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Esperienza e educazione, Sintesi del corso di Pedagogia

Sintesi del pensiero di John Dewey che contrappone la sua posizione a quella dei conservatori, che criticavano le "scuole nuove" ispirate dal suo credo e auspicavano il ritorno alla tradizione e al principio di autorità come fondamento pedagogico.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 10/03/2020

Bruce_
Bruce_ 🇮🇹

4.3

(11)

12 documenti

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Scarica Esperienza e educazione e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! ESPERIENZA E EDUCAZIONE DI JOHN DEWEY INTRODUZIONE. Il pensiero di J. Dewey esercitò, fin dai primi anni del XX secolo, una grandissima influenza pedagogica, filosofica, sociale e politica sulla cultura non solo statunitense. Dewey fondò con G. H. Mead, quella che verrà chiamata la “Scuola di Chicago”. Per Dewey il concetto di esperienza indica l'interazione fra soggetto e oggetto, fra organismo e ambiente. Rispetto a tali situazioni, lo strumento fondamentale di cui il soggetto dispone è la ragione, l'attività intelligente, come la chiama Dewey. Lo scritto “Esperienza ed educazione” viene pubblicato nel 1938 e rappresenta la magistrale sintesi del pensiero filosofico e pedagogico di J. Dewey sull'educazione e sulla scuola. In quest'opera Dewey contrappone senza timori la sua posizione a quella dei conservatori che criticavano le “scuole nuove” e auspicavano il ritorno alla tradizione al principio di autorità come fondamento pedagogico. Dewey non parla mai di pedagogia in questo scritto, ma di una filosofia dell'educazione basata sull'esperienza. L'esperienza è la chiave di volta per pensare e fare educazione. Educare significa accrescere l'ambito dell'esperienza del docente e del discendente, del ragazzo e dell'adulto, dell'alunno e dell'insegnante. Si apprende grazie all'esperienza, per questo l'insegnamento deve essere centrato sulle possibilità dell'alunno e la scuola deve essere per tutti. Non tutte le esperienze sono però educative. La differenza è data dalla qualità dell'esperienza che l'educatore propone; un'esperienza è educativa se vivrà fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno, scrive Dewey. Solo se l'affettivo e il cognitivo si intrecciano realmente si può dare esperienza educativa. CAPITOLO 1: EDUCAZIONE TRADIZIONALE E EDUCAZIONE PROGRESSIVA. Attualmente l'opposizione, per quanto concerne la scuola, tende ad assumere la forma di contrasto fra l'educazione tradizionale e quella progressiva. Le idee che stanno alla base della prima sono le seguenti: la materia dell'educazione consta di “corpi” di informazioni e di abilità che sono stati elaborati in passato, e quindi, il compito della scuola è di trasmetterli alla nuova generazione. Nel passato sono state generale norme e regole di condotta. Ai libri e ai manuali spetta in particolar modo, il compito di rappresentare il sapere e la saggezza del passato, mentre gli insegnanti sono il tramite che pone gli alunni a contatto con il materiale. Gli insegnanti sono i mezzi attraverso i quali sono comunicate abilità e conoscenze. Il sorgere di ciò che si è soliti chiamare nuova educazione e scuole progressive è di per sé un effetto del disagio che suscita l'educazione tradizionale. Il sistema tradizionale nella sua essenza, consiste in un'imposizione dall'alto e dal di fuori. Essa impone norme, programmi e metodi di adulti a individui che si avviano solo lentamente alla maturità. Ma l'abisso fra i prodotti di chi è maturo e dell'adulto e le esperienze o le abilità del ragazzo è così profondo che la situazione di fatto impedisce una partecipazione molto attiva degli alunni a ciò che viene loro insegnato. Imparare qui significa acquisire ciò che è incorporato nei libri e nelle teste degli adulti. Inoltre ciò che è insegnato è pensato come essenzialmente statico. Nelle scuole progressiste, all'imposizione dall'alto, si oppongono l'espressione e la cultura dell'individualità; all'imparare dai libri e dai maestri, l'apprendere attraverso l'esperienza; ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento. Diciamo che la nuova educazione pone l'accento sulla libertà dell'allievo. Il problema è ora questo: che significa libertà e, quali sono le condizioni sotto le quali essa si realizza? Diciamo pure che la scuola tradizionale limitava anziché promuovere il progresso intellettuale e morale del ragazzo. Il riconoscere questo difetto pone un problema: quale è la funzione