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Esperienza e Educazione, Sintesi del corso di Pedagogia

RIASSUNTO DEL VOLUME 'ESPERIENZA E EDUCAZIONE' DI JOHN DEWEY.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 21/05/2020

francisara_
francisara_ 🇮🇹

4.5

(54)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Esperienza e Educazione e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! JOHN DEWEY ESPERIENZA E EDUCAZIONE Intro Il pensiero di Dewey esercitò una grandissima influenza pedagogica, filosofica sociale e politica sulla cultura statunitense e non solo. Egli diede inizio al movimento dell’educazione progressiva, che influenzò sia le politiche educative sia le istituzioni formative a lui contemporanee, portandole ad una svolta di tipo esplicitamente democratico, che giungerà fino a quello che prenderà il nome di attivismo. A mano a mano, la pedagogia inizia ad affrancarsi dallo studio di altre discipline, a cui era stata fino ad allora considerata subordinata e ad essere studiata come disciplina autonoma, una scienza vera e propria che, sì, attinge e interagisce da e con altre scienze ma non instaura più con esse un rapporto di subalternità. Le posizioni teoriche e pratiche di Dewey pongono l’esperienza concreta dell’uomo come base fondante della cultura e della conoscenza. Il concetto di esperienza per Dewey riduce notevolmente il dualismo tra esterno e interno. L’esperienza non è mai esperienza subita di un oggetto da un soggetto, ma interazione fra soggetto e oggetto, una sorta di transazione i cui termini non sussistono mai di per sé ma solo nei termini della transazione stessa. L’esperienza rinvia sempre a situazioni di precarietà e problematicità radicali in cui l’uomo è coinvolto nel suo sforzo di adattamento ed evoluzione. Rispetto a tali situazioni lo strumento fondamentale di cui l’uomo dispone è la ragione o attività intelligente, vista come metodo che orienta il processo educativo. In Esperienza e educazione, pubblicato nel 1938, Dewey contrappone la sua posizione a quella dei conservatori che criticavano le ‘scuole nuove’ ispirate dal suo credo pedagogico e auspicavano il ritorno alla tradizione. Questo testo, nella sua forma polemica, è ancora oggi di grande attualità in quanto riesce, nel dibattito della scuola, a mettere a nudo le differenze fondamentali tra un’educazione autoritaria e una pratica democratica e innovativa. Dewey non parla mai di pedagogia ma di una filosofia dell’educazione basata sull’esperienza, poiché quest’ultima è la chiave di volta per pensare e fare educazione. Educare significa accrescere l’ambito dell’esperienza del docente e del discente, del ragazzo e dell’adulto, dell’alunno e dell’insegnante. L’esperienza non è primariamente conoscenza ma è più ampia e complessa rispetto al concetto di conoscenza. Non tutte le esperienze sono educative, la differenza è data dalla qualità dell’esperienza che viene proposta. Un’esperienza è educativa se vivrà fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno. Dewey insiste molto anche sulla attenzione che l’educatore deve dedicare all’allestimento dell’ambiente educativo, che deve diventare uno spazio generativo e di disponibilità. Il setting pedagogico viene collocato nel punto di massima intensità e importanza nell’esperienza educativa. Si tratta dell’assetto interno di insegnanti e alunni, a partire da un insieme di regole che rendono possibili i ruoli reciproci. A partire dal setting si può entrare in contatto con la qualità dell’esperienza, è come un ponte per accedere al livello più profondo del dispositivo pedagogico. La scuola costringe ognuno a domandarsi in che modo si è implicati in ciò che si sta conoscendo o comunicando. Ognuno è responsabile della scena creata dalla propria azione. Si tratta di allestire una scena educativa che permetta anche di sperimentare l’attraversamento del campo affettivo. Solo se l’affettivo e il cognitivo si intrecciano si può realmente dare forma all’esperienza educativa. A questo pensa Dewey quando parla del significato del proposito. Un proposito differisce da un impulso e da un desiderio per il fatto di venire tradotto in piano e metodo d’azione, basato sulla previsione delle conseguenze. Dewey dà la massima importanza all’acquisizione del desiderio di apprendere, in quanto solo dalla sperimentazione di questo desiderio può nascere un reale apprendimento dell’esperienza. In tal senso, l’esperienza può divenire mezzo e fine dell’educazione. Il principio della continuità dell’esperienza educativa va compreso alla luce della nozione di prospettiva temporale di Margaret Mead, per cui non si può comprendere la