico. - Due sono gli elementi che aiutano a ridurre l’ambiguità dell’enunciato: - 1. il CONTESTO - 2. la diversa STRUTTURA PROSODICA LA FUNZIONE MODALE La funzione modale consente di classificare la tipologia di enunciati come atti linguistici.  Frasi dichiarative  Frasi interrogative  Frasi iussive  Frasi esclamative L’ENUNCIATO ASSERTIVO Esprime un grado di verità rispetto a quanto detto nell’enunciato  Sul piano melodico: TIPOLOGIA NEUTRA  Profilo intonativo PROGRESSIVAMENTE DISCENDENTE  ES: Il numero tre è dispari. L’ENUNCIATO IUSSIVO Esprime una richiesta di azione (ordine, istruzione, permesso, esortazione)  L’emittente è dominante rispetto al ricevente  Apri la porta! Finiscila! Dimmi la verità!  SUL PIANO MELODICO ANDAMENTO DISCENDENTE  La velocità aumenta  Incremento dell’intensità. LE FUNZIONE PARALINGUISTICHE DELL’INTONAZIONE Fornisce:  FUNZIONI ESPRESSIVE  VARIAZIONI INTONATIVE indotte da un’EMOZIONE o un ‘ATTITUDINE  INFORMAZIONI SULLO STATO EMOTIVO DEL PARLANTE: ▪ Rabbia ▪ Paura ▪ Gioia ▪ Tristezza ▪ Disgusto ▪ Sorpresa LINGUISTICA ITALIANA – LEZIONE 3 IL LESSICO DELLA LINGUA ITALIANA La lingua viene spesso paragonata ad un organismo vitale in continuo mutamento e dunque sempre esposta alla variazione. Questa caratteristica fa sì che ci siano mutamenti su tutti i livelli di analisi: lessico, semantica, pragmatica, sintassi, morfologia, fonologia e fonetica. Il lessico è lo strato più esterno della lingua e il più sensibile ai mutamenti della realtà sociale e culturale in cui viene parlata. Esso è una sorta di varco attraverso il quale una lingua accoglie le altre realtà extralinguistiche. Si tratta di una categoria aperta, in quanto soggetta al continuo rinnovamento attraverso l’introduzione di nuove parole (NEOLOGISMI) e la caduta in disuso di altre (ARCAISMI). Il lessico è, poi, caratterizzato dalla rapidità nel mutamento e maggiormente percepibile dai parlanti. E’ soggetto a cambiamenti più rapidi rispetto alla grammatica, che richiede più tempo. Tuttavia buona parte delle parole dell’italiano è entrata in uso nel corso del ‘200 e ‘300; dall’Unità d’Italia ad oggi solo il 5% di parole nuove. Il lessico è l’insieme di parole di una lingua. Possiamo distinguere il lessico individuale, ossia la competenza individuale, e lessico collettivo, cioè il lessico di una comunità linguistica in un dato momento. E’ possibile, inoltre, fare una distinzione tra vocabolario e dizionario. Il primo è una sezione particolare, piccola e grande del lessico (es. di un autore, di un periodo storico, di un linguaggio tecnico), mentre il secondo fornisce una rappresentazione più o meno ampia del lessico. Dello studio del lessico se ne occupano due discipline differenti: LESSICOLOGIA  è lo studio scientifico del lessico, analizza le proprietà e le caratteristiche delle parole e il rapporto tra le parole. La sua unità di analisi è il lessema. LESSICOGRAFIA  è lo studio sulle tecniche più efficaci per definire e raccogliere le parole che compongono il lessico di una lingua. La sua unità di analisi è il lemma, cioè il lessema che entra a far parte del dizionario. Es. di lessema  “bianco” = bianco, bianca, bianchi, bianche  forme declinate di un unico lessema. Nei dizionari viene riportato il maschile singolare, quindi io dovrò cercare “bianco” e non “bianche”, ad esempio. I prestiti delle lingue germaniche (gotico, longobardo ecc.). Tra i prestiti più antichi ricordiamo sapone, vanga, tasso; guancia, spiedo, scherzare, bosco, schiera, giardino, elmo, fiasco, nastro, ecc. tra i germanismi moderni abbiamo valzer, lager, leitmotiv, sachertorte, ecc. I prestiti che derivano dalla lingua araba sono definiti arabismi. Essi derivano dal domino arabo nel Mediterraneo durante il Medioevo: es. numeri, termini matematici e scientifici, piante e prodotti della terra, colori ecc., limone, zucchero, arsenale, algebra, algoritmo, zero, elisir. All’interno del lessico dell’italiano possiamo trovare prestiti derivanti da altre lingue: -OLANDESE → scialuppa, -EBRAICO → Pasqua, -SERBO-CROATO → crucco, -NORVEGESE → fiordo, -RUSSO → bolscevico, -SVEDESE → nickel, -POLACCO → mazurca, -CECO → calesse, -UNGHERESE → gulasch, -TURCO → caffè, -PERSIANO → bazar e azzurro. Infine nel lessico italiano abbiamo: Prestiti interni → derivati dai dialetti italiani, ossia i dialettismi. Essi sono legati principalmente alla vita quotidiana, alla cultura alimentare. Es. lavagna (Liguria); grissino (Piemonte), balera (Lombardia), tortellini (Emilia), pennichella (Roma), pizza (Napoli), cannolo (Sicilia). LINGUISTICA ITALIANA-LEZIONE 4 IL LESSICO TRA LE VARIETÀ DELL’ITALIANO E I LINGUAGGI SETTORIALI Nel lessico italiano distinguiamo: -variazione diatopica  parole legate al luogo, ossia i REGIONALISMI; -variazione diastratica  parole legate allo status sociale del parlante, ossia le VARIETA’ SOCIALI; -variazione diafasica  parole legate alle variazioni del contesto e dell’argomento di cui si parla, ossia VARIETÀ FUNZIONALI E CONTESTUALI (registri e sottocodici). Nella VARIAZIONE DIATOPICA (dal greco “dia” che significa “attraverso” e “topos” ossia “luogo”) rientrano i REGIONALISMI e i DIALETTISMI, termini che hanno origine in un’area circoscritta. Nel GRADIT (Grande Dizionario Italiano dell’Uso) ci sono circa 7.700 regionalismi (es. sberla, caldarroste, scorno, ecc.). Sono regionalismi legati al lessico alimentare panettone (milanese), mozzarella (napoletano), grissino (piemontese), cannolo (siciliano). Inoltre, sono regionalismi legati a mestieri tradizionali cravattaro e barcarolo (romani), mondine (piemontese). Numerosi sono anche i regionalismi in riferimento ai nomi delle abitazioni quali trullo (pugliese), nuraghe (sardo). Ci sono poi termini che riguardano il paesaggio naturale come fiumara (meridionale). Tanti sono i regionalismi legati alla criminalità: mafia, camorra e ’ndràngheta sono ormai entrate nel vocabolario, teppista (lombardo), palo (di origine napoletana, chi fa la guardia ai compagni durante una rapina), guappo (di provenienza napoletana, indica il camorrista, persona violenta e senza scrupoli). GEOSINONIMI (regionalismi)  termini che designano la stessa cosa. Ad esempio: Anguria (Nord), Cocomero (Centro), Melone (Sud), sono termini diversi che significano la stessa cosa. Altro esempio riguarda il marinare la scuola: bigiare (Milano), bruciare (Veneto), fare fughino (Bologna), bucare o fare forca (Toscana), fare filone (Napoli). I geosinonimi sono soggetti a continuo mutamento. Alcuni diventano desueti, altri rimangono vitali e si impongono sugli altri. Ulteriore esempio è la cicca, nota anche come gomma, cingomma, gingomma, sciangomma e ciungai, il termine varia in base all’area geografica. Cosa ci univa negli anni ’50? Alla fine della Seconda Guerra Mondiale «Un linguista tedesco, Rudolf Rüegg, fece un’inchiesta in cui chiedeva a un campione di italiani come chiamassero oggetti legati alla vita quotidiana (abbigliamento, alimenti, parti del corpo ecc.): dall’indagine risultò che una sola nozione veniva resa con un unico termine […] mentre tutte le altre conoscevano da un minimo di due a un massimo di tredici geosinonimi». Il termine “unico” da Nord e Sud era espresso, cioè il caffè forte preso al bar. GEMOMONIMI (regionalismi) termini che presentano la stessa forma ma significato diverso. Ad esempio, il termine “comare” nel Sud indica la testimone al battesimo, mentre nel Nord indica la donna del popolo, la pettegola. Un altro esempio è “tovaglia” che in alcune aree del Sud indica l’asciugamano, mentre nel Nord indica il telo per apparecchiare la tavola. I regionalismi rientrano nel vocabolario esteso, caratterizzato da oltre 200.000 lemmi tra tecnicismi, regionalismi e dialettismi e termini aulici. La VARIAZIONE DIASTRATICA (dal greco “dia” ossia “attraverso” e “strato” cioè “la radice”) è caratterizzata da alcuni fattori tra cui: lo strato/classe sociale dei parlanti, il livello di istruzione, la provenienza: città vs. campagna, l’età (giovani vs. anziani) e il genere (uomo-donna). Es: “Non scotolare la tovaglia fuori perché vanno le muddiche sul balcone di Carmelina e i palombi mangiano e cacano”. L’etichetta di italiano popolare è stato proposta, negli anni ’70, da De Mauro e Cortelazzo, dopo aver condotto uno studio sulle lettere dei prigionieri italiani della Prima Guerra Mondiale. E’ un linguaggio caratterizzato dalla componente dialettale. Secondo alcuni l’italiano popolare non esiste più in quanto il livello di scolarizzazione medio si è alzato, tuttavia, secondo Berruto, poiché ci sono i rappresentati di questa varietà, parlata da persone semicolte con un grado di scolarizzazione basso, vale la pensa inserire l’italiano popolare all’interno della variazione diastratica. Caratteristiche dell’italiano popolare: -lessico: più concreto ed espressivo (es. middiche); -grafia: incerta, più vicina alla pronuncia (es. e vietato; ficorifiri, tio amato); - morfosintassi: semplificata. Per quanto riguarda la VARIAZIONE DIAFASICA (dal greco “dia” ossia “attraverso” e “phemì” cioè “dire”) il lessico varia in base al contesto comunicativo, questo produrrà l’utilizzo di un registro (formale o informale), in base all’argomento di cui si parla, questo produrrà dei sottocodici, ossia linguaggi tecnico-specialistici (es. linguaggio medicina, matematica, politica, pubblicità). Tutte queste parole sono legate a varietà funzionali e contestuali. Che cosa determina la variazione del registro formale/informale? 1. l’ambiente sociale in cui avviene la comunicazione; 2. tipo di relazione tra gli interlocutori (ruolo sociale e professionale e grado di conoscenza, età); 3. oggetto della comunicazione (tema); Per quanto riguarda il lessico possiamo fare una distinzione tra registri bassi e registri alti: -registri bassi, dal punto di vista lessicale, sono ricorrenti termini generici per indicare termini specifici, per es. “ti racconto questa cosa”, sono frequenti anche le abbreviazioni (es. “tele” per “televisione”, “frigo” per “frigorifero”), e sinonimi colloquiali bassi (es. “crepare” o “schiattare” al posto di “morire”); -registri alti, sono per lo più tipici dello scritto, e all’interno di essi possiamo individuare l’uso di termini specifici, il ricorso a parole morfologicamente complesse e il ricorso a termini desueti (come arcaismi), l’uso di tecnicismi e parole letterarie. Quindi la differenza tra registri bassi e alti sta nella scelta dei termini utilizzati. Da un punto di vista socio-linguistico possiamo individuare un continuum pluridimensionale della varietà dell’italiano (Berruto): 1. l’italiano standard letterario → rappresenta la varietà scritta della tradizione letteraria; 2. l’italiano “neo-standard” → la varietà di lingua solitamente usata dalle persone colte che però ammette come corrette alcune espressioni che fino a qualche decennio fa non erano ritenute pienamente corrispondenti allo standard; 3. l’italiano parlato colloquiale è la varietà, di solito orale, usata nella normale conversazione quotidiana; 4. l’italiano regionale popolare è la varietà, sia parlata che scritta, tipica degli strati socioculturali con un basso livello di istruzione; 5. l’italiano informale trascurato è la varietà parlata tipica delle situazioni molto informali, spontanee e confidenziali; 6. l’italiano gergale è la varietà parlata e marcatamente espressiva che è propria di parlanti che condividono attività, abitudini e stili di vita; di solito è usata per sottolineare l’appartenenza a un gruppo o a una cerchia ristretta di persone che vogliono distinguersi dagli altri; 7. l’italiano formale aulico è la varietà delle situazioni pubbliche formali e solenni: è una varietà sia scritta che parlata ma con un parlato che ha come proprio modello lo scritto; 8. l’italiano tecnico-scientifico è la varietà, sia scritta che parlata, usata di solito in contesti tecnici e scientifici; 9. l’italiano burocratico è la varietà, scritta ma anche parlata, usata per usi ufficiali, di tipo burocratico e amministrativo. Esempi del continuum pluridimensionale: 1. La informo con rammarico di essere stato vittima di ignoti borsaioli i quali con dolo hanno sottratto il portafoglio dalla mia tasca (italiano formale aulico). 2. Le trasmetto l’informazione che chi sta parlando è stato vittima di furto del proprio portafoglio da parte di ignoti (italiano tecnico-scientifico). 3.Vogliate prendere atto che individui ignoti hanno perpetuato un furto sottraendo il portafoglio al sottoscritto (italiano burocratico). 4. La informo di essere stato derubato del portafoglio (italiano formale letterario). 5. Le dico che mi hanno rubato il portafoglio (italiano neo-standard). 6. Ma lo sai che mi hanno scippato il portafoglio? (italiano parlato colloquiale). 7. Ci dico che mi hanno frecato il portafoglio (italiano popolare). 8. Che lo sai che mi hanno acchiappato e mi hanno fregato il portafoglio, eh? (italiano informale trascurato). 