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Esame di pedagogia dell'infanzia e della famiglia, Elena Luciano, Sbobinature di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

Riassunti completi dei libri: -Educare l'infanzia. Temi chiave per i servizi 0-6 -Immagini d'infanzia. Prospettive di ricerca nei contesti educativi -La sfida dei diritti. Prospettive critiche interdisciplinari sull’infanzia e l’adolescenza -La relazione con le famiglie nei servizi e nelle scuole per l'infanzia

Tipologia: Sbobinature

2023/2024

In vendita dal 18/02/2024

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Scarica Esame di pedagogia dell'infanzia e della famiglia, Elena Luciano e più Sbobinature in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! EDUCARE L'INFANZIA Con il decreto legislativo 13 aprile 2017, n.65 che stabilisce l'istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino ai 6 anni, per la prima volta a livello di ordinamento nazionale si sancisce la necessità di costruire una coerenza educativa tra i servizi 0-6, intendendo la definizione di una prospettiva pedagogica che si fondi su valori, idee, finalità comune, da declinare in pratiche educative vicine per radici culturali differenziate in relazione alle diverse età dei bambini e alle peculiarità dei servizi. In Italia, i servizi 0-3 e 3-6 risultano separati in quanto fanno riferimento a enti gestori differenti (nidi e servizi integrativi gestiti dai comuni, province e regioni; la scuola dell'infanzia l'ente gestore è lo Stato o il privato sociale paritario. Pur tenendo conto delle differenze evolutive tra i bambini del nido e quelli che frequentano la scuola dell'infanzia, è possibile individuare pratiche valide trasversalmente? Per rispondere ci si deve interrogare sull'idea di bambino, che ci spinge a delineare forme particolari di educazione per l’infanzia nei servizi deputati, sia sulle finalità del percorso, che delineano che tipo di bambini si vorrebbe formare. Che tipo di valori dovrebbero orientare i percorsi educativi nei servizi 0-6? Per i bambini nelle prime età è importante la promozione di socialità positiva, di apertura verso l’altro, di confronto collaborativo; sostegno allo sviluppo della capacità di risoluzione dei problemi in maniera consapevole e intelligente; aiuto nella costruzione di un'identità salda e di valore. L'educazione deve essere capace di far fiorire capacità, potenzialità, virtù intellettuali e sociali; deve tenere conto della specificità dell'età infantile e deve rispondere alle particolarità di ciascuno. L'educazione dei bambini 0-6 ha una sua specificità che va salvaguardata, ed è possibile individuare tratti caratterizzanti i percorsi educativi. I temi chiave per percorsi educativi sono: + Il curricolo, indica il percorso educativo intenzionale, frutto di una progettazione collegiale, monitorato nel corso della sua realizzazione e verificato nelle sue capacità di conseguire le finalità auspicate, tenendo conto delle particolarità dei destinatari e del contesto. | tratti che caratterizzano i curricoli per l'infanzia 0-6 sono: l’indissolubile legame tra cura e educazione; il carattere olistico delle esperienze; la centratura sul bambino (suoi interessi); l'adulto come facilitatore dei processi di crescita; l’attenzione all'esperienza sociale come cifra dei contesti educativi extradomestici; il convincimento che il periodo dell'infanzia sia da vivere con pienezza. + Uncurricolo 0-6 che considera i bambini come attori sociali e che è finalizzato a sostenere questa capacità nella sua dimensione affettiva (creazione di legami), intellettuale (scambio e condivisione) e sociale (interazione) non può non far leva sulle relazioni, incoraggiandole come molla propulsiva dell’intero percorso educativo. L’educatore si pone come facilitatore degli scambi i tra bambini e si rapporta adottando modalità comunicative basate sull’ascolto attivo. + Uncurricolo interattivo si delinea a partire da un ambiente spazio-temporale definito, che dà luogo ad esperienze coinvolgenti. L'ambiente fisico (luoghi, materiali) e temporale (ritmi, periodicità, routine) da forma al percorso educativo: non contiene esperienze. L'ambiente deve rivelare l'identità delle persone che lo vivono. + lbambini si esprimono ed interagiscono attraverso il gioco, è il punto di partenza di un curricolo per l’infanzia: dà luogo all’apprendimento e rappresenta la prospettiva infantile di guardare il mondo. È un'esperienza coinvolgente che l'adulto ha il compito di sostenere riconoscendone la gratuità come suo specifico valore. Un curricolo per lo 0-6? Per curricolo di un corso di studi si intende l'insieme delle discipline che vengono insegnate, o un percorso finalizzato al conseguimento di conoscenze e competenze, ma ciò non corrisponde ad un curricolo di contesti come asili nido. In questo caso, la formazione dei bambini è un sostegno alla crescita di tipo olistico, che integra gli aspetti emotivi, cognitivi e sociali dello sviluppo attraverso esperienze significative, guidate e promosse da adulti capaci di tenere conto delle peculiarità dell’età infantile, che non si riducono mai a tecniche di apprendimento di nozioni specifiche, suddivise per materie. Secondo Scurati, il curricolo è sia il complesso integrato dell'esperienza scolastica compiuta dallo studente in quanto rivolta a conseguire il fine della sua formazione, sia l’organizzazione delle possibilità offerte dalla situazione scolastica in quanto ordinata allo sviluppo evolutivo dell’alunno. Questa definizione che mette in luce sia la prospettiva dell'insegnante sia quella dell’allievo, nonché il loro intreccio in un processo di insegnamento-apprendimento il cui scopo è propriamente formativo, non solo tecnico. Dalla definizione di Pontecorvo e Fusè ciò che viene messo in luce è che il curricolo è un percorso intenzionale che si fonda su scelte valoriali, tiene conto del contesto socioculturale in cui ha luogo, si realizza attraverso modalità didattiche specifiche, si avvale di procedure che verificano il progredire degli allievi verso traguardi, è attento ai feedback che riceve nel corso della sua realizzazione, i quali possono indurre ad apportarvi modifiche e innovazioni. Si è iniziato a parlare di approccio curricolare anche nelle istituzioni educative per l'infanzia, contesti i quali hanno una tradizione pedagogica peculiare, caratterizzata da uno stretto intreccio tra cura e educazione, da un approccio olistico finalizzato allo sviluppo dell’intera personalità infantile. Quello 0-6 anni, è un periodo nel quale vengono introdotte enormi potenzialità evolutive dai punti di vista affettivo, sociale e cognitivo. Solo se sorretto da un ambiente relazionale supportante il bambino conquista la capacità di esprimersi e di comunicare in maniera sempre più raffinata utilizzando la parola per funzioni linguistiche differenziate; impara a governare i propri impulsi; instaura legami affettivi con una pluralità di persone; elabora una propria identità; si fa membro sempre più attivo e consapevole della comunità di appartenenza; mosso dalla curiosità e dal desiderio di conoscere, accumula un bagaglio di esperienze, esercita la sua intelligenza, affina la sua mente. Lo sviluppo affettivo, sociale, cognitivo non è frutto di sola maturazione, ma ha luogo grazie agli ambienti favorevoli che lo sostengono e lo promuovono. Non esiste un unico traguardo maturativo valido in assoluto, poiché l’idea stessa di maturità si differenzia da cultura a cultura. L'educazione infantile è orientata da idee e valori che dipendono da i contesti culturali in cui essa ha luogo: gli atteggiamenti, le conoscenze e le competenze che una certa educazione esercita e promuove saranno differenti in relazione alle particolarità di tale contesto. Gli studi di Erikson sulla costruzione della personalità in diverse culture mostrano come metodi differenti di allevamento tendono a formare individui con caratteristiche apprezzate da tali società. Brunner evidenzia come i modi di utilizzo dell’intelligenza e la formazione della mente siano influenzati dall'ambiente. Sulla stessa linea Isaacs, negli anni 20, organizzò e diresse una scuola per bambini dai due agli otto anni che aveva come scopo principale lo sviluppo intellettuale infantile. L'autrice dimostra che i bambini manifestano capacità logiche e sociali che Piaget non aveva riscontrato nel corso dei suoi studi. La cultura offre sia valori di riferimento che orientano il percorso di sviluppo, sia conoscenze significative per il bambino che cresce. Secondo Dewey, definire il curriculo come l’insieme dei saperi che si presentano suddivisi in discipline specifiche è controproducente, perché il bambino apprende in maniera olistica: le cose che lo interessano sono tenute insieme dall’unità degli interessi personali e sociali che attraversano la sua vita; l’esperienza che il bambino fa del mondo non è suddivisa in coinvolgimento nei processi di apprendimento, contribuendo a creare un contesto emotivo rassicurante entro cui i bambini acquisiscono fiducia nelle loro capacità. Il significato del termine “educazione” nei servizi per l'infanzia deve assumere una connotazione più ampia rispetto a quella “istruttiva” tradizionalmente adottata nella scuola dell'obbligo: un approccio olistico risulta essere più proficuo in quanto sostiene e valorizza le strategie di apprendimento tipiche dell’età infantile. Gli approcci educativi tradizionali risultano efficaci nel promuovere l'apprendimento in età prescolare. L'approccio olistico respinge dunque sia l’idea di L'approccio curricolare dei servizi per l'infanzia curricolo come avvicinamento alle discipline, sia 0-6 dovrebbe assumere una caratterizzazione quella di progressione lineare verso il del tutto particolare che si richiama al raggiungimento di obiettivi predefiniti. costruttivismo sociale. Le pratiche educative veramente efficaci sono quelle che prevedono un coinvolgimento reciproco nella relazione da parte dei bambini e dell’adulto; un processo di co-costruzione che porta all'elaborazione di conoscenze e significati condivisi. È importante per un curricolo per l'infanzia 0-6 le interazioni tra pari e il gioco: l'adulto, partendo dagli interessi dei bambini, li incoraggia a prendere decisioni e risolvere problemi in modo autonomo, promuovendone /’indipendenza. Il gioco può diventare uno strumento potente per costruire quelle strutture cognitive che stanno alla base dei processi di apprendimento formale. | curricoli per l'infanzia 0-6 devono essere in grado di: + Allestire un ambiente accogliente e sicuro che sappia suscitare nei bambini curiosità e coinvolgerli in attività per loro interessanti; e Annotare e considerare gli interessi manifestati dei bambini; + Sostenere tali interessi attraverso esperienze che possano non solo soddisfarli; + Verificare se le esperienze realizzate richiedono di essere articolate; + Allestire nuove esperienze tenendo conto di quanto verificato e del concetto di continuum sperimentale, si tratta di un curricolo aperto, chiamato “emergente”, esige da parte degli insegnanti la pratica di alcune attività che richiedono competenze professionali specifiche: progettare, verificare, valutare, osservare, documentare. Progettare: comporta anticipare mentalmente gli effetti che si vorrebbero produrre ed immaginare come una certa organizzazione dell'ambiente e delle relazioni possa produrre effetti positivi. La progettazione non è un compito solitario, va realizzata insieme da tutti coloro che hanno responsabilità nei confronti di un certo gruppo di bambini. La progettazione può avvalersi di documenti programmatici che si collocano a diversi livelli, come le indicazioni nazionali per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e le teorie pedagogiche consolidate (Montessori, Steiner). Il curricolo che propone per l'infanzia 0-6 è aperto, ciò significa che la progettazione è continua e ricorsiva: la proposta educativa andrà modificata e verificata. Si tratta di un curricolo aperto perché i contenuti e le esperienze non sono definiti dall'inizio e sono le domande, le curiosità, gli interessi, i comportamenti dei bambini a orientarlo. Osservare: si intende sia un “prestare attenzione”, sia un “prendere nota” di ciò che avviene nel contesto educativo. Le osservazioni dovranno avere un carattere di sistematicità ed essere sottoposti ad analisi. Valutare: il diario di bordo è uno strumento che consente di riflettere sul processo di crescita dei singoli bambini mettendo in strette relazioni i comportamenti infantili con l’organizzazione dell'ambiente e l'intervento dell'adulto. Rilevare i progressi dei bambini comporta porre in relazione con l'offerta educativa nel suo complesso. Non è un puro atto descrittivo, ma implica una riflessione sulla responsabilità dell’adulto. L'osservazione dei progressi dei bambini, mediante il diario di bordo, risulta essere anche un utile strumento per la verifica/valutazione del progetto educativo e per la sua riprogettazione. Le osservazioni riportate nel diario di bordo possono consentire di valutare la rilevazione dei progressi dei bambini. La sola valutazione del bambino non consente la valutazione del curricolo, la quale richiede che si considerino, in connessione tra loro, le offerte educative e le risposte dei bambini. Strumenti per l'osservazione e la documentazione: il diario di bordo è uno strumento agile e facile da compilare che può risultare produttivo se presenta in maniera descrittiva l’intreccio tra il setting e il comportamento dei bambini, e se viene utilizzato per avviare una riflessione sulle pratiche educative e per rendere visibili i progressi dei bambini. Andrebbe formulato un “piano” che specifichi lo scopo delle osservazioni, che cosa si vuole rilevare e/o valutare tramite la loro analisi, le modalità di svolgimento dell’osservazione; andrebbe specificato su quali basi verrà svolta l’analisi delle osservazioni, cioè quali aspetti in particolare dovranno essere documentati. La qualità del curricolo: Un curricolo olistico L'aggettivo “olistico”, indica che il percorso educativo non può essere orientato allo sviluppo di una dimensione dell’esperienza affettiva, cognitiva, sociale, tutte le aree evolutive devono essere tenute in conto e non deve esserci uno squilibrio tra le une e le altre. Un curricolo non è olistico se si insiste sulla dimensione intellettuale e istruttiva, l’importanza delle relazioni sociali. La visione olistica esclude il trascurando concepimento dei “campi di esperienza” come ambiti disciplinari da sviluppare separatamente in tempie spazi ad hoce per il raggiungimento di Un aspetto importante della caratterizzazione olistica del obiettivi ristretti e specifici. curricolo riguarda l'intreccio tra cura e educazione. La cura non va identificata con la custodia, ma è parte integrante dell'educazione; gli educatori e gli insegnanti non possono esimersi dal provvedere alle cure, né possono pretendere dai frequentare gli asili nido che abbiano raggiunto bambini che si avviano a Un curricolo identitario Qualsiasi percorso educativo viene elaborato all’interno di un servizio specifico, che ha una propria storia, che si rivolge a gruppi di bambini altrettanto particolari e si determinato territorio. Il curricolo progettato e realizzato di caratteristiche proprie. Pur nel rispetto del carattere olistico ogni percorso educativo dovrebbe qualità curricolo colloca in un un asilo nido dovrebbe avere mostrare distintive. L'elaborazione di un identitario richiede che il team educativo condivida convincimenti e valori; che si configuri come un gruppo di lavoro; che abbia un dialogo con le famiglie; e che sia in cooperazione con il territorio. Un curricolo identitario tiene conto delle peculiarità di ogni singolo bambino ed è calibrato sulle sue esigenze. prevedere un percorso educativo diverso per ciascun bambino, ma il percorso deve essere aperto e flessibile da far sì che ciascuno possa trovarvi modo di scoprire e realizzare, le proprie specifiche potenzialità. Non si deve un grado di autonomia tale da rendere poco impegnative le cure corporee. Un curricolo emergente Un curricolo emergente è centrato sul bambino. L’adulto è attento a rilevare interessi, curiosità, azioni e potenzialità e offrire supporto per farsi che possano dipanarsi per i bambini esperienze motivanti, in quanto nate dalle loro esigenze. Il percorso educativo non avrà contenuti e sequenze definite in anticipo. Un curricolo Un curricolo ludico Il gioco è riconosciuto come il comportamento attraverso cui il bambino ha modo di esprimere il suo punto di vista, affrontare i problemi che incontra, crescere dal punto di vista cognitivo, sociale e affettivo. Il gioco occupa una parte della giornata al nido e alla scuola dell’infanzia, con la partecipazione di un adulto capace di giocare promuovendo il gioco “dall’interno”. Il gioco è un ambito nel quale è con i bambini possibile rilevare gli interessi dei bambini ed emergente è un curricolo aperto ciò non toglie che esso risulti finalizzato, sorretto dai valori di riferimento e direzionato dalle dichiarate. Un'altra caratteristica del curricolo emergente sta nell'interazione continua tra bambini e adulto: l'adulto è attento alle esigenze e agli interessi manifestati dei bambini e ne tiene elaborare e realizzare percorsi sempre più sul protagonismo del finalizzati allo sviluppo degli apprendimenti. Qualsiasi attività che coinvolge i bambini dovrebbe essere svolta all’insegna dello “spirito del gioco”. centrati bambino e finalità conto nello svolgimento delle attività. Un curricolo interattivo Si basa sull'idea che l'apprendimento e lo sviluppo avvengano sempre all’interno di relazioni. Il bambino è visto come un attore sociale che partecipa attivamente alla propria crescita. Il processo educativo e di apprendimento si fonda sull’interazione tra adulto e bambino, bambini tra loro, bambini con il mondo. La conoscenza e l'apprendimento si acquisiscono attraverso un percorso attraverso il quale il bambino elabora dei significati interagendo con le altre persone e con la realtà esterna. L'insegnante è un facilitatore di queste dinamiche, capace di agire attraverso strategie indirette di scaffolding dell'esperienza. Il gioco è un'esperienza educativa che favorisce la crescita infantile dal punto di vista cognitivo, sociale e affettivo. Anche la relazione che il bambino instaura con le figure di attaccamento secondarie è formativa. Pure l'assetto spazio-temporale ha un significato