del maestro e dei libri nel promuovere lo sviluppo educativo dell'immaturo? CAPITOLO 2: BISOGNO DI UNA TEORIA DELL'ESPERIENZA. Tra tutte le incertezze c'è un punto fermo: il nesso fra educazione ed esperienza personale. Credere che ogni educazione autentica proviene dall'esperienza non significa che tutte le esperienze siano parimenti educative. Esperienza e educazione non possono equivalersi. Ci sono difatti delle esperienze diseducative. È diseducativa ogni esperienze che ha l'aspetto di arrestare o fuorviare lo svolgimento dell'esperienza ulteriore. Un'esperienza può recare qualche beneficio immediato e tuttavia promuovere la fiacchezza e la negligenza; questo atteggiamento allora agisce sulla qualità delle future esperienze in moda da impedire all'individuo di trarne tutto il frutto che potrebbero dargli. L'educazione tradizionale offre una moltitudine di esperienze dei tipi che abbiamo appena menzionato. È un grande errore credere che l'aula tradizionale non fosse un luogo dove gli alunni facessero esperienze. Il punto è un altro, cioè che le esperienze che venivano fatte dagli alunni così come dagli insegnanti, erano in gran parte negative. Quanti hanno associato l'idea dell'imparare a quella della noia e della stanchezza? Tutto dipende dalla qualità dell'esperienza che si fa. La qualità di ogni esperienza ha due aspetti: da un lato può essere immediatamente gradevole o sgradevole, dall'altro essa esercita la sua influenza sulle esperienze ulteriori. Compito dell'educatore è quello di disporre le cose in modo che le esperienze pur non allontanando il discendente e impegnando anzi la sua attività non si limitino a essere immediatamente gradevoli e promuovano nel futuro esperienze che si desiderano. CAPITOLO 3: I CRITERI DELL'ESPERIENZA. Il principio della continuità dell'esperienza significa che ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che l'hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno. Ritorno ora al problema della continuità come al criterio con cui discernere le esperienze che sono educative da quelle che sono diseducative. La maggior maturità dell'educatore lo mette in grado di valutare ogni esperienza del giovane da un punto di vista in cui non può porsi chi possiede un'esperienza meno matura. Tocca allora all'educatore rendersi conto in quale direzione si muove un'esperienza. Una delle principali responsabilità dell'educatore è che egli riconosca pure in concreto quali sono le condizioni che facilitano le esperienze che conducono alla crescita. Soprattutto egli dovrebbe conoscere in che modo utilizzare la sua situazione circostante, fisica e sociale, per estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a promuovere esperienze di valore. Questa partecipazione attiva che l'educazione progressiva esige dall'insegnante è un'altra ragione della sua maggiore difficoltà Fino a oggi il punto debole nelle scuole progressive è stato la scelta e l’organizzazione della materia di studio. È altrettanto inevitabile quanto è giusto e ovvio che esse debbano farla finita con il materiale disorganico e inaridito che ha costituito il nucleo della vecchia educazione. È buon principio educativo che gli alunni siano introdotti allo studio delle scienze e siano iniziati ai fatti e alle leggi di esse muovendo dalle quotidiane applicazioni che la società ne viene facendo. L’attenersi a questo metodo è non soltanto il mezzo più diretto per intendere la scienza in sé, ma per l’alunno è anche la via più sicura per sollevarsi alla comprensione dei problemi economici e industriali della società attuale. Il metodo sperimentale della scienza dedica maggior importanza alle idee, più di qualsiasi altro metodo. Non ci può essere quel che si dice esperimento in senso scientifico senza un’idea che diriga l’azione. Il fatto che le idee adoperate siano ipotesi e non verità definitive è la ragione per cui le idee sono più gelosamente esaminate. La ragione di esaminarle scrupolosamente cessa soltanto dal momento in cui sono accolte come verità. In secondo luogo, idee o ipotesi sono verificate dalle conseguenze che provoca la loro attuazione. Il che significa che occorre osservare con cura le conseguenze dell’azione. Un’attività che non è arrestata per osservare quali sono le sue conseguenze può suscitare gioia per un momento. Ma intellettualmente non reca nessun frutto e non può condurre al chiarimento e all’espansione delle idee. In terzo luogo, il metodo esige che si conservino tracce delle idee, delle attività e delle conseguenze