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Esempio visita guidata, Guide, Progetti e Ricerche di Arte

Esempio di visita guidata - elaborato finale Laboratorio visite guidate 2018-2019 prof. Giovanna Virgilio

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2018/2019

Caricato il 01/07/2019

Mattia.Ferrario
Mattia.Ferrario 🇮🇹

4.2

(18)

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Scarica Esempio visita guidata e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Arte solo su Docsity! La primavera artistica di Francesco Cairo e gli influssi morazzoneschi: tra Sant’Antonio abate e Brera. Informazioni generali sulla visita Chiave di lettura La visita prevede una lettura delle opere soprattutto giovanili di Francesco Cairo, rapportate sempre a uno dei suoi cardini artistici quale fu Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. Il focus sarà incentrato su due dei maggiori conservatori milanesi di opere di ambedue: la chiesa di Sant’Antonio abate e la Pinacoteca di Brera, con confronti che esuleranno anche ad opere ulteriori (ad esempio del periodo più propriamente barocco del Cairo) o non esposte. È infine necessario sottolineare il contesto storico in cui i due artisti operarono, per comprendere clima culturali, committenze, luoghi cruciali e sentimenti che intercorsero durante quel fervente periodo di produzione artistica Destinatari La visita è pensata per massimo 25 studenti di facoltà umanistiche in particolare di Scienze dei Beni culturali e Archeologia e storia dell’arte, per l’adozione di terminologia specifica, la richiesta previa di conoscenze dei panorami storico-artistici e la destrezza nell’istituire confronti con artisti e opere. Periodo Il periodo dell’anno potrebbe essere durante lo svolgimento delle lezioni in aula, di modo che la visita serva come uscita didattica per approfondire argomenti o vedere dal vivo opere relative alla storia dell’arte moderna, segnatamente al Seicento lombardo, anche nel contesto di un eventuale corso monografico. Si predilige un giorno in settimana del periodo primaverile, che non impedisca spostamenti per cause climatiche. Informazioni pratiche La visita è articolata in due luoghi topici per la storia di Milano: la chiesa di Sant’Antonio abate e la Pinacoteca di Brera. Si pensava un ritrovo nel primo pomeriggio, di modo da visitare entrambi i siti nell’arco di due o due ore e mezza compresi gli spostamenti. Chiesa di Sant’Antonio abate. Da stazione Centrale prendere la metropolitana M3 con destinazione Missori (cinque fermate) e camminare per cinquecento metri fino alla meta: l’ingresso è libero e gratuito e si prevedono circa trenta minuti di visita. Pinacoteca di Brera. Tram linea 12 direzione Roserio da Via Cesare Cantù (800 m dalla chiesa) a Lanza: il viaggio dura cinque minuti, il tram passa ogni dieci. Per chi non volesse camminare è disponibile la metropolitana da Missori M3 a Centrale e da qui un cambio sulla M2 fino a Lanza (nove fermate totali); Ingresso su prenotazione per max. 25 persone, gratuito per studenti e docenti dei corsi indicati dalla Pinacoteca; si raccomanda di portare il badge universitario; si prevede una visita di un’ora abbondante. Si consiglia di comprare il biglietto giornaliero urbano al costo di € 4,50 che prevede un numero illimitato di viaggi in area urbana; chi sia in possesso dei propri abbonamenti potrà ovviamente utilizzarli. La visita Inquadramento storico Morazzone e Cairo nascono rispettivamente nel 1573 e 1607 e vivono sotto il dominio spagnolo acquisito da Carlo V nel 1535, quando muore Francesco II Sforza e il feudo ambrosiano viene devoluto all’impero. Il quadro politico istituzionale è stabile almeno dalla Pace di Cateu Cambresis (1559) - che inquadrava il Ducato di Milano entro i feudi imperiali- fino alla peste del 1630: il cosiddetto patriziato riunito nei decurioni, formava, assieme al Senato, le istituzioni più importanti della città. In questo periodo assistiamo a una stretta collaborazione fra aristocrazia milanese e governo spagnolo, in un progetto di continuità pensato da Carlo V che volle mantenere immutata la tradizione giuridica milanese. Su questa infrastruttura politica, l’economia è in crescita soprattutto nel settore siderurgico e metallurgico: l’autonomia è in crisi, ma lo spazio hispanico che si crea garantisce un aumento di