educativo dal momento che suggerisce attività ed esperienze significative. Tutti i momenti della quotidianità al nido possono assumere un significato educativo se intenzionalmente realizzati dagli educatori. Per fare dell’asilo nido un luogo di educazione, non c'è bisogno di predisporre percorsi didattici predefin attribuire un tale valore solo all'ambiente, con le opportunità che può offrire, trascurando il ruolo e il compito dell’adulto nel sostenere e promuovere percorsi di apprendimento. Si può verificare il rischio di accordare ai bambini una libertà e un'autonomia che non sono ancora in grado di padroneggiare. Un altro pericolo è quello di incentrare l'educazione al nido sulla dimensione socioaffettiva, trascurando di promuovere quella intellettuale e di incentrare l’educazione alla scuola dell’infanzia prevalentemente sullo sviluppo di competenze cognitive se non di preparazione al grado scolastico successivo. i, va evitato il rischio di Esperienze per il benessere e lo sviluppo psico-fisico: questioni che lo interessano; ciò comporta che l’educatore non solo proponga esperienze a sostegno della crescita del bambino, ma si ponga anche in ascolto del suo punto di vista rispetto a quanto proposto e accolga i suoi interessi e percorsi di esplorazione. Il bambino è protagonista attivo e partecipe della costruzione del suo percorso di crescita. Questo comporta: e Una conseguenza positiva riguarda il valore educativo del mettere al centro della relazione la “voce” del bambino, ovvero il suo diritto di esprimersi e di essere ascoltato. Mettere in primo piano nella relazione educativa la voce infantile significa veicolare una comunicazione che arricchisce di valore il senso del Sé che il bambino sta sviluppando. Una certa autonomia valorizza il Sé, sostiene la fiducia in sé stessi; è una competenza che apre alle possibilità di prendere l’iniziativa nel rapporto con il mondo fisico e sociale, nell’esprimere il proprio punto di vista, nell'affrontare i problemi, nel pensare e agire in modo originale. e Una conseguenza negativa la parità di posizioni che questa prospettiva propone tra l’adulto e il bambino sul piano dei diritti, risulta complessa da realizzare nella relazione con i bambini più piccoli. | bambini tra 0-6 anni sono “corpo” più che “linguaggio”: il bambino prima dei 6 anni si rapporta al mondo in modo concreto oltre che attivo, privilegiando l’azione e la percezione, esprimendo interessi, difficoltà, potenzialità, punti di vista, attraverso il canale comunicativo non verbale. la comunicazione infantile è meno facilmente decifrabile, dunque risulta più complesso assicurare i diritti di espressione e partecipazione. nel caso dei bambini del nido, l’immaturità richiede il sostegno fisico dell'adulto per rispondere ad esigenze vitali. La voce del bambino rischia di non trovare ascolto, perché l’adulto potrebbe essere distratto, più sintonizzato sulle comunicazioni verbali e poco sensibile al canale comunicativo non verbale. Il rischio di questa distrazione è alto nei momenti dedicati alla cura del corpo e dei suoi bisogni primari, sulla base del convincimento diffuso che questi momenti siano altra cosa rispetto a quelli più esplicitamente educativi, in cui si propongono esperienze propriamente progettate in tal senso. La relazione adulto- bambino si sviluppa attraverso processi complessi, nei quali la postura relazionale dell'adulto è senz'altro un aspetto cruciale. Nello scambio si toccano i piani dello sviluppo sociale, affettivo e cognitivo. Alcune teorie che risultano utili a fornire le caratteristiche di fondo di una buona relazione nei contesti 0-6: La relazione come rispecchiamento e conferma La teoria di Carl Rogers chiarisce cosa può significare mettere il punto di vista del bambino in primo piano in una relazione educativa. Rogers studia un approccio “non direttivo”. | principi su cui si fonda la “non direttività”: alla base dell'approccio non direttivo vi è l’idea che ogni persona non solo abbia valore e dignità propri, e vada rispettata nella sua individualità, ma possieda in sé la capacità e il diritto di autoregolarsi verso l’autorealizzazione. Rogers propone una visione dell’uomo come essere animato da un naturale, positivo e costruttivo impulso dell’autorealizzazione. In ciò consiste l'essere liberi e sani, in senso interiore. Questa tendenza, che l’autore definisce attualizzante, è un diritto da salvaguardare. Ha un'importanza fondamentale l’ambiente in cui l’individuo vive e sono importanti le relazioni che accompagnano la sua crescita, in quanto possono ostacolare o sostenere la realizzazione di “ciò che è”. L'elemento fondamentale è il suo punto di vista su di sé e sul mondo. Punto di vista che deve essere accolto, da chi si propone di aiutare o educare, in maniera aperta, empatica: un simile 10 approccio richiede un grande impegno cognitivo ed emotivo nel mettere da parte se stessi affinché l’altro, il suo modo di essere e le sue potenzialità possano emergere e dispiegarsi. Questo tipo di atteggiamento relazionale e comunicativo avrebbe effetti dirompenti nello sviluppo della persona. Nello scambio fra due comunicanti, chi comunica dà sempre una definizione di sé. A questa comunicazione relazionale, l’altro può rispondere in modi diversi, tra i quali vi è la conferma, che si esprime come un “hai ragione” e coincide con l'accettazione della definizione di sé data dal proprio interlocutore. Lo stile educativo dei docenti si ispira a criteri di ascolto, accompagnamento, interazione partecipata, mediazione comunicativa, con una continua capacità di osservazione del bambino, di presa in carico del suo “mondo”, di lettura delle sue scoperte, di sostegno e incoraggiamento all'evoluzione dei suoi apprendimenti verso forme di conoscenza sempre più autonome e consapevoli”. Alla radice ci sono l'ascolto, l'accoglienza incondizionata del mondo del bambino, la sua messa al centro, che comunicano accettazione, valorizzazione, comprensione; il rispecchiamento di ciò che il bambino va scoprendo della realtà con cui si rapporta. Il docente promuove il realizzarsi delle potenzialità e degli interessi particolari di ogni bambino. La relazione come “contenimento” Approfondiamo le dimensioni emotive della relazione educativa in rapporto ai processi di apprendimento, ponendo l’accento su quanto avviene nel mondo interno del bambino in relazione a questi processi. La teoria di Bion sostiene che il processo di apprendimento sia permeato dal dubbio. Il soggetto che sta cercando di conoscere qualcosa di nuovo, fa i conti con uno stato emotivo di dubbio e incertezza. Salzberger-Wittenberg, Williams Polacco e Osborne, affrontano da vicino la relazione insegnamento/apprendimento delineando le dinamiche che possono favorirla o intralciarla. Il bambino piccolo sarà pervaso da sentimenti negativi, ansia, incertezza, confusione, impotenza rispetto a ciò che non conosce e alle sue capacità di farvi fronte. Per sbarazzarsene proietterà tali vissuti all’educatore attraverso comportamenti disturbanti, i quali faranno sentire quest’ultimo altrettanto dubbioso, ansioso, confuso, impotente. L’educatore, può a questo punto, rispondere in due modi: Tentando di sfuggire allo stato emotivo di disagio, Tollerando questo stato doloroso, entrando in contatto con esso e con le proprie reazioni ad esso per riflettere su cosa sta avvenendo nel bambino. In questo caso l’educatore esercita una funzione di “reverie” e “contenimento”: i senza soffermarsi a riflettere su ciò che accade nel bambino e, quindi, proiettando i sentimenti indietro, di bambino, alimentando un circolo vizioso del tutto negativo dolorosi nuovo nel per i processi di educazione/apprendimento. L’educatore potrà reagire al senso di impotenza con un atteggiamento rigido e autoritario, al senso di inadeguatezza con un atteggiamento di superiorità, facendo sentire il bambino ancora più inadeguato e impotente. sentimenti del bambino vengono accolti, compresi ed elaborati, attribuendo loro un nome da riconoscerli e diversificarli. In tal mondo il bambino fa esperienza del fatto che i suoi vissuti possono essere compresi, tollerati e tradotti in pensieri e parole, e può anche riflettere su di essi, sulla propria esperienza interiore. Nella relazione educativa, l’attenzione viene posta sulla comunicazione del bambino rispetto a ciò che avviene nel suo mondo interiore, di fronte al compito conoscitivo: una comunicazione che esprime vissuti dolorosi attraverso i/ corpo e i suoi canali non verbali. Una buona relazione educativa richiede un ascolto sottile del bambino e di ciò che la sua comunicazione suscita in chi educa, che implica 11 osservazione, apertura, ricettività, disponibilità emotiva. Richiede la riflessione sull’ascolto, la traduzione in pensieri e parole di quanto si è colto e la sua comunicazione al bambino, con le parole e con il non verbale, modulando così il dolore del processo conoscitivo per renderlo decifrabile e dunque affrontabile: un insieme di processi complessi che trovano sintesi nella funzione di “contenimento”. La relazione come “impalcatura” Salzberger-Wittenberg, Williams Polacco e Osborne hanno approfondito gli aspetti affettivi dell’apprendimento, considerando i modi attraverso cui evolvono all’interno di una relazione educativa come presupposti per la possibilità di dispiegamento degli aspetti cognitivi. Nella prospettiva di Vygotskij, la relazione educativa è radicata nel conetto di zona prossimale di sviluppo, con cui si intende la distanza tra ciò che il bambino riesce a fare autonomamente, attivando le competenze possedute, e ciò che riesce a fare se aiutato da adulti competenti, che gli consentono di pensare/agire mediante competenze non ancora possedute pienamente: è un intervento educativo che sostiene l'attivazione di livelli di competenza in via di sviluppo, consentendo così il processo di apprendimento. L’educatore deve porsi nella relazione educativa con un atteggiamento di osservazione e attenzione, per poter definire il livello di potenzialità attuali e potenziali, in modo da modulare la sua proposta di sostegno. Con la consapevolezza di dove il bambino può e vuole arrivare, egli svolge nei suoi confronti una funzione di “coscienza vicaria”, una relazione educativa mirata a sostenere l'apprendimento. Wood, Bruner e Ross, chiariscono le caratteristiche di una buona relazione educativa, riempiendo il significato con la dimensione affettiva. Con il temine scaffo/ding intendono un'impalcatura fornita dall’adulto sia per risolvere il problema, sia per sostenere competenze relative alla comprensione della struttura del problema stesso. Lo scaffolding attiverebbe la “zona” attraverso l'esercizio di queste funzioni: ® La sollecitazione dell'interesse del bambino e L’evidenziazione degli aspetti cruciali del e della sua adesione emotiva alle richieste del compito stesso; La semplificazione del compito, in base al @ livello di capacità del bambino; . compito (la differenza tra ciò che il bambino fa e ciò che andrebbe fatto); Il controllo della frustrazione; L'offerta di modelli da imitare (modeling) corrispondenti ai suoi livelli di competenza potenziali, per portarle a compimento. mantenimento dell’interesse e della perseguire gli obiettivi, mediante diverse strategie (suscitando curiosità, valorizzando l’obiettivo); Le funzioni di scaffolding delineano le caratteristiche di una buona relazione educativa nel momento in cui si concentrano sul sostegno delle competenze introdotte dal bambino di fronte un problema cognitivo e convergente, che prevede una sola possibile soluzione. costanza nel Lo scaffolding riguarda competenze quali: L'osservazione, la formulazione e la messa è alla prova di ipotesi di soluzione; La perseveranza nel dell’obiettivo; perseguimento 12 La possibilità di esprimersi rispetto al proprio livello potenziale in tutte le sue competenze, scoprendo capacità che da soli non si sarebbero attivate e conosciute. | processi Secondo alcuni studi il bambino è predisposto all'interazione sociale fin dalla nascita: già nelle prime interazioni con la madre il neonato si propone in modo attivo e competente, sollecitando risposte relazionali che gli permettono di sviluppare il proprio emergente senso del Sé verso forme sempre più articolate e consapevoli. Questa precoce competenza sociale è confermata dagli studi sui neuroni a specchi processi di simulazione incarnata, cioè riproduzione automatica degli stati mentali altrui, che avrebbero un ruolo basilare negli scambi intersoggettivi. Questa vocazione sociale può essere neonati attivano considerata una potenzialità: i rapporti che i bambini sviluppano con i coetanei sono evolutivi, cioè che favoriscono la crescita sociale, cognitiva e affettiva reciproca. Piaget afferma che il superamento dell’egocentrismo, è favorito dallo scambio con i coetanei: mentre l’adulto tende a non mettere il bambino di fronte ai suoi errori egocentrici, i coetanei manifestano incomprensioni e conflitti che lo costringono a fare i conti con un punto di vista diverso dal proprio. Gli studi sugli effetti del conflitto socio-cognitivo mettono in evidenza come tra bambini questo tipo di conflitto produca progresso cognitivo quando i diversi punti di vista vengono affermati con decisione: vi è una forte motivazione ad arrivare a un punto di vista comune e, perciò, lo stile relazionale è improntato alla cooperazione. Il gioco, in particolare quello simbolico, e tra le situazioni più fortemente caratterizzate dalla motivazione a raggiungere un punto di vista condiviso: se si vuole educare insieme e mettere in scena una trama ludica è necessario intendersi, spiegarsi, negoziare, cooperare, trovare accordi su come giocare, quali ruoli e situazioni attivare. Uno studio mette in evidenza le caratteristiche della relazione tra bambini dai due ai quattro anni, risulta che il gioco comune viene costruito attraverso tre processi: * L’imitazione da parte dei bambini più piccoli, che ristrutturano la propria attività ispirandosi a quanto vedono fare dei compagni più grandi; * Lacooperazione, attraverso proposte, argomentazioni, negoziazioni che vengono principalmente sostenuta ai bambini più grandi; * L’aiuto tutoriale messo in atto dai bambini più grandi nei confronti dei bambini più piccoli, con azioni dimostrative o direttive che vengono accettate o rifiutate. L'azione educativa dell'adulto, in rapporto alla socialità infantile, va in due direzioni: e Promozione di contesti cooperativi e di confronto diffuso utili alla co-costruzione di significati e apprendimenti; ® Sostegnoalla realizzazione di prime esperienze di cittadinanza, che traggono origine dallo scambio democratico sviluppato attraverso il dialogo, la reciprocità d'ascolto, il riconoscimento e il rispetto del punto di vista altrui, ponendo le fondamenta di un comportamento eticamente orientato. L’educatore dovrebbe rapportarsi ai bambini in gruppo secondo le seguenti modalità: dovrebbe porsi in una posizione di ascolto stando un passo indietro, cioè non avendo come priorità l'intervento diretto negli scambi tra bambini. Occorre che l'adulto permetta ai bambini di interagire tra loro liberamente, così da metterli in condizione di confrontarsi l’uno con il punto di vista dell’altro così da poter ascoltare le loro voci con sensibilità attenta; l'adulto interviene direttamente nelle interazioni tra bambini e facendo da ponte sociale, rafforzando gli scambi tra bambini in una dimensione di gruppo. L’educatore compie le seguenti azioni 15 Se non si manifestano, sollecita gli scambi in modo non direttivo, cioè facendo presente agli uni che cosa stanno facendo gli altri con rispecchiamenti verbali e non verbali; Rispecchia quanto sta avvenendo nello scambio fra prosecuzione dell'interazione; bambini rafforzando la Pone domande di chiarimento incrociate, per favorire la reciproca comprensione e la contrattazione di prospettive comuni; Inserisce elementi nuovi, ma congruenti all'attività dei bambini e capaci di sostenere il proseguimento e l'allargamento dell’attività comune; Riprende iniziative solo abbozzate dei bambini, ma che possono favorire la prosecuzione e l’allargamento dell'attività comune, in quanto rappresentano spunti che potrebbero sollecitare nuovi interessi che sono comprensibili per i più, cioè che si collocano entro le capacità potenziali dei partecipanti. L'azione dell’adulto in questa direzione richiede che le modalità di intervento siano attivate in un certo modo, cioè veicolando con il non verbale un messaggio relazionale che esprima e chieda rispetto, fiducia, benevolenza per ogni punto di vista, proponendosi come esempio di socialità positiva. La dimensione della reciprocità è la più difficile da comprendere e praticare per i bambini perché implica non solo l’essere ascoltati, ma anche l’ascoltare l’altro con sensibilità e rispetto, andando verso il dialogo autenticamente democratico. Nel gestire i conflitti tra bambini occorre che l'adulto faccia un passo indietro, permettendo ai bambini di provare a negoziare autonomamente. Solo nel caso di conflittualità il risolte l'adulto interviene per mediare secondo alcune modalità principali: e Comprendendoe contenendo le dimensioni * emotive che attraversano il conflitto; e Sostenendo forme di pensiero riflessivo per @ mettere a fuoco gli aspetti nodali dei problemi, individuare ipotesi di soluzione, verificare tali ipotesi; Proponendosi come esempio di giustizia cui i bambini possono rifarsi e affidarsi; Sostenendo l’esperienza di prendere accordi, del darsi delle regole, con l'assunzione di responsabilità e impegno sociale. Questo stile di intervento dell’educatore nei confronti degli scambi tra bambini deve accompagnarsi ad alcune proposte volte a rafforzamento del senso di appartenenza a una comunità di apprendimento, mettendo in evidenza aspetti salienti della vita comune a diversi livelli: * A livello di gruppo di riferimento, prevedendo modalità per tenere memoria delle esperienze educative condivise; e A livello di gruppo di riferimento, prevedendo momenti in cui si definiscono esplicitamente con i bambini le regole di quel gruppo, in modi diversi e adeguati a seconda dell'età, regole che dovrebbero riguardare non solo i comportamenti critici per la vita sociale ma anche quelli costrittivi (xes. scegliere dove appendere i disegni); ® A livello di gruppo nido/scuola, prevedendo momenti regolari e regolati di vita insieme, in cui i bambini si possono riconoscere come appartenenti a quel gruppo allargato. La socialità tra