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Esame Estetica del paesaggio e dell’ambiente, Dispense di Estetica

Riassunto dei libri di D’angelo e Modica per esame

Tipologia: Dispense

2022/2023
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Caricato il 29/12/2022

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Scarica Esame Estetica del paesaggio e dell’ambiente e più Dispense in PDF di Estetica solo su Docsity! ESTETICA Il 700 è stato un periodo significativo per diversi ambiti ma, specialmente, per l’estetica perché viene fatta una separazione tra un’estetica frammentaria, implicita, e una specifica, filosofica e moderna. Nel 700 viene usato per la prima volta anche il termine estetica, designando il territorio della fantasia, del genio, della sensibilità, del sentimento e di tutte le qualità secondarie, sensibili, delle cose. Questo è anche lo stesso territorio dell’arte, che comincia ad essere considerata legata alla bellezza, intesa come sensibilità. La cultura estetica riprende concetti della riflessione antica e rinascimentale sulle arti, per dare dei significati nuovi e diversi. Si afferma, così, l’idea di arte moderna, si comincia a parlare di belle arti e della loro organizzazione che le distingue da tutto ciò che ha a che fare con le scienze, i mestieri e ciò che non riguarda la bellezza e il piacere, ma il soddisfacimento dei bisogni materiali dell’uomo. L’idea settecentesca di arte come esperienza estetica del bello, non si ritrova nella cultura medievale, infatti la parola greca TECHNE e la parola latina ARS si riferivano ad una qualsiasi attività umana con fine produttivo, fatta con una certa abilità e sapere. Aristotele, ad esempio, deriva la techne come un’attività produttiva che si fonda sul sapere e sulle capacità, invece per Platone la techne era una qualsiasi attività produttrice che procede con metodo razionale. Per Aristotele, è una delle virtù intellettuali umane, insieme a sapienza e saggezza, ed è strettamente collegata alla conoscenza, infatti, l’artista, deve essere consapevole di ciò che produce. Tra rinascimento e barocco, il fatto che non si fosse ancora delimitata la cultura estetica, portò a mettere in rilievo il rapporto tra arti, specialmente quelle figurative, e la scienza. Verso il 400, infatti, nasce la figura dell’artista-scienziato, dal momento che si ritenevano più importanti l’invenzione e il progetto teorico, rispetto all’esecuzione manuale. È solo grazie a Leon Battista Alberti e a Leonardo da Vinci che si arriva a riconoscere nelle arti visive una base scientifica simile a quella delle arti liberali. Leon Battista Alberti, un importante architetto e scrittore umanista, con la sua opera permette la nascita della moderna teoria dell’arte. In lui è ancora presente l’idea tradizionale di arte come attività produttiva basata sul sapere ma diventa evidente il carattere scientifico di alcune arti. In una sua opera nasce l’immagine moderna di architetto, non più inteso come un maestro muratore, ma come un progettista. Parla della pittura che consiste in un’imitazione razionale della natura, sulla base del sapere scientifico e delle leggi che la governano. Nella pittura si ha, quindi, l’unione tra arte e scienza Leonardo Da Vinci vedeva l’arte figurativa come una scienza e l’artista come uno scienziato. Una delle più importanti trasformazioni che contribuiscono alla nascita della cultura estetica, è sicuramente il progresso delle scienze nella seconda metà del 600 grazie a figure come Galilei e Newton. La rivoluzione scientifica ebbe delle conseguenze anche nella riflessione sulle arti, ad esempio con il dibattito culturale delle Querelle des anciens et des modernes, una polemica letteraria che riguardava la superiorità delle lingue e letterature classiche rispetto a quelle moderne, che poi si estese a tutto il sapere in generale. Si arriva a riconoscere la superiorità dei moderni, dati i miglioramenti nelle scienze e nella tecnica. Tuttavia, nelle scienze questo progresso è dimostrabile ma non accade lo stesso per le arti perché la conoscenza delle regole non è sufficiente a garantire la validità dell’opera d’arte, altrimenti l’arte non sarebbe più bella ma meccanica. Nell’arte, infatti, entrano in gioco anche il gusto e il genio, ed è proprio quest’ultimo a dare la regola all’arte. Senza il genio, senza il talento naturale, non si può creare arte. Di conseguenza, si diffonde l’idea che le arti non possono partecipare al progresso tipico delle scienze. La Querelle mostra come tra 600 e 700 si comincia ad affermare la separazione tra arte e scienza e come l’arte comincia ad essere intesa come attività estetica, quindi il prodotto della libera soggettività e creatività del genio, a differenza delle antiche concezioni di techne e ars, che la consideravano come un’attività produttiva fondata sul sapere. Di arte in senso moderno si comincia a parlare intorno alla metà del 700, in particolare di arte come pratica sociale, data anche la nascita del museo e di altre istituzioni artistiche. Il museo è una pubblica raccolta di arte di tutti i tempi e luoghi. Nonostante esponga opere del passato, il museo annulla il carattere storico e sociale di queste. Nascono anche istituzioni rivolte a insegnare le tecniche della produzione artistica, ovvero le accademie di belle arti. Si definisce anche la figura dell’artista, un soggetto autonomo e geniale, che produce opere d’arte. Il percorso che porta alla nascita della moderna figura dell’artista inizia già nel 12° e 13° secolo, quando gli artisti cominciarono a firmare le loro opere per rivendicare la propria creatività e la paternità della sua opera d’arte. Dal 400, infatti, l’artista da semplice artigiano comincia a diventare un vero e proprio intellettuale, con una propria identità e le attività artistiche diventano libere attività culturali. Nel rinascimento l’artista diventa un genio, ovvero un uomo scosso dall’ispirazione, e con Michelangelo si delinea la figura di artista moderno, solitario, posseduto e ossessionato dalla sua idea, che è così potente da imporsi alla sua stessa volontà. Quest’immagine si basa sull’idea, già presente in Platone riferendosi ai poeti, che il genio, il talento, sia una forma di pazzia degli