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Esame di Sociologia dei codici culturali - Riassunto "La Bella e la Bestia" di Ciro Tarantino, Sintesi del corso di Sociologia

Esame di Sociologia dei codici culturali --> concetto di codici + Riassunto "La Bella e la Bestia" di Ciro Tarantino Comunicazione & Dams - a.a. 2020/21

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 22/07/2021

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Scarica Esame di Sociologia dei codici culturali - Riassunto "La Bella e la Bestia" di Ciro Tarantino e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Sociologia dei codici culturali Cosa sono i codici culturali? I codici culturali sono un insieme di regole ed imposizioni che la società dà un po' in forma esplicita e molto in forma implicita. Questi sono un sistema di regole molto articolato poiché riguardano comportamenti individuali e sociali insiti in un determinato gruppo d'appartenenza, legato a sua volta a varie reti (familiare, amicale, territoriale). Pur non essendo codici giuridici, hanno una grande forza impositiva che permette di creare omogeneità all'interno dei gruppi e porre gli scarti ai margini. Racconto di un naufrago Un esempio di codice culturale è il racconto di Marquez discusso a lezione, intitolato “Racconto di un naufrago”, del 1955. Questa storia narra di un naufrago che, dopo esser stato una decina di giorni alla deriva, trova un gabbiano. Tuttavia, nonostante fosse a digiuno da 5 giorni il marinaio non riesce a mandarlo giù. Eppure se lo avesse fatto avrebbe avuto ottime possibilità di salvarsi dato che come dicono i marinai; “i gabbiani distano dalla terra ferma a soli due giorni di navigazione”. Eppure “è semplice” conclude il racconto. Ma in che senso “semplice”? nel senso che come sappiamo ci sono delle regole esplicite ma per lo più implicite che si insidiano nella nostra società e accompagnato la nostra quotidianità. In questo caso si tratta di una regola alimentare e come tale ha una forte forza impositiva nella nostra mente, seppur implicita, questa forza impositiva del codice non ci permette di superarlo, anche se questo avrebbe significato salvarsi. Il forte senso di disgusto di cui parla il marinaio, mentre si trova intenzionato a mangiare il gabbiano, è ciò che gli toglie il senso di libertà nel poterlo fare. Ma come si crea in noi il disgusto? Dipende tutto dal codice culturale all'origine, alla base del gruppo sociale d'appartenenza. Per esempio, noi potremmo provare questo forte senso di disgusto, e non riuscire a superarlo, se si tratta di un cane, mentre la popolazione cinese, avendo alla base un codice culturale diverso dal nostro con regole alimentari diverse, non prova questo disgusto poiché questa regola avrà probabilmente origini storiche. Tuttavia, i codici culturali possono sempre incorrere a modificazioni nel tempo, per esempio per quanto riguarda le regole alimentari oggi vediamo sempre più persone andare verso l'essere vegetariani o vegani, in un mondo in cui prima solo i ricchi potevano permettersi di mangiare carne, ora che è alla portata di tutti scatta un processo inverso di “distinzione” + alimentazione senza carne, élite che vuole distinguersi. Questo perché nella società sono continuamente presenti sia le forze di imitazione (in cui l'aspirazione di tutti era potersi permettere di mangiare carne 1 per esempio > somigliare al gruppo d’appartenenza), ma anche forze di distinzione (+ per distinguerci dagli altri gruppi, ma anche all’interno del gruppo stesso). Alla base sia delle modificazioni che delle imposizioni vi sono sempre delle forze sociali. Formaggio con le pere Un altro esempio discusso a lezione che ci fa riflettere sui codici culturali e sulle possibili forme comunicative è quella del proverbio “A/ contadino non far sapere, quanto è buono il formaggio con le pere”, tratto dall'opera del 2008 di Massimo Montanari (un importante storico dell’alimentazione italiano) intitolata “// formaggio con le pere: storia di un proverbio”. La forma proverbiale è un modo in cui la società assume dei comportamenti comuni che derivano dall'esperienza. In genere, il proverbio condensa il sapere non firmato di un gruppo (come le barzellette, al contrario di tutti gli altri saperi che invece sono firmati), solo che questo proverbio dal punto di vista comunicativo è molto intrigante, poiché ha una struttura molto contraddittoria data dal fatto di non esser fondato sulla trasmissione di un sapere, bensì su quella di un “non sapere”. Ma come mai la società ha creato un proverbio per trasmettere qualcosa da “non far sapere”? Montanari decide così di svelare il codice culturale alla base di questo proverbio, partendo dalla ricostruzione della storia sociale del formaggio e delle pere, che seppur due cibi, essi rappresentano l'apparato simbolico che definisce due gruppi umani. Senza il codice interpretativo alla base non è possibile infatti interpretare ciò che una società esprime servendosi di svariate forme comunicative, come può essere quella del proverbio. Montanari ci illustra quindi un processo attraverso il quale, un frutto e un pezzo di formaggio, riescono a restituirci una storia che dura 5 secoli. | due cibi in questione appartenevano infatti ad uno status sociale diverso: il formaggio era il cibo dei poveri, fatto dal duro lavoro dei contadini, proveniente dagli animali, a stretto legame con la natura quindi e che restituisce un'idea di “bestialità” sia