osservate. Riconsiderare significa riesaminare retrospettivamente quel che è stato fatto in modo da estrarne i significati netti che sono il capitale di cui si vale l’intellingenza nelle esperienze future. È qui il cuore dell’organizzazione intellettuale e della disciplina mentale. Il metodo scientifico è l’unico mezzo autentico a nostra disposizione per cogliere il significato delle nostre esperienze quotidiane del mondo in cui viviamo. ESPERIENZA ED EDUCAZIONE - JOHN DEWEY INTRODUZIONE (Cappa) Dewey comincia ad esercitare il suo pensiero fin dai primi anni del 1900, influenzando la cultura statunitense e non solo. Dopo i suoi studi universitari, profondamente influenzati dalla teoria neohegeliana, egli diede inizio alla sua interpretazione del pragmatismo strumentale, con chiari riferimenti all’evoluzionismo (fondando in quel periodo con Mead quella che sarà la Scuola di Chicago) Inizia così a porre le basi di una sua propria teoria dando vita al movimento dell’educazione progressista, che sarà molto importante per le politiche educative e per le istituzioni formative del suo tempo, tanto da portarle ad avere una svolta di tipo democratico, giungendo all’attivismo! ATTIVISMO DI DEWEY Movimento che pone l’attenzione su gli scopi sociali in educazione e sui problemi di tipo logico e psicologico dell’apprendimento; la pedagogia, fino a quel momento considerata un’attività teorica e normativa, inizia a separarsi dalle altre discipline e diventerà a poco a poco una scienza autonoma; una scienza che sì, “interagisce” con altre scienze, ma non instaura più con esse un rapporto di subalternità. Le posizioni teoriche e e pratiche di Dewey pongono l’esperienza concreta dell’uomo come base fondamentale della cultura e della conoscenza. Il concetto di esperienza riduce notevolmente il dualismo tra esterno e interno; l’esperienza non è esperienza di un oggetto da parte di un soggetto, ma è interazione fra soggetto e oggetto, fra organismo e ambiente; relazione, transazione in cui i termini non sussistono mai per sé, ma solo nei termini della relazione stessa. L’esperienza rinvia sempre a situazioni precarie e problematiche in cui l’uomo è coinvolto nel suo sforzo di adattamento e di evoluzione; rispetto a tali situazioni, lo strumento fondamentale di cui il soggetto dispone, è la RAGIONE, che va intesa come un’attività simbolica di ricerca e di indagine, svolta secondo un metodo proprio, fatto di ipotesi e sperimentazioni; un processo che orienta il processo educativo. L’educazione deve essere incentrata su forme di attività pratica, sociale e culturale; le istituzioni e la scuola devono essere in grado di riprodurre esperienze foriere di cambiamento. L’educazione diviene dunque l’ambito prioritario nel quale la “transizione” può costruire sempre nuovi spazi di libertà. In Esperienza e educazione, pubblicato nel 1938, Dewey contrappone la sua posizione a quella dei conservatori che criticavano le “scuole nuove” e auspicavano il ritorno alla tradizione e al principio di autorità come fondamento pedagogico. Questo testo, nella sua forma polemica, è di grande attualità poiché riesce, ancora oggi, nel dibattito della scuola, a mettere a nudo le differenze fondamentali tra un’educazione autoritaria e una pratica democratica e innovativa. (Egli critica l’intuizione autoritaria dell’ed. tradizionale). Dewey non parla di pedagogia ma di una filosofia dell’educazione basata sull’esperienza, poiché l’esperienza è la chiave di volta per pensare e fare educazione. Educare significa accrescere l’ambito dell’esperienza del docente e del discente, del ragazzo e dell’adulto, dell’alunno e dell’insegnante. Dewey ci ha permesso di pensare la scuola come una comunità di pratica educante; si apprende tramite l’esperienza e l’insegnamento deve essere centrato su questa possibilità. L’esperienza non è primariamente conoscenza ma “modi di fare e di patire” (elementi di attività e passività) La nozione di esperienza è più ampia e più complessa del concetto di conoscenza. Non tutte le esperienze, tuttavia, sono educative; la differenza è data dalla qualità dell’esperienza che viene proposta. Un’esperienza è educativa se vivrà fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno. Gli ordinamenti sociali della democrazia promuovo una qualità superiore dell’esperienza umana che ha come effetto la libertà L’educatore deve coltivare la libertà di osservazione e di giudizio, per sé e per chi chiede di essere educato. Dewey insiste molto anche sull’attenzione che l’educatore