9. Ehi, ma ce lo sai che dei bastardi fregaroli mi hanno solato il portafoglio? (italiano gergale con tratti di dialetto romanesco). - Differenze nella frequenza d’uso= Es. matita/lapis, divano/sofà, termosifone/calorifero. Nonostante i due termini hanno stesso significato, stesso referente esistono delle differenze in merito alla frequenza dell’uso tra i parlanti. In quanto la prima parola di ogni coppia è usata con più frequenza rispetto all’altra; - Differenze di registro linguistico/codice= Es. anima vs alma hanno la stessa etimologia, ma alma è di uso scritto letterario. Cioè si differenziano in base al registro linguistico in cui viene usata. Un altro esempio può essere boxe/pugilato oppure match/incontro, sono termini che hanno stesso significato ma che si differenziano in base al codice, alla lingua. Boxe deriva dalla lingua inglese, mentre pugilato deriva dalla lingua italiana. Due termini che si differenziano in base al codice linguistico; - Differenze di uso sociale e comunicativo= Es. papà vs padre (papà è più colloquiale), operatore ecologico vs spazzino (spazzino è più colloquiale), micio vs gatto (micio è più colloquiale). Sono termini che hanno lo stesso significato ma si differenziano in base all’uso sociale e comunicativo che il parlante utilizza sempre in base al contesto. - Differenze di intensità= Es. sporco, sudicio, lurido, tre termini che hanno stesso significato ma se utilizzate acquistano un’intensità differente. Il termine lurido avrà un’intensità del significato molto più alta rispetto al termine sporco; - Differenze legate al tempo= parole che vengono inserite nella lingua italiana, ovvero i neologismi, e parole che invecchiano pian piano in disuso, cioè arcaismi che con lo scorrere del tempo hanno acquisito sinonimi diversi. Es. fanciullo vs bambino, il termine fanciullo si presenta come arcaismo nel senso che non più utilizzato, ma sostituito dal termine bambino. Si differenziano in base all’arco cronologico. Oltre ai sinonimi e agli omonimi, nella lingua italiana è possibile trovare anche gli antonimi, ovvero parole che hanno un significato contrario (bello/brutto) e che si escludono a vicenda, cioè esiste o l’una o l’altra (pari/dispari, vivo/morto). Gli antonimi possono essere, a sua volta: - Termini che esprimono con gradi intermedi di significato= Es. tra i termini caldo e freddo esistono termini con grado intermedio, cioè tiepido e caldo; - Termini simmetrici o inversi (dipende dalla prospettiva) = ovvero termini che riflettono situazioni o relazioni simili ma con prospettive differenti (Es. vendere/comprare, moglie/marito); - Termini che hanno un significato e un opposto= Es. ospite può indicare sia colui che ospita sia colui che è ospitato; Un’altra tipologia di rapporto di significato sono gli iperonimi e gli iponimi. Ovvero difronte a parole come tulipano, rosa, margherita il termine fiore è il termine che meglio include tutti questi termini. Dunque, la parola ‘Fiore’ è quindi l’IPERONIMO (iper, «sopra») di rosa, tulipano, ecc., cioè rappresenta nella gerarchia il livello più alto. ‘Rosa’ invece è un IPONIMO (ipo, «sotto») di fiore, cioè rappresenta una sottocategoria. Quando invece il rapporto di significato oppone il nome di un oggetto a quello delle sue singole parti (non omogenee), si parlerà di olonimi e meronimi (olo = ‘intero’; mero = ‘parte’). Quindi, casa è l’olonimo di tetto, finestre, cioè è l’oggetto per intero, mentre tetto, finestra sono meronimi dell’oggetto, cioè parti della casa. Un altro esempio potrebbe essere macchina che è l’olonimo di ruote, sedile, mentre ruote, sedile sono i meronimi di macchina. Esercitazione: Quale coppia è costituita da iperonimo e iponimo? a) edificio / basilica b) scuola / cortile c) chiesa / campanile d) basilica / transetto La risposta corretta è a: una basilica è infatti un tipo di edificio, mentre il cortile, il campanile e il transetto sono parti dei rispettivi termini precedenti, quindi meronimi. È corretto dire che la relazione di significato tra cane e pastore tedesco, e tra colore e rosso è dello stesso tipo? a) no, perché le coppie appartengono a categorie semantiche diverse b) no c) sì, perché la prima parola di ogni coppia è inclusa nel significato della seconda parola d) sì, perché la prima parola di ogni coppia include il significato della seconda parola. La risposta corretta è la d, in quanto la parola cane include il significato di pastore tedesco e la parola colore include il significato di rosso. Trovare l’espressione antonimica (‘contraria’) più precisa per il verbo vincere: a) morire b) soccombere c) sopraffare d) disperdere L’antonimo di vincere dovrà significare: non vincere. Dei termini proposti morire non ha relazione diretta con il campo semantico del combattimento, mentre sopraffare e disperdere sono sinonimi di vincere, e non suoi antonimi. La risposta giusta è dunque b. Trasferimento di significato: Molte parole possono subire uno spostamento dal proprio significato originario a un altro figurato, traslato. Gli spostamenti di significato possono avvenire su relazione di: - Metafora: Es. Luigi è un fulmine, il termine fulmine non è utilizzato con il suo significato primario ma con il suo significato figurato, traslato per dire che Luigi è molto veloce; - Similitudine: Es. Luigi è veloce come un fulmine, i due termini veloce e fulmine sono stati utilizzati sottoforma di paragone evidenziato dalla presenza dell’avverbio come. La metafora è facilmente distinguibile dalla similitudine proprio perché non presenta mai il paragone, quindi l’avverbio come; - Sineddoche: figura retorica che amplifica il significato delle parole per sostituzione, o meglio una parola di significato più o meno ampio di quella propria: la parte per il tutto → Non ho più un tetto (tetto per casa); il tutto per la parte → occhi verdi (in realtà solo l’iride è verde); la specie per il genere → mi guadagno il pane (cibo); singolare per il plurale → il cane (figura singolare generica per indicare tutti i cani) è un animale fedele; -Metonimia: metonìmia (alla greca metonimìa) s. f. [dal lat. tardo metonymĭa, gr. μετωνυμία, propr. «scambio di nome», comp. di μετα- «meta-» e ὄνομα, ὄνυμα «nome»]. Consiste nel trasferimento di significato da una parola a un’altra in base a una relazione di contiguità spaziale, temporale o causale, ad esempio: Il nome del contenente per il contenuto (Es. «bere un bicchierino», «finire una bottiglia»), cioè nella frase viene riportato il contenente al posto del contenuto. (Es. bevo un bicchierino al posto di dire bevo un po' di vino); La causa per l’effetto e viceversa (Es. si guadagna da vivere con il sudore della fronte) L’autore per l’opera (Es. leggo Dante); L’astratto per il concreto (storia dell’umanità) o viceversa (pieno di bile= si indica la bile come concetto concreto per indicare qualcosa di astratto, ovvero la rabbia); - Eufemismo: sostituzione di un’espressione troppo cruda e realistica con un’altra più attenuata (Es. scomparire per morire, brutta malattia per cancro); - Antonomasia: riduzione del significato di un nome proprio di un personaggio o di un luogo a nome comune (Es. è un cicerone, è un casanova); - Iperbole: esagerazione (Es. ti aspetto da un secolo); Nuovi significati, dalla parola al sintagma: (vedi cap.1) Es. Sai conservare un segreto? Ho avuto un’aspra sorpresa. Quando ho visto i ladri, ho subito tirato l’allarme. Cosa non funziona in queste frasi? Per esprimere un determinato significato a volte ricorriamo alla combinazione di due o più parole che ricorrono frequentemente insieme in contesti simili. Le collocazioni sono quindi combinazioni di parole stabilizzate nell’uso. Es. Mantenere un segreto/lanciare l’allarme, Amara sorpresa, Promettere fermamente; Quindi le collocazioni sono combinazioni di più parole che vengono utilizzate frequentemente. A sua volta possono essere formati da un verbo + nome (mantenere un segreto), da un aggettivo + nome (amara sorpresa) oppure da un verbo + aggettivo (promettere fermamente). Si possono definire un livello intermedio tra modi di dire e combinazioni libere. Simili alle collocazioni sono le parole polirematiche, ovvero elementi lessicali (lessemi) formati da più di una parola (es. anima gemella) che insieme hanno un significato diverso da quello che hanno i singoli componenti (cioè anima e gemella presi individualmente). Il significato del «sintagma» è dato dall’insieme degli elementi che lo compongono. Possono essere usate in funzione del nome (Es. carta di credito, doppio senso, cartoni animati), in funzione di aggettivi (acqua e sapone), in funzione di verbo (portare avanti, dare una mano) e in funzione di avverbio (a fior di pelle, a furia di). Molto spesso sia le collocazioni che le parole polirematiche sono sintomo di confusione, per questo è importante precisare che le parole presenti nelle polirematiche non possono: → Essere interrotte da altre parole (es. *cartoni molto animati); • NEGATIVO / PRIVATIVO= (a-, de-, dis-, in-, s-) come aritmia, deantropizzato, dispnoico, infelice, sfavorevole; • DISTRIBUTIVO= (dis-, ri-) come distribuire, distinguere, disperdere, ripartire; • COMITATIVO= (con-) come convenire, congresso, concorso; In italiano, aggiungendo il prefisso s- ad aggettivi, si creano nuovi aggettivi con significato contrario (es. contento > scontento, leale > sleale, fiducioso > sfiducioso) sicuramente non potrà essere aggiunto davanti a parole che iniziano per vocale (Es. utile come s-utile). Di norma uno stesso prefisso ha più significati, ovvero può assumere diversi valori semantici: - In: ha valore semantico spaziale (infondere) o negativo (interminabile); - Ri: ha valore iterativo (rifare), spaziale (riflettere) o distributivo (ripartire). Nella loro composizione con le basi, i prefissi sono soggetti ad alcuni vincoli fonetici. Ad esempio, alcune combinazioni sono evitate, mentre altre determinano forme di adattamento come l’assimilazione regressiva: • In + pavido > impavido; • In + lacrimato > illacrimato; Esercizi: - Le parti in grassetto delle parole scorretto, sperato, sconsolato, scoglio, scongelato, sono tutti prefissi? No, perché nelle parole sperato e scoglie non funge da prefisso. - Le parti scritte in neretto nel seguente gruppo di parole disimparare, impossibile, illegale, incoerente, indaco, sono tutti dei prefissi? No, perché nella parola indaco non funge da prefisso. - Considera: ritelefonare, richiamare, rischiare, riprendere. In quale parola ri- non è un prefisso? Nella parola rischiare non è un prefisso, ma è parte del verbo. - Il prefisso in- ha lo stesso significato nelle seguenti parole interrato, intrattabile, insospettato, insospettabile? Si, tranne nella parola interrato. Negli altri tre casi in- ha valore negativo (sinonimo di non) mentre interrato significa “che è collocato nella terra”, il prefisso ha dunque valore spaziale. - Il prefisso ri- ha lo stesso valore nelle seguenti parole rifare, ridare, risuonare, rivedere? No, mentre in rifare e in rivedere il prefisso ha valore iterativo, in ridare e risuonare esso può assumere anche valore spaziale, cioè i due verbi significano “dare di nuovo”, ma anche “dare indietro, restituire” e “rimandare indietro un suono, emettere un eco”. I suffissi sono affissi che si collocano dopo una base per ottenere una parola derivata. A differenza dei prefissi, che di norma non modificano la categoria grammaticale (Es. contento=agg. diventerà scontento=agg.), i suffissi determinano spesso la formazione di parole appartenenti ad altre categorie grammaticali. (Es. sost. mare > agg. marino, sost. ragione > v. ragionare, v. potere > sost. Potenza, v. remare > sost. Rematore, agg. crudele > avv. Crudelmente, agg. spesso > sost. Spessore, agg. rosso > v. rosseggiare). A seconda della loro categoria grammaticale si distinguono in: • derivati da un sostantivo= DERIVATI DENOMINALI • derivati da un aggettivo= DERIVATI DEAGGETTIVALI • derivati da un verbo= DERIVATI DEVERBALI • derivati da un avverbio= DERIVATI DEAVVERBIALI Esercizio: - Quale di queste parole, ancorare, sottigliezza, guastatore, vanità, deriva da un verbo? Deriva da un verbo la parola guastatore, mentre la parola ancorare è un derivato denominale, le parole sottili e vano sono un derivato deaggettivale. I derivati da una stessa base costituiscono una famiglia lessicale che può essere organizzata nella forma di: -paradigma a ventaglio: ogni trasformazione dipende direttamente dalla stessa base (dalla parola mercante derivano mercanzia, mercantile, mercanteggiare); - paradigma a cumulo: le trasformazioni sono successive (dalla parola amore si può costruire la parola amoreggiare, da quest’ultima si può costruire la parola amoreggiamento); Esercizio: - Quale dei seguenti gruppi di parole costituisce un paradigma a ventaglio? a) mare, marino, marinare, maretta, marimba b) utile, utilizzare, utilizzabile, inutilizzabile c) morte, mortale, mortuario, mortacci, mortalità d) conto, contare, contabile, contabilizzare La risposta esatta è c perché le parole non sono state costruite da trasformazioni successive ma derivano dalla parola di base “morte”; d è un paradigma a cumulo; a è un paradigma a ventaglio con elementi estranei (marimba non ha alcun collegamento etimologico con mare); b è un paradigma a cumulo. I suffissi possono avere numerosi significati. Fra quelli che danno esito a suffissati nominali si possono ricordare almeno quelli di: • AZIONE (-aggio, -mento, -(t)ura, -zione) come monitoraggio, caricamento, cucitura, fibrillazione; • QUALITÀ O ASTRAZIONE (-ia, -eria, -ezza) come follia, sciccheria, durezza; • AGENTE O MESTIERE (-aio / aro, -ante / ente, -iere, -ino, -ista, -tore / trice) come capraio, bovaro, badante, faccendiere, postino, fiorista, saldatore; Nel linguaggio tecnico della medicina alcuni suffissi sono molto produttivi, ma prendono a prestito come base forme greche (o comunque dotte): • stato patologico acuto (-ite) come otite, non *orecchite; epatite, non *fegatite; artrite; • stato patologico cronico (-osi) come alitosi, artrosi, cirrosi; • formazione neoplastica (-oma) come sarcoma, carcinoma; • In chimica –oso e –ico distinguono le valenze degli elementi (anidride solforosa e solforica); • I suffissi aggettivali più comuni sono (-ale, -ario, -ico, -ile, -orio, -oso) come embrionale, dentario, mitico, consortile, meritorio, ombroso; In italiano, a partire da nomi che indicano parti del corpo è possibile formare, aggiungendo il suffisso -ale, aggettivi che indicano una relazione con la parte del corpo in questione. Abbiamo così dente > dentale, palato > palatale, naso > nasale, dorso > dorsale. La forma più comune di suffissazione è quella che dà luogo ai cosiddetti ALTERATI. Si tratta di derivati sostantivali che non mutano categoria grammaticale e mantengono il significato della base con l’aggiunta di una sfumatura affettiva. I suffissi più diffusi in quest’ambito sono: -accio: ventaccio. -astro: nipotastro, -ello: torello, -erino: moscerino, -etto: muretto, -iccio: terriccio, -icello: campicello, -iciattolo: vermiciattolo, -ino: fratellino, -occio: figlioccio, -one: omone, -uccio: taralluccio La classificazione tradizionale distingue: • ACCRESCITIVI: mano > manona • DIMINUTIVI: mano > manina • PEGGIORATIVI: mano > manaccia • VEZZEGGIATIVI: mano > manuccia • ATTENUATIVI: grasso > grassoccio Alcuni suffissi fondono diverse sfumature di significato (-iciattolo può ad esempio alterare contemporaneamente in senso sia peggiorativo che diminutivo: un mostriciattolo o un omiciattolo sono rispettivamente un mostro o un uomo piccolo e brutto). Nella formazione delle parole sono fenomeni frequenti: La conversione: È il cambiamento della categoria grammaticale, senza suffisso o prefisso. Es. metropolitano (aggettivo) → metropolitana (agg. sostantivato) Es. bere (verbo) → il bere (infinito sostantivato) Es. cantante (participio presente) → il cantante (sostantivo) Esercizio: - Tutte le frasi seguenti contengono almeno una parola derivata per conversione. Quale ne contiene due? a) La sua carriera era stata rovinata dal bere. b) Gli antichi parlavano lingue diverse dalle nostre. c) Studiando è normale pensare al domani. d) Il meglio è nemico del bene. La risposta esatta è d: in a c’è solo l’infinito sostantivato bere; in b l’aggettivo sostantivato antichi; in c l’avverbio sostantivato domani; in d i due avverbi sostantivati meglio e bene. La riduzione: Consiste invece in varie forme di ellissi (semplificazione, soppressione, accorciamento) di una parola o di un nesso polirematico, di norma senza variazione semantica rispetto al lessema non ridotto. Si possono avere casi di: • Uso di confissi come parole autonome (tele < televisione; auto < automobile; video < videofilmato); • Accorciamenti (bici < bicicletta, forma alterata di bi-ciclo); • Abbreviazioni (prof., dott., pag.); • Sigle (nomi di enti, istituzioni, marchi: TAC; PIL, ecc.); • acronimi: come le sigle, ma comprendono non solo le iniziali ma anche parti della parola: es. co.co.co. < collaborazione continuata e coordinativa) • Parole macedonia: comprendono due o più parole o pezzi di esse: es. Federcalcio per Federazione del calcio, Confartigianato per confederazione dell’artigianato. Famiglia lessicale e Campo semantico: La famiglia lessicale è l’insieme di parole riconducibili direttamente o indirettamente a un’unica base lessicale. Es. → Dalla radice verbale corr/cors- di correre si ottengono ad esempio numerosi verbi (scorrere, accorrere, concorrere, incorrere, ricorrere, rincorrere, percorrere, trascorrere, scorrazzare), sostantivi (corsa, corso, percorso, ricorso, concorso, corrente, corriere, corrimano, corsiero) e aggettivi (corsivo, corrente) per derivazione diretta, e innumerevoli altri tramite le ulteriori derivazioni a cumulo (corrente > correntista; corsivo > corsivizzare > corsivizzazione ecc.; Il campo semantico: Oltre che per affinità lessicale, legata quindi al livello del significante, le parole possono essere associate e classificate anche in base al solo significato. Ovvero di un insieme di parole che condividono, a prescindere dal significante, parti più o meno ampie del significato. Es. campo semantico «navigare»: nomi di imbarcazioni (nave, barca, zattera; bagnarola, caravella, catamarano, yacht, pattino), verbi (costeggiare, salpare, naufragare, veleggiare, approdare), nomi di attività (nostromo, capitano) Esercizio: - Quale termine non appartiene al campo semantico del cucinare? a) soffriggere b) mantecare c) pirofila d) piromane La risposta esatte è d. A e b sono modalità di cottura, c un recipiente adatto alla cottura, d è un individuo che si compiace ad appiccare incendi. Lezione 8 1- Morfologia flessiva vs. morfologia lessicale; 2- Flessione del nome; 3- Flessione dell’aggettivo. 