per la provenienza che per il duro processo produzione. Il formaggio veniva inoltre consumato dai contadini poiché poteva essere conservato a lungo termine; al contrario delle pere che sono considerate, come molti altri frutti, un “cibo nobile”. Esse sono ad alta deperibilità e vanno dunque consumate fresche e questo era un “lusso” che solo i ricchi potevano permettersi. Inoltre, è uno dei pochi cibi dolci esistenti prima dell'avvento dello zucchero. Da quest'analisi di Montanari capiamo come sia “facile” comprendere ciò che la società esprime attraverso le forme comunicative più varie. Notiamo come tutto intorno a noi (la società) racconti qualcosa, che diventa comprensibile nel momento 2 ottenuto da polveri costose importante dall'Oriente), il quale venne utilizzato evidenziale il Cristo e la Madonna. Se non possediamo i codici interpretativi dell’opera quindi, rischiamo di non capirne il pieno valore e dunque risulta “depotenziata” ai nostri occhi (il nostro sguardo verso di essa non cambia se al posto dell'azzurro Oltremarino vi è l'azzurro d’Alemagna - più economico e meno pregiato). Secondo Baxandall infatti è cambiata, per assurdo, la stessa opera, vista da occhi non contemporanei alla sua realizzazione (le categorie percettive e cognitive di chi osserva sono del tutto differenti). Michael Foucault In un testo del 1966 intitolato “Le parole e le cose”, Michael Foucault analizza quella che definisce “episteme”, ovvero > gli sguardi di un'epoca intesi come il “sapere” di un'epoca e come le formazioni discorsive e non di quell'epoca, siano tutte in qualche modo influenzate, o determinate, da regole uniformi, cioè da “codici culturali”. Abbiamo analizzato come determinate epoche e determinati gruppi sociali, in qualche modo è come se condividessero, un certo momento, determinati regimi percettivi, regimi cognitivi. Ed è in base a questi che poi mettono in atto le loro pratiche (che sono visibili ma non è visibile quello che c'è sotto). PDF Tuttavia, se si riesce a rintracciate “quello che c'è sotto”, quindi il modo in cui la società mette in atto delle pratiche sociali in grado di determinare il nostro modo di pensare, allora si apre la possibilità di decidere se continuare a pensare in quel determinato modo o provare a pensare diversamente, liberarsi di quei codici culturali imposti in modo implicito dalla società nella nostra mente. Diventa dunque contemporaneamente sia una “presa d'atto” nell'aver appreso di essere meno liberi del previsto, ma anche una “presa d'atto” di poter adesso scegliere se seguire i codici o meno, spingere verso il cambiamento. Introduzione di La Bella e la Bestia Il libro La Bella e la Bestia si basa sulla spiegazione della costruzione dei cosiddetti “tipi sociali”, mostrati attraverso quattro casi di studio che raccontano ciò che viene considerato “proprio” ed “improprio” dalla società, a seconda delle epoche di riferimento. La Costruzione di due diversi poli di umanità, ovvero la cosiddetta “Bella”, i buoni della società, contrapposta alla cosiddetta “Bestia”, la parte negativa di essa (intesa sia come singolo individuo che come gruppi sociali). fra Bella e Bestia. La scelta storica alla base di questa partizione è completamente arbitraria, ma essendo appunto una “scelta” come tale prevede una “non scelta”, ovvero uno scarto, che finisce ai margini della società. Da qui la teoria dell'Iincompletezza culturale di Remotti, secondo cui vi è un'incompletezza di partenza (biologica) e una d'arrivo (culturale), data dal processo di selezione alla base di ogni cultura (che per definizione dunque risulta essere “incompleta” e per questo “particolare”). Queste scelte dunque, che concorrono alla categorizzazione della società in legittimo ed illegittimo, in parte buona e parte negativa, sono le stesse (scelte) che concorrono all’auto- realizzazione di ogni singolo individuo, alla costruzione del “tipo umano”, o dei “tipi umanî” (funzione antropo-poietica). Tuttavia, questa partizione all'interno della società non è detto che rimanga immutata negli anni, anzi: come sappiamo i codici culturali alla base, nella costruzione dei tipi umani e dello sguardo che la società ha nei confronti di essi, Sono sempre în continuo mutamento, cambiano di epoca in epoca per adattarsi al mutare delle pratiche sociali sottostanti (alle scelte storiche che vengono compiute). Essi non sono infatti imposti da una legge naturale, bensì si tratta di una scelta arbitraria compiuta da una determinata organizzazione sociale. Gli individui che una società vede in un momento come “negativi”, come esempio di bestialità, sono gli stessi che in un secondo momento quella stessa società potrebbe vedere come ciò che di bello, buono e positivo c'è in essa. Tutto cambia al mutare dei codici culturali presenti in quell'epoca (a cambiare è proprio lo Categoria dei “buoni” o viceversa > con il possesso dei codici la possibilità di scelta ci viene restituita. Essere senza codici significa infatti essere “schiavi” di un sistema di costruzione, di formazione e di comunicazione ben impostato che però è “opcculto”, o cieco di fronte ad esso). La favola — caratteristiche originarie Il topos del racconto tradizionale di La Bella e la Bestia rientra nel sistema di ovvero “La ricerca del marito perduto”, nel sottotipo che riguarda “le nozze della bella protagonista con un marito dalle sembianze animalesche e/o mostruose”. Il primo antecedente di questa favola è stato rinvenuto