natura del tempo se non si tematizza il rapporto originario che l’emergente intesse con il flusso temporale. Il presente è il luogo dell’emergenza e l’emergente ha le stesse caratteristiche di quello che Dewey chiama evento educativo. Quest’ultimo porta sempre uno squilibrio, una discontinuità ma allo stesso tempo si dà una ‘storia’ osservabile. Una traccia della continuità dell’esperienza rimane visibile a partire dal fatto che il presente ‘accade in una prospettiva’. Ogni presente riscrive e amplia questa prospettiva che viene dal passato, per aprirsi al futuro che la novità emergente dischiude. Non sono possibili giudizi di esperienza o giudizi formali circa oggetti ed eventi se essi sono isolati, ma solo se sono connessi in un contesto complessivo, chiamato situazione. Il mondo diventa ciò che esso significa. La nostra storia di formazione e il nostro orizzonte temporale sono i testimoni da interrogare sulla scena dell’agire educativo se vogliamo comprendere pienamente cosa sia una esperienza pedagogica. L’esperienza come processo attivo si svolge nel tempo e ogni periodo successivo completa quello precedente. Per questo gli strumenti essenziali del lavoro educativo sono l’osservazione e la memoria. Solo dall’uso intrecciato di successiva e impedisce all’individuo di trarre da essa il frutto che potrebbe dargli. Diseducativa è anche una esperienza che aumenta l’abilità automatica di una persona verso una direzione ma tende a restringere la sua abilità di movimento in altro senso. Ciò rischia di compromettere la capacità dell’individuo di controllare le esperienze future, le quali sono dunque prese così come vengono e senza autocontrollo. L’educazione tradizionale può offrire esperienze di questo tipo. Dunque, non la mancanza di esperienza è il problema, ma il carattere erroneo e difettivo di esse. La qualità dell’esperienza ha due caratteristiche: 1. Può essere immediatamente gradevole o sgradevole 2. Esercita la sua influenza sulle esperienze ulteriori. Mentre il primo aspetto è facile da cogliere, non altrettanto lo è il secondo. Esso pone infatti un problema all’educatore, che deve disporre le cose in modo che le esperienze ne promuovano altre in futuro. Il problema centrale di una educazione basata sull’esperienza è quella di promuovere esperienze che vivano fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno, assicurando la continuità dell’esperienza, anche detta continuum sperimentale. È importante capire cos’è l’esperienza perché finché ciò non viene chiarito l’educazione che da essa deriva risulta campata in aria. Che l’educazione tradizionale fosse una routine in cui i piani e i programmi erano trasmessi dal passato, non implica affatto che l’educazione progressiva debba essere una improvvisazione. Dobbiamo intenderla come organizzazione su base empirica e sperimentale. CAPITOLO 3 I CRITERI DELL’ESPERIENZA Possiamo affermare con relativa tranquillità che una delle ragioni che ha favorito il movimento progressista è stato il fatto che esso sembra più conforme all’ideale democratico rispetto ai procedimenti della scuola tradizionale con il loro aspetto autocratico. Un’altra ragione che ha contribuito a farlo accogliere favorevolmente è il fatto che i suoi metodi sono umani, paragonati alla rudezza dei sistemi della scuola tradizionale. Dewey ci domanda perché preferiamo i procedimenti democratici e umani a quelli autocratici e duri. La prima ipotesi è che ci è sempre stato insegnato che la democrazia è la migliore istituzione sociale. Tuttavia, cause analoghe hanno condotto altre persone in differenti ambienti a conclusioni molto diverse. Ad esempio, a preferire il fascismo. Ciò ci fa comprendere come le cause della nostra preferenza non siano la stessa cosa delle ragioni per cui dobbiamo preferirla. Le ragioni per preferire l’orientamento progressista potrebbero invece essere: 1. Gli ordinamenti sociali della democrazia promuovono una qualità superiore di esperienza umana, più largamente accessibile; 2. Il principio del rispetto per la libertà individuale e per la correttezza e la gentilezza nelle relazioni umane risale alla convinzione che questi principi siano dovuti a una più alta qualità di esperienza da parte di un maggior numero di persone rispetto a metodi di repressione o coazione di forza; 3. La fede che abbiamo nella consultazione reciproca e nelle convinzioni ottenute mediante la persuasione rende possibile una qualità di esperienza migliore. La discriminazione tra i valori che ineriscono alle diverse esperienze è dunque la ragione ultima dell’accoglienza fatta all’educazione progressiva. Si ritorna dunque al principio del continuum