deve dedicare all’allestimento dell’ambiente educativo, che deve diventare uno spazio generativo e di disponibilità. Il setting pedagogico viene collocato nel punto di massima intensità e importanza dell’esperienza educativa. Il setting è l’assetto interno di insegnanti e alunni, a partire da un insieme di regole che rendono possibili i ruoli reciproci. A partire dal setting si può entrare in contatto con la qualità dell’esperienza. Il setting è un ponte per accedere al livello più profondo del dispositivo pedagogico; esso è un insieme di procedure in atto, un congegno che crea pratiche specifiche e una certa strategia pedagogica. La scuola costringe ognuno a domandarsi in che modo si è implicati in ciò che si sta conoscendo, n ciò che si sta comunicando. Ognuno può sperimentare i limiti e le opportunità di questa conoscenza, consentendosi anche di criticarne l’inadeguatezza. L’immagine che si produce nella scuola attraverso l’interpretazione del proprio ruolo è importante; siamo responsabili, insieme agli altri, della scena creata dalla nostra azione. Si tratta di allestire una scena che permetta anche di sperimentare l’attraversamento del campo affettivo invece di rappresentare l’affettività come mera emotività. Un proposito differisce da un impulso e da un desiderio per il fatto di venire tradotto in un piano e un metodo d’azione, basato sulla previsione delle conseguenze dell’operare sotto certe condizioni. Solo se l’affettivo e il cognitivo si intrecciano realmente si può dare forma all’esperienza educativa. Il desiderio dà intensità alle idee là dove l’anticipazione progettuale dà direzione a ciò che altrimenti sarebbe miope e cieco. In questo senso la riflessione sull’esperienza assume per Dewey una funzione formativa fondamentale: ogni esperienza educativa deve prevedere una riflessione sulle prospettive di significato che la formano e la guidano; un’esperienza educativa deve essere in grado di offrire un’elaborazione affettiva e cognitiva di secondo livello. Dewey dà la massima importanza all’acquisizione del desiderio di apprendere; solo dalla sperimentazione di questo desiderio può nascere un reale apprendimento dall’esperienza. In tal senso, l’educazione può divenire mezzo e fine dell’educazione. Il principio della continuità dell’esperienza educativa (di Dewey) va compreso alla luce della nozione di “prospettiva temporale” di Mead. Per Mead, non si può comprendere la natura del tempo se non si tematizza il rapporto originario che l’emergente intesse con il flusso temporale, modello della costruzione del Sé. Il presente è il luogo dell’emergenza. L’emergente ha le stesse caratteristiche dell’evento educativo descritto da Dewey. Questo (emergente – evento educativo) porta sempre ad una discontinuità, ad uno squilibrio, ma allo stesso tempo si dà una storia osservabile: una traccia della continuità dell’esperienza rimane visibile poiché il presente accade in una prospettiva; ogni presente riscrive e amplia questa prospettiva che viene dal passato, per aprirsi al futuro che la novità emergente dischiude. Non sono possibili né giudizi d’esperienza né giudizi formali circa oggetti ed eventi se sono isolati, ma solo se sono connessi in un contesto complessivo. Questo è ciò che Dewey chiamaSITUAZIONE. Il mondo diventa ciò che esso significa; la nostra storia di formazione e il nostro orizzonte temporale sono i testimoni da interrogare sulla scena dell’agire educativo se vogliamo comprendere pienamente cosa sia un’esperienza pedagogica. L’esperienza come processo attivo si svolge nel tempo e ogni periodo successivo completa quello precedente; per questo, gli strumenti essenziali del lavoro educativo sono l’osservazione e la memoria. Solo dall’uso intrecciato di questi strumenti l’educatore può allestire e incarnare “in situazione” la sua funzione di mediatore. La necessità di scoprire il nesso che esiste tra gli effetti educativi e i risultati del passato e i problemi del presente promuove un’attenzione clinica poiché promuove una vera e propria“scrittura della singolarità” dell’esperienza. Questi consentono di comprendere quali siano le strutture elementari dell’esperienza pedagogica, permettendo di illuminare i nessi impliciti e le zone d’ombra che ogni processo formativo genera. L’esperienza permette di educare alla responsabilità, alla partecipazione e alla soluzione di problemi di tutti in una società, sulla comprensione che noi siamo e che, soprattutto, possiamo ancora divenire. PREFAZIONE Compito di un’intelligente