artisti. L’artista, quindi, ora è solitario e malinconico. Questo legame tra genio e melanconia si ha a partire dalla tradizione aristotelica, per poi essere ripresa dagli umanisti e neoplatonici, e l’umore melanconico divenne un dono divino perché solo la melanconia può generare entusiasmo creativo. Tuttavia, gli artisti sono dei geni solitari, infelici e disperati, nonostante le loro capacità creative uniche. Nascita e sviluppo dell’estetica Vi è un'idea diffusa di estetica come filosofia del bello o filosofia dell’arte. Nel ‘700 nasce l’estetica come disciplina, con lo scopo di dimostrare che l’estetica è anche filosofia dell’esperienza sensibile che riconosce un valore conoscitivo alla sensibilità *(l’esperienza sensibile era considerata un valore inferiore rispetto al pensiero intellettivo: tutto quello che era mentale era considerato superiore rispetto all’esperienza sensibile che è un esperienza corporea; solo nel settecento, viene riconosciuta l’importanza della sensibilità)*, ● L’esperienza estetica L’esperienza sensibile percettiva che mette in atto i nostri sensi (olfatto, udito, gusto, tatto, vista), ma anche le emozioni, i sentimenti e le passioni. Si occupa di argomenti non sempre riconducibili alla sfera razionale. La ragione ha dei limiti e io non potrò mai dare una definizione univoca di arte, sentimento o bello. ● L’arte Forme d’arte sono la fotografia, musica, pittura, letteratura, teatro, danza, scultura, scrittura. La tradizione ci dice che le forme d’arte per eccellenza sono le arti figurative, la fotografia e il cinema. 📌Arte figurativa: riguarda la rappresentazione di immagini riconoscibili del mondo intorno a noi, a volte molto accurate, a volte altamente distorte. Alcuni degli stili artistici sono essenzialmente figurativi come gli stili del rinascimento, barocco e del realismo. L’arte è fondamentalmente imitazione ma c’è anche una componente espressiva. Anche l’arte è difficile da definire, ma questo non vuol dire che noi dobbiamo rinunciare a una ricerca filosofica sull’arte, dobbiamo semplicemente ammettere che questa ricerca arriva fino ad un certo punto cioè ha dei limiti. Oltre al bello, altri due temi dell’estetica sono anche l’arte e l’esperienza sensibile affettiva. Altra questione che si collega a questa è il rapporto tra sensibilità e ragione perché, nella misura in cui nel 700 si recupera l’esperienza sensibile e il valore della dimensione corporea, ci si comincia ad interrogare sul rapporto tra esperienza estetica nella sua complessità e ragione per capire se c’è continuità o meno tra uomo sensibile e ragione, e se questa è distaccata dall’esperienza sensibile. Nel 700 con gli illuministi, ma anche oggi, si ritiene che non esista opposizione tra pensiero e corpo, sensi e ragione, perché non si possono opporre due parti dell’uomo altrimenti si ammetterebbe che quest’ultimo è dilaniato al suo interno. In tanti hanno provato ad affermare l’opposizione tra corpo e pensiero come Cartesio, che distingue la res cogitans, il pensiero, e la res extensa, il corpo. Per superare questo dualismo interno all’uomo, si ricorre all’estetica che vuole far dialogare queste due parti e offrire un’immagine unitaria dell’uomo in cui le parti possono anche non andare d’accordo, in cui bisogna trovare dei compromessi, però non sono contrapposte. Sensi e ragione possono, quindi, dialogare e non si può separare l’esperienza dall’intelletto. Bisognerebbe, ad esempio, anche tener conto del fatto che il nostro cervello, che ci consente di pensare, è un organo, quindi appartiene al corpo. A recuperare l’idea di continuità furono diversi. Ad esempio, Baumgarten disse che l’esperienza sensibile è fondamentale perché è la prima forma di conoscenza, a partire dalla quale si sviluppano tutte le altre. ● Baumgarten evidenzia anche l’importanza del sentimento, concentrandosi di più sull’esperienza sensibile percettiva, invece, ● Kant evidenzia l’importanza del sentimento, che è duraturo nel tempo e che viene nel tempo elaborato dall’uomo (al contrario dell’emozione che è momentanea), anche attraverso l’intelletto, diventando una specie di ponte tra il sentire e la ragione. Ne parla soprattutto nella Critica del Giudizio, definendolo come l’esperienza affettiva che sfocia nel giudizio di gusto. Quest’ultimo, secondo Kant, non è soggettivo ma ha una struttura universale e condivisa tra i soggetti, specialmente in determinate epoche in cui si condividono giudizi di gusto. Diversa dal sentimento è la passione, temuta in special modo dai greci. La passione può annebbiare la capacità di ragionare e questo aspetto irrazionale della sfera affettiva rischia di scontrarsi con la ragione, può assoggettare e schiavizzare l’uomo, e per questo gli antichi ne avevano paura. Nel 700 si è cercato di andare oltre questa visione, sostenendo che l’uomo può anche ragionare meglio se riesce a combinare sensibilità e razionalità, perché cerca in questo modo la sua unità. Questo è quello che cerca di dire anche Aristotele, sostenendo come attraverso l’arte noi possiamo mitigare le nostre emozioni, le nostre passioni, con la razionalità. Lui sosteneva anche che, però, deve sempre cercare di tenere a bada le emozioni. Batteux e il sistema delle belle arti Nella concezione unitaria di arte bella, fu fondamentale l’idea settecentesca del sistema delle belle arti discussa da Batteux, e questa poi ha portato alla nascita dell’estetica come specifica disciplina filosofica. La sua opera “Le belle arti ricondotte ad un unico principio”, è uno dei tentativi più importanti di sovrapporre arte e bellezza. Il titolo, ambizioso, richiama la volontà dell’autore di riprendere una tradizione che si era interrotta, ovvero, quella della riflessione filosofica sull’arte, mettendosi nei panni del filosofo che deve chiedersi qual è il principio costitutivo dell’arte che ce la fa distinguere dal resto. Questo significa individuare il principio, il fondamento che ci permette di dire dell’arte di essere tale. Lui si rivolge ad un pubblico molto vasto e riprende un principio individuato da Aristotele, ovvero l'imitazione o mimesis. Bateaux si considerava un rivoluzionario nella riflessione filosofica dell’arte perché era il primo a legare l’arte e il bello. L’espressione “belle