produttività e contatti. Durante gli anni ‘50 La classe dirigente man mano si definisce e restringe ed è rappresentata in sostanza da una oligarchia di nobili e giuristi (i “giureconsulti” del patriziato) che si fanno interpreti della legge, della legalità e della autonomia comunale e che trovano la loro massima espressione civica nella carica del senatore: tra le famiglie di recente nobiltà in particolare è da rimarcare la triade Borromeo, Arese, Trivulzio. Si inaugura così dal 1559 al 1630 la cosiddetta pax hispanica, periodo frastornato da alleanze anti ispaniche e un fiscalismo eccessivamente pedante, aggravato dalla bancarotta della corona, dalla presenza di privilegi ed esenzioni alla classe dirigente e a ecclesiastici; gli ufficiali di Stato, per cercare di porre rimedio a tale debolezza strutturale, si servivano di diversi espedienti quali il ricorso a prestiti da parte di privati e, specie dopo la metà del XVII secolo, la vendita del patrimonio della corona. È questa l’epoca (1560-1631) in cui sono attivi a Milano Carlo e Federico Borromeo. Al primo, nipote di papa Pio IV è affidata l’amministrazione dell’arcidiocesi di Milano nel 1566 che svolge con somma cura e intransigente rigorismo: più di ogni altro è interprete della Riforma tridentina e della cura animarum, opererà una grande riorganizzazione politica, amministrativa e sociale del territorio ecclesiastico diocesano; si occuperà della caccia all’eresia luterana e calvinista, dell’istruzione del laicato fondando scuole e collegi, dell’amministrazione archivistica di tutti gli enti ecclesiastici etc. A livello artistico Carlo è causa di uno slittamento di atmosfere e iconografie da un manierismo profano a una pittura “controriformata” fatta di affetti, intimità, leggibilità e chiarezza di significati, religione. In merito il testo più importante scritto da Carlo è il “Discorso intorno le immagini sacre e profane” (1582); in più nelle “Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae (1577), detta alcune norme su costruzione e arredo dei luoghi di culto, in favore di tendenze man mano barocche. Il processo di promozione architettonica e figurativa si estenderà presto dalla città alla intera diocesi, facendo di Carlo un fulgido exemplum. Federico è invece ordinato vescovo nel 1595: la sua politica è volta alla moderazione e alla prudenza. È un uomo colto e raffinato collezionista eclettico, a lui si deve la fondazione della Accademia e Biblioteca Ambrosiana, entrambe con la funzione di formare giovani allievi in chiave controriformata e dove avranno l’opportunità di studiare personalità come Daniele Crespi e dove tra gli altri insegnerà il Cerano. Sotto Federico si aprirà una fervente stagione artistica con la generazione del ’70 formata da Giulio Cesare Procaccini, Cerano e Morazzone. La fine degli anni ’20 e l’introduzione del terzo decennio del 1600 sono momenti fatidici per le sorti artistiche della capitale del Ducato: si spegneranno in ordine Giulio Cesare Procaccini, Morazzone, Camillo Procaccini, Daniele Crespi, Cerano, Tanzio da Varallo. In più nel 1631 muore Federico Borromeo e un anno prima la peste imperversa mietendo solo a Milano 60mila vittime. Nel frattempo la corona incoraggiava la rifeudalizzazione del territorio per incrementare le proprie risorse economiche, vendeva il proprio patrimonio e gli uffici: si affidava a quegli homines novi ansiosi di trovare spazi per rapide ascese sociali. Tra questi si ricordi il “dio di Milano”, il giurista e senatore Bartolomeo Arese o il raffrontarsi e confrontarsi secondo i registri a loro più consoni attorno al 1622-25. Al Morazzone in particolare tocca la parte più “feroce e dinamica”1 in quanto elogiato come pittore di battaglie (il carnefice, il soldato nell’ombra e l’angelo in alto); una apertura simile verso le forme del barocco lo accomuna a Cerano, con brani macabri e pittura animale (S.Seconda decapitata, il cavaliere, il putto e il cane); rimane legato a schemi tardo manieristici e correggeschi il Procaccini, che si occupa della sezione più dolce e soave (S. Rufina e l’angelo accanto). Morazzone in questo caso si rivela stimolato dalle presenze di Rubens e Van Dyck e quindi affiorano i contatti con l’ambiente genovese: l’esaltazione tragica del gesto del carnefice accentuato dalla anatomia scavata che crea scultorei contrasti di