teoria dell’educazione è quello di indicare un piano d’azione, senza schierarsi da un parte e dall’altra (conservatori o progressisti), ma individuando un livello più profondo e comprensivo che introducano un nuovo ordine di idee che avvii a nuove pratiche. CAPITOLO 1: EDUCAZIONE TRADIZIONALE vs EDUCAZIONE PROGRESSIVA All’umanità piace pensare per estremi opposti, senza poter scorgere possibilità intermedie. Ovviamente, anche la storia della teoria dell’educazione è caratterizzata da un’opposizione, che tende ad assumere la forma di contrasto fra l’educazione tradizionale e quella progressiva: • Il modello tradizionalista si fonda sulla trasmissione di informazioni e abilità, elaborate in passato, alla nuova generazione (norme e regole di condotta; addestramento morale: docilità, ricettività e obbedienza). I libri e i manuali rappresentano il sapere e la saggezza del passato; gli insegnanti sono il tramite che pone gli alunni a contatto con il materiale e i mezzi attraverso il quale sono rafforzate le regole di condotta. Questo sistema è un’imposizione dall’alto e dal di fuori; esso impone norme, programmi e metodi di adulti ad individui che non lo sono. Il distacco è così grande che il programma, i metodi e le norme comportamentali rimangono estranei alle possibilità effettive degli alunni. Essi vano al di là dell’esperienza che egli possiede. Questa situazione impedisce di fatto una partecipazione attiva degli alunni. Ciò che è pensato e insegnato è statico, un prodotto finito. • Il modello progressista nasce come una forma di rivoluzione contro l’educazione tradizionale, a cui vengono opposti: l’espressione e la cultura dell’individualità; si impara non più molto dai libri, ma piuttosto facendo esperienza; le attività sono più libere e portano all’acquisizione di abilità e tecniche come mezzi per soddisfare le esigenze vitali; il massimo sfruttamento delle possibilità della vita del presente. C’è il volere di una familiarizzazione con un mondo in movimento. Ma attraverso l’ostinata critica al tradizionalismo, c’è molto spesso il pericolo di sviluppare i propri principi negativamente, piuttosto che positivamente e costruttivamente. Questi due modelli educativi non sono basati su un esame critico dei propri fondamenti (in quanto si limitano a respingere l’opposto); entrambi dovrebbero sottoporsi ad un esame critico, interrogarsi sulla necessaria relazione fra il processo dell’esperienza effettiva e l’educazione e sui diversi problemi dell’educazione. I problemi qui non solo non sono risolti, ma non vengono nemmeno posti. La nuova educazione pone l’accento sulla libertà dell’allievo. Ma cosa significa libertà? E quali sono le condizioni sotto le quali essa si realizza? Qual è la funzione del maestro e dei libri? Ogni esperienza dovrebbe in qualche modo preparare l’individuo alle esperienze posteriori più profonde e più ampie; è questo il vero significato di crescita, continuità e ricostruzione dell’esperienza. L’attitudine che più importa sia acquisita è il desiderio di apprendere; se l’impulso in questa direzione viene indebolito anziché rafforzato, ci troviamo di fronte a un fatto grave; l’alunno viene effettivamente privato delle native capacità, che altrimenti lo avrebbero messo in grado di cavarsela nelle circostanze della vita: la capacità di apprendere dalle proprie esperienze. Qual è dunque il vero significato della preparazione sul piano educativo? In primo luogo, un individuo, deve trarre dalla sua esperienza presente tuto quanto essa gli offre in quel momento; solo estraendo in ogni momento il pieno significato di ogni esperienza ci prepariamo a fare altrettanto nel futuro. Tutto ciò significa che deve essere rivolta attenta cura alle condizioni che danno a ogni esperienza presente un significato degno di considerazione. Il presente fa sempre sentire la sua influenza sul futuro; le persone che dovrebbero avere un’idea del nesso fra i due sono quelle che sono pervenute alla maturità; a loro dunque spetta la responsabilità di creare le condizioni per un genere di esperienza presente che abbia un effetto favorevole sul futuro. CAPITOLO 3: I CRITERI DELL’ESPERIENZA (da internet) Affinché l’educazione possa essere diretta intelligentemente sulla base dell’esperienza, è chiaro che bisogna enunciare i principi più importanti di questa teoria. 