arti” è stata inventata proprio da Bateaux perché per lui l’arte per essere bella deve imitare, rappresentare la realtà e la bellezza per far vedere ai fruitori delle opere degli aspetti del mondo. L’arte, a differenza della natura, nasce dal fare ed è un prodotto umano. Inoltre, imita prevalentemente la realtà umana, l’uomo, nei suoi diversi aspetti per comprenderlo meglio proprio attraverso l’imitazione. Bateaux sostiene che pur dovendo imitare la realtà, l’arte deve concentrarsi solo sugli aspetti più belli di questa, la “bella natura”. L’arte però, non è solo figurativa, quindi non tutta l’arte rappresenta la realtà, anche se questo è il suo obiettivo maggiore: infatti, anche quando non è realistica, si attiene al reale. Gli artisti, secondo Bateaux, per produrre “bella arte” devono rappresentare una realtà già bella di per sé, la “bella natura”, anche per migliorarla ulteriormente. Lui riprende il mito di Zeusi, un artista che voleva rappresentare la donna più bella in assoluto, la perfezione, secondo un ideale di bellezza femminile che in realtà non esiste: per questo Zeusi prende parti del corpo appartenenti a diverse donne per creare un corpo bellissimo, partendo dall’esperienza per arrivare all’ideale. L’artista può, quindi, presentarci anche una realtà idealizzata unendo elementi della realtà vera e propria, cogliendone solo gli aspetti più belli. L’artista deve lasciarsi guidare dal suo buon gusto che gli permette di cogliere il bello. Il gusto viene quindi considerato come una facoltà posseduta da tutti gli uomini, come dimostra anche la critica di Kant, che si rifà a Bateaux e a Baumgarten. Il fruitore dell’opera d’arte, invece, fa un’esperienza di piacere contemplativo, di godimento, ma questo non implica l’uso dell’opera d’arte, contrariamente a quella artigianale che ha uno scopo, quindi ha un rapporto di uso con il fruitore. Questa differenziazione tra arte e artigianato la ritroviamo anche in Kant, secondo il quale l’arte produce un sentimento di piacere, contemplativo, che io non provo in altri momenti della mia vita o con i prodotti dell’artigianato. Bateaux distingue tre classi di arti: ● MECCANICHE che soddisfano i bisogni e le necessità umane; ● ARCHITETTURA ED ELOQUENZA che hanno come fine l’utilità e il piacere; ● BELLE ARTI ovvero tutte le arti maggiori che hanno come scopo il piacere, quali la poesia, la musica, la pittura, la scultura e la danza. Queste devono produrre il bello, ecco perché si definiscono belle arti. Ogni arte bella imita e rappresenta la bella natura, quindi il principio comune è il fondamento comune di queste arti, che differiscono solo nei mezzi che usano per imitare. Le idee di Bateaux furono molto apprezzate. Anche altre figure contribuirono al formarsi dei temi della moderna cultura estetica, come Baumgarten nella sua “Estetica” o Kant nella “Critica del Giudizio”: è proprio con queste due figure che si apre un nuovo capitolo della cultura estetica. In sintesi, Charles Batteux: ● Pubblica Le belle arti ricondotte a un unico principio nel 1746; ● Il principio unico è l’imitazione (mimesis): l’arte rappresenta la realtà; ● Le arti, distinte dall’artigianato sono: pittura, scultura, musica, poesia, danza; ● Le arti sono belle se rappresentano la bellezza; ● Da un punto di vista produttivo, l’artista prima coglie il bello attraverso l’esercizio del buon gusto, nell’esperienza, poi la rappresenta applicando delle regole: si rappresenta la realtà per renderla bella togliendo il brutto. ● Da un punto di vista fruitivo: l’oggetto bello viene fruito indipendentemente dall’uso. L’atteggiamento è contemplativo, di distacco: il fruitore deve vedere l’arte e dire che è bella. 📌Critica del Giudizio di Kant: Con Kant l’estetica nasce come disciplina filosofica. Nella sua Critica del giudizio, tuttavia, si superano i limiti di un'estetica intesa come parte specifica della filosofia a favore di una visione dell’estetica come principio del giudizio di gusto. Inoltre, sia l’estetica sia la filosofia ripetono sulle condizioni che rendono possibili esperienze e conoscenze determinate. Nonostante Kant è il fondatore dell’estetica come disciplina filosofica, lui non ricerca un tratto comune alle attività artistiche perché non sempre ciò che appartiene al territorio delle belle arti è tale e non si potranno mai individuare le caratteristiche comuni a tutte le attività artistiche per differenziarla da ciò che non è arte. Nella riflessione estetica, quindi, non conta l’esperienza artistico-estetica perché l’arte non può essere l’oggetto specifico della disciplina. L’arte, però, ha una sua esemplarità. Baumgarten e la nascita dell’estetica teologia e ad esempio l’antico testamento si pensava che fosse stato scritto dai profeti che erano dei poeti che corrispondevano all’idea di poeta di Platone. Poi invece quando si inizia a diffondere la poesia Aristotele piano piano la sua poesia viene considerata un frutto del fare umano. 📍Gnosologia inferiore : Baumgarten, si inserisce all’interno del razionalismo moderno che era nato con Cartesio; nel corso degli anni prende le distanze ma rimane di Cartesio il fatto che la filosofia è principalmente gnoseologia, ovvero lo studio della conoscenza. Baumgarten, che si muove in questa corrente di pensiero, dice che la sensibilità è una forma di conoscenza. Quando dice inferiore intende quella teoria della conoscenza che va a recuperare la base della conoscenza, cioè la sensazione, la sensibilità. Per inferiore non dobbiamo intendere un giudizio di valore ma si tratta solo dell’indicazione della basilarità della conoscenza sensibile. Inferiore è ciò che sta al gradino più basso, nel senso che fonda tutto quello che viene dopo. Ciò che sta in basso è fondamentale per reggere tutto quello che viene dopo. 