in Amore e Psiche di Apuleio, mentre a fissare il canone moderno, che porterà poi alla favola così come la conosciamo oggi, saranno - La prima tappa avvenne nel 1698 quando Madame d’Aulnoy scrisse una raccolta di racconti incentrata sulla metamorfosi di mariti che prendevano sembianze animalesche; - La seconda tappa avvenne nel 1740 con il testo considerato “fondativo” della favola moderna di Madame de Villeneuve; - La terza tappa invece avvenne nel 1756, nel momento in cui Madame de Beaumont inserì una versione rivisitata della favola nella sua antologia per ragazzi. Questo divenne il testo più conosciuto e diffuso e da quel momento la favola non smise mai di esser riscritta, con infiniti adattamenti letterari, cinematografici e televisivi (arrivando fino alla versione cartoon Disney del 91’, che noi tutti conosciamo oggi). La favola, appartenente alla tradizione orale è già di per sé una forma di Comunicazione elastica, in quanto: passando di bocca in bocca può incorrere ad errori di comunicazione, può essere soggetta a diverse variazioni, soprattutto dei finali (cambia il modo di raccontarla ai bambini ed il modo in cui arriva al grande pubblico). Tuttavia, l'altra caratteristica è però che: tutte le molteplici versioni si compongono di una parte stabile e di una variabile. Lo schema principale resta pressoché invariato e mutano invece tutti quegli elementi che concorrono alla narrazione della Storia, inclusi i finali e i caratteri dei protagonisti. L'unica costante è la necessaria presenza di una Bella e di una Bestia (così da incarnare le caratteristiche di tipi umani presenti nella società). Notiamo inoltre che, nelle molteplici versioni) della “Bella” viene detto molto poco, forse perché di epoca in epoca il concetto di bellezza femminile cambia, ma una cosa che non cambia è Che questa “bellezza” sia indiscutibilmente fisica e morale, senza scendere nei dettagli. La vera bellezza della Bella emerge infatti Solo per contrasto alla Bestia (la bella è bella perché non ha quel carattere e quell’aspetto bestiale). Solo superficialmente la favola è un genere letterario “leggero”, in realtà esso è un genere altamente pedagogico, associato alla formazione dell'essere umano fin dai primi anni d’età. Ci sono infatti pedagogie visibili come la famiglia, la scuola, e altre invisibili, proprio come la favola. Il meccanismo comunicativo del genere fiabesco, attraverso la morale, si presta molto bene all'opera di formazione dell'essere umano, concorrendo alla costruzione di modelli positivi e negativi, poiché in grado di instaurare un confine fra il bello e il brutto, fra il buono e il cattivo e fra il giusto e l’ingiusto. La favola è uno dei modi più raffinati che la società ha per raccontare le dinamiche più profonde. | temi sottostanti infatti sono molto spesso cronache di vita reale, di crisi attuale, di mutamento dei codici culturali che viene colto dalla favola per offrire nuovi strumenti che permettano di “far presa” sulla realtà e comprendere tale mutamento, permettendo anche di controllarlo. La favola è perciò una trasposizione fantastica di una tensione sociale concreta ed è l’unico genere in grado di raccontare ai bambini qualcosa che non è raccontabile in altro modo, come il tema della morte (es. Bambi, il Re Leone, ecc). Carattere pedagogico de La Bella e la Bestia La Bella e la Bestia infatti, in primo luogo, è un racconto di paura: la storia di un temuto rito di passaggio che prevedeva una giovane donna costretta a lasciare la vita familiare per sposare un estraneo, passando molto probabilmente dalla violenza paterna a quella di un altro uomo. È anche un racconto basato sul commercio umano, di chi viene scambiato e di ciò può scambiare, di chi possiede e di chi non possiede nulla, neanche sé stesso (la donna da proprietà del padre diventerà proprietà del marito). In tal senso anche la bellezza è un capitale da investire*, si fa di questa dote naturale un equivalente simbolico della “proprietà” (per chi non aveva altri capitali da scambiare), da poter investire nel mercato coniugale (mia figlia per tot soldi o per tot cibo, cavalli, ecc). (colleg. cap. 2 — Capitale estetico). Due interpretazioni diverse ricorrono nelle versioni portatrici di tale canone moderno, quella di Madame de Villeneuve (1740) e quella di Madame de Beaumont (1756). La prima, grande sostenitrice dei diritti del cuore, della libertà decisionale rispetto alle passioni amorose, per il matrimonio tra cosiddetti “spiriti Sinceri”. La Bella in questa versione fa riferimento a “Bestie ricche assai più bestie della Bestia considerata tale solo per l'aspetto esteriore, e non per sentimenti e azioni’. Quindi momento di rottura del canone sociale. Mentre Madame _ de Beaumont riscrive la favola come una favola d'ordine per istruire le sue allieve e lettrici all'obbedienza e alla rassegnazione dell'economia coniugale dell'epoca, concedendo una nota di speranza per la possibilità di sposare un uomo “meno 10 Selvaggio di ciò che si crede” o per la possibilità che questo si converta in extremis. Conservatrice dei vecchi codici culturali. Il tipo e l’anti-tipo La società mira a costruire dei tipi, dei modelli, a cui si contrappongono per esclusione degli anti-tipi, ovvero coloro che non rientrano nelle caratteristiche considerate “ideali, legittime, proprie”. L'epoca per eccellenza della categorizzazione e tipizzazione dell'umano è sicuramente l'Ottocento e ciò avveniva în due modi: - attraverso il positivismo criminologico (una costruzione del tipo umano che Si basava sugli eccessi, sull'individuazione di tipi criminali, delinquenti, ecc, cioè la parte cattiva dell'essere umano); - e attraverso la costruzione dell’uomo medio: l'uomo nella norma, normale, che si afferma poi con il passaggio alla produzione di massa nel Novecento, avviando una standardizzazione del tipo. Anche oggi per esempio, tutte le merci, i prodotti, servizi, sono costruite per un “tipo umano”, per persone standard. [Come le cinture di sicurezza nelle macchine, il quale, essendo testate su manichini corrispondenti al ttpo umano di genere maschile, per una concezione anti-femminista, comportano un rischio più altro di mortalità, o di lesioni aggravate, nel caso in cui fosse una donna ad essere coinvolta in un indicente, rispetto ad un uomo coinvolto nello stesso incidente]. La figura della donna infatti è per molti secoli vista in modo inferiore, sia fisicamente che cognitivamente (se pensiamo che fino al 1945 (suffragio universale) le donne non avevano neanche il diritto al voto). Ancora oggi siamo in pieno mutamento dei codici culturali, con leggi apposite che favoriscano l'equità di trattamento generazionale in ambito lavorativo e non solo (un percorso di mutamento che va avanti dalla prima legge di oltre 70 anni fa ed è ancora in corso). La naturalizzazione Questo riguarda il modo di trattare interi gruppi umani (accettazione o rifiuto di determinati tratti di una comunità) e le scelte sociali che sono state compiute (da altri gruppi sociali). Senza il possesso dei codici culturali che servono a decifrare tale processo di legittimazione, non saremmo in grado di riconoscerlo e di conseguenza a decidere autonomamente, fare una scelta che riguardi l’accettarlo e condividerlo o rifiutarlo e volerlo cambiare. Le culture dunque scelgono arbitrariamente come devono andare le cose, non cè una ee nati solo che tali culture poi rivestono questi meccanismi con nei discorsi, nella comunicazione, perché così facendo si 11 Naturale sia qualcosa che rimanga invariato (meccanismo di antropo-poiesi > costruzione dell'umano). Infatti questo “meccanismo di naturalizzazione” è la strategia fondativa che l'Occidente attua per non far modificare il proprio codice culturale, sottrarre allo sguardo altrui la scelta sociale sottostante e difenderla sostenendo: “è la naturale che fa questo”. I codici culturali non mutano da soli, ci sono sempre dei rapporti di forza che si provano a far mutare (la comunicazione è il primo livello dei rapporti di forza, per capire come si raccontano). Quello che era “delitto d'onore" è scomparso ma si è andato ad affermare il cosiddetto “femminicidio”, l'atto in sé potremmo dire essere la stessa cosa ma cambia la terminologia, e il rapporto di forza con essa (ribaltamento di un codice culturale). | codici culturali infatti possono essere ricostruiti attraverso due tipi di forze avverse: - Una forza conservatrice, che tenderà alla naturalizzazione del codice pet - Una forza di trasgressione, il quale sosterrà la costruzione sociale del codice Il principale meccanismo di naturalizzazione si manifesta nella comunicazione, ed è insito in modo così profondo che molto spesso non ce ne accorgiamo, se ce ne accorgiamo significa che qualcosa sta già cambiando. Le metafore della mafia per esempio sono la piovra e il cancro, questa “animalizzazione” è una trasformazione in natura di un qualcosa che in realtà è un fenomeno socio- culturale. La comunicazione in quel momento sta infatti attuando uno scambio di forze, di poteri, rendendo la mafia come qualcosa di impossibile da estirpare, qualcosa di immutabile, immobile, verso cui non possiamo fare nulla, solo intervenire sugli effetti (assurdo dato che una società dovrebbe intervenire sulle cause non sugli effetti). È questo che diceva Giovanni Falcone in una famosa intervista “è un fenomeno storico la mafia, è nata in un periodo e dovrà finire" > ed essendo i fenomeni storici delle scelte sociali sta dicendo che la mafia è una scelta sociale e che dunque una società può scegliere di non averla più, iniziare un mutamento di codici culturali alla base per cambiare il codice sottostante. L'altro esempio di naturalizzazione per eccellenza la ritroviamo nei meccanismi faziali, in cui si ha una trasformazione in natura di tutto ciò che in realtà è stato prodotto dalla cultura, si cerca di ritracciare quei tratti distintivi per attaccarsi ad essi ed identificare il singolo con il gruppo e tentando di costruire due umanità diverse, che non si possono avvicinare poiché troppo distanti. 12 di morte esposta, che rappresenta un tentativo, più o meno forzato, di imporre una memoria collettiva. alla visione della camera mortuaria è l'incontro La tra due elementi paradossali: la bara, contenente un corpo morto, disposta su una pedana; e la presenza di un grande schermo sopra su cui appariva la scritta “Allegria”, ovvero il suo consueto messaggio di chiusura o commiato, come a [confronto con il quadro di Magritte - Prospective II, Bare sul balcone (che riproduce la sua visione diversa della stessa società rispetto alla visione della stessa riprodotta da Manet - “Il balcone” — cadaverica/nobile, borghese)]. Ma come mai ad un certo punto si è deciso di fare il funerale di stato ad un conduttore televisivo? In ogni funerale di Stato vi è un processo di “selezione del ricordo” che sta alla base dell'individuazione di chi deve ricevere le