1- MORFOLOGIA FLESSIVA VS. MORFOLOGIA LESSICALE MORFOLOGIA → studio dei meccanismi che regolano la struttura interna delle parole Unità di studio: il morfema → Elemento minimo dotato di significato all’interno di una parola  Quanti morfemi ci sono nella parola casa? CAS- MORFERMA LESSICALE significato di edificio per abitazione (categoria aperta) A- MORFEMA GRAMMATICALE  nome femminile singolare (categoria chiusa)  ALBERO/I  forma diversa della stessa parola → MORFOLOGIA FLESSIVA IN-ALBER-ARSI  ALBERO > ALBERARE < INALBERARE < INALBERARSI Nuova parola (VERBO) con un nuovo significato creata attraverso meccanismi di derivazione → MORFOLOGIA LESSICALE Ricapitolando: MORFOLOGIA FLESSIVA → Si occupa delle variazioni determinate dall’aggiunta di morfemi grammaticali a morfemi lessicali → flessione delle classi di parole (nomi, aggettivi, verbi, ecc.). MORFOLOGIA LESSICALE → Studia il modo in cui il vocabolario si arricchisce attraverso la formazione di parole nuove a partire da parole esistenti. Meccanismi di DERIVAZIONE e COMPOSIZIONE (lezione 7)  I MORFERMI FLESSIVI determinano la variazione di una parola secondo le categorie del genere, del numero, del tempo, del modo ecc.: per es. aggettivo bianc-o, bianc-a, bianch-i, bianche, verbo ballare: pres. ball-o, imperf. Ind. ball-avo, futuro ball-erò, ball-eremo ecc.  I MORFERMI DERIVATI quando creano parole nuove a partire da una base. Es. latte → lattaio, latteria, lattico, allattare. Partendo dal presupposto che l’italiano è una lingua FUSIVA o FLESSIVA: cioè più informazioni “fuse” in un unico morfema. Possiamo distinguere: I MORFEMI LIBERI  “IO”, “IERI”. Che possono costituire una parola da soli; I MORFEMI LEGATI  -A di casa, -O di albero, che si presentano solo in combinazione con un’altra parola; I MORFEMI SEMILIBERI  Es. articoli, preposizioni, ausiliari, pronomi clitici. Sono parole autonome che tuttavia svolgono la loro funzione solo in combinazione con altre parole. ALLOMORFI  Diverse forme che un morfema può assumere in base ad alcuni vincoli (es. Fonetici) • Prefisso in- • In base a vincoli fonetici si assimila alla consonante seguente • In + s → rimane integro • In + p → im- si assimila parzialmente • In + r → irr si assimila totalmente  INSOPPORTABILE IMPERTINENTE IRRIVERENTE Interessa sia i morfemi lessicali sia I morfemi grammaticali. ALLOMORFI IN DISTRIBUZIONE COMPLEMENTARE → O ALLOMORFI CONDIZIONATI, quando in un determinato contesto è possibile una sola forma ALLOMORFI LIBERI O DOPPIONI Quando le varianti di un morfema non sono in distribuzione complementare, ma mutuamente intercambiabili, si dà al parlante la possibilità di optare per una delle forme concorrenti sulla base di scelte personali, di registro ecc. (Palermo, 2020). Visto/veduto; devo/debbo → allomorfi liberi o doppioni. SIGNIFICATO LETTERALE E FIGURATO 1- È un grosso chef → prima del nome → significato FIGURATO («importante»). 2- È uno chef grosso. → significato LETTERALE («di dimensione, di peso») GLI AVVERBI → INVARIABILI E DUNQUE NON SOGGETTI A FLESSIONE Gli avverbi si dividono in:  LESSICALI  SEMPLICI: qui, su, giù… COMPOSTI DA + PAROLE: soprattutto, dappertutto o locuzioni avverbiali come di corsa, di nascosto.  DERIVATI DA AGGETTIVI  Facilmente, velocemente TIPI DI AVVERBIO:  Di modo es. bene, male, forte, piano, tristemente  Di tempo es. ieri, oggi, poco fa, talvolta...  Affermazione Sì, certo, senza dubbio  Di luogo Es. lì, qui, sopra, sotto...  Di quantità poco, tanto, troppo, assai  Giudizio o valutazione negativamente, positivamente  INTERROGATIVO es. dove? quando? come? perché?  ESCLAMATIVO es. come! quanto!  di NEGAZIONE es. no, non, niente affatto...  di DUBBIO es. forse, probabilmente , quasi quasi...  GRADI DI COMPARAZIONE: Grado 0 → velocemente Compar. → più/meno velocemente; tanto v. quanto; Superl → velocissimamente (assoluto ) Il più velocemente (relativo)  PRESENTATIVO es. ecco LEZIONE 9 – LINGUISTICA ITALIANA FLESSIONE DELL’ARTICOLO Articoli indeterminativi  “Ho visto un ladro”; Articoli determinativi  “Ho visto il ladro”, si riferisce a un referente già noto nel discorso. Gli articoli determinativi sono soggetti a dei vincoli fonetici, cioè variano in base al suono che segue. Utilizziamo gli articoli IL e LO per i nomi maschili singolari (es. il cane, lo studente), e gli articoli I e GLI per i nomi maschili plurali. Davanti alle parole che iniziano per -s + consonante utilizziamo lo per il singolare e gli per il plurale (es. lo studente, gli studenti). Utilizziamo, inoltre, lo per i nomi che iniziano per -ps, -pn, -gn, -y, -x. Davanti a parole maschili che iniziano per vocale utilizziamo L’ per il singolare e GLI per il plurale. Per quanto riguarda il femminile utilizziamo gli articoli LA o L’ in base a con cosa inizia la parola, se per consonante o per vocale, e l’articolo LE per il plurale (es. la casa, le case o l’amica, le amiche). FLESSIONE DEI PRONOMI I pronomi variano in base a: -numero, es. io/noi; tu/voi; mi/ci; ti/vi; -genere, es. lui/lei; -funzione sintattica, es. pronome personale soggetto  “ti chiamo io”; es. pronome personale complemento oggetto  “chiamami!”. Pronomi personali soggetto  l’italiano è una lingua PRO DROP, cioè l’espressione del pronome personale soggetto non è obbligatorio (es. che fai?). Di solito esprimiamo il soggetto quando: vogliamo segnalare un’opposizione tra due persone o sulla persona che svolge l’azione (es. io sto studiando) e dopo l’avverbio «anche» (es. anche io sto studiando). Per capire osserva il dialogo: A: Che fai? Io sto studiando. B: Anche io sto studiando. Pronomi allocutivi  pronomi utilizzati per rivolgere la parola ad una persona. Ad esempio: A: In questo momento lei è occupato? B: In questo momento tu sei occupato? Utilizziamo LEI nei contesti formali, questo implica una maggiore distanza dall’interlocutore e una minore confidenza. Mentre utilizziamo TU nei contesti informali, questo implica meno distanza e maggiore confidenza, cioè in un rapporto paritario. Anche il pronome allocutivo LORO è molto formale, quindi, di solito si utilizza il VOI per rivolgersi in modo formale a più persone. Pronomi personali oggetto diretto: tonici e atoni: ME  pronome personale oggetto diretto, forma tonica, porta l’accento; MI  forma atona, non porta l’accento e si appoggia foneticamente alla parola seguente (es. mi chiami?/chiamami). FORME ATONE dei pronomi personali oggetto diretto: Luca mangia la torta: -Luca la mangia → funzione complemento oggetto F.S.; -Luca mangia le torte  Luca le mangia F.P.; -Luca mangia il biscotto → lo mangia M.S.; -Mangia i biscotti → li mangia M.P.; -Luca si è sporcato→ si è riflessivo. Slide 14 da stampare a parte PARTICELLA “SI” “Si prega di lasciare libero il pensiero”  si è una costruzione impersonale, quindi indica un soggetto indefinito. “Come si veste?”  si ha funzione di riflessivo, infatti l’infinito è vestirsi. “Si vendono per 50 euro soluzioni sbagliate ai quiz per patenti nautiche, di volo e di Facciabuck.”  si rende passiva la frase, usato in costrutti con valore passivo e si forma con la particella si + la terza persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo (es. si vendono = sono vendute). PRONOME E PARTICELLA “CI” A: Chi va al supermercato a comprare il pane? B: Ci vado io!  in questo caso ci indica un luogo, quindi si tratta di una particella pronominale con valore LOCATIVO. Ci = a + luogo (es. supermercato) Lì, da + nome /pronome (es. vieni a cena da Anna? Sì, ci vengo. Nel senso ci = da lei). “Ci dai una mano?”  pronome indiretto (comp. di termine), ossia dai una mano “a noi”. “Non ci posso credere”  particella pronominale (cioè quando ci non è usato come pronome personale ma assume altri significati). E’ utilizzata con i verbi che reggono la preposizione a, in, su, con Pensare a (es. ci penso su), Riuscire a (es. non ci riesco), Tenere a (es. ci tengo). PARTICELLA PRONOMINALE “NE” “Ne vuoi un po'”  ne ha valore partitivo (indica una parte di una totalità). “E se poi te ne penti?”  in questo caso ne equivale a di + nome, pronome o frase con verbi che reggono la preposizione di (discutere di, pentirsi di, avere paura di), e con verbi che reggono la preposizione da (uscire da → ne esco; stare lontano da). Inoltre, la particella ne viene utilizzata con i verbi pronominali idiomatici, i quali si costruiscono con la particella -ne, o si + ne: “me ne vado!”, “non me ne importa niente!”, “non ne posso più”, “me ne frego”, “non ne vale la pena”. PRONOMI RELATIVI  che, cui, il quale. I pronomi relativi hanno una duplice funzione: sostituiscono un gruppo nominale e mettono in relazione tra loro due proposizioni (reggente e relativa). 1- Gli studenti che hanno frequentato il corso potranno sostenere l'esame (che=soggetto); 2- il treno che è appena partito era pieno di gente (che=soggetto); 3- Ho letto il libro che mi hai regalato (che=complemento oggetto); 4- Non ho guardato i film che mi hai consigliato (che=complemento oggetto). PRONOMI RELATIVI  CASI INDIRETTI (ossia introdotti da una preposizione): La persona di cui ti ho parlato. La persona della quale ti ho parlato. La persona a cui/alla quale ho chiesto un favore. La città in cui vivo. I pronomi relativi possono essere preceduti da un ANTECEDENTE (= qualcosa espresso precedentemente) es. La città in cui vivo → nome; es. Ciò che voglio dire è..→ pronome dimostrativo; es. Maria non ha telefonato. Il che è molto significativo → frase intera In italiano è presente un fenomeno emergente, ossia il “che polivalente”  uso frequente nel parlato (ma a volte anche nello scritto). Ad esempio, “la persona che ti ho parlato” o “la persona che gli ho chiesto un favore”. Fenomeni dell’italiano parlato (e informale):  verbi intransitivi  non hanno un oggetto diretto;  verbi di movimento  es. andare, venire;  verbi riflessivi  es. vestirsi, lavarsi;  verbi che indicano un cambiamento, es. crescere, morire, diventare;  verbi che indicano uno stato in luogo, es. stare, restare. AUSILIARE AVERE  lo utilizziamo con i verbi transitivi, cioè che hanno un oggetto diretto, ad es. Luca ha preso (cosa?) un antidolorifico. VERBI SERVILI O MODALI  seguiti da un vero all’infinito:  sapere  capacità (es. so andare in bicicletta);  dovere  obbligo o necessità;  potere  possibilità;  volere  volontà. REGOLA GENERALE: I verbi modali potere, dovere, volere, prendono l’ausiliare del verbo che segue: -VENIRE (ESSERE) → NON SONO POTUTO VENIRE; -STUDIARE (AVERE) → NON HO POTUTO STUDIARE; TUTTAVIA OGGI è MOLTO FREQUENTE ANCHE LA COSTRUZIONE CON ENTRAMBI GLI AUSILIARI: SONO DOVUTO PARTIRE VS. HO DOVUTO PARTIRE. 1– I verbi modali vogliono l’ausiliare avere quando sono seguiti dal verbo essere (es. ho voluto essere il primo); 2- Se l’infinito è accompagnato da un pronome atono (mi, si, ti, ci, vi) si usa l’ausiliare essere se il pronome precede l’infinito (es. Ci siamo dovuti cambiare); 3- Se l’infinito è accompagnato da un pronome atono (mi, si, ti, ci, vi) si usa l’ausiliare avere se il pronome è dopo l’infinito (es. Abbiamo dovuto cambiarci). ASPETTO  categoria grammaticale dei verbi che esprime diversi modi di vedere la scansione temporale interna ad una situazione. L’aspetto può essere: PERFETTIVO → AZIONE “colta” NELLA SUA GLOBALITÀ. ES. (1) Marco lesse / ha letto un libro → presenta la totalità della situazione descritta senza riferimento a una sua scansione temporale interna, infatti si tratta di un punto di vista esterno. Singolo processo non ulteriormente scomponibile. Si considera il punto finale dell’azione. IMPERFETTIVO → AZIONE “colta” NEL SUO SVOLGIMENTO. ES. (2) Marco leggeva / stava leggendo un libro →indica un’azione osservata dal suo interno, cioè da un punto qualunque del suo normale svolgimento. Ma nulla consente di prevedere la sua conclusione, cioè se Marco abbia effettivamente terminato il libro. Per quanto riguarda l’aspetto PERFETTIVO, possiamo fare una distinzione tra: COMPIUTO→ AFFIDATO AI TEMPI PERFETTIVI COMPOSTI (PASS. PROSS., TRAPASS. PROSS. E TRAP. REMOTO). Es. Marco è andato a fare la spesa → evento concluso i cui effetti si ripercuotono sul presente. AORISTICO → (DERIVA DAL TEMPO AORISTO DEL GRECO ANTICO). Es. Andrea andò a fare la spesa → l’azione è considerata a prescindere dagli effetti che ha sul presente, come un EVENTO SINGOLO, interamente CONCLUSO, senza alcun collegamento con la situazione attuale, questa è una caratteristica del passato remoto. Per quanto riguarda l’aspetto IMPERFETTIVO, possiamo fare una distinzione tra: PROGRESSIVO  esprime nel passato azioni in svolgimento, interrotte da altre espresse al passato prossimo (es. Leggevo un libro, quando è arrivata Maria; Mentre venivo a scuola, ho incontrato tuo fratello). ABITUALE  un’azione che si ripeteva abitualmente nel passato (es. Da piccolo andavo sempre in vacanza in Toscana). CONTINUO → descrive una situazione precisa in cui si ripete (in modo contino e senza interruzioni) una certa azione (es. Durante la lezione gli studenti sbadigliavano). DIATESI  (dal gr. diáthesis, lett. «disposizione») si tratta di una categoria propria dei verbi che serve a esprimere le correlazioni tra le funzioni fondamentali della frase (soggetto, oggetto