pari deve essere oggetto esplicito di progettazione e monitoraggio. Nel documento in cui il servizio dichiara la propria identità educativa occorre che venga fatto esplicito riferimento all'importanza attribuita alla costruzione di una socialità positiva tra i bambini, volta alla realizzazione 16 di una comunità di apprendimento, cioè a una rete di relazioni favorevoli sia alla co-costruzione di apprendimenti sia all’avvio di esperienze di cittadinanza e dunque all’implementazione di comportamenti eticamente orientati. Il gruppo lavoro elabora un documento di progettazione educativa mirato al sostegno della socialità positiva tra pari, in cui vengono esplicitamente indicati gli obiettivi e le modalità con cui ci si propone di raggiungerli. Occorre che la progettazione educativa per la socialità preveda: e La possibilità per i bambini di trascorrere del tempo in gruppi di dimensioni non troppo ampie affinché si sviluppino scambi interattivi significativi e personali e affinché l’adulto possa avere l'opportunità di coglierli, ascoltarli e intervenire secondo modalità più consone; e Per ogni bambino l'appartenenza a uno o ad alcuni gruppi di riferimento con una certa stabilità permette di maturare conoscenza, senso di appartenenza, fiducia; i criteri con cui formare il gruppo tengono sempre conto delle voci dei bambini; e Per ogni bambino la possibilità di sperimentare una certa varietà di situazioni sociali con momenti di incontro e scambio con bambini diversi da quelli del proprio gruppo affinché si apra una socialità sempre più allargata. Il monitoraggio del progetto deve essere realizzato in maniera sistematica, prevedendo verifiche regolari basate sull’analisi di osservazioni relative al comportamento sociale dei bambini e degli adulti in relazione ai gruppi infantili. Per favorire il consolidamento di una socialità positiva tra adulto e bambini, si ritiene che spazi e tempi siano organizzati in una certa maniera. Gli spazi: * Nelle | tempi: aule, si dovrebbe prevedere e Occorre prevedere momenti quotidiani in l'allestimento di angoli di interesse, in modo che i bambini possono distribuirsi in piccoli gruppi, aggregandosi autonomamente per interessi comuni, l'adulto possa intervenire con attenzione sensibile negli scambi per sostenerli; attenzione sensibile; Deve essere messo a disposizione materiale ricco e vario, in modo tale da favorirne il libero e autonomo utilizzo: questa possibilità rappresenta la premessa per interazioni che si sviluppino a partire da interessi comuni, all’adulto di coglierli e sostenerli perché si consolidino come scopi condivisi e collaborazioni fattive. e che intervenire con dando modo cui ci si ritrovi e ci si riconosca; Occorre prevedere momenti per progettare con il gruppo attività da condividere, nei quali l’adulto, sulla base anche di quanto rilevato nelle attività dei bambini, proponga esperienze e ne discuta con i bambini nei modi più adatti all’età; Occorre prevedere momenti periodicamente per ripercorrere con il gruppo quanto sia condiviso di particolare in quel lasso di tempo; Occorre prevedere momenti periodicamente per progettare o ripercorrere con l’intero gruppo nido e cadenzati cadenzati condividere quanto realizzato nei gruppi di riferimento (xes. la festa di fine anno). Gli educatori condividono la responsabilità educativa di un nido. Nel caso dei servizi 0-6, gli educatori sono fianco a fianco nell’occuparsi quotidianamente dei bambini, perciò la qualità della loro relazione importante affinché gli obiettivi educativi trovino realizzazione. Anche altre figure contribuiscono su 17 che nella pedagogia dell'infanzia l’ambiente è un dispositivo educativo. l’organizzazione dello spazio e la gestione del tempo vengono considerate come elementi di base per il buon funzionamento della vita quotidiana e per lo svolgimento dell'attività con i bambini. Sono aspetti che consentono di dare ordine alla vita quotidiana e offrire a bambini stimoli significativi. Nell’organizzazione degli spazi e dei tempi, si intrecciano elementi di materialità (ampiezza dei locali, distribuzione degli arredi, durata delle attività), veicoli istituzionali (turni di lavoro, tempi di compresenza) con elementi simbolici e relazionali che influiscono sul modo con cui lo spazio e iltempo vengono vissuti da chi ne fa esperienza, adulti e bambini. Lewin aprì la via a riflessioni significative sul iltema della valenza psicologica e sociale dello spazio. Mette in evidenza due aspetti dello spazio: quello materiale e quello psicologico, chiamando “ambiente”. Lo spazio è composto da fattori di ordine extra-psicologico (fisici) che influenzano l'ambiente psicologico e quindi il comportamento degli individui. Ma anche il vissuto psicologico degli individui ne influenza il comportamento. Se si considera l’ambiente in quanto ambiente psicologico (spazio vissuto), il comportamento di un individuo (C), dipende sia dalle sue caratteristiche personali (P) sia da quelle dell'ambiente (A). La formula di questo costrutto f(P, A). Il comportamento è influenzato sia dalla rappresentazione psicologica e sia dall'ambiente per come si presenta. Augé pone l’attenzione sulla dimensione identitaria degli spazi: “luoghi” e “non luoghi”. I luoghi sono ambienti caratterizzati da una storia | “non /uoghi” sono spazi nei quali colui che li riconosciuti da coloro che li abitano come spazi attraversa non può leggere nulla, né della sua di appartenenza; dimore, spazi relazionali e di identità né dei suoi rapporti con gli altri né della vita. Un luogo è tale quando noi stessi storia comune (xes. centri commerciali, stazioni) contribuiamo a renderlo così. Le considerazioni di Augé mostrano due diversi significati che lo spazio può assumere: da una parte, lo spazio come luogo in cui gli individui si possono sentire a casa, in quanto parte della propria identità e della propria storia; dall’altra lo spazio impersonale e asettico, puramente funzionale, senza storia e identità. Il bambino deve sentire di appartenere ad un certo luogo, deve avvertire di esserne un partecipante attivo, deve riconoscergli un’identità. Goffman pone l’accento sulla valenza sociale e simbolica degli spazi nei quali hanno luogo gli incontri tra individui. L'organizzazione spaziale corrisponde a una organizzazione sociale e la determina. Le occasioni sociali comportano l'utilizzo di luoghi specifici. Il comportamento degli individui è modellato dalle regole implicite che l’organizzazione spaziale sembra imporre. La disposizione nello spazio sottolinea le caratteristiche delle relazioni interpersonali. Sono le relazioni e i ruoli sociali ciò che l’organizzazione spaziale sottolinea e contribuisce a mantenere e a riprodurre. Goffman parla di “fabbricazione” dell’individuo mediante l'ordine e il consenso sociale. | suoi studi aiutano a riflettere su come l’organizzazione spaziale giunga a definire ruoli e rapporti interpersonali. Gli spazi delle istituzioni devono essere attenti alle implicazioni didattiche e psicologiche. Lo spazio è un medium educativo in quanto suscita vissuti, configura ruoli e relazioni, predispone ad habitus di comportamento, sottolinea l'appartenenza e l'identità. Lo spazio configura una pedagogia che può assumere valenze molto diverse: autoritaria o democratica, individualistica o partecipativa, anonima e impersonale o identitaria e inclusiva. L'organizzazione ambientale agisce senza che gli individui ne siano consapevoli. Bernstein parla di una pedagogia invisibile, che comporta un controllo non esplicito dell'insegnante sul bambino, una sua azione tramite l’organizzazione dell’ambiente piuttosto che attraverso strategie istituzionali volte all'acquisizione di competenze specifiche. Tale pedagogia può produrre degli effetti non voluti, occorre che esca dall’invisibilità, in modo che l’organizzazione ambientale non sia passivamente accettata. 20 Le trasformazioni delle concezioni pedagogiche: Negli Stati Uniti dai primi del 900: Le concezioni sulle modalità dell’apprendimento si sono modificate: L’aula era rettangolare; Il sedile dell'alunno era unito al banco e fissato al pavimento; La sedia e il tavolo dell'insegnante erano separati, posti su una pedana. In tal modo la classe era tutta focalizzata sull’insegnante. Il centro non è più l'insegnante bensì l'allievo; La cattedra è stata tolta dalla pedana e posta allo stesso livello dei banchi; I tavoli e le sedie sono mobili. + sedili degli alunni li obbligava a stare seduti e a guardare in avanti; distogliere Nella successiva trasformazione, l'ideale l’attenzione dall'insegnante era molto sarebbe: difficile. + Un’aula aperta con i banchi disposti in cerchio per facilitare le interazioni; | tavoli si possono disporre liberamente; Il sapere non scaturisce più dall'insegnante o dall’allievo che apprende da solo ma dal campo delle relazioni interpersonali. Alla base di un tale assetto vi era la convinzione che il bambino non avrebbe imparato se non vi è fosse stato costretto. . Piaget descrive il modo in cui nel bambino si costruiscano i concetti di tempo e spazio. Il bambino, alla nascita, non conosce né spazio né causalità e non ha neppure la nozione di “oggetto” come qualcosa di permanente: quando le cose scompaiono, smettono di esistere e il bambino non le cerca. Solo progressivamente, il mondo acquisisce una certa consistenza indipendente dalle azioni del bambino rappresentazioni Precedentemente, lo spazio risulta essere di tipo senso-motorio, legato allo sviluppo della percezione e alla motricità, ma con l'avvento del linguaggio, lo spazio diventa rappresentativo. Il bambino passa da un tempo locale ed egocentrico (in funzione dei suoi movimenti), ad un tempo omogeneo, continuo che costruisce un’organizzazione spaziale e compaiono le prime mentali. e reversibile (comune a tutti). \ygotski] segnala l’importanza della capacità rappresentativa nella elaborazione della realtà esterna, considerandola un momento cruciale dello sviluppo del bambino. Le azioni del bambino dipendono dalle proprietà fisiche e percettive degli oggetti. Solo quando il bambino distingue l'oggetto dal suo significato può agire indipendentemente dalle proprietà percepite dell'oggetto e piegare quest’ultimo alla propria volontà immaginativa. Anna Freud osserva che il vissuto temporale del bambino è diverso da quello dell’adulto. Il bambino molto piccolo non accetta di aspettare rispetto al soddisfacimento pulsionale (principio di piacere). Una delle più importanti acquisizioni del bambino è la capacità di attendere. Questa facoltà dipende dalle esperienze che il bambino ha vissuto nella relazione con le figure di attaccamento: l’attesa fiduciosa contraddistingue il bambino che ha sperimentato cure e affetti regolari e coerenti. Egli sviluppa la capacità di attendere. Per Stern, il senso di tempo è correlato all'elaborazione di un Sé nucleare, legato a una serie di esperienze: Un Sé affettivo, che sperimenta stati intimi con qualità affettive; e Essere un Sé agente (il bambino ha la * sensazione di essere l’autore delle proprie azioni e prevederne le conseguenze); 21 ® Essere dotato di coesione (il bambino sente e Un Sé storico, provvisto di un senso della di essere un'entità fisica intera); durata, di una continuità con il proprio passato. Esistono occasioni favorevoli all'elaborazione di un senso del Sé nucleare: quando l’adulto assume un certo comportamento nell’interazione sociale con il bambino che Stern chiama “tema con variazioni”. Una modalità di interazione che può essere giocata sul piano verbale (xes. “Tesoro, cosa fai adesso?”) e sul piano ludico (xes. nel gioco “io ti acchiappo” caratterizzato dal fatto che le dita seguono ogni volta un percorso diverso, con diverso accompagnamento vocale). Tali forme di interazione hanno come scopo quello di regolare il livello di eccitazione del bambino, in modo da fornire una stimolazione ottimale, occorre una certa sensibilità dell’adulto, per non sovreccitare il bambino, ma aiutarlo ad autoregolarsi. Anche momenti legati alle cure possono essere espressi nella forma del tema con variazioni. Fattori emotivi e relazionali intervengono fortemente a colorare tali esperienze: angoscia di abbandono, sensazione di inadeguatezza, piacere di condividere situazioni sociali. Sono aspetti che contribuiscono a creare nel bambino un’idea di spazio e di tempo condivisa e sociale. Tali fattori influenzano lo spazio psicologico e il vissuto temporale, contribuiscono anche allo sviluppo dell'autonomia e al consolidamento dell’identità personale nei bambini. Alcune considerazioni per allestire ambienti a misura di bambini dal punto di vista spaziale e temporale: + Nonè possibile sconnettere l’organizzazione degli spazi e dei tempi dalla complessa organizzazione dell'ambiente che prevede un’ampia gamma di aspetti che possono influire sia sul vissuto spazio- temporale infantile, sia sull’elaborazione di un senso dello spazio del tempo condivisi. + L'organizzazione degli spazi e dei tempi dipende dal vissuto infantile e allo stesso tempo lo influenzano. Gli aspetti emotivo-affettivi da una parte sono sintomatici del modo con cui i bambini vivono il nido, dall’altra influenzano il loro modo di percepire e concepire lo spazio e iltempo vissuti fuori casa. + Le acquisizioni cognitive, fisiche ed emotivo-affettive, dipendono dal modo con cui l’ambiente le promuove ma anche dalle capacità del bambino, spesso connessa all’età. + L'organizzazione dello spazio e del tempo influenza anche le dinamiche tra pari, in quanto può incentivare o disincentivare le interazioni positive. Di seguito alcune osservazioni più specifiche circa l’organizzazione di spazi e di tempi: a. Gli spazi della scuola ci parlano della “pedagogia latente”. Gli spazi ci forniscono un'immagine dei ruoli del bambino e dell’educatore, delle norme di comportamento e delle regole d’uso, delle strategie di insegnamento, dei rapporti sociali. Lo spazio è uno strumento formativo più o meno consapevolmente utilizzato. Dovremmo pensare allo spazio come uno strumento di apprendimento e socializzazione e perciò richiede di essere progettato e verificato. b. La qualità dell'esperienza educativa è data dalla qualità di tempo dedicato ai diversi tipi di attività, ma anche dal modo con cui i diversi episodi si dispongono nel corso della giornata, dalla loro durata, dal loro ripetersi ciclico e ritmico. La ripetizione struttura lo spazio vitale, e sta anche alla base del senso del tempo. Piaget parla di “tempo locale” e della mancanza di senso del tempo più ampio e dilatato. Pertanto, l’organizzazione della giornata infantile, i suoi ritmi, le alternanze, le ripetizioni sono importanti perché l'esperienza infantile possa strutturarsi in eventi riconoscibili dotati di significato. Non basta 22 La qualità estetica dello spazio: la qualità percettiva dell'ambiente e dei materiali in esso contenuti, contribuisce a rendere lo spazio della scuola confortevole, ma si configura come una forma indiretta di esercizio del gusto e della funzione estetica. L'educazione del gusto passa attraverso il godimento e l'apprezzamento del bello. Il nido deve essere esteticamente gradevole e soddisfacente. Nel loro insieme gli spazi dovrebbero apparire accoglienti e caldi. Attenzione agli adulti: hanno bisogno di trovare nella scuola segni di appartenenza, luoghi di incontro confortevoli, arredi che consentano uno svolgimento agevole del proprio ruolo. Lo spazio di accoglienza, è una sorta di “carta di identità” del nido, che può dimostrare che i genitori sono compartecipi della vita del servizio. Segni di benvenuto possono essere delle poltrone all'ingresso, la messa a disposizione di album o dossier di presentazione del servizio. È importante che il gruppo degli educatori abbia un luogo nel quale svolgere attività di programmazione, discussioni collegiali, un luogo dove collocare la documentazione e disporre una biblioteca con testi e riviste utili allo sviluppo della professionalità. L'utilizzo pedagogico dello spazio esterno: i nidi hanno a disposizione uno spazio esterno utilizzato per attività all'aperto, soprattutto di movimento. Valgono le stesse considerazioni degli spazi interi: importanza della progettazione, accessibilità (venga data la possibilità di usufruirne quotidianamente), personalizzazione (i bambini dovrebbero poter trovare segni del loro passaggio), valenza sociale (luoghi di aggregazione), incoraggiamento all'autonomia (esplorazione degli ambienti). Ci sono degli indicatori specifici: lo spazio esterno dovrebbe offrire garanzie di sicurezza (recintato, ordinato, pulito); dovrebbe presentare semplici attrezzature che incoraggino il gioco motorio e la messa alla prova delle proprie capacità fisiche, dovrebbe essere attrezzato per attività significative che possono essere svolte all'aperto mettendo a disposizione materiali ad hoc. Anche all'aperto i bambini dovrebbero essere incoraggiati a svolgere le attività che a loro piace fare al chiuso. Va ricordato che le attività all'aperto possono essere svolte anche fuori dalla scuola con passeggiate, gite, escursioni. Materiali e giocattoli: l’organizzazione dello spazio riguarda anche il modo con cui materiali e giocattoli vengono scelti e collocati all’interno dell'aula e negli spazi comuni. I materiali da offrire ai bambini dovrebbero presentarsi in buono stato, sufficientemente sicuri, in quantità sufficiente da poter essere utilizzati da un certo numero di bambini; dovrebbero avere qualità estetiche, così da sollecitare la percezione tattile, visiva e sonora. | giocattoli di legno anziché di plastica sono robusti e di buona fattura, gradevole al tatto e funzionali. Il materiale dovrebbe essere presentato in maniera ordinata, facilmente accessibile e fruibile ai bambini, inmodo da incoraggiare e promuovere l’agentività. Vanno previsti materiali che possono sollecitare un uso creativo e libero da parte dei bambini. | materiali dovrebbero essere scelti in funzione delle attività e del tipo di gioco verso cui si vorrebbe orientare i bambini tenendo conto sempre delle loro preferenze. La progettazione del tempo: al nido ha una notevole incidenza sulla vita quotidiana e sulla crescita dei bambini e può essere più o meno proficua in relazione alle finalità educative che ci si propone. L'organizzazione dei tempi richiede una progettazione collegiale e deve essere considerata un problema da risolvere tenendo presenti sia le esigenze dei bambini, sia gli effetti che una certa organizzazione temporale può avere su di loro. La giornata