esequie di Stato e perché (dato che come sappiamo ogni decisione richiedere l'applicazione di criteri di selezione). È evidente come la decisione abbia un fondamento politico, dato che nelle esequie di Stato non si scelgono corpi, ma “valori incarnati”, in gesti, opere o persone. Si tratta dunque dell'invenzione di una tradizione (una prassi) che, come sappiamo, è un modo per “fare umanità", per dire alla società “chi ricordare" (un meccanismo ordinario di costruzione di una memoria collettiva). Si tratta di , che incarni ciò che è considerato “/egittimo” e “proprio” per quella società. (potere modellante — antropo-poietico — nelle mani di quel governo e nazione.) Stato (corpo e spirito dello Stato). E chi lo Stato considera la parte “bella” della Società (attribuendo tratti “bestiali” a coloro che non rispecchiano tali caratteristiche, allo “scarto”). Sono dunque Cerimonie mediatiche, morti esposte, visibili, in grado Nelle monarchie i funeri di stato sono un processo diffuso che non si è mai arrestato, un esempio sono i funerali di lady Diana e del principe di Edimburgo, Filippo (marito della regina). Il cerimoniale mantiene infatti un proprio fasto e una propria attrattiva di massa, soprattutto mediatica, furono trasmessi in tv e il funerale di lady D è ancora oggi uno degli “spettacoli” più visti al mondo. L'Unità d'Italia Con i Funerali di Stato di Alberto Sordi (2003) e poi di Mike Bongiorno Si registra di selezione e identificazione dei destinatari. Questi uomini non furono scelti per i 15 risultati conseguiti nel campo della loro attività, ma perché simboli dell’uomo comune, delluomo medio, come personificazione e incarnazione dei “qualunque”. Vi è dunque un preciso spostamento politico alla base della selezione decisionale che evince proprio dalle parole di ricordo al termine della cerimonia funebre, dell'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il quale parla di Mike come: “un uomo semplice, di cui si devono dire cose semplici”, fa un italiano che ama la patria e che è stato la televisione, e tramite essa ha unito tutti gli italiani d’Italia”. Si parla dunque di un “eroismo mediatico-nazionale”, dell’irruzione di un “eroismo della normalità”. Ma come scegliere fra la normalità? Il trucco sta infatti nel fatto che non si è scelto un “uomo qualsiasi” per celebrare l'uomo qualunque, bensì si è scelto chi più, meglio di altri, potesse incarnare il “super-normale”. (ma anche l'uomo dei mass media, che ha coinvolto milioni di persone). - Lo Stato etico Una delle altre funzioni dei funerali di Stato è quella di ridefinire i rapporti fra la democrazia del Paese. Questo accadde soprattutto con il manifestarsi di stragi per mano mafiosa. | funerali di Stato divennero dunque luoghi di partecipazione e di confronto, luoghi in lui la parola si fece indocile, in cui familiari e amici delle vittime si fanno “imprenditori morali di giustizia e verità”, attraverso il rifiuto stesso delle esequie (Moro e Borsellino*), o l’uso della parola nei confronti di uno Stato che è chiamato a rispondere dei suoi comportamenti (es. Rosaria Costa - moglie di dell'agente di scorta di Giovanni Falcone, Vito Schifani, disse: “chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia” — parola che si impressero in modo indelebile nella società, “a mafia è tra loro”, disse). La parola dunque ha come scopo operare una contro-memoria, che non vuole cedere alla versione ufficiale, cui scopo è solo farsi storia. La moglie di Borsellino rifiuta i funerali di Stato in quanto accusa quest'ultimo di Non aver saputo proteggere suo marito. Il rifiuto vuole simbolicamente segnare un'inadeguatezza, un'indegnità, un’insufficienza dello Stato. Sottolineare il perenne scarto fra Stato ideale e Stato reale. Optando per una cerimonia privata dalla quale - Figure d'Italia A costituire il fondamento dei Funerali di Stato è proprio questa tensione etica: la condizione per la concessione delle esequie di Stato è che si sia prodotto uno 16 sforzo superiore che abbia avuto un riscontro positivo sulla nazione. Ad avere diritto alle esequie di Stato sono le più alte cariche dello Stato stesso, ma con l'art. 2, il Governo ha la possibilità tribuirli a personalità che abbiano reso “particolari servizi alla Patria, che siano italiani o stranieri, che sia nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, ecc”. Tali formule però sono volutamente generiche per lasciare ampio margine di discrezionalità al Governo. Tra queste personalità vi sono anche cittadini italiani o stranieri caduti nell'adempimento del dovere, o deceduti in conseguenza di azioni terroristiche o di criminalità organizzata, inclusi i magistrati impegnati nel contrasto delle criminalità organizzate (caduti per l'esercizio delle proprie funzioni + mettendo in luce la necessità di un “di più” rispetto al compimento del proprio dovere). Per la prima volta però appare lo stato di “vittima non designata” come individuo a cui tribuire i funerali di Stato, vi è il riconoscimento legale della figura di un “eroe passivo”, figura simbolica che trova fondamento in un riconoscimento di uno stato di tensione tra il cittadino e lo Stato, che “poteva fare di più”. Un'altra figura non formalmente tipizzata, determinata negli anni, è la vittima di eventi o catastrofi naturali, o vittima incidentale (es. le vittime del terremoto in Abbruzzo, o i dodici studenti morti per un areo militare precipitato su una scuola, ecc). Lo Stato così cerca