diretto, ecc.) e i ruoli semantici richiesti dall’azione che esso esprime. Essa può essere attiva, passiva e riflessiva. ATTIVA: - Andrea ha abbracciato Maria (Andrea sogg. attivo che controlla l’evento); -Andrea ha paura degli abbracci (Andrea soggetto che sperimenta una condizione); -La pioggia ha distrutto i raccolti (la pioggia è lo strumento con cui l’evento si compie). PASSIVA: -Gianni è stato licenziato (Gianni è il soggetto “paziente” che subisce l’azione); -Gianni è stato licenziato dal direttore (direttore è l’agente che compie l’azione). RIFLESSIVA  prevede l’uso di pronomi clitici riflessivi come mi, ti, si, ci, ci, e l’azione interessa o si ripercuote in qualche modo sul soggetto sintattico: - riflessivi indiretti o apparenti (es. mi lavo le mani  io lavo le mani a me); -riflessivi diretti o propri (es. mi lavo, mi vesto  lavo, vesto me stesso); -riflessivi reciproci (es. Maria e Alberto si amano  si amano l’un l’altro). SEMPLIFICAZIONE DEL SISTEMA VERBALE DELL’ITALIANO CONTEMPORANEO  diversi tempi e modi verbali vengono sostituiti da altri. Es. “Domani vado al mare”  utilizziamo il presente anziché il futuro. Es. “Sarà se lo dici tu”  futuro con valore epistemico. Il passato remoto, soprattutto nel parlato, è stato sostituito dal passato prossimo (es. Il conte morì  Il conte è morto. Nelle richieste assistiamo all’uso dell’imperfetto indicativo anziché del condizionale (es. “Volevo chiederti un favore” anziché “Vorrei chiederti un favore”). Questo mitiga la richiesta rendendola meno impegnativa. Inoltre, oggi è frequente l’uso del presente al posto del congiuntivo, soprattutto nel parlato informale (es. “Speriamo che la quarantena finisce presto”.) “Il congiuntivo è morto, dicono. Omicidio, suicidio o evento accidentale? Credo si tratti della conseguenza logica di un fenomeno illogico. Sempre meno italiani, quando parlano, esprimono un dubbio; quasi tutti hanno opinioni categoriche su ogni argomento (vino e viaggi, case e calcio, sesso e sentimenti). Pochi dicono "Credo che col pesce si possa bere anche il vino rosso". I più affermano "Credo che col pesce si può bere anche il vino rosso" (poi ordinano Tavernello bianco frizzante). La crisi del congiuntivo non deriva dalla pigrizia, ma dall’eccesso di certezze (…) ed ha un’origine chiara: pochi oggi pensano, credono, ritengono; tutti sanno e affermano. Chi esprime cautela (e usa il congiuntivo) rischia di passare per insicuro”. LA SINTASSI E IL SINTAGMA Il termine “sintassi” deriva dal greco antico syntaxis che significa organizzazione, associazione, infatti studia il modo in cui le parole si combinano per formare delle frasi. L’unità di studio è il sintagma, inteso come una o gruppi di parole che svolgono la stessa funzione, e si colloca a livello intermedio tra le singole parole e le frasi. Es. Quanti sintagmi ci sono nella frase: Maria è uscita. Maria → SINTAGMA NOMINALE È uscita → SINTAGMA VERBALE In questo caso il sintagma nominale è costituito solo da una parola e non da un gruppo di parole. Es. Il papa di Maria mangia la pizza con calma: Il papà di Maria→ SINTAGMA NOMINALE Mangia la pizza con calma→ SINTAGMA VERBALE I sintagmi oltre ad essere formati da gruppi di parole che svolgono la stessa funzione, sono formati anche da un’unità sintattica coesa. Cioè provando a modificare il precedente sintagma nominale “Il papà di Maria” si ottengono: di il Maria papà/ papà il Maria di/ di Maria papà il. Oppure ancora provando a modificare l’ordine del sistema nominale e verbale si ottiene: “mangia la pizza con calma, il papà di Maria”. Quindi lo spostamento effettuato nel primo caso non è possibile, in quanto il sintagma ordinato in diverso modo perde la sua unità sintattica coesa; nel secondo caso è possibile, in quanto è stato effettuato solo lo spostamento dell’intera frase appartenente al sintagma nominale e verbale. Dunque, in questo ultimo caso mantiene l’unità sintattica coesa. SINTAGMA VERBALE All’interno di una struttura possiamo individuare una struttura di tipo gerarchico. Nel sintagma verbale “Mangia la pizza con calma” ciascuna parola ha una sua importanza a livello gerarchico di più o di meno rispetto all’altra. In questo caso il verbo “piove” non ha bisogno di nessun elemento che svolga la funzione di oggetto o di soggetto. Quindi questo verbo non ha delle valenze, in quanto non ha nessun elemento che si lega a sé. ES. Quanti e quali elementi sono necessari perché questa frase “Marco insegue” abbia significato? Questa frase risulta incompleta, in quanto il verbo “insegue” ha bisogno di un elemento che svolge la funzione di soggetto e di un elemento che svolge la funzione di oggetto (chi o che cosa insegue?). Quindi il verbo non ha completato i suoi legami di valenza per costruire il significato della frase. ES. Quali elementi sono necessari perché questa frase “Marco insegue Carlo” abbia significato? In questo caso il verbo “insegue” risulta completo perché ha legato a sé un elemento in funzione di soggetto (Marco) e un elemento in funzione di oggetto (Carlo). Il verbo, in base all’evento che descrive, coinvolge un certo numero di «partecipanti», detti «argomenti del verbo» (Es. argomento soggetto o argomento oggetto). Questi legami prendono il nome di «valenza». Quindi il verbo piovere è un verbo atmosferico zerovalente cioè è del tutto autosufficiente, infatti non necessita di nessun argomento né in funzione di soggetto che di oggetto. Il verbo correre è un verbo monovalente, cioè ha bisogno di un solo argomento (argomento soggetto). Il verbo inseguire è un verbo bivalente, cioè ha bisogno di due argomenti (argomento soggetto e oggetto diretto). Il verbo come già detto prima in base all’evento che descrive crea legami differenti con gli altri elementi della frase. Come, ad esempio, il verbo leggere è un verbo bivalente quando ha bisogno di due argomenti quello del soggetto e quello dell’oggetto diretto (Es. Marco legge un libro); ma può essere usato anche in senso assoluto, cioè senza oggetto quindi come verbo monovalente (Es. Marco legge). ES. Quanti argomenti sono presenti nella frase “Mario ha regalato un fascio di rose a Lucia”? In questa frase sono legati al verbo regalare ben tre argomenti, ovvero l’argomento soggetto (Mario), l’argomento oggetto diretto (un fascio di rose) e l’argomento oggetto indiretto, cioè costituito da una preposizione (a Lucia). Il verbo regalare è infatti, un verbo trivalente, cioè ha bisogno di tre argomenti (argomento soggetto, oggetto diretto e oggetto indiretto). Un verbo può legare a sé anche oltre tre elementi, come il verbo tradurre. Nella frase “Lucia ha tradotto il testo dall’inglese all’italiano” il verbo tradurre è legato ha ben quattro argomenti. È un verbo tetravalente, cioè ha bisogno di quattro argomenti (argomento soggetto= Lucia, un argomento oggetto diretto= il testo, due argomento oggetto indiretti= dall’inglese e all’italiano). In ogni frase bisogna individuare il nucleo, costituito dal verbo o da altro elemento e dai suoi argomenti. Nella frase “piove” il nucleo è costituito soltanto dal verbo; nella frase “Marco corre” il nucleo è costituito dal verbo e dall’argomento soggetto; nella frase “Marco insegue Lucia” il nucleo è costituito dal verbo, dall’argomento soggetto e dall’argomento oggetto diretto. Nella frase “Lucia traduce un testo dall’inglese all’italiano” il nucleo è costituito dal verbo, dall’argomento soggetto, dall’argomento oggetto diretto e da due argomenti oggetti indiretti. Oltre agli elementi legati al verbo intesi come argomenti, si possono individuare anche ELEMENTI EXTRANUCLEARI, i quali arricchiscono le informazioni presenti nel nucleo. Ad esempio, nella frase “Andrea prepara la pizza” possono aggiungersi diversi elementi extra nucleari come Il sabato sera/ volentieri/ Insieme alla mamma/ In cucina. Esercizi: 1) Forse Sofia non ha gradito il regalo del suo fidanzato= il nucleo è “Sofia non ha gradito il regalo”; 2) Con passo svelto, la bambina stava percorrendo di buon umore il corridoio= il nucleo è “la bambina stava percorrendo il corridoio”; 3) Il gatto dorme in cucina da due ore= il nucleo è “il gatto dorme”; 4) Ieri Maria ha prestato un libro a Giorgio= il nucleo è “Maria ha prestato un libro a Giorgio”; 5) Luca esce perché è stanco di studiare= il nucleo è “Luca esce”; In italiano la struttura degli elementi che costituiscono una frase, segue un ordine ben preciso, ovvero prima il soggetto, poi il verbo e poi l’oggetto (Es. Maria mangia una mela). in italiano quest’ordine soggetto, verbo, oggetto è definito non marcato, cioè quello che usiamo con più frequenza. Anche se nel parlato è spesso alterato (Es. una mela mangia Maria). Riprendendo la grammatica tradizionale bisogna conoscere bene le distinzioni tra i costituenti frasali, cioè tra soggetto, verbo e complementi. SOGGETTO = è l’elemento della frase che determina l’accordo con il verbo, cioè se il soggetto è singolare necessariamente anche il verbo è singolare. Esistono a sua volta diverse tipologie di soggetto: Andrea mangia → AGENTE, cioè è l’entità che compie l’azione e ne è responsabile; Andrea sogna → ATTORE, cioè è l’entità che realizza l’azione ma non la controlla; Andrea è stato svegliato → PAZIENTE, cioè è l’entità che subisce gli effetti dell’azione; Andrea soffre di insonnia → ESPERIENTE, cioè è l’entità che sperimenta un certo stato d’animo; Esercizi: Qual è il soggetto in queste frasi? 1) Emozionante è l’unica definizione per quel film= Il soggetto è costituito da un aggettivo «emozionante»; 2) Prudentemente è il solo modo per gestire la situazione= Il soggetto è costituito da un avverbio «prudentemente»; Nell’italiano parlato possono accadere fenomeni in cui il verbo non concorda sintatticamente con il soggetto ma hanno una concordanza a senso, cioè il verbo può essere plurale quando il soggetto è singolare. Es. Hanno partecipato al sondaggio una decina di studenti= “hanno partecipato” è il verbo plurale, “una decina” è il soggetto singolare. Nello scritto è meglio rispettare la concordanza sintattica (Es. Ha partecipato al sondaggio una decina di studenti). Secondo la grammatica tradizionale, i complementi sono costituenti frasali diversi dal soggetto e dal verbo che però completano la frase. Gli aspetti negativi sono le troppe distinzioni (circa 30 tipi di complemento) e i criteri di classificazione spesso non chiari). Secondo invece, la grammatica valenziale, non si parla di complementi ma di argomenti ed elementi circostanziali del verbo. Es. Io abito a Roma= nella grammatica tradizionale “a Roma” rappresenta il complemento di luogo, mentre nella grammatica valenziale rappresenta un elemento che serve a dare significato al verbo abitare. Esistono diversi tipi di frase semplice: - DICHIARATIVA= Esprime un grado di verità rispetto a quanto detto nell’enunciato. Può essere affermativa, negativa o esprimere dubbio/incertezza attraverso l’uso di altri elementi (Es. piove/ forse piove/ non piove); - INTERROGATIVA= si distinguono a loro volta in interrogative sincere costituite da Domande TOTALI, cioè quelle che richiedono una risposta affermativa o negativa, sì/no (Es. Hai finito di studiare?); da Domande con alternativa, chiamate interrogative disgiuntive (Es. Preferisci il vino o la birra?); da Domande parziali (Es. Cos’hai fatto nel fine settimana? Dove sei stato?); le interrogative orientate sono costituite invece, da domande retoriche → pensi che io sia uno stupido? (risposta attesa: no) oppure Non è vero che la prof. Bocciato tutti? (risposta attesa: sì); - ESCLAMATIVA= si distinguono a loro volta in esclamative totali, quando non presentano elementi esclamativi (Es. è stata una sorpresa grandissima!); in esclamative parziali, quando sono introdotte da un elemento che (Es. Che bella sorpresa!); - IMPERATIVE= La frase imperativa esprime una richiesta di azione (ordine, istruzione, permesso, esortazione) oppure l’emittente è dominante rispetto al ricevente (Es. Apri la porta! - Finiscila! - Dimmi la verità!); - OTTATIVE= La frase ottativa o desiderativa esprime desideri, auspici, speranze. Retta da congiuntivo imperfetto o trapassato. (Es. Magari superassi l’esame/avessi superato l’esame). IL SOGGETTO  In italiano il soggetto si riconosce da una proprietà fondamentale: è l'elemento della frase che si accorda col predicato nei verbi di modo finito. L'accordo riguarda la persona il numero e in alcuni casi si estende anche al genere. Inoltre, il soggetto precede il verbo l'italiano infatti è una lingua a costruzione progressiva e di conseguenza l'ordine è soggetto verbo oggetto. È una funzione grammaticale complessa virgola che si manifesta su più piani: logico semantico, morfologico, sintattico e testuale, e per questo motivo sfugge tentativi di elencarne tutte le proprietà in una definizione semplice. I ruoli semantici descrivono la funzione che è un argomento assume nell’ evento descritto dal verbo, dipendono quindi in ultima istanza dalla struttura argomentare del verbo. il soggetto, pur mantenendo sempre la medesima funzione grammaticale può svolgere ruoli semantici distinti: svolge il ruolo di agente, di impaziente o di esperiente. In italiano l'espressione del soggetto è facoltativa. Questo è un parametro molto importante per la classificazione tipologica delle lingue. Dal punto di vista funzionale in italiano la presenza di un soggetto espresso nella maggior parte dei casi ridondante virgola in quanto la morfologia del verbo consente di recuperare le informazioni su un numero e persona del soggetto. La costruzione a tema sospeso è un tipo particolare di dislocazione a sinistra: Promesse, ne hanno fatte già abbastanza! La funzione pragmatica è la stessa: evidenziare un tema diverso dal soggetto; la differenza consiste nel fatto che l’elemento dislocato non è preceduto dalla preposizione, che svolge una funzione di segnacaso, quindi manca l’indicazione della sua funzione sintattica. La passivizzazione rientra nelle strategie di tematizzazione perché anticipa in posizione preverbale l'oggetto della corrispondente frase attiva, presentandolo come soggetto. In tal modo si realizza un riallineamento tra tema e parte sinistra della frase analoga a quello ottenuto con la dislocazione a sinistra. La dislocazione a destra interessa le stesse tipologie di costituenti, cioè l'oggetto diretto, un complemento indiretto, un'intera frase: Ne abbiamo parlato a sufficienza di questo argomento. La dislocazione a destra svolge a seconda dei casi due funzioni distinte:  evidenzia il verbo e conseguentemente pone in secondo piano l'oggetto o il complemento indiretto dislocato  Nel parlato spontaneo può essere frutto di un ripensamento: un elemento viene introdotto come già noto all' interlocutore mediante un pronome clitico. Costruzioni focalizzanti La focalizzazione di un costituente, cioè la messa in evidenza del suo ruolo dire ma, può avvenire attraverso il suo spostamento rispetto alla posizione che occupa normalmente