1. Il continuum sperimentale o principio della continuità ci permette di capire se l’esperienza ha un valore educativo o no. In particolare, per dire che un’esperienza è di qualità superiore, rispetto ad altre, deve possedere alcuni requisiti come: libertà individuale, correttezza e gentilezza nelle relazioni umane. Questo principio si basa sul principio dell’abitudine secondo il quale ogni esperienza fatta o subita modifica chi agisce o subisce e questo influisce sulla qualità delle esperienze future. Uno dei suoi principali casi particolari è quello dell’abito cioè un modo più o meno stabilito di fare le cose: formazione di attitudini, emozioni, sensibilità e modi di rispondere alle situazioni che ci capitano. Un esempio di principio di continuità è la crescita che, può prendere, in base alle esperienze fatte, molte direzioni differenti; (es. bandito) in tal caso, l’educatore, deve, dopo aver analizzato la situazione, vedere se la crescita promuove o ritarda lo sviluppo in generale del soggetto e in caso negativo modificarne le condizioni per una crescita vera e propria. Inoltre, determinate esperienze educative, portano il soggetto ad essere immune difronte a situazioni che prima gli avrebbero costituito degli ostacoli. L’educatore non può certo decidere se un’esperienza avrà continuità ma sicuramente può porre buone basi perché essa sia un’esperienza di qualità. Il beneficio più importante di questo principio è che questo può operare in modo da arrestare un individuo su un basso livello di sviluppo incapace di un ulteriore crescita suscitando curiosità e facendo nascere in lui desideri e propositi positivi per rialzarlo (continuità = forza propulsiva). L’educatore che manca di forza propulsiva è infedele al principio dell’esperienza per due motivi: 1) è venuto meno alla comprensione che avrebbe dovuto trarre della sua esperienza passata; 2) ogni esperienza umana implica contatto e comunicazione e la persona matura non ha il diritto di sottrarre al giovane la possibilità di imparare. L’educatore deve quindi tramandare la su esperienza senza però imporsi sull’educando ma solo stando all’erta alle relazioni che si stanno creando e capire gli stati d’animo dei soggetti, ovvero, quella che si chiama comprensione simpatica dell’individuo. Per questo è molto più difficile educare un soggetto seguendo il modello di Dewey piuttosto che quello tradizionale. Detto ciò è verissimo che ogni esperienza deve seguire il concetto di continuità ma deve anche tenere presenti le esperienze precedenti e quindi le condizioni esterne della presente esperienza, ad esempio se dei popoli già evoluti alle comodità tecnologiche, distruggessero le condizioni esterne di questa situazionpresente per un certo tempo, la loro civiltà retrocederebbe allo stato barbaro o primitivo. Ecco perchè sono importanti le relazioni interne (sentimenti, emozioni, etc.) ma anche le condizioni esterne (il mondo attorno a noi o ciò che ci ha preceduto). 2. Il principio dell’interazione è il secondo principio esistenziale che ci permette di capire se un’esperienza è educativa o meno. Grazie all’interazione vengono messi sullo stesso piano i due fattori dell’esperienza: le condizioni obiettive e le condizioni interne, che insieme danno vita alla situazione. Così, mentre l’educazione compiva il guaio di dare poca importanza ai fattori interni, l’educazione progressista ragionava x opposti e dunque riponeva maggior importanza nei fattori obiettivi rischiando poi la non curanza degli altri. ● Filosofia dell’aut-aut (o – o, prendere un decisione, schierarsi) CAPITOLO 4: IL CONTROLLO SOCIALE L’educazione come esperienza di vita necessita dunque di una teoria intelligente, ovvero una filosofia dell’esperienza che si basa su due principi fondamentali: il principio di continuità e il principio dell’interazione. Dewey sostiene pacifico per tutti che ogni cittadino medio sia soggetto al controllo sociale e che parte di questo controllo non sia sentito come una limitazione della libertà personale. Prendendo ad esempio la logica del gioco: per esser tale deve avere delle regole base, senza regole non c’è gioco; se nascono dei conflitti o dei contrasti ci sarà un arbitro a cui appellarsi altrimenti il gioco non prosegue e termina. Le regole dunque sono parte del gioco; non sono fuori di esso. Le regole del gioco e di condotta sono elevate a modello: sono regole che hanno la sanzione della tradizione; un elemento che è convenzionale ha una certa forza. Il controllo delle azioni individuali è fatto dall’intera situazione in cui gli individui sono compresi, di cui sono parte e di cui sono cooperatori e interattori. Coloro che vi partecipano non avvertono di dover sottostare a un