di “gestire” le emozioni della popolazione sui drammi collettivi che hanno in quel momento “sconvolto” la società. Non si richiede dunque che questi individui abbiano fatto qualcosa per lo Stato, piuttosto è lo Stato a trovarsi nella posizione di non aver fatto il possibile per evitare la catastrofe, e adotta così quella che diventa “una prassi” in grado di produrre un'estensione vittimaria (quel funerale di Stato, per quella catastrofe, che fa da tributo a tutti i morti incidentali). Tuttavia, quando a Lampedusa (Ottobre 2013) affonda un barcone carico di persone migranti, dei quali furono rinvenuti 366 corpi, il presidente del Consiglio (Enrico Letta) annuncia, in conferenza-stampa, il lutto nazionale e i Funerali di Stato, ponendo però l'attenzione sulla grandezza della tragedia e sul riconoscimento di una colpa pubblica. Nei giorni a venire però, quelli che dovevano essere funerali di Stato, si trasformano prima in esequie solenni e poi in “sentita commemorazione”. Tale progressivo declassamento è infatti probabilmente dovuto ad un ristabilimento, da parte della legislazione italiana, dei privilegi per allo status di “vittima”. 17 conforme ai canoni estetici dominanti. Ma come lo fa? Attraverso un meccanismo di occultamento dei segni causati dalle modifiche apportate. L'obiettivo è infatti quello di fare “come se” il corpo fosse naturale, immutato, conforme per “natura” alle proporzioni e norme sociali, e non modificato culturalmente. Tant'è che molte persone che si sottopongono ad interventi di chirurgia estetica negano. Il meccanismo di razzizzazione infatti si base proprio su questo processo di haturalizzazione: sono gli stessi “belli” a riconoscersi uno stigma ed è a partire da loro che si creano i limiti dell'inclusione, e di conseguenza, dell'esclusione. Vedono se stessi come l'incarnazione del modello estetico e come la parte migliore della Società. Possiamo infatti definirlo un vero e proprio processo di “auto- razzizzazione”. 20 Terzo caso di studio: Dismissione degli ospedali giudiziari Prima di iniziare poniamo la differenza fra: Gli ospedali psichiatrici, anche detti “manicomi civili”, nascono in Italia ad inizio Ottocento e sono luoghi in cui vengono internate le persone con problemi mentali, pazzi, pericoloso per sé stessi o per gli altri, ma che non avevano commesso reati. Con la legge 180 del 1978 però, l’Italia sarà il primo paese al mondo ad aver sancito la chiusura dei manicomi civili (anche se ci vorranno 20 anni affinché questi vengano chiusi veramente). (Negli anni 70 infatti vi è un periodo di cambiamento fortemente emancipativo - es. chiusura scuole speciali, divorzio, aborto + trattamento soggetti interpretati prima in maniera negativa vengono ora incluse nella società propria). Questa legge non riguarderà l’altro polo degli ospedali psichiatrici, ovvero: Gli ospedali psichiatrici giudiziari, anche detti “manicomi criminali”, sono i luoghi in più è più evidente la costruzione della bestia. Questi nascono ufficialmente nel 1897 ad Aversa e si impiegò circa 25 anni per istituzionalizzarli totalmente. Questi si occupano di internare due tipologie di esseri umani: - Il Reo-folle + colui che è incapace di intendere e di volere e quindi pericoloso; - Il Rolle-reo > persona che dava segni di follia in carcere e che quindi veniva spostava nei manicomi. Questi vengono chiusi effettivamente solo nel 2015 dopo un lungo processo di dismissione degli ospedali giudiziari che analizzeremo a partire dalla legge che sancisce di sgomberare l'immobile (struttura dell'ospedale psichiatrico giudiziario - OPG), entro il febbraio 2013, cosicché la custodia, di coloro che vi sono all’interno, passi esclusivamente ad apposite strutture sanitarie. Come ho già detto però questo avverrà solo intorno al 2015. Ora, tutta l'argomentazione ruoterà intorno alla cosiddetta “strategia della lumaca”, ovvero: la lumaca, cioè i “folli”, lasciano davvero il guscio, il manicomio, o se ne costruisce un altro? Avviene uno spostamento della struttura fisica ma restano invariati i codici? con la dismissione degli OPG cambia il modo che la società ha: di trattare il “folle” e di intendere la concezione di “follia”? Quando inizia la commissione parlamentare di inchiesta ad interessarsi delle RP: Ufficialmente l'interesse si riscontra hel giugno 2010, quando questa inizia ad effettuare una serie di sopralluoghi a sorpresa nelle strutture. Il tema inizialmente non faceva, infatti, parte del programma d'inchiesta, ma venne sollecitata un'indagine nel 2009 da parte di un senatore, in fase di chiusura della seduta > anche se commise una serie di errori riguardo il numero di Opg in Italia (che erano 6 non 10) e sull'età minima degli internati (in quanto non vi erano adolescenti), il tema alla base della questione però era corretto: 21 Il tema degli Opg si eclissa per un anno e ritorna con i sopralluoghi della Commissione parlamentare d'inchiesta l’11 giugno 2010, in prossimità delle visite in Italia del 14 e 18 giugno del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura. L'esito del primo sopralluogo riporta: celle luride e affollate “al di là della soglia di tollerabilità", pazienti sotto l'evidente effetto di forti dosi di psicofarmaci con finalità sedative più che curative, senza contare lo stato indescrivibile dei servizi igienico- sanitari. Diviene quindi a tutti gli effetti un filone d'indagine della Commissione ed iniziano così i primi sequestri e sgomberi di