educativa: lo sviluppo del senso deltempo è un’acquisizione importante nei bambini in età prescolare che può essere facilitata dal disegno della giornata, dal ritmo di successione degli eventi e 25 dalla gestione delle transizioni. La giornata al nido deve essere prevedibile, scandita in momenti riconoscibili che si ripetono giorno dopo giorno, ma non deve mancare la flessibilità, per venire incontro alle esigenze che i bambini manifestano. Bisogna prevedere transizioni dolci da un'attività all'altra, affinché i bambini possano prepararsi. Le situazioni quotidiane devono essere coinvolgenti e non devono prevedere tempi di attesa troppo lunghi. Il ritmo può essere considerato accettabile quando le giornate hanno un disegno riconoscibile e vengono accolte eventuali esigenze individuali o di gruppo. La continuità dell'esperienza: ha una notevole influenza sulle possibilità di apprendimento, poiché, come dice Dewey, un’esperienza è educativa se da essa si trae un significato che potrà essere speso successivamente per affrontare nuove esperienze. Alcune strategie utili a dare continuità all'esperienza infantile: documentazione delle esperienze fatte; mostrare il filo che connette una certa esperienza a un’altra. icordare insieme i bambini quando è stato fatto in precedenza; tenere una il nido richiede un certo adattamento del bambino ai ritmi e La personalizzazione del tempo collettivi tempi collettivi, che però non può e non deve essere richiesto a priori né imposto. L’età influisce sulle capacità di adattamento, ma ancora di più il modo con cui viene effettuata la gestione del tempo nella realtà extra domestica. La personalizzazione del tempo è un aspetto necessario. L'organizzazione temporale di un servizio educativo per l'infanzia non deve essere troppo vincolata da esigenze istituzionali, che non consentono di prestare attenzione e di rispondere a bisogni differenziati. Mostra al bambino che le sue esigenze sono rispettate tenendo conto delle sue effettive capacità e delle sue possibilità educative: richiede che il bambino possa godere delle esperienze offerte e sviluppare il senso del tempo condiviso. Il tempo condiviso: quando il tempo non è più sentito in riferimento esclusivo all'esperienza propria, ma tiene conto della presenza e delle esigenze di altre persone. Il passaggio da un vissuto temporale autocentrato a un vissuto sociale è connesso al riconoscimento che lo stare e fare insieme agli altri richiede al bambino una restrizione delle proprie esigenze individuali. L'adeguamento dei ritmi individuali a quelli sociali dipende dal progressivo sperimentare da parte del bambino che gli eventi e le occasioni sociali al nido sono interessanti e piacevoli (xes. tollerare l'attesa nell’essere aiutato ad indossare le scarpe se sa che andrà a fare una passeggiata con i compagni). L'autonomia nell'uso del tempo da parte dei bambini dipende dalla capacità di organizzare la propria attività in maniera intenzionale tenendo conto delle esigenze altrui e della situazione in cui si trova. L'autonomia nell’uso del tempo è una conquista evolutiva importante che non è affatto promossa dalla coercizione o dalla pura abitudine. Il tempo e la costruzione dell'identità: è connessa al percepire la propria esperienza in una linea temporale di continuità tra passato, presente e futuro. Sono molteplici i fattori che contribuiscono all'elaborazione dell’identità personale: la sensazione di essere un sé agente, in grado di direzionare le proprie azioni nel raggiungimento di obiettivi autodeterminati. Diverse sono le strategie da introdurre per rafforzare l'identità di ciascun bambino e la continuità dell’esperienza personale: è opportuno icato all'esperienza vissuta collocando segnalare l’importanza del racconto, che consente di dare signi temporalmente gli avvenimenti personali e sociali. In sintesi: l’organizzazione degli spazi e dei tempi nei servizi per l'infanzia 0-6 vuole essere al servizio di un'educazione che riconosce la centralità del bambino nel processo di crescita, l'ambiente va 26 accuratamente progettato per farsi che sia un luogo in cui i bambini si sentano a casa, deve tenere conto delle esigenze che i bambini manifestano. il gioco Il gioco, in riferimento all'infanzia, ha un ruolo centrale per la buona crescita del bambino. L'attività ludica non è una condotta attraverso cui il bambino può apprendere e svilupparsi, ma rappresenta il suo modo peculiare di stare al mondo. Il gioco è la voce stessa del bambino. Il gioco dovrebbe essere messo al centro di ogni proposta educativa finalizzata a sostenere l'apprendimento dei bambini in età infantile, va considerato come un “o/leato educativo”. L'attività ludica rispecchia gli interessi del bambino, perciò è fonte a partire dalla quale sviluppare proposte educative. Roger Caillois sviluppa la definizione di gioco data dallo storico Huizinga, individuando gli aspetti che caratterizzano la realtà ludica e la differenziano da quella non ludica: Il gioco è improduttivo: si gioca per giocare, per il piacere di farlo. Perciò si può dire che il gioco non crei nulla di nuovo al di fuori di sé stesso, è diverso da un'attività svolta con un obiettivo esterno, per ottenere qualcosa (xes. il bambino che gioca in cortile, si differenzia dal giocatore professionista perché il suo obiettivo è giocare e non essere remunerato). Il gioco è un universo separato: dal resto dell’esistenza e chiuso alle interferenze del mondo che “sta fuori”. Qualsiasi gioco ha un suo spazio fisico e virtuale, che segna i confini con ciò che è gioco e ciò che non lo è: uscire da tali confini significa interrompere l’attività ludica. Anche iltempo del gioco è delimitato e separato (xes. in una partita, la durata è prestabilita o comunque concordata dai giocatori e il gioco finisce entro quel tempo concordato), e in alcuni casi, quando la durata non è stabilita in anticipo, è molto chiaro a chi partecipa quando qualcuno termina di giocare e rientra nel tempo della realtà non ludica (xes. smettendo di far finta di essere la mamma per tornare a essere bambino che è). Il gioco è fittizio: chi gioca è sempre accompagnato dalla consapevolezza di trovarsi in una dimensione di realtà diversa dalla vita ordinaria. Il gioco è incerto: per qualsiasi gioco non è possibile prevederne il suo svolgimento né il suo esito; ciò vale tanto per i giochi con regole predeterminate quanto per quelli liberi. Nei primi, pure entro i limiti imposti dalle regole precise che li caratterizzano, è la libera iniziativa del giocatore a decidere l'andamento del gioco e il suo risultato. Mentre per i giochi liberi, come quello simbolico e motorio senza regole, il bambino che finge di essere una mamma o che si arrampica sullo scivolo, sceglierà via via come proseguire. Non è possibile dire quale sarà il suo corso e come si concluderà. Il gioco è libero: chi gioca decide di farlo spontaneamente in modo del tutto involontario, per il solo piacere di farlo. Non si può imporre a qualcuno di giocare. Il gioco è autoregolato: pur essendo un'attività libera, è sempre caratterizzato da regole. Il giocatore alle regole della vita ordinaria per sottomettersi a quelle precise del gioco a cui ha deciso di partecipare. Anche il gioco cosiddetto libero e regolato. Nel caso del gioco simbolico vale la regola che tutto quello che si fa è “per finta”, consiste cioè nella rappresentazione fittizia della realtà: quando si infrange questa regola, il gioco può rovinarsi e finire. 27 prima forma di pensiero rappresentativo. Vygotskij condivide l’idea della stretta relazione tra gioco simbolico e pensiero rappresentativo, ma considera questo genere di attività come un motore del suo sviluppo e non come una conseguenza. Dal punto di vista del bambino giocare a “fare finta” è prima di tutto possibilità di immaginare, di sganciarsi dalle pastoie imposte dal mondo percettivo e quindi di sperimentare una nuova libertà mentale. Il gioco simbolico è esplorazione dei ruoli sociali e dei processi che li regolano Vygotskij mette in evidenza il significato del gioco simbolico in relazione all'esplorazione di ruoli, regole e habitus gioco prototipico è quello in cui il bambino usa gli oggetti per quello che sono, in una situazione fittizia, è già una forma di gioco simbolico, in quanto gli oggetti vengono utilizzati per quello che rappresentano nel contesto socioculturale di appartenenza. sociali. Il ma Il gioco esprime senso di efficacia e di padronanza della mente e del corpo Nel gioco del bambino il corpo ha un ruolo primario. Piaget pone in evidenza come il gioco d'esercizio un'attività senso-motoria, al solo scopo di consolidarli e per il piacere funzionale che ne deriva. Anche il gioco simbolico è corporeo: è attraverso i movimenti e i gesti che il bambino mette in scena le sue trame ludiche. Ma questo tipo di gioco è l’espressione delle prime forme di pensiero rappresentativo: una forma di dominio della propria mente, capace nel gioco di padroneggiare il mondo esterno trasformandolo in ciò che desidera, e senz'altro produce un vissuto di piacere analogo al piacere funzionale associata al gioco d'esercizio. Il gioco è espressione della cultura dei pari È evidente che il gioco abbia una centralità per lo sviluppo di una socialità positiva. Per Piaget il gioco simbolico evolve verso forme socializzate e comporta la capacità di mettersi d'accordo. Ciò richiede uno sforzo di decentramento e la spinta per affrontarlo è dato dalla motivazione a giocare con gli altri. Per il bambino il gioco sociale è sforzo di comprendere i compagni e farsi comprendere, uno sforzo impegnativo perché sulla sua riuscita si fonda la possibilità di giocare insieme e di realizzare relazionale uno scambio estremamente significativo su diversi piani. Il gioco simbolico è un intreccio di competenze Gli strumenti per l'osservazione e l’analisi delle abilità competenze: decontestualizzazione, far finta che è un soggetto, siano altro da quello che sono; decentramento, la capacità di tener conto dei punti di vista altrui; integrazione, la capacità di coordinare più elementi in modo coerente; controllo dell'esecuzione, la capacità di utilizzare le verbalizzazioni per dirigere i comportamenti; cioè la capacità di ludico-simboliche individua cinque competenza sociale, condividere. Il gioco esprime il piacere di vivere e restituisce il senso dell’esistere Bettelheim afferma che l’importanza del gioco risiede nel godimento diretto che il bambino ne trae, mettendo in luce la dimensione più evidente del gioco, quella del piacere. Winnicott considera il gioco come prototipo dell'esperienza creativa affermando che è l'acquisizione della creatività che più di ogni altra cosa fa sì che l’individuo abbia l'impressione che la vita valga la pena di essere vissuta. Con il gioco il piccolo ha modo di apprezzare il valore della vita. Gli studi di Corsaro hanno messo in evidenza il fatto che i bambini costruiscono delle loro proprie culture reinterpretando elementi della cultura adulta in cui sono immersi, secondo un processo di 30 riproduzione interpretativa. Il gioco simbolico è uno dei mezzi di espressione di queste culture dei pari. Dal punto di vista dei bambini, ha il significato di contribuire a costruire ed esprimere una propria cultura di gruppo. Un buon contesto educativo per il gioco poggia sui seguenti presupposti di fondo: + Il gioco viene riconosciuto come condotta vitale per il bambino; + Ilgioco ha un posto centrale rispetto a tutte le sue dimensioni, pensate e realizzate avendo come finalità la promozione del gioco; che devono essere + Il gioco è la voce del bambino deve essere ascoltato: i giochi dei importanti per progettare l’esperienza educative mirate; + Ciò comporta sostenere il gioco avendo bambini sono l’ambiente e come obiettivo la sua promozione. Il gioco viene riconosciuto come la voce del bambino come un riferimento imprescindibile per realizzare la sua partecipazione alla costruzione del percorso di crescita. L'osservazione delle condotte ludiche infantili e l’analisi di quanto osservato sono indicate come base sia per progettare interventi di promozione del gioco, sia per strutturare la proposta educativa per effettuarne la valutazione e monitoraggio nel tempo. Un servizio educativo 0-6 di qualità per il gioco attribuisce alla realtà ludica un ruolo centrale nei documenti in cui dichiara la sua identità educativa. Spazi Il modo in cui vengono strutturati e utilizzati gli spazi incide sulla possibilità di dare al gioco la rilevanza per sostenerlo e promuoverlo. È importante che sia presente uno spazio aperto in modo che anche i giochi motori possano essere svolti liberamente. L'articolazione degli spazi deve essere progettata. Un aspetto che qualifica (1udico) gli spazi di un servizio educativo 0-6 è il loro essere aperti alla libera esplorazione (bambini). La progettazione dell’articolazione degli spazi, la sua valutazione e monitoraggio devono essere attività condivise nel gruppo di distribuzione equa di lavoro con la Tempi Il tempo che viene proposto per il gioco dice molto riguardo al riconoscimento o meno della sua rilevanza pedagogica da parte di un servizio educativo 0-6. Può essere negata riservando al gioco un tempo considerato di intervallo. Oppure, può essere sottolineata valorizzando questi momenti e progettandoli come tempo quotidiano garantito per il gioco libero. Il tempo per il gioco deve essere un tempo rilassato e il meno possibile interrotto o frammentato; i ritmi dettati dall’organizzazione dovrebbero accogliere quelli ludici personali. della giornata responsabilità e carichi di lavoro. È importante che i materiali siano raggruppati in angoli specializzati, in modo che comunichino una proposta di gioco e stimolino il bambino ad attivarsi in tal senso: uno stimolo che d’altra parte deve lasciarlo libero di trasformare la proposta. La possibilità di condividere il gioco con i coetanei amplifica il significato che l’attività ludica ha per i bambini: giocare creare repertori Il giocare insieme non è cosa immediata, in quanto richiede capacità di prendere accordi e di insieme permette di ludici comuni. sintonizzarsi dal punto di vista relazionale; quando questa capacità non è consolidata o sostenuta, il tentativo fallimentare di gioco condiviso può generare frustrazione e conflitti. Per sostenere il gioco e la sua rilevanza in un contesto educativo 0-6, occorre progettare, realizzare e monitorare nel tempo 31 anche situazioni di aggregazioni tra bambini che siano favorevoli per l’attività ludica. | bambini dovrebbero essere garantiti momenti quotidiani di libera aggregazione perché le caratteristiche principali del gioco restano la spontaneità e la libera scelta. Accanto a ciò, dovrebbe essere prevista l’organizzazione regolare di gruppi di gioco diversificati. L'obiettivo generale dei gruppi di gioco organizzati dovrebbe essere quello di far sperimentare ai bambini diverse varietà di formazioni sociali. Questa organizzazione dovrebbe tenere conto anche dell’osservazione delle caratteristiche delle libere aggregazioni tra i bambini. La partecipazione a gruppi di gioco organizzati dovrebbe essere proposto ai bambini senza forzature, in modo che sia sempre sorretta da un’autentica motivazione. Dovrebbe anche essere garantita la possibilità di giocare da soli, quando questo risponde a un'esigenza del bambino rilevata tramite l'osservazione. La relazione ludica-educativa con il bambino che gioca, deve essere considerata la condizione cruciale perché il gioco possa pienamente dispiegare le sue potenzialità per il bambino, sia dal punto di vista del suo benessere fisico, emotivo e socio-cognitivo, sia in quanto possibilità di esprimersi, di far sentire la sua voce, che l’adulto dovrà ascoltare e farla partecipare da protagonista alla vicenda educativa. Bettelheim afferma il ruolo fondamentale che ha per il bambino la possibilità di giocare con adulti significativi dal punto di vista relazionale e educativo. L’adulto deve giocare con il bambino assumendo uno stile relazionale. Bondioli e Savio parlano di “promozione dall'interno” per delineare le modalità con cui l'operatore educativo può rapportarsi al gioco dei bambini senza snaturarlo. Per promuovere il gioco dall'interno l'operatore educativo dovrebbe: Favorire il gioco tra bambini, proponendo delle connessioni tra le iniziative ludiche e Mettersi a disposizione dei bambini, + rispondendo alle loro richieste di partecipazione; Lasciarsi coinvolgere dal gioco dei bambini con un atteggiamento attento, partecipe ed empatico; Farsi guidare dai bambini accettando tutte le loro iniziative di gioco; Provare ad espandere le iniziative ludiche dei bambini con proposte congruenti ad esse; Modulare il tono emotivo del gioco attraverso le sue proposte, facendo in modo che il coinvolgimento sia sempre intenso ma non troppo; Suggerire condotte ludiche appena più evolute rispetto a quelle attivate dei bambini; individuali in modo da sostenere lo sviluppo di percorsi ludici comuni e di trame di gioco coerenti; Proporsi come custode della memoria del gioco, ricordando gli spunti, i percorsi e le trame fin lì attivati; Offrirsi come garante del gioco deciso insieme e delle regole che lo riguardano; Rispettare sempre || valore ludico del bambino, accettando di lasciare cadere la propria iniziativa se cogliere segni di rifiuto o insofferenza da parte del bambino stesso. Sollecitare l'iniziativa ludica dei bambini quando non si manifesta, ma in modo aperto, dirigendola il meno possibile (xes. “a cosa giochiamo?”); Sono atteggiamenti e comportamenti che vanno modulati sulla base delle caratteristiche dei bambini con cui si opera e dei loro giochi, regolarmente osservati e analizzati. La promozione del gioco dall'interno consiste in un insieme di strategie complesse. In sintesi: gli operatori devono conoscere il significato che il gioco a per il bambino: sul piano del suo benessere, in quanto fonte di piacere di vivere, di senso di efficacia del senso stesso dell’esistere; sul 32 La pedagogia latente definita da Bondioli è l’insieme delle pratiche delle regole, delle abitudini, delle routine, degli interventi, delle attività e delle usanze caratteristiche di un certo contesto che hanno una ricaduta formativa sui bambini che in tale contesto o meglio da tale contesto sono chiamati ad apprendere. L'ecologia dello sviluppo umano significa che l’ambiente rilevante per i processi di sviluppo e di educazione di ciascun bambino non è limitato a una sola situazione ambientale ma è concepito