luce. Marco Rosci ipotizza per giunta che l’ideazione complessiva spetti al Morazzone, visto il perno formale e drammatico costituito dal carnefice. L’autore viene lodato anche per la sua “forza naturale” e “vaghezzza” quindi naturalismo e leggiadria di forme dal Borsieri (1619). L’apertura in senso barocco verrà accolta da Francesco Cairo, ma non totalmente: di certo durante il suo soggiorno romano apprezzò Pietro da Cortona o Giovanni Lanfranco. Tuttavia non si possono certo paragonare i suoi lavori a un barocco più impetuoso e violento alla Rubens (la “furia del pennello” indicata dai suoi biografi). L’opera esposta alla Sala XXXI, Santa Caterina da Siena (fig. 11) è testimonianza del periodo maturo del Cairo, in cui rifiuta iperboli decorative a favore di un barocco disteso di connotazione neotizianesca. Vediamo una piccola opera destinata alla devozione privata, in cui l’unica protagonista è l’estasi della Santa, che mostra le stimmate che sta accogliendo dolorosamente e apre le braccia ad accogliere Dio. Il colore è steso con morbide velature in una prevalenza di toni ocra, gialli pallidi e grigi- azzurri: la rispondenza emotiva dell’intonazione dimessa e dal registro cromatico ribassato è evidente anche nel cielo che fa da sfondo. La restituzione sfibrata degli incarnati e una stesura quasi sprezzante e disadorna ci portano ad una epoca matura del Cairo, in cui gli accenti genovesi accolti dal Morazzone si fanno ancora sentire: a titolo di esempio citiamo il linguaggio sommesso, il clima intimamente spirituale, i complessi rapporti luministici e l’atmosfera malinconica che si lega ai sentimenti della protagonista. La ricezione di un barocco più internazionale la notiamo nel Ritratto di Luigi Scaramuccia (fig. 12) nella sala XXXII, un olio su tela datato alla metà degli anni ‘50 che verte su un discorso vandyckiano. Molte furono le ipotesi di attribuzione del soggetto (si pensava ad esempio a Fulvio Testi) ma la critica è tutt’ora concorde che il personaggio ritratto sia Luigi Scaramuccia, un pittore perugino nonchè scrittore d’arte con cui Cairo strinse un forte sodalizio artistico, fatto di lodi tessute, acquisti reciproci di opere e stimoli culturali. La presentazione che l’artista ci fa di questo personaggio è un po’ teatrale, in una impaginazione ariosamente barocca ciò nonostante disinvolta della figura, che è ritratta sospesa nel momento espressivo della bocca socchiusa: questo aspetto è sintomo della riflessione sui modelli della ritrattistica berniniana, molto vitale ed esuberante. La stesura è abbastanza corriva: i rialzi di biacca virtuosistici utilizzati per i polsini e il colletto della camicia contrastano con la descrizione più pacata, pastosa ma morbida degli incarnati di volto e mani, colorati con ocra e rosa quasi rococò memori del genovesismo di Van Dyck. È impossibile e metodologicamente errato creare in modo meccanico reti di influenze artistiche, essendo i vari condizionamenti tortuosi, intricati, talvolta impliciti o non riconosciuti presso gli stessi autori. Si può temperare questo aspetto a livello di metodo proponendo suggestioni, confronti, punti di contatto, sfumature, che non siano conditio sine qua non di un omogeneo e compatto orientamento stilistico. Però se si considera la fase iniziale di un autore, l’elemento della copia e della imitazione risulta più evidente e sfuma man mano che si forma la sua soggettività. Quindi come in questo caso abbiamo potuto notare le diverse ascendenze accumulate da Francesco Cairo durante la propria carriera non tradiranno mai i caratteri morazzoneschi: il naturalismo, le polarizzazioni verso la pittura veneta, i forti contrasti luministici (smorzati in età tarda dal Cairo), le aperture al proto barocco genovese e romano sono tratti che l’allievo Francesco Cairo renderà una costante nella sua produzione anche tarda. 1 S. Coppa, P. Strada; Seicento lombardo a Brera, p.151, Skira 2013. Figura 1- Morazzone, Adorazione dei Magi Milano, Sant'Antonio abate. Figura 2 - Paolo Veronese, Adorazione dei Magi. Vicenza, Chiesa di Santa Corona Figura 3 - Francesco Cairo, Svenimento del Fig. 4 Cerano, San Carlo in gloria (part.). Beato Andrea Avellino. Milano, San Gottardo Milano, Sant'Antonio abate Fig. 5-— Francesco Cairo, Sogno di Elia. Milano, Sant'Antonio abate
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