reparti di Opg. Viene inoltre avviata una campagna di informazione e sensibilizzazione attraverso la realizzazione di un video che documenta i sopralluoghi nelle strutture. Qua Questo raggiunge un pubblico più ampio che porta all'insorgere di un “meccanismo vittimario” (umanizzazione delle vittime) con cui divenne proponibile l'emendamento del decreto “svuota carceri”. Tuttavia, il i I passa attraverso la matrice igienico-sanitaria: si interviene materialmente sui luoghi perché inadeguati dal punto di vista igienico e clinico-sanitario. L'intervento che definisce l'effettivo superamento degli Opg riguarda dunque la Struttura “carceraria” che viene ridimensionata a favore di strutture sanitarie, regionali e ridotte. Non è cambiata l'idea della follia ma si ci concentra sulle strutture e sul trattamento “disumano”. Il dubbio che permane è quindi sul fatto che la riforma tende a modificare le (sul “trattamento sociale della follia") e senza intaccare i codici culturali riguardanti la pericolosità sociale e le sue soglie. Il folle criminale incama infati la paura più estrema, la massima tappresentazione della “bestia”, come per esempio i kamikaze > la figura più assimilata alla follia poiché la società non riesce a concepire non tanto i motivi, ma la volontà di morire. E di conseguenza gli Opg iîn Italia erano l'estremo istituzionale, il grado più basso in una società gerarchizzata > era la sede , in cui erano ben visibili le alterità e attraverso cui la società attuava una “improprio”. Il loro internamento in delle specifiche strutture dava il via ad un processo di bestializzazione: gruppo di persone che veniva rinchiuso e dichiarato “incapace di intendere e di volere”, diventando così parte di un “improprio”, non possedeva neanche sé stesso, piuttosto era posseduto. La lumaca sta quindi lasciando vuoto il suo guscio 0 con lentezza Si sta spostando altrove? Beh, analizzando la dismissione degli Opg appare evidente che non ci sia [Non vi è una rinuncia sociale allo statuto di pericolosità della follia e non vi è una modificazione dello statuto del REO FOLLE (persona incapace di intendere e di volere, e 22 [Possiamo infatti dire che la società ha così costruito dei tipi umani, o meglio: un tipo, a cui è contrapposto per esclusione un anti-tipo. È infatti proprio l’Ottocento l'epoca per eccellenza della categorizzazione e tipizzazione dell'essere umano, operata: sugli “eccessi” > individuazione di tipi illegittimi come: criminali, anormali, delinquenti; l'esagerazione dei tratti culturali, esotici, fisici, ecc (positivismo criminologico); o sulla “costruzione dell’uomo medio” > un uomo considerato “nella norma” che si afferma sempre di più con il passaggio alla produzione di massa nel Novecento: avviando una standardizzazione del tipo.] Interi gruppi umani venivano costantemente posti sullo stesso piano di animali e piante. Lo stesso termine “zoo umano” rende bene l'idea di una “modalità di organizzazione dello spazio” che si realizza attraverso gabbie, recinti e palizzate, che separa l"“Altro” e lo “animalizza”; oltre che a ricondurre ad un'idea di “addomesticazione”. In realtà, sarebbe più appropriato parlare di “educazione”, solo che: non del “selvaggio” esposto, quanto piuttosto dello spettatore che impara così a riconoscere l'inferiorità di questa “parte d’umanità” e quindi di contro la superiorità dell'uomo europeo (una volta affermato l'uomo bianco come modello). L'aggravante è che, per di più, le condizioni di vita delle popolazioni esposte si presentano come: “disumane”. Non pochi furono infatti i casi di morte dovuta a tali condizioni, o di suicidi avvenuti durante le toumée (o ancora: di ritorno al loro paese d'origine). Vivevano e dormivano negli stessi luoghi in cui erano tenuti gli animali e i metodi di reclutamento talvolta consistevano in delle vere e proprie deportazioni. Le esposizioni rappresentarono, inoltre, la possibilità per la scienza di disporre di persone in carne e ossa da sottoporre a misurazioni che permettessero così di definire le tipologie umane su base gerarchizzante e razzista. Non poche furono infatti le teorie elaborate in quegli anni: sulla connessione fra livello estetico e livello psichico, bellezza e intelligenza; teorie secondo il quale la diversità di organizzazione celebrale era differente a seconda della forma del cranio, su cui si basavano le scoperte di “inferiorità morale e intellettuale” di alcune razze rispetto ad altre; ecc. Ritratti, fotografie (come quelle del fotografo Ronald Bonaparte) vennero impiegati per catalogare ed organizzare, in poco tempo, le popolazioni del mondo per etnie e quindi per caratteristiche fisiche. Oltre che per testimoniare l’azione civilizzatrice dei paesi europei. Le immagini furono infatti fondamentali nella costruzione del racconto di ciò che è stato il fenomeno degli zoo umani. Le tecniche espositive prevedevano inoltre la riproduzione su piccola scala di villaggi, abitazioni e paesaggi, da cui erano originari i gruppi umani esposti. Quest'ultimi dovevano poi dedicarsi alle loro occupazioni quotidiane, dinanzi agli 25 occhi degli spettatori, e a volte, ad alcuni orari della giornata, dovevano anche esibirsi in piccoli spettacoli. Il merito per la prima “esposizione esotica” del mondo “civilizzato” è attribuito a Hagenbeck, famoso proprietario di circhi in Europa. Questa avvenne nel 1874 e, in sostanza, mostrava, ad un pubblico pagante, un gruppo familiare di lapponi assieme a