sperimentale come criterio discriminante. Questo principio poggia sull’abitudine, ma va più a fondo del concetto ordinario di abito. Esso comprende infatti la formazione di attitudini emotive e intellettuali e comprende le nostre sensibilità fondamentali e i modi di rispondere a tutte le condizioni in cui ci imbattiamo nella vita. Il principio della continuità dell’esperienza significa che ogni esperienza riceve qualcosa dalle esperienze che la hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che la seguiranno. La crescita, ovvero il crescere come svolgimento, non solo fisicamente ma anche intellettualmente e moralmente, è un esempio del principio di continuità ma solo se si considera anche la direzione in cui il soggetto cresce e il fine verso cui tende. Solo e soltanto quando lo svolgimento in una direzione particolare conduce alla continuazione della crescita e non al suo arresto, esso risponde al criterio di educazione come crescita. Ritornando al problema della continuità come criterio per scindere le esperienze educative da quelle diseducative, possiamo dire che esiste qualche genere di continuità in ogni caso in quanto ogni esperienza influenza nel bene o nel male le esperienze che seguono. Ma mentre il principio di continuità si applica in qualche modo in ogni caso, la qualità dell’esperienza presente influenza il modo in cui il principio si applica. Perciò non è paradossale che il principio della continuità dell’esperienza può operare in modo da arrestare un individuo su un basso livello di sviluppo e incapace di una ulteriore crescita. Ogni esperienza è una forza propulsiva e il suo valore può essere giudicato solo in base all’oggetto verso cui o entro cui muove. La maggior maturità dell’esperienza che dovrebbe possedere l’adulto in quanto educatore lo mette in grado di valutare ogni esperienza del giovane dal punto di vista in cui non può porsi chi possiede una esperienza meno matura. All’educatore tocca, dunque, rendersi conto della direzione in cui si muove una esperienza. Mancare di cogliere la forza propulsiva di un’esperienza significa essere infedeli al principio dell’esperienza medesima. Il buon educatore deve essere in grado di giudicare quali attitudini avviano di fatto un aumento di crescita e quali altre la ostacolano. Deve poi avere quella comprensione simpatica dell’individuo in quanto tale che gli dà un’idea di cosa sta effettivamente accadendo negli spiriti di coloro che stanno imparando. L’esperienza non si compie semplicemente all’interno della persona ma ha un aspetto attivo che cambia in qualche modo le condizioni obbiettive sotto cui si compie l’esperienza. Per fornire un esempio generale, la differenza tra civiltà e stato selvaggio consiste nel grado in cui le esperienze precedenti hanno cambiato le condizioni oggettive sotto cui sono state compiute le esperienze posteriori. In breve, noi viviamo in un mondo di persone e cose che è ciò che è in virtù di ciò che è stato fatto e trasmesso dall’attività degli uomini che ci hanno preceduto. Esistono, pertanto, fonti di esperienza fuori dell’individuo da cui l’esperienza stessa è costantemente alimentata. La principale responsabilità dell’educatore è di riconoscere le condizioni che facilitano le esperienze che conducono alla crescita. L’educazione tradizionale veniva meno a questa responsabilità ed esigeva all’educatore un impegno decisamente minore, al contrario che nel caso dell’educazione progressiva. Dewey introduce il concetto di interazione, che permette di interpretare una esperienza nella sua funzione ed efficacia educativa. Essa assegna uguali diritti ai due fattori dell’esperienza, le condizioni obbiettive e quelle interne. Qualsiasi esperienza è un gioco reciproco di queste due condizioni che, prese insieme e nella loro interazione, costituiscono quella che Dewey chiama situazione. La educazione tradizionale poneva poca attenzione sulle condizioni interne ma ciò non significa che la nuova educazione debba sottrarre valore ai principi dell’altra parte. I principi della continuità e dell’interazione non sono separati l’uno dall’altro, ma si collegano e si uniscono. Sono per così dire la latitudine e la longitudine dell’esperienza. La continuità e l’interazione nella loro attiva unione reciproca offrono la misura del significato e del valore educativo di un’esperienza. L’immediata preoccupazione di un educatore è la situazione in cui ha luogo l’interazione. La responsabilità di scegliere condizioni oggettive porta con sé la responsabilità di comprendere i bisogni e le attitudini degli individui che imparano. Il mancato adattamento del materiale ai bisogni e alle attitudini