come un insieme di strutture concentriche incluse l’una nell’altra simili a bambole russe e si estende fino a comprendere sia le interconnessioni tra le diverse situazioni ambientali sia le influenze esterne su tali situazioni, vi è una precisa ed esplicita concezione dell'individuo in via di sviluppo è un individuo impegnato fin dalla nascita in una situazione reciproca con l’ambiente, il microsistema che influisce in modo diretto sull’individuo in via di sviluppo attraverso gli oggetti e le persone che ne fanno parte. Influenza diretta dovuta al condizionamento che hanno su chi si prende cura direttamente del bambino. Le rappresentazioni sociali sono l'elaborazione di un oggetto sociale da parte di una certa comunità, che permetta ai suoi membri di comportarsi e di comunicare in modo condiviso e comprensibile. Le rappresentazioni sociali si modificano quando sono espresse entro una rete di rapporti sociali diversi ed entro sistemi di comunicazione differenti. Le rappresentazioni si distinguono dagli atteggiamenti in quanto quest'ultimi sono stati concettualizzati quasi come un costrutto individuale, sviluppato essenzialmente nell’ambito della cognizione sociale, ovvero un approccio fondato sull'idea che i processi di conoscenza sono connotati in maniera soggettiva. Diversamente dall’atteggiamento, ogni rappresentazione sociale ha una natura innanzitutto cognitiva e mentale, ma presenta tuttavia aspetti emotivi e affettivi che risultano inseparabili. l'ancoraggio e l’oggettivazione sono due processi che secondo Moscovici stanno alla base delle rappresentazioni sociali, le idee più insolite e meno conosciute vengono ancorate in un contesto famigliare, ridotte a categorie e immagini note e ordinarie per poi essere oggettivate cioè trasformate da concetti astratti a oggetti concreti, tradotte in qualcosa che esiste nel mondo fisico. Nell'ambito pedagogico iltermine teoria si riferisce a teoria scientifica. Il ruolo culturale della teoria pedagogica è quello di assicurare le stesse funzioni svolte dalla pratica educativa spontanea. Nell'ambito di una teoria scientifica relativa all'educazione dell'infanzia è possibile individuare una certa immagine di bambino che difficilmente è definita riconoscibile una volta per tutte, è soggetta all’interpretazione di chi formula e di chi la adotta tale teoria. La pedagogia montessoriana offre alcune riflessioni che interrogano la pedagogia dei servizi educativi e scolastici. Il lavoro di tale studiosa che ha avviato fin dall'inizio del 1900 un'avventura pedagogica di grande innovazione che si delinea in diversi ambiti tematici, tra cui la difesa dei diritti dell'infanzia, lo studio sperimentale della natura del bambino, la concezione della mente infantile come mente assorbente, la liberazione del bambino che tuttavia va distinta dello spontaneismo. Un'ipotesi che esplicita l’immagine dell’infanzia più o meno formalizzata come quello della pedagogia montessoriana è inevitabile sia completamente in coincidenza con l’interpretazione dell'immagine montessoriana di bambino ma ha comunque maggior potere prescrittivo sulle azioni e sulle relazioni educative condotte da quegli educatori e insegnanti. Le immagini che gli adulti hanno dei bambini e dell'infanzia sono difficilmente definibili una volta per tutte. L'esistenza di svariate distinzioni e classificazioni di immagini di bambino e di infanzia, tornano, si sovrappongono, si rincorrono. Se la libera espressione di sé è un obiettivo possibile nell'educazione dei bambini e ciò si accompagna a un'immagine di bambini inteso come individuo che possiede dentro di sé le finalità del proprio sviluppo e la libertà di definirsi nel mondo, non è improprio interrogarsi su cosa sia quell’lo che deve esprimersi e realizzarsi. Le diverse immagini d'infanzia di bambino emergono tra gli scatti d'infanzia di Barone nell’ambito della definizione di una pedagogia della marginalità e della devianza affrontata in relazione all'esigenza di controllo e normalizzazione sociale verso il bambino da un lato e al progressivo sviluppo della sensibilità pedagogica in merito a un'immagine dell'infanzia sempre più focalizzata sulla centralità di bambini e adolescenti. E pure tra i diversi volti dell'infanzia emergono delle idee di infanzia intese come stagione dell'innocenza e della purezza da preservare e da beatificare. Dal punto di vista storico il 1900 è vivace e pieno di mutamenti rispetto allo studio e alla visione del bambino e alle sue condizioni di vita. In tal senso, l’analisi storica si applica inevitabilmente su due livelli che complicano: quello della storia della immagine che una società ha costruito dei suoi bambini e quello della storia dei bambini stessi, la cui voce non necessariamente coincide con la visione adulta che comunque viene necessariamente a condizionarla. alla ricerca dell'immagine di bambini di Malaguzzi L'esperienza di Malaguzzi e l'approccio pedagogico delle scuole di RE in cui è ideatore sono noti nell’ambito della pedagogia dell'infanzia e dei servizi educativi per i bambini e le famiglie in Italia e nel mondo. Il presente capitolo propone un'analisi dell'immagine d’infanzia così come può essere colta e interpretata nell’ambito dell'approccio pedagogico reggiano, nel pensiero e nella pedagogia di Malaguzzi. Non può non considerare la storia dei servizi di RE e la pedagogia che li ha caratterizzati e dal clima sociale e culturale che li ha cresciuti. Nel 1970 l’immagine di bambino di Malaguzzi prendeva forma entro tali esperienze, radicata in tale contesto storico e sociale e su impulso di un clima febbrile e impegnatissimo in merito all'educazione dei più piccoli. Non a caso l’immagine d'infanzia di Malaguzzi era legata alla considerazione stessa di un bambino che non esiste in astratto ma soltanto in stretto rapporto con la sua realtà e con il suo mondo, entro cui sperimenta esperienze e relazioni che in modi sempre imprevedibili fanno ingresso, insieme a lui nella scuola, Malaguzzi dichiarava la necessità di costruire immagini d'infanzia forti, capaci di suggerire l’esistenza di un bambino forte, bello e intelligente, ricco di desideri e richieste ambiziosi. Nel 1980 nasce a RE il gruppo nazionale di lavoro e studio sugli asili nido, su iniziativa di Malaguzzi. Due punti di orientamento e prospettiva fondanti dell'iniziale patto associativo: promuove la diffusione di una immagine dell'infanzia portatrice di identità e cultura e attiva protagonista dei processi della crescita e dello sviluppo delle esperienze di nidi, individuati come elemento centrale di una effettiva politica orientata a riconoscere diritti e potenzialità dei bambini già nella prima età. 1 100 linguaggi dei bambini è primo libro pubblicato in Italia sull'esperienza educativa di RE. La nuova edizione italiana del volume i 100 linguaggi dei bambini che corrisponde alla terza edizione americana del 2012. In tale edizione le idee esposte nell'intervista a Malaguzzi sono accompagnate e sviluppate da contributi di ricercatori, pedagogisti e educatori di RE e da colleghi che hanno lavorato a partire dal RE approach in Italia, in Europa e nell'America settentrionale. Ciò introduce a interrogarsi sul ruolo che il concetto stesso di immagine d'infanzia possa assumere nell’ambito di progetti di scambio, di studio e di ricerca in collaborazione con studiosi di culture diverse da quella reggiana, nonché sugli esiti dell'incontro, tra le immagini d’infanzia diverse non solo in relazione alla differenza di contesto storico, politico e culturale di origine ma anche rispetto ai significati attribuiti a una certa immagine d'infanzia, nonché alle dimensioni che di essa di volta in volta sono chiamate in causa, in relazione al focus. La densità di significati dentro a una certa immagine d'infanzia è tale da indurre almeno a ipotizzare che le sfumature, le focalizzazioni, le prospettive che di volta in volta si evidenziano in relazione a una certa immagine creano di volta in volta nuove immagini d'infanzia, mai finite e mai definite una volta per tutte. Si tratta di immagini sempre plurali e in continua evoluzione. L'immagine di infanzia è una teoria intesa non tanto come teoria scientifica ma come teoria del senso comune. Malaguzzi indica l’immagine di infanzia come una teoria dentro di noi che influenza comportamenti e relazioni con | bambini e si interpreta l’immagine d’infanzia reggiana come un costrutto tale da costruire sia in principio da cui trarre il lavoro educativo sia un punto di incontro tra teoria e pratica. L'immagine di bambino potrebbe essere interpretata sia come un riferimento teorico che guida nella quotidianità la progettazione e realizzazione di proposte e pratiche educative sia in costrutto da indagare e costruire, dentro alle esperienze di apprendimento e di educazione in cui bambini e adulti sono coinvolti, dentro a determinati contesti e a partire da questi e dalla quotidianità che li caratterizza. Il rischio che il ruolo dell'immagine d'infanzia, soprattutto nei contesti educativi rischierebbe di autorizzare educatori e insegnanti ed accontentarsi di affrontare il tema delle immagini d'infanzia limitandosi a dichiarazioni e a slogan accontentandosi di un piano meramente descrittivo che non approfondisce. La pedagogia di Malaguzzi entro cui collocherebbe una certa immagine di bambino è nata e cresciuta lungo il corso di almeno 70 anni, durante la vita di questo straordinario autore e dopo la sua morte ha influenzato le scuole dell'infanzia reggiane e quelle che da esse hanno preso ispirazione. L'immagine di bambino di Malaguzzi proprio come ogni altra possibile immagine d’infanzia, sarebbe molto più mobile, dinamica e indefinita se considerata nella prospettiva che ogni immagine di bambino non una ma è plurale. bambini e immagini nel sistema educativo per l'infanzia Le politiche educative per l'infanzia sono piene di interpretazioni su chi siano i bambini e sul ruolo che essi possono o debbano assumere dentro una società. I bambini hanno esistenze diverse e diversamente sono pensati dagli adulti e dalle politiche che ci occupano della loro educazione. La diversità di ciò che emerge nella giornata educativa di un servizio americano, cinese o giapponese suggerisce per esempio la presenza di immagini d'immagini d'infanzia diverse e culturalmente connotate che animano non solo singoli e gruppi anche le politiche educative di quei paesi. Tra i servizi di educazione e cura per l’infanzia sono compresi tutti i servizi offerti ai bambini nel periodo compreso tra la nascita e l’accesso all'istruzione primaria, tale insieme di servizi è chiamato ECEC. Aumentare l’accesso ai servizi educativi e di cura per l'infanzia è divenuta una delle priorità politiche dell'Europa e le direttive che sono seguite. Oggi l’accesso e la qualità sono due argomenti principali sui quali si confrontano attualmente i decisori politici dei paesi europei riguardo al sistema ECEC. Ma la confusione tra obiettivi di custodia, cura e educazione dei più piccoli suggeriscono il rincorrersi di immagini d'infanzia volubili, ambigue. La nuova educazione pubblica presente nella dichiarazione della quarantesima scuola d'estate dell’associazione Rosa Sensat: si basa su di un'immagine positiva del bambino come persona attiva fin dalla nascita, un protagonista soggetto di diritti al quale la società deve rispetto e fornire sostegno. Un bambino nato con un potenziale che potrà esprimersi con cento linguaggi. Nel Rapporto elaborato nel 2014 dal l’immagine di bambino ricco e competente, la cui propagazione è tanto articolata da richiedere una focalizzazione urgente e critica. esplorazioni attorno al rapporto tra immagini d'infanzia e pratiche educative Pensare, leggere e orientare l'infanzia, tra convinzioni e azioni Il rapporto tra immagini d'infanzia e azioni educative costituisce un oggetto di analisi nell'ambito di diversi studi che suggeriscono punti di attenzione nel lavoro educativo sul campo. Nella varietà dei contributi elaborati della ricerca internazionale nella prospettiva della parent cognition è stato evidenziato come le idee dei genitori sullo sviluppo dei bambini abbiano conseguenze specifiche sia sui genitori ovvero sulle loro azioni, sui loro comportamenti e sentimenti, sia sui bambini, ovvero sulla loro crescita intelligente e sul loro livello di adattamento e regolazione, ma anche sul modo in cui le idee dei bambini siano in linea o meno con le idee dei genitori. Nell'ambito della prospettiva conosciuta come teacher cognition, si sono diffusi molti studi sulla relazione tra le concezioni degli insegnanti e le pratiche educativo-didattiche nella scuola. ® L’insegnamento coinvolge i processi di pensiero degli insegnati e le azioni degli insegnanti e i loro effetti osservabili. ® Ricerche concentrate sul rapporto tra le credenze degli insegnanti e i processi di insegnamento- apprendimento nella scuola primaria e secondaria. ® Trai diversi studi hanno mostrato come le aspettative degli insegnanti sui bambini e sui loro risultati scolastici abbia un impatto sul modo di insegnare. L'interesse per le convinzioni degli insegnanti su diversi temi relative ai processi di insegnamento- apprendimento si è diffuso nell’ambito dei contesti prescolari, interessando educatori e insegnati dei servizi di educazione e cura per l'infanzia. Lo studio delle rappresentazioni sociali deve analizzare le regolazioni effettate dal meta sistema sociale sul sistema cognitivo, il che implica che si debba sempre tenere in considerazione il rapporto tra attore e il campo di relazioni sociali entro cui è inserito. e Le rappresentazioni sociali sono elaborate entro sistemi di comunicazione che richiedono quadri di riferimento comuni per gli individui e i gruppi, e Gli individui possono differire a seconda dell'intensità della loro adesione ai vari aspetti delle rappresentazioni sociali ® La varietà delle prese di posizione individuali e le diverse forme attraverso cui una rappresentazione sociale si manifesta sono legate al processo di ancoraggio. Le rappresentazioni sociali possono mettere ben a fuoco anche il rapporto tra la dimensione individuale e quella sociale delle immagini e delle rappresentazioni che gli adulti hanno di bambino e d’infanzia. Sempre in ambito pedagogico alcune ricerche comparative condotte in Italia e negli Stati Uniti. Tale prospettiva si muove da un lato nella direzione di promuovere la creazione di situazioni educative in cui i bambini stessi possano vivere appieno e con responsabilità, le molteplici possibilità insite nella dimensione interculturale di cui saranno parte partendo a loro volta dell’osservazione di adulti che si sperimentano pur con fatica, in quest'avventura. La costruzione possibile di un curricolo 0-6 in Italia risente dell’esistenza dello split system che ha da sempre segmentato l’offerta per i bambini più piccoli (di età 0-3) caratterizzando il sistema educativo italiano. Ad oggi per quanto riguarda il segmento 0-3, non si può parlare di un vero e proprio curriculum formalizzato. Si tratta di un processo che è avvenuto per lo più a livello di singolo ente gestore del servizio. Diversamente accade per il segmento relativo alla fascia di età 3-6 ovvero la scuola dell'infanzia, nel quale esistono documenti tradotti anche sul piano giuridico, che formalizzano finalità e obiettivi della scuola dell'infanzia ed esplicitano anche specifiche modalità educative per raggiungerli. Da tempo la ricerca ha promosso un’interpretazione dell'infanzia ricca e potenzialmente straordinaria, concentrandosi non tanto sui limiti dei bambini ma sulle potenzialità di un bambino inteso come soggetto attivo e competente. Il tema delle competenze dei bambini viene affrontato in relazione al loro ruolo di allievi e studenti ed è oggi presente in diversi ambiti e documenti relativi al sistema di istruzione. Gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e dei ragazzi per ciascuna disciplina o campo di esperienza. Comunicazione della madrelingua; Imparare a imparare; Comunicazione nelle lingue straniere; Competenze sociali e civiche; Competenza matematica e competente di base Spirito di iniziativa e imprenditorialità; in scienza e tecnologia; Consapevolezza ed espressione culturale. Competenza digitale; - Dichiarazioni di immagini d'infanzia e azione educativa Spesso accade che un servizio o un sistema di servizi rivolto ai bambini dichiari una propria immagine d’infanzia nell’idea che questa orienti il progetto pedagogico e il piano operativo in cui esso si traduce. Una delle immagini d'infanzia spesso dichiarate è proprio quella che propone l’inno di un bambino competente. Bambini attivi, pronti, capaci, usciti dal limbo della tabula rasa. Emerge con chiarezza, nel mondo dei servizi per l'infanzia, come un nodo problematico connesso al ruolo dell'immagine di bambino nella progettazione educativa e nel compimento del fenomeno educativo sia proprio il rapporto tra le dichiarazioni da parte del servizio da un lato e l’azione educativa quotidianamente promosso da parte dell'equipe educativo nei confronti dei bambini, dall’altro. - Immagini e rappresentazioni dell’educatore e del gruppo educativo Quando un educatore entra in un servizio per l'infanzia per intraprendere un'esperienza professionale, lo fa portando inevitabilmente con sé un sapere sull'infanzia. Si tratta di un'immagine che si è costruita attraverso la sua esperienza personale, formativa e professionale. Spesso i singoli educatori non sono consapevoli di tale immagine né si sono mai trovati nelle condizioni di interrogarsi criticamente e approfonditamente su essa. Nell'ambito di un servizio per l'infanzia, oggi il tema della collegialità (lavoro in equipe) è ampiamente riconosciuto come un criterio fondamentale per favorire la qualità del lavoro educativo. Se un servizio educativo per l'infanzia è inteso come una comunità entro cui l'obiettivo di favorire il benessere, la cura e l'educazione dei bambini comporta la compresenza di figure professionali dai ruoli specifici e distinti ma sinergici, la straordinaria eterogeneità di immagini di bambino presente in ciascun servizio è un terreno fertile entro cui è possibile analizzare i diversi significati attribuiti alle progettualità di un servizio. È verosimile che in ogni servizio o sistema di servizi per l'infanzia convivano molte immagini d'infanzia. - Immagini d'infanzia e apprendimenti dei bambini: osservare, progettare, documentare, valutare La documentazione è uno strumento progettuale che favorisce l’incontro e il confronto tra diverse culture, che riesce a collocare al centro i bambini, affiancandone un'immagine di adulto che si interroga su di esse chiedendosi come valorizzare la peculiarità di ogni bambino all’interno di una documentazione progettuale. La documentazione della vita quotidiana dei bambini all’interno dei servizi educativi per l'infanzia emerge anche come una pratica fondamentalmente funzionale a realizzare gli obiettivi fissati nel curriculum nazionale. Uno strumento di documentazione e valutazione degli apprendimenti dei bambini particolarmente utile e significativo in relazione al lavoro di approfondimento delle immagini d'infanzia nei servizi pare essere quello delle Storie di apprendimento. Attraverso un approccio qualitativo e narrativo, le storie di apprendimento costituiscono lo strumento attraverso cui vengono osservate, documentate e promosse le disposizioni ad apprendere dei bambini, ovvero dimensioni dell’apprendimento. L'adozione delle storie di apprendimento in contesti educativi e culturali diversi da quelli in cui tale approccio è nato, apre interrogativi di grande interesse sia dal punto di vista metodologico sia dal punto di vista dei contenuti e delle prospettive di sviluppo. A fronte degli aspetti finora illustrati, l’uso delle storie di apprendimento nei contesti educativi pare offrire, rispetto al tema delle immagini d'infanzia particolarmente significativo per almeno due motivi. 