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Vita e opere di Vittorio Alfieri: cronologia e tragedia di Mirra, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Biografia di Vittorio Alfieri, scrittore e drammaturgo italiano del Settecento. La descrizione include la cronologia della sua vita, i principali eventi e le opere, tra cui la tragedia di Mirra.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 06/10/2022

cristina_cappelletti
cristina_cappelletti 🇮🇹

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Vita e opere di Vittorio Alfieri: cronologia e tragedia di Mirra e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI MIRRA Cronologia 1749 Vittorio Amedeo Alfieri nasce ad Asti da Antonio Amedeo Alfieri Bianco conte di Cortemiglia e da Monica Marianna Maillard di Tournon, secondo di tre figli. La prima è Giulia e il terzo è Giuseppe Maria 1754 Dopo la scomparsa del secondo marito, Monica Marianna sposa Carlo Giacinto Alfieri cavaliere, e (dal 1770) conte di Castagnole e Magliano. 1755 Prova grande dolore quando la sorella Giulia è messa in monastero ad Asti. Rimane unico figlio in casa. Un «buon prete», seppure «ignorantuccio», don Ivaldi, gli insegna a leggere e a scrivere e sarà il suo maestro per quattro anni. 1756 Un naturale «umor malinconico» lo porta a un ingenuo tentativo di suicidio (ingoia erba che crede velenosa). 1758 Per consiglio dello zio paterno Pellegrino Alfieri, è iscritto alla Reale Accademia di Torino, dove entra il 1° agosto. Vi rimane per otto anni, frequentando successivamente le classi di Grammatica, Umanità, Retorica, Filosofia, Fisica, Legge. Secondo la Vita il soggiorno in Accademia non giova né alla salute di Vittorio, che vi si ammalò spesso, né alla sua formazione culturale: sono anni di «infermità, ed ozio, e ignoranza ». 1759 Tenta di leggere, senza molto intenderlo, l’Orlando furioso. Frequenta l’architetto Benedetto Alfieri (1700-1767), cugino del padre, senza giovarsi della sua cultura, cosa di cui poi si rammaricherà. 1764 Si fa iscrivere nella lista dei postulanti impiego nell’esercito. 1766 Il 19 maggio lascia l’Accademia ed è nominato portainsegna nel reggimento provinciale di Asti. Con (secondo i biografi senza) licenza del re, Carlo Emanuele III, intraprende il suo grand tour europeo, per prepararsi a poter intraprendere la carriera diplomatica. 1771 Vive una appassionata relazione amorosa con Penelope Pitt (1749-1827), figlia dell’uomo politico George Pitt, già inviato britannico a Torino. Il marito della donna, accortosi della relazione, esige da Alfieri soddisfazione. Ne segue un duello (7 maggio), nel corso del quale il Ligonier si accontenta di ferire all’avambraccio destro Alfieri. 1774 Si dimette dall’esercito. Per vincere il tedio dell’assistenza alla Priè, l’innamorata di turno, ammalatasi comincia a scrivere la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra. 1776 Legge le Odi di Orazio, traduce l’Ars poetica di Orazio, legge le tragedie di Seneca. 1 Lavora al Filippo e al Polinice. Scrive idea e stesura di Antigone, e le idee di Agamennone e Oreste. In giugno si stabilisce a Firenze. Scrive l’idea del Don Garzia. 1777 Termina la traduzione delle monografie sallustiane. In aprile verseggia l’Antigone. Durante una breve sosta a Sarzana scrive l’idea della Virginia. Scrive in giugno l’idea della Congiura de’ Pazzi. Tra luglio e agosto scrive le stesure di Agamennone e Oreste. In agosto scrive per intero il trattato Della tirannide. Legge Giovenale. In ottobre è a Firenze. Stende in prosa e verseggia la Virginia. Inizia la relazione amorosa con Luisa Stolberg, che aveva sposato nel 1772 Carlo Edoardo Stuart conte d’Albany, di 32 anni più vecchio di lei, pretendente al trono d’Inghilterra. 