individuo o di essere soggetti alla volontà di una persona che sovrasta dal di fuori. Nella famiglia, ad esempio, non è la volontà o il desiderio di una persona che mette ordine, ma lo spirito motore dell’intero gruppo. Il controllo è sociale, ma gli individui sono parte della comunità, non sono fuori da essa. L’insegnante o il genitore non esercitano volontà individuali in quanto rappresentano e sono gli esecutori degli interessi del gruppo (comunitario) come un tutto. Ecco ciò che differenzia l’azione arbitraria da quel che è giusto e leale; inoltre, non è necessario che la differenza sia formulata con parole, per essere avvertita nell’esperienza. Questo elemento comunitario mancava alla scuola tradizionale e mancavano di conseguenza anche le condizioni normali di controllo; l’insegnante mantiene l’ordine poiché era nelle sue mani e non nella partecipazione collettiva al lavoro. Nelle scuole nuove, la fonte principale del controllo sociale è la risposta alla natura stessa del lavoro, inteso come un’impresa sociale, a cui tutti gli individui hanno modo di prendere parte e di cui si sentono responsabili. Ma la vita di comunità non si organizza in modo spontaneo; esige pensiero e piani precisi. L’educatore deve, sulla sua responsabilità, conoscere tanto gli individui quanto la materia di studio. Le attività, a cui tutti partecipano, sono i mezzi principali del controllo in quanto ognuno può portare all’interno il suo contributo formando un’organizzazione sociale. L’educatore deve regolarsi nei confronti dei ragazzi caso per caso poiché, benché esistano regole generali per trattare i casi, tuttavia non ne esistono due identici. L’attività della comunità e l’organizzazione esercitano un controllo sugli impulsi individuali per il mero fatto che tutti sono impegnati in progetti comuni. Incombe sull’educatore il dovere di predisporre un piano intelligente e difficile; deve esaminare la capacità e i bisogni del gruppo di allievi con cui ha a che fare e disporre, allo stesso tempo le condizioni che forniscano materia di studio e contenuto per esperienze che appaghino questi bisogni e sviluppino queste capacità. Il piano deve essere abbastanza flessibile per permettere il libero gioco dell’esperienza individuale e abbastanza fermo per indirizzare verso un continuo esercizio del potere. L’educazione si compie attraverso l’interazione poiché l’educazione è un processo essenzialmente sociale; e lo diventa tanto meglio quanto più gli individui formano un gruppo comunitario. L’insegnante fa parte dei membri del gruppo; essendo il membro più maturo del gruppo ha la responsabilità di dirigere le interazioni e le intercomunicazioni, che costituiscono la vera vita del gruppo in quanto comunità. E’ così che l’insegnante perde la sua posizione esterna di padrone o di dittatore per assumere quella di direttore di attività associate. Esiste anche un fattore convenzionale standardizzato; nella vita della scuola lo ritroviamo nelle buone maniere, nelle manifestazioni di garbatezza e cortesia. Tuttavia, è possibile che queste forme sociali diventino delle mere formalità, pura apparenza esteriore, senza alcun intrinseco significato; questo a volte è causa di una totale assenza intellettuale e sentimentale di interesse per l’opera scolastica. CAPITOLO 5: LA NATURA DELLA LIBERTA’ L’altro lato del problema del controllo sociale è la natura della libertà. La sola che ha durevole importanza è la libertà dell’intelligenza ovvero la libertà di osservare e di giudicare, esercitata nei riguardi di piani che hanno un valore intrinseco, ovvero guardano all’importanza dei fattori interni. Quindi non si tratta della semplice libertà di movimento, in quanto il lato esterno e fisico non può essere separato dal lato interno. Queste due libertà devono viaggiare di pari passo e devono essere entrambe presenti in quanto si influenzano l’un l’altra. E’ anche vero però che una maggiore libertà di movimento è sempre un mezzo e non un fine poiché il problema educativo non si risolve una volta ottenuta questa forma di libertà. Tutto dipende da ciò che si fa con questa maggiore libertà. Senza la libertà esterna è impossibile che un insegnante impari a conoscere l’individuo con cui ha a che fare; la calma e l’obbedienza imposte impediscono agli allievi di rivelare la loro natura. Esse rafforzano l’uniformità artificiale; sacrificano l’essere all’apparire nonostante le tendenze individuali continuano ad avere libero corso sotto forma di attività clandestine. In questo senso appare il