1. L'utilizzo delle storie di apprendimento invita a cogliere, osservare, documentare e valutare ciò che i bambini possono, vogliono e sanno fare. 2. Nell'ambito delle storie di apprendimento il bambino che apprende è descritto come un discente in azione e in relazione, in stretto rapporto con il suo contesto di apprendimento, entro cui lo sviluppo e l'apprendimento riguardano la trasformazione della partecipazione, in particolare rispetto a cinque ambiti individuati da Carr ovvero: interessarsi, coinvolgersi, preservare nella difficoltà, comunicare con gli altri e assumersi responsabilità. - Riconcettualizzare le pratiche educative per rifondare le immagini d'infanzia Appare chiara e urgente la necessità di rendere le immagini di bambino un oggetto di studio e di ricerca al fine di indagarne i molti aspetti finora rimasti oscuri. Esplicitare le immagini d'infanzia dei singoli e del gruppo di lavoro probabilmente non basta, pena il rischio di limitarsi a dichiarazioni superficiali. È utile trovare modi e occasioni per scoprire, nella sua specificità. La teoria delle architetture di pratica concettualizza l’idea stessa di pratica educativa, offre un terreno fertile per il necessario lavoro sulla specificità del rapporto tra immagini d'infanzia e pratiche educative. Si tratta di tre dimensioni fondative delle architetture di pratica, che possono favorire o vincolare la realizzazione di una certa pratica e che sono tra loro fondamentalmente interconnesse e interdipendenti: ® La dimensione discorsiva e culturale si esprime ed è comprensibile attraverso il linguaggio acquisito e usato dagli educatori, è questa la dimensione dei discorsi, delle comunicazioni e delle dichiarazioni che si manifestano in ciò che gli individui pensano e dicono. ® La dimensione economica e materiale propria dello spazio-tempo fisico e materiale che si esprime attraverso l’attività e il lavoro, è infatti la dimensione concreta delle attività che si manifestano in ciò che le persone fanno nella pratica in interazione con altri individui, oggetti e condizioni. ® La dimensione sociale e politica, propria dello spazio sociale, della solidarietà e del potere è infatti la dimensione delle relazioni, che sii manifestano nelle modalità attraverso cui gli individui si relazionano tra loro. Questo diritto, quello della partecipazione e dell'ascolto, è insieme al diritto alla non discriminazione, il diritto alla vita e allo sviluppo e alla primaria considerazione del preminente interesse del minore, uno dei quattro principi fondamentali che ispirano la Convenzione. In Italia resta ancora un tema scarsamente considerato. Emerge altresì che la partecipazione è considerata occasionale o accessoria nell’ambito di progetti educativi. Questo tema è emerso come oggetto di grave disinteresse e si è trasformato durante l'emergenza pandemica in una totale assenza istituzionale di coinvolgimento e attenzione ai bambini e ragazzi come soggetti portatori di idee. In Italia, i diritti vengono continuamente violati e in particolare uno dei diritti costitutivi e fondanti la Convenzione ONU, viene dimenticato e le promesse disattese, rovesciando la prospettiva, secondo la quale i diritti sono qualcosa che nulla ha di scontato, nulla di definito o definitivo, emergono diverse riflessioni a riguardo: e Seiservizi per l'infanzia e la scuola sono luoghi dove conoscere ed esercitare i diritti , la sfida è quella di ripartire dalla progettazione e realizzazione di pratiche educative per scovarvi metodi e forme possibili di attuazione dei diritti dell’infanzia e adolescenza. e È necessario rielaborare le relazioni educative: i diritti dei bambini, il loro ascolto e il loro protagonismo non possono essere avulsi dai contesti nei quali essi vivono; al contrario essi trovano senso solo se contestualizzati dentro al rapporto educativo tra adulto e bambino. e Gli elementi irriflessi animano le scelte educative adulte: promuovere il diritto all'ascolto nei bambini secondo la quale la cessazione di potere decisionale. L'ascolto contribuisce alla qualità dell’incontro interpersonale perché consente di decidere con loro, determinando l’efficacia e la riuscita della relazione educativa. * È utile evidenziare che la promozione della cultura dei diritti richiede adulti consapevoli e adeguatamente formati in merito alla Convenzione, i suoi significati e alla possibilità di tradurli in scelte e azioni capaci di promuovere la cura, l'educazione e l'istruzione di cittadini liberi e partecipi. la genesi dei diritti d'infanzia un concetto transazionale e transculturale di Zoe Moody La Convenzione sui diritti del bambino delle Nazioni Unite (UNCRC, 1989) è presentata come il vertice di un percorso attraverso il quale gli adulti hanno conseguito l’obiettivo di riconoscere i bambini quali soggetti di diritti umani. La storia dell’UNCRC è una progressione continua dal diritto del bambino ad essere protetto fino al diritto di godimento di tutti i diritti umani, vuole dimostrare come i diritti sorgano su idee che preesistono ai principi legali. Alla fine della Grande guerra, le terribili conseguenze scontate dai bambini erano molto evidenti, per questo si organizzarono per mettere a disposizione progetti internazionali dimutuo soccorso. Nel 1919 nasce una federazione internazionale la SCIU, a Ginevra, per aiutare i bambini al di fuori dei confini nazionali. Ogni organizzazione per proprio conto, compilò statuti per definire i bisogni fondamentali dei bambini. Gli statuti redatti dalle ONG traducevano la fiducia di queste ultime in un futuro migliore e pacifico, personificato nella generazione dei bambini i cui diritti fondamentali dovevano essere garantiti. Nell'autunno del 1922 la SCIU tradusse in azione il passaggio da “bambino da salvare” a “bambino da tutelare”, il che sarebbe dovuto consistere nel raccogliere e pubblicare i progetti e i desideri di carattere generale formulati dalle organizzazioni e conferenze internazionali a sostegno del bambino al fine di stilare una sorta di Dichiarazione dei diritti del bambino. Stabilisce i diritti del bambino vale a dire i doveri della famiglia e della società nei confronti del bambino. La dichiarazione di Ginevra era nota e utilizzata come fondamento dei lavori della Società delle Nazioni per l'assistenza all'infanzia. | nuovi statuti incorporavano accezioni più recenti di protezione del bambino, come principi di sicurezza sociale e alcuni aspetti legati all'educazione. | diritti dei bambini sembravano essere un campo neutrale nel pieno della guerra fredda. Basato sulla Dichiarazione di Ginevra, la nuova Dichiarazione dei diritti del bambino delle Nazioni Unite (1959) conteneva 10 principi, tra cui introduceva sicurezza sociale, istruzione obbligatoria, diritti civili e familiari. La Dichiarazione ebbe però scarso successo e cadde nel dimenticatoio. Nonostante la sua caduta, le tematiche relative all'infanzia e ai suoi diritti rimasero nell'agenda internazionale delle Nazioni Unite e della società civile. Il 1979 fu proclamato anno internazionale del bambino. Quello stesso anno fu anche un'opportunità per raccogliere dati sull'infanzia di tipo legale, statistico e scientifico. Emerse l’esigenza di redigere una convenzione che fosse anche documento coercitivo dal punto di vista legale. Tra le prime la delegazione polacca che stese una versione vincolante della UNDRC dove si ribadiva che la dichiarazione dovesse basarsi completamente sui principi della Dichiarazione dei diritti del bambino. La Commissione riteneva che fosse importante includere i dati raccolti durante l’anno del bambino; si tenne la Conferenza Europea sui diritti dei bambini a Varsavia. All’inizio del 1980 la comunità internazionale disponeva di un progetto nuovo e originale che offriva una prospettiva legale dei diritti dei bambini. Prendeva forma l’idea del bambino come soggetto titolare di diritti. L'obiettivo principale del gruppo di lavoro fu quello di mettere la Dichiarazione in condizione di essere accettata dai governi. Il gruppo ONG seppe illuminare alcuni aspetti ampiamente discussi come: /a promozione dell’allattamento al seno, la disciplina scolastica, il divieto di pratiche pericolose. Il gruppo coinvolse per la prima volta attori non governativi e ridusse le tensioni fra Stati industrializzati e i Paesi in via di sviluppo. Venne chiesta un’attenzione specifica per i bambini del Terzo Mondo: era cruciale definire cosa fossero i diritti dei bambini nei paesi in via di sviluppo, quale significato aveva il diritto allo svago per un bambino che soffriva fame e malattie. La Convenzione doveva affermare il diritto alla vita e contenere disposizioni per i diritti dei bambini alla salute e ad una adeguata nutrizione. Per allentare le tensioni vennero combinati due approcci: in primo luogo, l'UNICEF, il gruppo ONG e la Divisione dei diritti umani organizzarono molteplici conferenze regionali in Africa Occidentale, Asia meridionale e America Latina; in seguito, furono esercitate forme di pressione mirate sulle delegazioni coinvolte. L'ampia divulgazione della Convenzione prima dell’adozione ufficiale, facilitò l'adozione unanime del trattato del 20 novembre 1989. Entrata in vigore il 2 settembre del 1990, oggi è nota come il trattato delle Nazioni Unite con il maggior numero di ratifiche, il che induce qualcuno a ritenerlo uno strumento condiviso a livello universale. convenzione come “ discorso sui giovani” tra utopia e gentrificazione note a margine dell’intervento di Zoe Moody La ricerca che Zoe Moody dedica alla Convention on the rights of child, ha il pregio di fornire elementi fondamentali alla messa a fuoco della genetica della Convenzione stessa ricostruendone gli elementi storici e politici. L'obiettivo è mettere a fuoco alcuni temi e problemi aperti, per mantenere vivo il dibattito e dare concretezza a un testo collocato nel tempo sospeso dei buoni propositi. Primo tema: riguarda la ricezione italiana del documento. La Convenzione è in inglese utilizza il termine child, la cui estensione semantica, è più vasta rispetto all’area relativa all’infanzia. Il Parlamento italiano, (legge 2 maggio 1991) ha tradotto il termine con fanciullo. UNICEF: titolo del documento come “Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell'adolescenza” risolvendo il problema del riferimento all’età, ma creandone uno nuovo: si passa ai diritti di un’astrazione. È intuitivo che diritti, doveri di un bambino di 5 anni, siano diversi da quelli di uno di 17. Il documento tende ad essere interpretato in chiave di protezione. Un esempio è lo status di luogo comune assunto da concetti come “il diritto al gioco” -> si potrebbe tradurre come “diritto del bambino a essere ciò che noi, adulti contemporanei europei, abbiamo deciso che egli debba essere”. 700: la scoperta dell'infanzia va di pari passo con la segregazione dell’infanzia. Lettura di un episodio da Infanzia di ©” 10010) (1852-57): il fanciullo presentato nel testo godeva di pressoché tutti i diritti che la Convenzione prevede. Il passo di Tolstoj porta a riflettere sul fatto che il riconoscimento dei diritti del fanciullo, non riguarda tanto l'istituzione di nuovi diritti quanto l'estensione a tutte le classi sociali di diritti riconosciuti, almeno dal 700, ai bambini e ai ragazzi delle classi elevate. Differenza dei testi dedicati ai diritti del fanciullo e alle diverse circostanze di concezione: DICHIARAZIONE DI GINEVRA: (1924) fissava una serie di principi priva di dettagli sulla loro possibile applicazione giuridica, molto chiari in termini ideali. Fortemente legata alla situazione TESTO DELLE NAZIONI UNITE: (1959) Moody lo definisce una vaga miscela di principi generali e clausole applicative. Eliminando il riferimento al lavoro e alla necessità di guadagnarsi da vivere, dell’infanzia nell'epoca successiva al primo si proponeva di orientare il cambiamento, conflitto mondiale e riflette il passaggio dal tagliando fuori parecchi Paesi. | diritti concetto di un'infanzia da salvare verso dell'infanzia proponevano una © propria un'infanzia da tutelare. specificità in relazione alle esigenze di tutela del fanciullo. la crc spiegata ai suoi beneficiari La Convenzione per i diritti dell’infanzia e dell'adolescenza delle Nazioni Unite comprende 54 articoli raggruppati in tre sezioni: elenca i diritti veri e propri; istituisce il Comitato per i diritti dei bambini e degli adolescenti e ne stabilisce finalità e campo d'azione e si occupa del rapporto fra Convenzione- Comitato e Stati nazionali. Art. 42: l'articolo ha natura irida, i beneficiari del suo messaggio sono i beneficiari della convenzione stessa, bambini e adolescenti, e i suoi ordinantì cioè gli adulti che hanno il compito di renderla operativa. Sul versante dei beneficiari, l'articolo 42 esprime a tutti gli effetti un ulteriore diritto, quello ad essere informati sui propri diritti. Potenziale dell’articolo: informare tutta la popolazione degli Stati firmatari che esistono i diritti dei bambini e degli adolescenti e che esiste un sistema per assicurarne il godimento. Il diritto fondamentale, di partecipazione, è utilizzato come occasione proficua per introdurre bambini e ragazzi alla teoretica dei diritti, proprio in ragione della sua attitudine a coinvolgere i soggetti “partecipanti” in situazione di carattere pratico che consentono di veicolare nozioni astratte con più facilità e fantasia. La tendenza uniforme negli organismi che emanano dallo Stato è puntare sulla formazione degli adulti, insegnanti, famiglie, così che fungano da mediatori nel processo di formazione dei minori. Nel 2012, viene resa disponibile la versione per bambini della CRC elaborata dall’UNICEF insieme al Comitato ONU sui diritti d'infanzia. In occasione del 30° anniversario della CRC, Autorità Garante Infanzia e Adolescenza, ha promosso un progetto di diffusione della CRC dal titolo “/ bambini parlano diritti”. diritto a essere ascoltati, a ricevere l’attenzione dell’altro. il decimo rapporto cre 1120 novembre 1989 viene adottata la CRC, cui man mano aderiscono tutti gli Stati. Con la Convenzione, gli impegni che venivano dichiarati a Ginevra erano un invito, venivano definiti “atto di fede”, non vincolanti. Nemmeno la CRC è obbligatoria in senso tecnico e giuridico, ma ha operato una piccola rivoluzione. Prima il diritto del bambino era un atto volontario dell'adulto che si prendeva cura del diritto del bambino, con la CRC interviene un cambio di prospettiva: i diritti dei bambini diventano un dovere individuale e collettivo degli adulti. La CRC ha comportato un cambio di prospettiva, nel momento in cui ogni Paese ha aderito alla convenzione si è posto in un’ottica di impegno concreto a consentire che quei diritti, quelle dichiarazioni diventassero concretezza. L'Italia ha aderito. La Convenzione è strutturata in tre parti: ® una prima parte (articoli da 1 a 41): enuncia i diritti fondamentali; ® una seconda parte (da 42 a 45): dedicata al monitoraggio e implementazione dell’applicazione dei diritti enunciati, importante perché è dedicata alla costituzione del Comitato ONU per i diritti dei bambini. Questo Comitato è composto da membri professionisti nell’ambito dei diritti dei bambini; e unaterza parte rivolta agli Stati aderenti. Il Comitato ONU ha il compito di valutare e controllare nei Paesi aderenti l'applicazione e lo sviluppo dei diritti contenuti nella CRC. La Convenzione prevede che ogni Stato che ha aderito, si impegni a fornire un rapporto governativo che ora viene presentato ogni cinque anni. La comunicazione Stato- Comitato avviene in quelle che vengono chiamate sessioni plenarie e pre-sessioni: cioè tre momenti di esame e confronto del Rapporto governativo prodotto dallo Stato. Il gruppo CRC è un Network composto da cento ONG che si occupano dei bambini e degli adolescenti in modo trasversale. Rappresenta tutte le professionalità e tutte le competenze che vengono a contatto con i fanciulli e i bambini. Abbiamo quindi gli esperti giuridici, i medici, gli psicologi, le associazioni che si occupano di adozione internazionale e di cooperazione, tutti i settori che riguardano l’ambito educativo, la scuola, la formazione, la salute. Quello che le associazioni aderenti al gruppo delle CRC è essere con i bambini nella vita quotidiana, in tutto ciò che li riguarda. Il Comitato ha il compito di terminare il lavoro di controllo fornendo allo Stato esaminato delle raccomandazioni. Lo studio condotto dal Gruppo CRC evidenzia la spaccatura di disparità che si ha riguardo la sanità, scuola, alloggio tra Nord e Sud; infatti, uno dei temi più comuni oggigiorno è la dispersione scolastica maggiormente diffusa nel Centro-Sud del Paese. il diritto del bambino al rispetto da Janusz Korczak a oggi Il pedagogista Korczak iniziò come medico pediatra che curava i bambini poveri gratuitamente, per poi dedicare l’intera sua vita ai bambini più sventurati, gli orfani ebrei. Grazie ai fondi stanziati della famiglia Eliasberg, era riuscito a costruire il Dom Sierot vale a dire la “Casa degli Orfani” una casa che poteva essere paragonata all'esperienza di Pestalozzi a Stans. Nel 1942 arrivò a dare la vita per i suoi bambini accompagnandoli a Treblinka, dal momento che i bambini erano orfani ebrei, furono portati allo sterminio nel campo di morte più vicino. Lui li aiutò, insegnò loro a morire; elaborando il più grande progetto pedagogico che si sia mai visto in terra: sostenere che anche i bambini possono morire, ed essere condotti a morire, senza chinarsi alla tragicità della fine. Questi bambini grazie ai suoi insegnamenti riuscirono a dimostrare ai tedeschi che la loro fine sarebbe stata anche la fine del Terzo Reich, perché la forza morale, la ragione etica della consapevolezza, avrebbe rappresentato in pieno l’immoralità scandalosa e la ferocia definitiva condannate dall’intera umanità. La Casa degli orfani era stata concepita per essere autonoma, dalla sartoria alla lavanderia gestito dai fanciulli. Il diritto del bambino al rispetto, nel quale fa esplicito riferimento ai tre diritti fondamentali: 1. Il diritto delbambino al rispetto in quanto bambino: per questo si dice che i diritti dei bambini sono i doveri degli adulti, e i doveri degli adulti devono considerare un modo diverso di dialogare con i bambini e i bambini devono essere rispettati inquanto bambini nel momento in cui lo sono. 2. Il diritto del bambino al rispetto del suo tempo: il tempo del bambino si divide in tempo del bambino nella ricezione della parola, nel riuscire ad organizzare un discorso, il tempo a capire qualcosa che gli sembra impossibile. 