1778 Decide di lasciare per sempre il Piemonte per avere libertà di movimento e di stampare. Per «disvassallarsi» in modo più rapido e definitivo fa donazione di tutti i suoi beni alla sorella Giulia, riservandosi una pensione annua di lire 9000 più il versamento di un capitale di lire 100.000. Durante l’anno non tralascia il lavoro di scrittura. Verseggia Agamennone e Oreste. Comincia a scrivere il poemetto Etruria vendicata e il trattato Del principe e delle lettere. Scrive l’idea di Maria Stuarda. 1779 Verseggia la Congiura de’ Pazzi, scrive idea e stesura di Rosmunda, idee di Ottavia e Timoleone, stesura di Maria Stuarda, versificazione di Don Garzia, continua la composizione del’Etruria vendicata. Scrive rime. Legge i classici latini. 1780 Verseggia la Maria Stuarda, scrive le stesure di Ottavia e Timoleone, verseggia per la terza volta il Filippo, verseggia la Rosmunda, comincia la versificazione dell’Ottavia, scrive rime, finisce il II canto dell’Etruria vendicata. Ai primi di dicembre la Stolberg abbandona il marito rifugiandosi nel convento fiorentino delle Bianchette. 1781 In febbraio Alfieri va a Roma, dove rivede la Stolberg e fa visita al cardinale di York. Subito dopo va a Napoli, dove finisce la prima versificazione dell’Ottavia e porta avanti la seconda versificazione del Polinice. Intanto la Stolberg ha dal papa licenza di lasciare il monastero, e si stabilisce nel palazzo della Cancelleria, in un fastoso appartamento messole a disposizione dal cognato. Tra i suoi domestici c’è Elia. Tiene grandi ricevimenti settimanali. Oltre alla pensione della corte di Francia percepisce lire 25.000 dalla Camera apostolica. Chiede segretamente al governo di Luigi XVI di potersi trasferire a Parigi, ma la richiesta non viene accolta. I1 12 maggio Alfieri rientra a Roma e prende alloggio in una casa a piazza Rondanini. Ottiene il permesso di soggiornare nella città per mezzo di «astuziole cortigianesche». Dal 2 ottobre affitta per dieci scudi mensili dal duca don Lorenzo Strozzi il palazzetto Strozzi ammobiliato e fornito di scuderia e parco presso le Terme di Diocleziano. Assume come segretario Giovanni Viviani, che sarà poi traduttore dal greco e poeta. Incontra 2 tutti i libri e cimeli a Montpellier, sua città natale, che tuttora li conserva nella Biblioteca civica. Davvero sembra essere stato inevitabile destino dei libri posseduti da Alfieri di diventare (ancora una volta) proprietà francese. ALFIERI, Vita, epoca III, cap. XV. Nei Poeti [una satira] aveva introdotto me stesso sotto il nome di Zeusippo, e primo io era a deridere la mia Cleopatra, la di cui ombra poi si evocava dall'inferno, perch’ella desse sentenza in compagnia d'alcune altre eroine da tragedia, su questa mia composizione paragonata ad alcune altre tragediesse di questi miei rivali poeti, le quali in tutto poteano ben essere sorelle; col divario però, che le tragedie di costoro era-no state il parto maturo di una incapacità erudita, e la mia era un parto affrettato di una ignoranza capace. ALFIERI, Vita, epoca IV, cap. XIV. [A]nzi avendo appeso il coturno al Saul, mi era fermamente proposto di non lo spiccare mai piú; mi ritrovai allora, senza accorgermene quasi, ideate per forza altre tre tragedie ad un parto: Agide, Sofonisba, e Mirra. Le due prime, mi erano cadute in mente altre volte, e sempre l'avea discacciate; ma questa volta poi mi si erano