delle renne, all'interno di un giardino. Dal successo di questa esposizione ne seguirono poi molte altre: Parigi (1877), Amsterdam (1889), ecc. Momento particolarmente importante nella storia degli zoo umani è rappresentato dall'esposizione universale di Parigi del 1889, questa fu infatti la prima volta in cui un'esposizione non apparve più su piccola scala, con una riproduzione di villaggi o abitazioni, ma restituì invece l'illusione di visitare la “strada del Cairo”, con tutti i suoi habitat ricostruiti e con all’interno 225 egiziani che li popolavano. Ben 30 milioni di visitatori accorsero all'evento e dopo l'enorme successo riscosso le “strade del Cairo” vennero costruite nelle esposizioni di Chicago (1893), Anversa (1894) e Saint Louis (1904). Esempi: Uno dei casi più esemplare della storia degli zoo umani è quello della Venere ottentotta: una giovane donna proveniente dal Sud Africa che è stata condotta in Europa, nel 1810, dalla famiglia presso la quale era schiava. Essa fu esposta in fiere e spettacoli fra Londra e Parigi. Nello specifico, ciò che faceva di lei un'attrazione senza precedenti era il suo aspetto fisico, o meglio, la conformazione di due parti del suo corpo: le natiche, sporgenti e rialzate, e i genitali particolarmente sviluppati. La sua esibizione consisteva nell’apparire nuda con una catena al collo, o posta in una gabbia, ringhiare come un'animale feroce e camminare a quattro zampe. La donna morì giovane, dopo 5 anni di permanenza in Europa, per una malattia infiammatoria. Il suo corpo venne sezionato e analizzato ed alcune parti dei suoi resti furono esposti in un museo a Parigi sino al 2002, anno in cui il Parlamento francese acconsentì al rientro dei resti in Sud Africa. La fama della donna fu smisurata. Ricordiamo Ota Benga, un ragazzo pigmeo del Congo, esposto a Saint Louis nel 1904. Una delle caratteristiche più curiose era la forma a punta dei suoi denti, che faceva pensare fosse un cannibale, ma in realtà non lo era (affilare i denti era infatti una pratica molto diffusa in Congo). Ota Benga viene poi portato a New York nel 1906 e finisce in uno zoo nel Bronx, in cui veniva esposto nella gabbia delle scimmie e gli veniva chiesto di usare arco e frecce per sembrare più “selvaggio”. Quest'abuso viene descritto come uno scandalo dalla la stampa americana, dato che rappresenta tutto il contrario di quello che dovrebbe fare un paese civilizzato. Viene dunque raggiunto un accordo e Ota Benga viene mandato in un orfanotrofio grazie al quale riceve un'educazione cristiana e occidentale, impara a leggere e 26 scrivere e negli anni inizia anche lavorare, con la speranza di potersi, un giorno, integrare. Ma per un pigmeo del Congo è impossibile adattarsi nel paese del Ku Klux. Klan (organizzazione americana politica e terroristica dell'800, che promulgava la superiorità della razza bianca). Con lo scoppio della Prima guerra mondiale diventa impossibile per Ota Benga tornare in Congo e decide di togliersi la vita dopo 12 anni trascorsi in America. | suoi resti non furono mai reclamati. | casi riguardanti l’Italia, invece, si verificano nel periodo post-unitario (1870-80), ed in epoca fascista (1930-45). - Negli anni 70 e 80 dell'Ottocento ci furono circa una dozzina di esposizioni che riguardavano gruppi africani provenienti dalle colonie, il cui obiettivo era quello di promuovere l'espansione italiana e dimostrare una possibile pacifica convivenza con la nuova colonia. Tra queste: l'Esposizione Generale Italiana di Torino, dedicata al villaggio degli Assabesi, che dopo il successo riscosso venne allestito anche all'Esposizione nazionale di Palermo. Esse prevedevano la messa in mostra dello loro caratteristiche culturali e artistiche come: i costumi quotidiani e le abilità artigianali. -. Durante il periodo fascista invece, il regime aveva investito nell’avvenuta coloniale e per mettere a tacere coloro che lo criticavano sulla base del fatto che non portassero in Italia delle testimonianze tangibili delle conquiste, il fenomeno delle etno-esposizioni continuò. Nel corso del Novecento però, l'alterità iniziò ad essere mostrata come “normale” e più quotidiana e il selvaggio divenne ormai colonizzato ed “indigeno in via di civilizzazione”. Questa dinamica era a dimostrazione del fatto che perfino i popoli più arretrati potevano evolversi sotto la spinta civilizzatrice dell'Europa. Lo scoppio della Prima guerra mondiale segna una svolta nel modo di vedere i due mondi, nello “sguardo” rivolto ai popoli coloniali. Le grandi potenze di Francia ed Inghilterra infatti, scelsero per opportunismo di arruolare i loro popoli coloniali, considerati ormai civilizzati e utili, al contrario di Italia e Germania che invece rifiutano l'idea. Si vedono impiegati nella guerra oltre un milione di coloniali e quello che prima era considerato “selvaggio” si trasforma ora in un bravo combattente e lavoratore. Le esposizioni coloniali post belliche cambiano, non sono più incentrate a mostrare i “selvaggi” ma, mostrano i popoli in via di civilizzazione sotto il potere occidentale. Il sistema cambia ma, l’obiettivo rimane lo stesso: mostrare che in alto c'è il padrone bianco e in basso gli indigeni. La gerarchizzazione della razza continua. Un esempio è l'’Esposizione di Marsiglia del 1922, in cui l'indigeno viene mostrato in via di emancipazione, nella sua vita quotidiana, rappresentata come “allegra” e 27
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