3. Il diritto del bambino alla morte: significa il riconoscimento della sua interiorità , il senso del suo agire, secondo lui il diritto alla morte consiste nel diritto di vedere quello che non si vede, che l’adulto veda nel bambino anche quello che di solito neppure scorge. includere l’anima La seconda parte del comma 1 dell'articolo 29 della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: gli Stati parti convengono che l'educazione del fanciullo deve avere come finalità. + Favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche; + Sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite; + Sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali; + Preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione e di tolleranza; + Sviluppare nel fanciullo il rispetto dell'ambiente naturale. Si tratta del dovere degli Stati d’impartire un'educazione morale e del diritto dei bambini e degli adolescenti a riceverla. Si propone lo sviluppo di competenze trasversali, life skills, competenze strategiche, key competences, global competence , competenze chiave per l'apprendimento permanente, character skills. Character skills Nel 2014 gli economisti James K. Heckman, John E. Humphries e Tim Kautz pubblicano un volume che ha avuto un certo eco: The myth of achievement tests. Al suo interno si critica l’uso eccessivo della tecnica del testing negli Stati Uniti. Ci si sofferma in particolare sul General Educational Development, un esame Competenze strategiche Il concetto di “competenza strategica” tutela uno snodo molto sensibile: quello che consente di attribuire del significato sia assiologico sia psicopedagogico. Ogni competenza strategica si manifesta sul piano comportamentale, è osservabile nel corso dello sviluppo di un piano d'azione. La sua all'educazione carattere un impegnativo che si svolge in corrispondenza dell’ultimo anno delle high schools (scuole superiori) e che utilizza strumenti ad alta strutturazione. Il suo limite è quello di non riuscire a predire con un’approssimazione accettabile il successo negli studi terziari, il reddito, gli sbocchi occupazionali, le aspettative di salute e di vita, rischi di dipendenza dall'alcool. Le capacità esplicative e quelle di predizione dei modelli di analisi aumentano quando alle variabili indipendenti cognitive, si affiancano quelle non-cognitive: l'aver assunto o meno condotte devianti o comportamenti a rischio durante l’adolescenza, il numero di assenze da variabili scuola. Questo indipendenti è ricerche per operazionalizzare differentemente il concetto di associate alla teoria di personalità elaborata da Warren T. Norman, le charcters skills denotano qualità individuali stabili, durevoli, coerenti e precocemente educabili. repertorio di stato utilizzato in diverse charter. Tendenzialmente L'affermazione per cui le character skills e le soft skills esercitano un effetto positivo sul successo scolastico, professionale e personale sembra poco sostenibile: una generalizzazione poco rigorosa. Considerando che in società diverse, la stessa character skill può essere apprezzata, senza significato o considerata deviante, è più corretto affermare che, nel nostro contesto storico-geografico sembra che determinate disposizioni interiori accrescano le probabilità di successo precisi domini d’esperienza. individuali in espressione è sempre associata a quella di competenze tecnico-professionali e delle competenze. Sul Pellerey distingue in ogni competenza tre componen piano strutturale, l'oggettività riguarda la forma del compito da affrontare, la componente non ha una natura ontologica, ha un carattere storico. Per Pellerey la forma consiste nel operazioni che si devono realizzare in maniera integrata per produrre specifiche trasformazioni nella realtà”. “sistema strutturato di la_soqgettività è piano strutturale sia su quello processuale. È costituita dalle disposizioni interiori che l’individuo ha sviluppato e stabilizzato per mezzo della pratica. Sul piano psicopedagogico, Pellerey si concentra sull'auto direzione nello studio e nel lavoro che assume forma in due processi. articolata sia sul + l’autodeterminazione: consiste nella scelta del traguardo, contribuisce a strutturare i progetti di vita. Il suo senso è strategico. +. l’autoregolazione: è associata alla tattica. Consiste nella capacità di ordinare i mezzi disponibili per conseguire un fine-in-vista rispettando i vincoli contestuali. l’intersoggettività: norme esplicite e implicite e l'habitus, un insieme di disposizioni interiori individuali di origine sociale. Gli habitus sono strutture strutturate. Sono schemi che informano l’esperienza presente in misura maggiore rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un rigoroso calcolo delle probabilità. L'habitus ha un'origine sociale, l'approccio allo sviluppo delle competenze strategiche che intendiamo approfondire si ricollega a una tradizione antica e riprende il concetto di “abito” come disposizione interna stabile, che attraverso la pratica ripetuta, diventa una seconda natura che guida, talora anche in maniera automatica, l’agire della persona. Character skills e competenze strategiche sono le due risposte differenti alla domanda di educazione morale posta dal sistema produttivo e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale. molteplici campi espressivi, alcuni dei quali tipicamente infantili. La Convenzione definisce: diritti generali, come il diritto alla vita, alla libertà di espressione , di pensiero, alla privatezza; diritti che riguardano lo status, acquisire la nazionalità , conservare l’identità; diritti che richiedono misure protettive, come protezione dallo sfruttamento economico e sessuale, prevenzione dell’uso di droghe; diritti che riguardano lo sviluppo e benessere; diritti che riguardano minori che si trovano in determinate circostanze (rifugiati, orfani) o che abbiano bisogni particolari | contenuti così hanno però sollevato alcune critiche che poggiano proprio sul rischio che l’iper- regolazione giuridica possa generare una sostanziale inefficacia nella soddisfazione dei diritti nominati; inoltre ha omesso di affermare diritti di terza generazione (come la pace, la salvaguardia) e non ha contemplato l’attribuzione di veri diritti politici. Dal punto di vista semantico, il testo della Convenzione è caratterizzato dalla compresenza delle cosiddette “3P”, con riferimento alle lettere iniziali dei temi che ne rappresentano gli orientamenti: protection, provision, partecipation. Seppur costruita per affermare principi molto importanti, la Convenzione ha adottato un atteggiamento compromissorio; è chiara la contraddizione insita nella convenzione dallo “sguardo strabico”, che avrebbe il merito di aver favorito il cambio di visione sul minore (da oggetto di diritti degli adulti a soggetto di diritti di autonomia) più che di averne abilitato una effettiva autonomizzazione. Best interests, partecipazione e diritto all'ascolto Dal punto di vista sociologico, la costruzione del discorso sui Children's Rights espressi dalla Convenzione si poggia su due cardini: sui principi dei best interests (art.3) e sul canone della partecipazione (sociale e giuridica) dei soggetti minorenni (art.12). Il canone della Convenzione che convoglia il più vivo interesse della sociologia è quello della partecipazione, che consente di affermare l’esistenza del diritto all’autodeterminazione del minore. L'articolo 12 della Convenzione richiede di considerare i bambini e i ragazzi come soggetti competenti soprattutto per abilitarne l'autonomia. Questa norma introduce il noto “diritto all'ascolto” del minore. Tali indicazioni sono state riprese dalla Convenzione europea: all'articolo 3 definisce infatti il diritto del minore di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti giudiziari che lo riguardano. Il percorso di evoluzione del diritto alla partecipazione e all’ascolto ha conosciuto ulteriori tappe significative: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, detta anche Carta di Nizza si pone sulla medesima linea della convenzione di Strasburgo affermando la necessità di una giustizia child friendly. Tutte queste fonti descrivono una crescente attenzione sia alle aspettative che ai diritti dei bambini, ma al contempo confermano la persistenza di una inevitabile oscillazione tra indicazioni e principi opposti. La sociologia dell'infanzia e il contributo dei Childhood Studies Sul finire degli anni Sessanta, prima della proclamazione della Convenzione, si è affermato un paradigma interpretativo dell'infanzia e dell'adolescenza che intende il child non più solo come essere debole e incapace, ma come attore sociale competente, dotato di una propria visione del mondo e di una propria voce. Questo grazie al superamento dell’idea della socializzazione intesa come mera acculturazione passiva. Infatti, la sociologia, sul finire del Novecento, è andata alla scoperta dell'infanzia, realizzando studi che considerano il minore come soggetto portatore di proprie caratteristiche individuali. 12 Questo approccio permette di focalizzare l’attenzione della “sociologia dell'infanzia” sulle competenze e sulle capacità del minore, più che sui processi di socializzazione. Le ricerche di sociologia giuridica poggiano sull’assunto che l’analisi sui Children's Rights riguarda la distanza tra i diritti affermati nei testi di legge e diritti attuati nella realtà. Tali ricerche appartengono a pieno titolo alla categoria dei Childhood Studies, che rappresenta “uno spazio interdisciplinare” che utilizza propri paradigmi e strumenti di ricerca, avvicinati dalla condivisione di un comune oggetto di studio: il benessere e la libertà dei bambini e adolescenti. Con specifico riferimento al tema dei diritti, questi studi analizzano infanzia e adolescenza in termini di capacità e autonomia: si tratta dell’agency, fondata su molteplici rappresentazioni d'infanzia, composta da veri attori sociali, ritenuti capaci di osservare analizzare e co-costruire i mondi vitali di cui sono parte. Gli studi dedicati alla costruzione dell’agency riguardano strettamente il tema dell'ascolto della voce dei bambini, considerati come soggetti capaci di elaborare un proprio punto di vista e prospettiva. Possiamo quindi dire che una costruzione sociale dell'infanzia , che tenga in considerazione i bambini come attori sociali competenti, richiede: a) la realizzazione e consolidamento dello spazio sociale (pubblico) come luogo abitato in base ai codici culturali appartenenti ai bambini e adolescenti. b) la presa in carico della domanda e progettazione di servizi di protezione che devono essere guardati “con gli occhi dei bambini” e definiti “con voce bambina” | giovani sono fiaccole da accendere, non vasi da riempire La rappresentazione del bambino e dell’adolescente come cittadino è stata ampiamente stimolata dall’avvento della Convenzione e delle Carte internazionali ad essa correlate. | bambini sono ora considerati come soggetti attivi che concorrono a costruire il “futuro nel presente” e che sono dotati di capacità, competenze, abilità sociali, tra cui la titolarità del diritto di formarsi opinioni e di essere ascoltati. Tali dinamiche investono in modo deciso il ruolo degli adulti, titolari del dovere di prendere decisioni che riguardano i bambini. Secondo tale prospettiva, si chiede agli adulti di considerare i minori non come piccoli adulti da soverchiare con scelte eterodirette bensì come persone che elaborano progetti e prendono decisioni, da accompagnare e sostenere. Accade però spesso di incontrare genitori afflitti da ansie di prestazione o genitori che sembrano quasi compiacersi di favorire l’infantilizzazione dei figli. Secondo l'ottica dell’agency la famiglia , proprio perché ambito di crescita elettiva e come agenzia primaria di protezione, dovrebbe quindi facilitare comportamenti orientati alla partecipazione dei bambini e adolescenti. 13 LA RELAZIONE CON LE FAMIGLIE, NEI SERVIZI E NELLE SCUOLE PER L'INFANZIA gli orientamenti Le relazioni costituiscono una risorsa fondamentale nel lavoro educativo; una fondamentale premessa per poter crescere e apprendere. Le relazioni devono essere significative per i soggetti coinvolti; cioè devono essere “buone” relazioni, sia per quanto riguarda i rapporti tra adulto (familiare/educatore) e bambino, ma anche tra pari, quindi sia tra bambini sia tra adulti. La costruzione di buone relazioni tra servizi educativi e famiglie risponde ad un bisogno reciproco, che interessa entrambi i contesti che si prendono cura dell'educazione dei più piccoli: /a crescita, lo sviluppo, l'apprendimento dei bambini dipendono in parte dalla costruzione di positivi ponti tra scuola e famiglia. È importante per il gruppo educativo riconoscere che il lavoro nei servizi per l'infanzia non può limitarsi al rapporto con i bambini, ma si colloca in una rete relazionale più ampia che coinvolga le diverse figure familiari che si occupano del bambino. Lo scambio con la famiglia e lo stabilire un rapporto di fiducia sono lo strumento essenziale della pedagogia dei servizi per l'infanzia e del lavoro educativo. Se negli anni '70 le famiglie che si rivolgevano ai servizi educativi più per un bisogno di custodia e di assistenza dei bambini e di buoni standard qualitativo in ambito igienico, oggi le famiglie riconoscono i servizi per l'infanzia come luoghi autenticamente educativi, in grado di favorire crescita e benessere per i propri figli e risposte ai lori bisogni di socialità e giochi condiviso, ma anche considerati come sostegno al proprio ruolo genitoriale. Oggi è riconosciuto che se la famiglia nucleare, tradizionalmente composta da genitori e figlì, ha rappresentato /a maggior parte delle famiglie presenti nella società occidentale, l’attuale definizione di famiglia si estende a molteplici tipologie di famiglie tra loro molto diverse in termini di modalità interattive, dinamiche relazionali e problematiche da affrontare. Oggi assistiamo a diversi fenomeni di pluralizzazione della famiglia: si tratta di cambiamenti strutturali, relativi ai ruoli che costituiscono l'ossatura della famiglia: riduzione dell'ampiezza media della famiglia, aumento dei nuclei costituiti da un'unica persona e di quelli con un solo figlio; di cambiamenti relativi ai rapporti interpersonali, che si vivono al suo interno; cambiamenti sociali e culturali che hanno dato vita a significative trasformazioni dei contesti familiari, come l'inserimento delle donne nel mondo del lavoro, l'innalzamento della scolarità femminile, ma anche l'aumento della popolazione anziana e il calo delle nascite. Ancora l'aumento costante delle famiglie immigrate con i figli piccoli e la conseguente diffusione di problemi legati alle differenze culturali, la comunicazione e l'integrazione sociale costituiscono questioni oggi significative, connesse la tema delle relazioni tra famiglie e servizi educativi. In Italia si sono diffusi, accanto a quelli tradizionali, servizi educativi come risposta ai bisogni di socialità, di gioco e di apprendimento dei bambini, ma anche spazi di accoglienza della coppia adulto- bambino e di sostegno reciproco tra adulti. Accogliere un bambino nell'ambito di un servizio educativo significa accogliere anche la sua storia e la sua famiglia. Gli studi sul modello ecologico hanno evidenziato che il bambino è una persona che abita vari contesti, influenzandoli ed essendone influenzato; per cui il lavoro educativo non si esaurisce nel rapporto con il bambino ma si colloca in un'ampia dinamica di relazioni che coinvolgono i genitori e che sono influenzate dal tipo di rapporto che questi hanno costruito nel tempo con il proprio figlio. Proprio perché diversi studi hanno evidenziato che ogni famiglia costruisce un proprio stile educativo. Assumersi la responsabilità della relazione con le famiglie significa individuare forme e modi per entrare in dialogo con ciascuna di esse, impegnarsi a comprendere anche quello che non viene espresso, prestare attenzione ad ognuno individualmente e a tutti nel loro insieme. Se fare educazione contesto e delle relazioni, un mediatore con un ambiente ancora sconosciuto e perché vedere il proprio familiare insieme agli educatori è per il bambino il segnale d’inizio di una alleanza educativa e di cura, che lo farà sentire rassicurato e più disponibile ad entrare in relazione. Questo tempo condiviso è importante per l’educatore perché gli consente di osservare la coppia, il tipo di relazione tra il bambino e il familiare, di avviare la sua relazione con il bambino e di condividere progetti e interventi il più possibile reciprocamente coerenti. Dalla compresenza in sezione si arriva alla fase del distacco, costituito da tutti i momenti in cui l'adulto familiare sì allontana dal proprio bambino: si tratta delle prime separazioni della coppia adulto-bambino in un contesto che hanno solo iniziato a conoscere e nel quale, fino ad ora, il genitore ha rappresentato per il figlio la figura conosciuta a cui fare