📌Arte del pensare in modo bello : Baumgarten riprende qui la definizione di retorica. Con la retorica dobbiamo avere piacere nel sentire la persona. Baumgarten vuole dire, riprendendo sempre Aristotele, che il linguaggio che noi utilizziamo in generale è espressione del pensiero, quindi parte da questa correlazione tra linguaggio e pensiero. Con arte del pensare in modo bello richiama alla nostra mente l’insegnamento di Aristotele, secondo cui ogni figura retorica è espressione di contenuti di pensiero. La metafora, ad esempio, può essere espressione linguistica verbale di una certa rappresentazione mentale (esempio di metafora= Achille è come un leone cioè si da ad Achille le stesse caratteristiche che ha il leone). Noi possiamo utilizziamo il linguaggio per esprimere diversi contenuti di pensiero. Quando parliamo di retorica, parliamo di una disciplina che è sempre stata associata alla poetica perché sia il discorso retorico sia quello poetico utilizzano delle figure; vuol dire che l’estetica che sta fondando Baumgarten è una disciplina filosofica che riprende la tradizione retorica, e lo fa soprattutto pensando alla retorica come studio delle figure di linguaggio e sono quelle che utilizza anche il poeta. L’estetica, quindi, riprende lo studio delle figure di linguaggio in particolare della metafora perché la metafora è in grado di esprimere un certo contenuto di pensiero e dunque una certa forma della conoscenza che è quella sensibile. Per trasmettere dei contenuti dobbiamo sapere di utilizzare bene le parole. Quindi, il pensiero bello è il pensiero che esprimiamo attraverso le figure retoriche in particolare la metafora. Non c’è un pensiero brutto. Si tratta solo della correlazione tra pensiero e linguaggio. 📌Arte dell’analogo della ragione : Baumgarten ci dice che possiamo individuare una facoltà mentale che è molto simile alla ragione, questa facoltà è l'immaginazione. Immaginazione e ragione sono delle facoltà simili, si muovono insieme nella conoscenza, entrambe vogliono esprimere dei contenuti di conoscenza. Si associa il lavoro del poeta a un lavoro mentale di tipo fantasioso, l ‘immaginazione è molto sollecitata nel lavoro dell’artista. Baumgarten riprende Aristotele anche qui dicendo che far lavorare la ragione e l’immaginazione non è poi così diverso, perché tra di loro c’è un’analogia strutturale. Tutto ciò che è razionale per noi, viene associato alla logica, all’ordine, alla chiarezza. La persona razionale è ad esempio la persona che si dà delle regole e che le segue, che ha dei principi e li rispetta. La ragione è quella capacità della nostra mente che ci permette di mettere ordine. Secondo Baumgarten la facoltà che noi chiamiamo immaginazione o fantasia presenta un elemento di analogia con la ragione che è quella che anche l’immaginazione procede per delle messe in ordine, cioè anche l’immaginazione è un modo di ordinare. L’immaginazione è un modo di fare ordine diverso che rimane molto legato alla concretezza dell’esperienza. Mentre la ragione procede per astrazione e per analisi, l’immaginazione procede per sintesi. Secondo Baumgarten è necessario capire l’importanza dell’immaginazione come capacità di proiettare nella nostra mente delle immagini. L’estetica secondo lui si deve occupare anche di immaginazione. L’immaginazione non può essere contrapposta alla ragione questo dobbiamo ricordarlo. Quindi, l’analogia viene ritrovata nella capacità che hanno entrambe di creare degli ordini, di ordinare in modo diverso (la ragione appunto procede per analisi, l’immaginazione procede per sintesi). Sono due modi di utilizzare il nostro pensiero molto diversi, ma non sono diversi. ESTETICA E PAESAGGIO Il paesaggio è alla portata di tutti, è bello e tutti possono apprezzarlo, infatti oggi è sempre più diffusa la sensibilità paesaggistica grazie al turismo. Nell’epoca postmoderna, il paesaggio è il prodotto di un’elaborazione, cioè la natura percepita attraverso una cultura. Per vedere il paesaggio c’è bisogno di una riflessione, una teoria. Il paesaggio è diventato oggetto di riflessione da parte di più discipline, collocandosi tra i confini di esse senza appartenere a nessuna. Anche l’estetica ha riflettuto sulla nozione di paesaggio; si intende sottolineare che nella percezione di un paesaggio noi compiamo un’esperienza di natura diversa da quella conoscitiva o sensoriale (un’esperienza che organizza quel che vediamo sulla base di componenti immaginative, emotive, memoriali e identificative) rivelandosi attraverso una soddisfazione o un’insoddisfazione che mette capo al riconoscimento del valore di ciò che vediamo. 📌PAESAGGIO E PITTURA L’etimologia del termine “paesaggio” è diversa nelle lingue germaniche e in quelle neolatine. Nelle lingue germaniche il termine sta a indicare una “porzione di territorio”, “regione o parte di regione”. Nelle lingue neolatine, i termini che significano “paesaggio” sono tutti neologismi, per indicare non il paesaggio reale, ma la sua rappresentazione: il dipinto di paesaggio. Il termine paesaggio sta ad indicare un genere di pittura e i suoi prodotti dove le parole moderne l’hanno tradotto in “estensione reale di territorio abitato”. L’origine pittorica del termine “paesaggio” ha fatto sì che per lungo tempo il paesaggio reale sia stato percepito e concettualizzato come la proiezione sulla natura di quello che la pittura ci ha insegnato a vedere. Possiamo, quindi, dire che è come se l’arte creasse il paesaggio per guidare, attraverso la sua rappresentazione artistica, la percezione del paesaggio reale. Questo, però, ha portato a pensare che l’unico modo di guardare esteticamente al paesaggio sia considerandolo come un quadro ma, in realtà, questo non è vero. 📌PAESAGGIO E AMBIENTE L’ambiente si può apprezzare in tanti modi e anche come paesaggio, considerandolo come uno scenario, dando importanza alle qualità visive. Così facendo, però, si rischia di non entrare in contatto con ciò che ci circonda con tutti i nostri sensi e non si considera l’ambiente come qualcosa di naturale ma più come un’opera d’arte. Mentre con le opere d’arte sappiamo cosa apprezzare perché siamo guidati dalle conoscenze dateci dalla storia dell’arte, per la natura è la scienza a guidarci per non farci soffermare solo sulle caratteristiche sensibili. Questo, tuttavia, va però a prediligere la conoscenza rispetto alla percezione della natura. Le categorie scientifiche, infatti, non bastano da sole a spiegare il rapporto estetico tra uomo e natura, perché parlando solo di ambiente si andrebbe ad escludere il paesaggio. Per un po’ di tempo, tuttavia, la riduzione del paesaggio ad ambiente è stata data dalla voga del pensiero ecologico, tanto da prendere il posto della parola