degli individui può provocare un’esperienza non educativa quanto il mancato adattamento di un individuo al materiale. Ogni esperienza deve in qualche modo preparare l’individuo alle esperienze successive più profonde e più ampie. Questo è il vero significato di crescita. L’attitudine che è più importante che venga acquisita è il desiderio di apprendere. Se l’impulso in questa direzione viene indebolito anziché rafforzato, l’alunno verrebbe privato di innate capacità che altrimenti lo avrebbero messo in grado di cavarsela nelle circostanze della vita, ossia le capacità di apprendere dalle proprie esperienze. Il presente fa sempre sentire la sua influenza sul futuro. Le persone che devono avere una idea del nesso tra i due tempi sono quelle che sono pervenute alla questo genere di libera attività come mezzo di crescita è un problema che deve essere presente al pensiero dell’educatore in ogni stadio di svolgimento. L’errore più grande è dunque quello di considerare tale libertà come fine poiché è un errore che tende a distruggere la sorgente normale dell’ordine e fa della libertà, che dovrebbe essere positiva, qualcosa di negativo. Impulsi e desideri naturali costituiscono in ogni caso il punto di partenza, ma non c’è crescita intellettuale senza qualche ricostruzione o rifacimento degli impulsi e dei desideri nella forma in cui si sono manifestati la prima volta. Si crea dunque alternativa tra l’inibizione imposta dall’esterno e l’inibizione conseguita attraverso la riflessione e il giudizio individuale. Il pensiero, dunque, l’atto del pensare è arresto della immediata manifestazione dell’impulso sino a che quell’impulso sia stato messo in rapporto con le altre possibili tendenze attive e si sia formato un più complessivo e coerente piano di attività. Pensare è dunque posporre l’immediata azione ed effettuare nel frattempo l’interno controllo dell’impulso mediante un’unione di osservazione e memoria. La meta ideale dell’educazione è la creazione del potere di autocontrollo. Tuttavia, la mera rimozione del controllo esterno non basta a far nascere l’autocontrollo. Gli impulsi e i desideri non disciplinati dall’intelligenza sono sotto il controllo di circostanze accidentali, abbandonati all’impero della stravaganza e del capriccio immediato, cioè alla mercé di impulsi nella cui forma non è entrato il giudizio dell’intelletto. CAPITOLO 6 IL SIGNIFICATO DEL PROPOSITO La libertà individuale lasciata ai discenti coincide anche con il potere di concepire propositi ed eseguirli o portarli a compimento. Questa libertà è dunque identica all’autocontrollo poiché la formazione di propositi e l’organizzazione di mezzi per eseguirli sono opera dell’intelligenza. Un autentico proposito trova sempre il suo punto di partenza in un impulso. L’impedimento all’immediato appagamento di un impulso lo converte in un desiderio, ma né un impulso né un desiderio sono in sé un proposito. Il proposito è la visione di un fine e la previsione delle conseguenze implica l’attività dell’intelligenza. Essa richiede in primo luogo l’osservazione delle condizioni e delle circostanze obbiettive. Questo esercizio di osservazione è la condizione per la trasformazione dell’impulso in proposito. Tuttavia, l’osservazione da sola non basta. Dobbiamo anche comprendere il significato delle cose che osserviamo, vediamo, udiamo e tocchiamo. Possiamo essere avvertiti delle conseguenze soltanto in base ad esperienze anteriori. (Ad esempio, bambino con fiamma, attirato da essa ma non consapevole del fatto che se la toccasse si brucerebbe). In casi straordinari è difficile dire con precisione quali potranno essere le conseguenze delle condizioni osservate, a meno che non si richiamino alla memoria esperienze passate che giudichiamo simili alle presenti, e grazie a ciò possiamo formulare un giudizio su ciò che ci si può attendere nella situazione presente. La formazione di propositi è, dunque, un’operazione intellettuale piuttosto complessa, che implica: 1. Osservazione delle condizioni circostanti; 2. Conoscenza di ciò che è accaduto in passato in situazioni analoghe, ottenuta in parte con il ricordo e in parte con l’informazione, la notizia e l’avvertimento di coloro che possiedono una più ampia esperienza in relazione al fatto; 3. Giudizio che raccoglie insieme ciò che è stato osservato e ciò che è stato richiamato. Un proposito differisce da un impulso o da un desiderio originale per il fatto di venir tradotto in un piano e metodo d’azione basato sulla previsione delle conseguenze. Il problema cruciale dell’educazione è quello di ottenere che l’azione non segua immediatamente il desiderio o l’impulso, ma