riferimento. È fondamentale che i tempi dei primi distacchi siano rispettosi del singolo bambino e singolo genitore, per costruire con loro una relazione attenta, premessa a una futura alleanza educativa. Separarsi non è di per sé traumatico, soprattutto se il servizio educativo ha creato condizioni favorevoli per una buona separazione; tuttavia, separarsi costituisce un'esperienza faticosa, in quanto evidenzia un cambiamento che può portare a momenti di crisi: le reazioni dei bambini, come quelle dei genitori, possono essere molte e diverse: il pianto, le reazioni di chiusura/isolamento, di indifferenza, che rivelano un bisogno di aiuto per attraversare i primi momenti del distacco. L’educatore non deve lasciare i bambini soli nel vivere questi momenti, ma deve rispettare le sue manifestazioni senza forzature. Anche relativamente al familiare, occorre prevedere un accompagnamento nell’uscita dalla sezione e un sostegno nell’attesa di ricongiungimento col proprio bambino: va curato con attenzione perché ci possono essere reazioni diverse, che vanno dalla gioia, pianto, rabbia, indifferenza: si tratta di modi con cui la coppia adulto-bambino dichiara e accetta la fatica del separarsi e il piacere di ritrovarsi, che devono essere accolti e sostenuti dall’educatore per favorire il processo di ambientamento dei diversi soggetti coinvolti. Il colloquio è uno strumento di lavoro e di ricerca utilizzato dall’educatore nell’ambito dei servizi per l'infanzia per creare una relazione accogliente è positiva con le famiglie. Costituisce un'occasione d’incontro, che consente di dedicare tempo e spazio alla conoscenza approfondita tra genitori e educatori, che si prendono cura del bambino. Se condotto adeguatamente permette al gruppo educativo di conoscere ogni realtà familiare. Un importante elemento nella fase di preparazione del colloquio è la definizione dai suoi obiettivi, per chiarire alcuni importanti elementi che potranno agevolare e guidare in modo chiaro la conduzione. Nel definire gli obiettivi, che devono essere chiari, espliciti e condivisi, bisogna considerare che il colloquio deve essere orientato ad accettare e comprendere il punto di vista dell’interlocutore attraverso l'ascolto e a costruire con lui un rapporto di fiducia reciproca, va fondata passo dopo passo, nella quotidianità e nel tempo. Per la buona riuscita del colloquio elemento fondamentale è lo stile comunicativo con cui si conduce il colloguio stesso, confronti e scambi reciproci con i colleghi, orientati a “mettere in comune” e a condividere non solo il contenuto delle informazioni, ma anche le idee, i pensieri e le emozioni che tali informazioni suscitano nei soggetti coinvolti. È necessario, durante il colloquio, mantenere un atteggiamento autentico nei confronti del genitore, che deve essere considerato come il massimo esperto in merito al proprio bambino. In questa prospettiva appare proficuo l'utilizzo di domande aperte, che consentono all’altro di collocarsi come meglio ritiene e si sente all'interno della conversazione, che deve avvenire nel rispetto del privato delle famiglie ed evitando valutazioni e comportamenti giudicanti che possono bloccare e irrigidire l'interlocutore. Un colloquio all’interno di un servizio educativo non deve essere un monologo da parte degli educatori, ma deve sempre mantenere le caratteristiche di dialogo interessato al cambiamento, oltre che esplorare i reciproci punti di vista su un dato oggetto. Riguardo ai tempi, è necessario destinare al colloquio un tempo disteso e tranquillo, predefinito e comunicato ai genitori, in modo da essere un riferimento per tutti | soggetti coinvolti. L'esperienza dei colloqui condotti in molti servizi suggerisce tempi compresi tra i 30 e 60 minuti, ma si tratta di un valore indicativo. Rispetto alla data e all’orario, occorre evitare imposizioni rigide da parte dell’educatore, ma consentire che vengano concordati sulla base della disponibilità del servizio e della famiglia, nell’idea che gli impegni di entrambi sono importanti e rispettabili: una disponibilità iniziale ampia mostra ai genitori l'interesse degli educatori ad incontrarli, a considerare importanti i momenti di incontro e di dialogo. Importanti sono le modalità di invito, che possono essere in forma scritta o orale, ma che devono sempre considerare la natura del colloguio, fondata sul confronto e la discussione. Lo spazio per il colloquio dovrebbe essere riservato, tranquillo e appartato rispetto ai bambini e agli altri adulti presenti nel servizio; risulta necessaria la presenza di luoghi dedicati alle relazioni tra adulti, protetti e accoglienti in cui il colloquio possa svolgersi con l’attenzione e la concentrazione necessarie. La documentazione dei colloqui deve essere oggetto di analisi da parte di tutto il personale educativo e non solo di chi li ha condotti; è un processo selettivo, che presuppone un lavoro di osservazione, rielaborazione e riflessione. Le analisi dei colloqui hanno bisogno di una documentazione scritta, di un resoconto, anche in forma di diario, che permetta a tutti di comprendere modi, forme ed esiti della comunicazione, ma anche le emozioni e gli stati d’animo degli interlocutori. Nei servizi per l'infanzia sono molte le occasioni in cui è opportuno incontrare la famiglia nell’ambito di un colloquio: la fase in cui il colloquio viene maggiormente utilizzato è il periodo precedente l’ambientamento del bambino e della sua famiglia nel nido o nella scuola d'infanzia, in cui viene data voce a tutte le questioni e agli interrogativi dei genitori, ma soprattutto all'ascolto e rassicurazione. Il colloquio mirato alla verifica della fase di ambientamento, durante il quale l’educatore e il genitore si confrontano alla nuova esperienza del bambino e della sua famiglia all’interno del servizio educativo: si tratta di uno scambio e confronto rispetto alle diverse opinioni e percezioni che si hanno di fronte alla nuova esperienza e di condivisione delle prospettive future. // colloquio orientato a fare insieme alla famiglia il punto della situazione sul singolo bambino, sulla sua crescita e sul suo benessere, finalizzati a volta a favorire un momento di confronto tra educatori e genitori, a volte a chiarire situazioni critiche o comportamenti problematici e a condividere, quindi, possibili ipotesi, strategie e soluzioni. Risulta prioritario che, ogni tipologia di colloquio, deve sempre privilegiare un atteggiamento di apertura, disponibilità e ascolto nell’ambito di una relazione tra educatori e famiglie fondata sulla comprensione e il dialogo, per creare un clima di collaborazione partecipazione: partecipare significa condividere idee, significati e valori. È fondamentale che tra servizi educativi e famiglie ci sia la condivisione delle esperienze educative offrendo ai genitori di partecipare a momenti di incontro. All’interno dei servizi educativi, la relazione tra educatori e famiglie trova un'occasione privilegiata negli incontri di gruppo, che sono momenti di discussione e confronto in cui le famiglie sono protagoniste e non pure ascoltatrici di proposte definite dai servizi. Ciascuna delle tipologie di incontri di gruppo tra familiari e adulti presenti all’interno di nidi e scuole d'infanzia può diventare occasione per favorire la condivisione comunitaria che rappresenta uno degli aspetti fondamentali del lavoro con le famiglie. Le tipologie più diffuse sono rappresentate dalle riunioni di inizio anno e dagli incontri di sezione intermedi e finali, a cui si aggiungono altre occasioni quali i laboratori, gli incontri a tema, momenti dedicati all’organizzazione di feste, ciascuna delle quali ha obiettivi diversi e specifici e modalità organizzative differenti riguardo agli spazi, tempi, strumenti e materiali. Gli incontri di inizio anno si distinguono tra quelli rivolti ai genitori che si preparano ad accompagnare i loro bambini nell’ingresso al nido o alla scuola d'infanzia per la prima volta e quelli che interessano le famiglie già frequentanti. | primi sono riunioni preambientamento e possono avvenire prima e dopo la pausa estiva e hanno come obiettivo quella di permettere una prima conoscenza reciproca, fornendo le principali informazioni rispetto all’organizzazione del servizio, presentando gli orientamenti del progetto pedagogico e permettendo ai genitori la possibilità di conoscersi tra loro. Negli incontri iniziali con genitori frequentanti, l’obiettivo è quello di ritrovarsi aggiornarsi su eventuali cambiamenti del percorso educativo. In entrambi i due momenti di incontro di gruppo con i genitori, è necessario mantenere un equilibrio tra informazioni e contenuti portati dagli educatori e lo spazio di ascolto e confronto garantito ai familiari del bambino: è necessario costruire un clima sereno e rassicurante che faccia percepire ad ognuno che è parte attiva nella costruzione di un progetto educativo pensato per i bambini frequentanti il servizio. Tra gli incontri di gruppo successivi, primo tra tutti è l’incontro per la verifica degli ambientamenti, per confrontarsi su come il primo periodo di frequenza nel servizio è stato vissuto dai soggetti coinvolti. Per tutti i genitori vengono previsti incontri di gruppo in corso d’anno e finali, per condividere non solo le esperienze che i bambini e le famiglie vivono all’interno del nido o della scuola, ma soprattutto le motivazioni delle scelte attuate e delle modalità dell’agire con loro, contribuendo a rendere i genitori informati e partecipi dei percorsi e degli obiettivi che di prefiggono di raggiungere. Altri momenti di incontri di gruppo sono le feste che in particolari occasioni dell’anno coinvolgono il servizio, con l’obiettivo di creare contesti di relazione piacevole informale con e tra le famiglie e che diventano autentiche opportunità di partecipazione e coinvolgimento. Altre due tipologie di momenti di gruppo particolarmente significative sono rappresentate dagli incontri a tema e dai laboratori, che possono essere considerati opportunità per allargare le occasioni di stare insieme tra educatori e genitori. Gli incontri a tema vengono proposti in seguito alla richiesta dei genitori di momenti di confronto con esperti di tematiche riguardanti l'infanzia, dove i genitori sono protagonisti attivi della fine di coinvolgimento dei familiari, il gruppo educativo, discussione. AI favorire il oltre a proporre temi e modalità d’incontro coerenti con la progettazione pedagogica del servizio, sappia rispondere ai principali bisogni delle famiglie, in termini di temi e contenuti su cui confrontarsi, ma anche di spazi su cui organizzare gli incontri. Da punto di vista metodologico, gli incontri di gruppo, le pratiche educative, necessitano di una progettazione in cui il gruppo come tutte educativo condivida obiettivi, modalità e azioni con le famiglie. Tra le azioni da progettare c'è quella dell’ invito, cioè la comunicazione | laboratori rappresentano momenti di incontro in cui viene favorito il opportunità di socializzazione e relazione tra adulti. Si tratta di incontri che favoriscono la partecipazione anche degli adulti che si basano sul confronto. All’interno dei laboratori, il lavoro, il fare qualcosa di bello e di utile, diventa un pretesto serio e significativo intorno al quale incontrarsi e riunirsi e a partire dal quale avviare pensieri, riflessioni e discussioni da condividere con le famiglie. fare comune come Dal punto di vista dell'ambiente, gli incontri possono avvenire sia in spazi appositamente pensati per gli adulti, che in spazi abitati quotidianamente dai bambini: i primi sono più comodi e adeguati a laboratori; i secondi più adatti a incontri di incontri tematici o nello spostare lo “sguardo d’amore e di stima da sé stessa al padre”. Le esperienze di lavoro con i gruppi di lavoro all’interno dei servizi educativi confermano una maggiore presenza maschile nei primi anni di vita dei bambini, per far fronte ai nuovi compiti che la nascita di un bambino impone e per condividere con la compagna la cura e la crescita del figlio. || desiderio degli uomini di essere partecipi fin dalla nascita alla vita dei bambini deriva da diversi fattori: un vero e proprio innamoramento nei confronti del figlio, un sostegno emotivo e pratico alla madre, una dimostrazione d'amore verso la propria compagna. Alcune situazioni di lavoro con i papà all’interno dei nidi e delle scuole dell’infanzia, dove gli uomini hanno la possibilità di parlare della propria esperienza, evidenziano il desiderio dei partecipanti di interrogarsi sul loro modo di vivere la paternità, la relazione con la propria compagna e la straordinaria occasione di cambiamento che la nascita di un bambino offre a un uomo: emerge la voglia di esserci fin dalla nascita, di trovare il proprio modo di stare con i figli. Nei servizi per l’infanzia, l’incontro con le figure maschili avviene principalmente su due piani; da un lato la relazione nella quotidianità: i primi contatti, accompagnamento mattutino, i colloqui, ambientamento, le riunioni, le varie iniziative formative proposte dai servizi; dall'altro le educatrici hanno a che fare con la figura maschile nel gioco, nei racconti dei bambini, nelle tracce lasciate dai padri nel loro passaggio, nelle parole delle madri. L'accoglienza al padre viene accuratamente progettata dal gruppo educativo, che nella prima riunione con i genitori, sottolinea |a funzione di sostegno nel periodo di ambientamento e attribuisce un primo riconoscimento al valore della presenza della figura maschile nella crescita del figlio e nel rapporto con le educatrici. Dal primo colloquio prende avvio un processo di conoscenza che non coinvolge più le sole figure femminili, ma un terzo soggetto, portatore di un vissuto e di un pensiero proprio riguardo al figlio piccolo e ai rapporti familiari. Richiedendone la presenza, si stimola il padre ad assumersi una responsabilità intesa come “dare una risposta”, mentre nello stesso tempo viene comunicata alla madre l'intenzione delle educatrici di non considerarla la sola depositaria del lavoro di cura e dell’ambientamento del proprio figlio. le prospettive Per avviare una relazione e un dialogo con le famiglie occorre un approccio del servizio capace di comunicare cosa si intende proporre, quali sono gli obiettivi educativi e le loro motivazioni assunti da tutto il personale, educativo e non. In questa prospettiva, è necessario mettere a punto un lavoro non solo orale, ma anche scritto, che possa essere letto e compreso da tutte le famiglie. In generale, tali documenti dovrebbero contenere non solo i passaggi fondamentali della proposta rivolta ai bambini, ma anche le ragioni delle scelte fatte, dichiarare con chiarezza gli obiettivi non in modo circoscritto, ma allargato all'immagine del bambino nelle sue dimensioni sociale, emotive e cognitive. Una documentazione aggiornata e visibile sui processi sia individuali (diari, oggetti, storie dei singoli bambini) che di gruppo (diari di sezione, pannelli documentativi) può costituire una strategia valida per aiutare a leggere l’esperienza del proprio figlio all'interno della comunità di cui fa parte, contribuendo a sostenere una dimensione collettiva e sociale non solo tra adulti, ma anche tra bambini. Alimentare nei genitori il desiderio di costruire materiali di documentazione nell’ambito del nido, della scuola dell’infanzia e metterli nelle condizioni di realizzarli come traccia del passaggio di sé e del proprio bambino o di un progetto in cui si è stati coinvolti, può diventare un'ulteriore opportunità di confronto e di cooperazione, ma anche l'occasione per dare voce alla prospettiva del singolo genitore e dei gruppi familiari, riservando all’educatore una posizione di ascolto e di scoperta dell’altro. | servizi non dovrebbero andare all'incontro con le famiglie con l'aspettativa di migliorare i loro comportamenti, ma mirare a condividere modalità di cura e educazione, ma anche scelte relative a spazi, materiali e proposte educative, accogliendo e valorizzando le differenze. Ciascuna delle pratiche di relazione con le famiglie chiede all’educatore competenze che non possono essere attribuite alla capacità o alla sensibilità dei singoli, ma che richiedono uno sforzo e un impegno da parte di tutti; solo l'intreccio tra formazione, esercizio ed esperienza può aiutare un educatore ad apprendere come condurre un colloquio o un incontro di gruppo e a gestire ambientamenti e situazioni problematiche. La relazione con le famiglie non dovrebbe muovere da una richiesta di pura collaborazione, ma da una proposta di partecipazione ad un percorso da costruire e condividere, capendo quali possono essere le risorse e le disponibilità reciproche da giocare nelle specifiche situazioni. Parlare di partecipazione permette di riconoscere maggiormente ciascuno dei soggetti coinvolti, condivide la responsabilità nei confronti dell’educazione e dello sviluppo dei bambini, fino a prospettare una responsabilità reciproca tra tutti gli individui che appartengono a una data comunità educativa, scolastica e sociale. L'apertura alle famiglie, l'accoglienza, le possibilità di stare insieme all’interno dei nidi e delle scuole dell'infanzia, devono basarsi su indicazioni di come muoversi in un modo reciprocamente rispettoso e attento ai bambini che abitano quotidianamente i /uoghi educativi. Quanto più il progetto di relazione con le famiglie non è solo aperto, ma anche visibile, trasparente, basato sull’ascolto e sul dialogo, tanto sarà più facile per i genitori aderirvi e parteciparvi, instaurando un rapporto di fiducia autentico perché fondato su una reale conoscenza dei soggetti coinvolti. Compito dei servizi per l'infanzia non è insegnare ai genitori di fare i genitori, ma di consentire di essere sé stessi come genitori in modo consapevole e più sereno. Perché ciò si possa realizzare occorre un impegno politico e amministrativo che permetta di avere servizi educativi accessibili per tutti coloro che desiderano frequentarli, in numero adeguato alle richieste reali e diversificati per rispondere alle differenti domande delle famiglie. Occorre ridare forza agli organi di partecipazione, previsti nei nidi e nelle scuole dell'infanzia, a partire dai Decreti Delegati del 1974, che hanno affermato il concetto di scuola come comunità educante, favorendo la partecipazione attiva dei genitori a condividere con gli educatori modi di intendere la crescita e l'educazione dei bambini. 10
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