paesaggio in diversi ambiti, specialmente nella legislazione paesaggistica. Oggi i termini paesaggio e ambiente non vengono sovrapposti perché si tende a considerare il paesaggio come qualcosa che ha a che fare con la percezione del soggetto, e l’ambiente è considerato un concetto fisico, biologico, oggettivo. > Carlson 📌PAESAGGIO E STORIA La riduzione del paesaggio all’ambiente è stata fatta specialmente da studiosi del Nuovo Mondo, infatti, loro intrattengono un rapporto diverso con la natura rispetto agli abitanti del Vecchio Mondo. L’amore per il paesaggio è presente in modi ed epoche diversi tra le varie culture. Infatti, mentre in America la sensibilità per la natura è rivolta ai suoi aspetti fisici, biologici e selvaggi, in Europa la sensibilità per la natura è rivolta all’amore per la sua bellezza a livello culturale e storico. Il paesaggio, infatti, è culturale perché cambia continuamente grazie alla manodopera che l’uomo ha compiuto nei secoli per addomesticare la natura, modificando anche il modo di percepire il paesaggio. Il paesaggio ha, quindi, una temporalità, dal momento che si uniscono l’ordine temporale lento e ciclico della natura, e quello della storia umana. Questa dimensione storica è evidente anche nel concetto di giardino (Ferriolo) dato che in ogni epoca se ne ha un modello differente a seconda dell’ideale di paesaggio di una determinata civiltà. Il paesaggio è storico non solo perché riflette i segni della presenza umana, ma anche perché è sempre visto con gli occhi dell’osservatore che predilige alcuni aspetti a discapito di altri. 📌PAESAGGIO E MODERNITA’ Mentre nel passato si guardava alla natura nella sua totalità e ordine secondo le regole della filosofia-scienza antica, in epoca moderna la scienza-tecnica preferisce trasformare e manipolare la natura. Per gli antichi non c’era paesaggio (Berque) data la visione unitaria del cosmo, quindi il termine è legato alla modernità perché la natura viene avvertita come qualcosa di estraneo alla realtà, anche se sia nel considerarla nella sua totalità sia nella sua estraneità si perde l’aspetto sensibile di essa. RITTER Fu il primo che mise a punto il modello del paesaggio romantico. Scrive nel 1963 un saggio dal titolo “Paesaggio: La funzione dell’estetica nella società moderna” in cui si chiede: “quando e come è nato il paesaggio in quanto «contemplazione disinteressata della natura»?” Per Ritter, il paesaggio è un prodotto culturale nato in età moderna, periodo in cui l’uomo rivendica la propria dignità nei confronti della natura, vuole esercitare un potere su di essa, in cui l’uomo non è più soggetto passivo ma vuole diventare soggetto attivo, inizia a studiarla con metodo scientifico anche con un fine di manipolazione pratica e per prevedere i fenomeni naturali, specialmente grazie a scienze come la fisica, l’astronomia La natura viene reificata, oggettificata, controllata, dominata attraverso la scienza e la tecnica. La tecnica è la produzione di strumenti che ci permettono di rapportarci alla natura per lavorarla in modo più produttivo e meno faticoso, come ad esempio le varie macchine. Quest’idea della natura da sfruttare per raggiungere il benessere nasce quando l’uomo cerca di differenziarsi dalla natura, ed è il primo passaggio importante che porta ad una separazione progressiva perché la natura diventa un oggetto da controllare, dominare, sfruttare: una reificazione, quindi la riduzione a “cosa”, della quale non si riconosce più una dignità, che si perde man mano che va affermandosi la dignità dell’uomo. Il paesaggio, secondo Ritter, nasce quando la natura viene reificata, quindi diventa “altro” rispetto a me, da studiare, dominare, controllare e sfruttare: l’idea non è dell’uomo in mezzo alla natura in quanto essere naturale, ma dell’uomo di fronte alla natura, che avverte la necessità di recuperare il legame che lo teneva unito ad essa, dal momento che l’uomo è soggetto e la natura è oggetto, a volte rivale, e si crea una discontinuità. L’uomo, specialmente di cultura/intellettuale, non si sente più parte della natura nella modernità, vede la città come un carcere perché è andato oltre il rapporto primigenio con la natura, e cerca di ristabilire il rapporto attraverso la contemplazione del paesaggio, uscendo all’aperto, nella campagna, perché è un’esperienza che genera piacere: attraverso il paesaggio si ha una compensazione perché l’uomo nella natura recupera la sua illimitatezza e potenza, dopo che si è verificato l’allontanamento tra lui e la natura. Quest’ultima quindi si trasforma e, all’occhio dell’intellettuale non è più reificata o da dominare, ma è da contemplare e da godere in modo disinteressato: è proprio da questa contemplazione che la natura diventa paesaggio. Il paesaggio è un’invenzione culturale che permette all’uomo moderno di recuperare un rapporto con la natura che non sia di mera reificazione o di mero sfruttamento. Attraverso l’osservazione ci si avvicina anche ad un approccio qualitativo della natura, un approccio sperimentale che va oltre quello quantitativo per descrivere ciò che l’uomo percepisce della natura. Questo avviene attraverso una relazione di tipo estetico perché la contemplazione è un rapporto di tipo estetico verso la natura. Il sentimento di piacere è molto legato al recupero di qualche cosa che si è perso, quindi se di fronte ad un paesaggio si prova piacere allora si sta riallacciando il rapporto con la natura che si trasforma, quindi, in modo estetico. La contemplazione estetica della natura è una forma di compensazione di ciò che si è persi attraverso la sua matematizzazione Nel suo saggio Ritter fa anche riferimento a Petrarca, che era rimasto turbato dalla salita sul monte Ventoso e che decise di salirlo solo per il desiderio di osservare lo spettacolo grandioso che si poteva scorgere dalla cima del monte. Questa lettera di Petrarca, secondo Ritter, è la prima testimonianza di un intellettuale che racconta della montagna in modo positivo, del paesaggio come spettacolo di cui godere, infatti, pur rimanendo turbato voleva abbracciare la natura dall’alto con lo sguardo, nonostante per farlo abbia dovuto fare un tragitto rischioso, infatti, gli abitanti cercarono di dissuaderlo. 