talmente rifitte nella fantasia, che mi fu forza di gettarne in carta l'abbozzo, credendomi pure e sperando che non le potrei poi distendere. A Mirra non avea pensato mai; ed anzi, essa non meno che Bibli, e cosí ogni altro incestuoso amore, mi si erano sempre mostrate come soggetti non tragediabili. Mi capitò alle mani nelle Metamorfosi di Ovidio quella caldissima e veramente divina allocuzione di Mirra alla di lei nutrice, la quale mi fece prorompere in lagrime, e quasi un subitaneo lampo mi destò l'idea di porla in tragedia; e mi parve che toccantissima ed originalissima tragedia potrebbe riuscire, ogni qual volta potesse venir fatto all'autore di maneggiarla in tal modo che lo spettatore scoprisse da sé stesso a poco a poco tutte le orribili tempeste del cuore infuocato ad un tempo e purissimo della piú assai infelice che non colpevole Mirra, senza che ella neppure la metà ne accennasse, non confessando quasi a sé medesima, non che ad altra persona nessuna, un sí nefando amore. In somma l'ideai a bella prima, ch'ella dovesse nella mia tragedia operare quelle cose stesse, ch'ella in Ovidio descrive; ma operarle tacendole. Sentii fin da quel punto l'immensa difficoltà ch'io incontrerei nel dover far durare questa scabrosissima fluttuazione dell'animo di Mirra per tutti gl'interi cinque atti, senza accidenti accattati d'altrove. E questa difficoltà che allora vieppiú m'infiammò, e quindi poi nello stenderla, verseggiarla, e stamparla sempre piú mi fu sprone a tentare di vincerla, io tuttavia dopo averla fatta, la conosco e la temo quant'ella s'è; lasciando giudicar poi dagli altri s'io l'abbia saputa superare nell'intero, od in parte, od in nulla. Vittorio Alfieri 5 Mirra ATTO PRIMO SCENA PRIMA CECRI, EURICLÉA. EURICLÉA a me, cui tiene (è ver) negli anni madre, ma in amore, sorella. Il volto, e gli atti, e i suoi sospiri, e il suo silenzio, ah! tutto mel dice assai, ch'ella Peréo non ama. […] era, o il credea, dovere. Ella non l'ama; a me ciò pare: eppur, qual altro amarne a paragon del gran Peréo potrebbe? […] insanabil la sua; pur troppo!... Ah! morte, ch'ella ognor chiama, a me deh pria venisse! Almen cosí, struggersi a lento fuoco non la vedrei!... SCENA SECONDA CECRI. Di nostra sorte i Numi invidi forse, torre or ci von sí rara figlia, a entrambi i genitor solo conforto e speme? […] Venere, o tu, sublime Dea di questa a te devota isola sacra, a sdegno la sua troppa beltá forse ti muove? Forse quindi al par d'essa in fero stato me pur riduci? Ah! la mia troppa e stolta di madre amante baldanzosa gioja, tu vuoi ch'io sconti in lagrime di sangue... SCENA TERZA CINIRO, CECRI. CINIRO […] Padre, mi fea natura; il caso, re. Ciò che ragion di stato chiaman gli altri miei pari, e a cui son usi 6 pospor l'affetto natural, non fia nel mio paterno seno mai bastante contra un solo sospiro della figlia. ATTO SECONDO SCENA SECONDA MIRRA, PERÉO. MIRRA […] e il dover tormi dai genitori amati; e il dirmi: «Ah! forse, non li vedrai mai piú;...» l'andarne a ignoto regno; il cangiar di cielo;... e mille e mille altri pensier, teneri tutti, e mesti; […] MIRRA No; questo è il giorno; ed oggi sarò tua sposa. – Ma, doman le vele daremo ai venti, e lascerem per sempre dietro noi queste rive. SCENA QUARTA EURICLÉA, MIRRA. MIRRA Il dolor pria ucciderammi, spero... Ma no; breve fia troppo il tempo;... ucciderammi poscia, ed in non molto... Morire, morire, null'altro io bramo;... e sol morire, io merto. […] MIRRA ... Ti chieggo di abbreviar miei mali. ù […] MIRRA tu gli alti avvisi a me insegnavi: io spesso udía da te, come antepor l'uom debba alla infamia la morte. Oimè! che dico?... – Ma tu non m'odi?... Immobil,... muta,... appena respiri! oh cielo!... Or, che ti dissi? io cieca dal dolore,... nol so: deh! mi perdona; deh! madre mia seconda, in te ritorna. […] MIRRA Tu del tuo amor piú che materno, e a un tempo giovar mi dei del fido tuo consiglio. Tu dei far sí, ch'io saldamente afferri il partito, che solo orrevol resta. 