nella frase. per esempio, per focalizzare il soggetto lo si può pospone al verbo: Lui ha pensato a tutto  ha pensato lui a tutto Specularmente, per focalizzare un costituente che normalmente si trova a destra del verbo, lo si anticipa la sua sinistra mediante una costruzione che prende il nome di anteposizione contrastiva: Dovresti chiedere scusa a Marco  a Marco, dovresti chiedere scusa. In questa costruzione la frase non marcata idealmente sottostante viene divisa in due proposizioni, la prima caratterizzata dal verbo essere più l'elemento focalizzato, la seconda dal che più il resto della frase. Quando l'elemento focalizzato il soggetto, la frase scissa presenta una variante implicita, costruita con a più verbi all'infinito: È Marco a non volermi parlare. Le frasi scisse, poiché utilizzano sia la marcatezza intonativa sia quella sintattica, evidenziano chiaramente la struttura informativa della frase anche nella lingua scritta. Sono perciò più facilmente utilizzabile nel testo scritto rispetto alle anteposizioni contrastive. Simili alle frasi scisse sono le pseudoscisse. Se ti dico questo è perché ti sono amico. Questa frase ha in comune con le scisse canoniche il fatto che la potenziale frase normale non marcata di partenza viene spezzata in due segmenti mediante il ricorso a una struttura copulativa. LA FRASE COMPLESSA  La frase complessa è costituita dall'unione di più frasi semplici. Il collegamento si può realizzare attraverso: a. La giustapposizione: ho fatto tardi: non farò colazione. b. La coordinazione o paratassi: ha preso le chiavi ed è uscito. c. La subordinazione o ipotassi: non ha dimenticato le chiavi perché è uscito di corsa. Con la coordinazione si istituisce una relazione paritaria tra i due elementi. Le grammatiche individuano di solito 5 tipi di coordinazione: copulativa (né, anche, pure), avversativa (ma, però, tuttavia), disgiuntiva (o, oppure, ovvero), conclusiva (quindi, pertanto, perciò), dichiarativa (infatti, cioè). La coordinazione copulativa rappresenta in un certo senso la coordinazione Prototipica virgola in quanto combina due proposizioni per semplice aggiunta di una all'altra: Marco ha mangiato una pizza e ha bevuto una birra. L' indeterminatezza semantica rende e polifunzionale punto di conseguenza non sono infrequenti casi in cui la congiunzione può sottintendere una relazione temporale, causale, ipotetica. Abbiamo quindi una connessione tra le frasi che dal punto di vista formale e coordinativo ma da quello logico semantico è assimilabile alla subordinazione. Con la subordinazione si istituisce una relazione gerarchica: uno dei due elementi è presentato come dipendente dall’altro punto la proposizione da cui dipende la subordinata e detta anche reggente appunto a differenza di quanto avviene nella coordinazione, la classificazione delle subordinate si presenta molto più frammentata. Le subordinate sono riconducibili a tre grandi categorie: 1. Argomentali. Costituiscono l'espansione di uno degli argomenti del verbo della frase principale; Rientrano in questa categoria le soggettive, che possiamo immaginare come espansioni del soggetto è necessaria la sua rinuncia / è necessario che lui rinunci; Abbiamo poi le oggettive che costituiscono espansioni dell'oggetto: riconosco la sua bravura /riconosco che bravo. 2. Non argomentali. Svolgono una funzione analoga a quella degli elementi circostanziali della frase semplice, cioè consentono di determinare o specificare alcuni aspetti di quanto è detto nella principale. 3. Relative. Costituiscono una categoria a sé perché a differenza delle precedenti non sono l'espansione del verbo della frase reggente, ma del punto d'attacco del pronome relativo, cioè di un elemento nominale: hai visto il film di cui ti ho parlato? INCISI E COSTRUZIONI SEMANTICHE  La progressione lineare di un testo può essere interrotta dall' inserzione di segmenti di diversa estensione che hanno l'effetto di porre le informazioni su un piano diverso e accessorio rispetto a quello principale. Tali inserti prendono il nome di incisi e nello scritto sono facilmente identificabili perché è racchiusi tra parentesi, lineette o virgole. fette gli incisi puri raccordati col testo principale sono sintatticamente autonomi punto, quindi, non stabiliscono una gerarchia sintattica, quanto piuttosto una gerarchia semantica. essi sono di solito indipendenti tra loro nel senso che ciascuno interviene a modificare la frase entro cui è inserito e di solito non stabilisce relazioni con eventuali incisi precedenti o successivi. LE NOMINALIZZAZIONI  Possiamo ricavare nomi da verbi: assestare/assestamento, costruire/costruzione… Questi nomi, chiamati deverbali, si comportano come nome dal punto di vista della morfologia, cioè Varano nel numero ma non nel tempo, nel modo e nell’aspetto; dal punto di vista semantico si comportano invece come verbi perché indicano un azione e possono avere una struttura Argomentale. L'ingegnere ha progettato il viadotto. La progettazione del viadotto da parte dell’ingegnere La trasformazione di questa frase è ottenuta attraverso la sostituzione di un nome deverbale a un verbo e si definisce nominalizzazione. Quando questo accade i verbi come fare, dare, apprendere sono definiti verbi di supporto. Le costruzioni con verbo supporto + nome sono funzionalmente assimilabili alle nominalizzazioni. Le ragioni che determinano la frequenza delle nominalizzazioni in un testo vanno ricercate nelle modalità di progettazione del testo, nella scelta del canale, nell’adeguamento a convenzioni testuali e discorsive. Nell’italiano di oggi le nominalizzazioni, insieme ad altri procedimenti sintattici come l'uso del passivo, sono caratteristici di molti linguaggi specialistici, del linguaggio burocratico e di quello politico-giornalistico. CONNETTIVI  I connettivi collegano porzioni più o meno ampie di testo stabilendo dei rapporti di coordinazione o di dipendenza gerarchica: in tal senso sono uno strumento per realizzare la coesione. Al tempo stesso articolo dal punto di vista logico e semantico il testo in unità minori e guidano il ricevente nell’interpretazione: sono uno strumento al servizio della coerenza. In altre parole, i connettivi segnalano sia un legame sintattico sia un legame semantico, nel senso che possono darci informazioni sulla natura e sul significato del collegamento. RAPPORTO DI SUBORDINAZIONE (IPOTASSI)  Ti ho telefonato (principale) perché volevo sentirti e per parlare un po' con te. TIPO DI PROPOSIZIONE CONGIUNZIONE ESEMPIO COPULATIVA (aggiunta di una proposizione a un’altra) e, anche, né, neppure, nemmeno Non l’ho visto né l’ho sentito. DISGIUNTIVA (esprime una preferenza tra due alternative) O, oppure, ovvero Non so se partire o restare. CONCLUSIVA (introduce la conseguenza logica rispetto a quanto detto precedentemente) Quindi, pertanto, dunque, perciò Sono in ritardo, quindi prenderò un taxi. DICHIARATIVA O ESPLICATIVA (introduce un secondo elemento che conferma, giustifica o chiarisce il primo) Infatti, cioè Alberto ha ancora la febbre. Infatti, non è venuto a scuola. Puoi prestarmi gli appunti dell’ultima lezione, cioè quella di ieri? AVVERSATIVA (esprime un contrasto tra due elementi) Ma, però, tuttavia, eppure, bensì Gli attori sono bravi, ma il film non mi piace. VALORE AVVERS. OPPOSITIVO (opposizione netta tra 2 termini) Ma, bensì, anzi, invece L’esame non è oggi ma domani. VALORE AVVERS.- LIMITITATIVO (introduce un concetto che limita la validità di quanto detto in precedenza. In questo caso, ha un valore simile a però, tuttavia, d’altra parte..) Ma, però, tuttavia Mario è un bel ragazzo, ma non è molto simpatico. CORRELATIVA Sia…sia; né…né, non solo…ma; o….o Non voglio né vederti né sentirti! La squadra ha vinto non solo il campionato regionale ma anche quello nazionale. MA OPPOSITIVO E MA LIMITATIVO La congiunzione MA ha due significati diversi: 1- avversativo – oppositivo  quando stabilisce un’opposizione netta tra due termini: es. il semaforo non è verde, ma è rosso; 2- avversativo - limitativo (come però e tuttavia)  quando introduce un concetto che limita la validità di quello che è stato detto precedentemente: es. fa freddo, ma è una bellissima giornata. Le proposizioni subordinate possono essere: ESPLICITE  quando hanno il verbo di modo FINITO (indicativo, congiuntivo, condizionale); IMPLICITE  quando hanno il verbo di modo INDEFINITO (infinito, gerundio, participio). SUBORDINATE ARGOMENTALI  costituiscono un’espansione di uno degli argomenti del verbo della frase principale e svolgono funzioni diverse. ES: Ho saputo che vorresti fare l’insegnante. Si tratta di una proposizione oggettiva esplicita introdotta da “che”, ho saputo che (che cosa?) farai l’insegnante (funzione di complemento oggetto). ES: Credo di essermi perso da qualche parte. Si tratta di una proposizione oggettiva implicita introdotta da “di + infinito”. Chi è il soggetto della principale? Chi è il soggetto della subordinata?  è lo stesso (io). Questa costruzione è possibile solo quando i due soggetti coincidono. TIPO DI PROPOSIZIONE INTRODOTTE DA VERBI OGGETTIVE IMPLICITE: Introdotte da di + infinito (quando i sogg. Coincidono) Nomi: la gioia di vederti; Aggettivi: lieto di conoscerla Dichiarativi: affermare, dire, comunicare, narrare, raccontare.. D’opinione, giudizio, dubbio: credere, ritenere, dubitare.. Di volontà, desiderio, impedimento, timore: volere, desiderare, sperare, impedire, temere OGGETTIVE ESPLICITE: Introdotte da che + indicativo, congiuntivo, condizionale PROPOSIZIONI OGGETTIVO OBLIQUE  hanno la funzione di complemento indiretto. Sono rette da verbi intransitivi pronominali come ricordarsi, convincersi, rallegrarsi, sforzarsi + preposizione). ES: A. Mi sono ricordato di prendere appunti. B. Mi sono sforzato di mangiare. PROPOSIZIONI SUBORDINATE DICHIARATIVE  (non sono espansioni del verbo). In forma esplicita spiegano un elemento della principale (spesso rappresentato da pronomi dimostrativi o aggettivi dimostrativi oppure da pronomi Indefiniti o da aggettivi indefiniti oppure dall’avverbio così), sono introdotte dalla congiunzione che, e presentano il verbo all’indicativo, al congiuntivo o al condizionale. In forma implicita, invece, sono introdotte dai due punti o da di e presentano il verbo all’infinito. ESEMPI: a) Da tempo mi ero accorto di questa cosa: che eri un tifoso sfegatato. b) Aspettavamo solo questo, che il concerto cominciasse. c) Sarebbe andata così: che ti saresti ferito. d) Questo sarebbe giusto: aiutare i più sfortunati. e) Di una cosa mi pento, di non aver installato l’antivirus. PROPOSIZIONI INTERROGATIVE INDIRETTE  esprimono una domanda o un dubbio in forma indiretta. A differenza delle interrogative dirette, che sono frasi indipendenti, le interrogative indirette dipendono da una proposizione reggente. Esse possono dipendere da: • verbi che esprimono domanda: domandare, chiedere, informarsi ecc.: “mi chiedo se sia felice”; • verbi o locuzioni verbali che esprimono un dubbio: dubitare, ignorare, non sapere, non capire, indovinare: “indovina chi è venuto a trovarci”; • verbi che rinviano al significato di “dire”: dire, indicare, informare, raccontare, mostrare: “dimmi cosa vuoi per cena”, “mi raccontò perché lo aveva fatto”; • verbi di percezione: vedere, guardare, osservare: “avete visto cosa è successo?”; • verbi che rimandano al significato di “conoscere” e “non conoscere”: sapere, ricordare, sentire, ignorare, rendersi conto, scoprire, notare, imparare, dimenticare: “ricordava bene quanto fosse difficile”; • verbi che rinviano al significato di “decidere”: decidere, determinare, essere d’accordo: “il presidente non ha ancora deciso cosa fare”; • verbi che indicano rilevanza: importare, curarsi, essere rilevante: “non mi importa cosa pensi”; • reggono l’interrogativa indiretta anche alcuni sostantivi (domanda, dubbio, problema, ecc.): “si poneva il problema se andare o no all’incontro”; e aggettivi (essere incerto, essere dubbioso). TIPI DI INTERROGATIVE INDIRETTE  come le interrogative dirette, anche le interrogative indirette si dividono in parziali (non so chi è arrivato) e totali (non so se è arrivato qualcuno): • le interrogative indirette parziali sono introdotte dagli stessi elementi che introducono un’interrogativa diretta parziale, cioè: chi, che, che cosa, quando, quanto, come, dove , perché, quale ecc.: “mi ha chiesto come mi chiamavo”; Quando l’interrogativa indiretta dipende da un verbo che regge una preposizione l’elemento interrogativo è preceduto dalla preposizione richiesta dal verbo: “sono incerto su quale corso scegliere”, “non mi sono reso conto di cosa stavi passando”; • le interrogative indirette totali sono introdotte dalla congiunzione se: “non ho ancora deciso se venire”; • le interrogative indirette che pongono un’alternativa sono dette disgiuntive. Nelle disgiuntive il primo termine è sempre introdotto dalla congiunzione se, il secondo dalla congiunzione o, oppure: “non so se venire con voi o stare a casa”. Se l’alternativa è radicale il secondo membro è rappresentato dall’avverbio di negazione no: “non so se venire oppure no”. SCELTA DEL MODO VERBALE NELLE INTERROGATIVE INDIRETTE  Indicazioni generali: • se l’interrogativa indiretta è retta da una forma affermativa del verbo dire troveremo l’indicativo: "dimmi con chi sei"; • se è retta da un verbo di percezione in forma affermativa troveremo l’indicativo: "abbiamo visto cosa hai fatto"; cosicché, tanto che, a tal punto che, al punto che, di modo che, in modo che, in maniera che ecc.): es. era stanco, sicché è andato a dormire. Gli antecedenti fondamentali sono così: - così: può precedere un aggettivo, un participio o un avverbio: es. la nebbia era così fitta, che non si vedeva nulla; - tanto: può essere avverbio o aggettivo: es. ho corso tanto, che mi è venuto il fiatone; ho remato con tanta forza, che ora mi fanno male le braccia; propria di un registro colloquiale sono le intensificazioni così tanto e talmente tanto; - tale: si usa come aggettivo, senza articolo o con l’articolo indeterminativo: la paura era tale che siamo rimasti pietrificati; avevamo una tale paura che siamo rimasti pietrificati; - talmente: modifica un aggettivo, un participio o un avverbio, tranne gli avverbi che finiscono in – mente: l’equazione era talmente difficile che nessuno è riuscito a risolverla. Il costrutto implicito si può avere quando i soggetti della reggente e della subordinata coincidono: es. ero così commossa (io) da non poter parlare (io); ma anche quando la subordinata ha un soggetto generico: es. ha un profumo da perdere la testa. Le consecutive implicite hanno il verbo all’infinito e sono introdotte: dalle preposizioni da, di e per spesso precedute da un antecedente: -così da, tanto da, fino a, al punto di, in modo da, talmente da: es. è bello da impazzire (senza antecedente), es. è abbastanza grande per capire il problema; es. sono nervoso al punto di piangere; -da aggettivi