1^ PARTE: L’ASCESA DI PETRARCA AL MONTE VENTOSO. Petrarca vuole salire il monte ventoso per vederne le appendici. Petrarca incontra un pastore che cerca di dissuadere i fratelli dall’intento, dicendo che anche lui anni prima aveva provato, ma che non aveva riportato che delusione e fatica. Arrivato in cima, petrarca paragona questa impresa a quella per raggiungere il divino, dicendo che la strada è comunque in salita e tortuosa. Questo avviene dopo aver aperto a caso una pagina delle “confessioni” di sant’agostino dove la fatalità ammoniva il comportamento di chi intraprendeva opere di scalate di montagne o visite ai mari e gli oceani poiché questo comportava il dimenticarsi di sé. Petrarca si sente in colpa per il gesto da lui fatto ma Petrarca intraprende quest’opera trascendendo qualsiasi fine pratico, spinto solo dalla volontà di guardare una volta arrivato in cima e partecipare alla totalità della natura e di dio grazie alla contemplazione (teoria del cosmo). 2^ PARTE: CIÒ CHE L’UOMO AVVERTE E CIÒ CHE L’UOMO SA. Il paesaggio è per Ritter solo di chi lo cerca. Non può essere né dei pastori, né di chi è alla ricerca del petrolio, ovvero non è alla mercé di chi vede in lui uno scopo utilitaristico. L’uomo è dunque colpito spesso dei suoi dettagli, dai suoi fenomeni, ma il suo scopo è quello di recuperare un senso unitario della natura, un senso totale. Ma per operare questo discernimento occorre che alla base vi sia una volontà che sia estetica, una visione del mondo, un piacere. Parla a questo punto della divisione dello sguardo sulla natura da parte dell’estetica e della scienza moderna che vedono la separazione delle senza qualitativa e fisico biologica della natura. Dunque non c’è da meravigliarsi che la nascita delle scienze moderne dell’estetica paesaggistica siano di fatto contemporanee. Perdendo la sua funzione la scienza antica del cosmo, quella contemplativa della natura, sono queste due discipline ad ereditare quei due approcci alla natura che sono dunque scissi. Si perde la scienza contemplativa, la teoria del cosmo, ma viene compensata dalla bipartizione degli approcci nelle due discipline. Prevale dunque un approccio che non è scientifico-astronomico, bensì estetico-soggettivo, categoria fondamentale per interpretare qualità naturali di cui le scienze moderne non si curano più. 3^ PARTE L’uomo è spesso portato a considerare arte e poesie come due ambiti separati dal resto. Ma la poesia e l’arte riproducono l’estetica della natura di cui la scienza moderna non più si cura. Questo concetto viene espresso da Schiller ne La Passeggiata, In questa poesia, Ritter ritrova tutti gli elementi della natura come paesaggio: il viandante esce di casa e che fuggiasco dall’ambiente carcerario urbano, incontra allegro la natura, simbolo di libertà. Il viandante è estraneo alla vita delle genti della campagna, solo per chi esce-fuori la natura può diventare paesaggio. La poesia che si apre con l’elogio della campagna non deve fraintendere il lettore che sarebbe tratto d’inganno nell'interpretare come l’elogio agreste, la città è celebrata allo stesso modo. La libertà si sviluppa proprio grazie a questo legame tra dentro e fuori, tra città e campagna. La città è già il risultato di una prima separazione con la natura, che di fatto l’uomo ricercherà sempre. Il punto è di cercare di colmare quel rapporto interrotto con la natura. SIMMEL Simmel è stato un filosofo tedesco che si è approcciato a temi di estetica sia attraverso l’arte sia attraverso altri temi ai confini dell'estetica, ad esempio, fu il primo a parlare di moda. Il suo metodo è stato definito impressionismo filosofico, e questo lo rende un Monet della filosofia. Nel suo saggio Filosofia del Paesaggio (1913), si chiede come il paesaggio si differenzia dalla natura. ● La NATURA è la totalità degli esseri viventi, quindi è varia ma anche infinita. ● Il PAESAGGIO è una porzione di natura delimitata con un atto soggettivo e sensoriale, ovvero ciò che noi abbracciamo con il nostro sguardo, e non basta che ci sia natura affinché ci sia paesaggio perché per quest’ultimo è necessario un principio di unificazione dal momento che è venuta a mancare l’adesione spontanea alla totalità naturale. Questa porzione di natura è a sua volta un’unità di parti, ordinata e non semplicemente sommatoria. A tenere insieme le parti è l’esperienza affettiva, emotiva che fa il soggetto della natura oltre l’esperienza sensibile-percettiva. Quest’esperienza affettiva viene chiamata Stimmung, ovvero una tonalità affettiva, sentimentale: anche Heidegger, come Simmel riteneva che la Stimmung fosse un'esperienza che si fa nello spazio, al quale ci si relaziona attraverso le Stimmung, ovvero emozioni e sentimenti. Lo Stimmung è quindi un accordo sentimentale, una sintonia con ciò che vedo e gli elementi del paesaggio che, attraverso il mio sentire affettivo, mi sembrano stare in accordo tra loro. Altra traduzione di Stimmung è “atmosfera” perché questa tonalità emotiva è come se fosse qualcosa che aleggia intorno al paesaggio che percepiamo. La Stimmung, quindi, è come se fosse sia oggettiva che soggettiva perché si percepisce nello spazio ma, al tempo stesso, la percepisce il soggetto: il sentimento diventa un principio unificatore, è come se fosse un rapporto di accordo e consonanza tra le parti che percepiamo del paesaggio e che le tiene insieme. La Stimmung, quindi, implica sia un soggetto di esperienza sia un sentimento che attraversa il paesaggio stesso. Nell’esperienza e nella formazione del paesaggio la Stimmung è principio unificatore nel senso che crea di un insieme di parti, un'unità, individuando un rapporto, un legame tra le Inizia quindi ad analizzare l’analogia tra categorie scientifiche e artistiche, dicendo che quelle scientifiche non permetterebbero a chi non ha quelle dovute conoscenze di godere della natura. Brady gli contesta che in questo modo non si capisca più cosa renda estetico il nostro apprezzamento della natura e lo differenzi proprio da quell’atteggiamento conoscitivo che è tipico dello scienziato. Si ha dunque bisogno di un approccio più flessibile e libero di quello che forniscono le scienze naturali. Un approccio che legittimi percezione e immaginazione. Brady inoltre non usa mai il termine