sia preceduta dall’osservazione e dal giudizio. la mera previsione delle conseguenze non è sufficiente. L’anticipazione intellettuale deve mescolarsi al desiderio per acquistare forza propulsiva. Essa dà direzione a ciò che altrimenti è cieco, mentre il desiderio dà alle idee impeto e intensità. I desideri sono in fondo le vere spinte all’azione, ma rimangono castelli in aria finché non vengono trasformati in mezzi con cui possono essere realizzati. L’educazione tradizionale tendeva a ignorare l’importanza del desiderio e dell’impulso ma non è chiaramente questa una ragione sufficiente per far sì che l’educazione progressiva ignori, invece, il bisogno di accurata osservazione. Il compito dell’insegnante è quello di vigilare affinché sia colta l’occasione per formare un proposito e un metodo di attività per realizzare i desideri. Il bravo insegnante aiuta la libertà, non la limita. La via è quella di rendersi intelligentemente conto delle capacità, dei bisogni e delle esperienze passate degli alunni e di permettere poi alla suggestione che ne trae di trasformarsi in un piano e in un proposito mediante gli ulteriori suggerimenti forniti da tutti i membri del gruppo. In altre parole, il piano, inteso qui come progetto educativo, è una impresa cooperativa e non una imposizione e il suo svolgimento si compie attraverso un reciproco dare e ricevere in cui anche l’insegnante è coinvolto. CAPITOLO 7 ORGANIZZAZIONE PROGRESSIVA DELLA MATERIA DI STUDIO Quando l’educazione è concepita in termini di esperienza, una considerazione deve dominare chiaramente tutte le altre. Tutto ciò che può essere chiamato materia di studio deve essere tratto dal materiale che rientra nell’ambito dell’esperienza di coloro che vengono istruiti. Il primo passo è trovare il materiale per l’insegnamento entro l’esperienza. In un secondo momento, ciò che è stato sperimentato deve progressivamente assumere una forma più piena e ricca e meglio organizzata, che gradualmente si avvicini a quella in cui la materia del sapere si presenta ad una persona competente e matura. Un precetto della nuova scuola è proprio quello per cui gli inizi dell’istruzione si colleghino all’esperienza che gli educandi già posseggono e che questa esperienza fornisca il punto da cui deve muovere tutto il sapere posteriore. È difficile capire precisamente come si potrà dirigere il sapere già contenuto nell’esperienza presente verso orizzonti e forme più organizzati. È essenziale che i nuovi oggetti ed eventi siano riferiti a quelli delle esperienze precedenti e ciò significa che deve esserci qualche progresso nella consapevole articolazione di fatti e idee. Il compito dell’educatore diventa quindi quello di discernere, nell’ambito dell’esperienza attuale, ciò che contiene la promessa e la possibilità di presentare nuovi problemi i quali, con lo stimolare nuove vie di osservazione e giudizio, allargheranno il campo dell’esperienza futura. L’insegnante deve dunque costantemente considerare ciò che è già acquisito non come un possesso statico ma come un mezzo e uno strumento per aprire nuovi campi, che esigono nuovi sforzi dall’osservazione e dalla memoria. Più che ogni altra cosa, l’educazione esige che si guardi lontano. L’educatore deve considerare il suo compito attuale in funzione di ciò che esso produrrà o meno in un avvenire i cui oggetti sono estremamente congiunti a quelli del presente. Sull’insegnante che congiunge educazione ed esperienza pesa un compito serio e duro: deve conoscere quali possibilità ci sono di introdurre gli allievi in nuovi campi che appartengono ad esperienze già fatte e deve servirsi di questa conoscenza come di un criterio per scegliere di disporre le condizioni che influenzano la loro presente esperienza. La scuola tradizionale non prestava attenzione a questi aspetti in quanto aveva a che fare solo con il passato. Ciò chiaramente non vuole dire che le scuole progressive, anche fosse soltanto per reazione, debbano cadere nell’eccesso opposto, ignorando il passato. Il problema della scelta e dell’organizzazione del materiale di studio è un problema fondamentale. Di sicuro è inevitabile tagliare i ponti con quei materiali disorganici e inariditi della scuola tradizionale. I problemi sono stimolo a pensare e vanno perciò sottoposti agli alunni. Tuttavia, devono mantenersi all’interno del raggio di capacità degli alunni e devono suscitare negli educandi una richiesta attiva di informazioni e stimolarli a produrre nuove idee. Queste nuove idee pongono le basi per nuove esperienze che porranno nuovi problemi e così via in una spirale infinita.
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