come degno o indegno seguiti da di + infinito: es. non sei degno di essere premiato. PROPOSIZIONI CONCESSIVE  esprimono un rapporto di causalità non rispettato. Facciamo un esempio, nella frase: benché io sia stanco, continuerò a studiare il rapporto tra reggente e concessiva è opposto a quello esistente tra reggente e causale: poiché sono stanco, smetto di studiare. Le concessive possono essere esplicite o implicite. Le concessive esplicite sono introdotte da: -congiunzioni: benché, sebbene, nonostante, quantunque, malgrado, ancorché; - locuzioni: per quanto, nonostante che, malgrado che, con tutto che, quand’anche, ammesso che, anche se. In questi casi il modo verbale usato è il congiuntivo: es. sebbene sia ricco, non spende un soldo; es. malgrado non lo meritasse, ha vinto la gara. L’indicativo è tollerato in registri molto colloquiali, è sempre possibile invece l’indicativo futuro per contrassegnare una un’azione posteriore rispetto alla reggente. Il condizionale è usato per sottolineare il valore eventuale: es. farò un solo esempio, benché se ne potrebbero fare molti altri, es. non mi inventerò una scusa, anche se sarebbe più facile. Con le congiunzioni anche se, pure se, con tutto che il verbo può essere all’indicativo: es. lavora anche se è malato; con tutto che ha mangiato poco, non ha digerito; al congiuntivo imperfetto o trapassato, es. lavorerebbe anche se fosse malato. Le concessive implicite possono essere costruite con: - pur, pure o anche seguiti dal gerundio: es. pur essendo in ritardo, arrivammo in tempo; anche risparmiando, non riuscirei a permettermi quel vestito; -con per e l’infinito: per essere (=sebbene sia) così giovane, è molto sveglio; se la reggente è negativa, con nemmeno a, neanche a, neppure a, manco a e l’infinito, nemmeno a può ridursi al semplice a; es. non trovo una camera (nemmeno) a pagarla; -con la locuzione a costo di seguita dall’infinito: es. finirò il progetto, a costo di lavorare tutta la notte. PROPOSIZIONI CONDIZIONALI  esprimono la condizione necessaria per l’avverarsi di quanto è affermato nella principale. Proposizione condizionale + proposizione reggente = PERIODO IPOTETICO Es: SE POTESSI (pròtasi), ANDREI IN ROMANIA (apòdosi). L’ordine più diffuso delle due frasi del periodo ipotetico è PROTASI + APODOSI: Es: se nevicherà, staremo in casa; ma si può avere anche l’ordine inverso: es. staremo in casa, se nevicherà. A seconda del grado di probabilità dei fatti indicati nella subordinata, il periodo ipotetico viene suddiviso in tre tipi: 1. periodo ipotetico della realtà (1°tipo)  l’ipotesi è presentata come un fatto reale o comunque plausibile, per esempio: – se mangi molti molti dolci (protasi), ingrassi sicuramente (apodosi); – se perderai il treno (protasi), arriverai in ritardo (apodosi). 2. periodo ipotetico della possibilità (2° tipo)  l’ipotesi è presentata come possibile, perché il fatto potrebbe o non potrebbe accadere, per esempio: – se venissi con me (protasi), ti divertiresti un sacco (apodosi); Qualche esempio: – se avessi i soldi, ti comprerei un bel regalo; – mangerei una pizza, se avessi fame; – se venissi da me stasera, potremmo guardare un film. 3. periodo ipotetico dell’irrealtà (3° tipo)  ci sono due forme: 1. SE + CONGIUNTVO TRAPASSATO: Se avessi studiato la lezione ora saprei fare questo esercizio. Si tratta di un’ipotesi non realizzata nel passato; 2. CONDIZIONALE SEMPLICE: ora saprei fare questo esercizio. Si tratta di una conseguenza non realizzata nel presente. In questo caso: – la PROTASI esprime un’ipotesi non realizzata nel passato, cioè qualcosa che sarebbe potuto succedere, ma non è successo; – l’APODOSI esprime una conseguenza non realizzata nel momento presente; → se + congiuntivo trapassato + condizionale semplice: – se fossi andato dal dottore (protasi), oggi non sarei malato (apodosi); – se non avessi perso tempo (ipotesi non realizzata nel passato), ora non sarei in ritardo (conseguenza non realizzata nel presente). SE + CONGIUNTIVO TRAPASSATO CONDIZIONALE PASSATO Se avessi avuto tempo ti avrei chiamato Ipotesi non realizzata nel passato Conseguenza non realizzata nel passato In questo caso: – la PROTASI esprime sempre un’ipotesi non realizzata nel passato; – l’APODOSI esprime una conseguenza non realizzata nel passato; → se + congiuntivo trapassato + condizionale passato: – se mi fossi svegliata prima (protasi), non avrei perso il treno (apodosi); – se ci avessero avvertito in tempo (ipotesi non realizzata nel passato), saremmo venuti anche noi (conseguenza non realizzata nel passato). Nell’italiano parlato a volte la forma: SE + CONGIUNTIVO TRAPASSATO + CONDIZIONALE è sostituita con SE + INDICATIVO IMPERFETTO + IMPERFETTO. PROPOSIZIONI TEMPORALI  indicano le circostanze di tempo in cui si svolgono i fatti espressi nella proposizione principale. 1. RAPPORTO DI CONTEMPORANEITÀ → gli eventi della reggente e della subordinata sono contemporanei; 2. RAPPORTO DI ANTERIORITÀ → l’evento della reggente è posteriore a quello della subordinata; 3. RAPPORTO DI POSTERIORITÀ → l’evento della reggente è anteriore rispetto a quello della subordinata. Elementi che introducono le temporali che esprimono un rapporto di contemporaneità: • quando: è la congiunzione temporale per eccellenza, può introdurre rapporti di contemporaneità, anteriorità e posteriorità; • che: la congiunzione che può introdurre significati temporali, la temporale introdotta da che segue sempre la reggente: sono arrivata che (=mentre) stavate uscendo; • mentre: la congiunzione mentre sottolinea la durata dell’azione contemporanea al fatto della proposizione reggente e per questo non ammette i tempi perfettivi (come il passato prossimo o il passato remoto). La collocazione rispetto alla reggente può variare: mentre studia ascolta la radio; ascolta la radio mentre studia; • come, appena, non appena: la rapidità della successione che queste congiunzioni sottolineano è tale che i fatti, pur essendo anteriori, appaiano contemporanei a quelli della reggente: appena lo vide, lo riconobbe; come lo guardavo, arrossiva. FORMA IMPLICITA: Le temporali implicite possono avere: • l’infinito preceduto dalle preposizioni articolate: -nel: richiede lo stesso soggetto nella temporale e nella reggente ed è come se collocasse il fatto di quest’ultima all’interno della circostanza temporale, che solitamente si antepone: nel salutarti, mi sono commosso; -al: richiede generalmente un soggetto diverso e indica vicinanza tra i fatti della temporale e della reggente: al calar del sole rientrammo a casa; -col: indica che i fatti della reggente e della subordinata si corrispondono in fatto di durata ne tempo: questo vino migliora coll’invecchiarsi; capacità di compiere scelte verbali e non verbali che tengano conto dei livelli di cortesie formalità richieste dal contesto  Infine, queste conoscenze queste abilità richiedono di essere qualificate ed orientato attraverso il filtro di opportune convinzioni atteggiamenti. LINGUISTICA LEZIONE 13-14 (SPIEGHEREMO CHE COSA È UN TESTO, COSA È LA COMPETENZA TESTUALE; POI CI SOFFERMEREMO SUI TIPI E SUI GENERI TESTUALI E ALLA FINE FAREMO UN’ESERCITAZIONE SUI TIPI TESTUALI) Noi non parliamo usando parole isolate, ma tramite enunciati collegati fra loro a formare un testo. Differenza tra frase ed enunciato: quando parliamo di frase, facciamo riferimento alla linguistica novecentesca; quando parliamo di enunciati, facciamo riferimento ad una prospettiva più pragmatica, che vede in quello che diciamo, un’intenzione comunicativa( intenzione- scopo comunicativo). Per trattare i fatti testuali, è necessaria una pluralità di punti di vista. Occorre integrare sistematicamente la prospettiva dell’emittente e quella del ricevente, quella che guarda al testo come prodotto, e quella più interessata agli aspetti processuali; è necessario adottare una prospettiva interdisciplinare; un testo non è semplicemente un’unità di misura dell’analisi linguistica, ma un atto che ha, al tempo stesso, a che fare con la dimensione cognitiva, con quella comunicativa, con quella dell’interazione sociale. IL CONTESTO: Noi non utilizziamo il linguaggio in isolamento ma sempre in relazione ad un contesto, ad una situazione, cioè uno scenario costituito da persone, luoghi, azioni, eventi. In relazione a questo scenario, ciò che diciamo acquista un senso. TESTO: dal latino textus, texere-unire,mettere insieme qualsiasi cosa, intessere, costruire. Un testo è:un segmento comunicativo autonomo, ( orale o scritto) di lunghezza variabile. Inoltre, un testo, per essere tale, deve: •“parlare delle stesse cose”, ossia di argomenti che hanno a che fare l’uno con l’altro; •avere i mezzi linguistici che assicurino la compattezza di tutto l’insieme (proprio come un puzzle). Qualsiasi enunciato slegato dal contesto può essere soggetto a diverse interpretazioni. Un testo deve parlare di argomenti che hanno a che fare l’uno con l’altro, e avere mezzi linguistici che abbiano la compattezza di tutto l’insieme. La competenza testuale ci fa distinguere un testo, cioè un insieme di frasi “intessute” l’una con l’altra in maniera organica e strutturata, e che “parlano” delle stesse cose o di cose che sono in relazione le une con le altre, da un agglomerato di frasi senza nessun senso. Tutto questo fa parte della competenza testuale. Quest’ultima fa parte della competenza comunicativa, cioè della capacità del parlante di: usare in maniera appropriata la propria competenza linguistica, tenendo conto non solo della capacità di formulare frasi ben formate da un punto di vista grammaticale, ma anche di saper utilizzare tali frasi in modo appropriato alla situazione comunicativa( argomento del messaggio, intenzione comunicativa, interlocutore ecc.); Usare in maniera appropriata anche i CANALI NON LINGUISTICI di cui disponiamo, quali i Gesti, lo Sguardo, la Posizione del Corpo. Possiamo scegliere diverse forme linguistiche, che dipendono dall’interlocutore, dal contesto… COESIONE E COERENZA: Abbiamo visto che un testo è definibile come tale solo se le parti o gli argomenti che lo compongono hanno a che fare gli uni con gli altri e se tutto l’insieme si presenta linguisticamente compatto. Queste sono 2 proprietà essenziali di un testo: la coerenza e la coesione La COERENZA: le parti o gli argomenti che compongono un testo hanno a che fare gli uni con gli altri. La coerenza è la connessione tra i diversi concetti, la continuità di senso e la continuità tematica che sorreggono l’organica successione degli argomenti  La COESIONE (dal latino cohaerere – essere unito).La coesione riguarda il modo in cui i segmenti che compongono un testo a livello di superficie (ossia le parole che effettivamente udiamo o vediamo scritte), sono collegati fra di loro. Tali componenti di superficie sono strettamente dipendenti l’una dall’altra, per cui possiamo dire che la coesione si basa su una serie di dipendenze grammaticali. TIPI TESTUALI: ATTENZIONE: non esistono tipi testuali puri. ESISTONO: Testi descrittivi, narrativi, informativi ed espositivi, argomentativi, regolativi. Ogni tipo testuale attiva una specifica abilità cognitiva: DESCRITTIVO: percezione di persone e oggetti nello spazio; NARRATIVO: percezione di avvenimenti nel tempo; INFORMATIVO: comprensione di concetti mediante analisi e sintesi; ARGOMENTATIVO: valutazione di concetti messi in relazione tra loro; REGOLATIVO: pianificazione di comportamenti propri e altrui. TIPO TESTUALE: testi informativi; GENERE: Saggi divulgativi; SOTTOGENERE 1:Manuali di studio; SOTTOGENERE 2: Manuali di geografia; TESTO CONCRETO: Mario Rossi, Manuale di geografia per le scuole medie, Edizioni XY. La terminologia relativa ai generi e ai sottogeneri, è poco condivisa. TIPO TESTUALE: tendenzialmente UNIVERSALE. GENERE: soggetto a variazione culturale e storica. Noi in un testo possiamo trovare la funzione dominante. TIPO DI TESTO FUNZIONE DOMINANTE ESEMPI NARRATIVO Raccontare un fatto, una storia Racconti, romanzi, articoli di cronaca, corrispondenze di inviati speciali, relazioni di viaggio, biografie ecc… DESCRITTIVO Delineare le caratteristiche di una persona, di un paesaggio, di un oggetto, di un ambiente. Parti descrittive di opere letterarie, resoconti di viaggio, di guide turistiche, di manuali scientifici, depliant pubblicitari ecc. ARGOMENTATIVO Sostenere una tesi tramite un ragionamento, proponendo argomenti a favore, e confutando opinioni contrarie. Saggi scientifici, recensioni, editoriali, arringhe di avvocati, discorsi politici, messaggi pubblicitari. INFORMATIVO Fornire notizie sui personaggi, argomenti o fatti Orari dei treni , avvisi, saggi divulgativi, manuali scolastici REGOLATIVO Indicare particolari norme da rispettare, imporre obblighi e divieti. Leggi, regolamenti, statuti, ricette, istruzioni Per l’uso ecc. CHE COSA INTENDIAMO PER FUNZIONE PREVALENTE? Per valutare gli enunciati non ci si può basare sulle nozioni di verità/falsità o grammaticalità, ma sulla nozione di FELICITA’; CORRELAZIONE TRA ENUNCIATO E FUNZIONE proposta dalla linguistica pragmatica nell’ambito della teoria degli atti linguistici di Austin. A lui si deve il primo abbozzo di questa teoria, successivamente rielaborata da Searle. Forte correlazione tra linguaggio e azione. Ciascun atto linguistico può essere associato a uno scopo (es. Fare una richiesta, formulare un ordine, ringraziare, fare un complimento, scusarsi...). Se consideriamo il testo come un insieme di atti linguistici, cioè come un MACRO-ATTO, può venir meno l’univocità dello scopo. Si farà pertanto riferimento allo scopo prevalente, cioè alla MACRO-FUNZIONE. Nell’analisi pragmatica, gli enunciati felici sono quelli adatti al contesto, all’interlocutore, alle circostanze. Esiste una relazione NON BIUNIVOCA tra tipo testuale e generi: ad un tipo testuale possono fare capo… più generi, ma è vero anche il contrario, cioè che un genere testuale può essere riconducibile a più tipi testuali. Per risolvere questa apparente contraddizione possiamo fare riferimento al concetto di MACROFUNZIONE: un testo può essere ricondotto a diversi tipi a seconda dello SCOPO PREVALENTE: una recensione che si limiti a illustrare il contenuto di un libro avrà come funzione prevalente quella informativa, in una stroncatura prevarrà la funzione argomentativa. TESTO DESCRITTIVO: come si riconosce? • enumerazione → forniscono un elenco di informazioni che sono tra loro collegate. La frase nucleo introduce un argomento, che poi viene sviluppato analiticamente con una lista, grazie a connettivi come “in primo luogo”, “inoltre”, “infine”; • sintesi → solitamente, questo tipo di capoverso/paragrafo viene posto alla fine del testo: serve a riassumerne il contenuto generale, chiarendone l’intenzione; • esemplificazione → la tesi della frase-nucleo è sviluppata con degli esempi; • confronto/contrasto → operano dei confronti tra due o più elementi, indicando le somiglianze o le differenze tra