carattere non sociale della scuola tradizionale poiché premia il silenzio, la passività e l’immobilità fisica. La libertà di movimento è dunque importante come mezzo per mantenere la normale salute fisica e mentale. Tuttavia, la libertà di azione esterna è un mezzo in vista della libertà di giudizio e del potere di eseguire fini deliberatamente scelti. La quantità di libertà esterna necessaria varia da individuo a individuo. La quantità e la qualità di questo genere di libera attività come mezzo di crescita è un problema che deve esser presente al pensiero dell’educatore in ogni stadio di svolgimento. Non ci può essere però più grande errore che considerare tale libertà come un fine in sé poiché fa della libertà, che dovrebbe essere positiva, qualcosa di negativo. Gli impulsi e i desideri naturali costituiscono in ogni caso il punto di partenza; ma non c’è crescita intellettuale senza qualche ricostruzione, qualche rifacimento degli impulsi e dei desideri, nella forma in cui si manifestarono la prima volta. C’è alternativa fra l’inibizione imposta dall’esterno e l’inibizione conseguita attraverso la riflessione e il giudizio individuale. Pensare è così posporre l’immediata azione ed effettuare nel frattempo l’interno controllo dell’impulso mediante un’unione di osservazione e di memoria, unione che è il cuore della riflessione. La meta ideale dell’educazione è la creazione del potere di autocontrollo; tuttavia, la mera rimozione del controllo esterno non basta a far nascere l’autocontrollo. Gli impulsi e i desideri che non sono disciplinati dall’intelligenza sono sotto il controllo di circostanze accidentali; abbandonati all’impero della stravaganza e del capriccio immediato, cioè alla mercé di impulsi nella cui forma non è entrato il giudizio dell’intelletto; si è diretti da forze che non si riesce a governare. CAPITOLO 6: IL SIGNIFICATO DEL PROPOSITO La libertà individuale, lasciata ai discenti, coincide anche con il potere di concepire propositi e di eseguirli o portarli a compimento. Questa libertà è identica all’autocontrollo poiché la formazione di propositi e l’organizzazione di mezzi per eseguirli sono frutto dell’intelligenza. Un autentico proposito trova sempre il suo punto di partenza in un impulso; l’impedimento all’immediato appagamento di un impulso lo converte in un desiderio; tuttavia, né impulso né desiderio sono in sé un proposito. Il proposito è la visione di un fine, e la previsione delle conseguenze implica l’attività dell’intelligenza. Essa richiede in primo luogo osservazione delle condizioni e delle circostanze obiettive. L’esercizio dell’osservazione è una condizione della trasformazione dell’impulso in proposito; tuttavia, l’osservazione sola non basta; dobbiamo comprendere il significato di ciò che vediamo, udiamo e tocchiamo. Questo significato risulta dalle conseguenze dell’azione che si intraprende. Possiamo essere avvertiti dalle conseguenze soltanto in base alle esperienze anteriori; ma in casi straordinari, è difficile dire con precisione quali potranno essere le conseguenze delle condizioni osservate, a meno che non si richiamano alla memoria esperienze passate che giudichiamo simili alle presenti e, grazie a ciò, si formula un giudizio su ciò che ci si può attendere nella situazione presente. La formazione di propositi è dunque un’operazione piuttosto complessa; essa implica: • Osservazione delle condizioni circostanti; • Conoscenza di ciò che è accaduto in passato in situazioni analoghe; • Conoscenza ottenuta in parte dal ricordo e in parte con l’informazione (situazioni accadute ad altri); • Giudizio che raccoglie insieme i tre elementi citati sopra. Un proposito differisce da un impulso e da un desiderio originale per il fatto di venire tradotto in un piano e metodo d’azione basato sulla previsione delle conseguenze. Il problema cruciale dell’educazione è quello di ottenere che l’azione non segua immediatamente il desiderio ma sia preceduta dall’osservazione e dal giudizio poiché l’accentuazione dell’attività in generale anziché dell’attività intelligente come fine dell’educazione conduce a identificare la libertà con l’esecuzione immediata di impulsi e desideri. La mera previsione non è sufficiente; l’anticipazione intellettuale, l’idea che le conseguenze devono mescolarsi al desiderio e all’impulso per acquistare forza propulsiva; essa da allora direzione a ciò che altrimenti sarebbe cieco, mentre il desiderio dà alle idee impeto e intensità.
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