paesaggio preferendo parlare di bellezza naturale o di apprezzamento estetico della natura. Inoltre Brady cerca di farsi promotore della recupero di ciò che chiama un’estetica integrata aperta a recuperare aspetti percettivi, Immaginativi, e affettivi ed emotivi della nostra esperienza nella natura, in modo da poter arrivare ad un’esperienza della natura completa. Altra critica che Brady muove alla teoria di Carlson è la seguente: se l’estetica necessita della scienza, come si può parlare in realtà di estetica? Si chiede se la scienza sia assolutamente necessaria e sufficiente per apprezzare la natura, l’esempio che pone è: apprezzare la curva dell’onda che si infrange sulla spiaggia anche senza sapere come si determini un’onda. Giudicare l’onda emozionante può dipendere anche semplicemente da delle categorie percettive. Brady afferma che in alcuni casi la conoscenza scientifica potrà anche ampliare l’apprezzamento estetico, ma che non sia in alcun modo né necessaria né tantomeno indispensabile. Altra critica: ciò che spinge Carson ad allegare apprezzamento estetico a categorie scientifiche è segnato da una necessità di rendere oggettivo l’apprezzamento estetico. Questo comporterebbe una maggiore semplicità da parte degli ambientalisti di operare scelte ecologiche sul territorio. Ma così la categoria estetica e quella scientifica si fondono. Il valore ecologico è giudicato come opportuno, mentre quello estetico come troppo soggettivo e difficile da sostenere. Secondo Brady, nel momento in cui si apprezza la natura non c’è solo in gioco l’intelletto ma anche altre facoltà mentali, come l’immaginazione sulla quale la Brady si concentra. Per apprezzare c’è bisogno di immaginare e non solo dell’intelletto. Per Brady la storia naturale andrebbe apprezzata come la storia dell’arte, nella quale l’apprezzamento è guidato innanzitutto dalle qualità percettive dell’oggetto. La percezione, inoltre, è integrata e ampliata grazie all’immaginazione. Secondo lei, l’immaginazione deve sempre collegarsi all’esperienza sensibile-percettiva che l’uomo fa dell’ambiente circostante, quindi si attiva a contatto con i fenomeni naturali. Quindi senza esperienza non c’è immaginazione. La nostra immaginazione lavora in modo diverso affinché noi possiamo esercitare la nostra facoltà immaginativa e lei individua diverse forme dell’immaginazione che vanno da un rapporto stretto ad uno meno stretto con la percezione. 1. IMMAGINAZIONE ESPLORATIVA: è la più aderente all’esperienza, alla percezione, perché collega ciò che il soggetto vede ad un’immagine per analogia, per somiglianza, cambiando il modo in cui il soggetto vede le cose per conoscere meglio, come avviene con la metafora, per arrivare ad una libera contemplazione dell’oggetto. 2. IMMAGINAZIONE PROIETTIVA: in cui si proiettano immagini di figure per vedere e conoscere meglio un oggetto della realtà. L’immaginazione proiettiva è associata con l’intenzionalità di quando vediamo qualcosa come qualcos’altro, per sperimentare nuove prospettive delle cose, proiettando su esse delle immagini. 3. IMMAGINAZIONE AMPLIFICANTE: che prende le distanze dalla percezione, pur partendo da essa, costruendo una sorta di racconto, di narrazione, intorno alla cosa percepita, aggiungendo ad essa tanti particolari e amplia ciò che si percepisce. Implica, quindi, le capacità inventive dell’immaginazione senza necessariamente ricorrere a immagini. L’immaginazione, in questo caso, è nella sua modalità più attiva dell’esperienza estetica e permette di approfondire ciò che vediamo. A volte, l’immaginazione amplificante ammette anche una modalità non visualizzante che ci permette di apprezzare esteticamente un oggetto con nuove modalità. 4. IMMAGINAZIONE RIVELATRICE: è la più lontana dall’esperienza con la quale si scopre attraverso l’esercizio dell’immaginazione una verità della natura, il suo essere stesso e la sua potenza e grandiosità maggiori rispetto all’uomo. Per apprezzare un ambiente naturale occorre dunque fare una esperienza estetica, sensibile e affettiva, ma anche immaginare. Il limite della Brady lo pone lei stessa, domandandosi fino a che punto l’immaginazione possa essere la base dell’apprezzamento estetico. È possibile che le immagini banalizzano gli oggetti estetici, il rischio è che se si lascia libera, l’immaginazione può corrompere l’estetica dell’oggetto per fini egoistici. Per evitare i suddetti problemi, Brady propone il disinteresse. L’approccio disinteressato propone un apprezzamento estetico non finalizzato all’utile e al pratico. Conclude sottolineando come il metodo alternativo da lei proposto sia più legato all’estetica rispetto a quello scientifico attraverso proprio le categorie del disinteresse, della percezione e dell’immaginazione. APPLETON Il nostro modo di vivere e agire nel mondo dipende dalla nostra storia evolutiva, cioè può essere spiegato con lo studio dei comportamenti animali, in particolari quelli più affini alla nostra scala evolutiva, fino all’affermazione dell’homo sapiens. L’estetica non è rimasta estranea a questi processi di naturalizzazione: la bellezza non è un atteggiamento solo umano, ma è legata alla nostra storia, condizionata dalla filogenesi (storia della nostra specie). 📌UNIVERSALI ESTETICI: tratti del nostro comportamento che sono riscontrabili presso tutte le popolazioni e in tutte le epoche. La cultura si costruisce sulla natura, sull'interazione uomo-ambiente che risale a epoche lontanissime. 