oggetti, persone, concetti; • enunciazione/soluzione di un problema → il capoverso/paragrafo prima enuncia un problema, poi ne espone la soluzione. • causa/effetto → viene presentato un fenomeno, seguito dalle ragioni che lo hanno determinato. Come individuare l’argomento di cui parla il testo, dividendo il testo in paragrafi? Come abbiamo già detto, il paragrafo sviluppa un sotto-argomento, un tema: per questo motivo, esso è una parte di testo in sé quasi conclusa, quasi autonoma rispetto al resto. Spesso il sotto l’argomento (o tema del paragrafo) si trova all’inizio, a volte alla fine del paragrafo, cioè nelle posizioni di massimo rilievo; a volte, invece, occorre ricavarlo dopo un’attenta lettura, volta a individuare a che cosa si riferiscono tutte le informazioni e che cosa hanno in comune. All’interno di un capoverso (e in generale di un testo), vi è una gerarchia delle informazioni: infatti, esse sono suddivise in primarie e secondarie. Le informazioni primarie non dipendono da nessun’altra informazione. Si tratta di informazioni più generali e meno dettagliate, che comprendono, riassumono e reggono al loro interno una o più informazioni secondarie. Le informazioni secondarie, invece, aggiungono elementi alle informazioni primarie, vengono sempre da altri elementi, completano, specificano, esemplificano un’altra informazione. I principali meccanismi di coesione In un testo, gli argomenti devono essere ben collegati e ciò avviene attraverso diversi meccanismi, DENOMINATI MECCANISMI DI COESIONE, ovvero: • l’anafora → espressione (di solito rappresentata da un pronome o da una particella pronominale) che rinvia ad un’altra espressione già presente nel testo [es. “Ho incontrato Gianni e gli ho parlato dei miei progetti” - “gli” si riferisce a Gianni ed è interpretabile solo in riferimento a Gianni]; • la catafora → espressione (di solito rappresentata da un pronome) che rinvia ad un’altra espressione, che però deve ancora comparire nel testo [es. “L’ho visto ieri sera il film che mi avevi consigliato” - “l’ho” si riferisce a film ed è interpretabile solo in riferimento a film]; • l’ellissi → omissione di un elemento, che si suppone sia presente in una versione più estesa della frase [es. “Ogni giorno vado prima a comprare il giornale e poi a fare colazione al bar” - tra “poi” e “a” è sottintesa la forma verbale “vado”, che si ricava facilmente dalla proposizione precedente]; • la copia → ripetizione dello stesso elemento della frase; essa viene utilizzata per ragioni stilistiche. Si tratta di una forma elementare di coesione [es. “Fumare le sigarette fa male alla salute e tutti dovrebbero evitare di fumare sigarette” - “fumare” e “sigarette” sono ripetuti due volte]; • la quasi-copia → ripetizione quasi uguale dello stesso termine. I due termini utilizzati sono strettamente coesi, pur non essendo ripetuti in maniera tale e quale [es. “Andrea ha lavorato 8 anni in fonderia ma poi ha smesso perché era un lavoro troppo pesante” – “lavorare” e “lavoro” sono due termini quasi uguali, perché sono legati morfologicamente fra loro e quindi sono strettamente coesi]; • le pro-forme → elementi lessicali che hanno la funzione di sostituirne altri [es. “I miei amici sono andati in vacanza, ma io dovevo lavorare e non ho potuto farlo” - il verbo “fare + lo” riprende il sintagma verbale “andare in vacanza”, con un significato più generale]; • l’incapsulamento → utilizzare termini che riassumono quanto esposto in un periodo precedente [es. “Lo scavo portò alla luce manufatti del neolitico. Tale ritrovamento fu eccezionale.” - il sintagma “tale ritrovamento” riassume quanto esposto nel periodo precedente]; • la sinonimia → utilizzare un sinonimo per riprendere un altro termine [es. “Dobbiamo affrontare un’importante questione. Il problema riguarda me.” - la parola “problema” riprende il termine “questione”, in modo da non ripeterlo]; • l’iponimia → sostituire un termine con un altro che ne condivida le proprietà generali [es. “Michela ha un fidanzato che ogni settimana le regala rose, orchidee, tulipani. Deve aver capito che le piacciono molto i fiori” - “rose”, “orchidee”, “tulipani” sono co-iponimi dell’iperonimo “fiore” e ne condividono le proprietà generali]; • la meronimia → utilizzare la parte di un tutto per sostituire un termine [es. “Devo portare al più presto la mia auto dal meccanico: le ruote sono consumate, gli ammortizzatori non funzionano, il radiatore fa fumo.” - “ruote”, “ammortizzatori” e “radiatore” sono tutti componenti interni dell’automobile (e quindi la parte di un tutto)] Lezione 14 - 19 maggio 2021 I CONNETTIVI Vi sono altri meccanismi di coesione, tra cui i connettivi, ovvero elementi che hanno la funzione di collegare le diverse porzioni di testo, come: • le congiunzioni (es. “perché” → legame di tipo causale) • le locuzioni (es. “come è stato già detto”, “come abbiamo visto” → riferite ad argomenti di cui si è già parlato; “come vedremo”, “come approfondiremo” → riferite ad argomenti che si tratteranno successivamente nel testo). In base alla loro funzione, è possibile distinguere diversi tipi di connettivi: • temporali → indicano un ordine cronologico, che può essere di - anteriorità: prima, in precedenza, qualche giorno fa, allora, anticamente, una volta, a quei tempi, proprio allora; - contemporaneità: ora, adesso, mentre, nel frattempo, intanto che, a questo punto, in questo momento, in questo istante; - posteriorità: alla fine, successivamente, dopo molto tempo, dopo vari anni, poi, in seguito, quindi. • spaziali → indicano i rapporti spaziali secondo cui sono costruite le descrizioni o si sviluppano le azioni: dove, lì, là, sopra, sotto, verso, in direzione di, a destra, a sinistra, fino a, all’interno, all’esterno. • logico-causali → indicano una successione in cui: - la causa precede l’effetto: ne deriva che, di conseguenza, quindi, dunque, pertanto, perciò, da ciò si deduce che, così che - l’effetto precede la causa: dato che, siccome, poiché, perché, dal momento che. • prescrittivi → indicano l’ordine rigorosamente bloccato delle azioni da compiere: prima di tutto, innanzitutto, in primo luogo, poi, in secondo luogo, in terzo luogo, ecc., infine, in sintesi, in conclusione, insomma, dunque; • d’importanza → indicano l’importanza delle varie informazioni e stabiliscono tra esse una gerarchia: in primo luogo, anzitutto, prima di tutto, a questo punto, inoltre, si aggiunga il fatto che, oltre a questo, oltre a ciò, oltre a quanto è stato detto, poi, infine, non ci resta che, e, anche, pure, nello stesso modo; • di spiegazione → introducono una spiegazione o un’esemplificazione: cioè, infatti, ad esempio, in altre parole, per quanto riguarda, tra l’altro, in sintesi; • di opposizione → introducono un’opposizione a quanto si è detto prima: ma, invece, ciononostante, malgrado ciò, tuttavia, pure, nondimeno, eppure, mentre, al contrario; • di ipotesi → introducono un’ipotesi: se è vero che, ammettendo che, nel caso in cui, partendo dal presupposto che, ipoteticamente, poniamo il caso che. L’ACCORDO Altri meccanismi di coesione riguardano i legami linguistici tra le parole e tra gruppi di parole. L’accordo è la relazione morfologica e sintattica per cui alcuni elementi di una frase hanno delle desinenze, o marche, che segnalano la stessa o le stesse categorie grammaticali (es. “ho fatto uno strano sogno”: “o” → maschile singolare) L’accordo può esserci tra gli elementi del sintagma nominale (es. “ho comprato una bella macchina rossa”); tra soggetto e predicato (“Sofia legge un libro di avventure; io e Paolo leggiamo un libro di storia”). Inoltre, l’accordo può essere definito “semantico”, ovvero quell’accordo che prevede una concordanza non grammaticale, ma “di senso” (es. “una folla di persone hanno riempito la piazza”). LA REGGENZA La reggenza è la relazione morfologica e sintattica per cui una parola richiede che le parole che la precedono o la seguono abbiano una determinata forma (es. fidarsi di, contare su, sensibilità per, sensibile a). L’uso dei tempi e modi verbali è da rispettare: esso prevede la capacità di scegliere, a seconda del contesto, i modi e i tempi verbali appropriati affinché il testo prodotto sia coeso (penso che > sono > siano) Il periodo ipotetico può essere di I, II e III tipo: • ipotesi reale con l’indicativo (se domani pioverà non andremo al mare), • ipotesi possibile col congiuntivo (se mangiassi di meno saresti meno grasso), ipotesi irreale (se fossi ricco comprerei una Maserati) LA PUNTEGGIATURA Anche la punteggiatura contribuisce alla coesione di un testo. Essa è una delle forme più evidenti di segmentazione di un testo scritto. La punteggiatura serve a scandire la sintassi del discorso, ad ordinare e segmentare il testo in unità e sotto-unità logiche, funzionali alla lettura silenziosa. Segnala l’articolazione dei periodi, delle relazioni intrafrasali e interfrasali, cioè l’organizzazione interna di una frase e delle relazioni tra gruppi di frasi. Permette a chi scrive di orientare la comprensione del testo da parte di chi legge. Con essa indichiamo le pause, i rallentamenti, le accelerazioni, insomma il ritmo. In particolare, la virgola, il punto e virgola e il punto fermo, funzionano come limiti sintattici di livello diverso: • la virgola indica un confine linguistico di livello inferiore; Altri meccanismi di coesione:  I connettivi  Elementi che hanno la funzione di collegare le diverse porzioni di testo come: Le congiunzioni (es. perché legame di tipo causale) Le locuzioni (es. come è stato già detto, come abbiamo visto riferite ad argomenti di cui si è già parlato come vedremo, come approfondiremo riferite ad argomenti che si tratteranno successivamente nel testo. Possono essere: Temporali: indicano ordine cronologico -anteriorità: prima, in precedenza, qualche giorno fa, allora, anticamente, una volta, a quei tempi, proprio allora -contemporaneità: ora, adesso, mentre, nel frattempo, intanto che, a questo punto, in questo momento, in questo istante. -posteriorità: alla fine, successivamente, dopo molto tempo, dopo vari anni, poi, in seguito, quindi. Spaziali: indicano i rapporti spaziali secondo cui sono costruite le descrizioni o si sviluppano le azioni ES. dove, lì, là, sopra, sotto, verso, in direzione di, a destra, a sinistra, fino a, all’interno, all’esterno. Logico-causali: indicano una successione -in cui la causa precede l’effetto: ne deriva che, di conseguenza, quindi, dunque, pertanto, perciò, da ciò si deduce che, così che -l’effetto precede la causa: dato che, siccome, poiché, perché, dal momento che Prescrittivi: indicano l’ordine rigorosamente bloccato delle azioni da compiere -prima di tutto, innanzitutto, in primo luogo, poi, in secondo luogo, in terzo luogo ecc., infine, in sintesi, in conclusione, insomma, dunque. d’Importanza: indicano l’importanza delle varie informazioni e stabiliscono tra esse una gerarchia -In primo luogo, anzitutto, prima di tutto, a questo punto, inoltre, si aggiunga il fatto che, oltre a questo, oltre a ciò, oltre a quanto è stato detto, poi, infine, non ci resta che, e, anche, pure, nello stesso modo, di Spiegazione: introducono una spiegazione o un’esemplificazione -cioè, infatti, ad esempio, in altre parole, per quanto riguarda, tra l’altro, in sintesi di Opposizione: introducono un’opposizione a quanto si è detto prima -ma, invece, ciononostante, malgrado ciò, tuttavia, pure, nondimeno, eppure, mentre, al contrario di Ipotesi: se è vero che, ammettendo che, nel caso in cui, partendo dal presupposto che, ipoteticamente, poniamo il caso che Altri meccanismi di coesione riguardano i legami linguistici tra le parole e tra gruppi di parole. L’ACCORDO Relazione morfologica e sintattica per cui alcuni elementi di una frase hanno delle desinenze, o marche, che segnalano la stessa o le stesse categorie grammaticali (es. ho fatto uno strano sogno: o–maschile singolare) Accordo tra gli elementi del sintagma nominale (es. ho comprato una bella macchina rossa) Accordo tra soggetto e predicato (Sofia legge un libro di avventure; io e Paolo leggiamo un libro di storia) Accordo “semantico” –concordanza non grammaticale ma “di senso” (es. una folla di persone hanno riempito la piazza) LA REGGENZA Relazione morfologica e sintattica per cui una parola richiede che le parole che la precedono o la seguono abbiano una determinata forma (es. fidarsi di, contare su, sensibilità per, sensibile a) Uso dei tempi e modi verbali  La capacità di scegliere, a seconda del contesto, i modi e i tempi verbali appropriati affinché il testo prodotto sia coeso. (penso che > sono> siano; periodo ipotetico di I, II e III tipo: ipotesi reale con l’indicativo (se domani pioverà non andremo al mare), ipotesi possibile col congiuntivo (se mangiassi di meno saresti meno grasso), ipotesi irreale (se fossi ricco comprerei una Maserati) Anche la punteggiatura contribuisce alla coesione di un testo  Es. Luca si alzò di scatto e uscì dalla stanza: era arrabbiato nero. Che funzione hanno i due punti? Esplicativa L’INTERPUNZIONE La punteggiatura è una delle forme più evidenti di segmentazione di un testo scritto. La punteggiatura serve a scandire la sintassi del discorso, serve a ordinare e segmentare il testo in unità e sotto-unità logiche, funzionali alla lettura silenziosa. Segnala l’articolazione dei periodi, delle relazioni intra-e interfrasali, cioè l’organizzazione interna di una frase e delle relazioni tra gruppi di frasi. Permette a chi scrive di orientare la comprensione del testo da parte di chi legge. Con essa indichiamo le pause, i rallentamenti, le accelerazioni, insomma il ritmo. In particolare, la virgola, il punto e virgola, e il punto fermo funzionano come limiti sintattici di livello diverso: la virgola indica un confine linguistico di livello inferiore, il punto e virgola un confine di livello intermedio il punto fermo un confine di livello superiore. Il punto Il punto marca una separazione netta tra 2 enunciati e può avvenire solo quando l’enunciato a sinistra del testo è concluso, ha una sua autonomia sintattica e di significato. Anche se le frasi che seguono esprimono idee legate alle precedenti, col il punto segnaliamo l’esigenza di una pausa. Dove mettete la virgola? (a piacere) “Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca” (Julio Cortazar) Dove mettete il punto? “Vecchietta al volante investe un’anziana signora che passava per caso indagata dagli inquirenti” Possibili soluzioni: 1-Vecchietta al volante investe un’anziana. Signora che passava per caso indagata dagli inquirenti. 2-Vecchietta al volante investe un’anziana signora che passava per caso. Indagata dagli inquirenti. 3-Vecchietta al volante investe un’anziana signora che passava per caso indagata dagli inquirenti. 