7 MIRRA […] Indubitabil prova abbine, ed ampia, oggi in veder ch'io scelgo d'ogni mio mal te sanator pietoso; ch'io stimo te, ch'io ad alta voce appello, Peréo, te sol liberator mio vero. SCENA TERZA SACERDOTI, CORO DI FANCIULLI, DONZELLE, E VECCHI; CINIRO, CECRI, POPOLO, MIRRA, PERÉO, EURICLÉA. CECRI Figlia, deh! sí; della possente nostra Diva, tu sempre umíl... Ma che? ti cangi tutta d'aspetto?... Oimè! vacilli? e appena su i piè tremanti?... MIRRA Ah! per pietá, coi detti non cimentar la mia costanza, o madre: del sembiante non so;... ma il cor, la mente, salda stommi, immutabile. […] MIRRA Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte le Furie ho in me tremende. Eccole; intorno col vipereo flagello e l'atre faci stan le rabide Erinni: ecco quai merta questo imenéo le faci... SCENA QUINTA CINIRO, MIRRA, CECRI, EURICLÉA. CINIRO Donne, a se medesma in preda costei si lasci, e alle sue furie inique. Duro, crudel, mal grado mio, mi ha fatto con gl'inauditi modi suoi: pietade piú non ne sento. Ella, all'altar venirne, contra il voler dei genitori quasi, ella stessa il voleva: e sol, per trarci a tal nostr'onta e sua?... Pietosa troppo, delusa madre, lasciala: se pria noi severi non fummo, è giunto il giorno d'esserlo al fine. MIRRA È ver: Ciniro meco inesorabil sia; null'altro io bramo; null'altro io voglio. SCENA SESTA CECRI, MIRRA, EURICLÉA. 10 SCENA SETTIMA CECRI, MIRRA. MIRRA – Uscito è il padre?... Ei dunque, ei di uccidermi niega?... […] MIRRA Tu prima, tu sola, tu sempiterna cagione funesta d'ogni miseria mia... CECRI […] MIRRA Tu, sí; de' mali miei cagione fosti, nel dar vita ad un'empia; e il sei, s'or di tormela nieghi; or, ch'io ferventi prieghi ten porgo. Ancor n'è tempo; ancora sono innocente, quasi... – Ma,... non regge a tante furie... il languente... mio... corpo... mancano i piè,... mancano... i sensi... ATTO QUINTO SCENA PRIMA CINIRO. SCENA SECONDA CINIRO, MIRRA. CINIRO Mirra, invan me l'ascondi: ah! ti tradisce ogni tuo menom'atto. – Il parlar rotto; lo impallidire, e l'arrossire; il muto sospirar grave; il consumarsi a lento fuoco il tuo corpo; e il sogguardar tremante; e il confonderti incerta; e il vergognarti, che mai da te non si scompagna:... ah! tutto, sí tutto in te mel dice, e invan tu il nieghi;... son figlie in te le furie tue... d'amore. […] CINIRO E certo in un son io (pur troppo!) omai, ch'esser non puote altro che oscura fiamma, quella cui tanto ascondi. […] CINIRO Ed io saperlo e deggio, e voglio. […] morir non puoi, senza pur trarci in tomba. – […] 11 CINIRO Padre infelice!... E ad ingojarmi il suolo non si spalanca?... Alla morente iniqua donna appressarmi io non ardisco;... eppure, abbandonar la svenata mia figlia non posso... SCENA TERZA CECRI, EURICLÉA, CINIRO, MIRRA. CINIRO Piú figlia non c'è costei. D'infame orrendo amore ardeva ella per... Ciniro... […] CINIRO Deh! vieni: andiam, ten priego, a morir d'onta e di dolore altrove. SCENA QUARTA MIRRA, EURICLÉA. MIRRA Quand'io... tel... chiesi,... darmi... allora,... Euricléa, dovevi il ferro... io moriva... innocente;... empia... ora... muojo.. 12
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