📌Patrimonio genetico è la nostra memoria intrinseca, cioè memoria della specie e che può spiegare le nostre preferenze in materia di arte e paesaggio. Jay Appleton sostiene che il nostro apprezzamento della natura è determinato dalla nostra storia evolutiva e sviluppa due teorie: ● HABITAT THEORY: la relazione che lega l’uomo al proprio ambiente non può essere diversa da quella che lega ogni animale al suo habitat. (l’habitat è l’ambiente in cui gli animali vivono e sviluppano dei comportamenti). Quindi quel che ci fa apprezzare il paesaggio e ce lo fa trovare bello è la presenza di elementi a noi necessari per es l’acqua o la vegetazione. Questa teoria è stata argomentata anche dal fondatore della sociobiologia Edward Wilson: amiamo le forme viventi, le piante e gli animali, e di conseguenza i paesaggi che sono in grado di ospitarli, perché sono necessari alla nostra vita. ● PROSPECT-REFUGE THEORY: poiché i nostri antenati hanno vissuto per un lunghissimo tempo nelle savane africane come cacciatori-raccoglitori, essi hanno sviluppato una particolare sensibilità per quegli ambienti naturali che da un lato permettono la possibilità di osservare ampi territorio per poter localizzare possibili prede, dall’altro consentono anche una via di fuga nel caso di attacchi da animali feroci. Quello che ci piace è quello che in passato ci faceva vivere bene, sopravvivere e continuare la progressione della specie. BRANO Siamo nati con la capacità di sentire fame e, se non già con dei desideri sessuali, almeno con dei meccanismi che assicurano alla maggior parte di noi di acquistarli con il tempo. Proviamo il desiderio di bere, ci viene sonno, ci sentiamo protettivi nei confronti dei nostri bambini ecc. Anche se queste azioni si possono spiegare e controllare tramite la ragione, riconosciamo che non è la ragione che in primo luogo ci spinge a provarle. La motivazione che ci induce a compierle è la stessa degli animali: facciamo queste cose perché lo vogliamo. Se tornassimo all’Età del Bronzo o della Pietra la sensibilità acuta nei confronti dell’ambiente era un prerequisito fondamentale per la sopravvivenza fisica. Nelle ultime generazioni, invece, la natura umana è cambiata, eppure l’uomo a volte si trova in situazioni in cui questo meccanismo necessita di essere riportato in uso. Molti studiosi del paesaggio sono convinti che qualche circostanza di questo tipo stia alla base anche del nostro godimento estetico del paesaggio. Secondo Sitte nel 1990: “ i nostri antenati sono stati abitatori di foreste; noi siamo abitatori di appartamenti. Questo, da solo, basta a giustificare l’irresistibile brama di natura da parte degli abitanti delle città, di uscire fuori all’aria aperta, fuori dalla fabbrica di polvere e dalla calca di case, dentro il verde dell’immenso mondo esterno”. (si tratta di seguire delle abitudini che derivano dai nostri antenati). BERQUE In Venturi la centralità euristica del giardino si manifesta in primo luogo nella forte sottolineatura del carattere progettuale del paesaggio. Come il giardino, anche il paesaggio è frutto dello sforzo dell’uomo di umanizzare la natura cioè nel senso di creare uno spazio dove l’uomo possa viverci. Il paesaggio è frutto dell’impegno etico dell’uomo, ossia della sua responsabilità nei confronti dell’ambiente. La natura è il mondo come ci è dato, il paesaggio è il mondo trasformabile. Altro fondamento che unisce il paesaggio al giardino: l’uomo instaura il suo rapporto con la natura, plasmando un luogo e modificandolo continuamente in molti modi, attraverso le sue scelte. Ogni giardino riflette un determinato luogo dove l’uomo si relaziona con la natura. Ma questo giardino esiste ancora? La moderna società tecnologica e industriale avrebbe decretato la sua morte. Riprese le teorie di Rosario Assunto, che esprimeva l'idea di trasformare in giardino il nostro mondo: di perseguire l’antico sogno di restituire al mondo l’immagine del paradiso terrestre. Secondo Rosario Assunto e Venturi quando si progetta giardini, la nostra cultura ha preso in considerazione il giardino dell’Eden (modello di paradiso terrestre) che rappresenta un ambiente sicuro, luogo in cui conquistare serenità, tranquillità e sicurezza. Giardino come opera d’arte Il valore dell’opera d’arte risiede nella profondità ed inesauribilità rappresentativa dell’immagine che mette in gioco continuo intelletto e fantasia. Noi creiamo qualcosa, nella mente come nella realtà, attraverso l’immaginazione; essa sviluppa infinite forme di giardino dalla figura della natura. Ogni giardino è unico e irripetibile, può esistere una sola volta, e ogni giardino è stato la riproposizione di un unico archetipo ideale, ovvero il giardino dell’Eden e l’Eliseo. BONESIO Con Luisa Bonesio viene introdotto il termine “geofilosofia” che fa riferimento ad un orientamento filosofico che pone al centro della riflessione i fenomeni di globalizzazione (migrazioni, omologazione culturale) e quelli di radicamento locale (nazionalismi, fondamentalismi religiosi, tradizionalismi). La Bonesio critica il concetto tradizionale di paesaggio ovvero riduzione del paesaggio stesso ad un'immagine e alla conseguente scioglimento dei legami del paesaggio con la vita reale e le condizioni delle popolazioni che in esso vivono. La prospettiva geofilosofica propone un’idea di paesaggio come espressione di una cultura insediativa, abitativa . Fondamentale quindi è l’idea che il paesaggio è abitato. In quanto luogo in cui viviamo, il paesaggio diventa “HEIMAT” che significa terra natia, il luogo che ci è caro perché lo sentiamo nostro e in esso ci si sente “a casa propria”. È l’esatto opposto di quei luoghi (aeroporti, stazione, centri commerciali) che sono uguali dappertutto, in qualsiasi paese e vengono chiamati appunto “non-luoghi”. Lo heimat non è tanto un’origine fissa, ma una meta raggiungibile anche a chi è estraneo, per nascita o tradizione, ma assume comunque un atteggiamento di cura ( cura: inteso come adoperarsi per proteggere l’altro, quindi la stessa cura che abbiamo verso l’uomo, dobbiamo anche averla verso la natura). La Bonesio parla di “comunità di paesaggio” cioè tra insiders e outsiders, tra residenti e stranieri si possono allacciare nuovi legami, scoprendo che l’interconnessione dei luoghi (la facilità con la quale ci spostiamo da un luogo all’altro, o i mezzi di comunicazione che aboliscono le distanze) non significa necessariamente omologazione o snaturamento, ma può contribuire alla salvaguardia dei luoghi. Il paesaggio deve essere meritevole di attenzione, che può esprimersi in azioni di salvaguardia e custodia, ma anche di sviluppo e recupero dei territori compromessi. La Bonesio insiste molto sul “avere cura del paesaggio” cioè far sorgere legami sociali tra le popolazioni e i territori nei quali esse vivono, suscitare quindi un processo di identificazione con questi luoghi nel quale viviamo perché costituiscono l’unica vera garanzia di sopravvivenza di un paesaggio armonico.
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