4-Vecchietta al volante investe un’anziana signora che passava. Per caso indagata dagli inquirenti. Parto domani alle sette se non piove vieni a svegliarmi. Possibili soluzioni: a) Parto domani alle sette, se non piove. Vieni a svegliarmi. b) Parto domani. Alle sette, se non piove, vieni a svegliarmi. In a) la partenza è incerta perché è subordinata alla pioggia. In a) è indicata l’ora della partenza, in b) quella del risveglio. Eva è irritata Ugo è sull’orlo di una crisi di nervi Possibili soluzioni: a) Eva è irritata. Ugo è sull’orlo di una crisi di nervi b) Eva è irritata; Ugo è sull’orlo di una crisi di nervi c) Eva è irritata: Ugo è sull’orlo di una crisi di nervi Qui la scelta tra i due punti e il punto e virgola può presentare qualche margine di incertezza. fenomeno per cui alcune espressioni linguistiche sono vincolate alla situazione comunicativa in cui ci si trova. Dal greco «indicazione», fenomeno per cui il riferimento di alcune espressioni linguistiche indicali (es. qui, ora, io, tu) è vincolato alle coordinate della situazione in cui avviene l’evento comunicativo. Per l’orientamento delle espressioni deittiche, il parlante e l’ascoltatore utilizzano un sistema di coordinate o CAMPO INDICALE, aventi ciascuno un proprio centro (o orìgo). Sono state individuate diversi tipi di deissi. (cfr. Andorno2006). DEISSI -> rinvio dal testo alla realtà extralinguistica Io (1) Qui (2) Ora (3) Deissi personale -> realizzata attraverso espressioni linguistiche che identificano i partecipanti allo scambio comunicativo. In italiano: prevalentemente utilizzata attraverso i pronomi personali. Io (1 parlante) Tu (2 ascoltatore) Lui/Lei (3 persona diversa dal parlante e dall’ascoltatore) Deissi spaziale -> indica un luogo o la posizione di un referente rispetto alla vicinanza/lontananza dal parlante. Dimostrativi (1 questo/quello) Avverbi di luogo (2 qui/lì) Verbi di movimento (3 andare/venire) Deissi temporale -> il punto di riferimento per definire le relazioni deittiche è il momento dell’enunciazione (me), cioè il momento in cui avviene lo scambio comunicativo (rapporto di contemporaneità, anteriorità e posteriorità) Aggettivi (1 attuale, prossimo, scorso, futuro, passato), Avverbi di tempo (2 ora, allora: es. Ora me ne vado (=coincide con il ME); es. Allora (in quel periodo) non si poteva uscire (=antecedente al ME), Tempi della flessione verbale (3) Deissi testuale -> rinvii all’interno di un testo che diventa esso stesso un contesto In questo paragrafo (1), Come anticipato dal capitolo precedente (2), come vedremo nel prossimo paragrafo (3) Deissi sociale -> segnala i rapporti sociali reciproci fra gli interlocutori; in italiano -> alternanza tra gli allocutivi “tu” e “lei” “Lei come sta signor Rossi?” (contesto formale) “Tu come stai?” (contesto informale) Quando parliamo di elementi deittici parliamo di indicatori che fanno riferimento alla realtà extralinguistica e che codificano una realtà comunicativa, questi indicatori come abbiamo visto possono essere temporali, spaziali, sociali, testuali… La distribuzione dell’informazione Abbiamo visto che all’interno di una frase possiamo individuare il sintagma nominale, verbale, ecc… adottando una prospettiva testuale possiamo individuare all’interno di una frase elementi che da un lato sono nuovi e dall’altro sono già conosciuti dall’interlocutore. Esempio: “Hai presente Elena?” (Informazione data) “Ha avuto un bambino!” (Informazione nuova) TEMA -> “Hai presente Elena?” esprime ciò di cui si vuole parlare REMA (dal greco parola/verbo) -> “Ha avuto un bambino!” dice qualcosa a proposito del tema. Enunciato: Questo libro è avvincente! Questo libro -> TEMA (l’argomento di cui si vuole parlare) di solito è codificato con il SOGGETTO dal punto di vista sintattico e di solito si trova a SINISTRA è avvincente -> REMA (qualcosa che si aggiunge all’informazione già data) di solito è codificato con il PREDICATO e di solito si trova a DESTRA . Inoltre è la parte dell’enunciato su cui cade la prominenza intonativa. Costruzioni marcate (=complesse e meno frequenti) Costruzioni marcate sintatticamente -> ordine dei costituenti diverso da quello normale (Soggetto, Verbo, Oggetto) Es. Gli orecchini me li ha regalati Giulia (dislocazione a sinistra) Es. Non le voglio le tue scuse (dislocazione a destra) Dislocazione a sinistra  Di solito, l'elemento spostato all'inizio della frase è un elemento già noto all'ascoltatore (INFORMAZIONE DATA). Questa canzone, la conosco. (Le altre no). Questo libro, l'ho già letto. (Gli altri no). La casa, la acquisteremo non appena otterremo un mutuo L’oggetto diretto (es. "Questa canzone") si trova a sinistra del verbo (conosco) e viene ripreso dal pronome "la”. Dislocazione a destra  l’elemento dislocato a destra (es. questo film) costituisce una sorta dio ulteriore specificazione, in realtà non necessaria, visto che l’uso del pronome (in questo caso “lo”) fa riferimento a qualcosa che l’ascoltatore dovrebbe già conoscere. L’ho già letto, questo libro L’ho già visto, questo film FRASE SCISSA 1. Sono i ragazzini che fanno gli scherzi. 2. E’ Anna che vuole andarsene Frase scissa divisa in 2: la prima parte ha il verbo essere la seconda è introdotta da “che” -> vogliamo focalizzare l’attenzione su un elemento della frase. Se dico “sono i ragazzini che fanno gli scherzi” voglio sottolineare il fatto che i ragazzini fanno gli scherzi, non sono io o qualcun altro che fa gli scherzi. E’ Anna che vuole andarsene (non io o qualcun altro) ESERCITAZIONE “Lo chiamo domani Luca; ora non ho tempo” (dislocazione a destra) “Va bene. Le decisioni le prendi sempre da solo” (dislocazione a sinistra) “Ma dai! Te l’ho spiegata tante volte questa cosa” (dislocazione a destra) “L’inglese, lo stai studiando?” (Dislocazione a sinistra) ANALISI LINGUISTICA TESTUALE 1. Tipo e genere testuale Informativo Descrittivo Narrativo Argomentativo Regolativo Varietà sociolinguistiche presenti Italiano standard (egli/ella/ con funzione di soggetto codesto) Italiano neo standard Morfologia: (lui/lei/ con funzione di soggetto, uso di gli al posto di loro, ciò sostituito da quello) Es. Ho parlato con Marco. Lui non vuole venire alla festa Ho incontrato Anna e Marco e gli ho chiesto (al posto di ho chiesto loro) di venire a cena Leggi quello (al posto di ciò) che vuoi Sintassi: uso dell’indicativo al posto del congiuntivo; uso del presente indicativo al posto del congiuntivo; uso del passato prossimo al posto del passato remoto. Es. Penso che hai ragione; Il mese prossimo parto; dieci anni fa sono stato in Bulgaria. (Presente il modo indicativo al posto del congiuntivo o del condizionale) Preferenza della paratassi: periodi semplici e assenza di periodi lunghi con frasi subordinate; frasi nominali e prive di verbo; a volte possono essere presenti delle ellissi di alcuni elementi della frase. Es. Scusi per il disturbo; Volevo chiederle un favore: è possibile avere le slide dell’ultima lezione? (Non abbiamo costruzioni complesse delle frasi, i periodi sono molto semplificati) prescirittivi: prima di tutto, innanzitutto, in primo luogo, poi, in secondo luogo, in terzo luogo ecc., infine, in sintesi, in conclusione, insomma, dunque di importanza: anzitutto, prima di tutto, a questo punto, inoltre, si aggiunga il fatto che, oltre a questo, oltre a ciò, oltre a quanto è stato detto, poi, infine, non ci resta che, e, anche, pure, nello stesso modo, Lezione 18 – 24 maggio ’21 Testo, testualità, competenza testuale Lezione 24/05/2021 Nella scuola primaria possiamo trovare: - testi letterari, che possono essere di tipo narrativo (fiaba, favola, romanzo) e si tratta perlopiù di testi continui, spesso accompagnati da immagini; - testi non letterari, che possono essere di tipo narrativo, informativi/espositivi, regolativi e si tratta di testi continui, non continui e misti. Testi continui: Sono testi costituiti da più frasi raggruppate in capoversi. Si tratta di testi in cui non sono presenti immagini grafici o altro e a loro volta possono fare parte di strutture più ampie, come paragrafi, sezioni o capitoli. Testi non continui: possono essere organizzati in vari modi e comprendere elementi non verbali: tra i testi non continui di uso più frequente troviamo i grafici, le tabelle, le mappe, i moduli, gli annunci, ecc. I testi non continui si differenziano da quelli continui non solo per la loro diversa organizzazione, ma anche perché richiedono un diverso approccio di lettura (se abbiamo d'avanti un grafico, dovremo saper leggere un grafico e questo richiede un approccio diverso rispetto ad un testo continuo). Testi misti: sono composti da un testo continuo accompagnato da figure, tabelle, grafici, ecc. Spesso i testi non continui o misti, frequenti nella vita quotidiana, sono testi funzionali, hanno cioè lo scopo di fornire dati, istruzioni, regole ecc. Ad esempio un tipo di testo non continuo è un grafico a torta, in cui sono presenti delle percentuali, quindi non abbiamo un testo suddiviso in paragrafi, ma un grafico con una legenda. un tipo di testo misto può essere un testo continuo accompagnato da immagini che agevolano la comprensione del testo. GENERI TESTUALI La filastrocca: possiamo rintracciare l'uso della rima; si caratterizza per un ritmo incalzante. Esempio: io ho poca memoria e imparando l'alfabeto ho finito per scordare cinque lettere più rare: una jeep tutta arancione, un koala sopra un ramo ed il wurstel di un ghiottone, lo xilofono che suona ed infine, in mezzo al mare, uno yacht per viaggiare. La funzione di questa filastrocca non è tanto quella poetica (o espressiva), ma METALINGUISTICA → cioè ha lo scopo di far riflettere sulle strutture linguistiche della lingua (le lettere straniere dell’alfabeto italiano). Caratteristiche:  Testo:breve  Destinatari:bambini  Peculiarità: aspetti ritmici e sonori (onomatopee, allitterazioni, assonanze) Uso di parole semplici, di uso comune Struttura in versi e strofe ALLITTERAZIONE: serie di parole vicine che iniziano o finiscono con lo stesso suono o la stessa sillaba, conferendo un ritmo incalzante ai versi. Es. Sempre sedeva seria ASSONANZA: rima particolare che si crea quando due versi vicini, consecutivi, finiscono con parole che hanno le stesse vocali, consonanti diverse, ma un suono simile. Es. foglie del salice piangente, cadute sull’erba che scoscende ONOMATOPEE: parole che riproducono o evocano un suono particolare e servono anch'esse per dare ritmo e far ricordare immagini ben precise. Es. Pif, pif, paf! Si aprono le merendine. Cric, cric, croc! Fan le patatine. Gnam, gnam, gnam! I morsi sui panini. Glu, glu, glu!I succhi che van giù! ANALISI LINGUISTICA E TESTUALE DELLA FILASTROCCA Aspetti testuali: Tipo testuale (macrofunzione); Genere ed eventuale sottogenere; Altre microfunzioni (es. narrativa, argomentativa...); Stile (nominale, impersonale, personale); Prevalenza discorso diretto/indiretto; Peculiarità espressive: (es. presenza di onomatopee, allitterazioni, assonanze, rime, figure retoriche); Meccanismi di coesione e coerenza (connettivi, copie, sinonimia, iperonimia, ellissi, ecc.); uso della punteggiatura; Accordo e reggenza. Aspetti (socio)linguistici: Registro (formale, medio, informale); Varietà (italiano standard, neostandard, regionale) Aspetti lessicali e morfologici: Tipo di lessico (comune, tecnico, burocratico, ecc.); Eventuale presenza di forestierismi, regionalismi e tecnicismi; Presenza di costruzioni fraseologiche (es. collocazioni, espressioni idiomatiche); Presenza di parole derivate/composte/alterate Aspetti sintattici: Prevalenza di frasi semplici/complesse (paratassi/ipotassi); Prevalenza di subordinate (implicite/esplicite); Funzione dei tempi e dei modi verbali utilizzati; Saturazione delle valenze dei verbi; Prevalenza di diatesi attiva/passiva. Analizzando la filastrocca in esempio, gli aspetti testuali che possiamo individuare sono: Stile: personale e nominale Peculiarità espressive: uso della rima Meccanismi di coesione testuale: es. i connettivi (connettivo copulativo: e; meronimo: lettere- parte dell'alfabeto; connettivo spaziale: sopra; ellissi del verbo: un koala (che sta) sopra un ramo; connettivo conclusivo: infine; locuzione avverbiale con valore spaziale: in mezzo). Aspetti (socio) linguistici: Varietà di italiano: Neostandard Registro: informale Aspetti lessicali: Prevalenza lessico: comune Presenza di: anglismi Morfologia lessicale: derivate (arancione); alterate (ghiottone) Aspetti morfosintattici: modi verbali: indicativo presente e passato prossimo; gerundio-imparando che ha valore temporale "ho poca memoria e mentre imparavo 'alfabeto ho finito per scordare"; infinito -per viaggiare che ha funzione finale); valenze dei verbi: sono saturate, ma alcuni verbi sono usati in senso assoluto (lo xilofono che suona). Tipo di frasi: in generale vi è una prevalenza di ipotassi (complesse), in quanto sono presenti diverse subordinate Subordinate: implicite (imparando, per viaggiare); esplicita (lo xilofono che suona). LA FIABA E LA FAVOLA Le fiabe hanno origini antichissime e narrano vicende di esseri umani e di esseri soprannaturali. Nelle fiabe compaiono orchi, streghe, maghi, fate, folletti, gnomi e altri personaggi fantastici. Ambientazione temporale: indefinita Ambientazione spaziale: castelli, boschi, luoghi fantastici Morale della fiaba: non esplicita Esempio: Fiabe Italiane (I. Calvino) Gli elementi che possiamo individuare nella fiaba in esempio, sono: Marcatore temporale indefinito (c'era una volta) Personaggi fantastici (fata, re, principesse) Ambientazione spaziale (castello, giardino, regge) Morale della fiaba non è esplicita (il re viene punito per aver deriso la vecchiette, ricevendo sulle proprie figlie i difetti fisici che aveva criticato nella vecchietta) La favola è un componimento breve, solitamente poche righe, che ha per protagonisti degli animali dal comportamento umano. La favola mette in scena i problemi del nostro mondo, ed è ambientata proprio nel mondo reale; obiettivo della favola è quello di trasmettere una morale, che solitamente viene esplicitata in una frase finale. Esempio: La cicala e la formica (di Esopo) Ambientazione temporale: indefinita (c'era una volta), ma in generale la favola è ambientata nel mondo reale Protagonisti: animali Morale della favola: esplicita ANALISI LINGUISTICA E TESTUALE: LA FIABA Analizziamo la fiaba in esempio  Aspetti testuali: Tipo testuale (macrofunzione): narrativo; Genere ed eventuale sottogenere: narrativo Aspetti sociolinguistici: Italiano standard (ella) Coesione testuale: connettivi( temporali- c'era una volta, domani; copulativi- e; logico causale - così; spaziale - sul); semicopia ( zoppa-zoppicava); ellissi ( si guardava- ellissi del soggetto); copia (il re); anafora (la osservo-la si riferisce alla vecchietta); elemento deittico che rinvia ad un elemento già presente nel testo-anafora (e questa si presento con il collo torto); elemento deittico che anticipa l'elemento a cui si riferisce -catafora (e questa perche zoppica adesso?) Aspetti lessicali e morfologici Prevalenza lessico: comune
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