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Esperienza e educazione, John Dewey, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto del testo Esperienza ed educazione di John Dewey

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 17/07/2020

AnnalisaUni2
AnnalisaUni2 🇮🇹

4.4

(37)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Esperienza e educazione, John Dewey e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! John Dewey ESPERIENZA E EDUCAZIONE Prefazione Tutti i movimenti sociali comportano dei conflitti che si riflettono sul dibattito intellettuale. La teoria dell’educazione rappresenta un campo di scontri, sia teorici che pratici, e solleva un problema fondamentale: il compito di una adeguata teoria dell’educazione è quello di accertare le cause dei conflitti e poi, invece di prendere parte per gli uni o per gli altri, indicare un piano di interventi che proceda da un livello più profondo e più comprensivo di quello rappresentato dalle pratiche in conflitto. Assegnare questo compito alla filosofia dell’educazione non significa trovare un compromesso tra le scuole di pensiero o una combinazione di idee: significa introdurre un nuovo ordine di idee che avvii nuovi modi di pratica. È molto più difficile svolgere una teoria che si allontani dalla tradizione o dal costume, dirigere una scuola che si ispiri alle nuove idee piuttosto che seguire il sentiero battuto. È inevitabile che ogni movimento verso un nuovo ordine di idee possa provocare un ritorno a quelle del passato. Il volume ha il fine di suggerire coloro che vogliono un nuovo movimento nell’educazione, adatto al nuovo ordine sociale: ci si deve occupare dell’educazione in sé per sé, senza preoccuparsi delle tendenze momentanee (come il progressismo), perché si finirebbe col farsi involontariamente controllare da esse. Non si devono muovere i principi sulla base di una mera opposizione al passato ma da una reale comprensione dei bisogni, dei problemi e delle possibilità effettive. Il valore di questo saggio consiste nel richiamare l’attenzione su problemi dell’educazione più profondi. 1. Educazione tradizionale- educazione progressiva Agli uomini piace pensare per contrasto netto, per opposizione e non fa eccezione anche la filosofia dell’educazione, che è caratterizzata dall’opposizione fra l’idea che l’educazione è svolgimento dal di dentro e l’idea che essa sia formazione dal di fuori, fra la tesi che si sia basata su doti naturali e che invece sia un processo di soggiogamento delle inclinazioni naturali e di sostituzione al loro posto di abitudini tramite una pressione esteriore. Attualmente si ha una distinzione tra educazione tradizionale e educazione progressiva. Le idee che troviamo alla base della prima sono: il compito principale della scuola è quello di insegnare agli studenti i fatti del passato, le norme e le regole di condotta, al fine di modificare le abitudini e conformale a quelle del passato. Il piano generale dell’organizzazione scolastica con i suoi orari, i sistemi di classificazione, di promozione, regole disciplinari, rende la scuola totalmente diversa dalle altre istituzioni. Le caratteristiche elencate determinano i fini e i metodi dell’istruzione e della disciplina e lo scopo è quello di preparare il ragazzo alle responsabilità future e al successo nella vita mediante l’acquisizione di conoscenze e abilità ben fondate, basate sui principi del passato. Agli alunni si richiede di essere docili, obbedienti, ricettivi, e agli insegnanti di essere il tramite che li pone a contatto con i materiali, con i libri, che rappresentano il sapere e la saggezza del passato. Lo scopo non è quello di criticare la filosofia alla base di questo tipo di educazione, anche se il nascere della nuova educazione e delle nuove scuole è effetto di un disagio che suscita l’educazione tradizionale. Il sistema tradizionale consiste nell’imposizione dall’alto e dal di fuori di norme, programmi e metodi senza considerare le capacità effettive dell’alunno, le sue esperienze, e ciò ne impedisce una partecipazione attiva. Imparare, quindi, significa acquisire ciò che c’è nei libri, in modo statico e finito. In opposizione a ciò troviamo le varie scuole progressive, che in comune hanno un particolare interesse per l’individualità, per l’apprendimento fondato sull’esperienza e non dai libri e l’acquisizione di abilità utili ad esigenze vitali. Tutti i principi per sé stessi sono astratti e si fanno concreti solo nella loro applicazione e i principi esposti sono così di larga portata che tutto dipende dal modo in cui si interpretano quando sono applicati: in un nuovo movimento c’è sempre il pericolo che i suoi principi si sviluppino negativamente piuttosto che positivamente. Il fulcro della nuova educazione è nell’idea di un’intima relazione tra il processo dell’esperienza effettiva e l’educazione. Una filosofia che si limita a respingere trascurerà i reali problemi dell’educazione supponendo che basti opporsi totalmente al vecchio metodo invece di sforzarsi di scoprire che cosa esso significhi e come prevenirlo muovendo dall’esperienza: per il fatto che l’educazione di un tempo imponeva ai discendenti la conoscenza, i metodi e le norme di condotta non ne segue, se non in base all’estrema filosofia dell’opposizione, che la conoscenza e l’abilità degli adulti non possono servire da guida all’esperienza degli immaturi, al contrario una relazione di questo tipo permetterebbe un maggior contatto tra insegnanti e alunni. I principi generali della nuova educazione, quindi, non possono risolvere di per sé i problemi dell’effettiva e pratica gestione delle scuole progressive, piuttosto pongono nuovi problemi che devono essere affrontati sulla base di una nuova filosofia dell’esperienza, senza ripudiare le pratiche e le idee della vecchia educazione. dell’educazione tradizionale che invece ha un aspetto più autocratico, con metodi più rudi. Il principio del rispetto per la libertà individuale e per la correttezza e la gentilezza nelle relazioni umane risale alla convinzione che questi principi sono dovuti a una più alta qualità dell’esperienza da parte di un maggior numero, che non i metodi di repressione e forza. La nostra preferenza è dovuta alla fede che la consultazione reciproca e le convinzioni ottenute mediante la persuasione rendono possibile una qualità di esperienza migliore. La ragione dell'accoglienza fatta all'educazione progressiva, a cagione della sua fiducia nell'uso di metodi umani e della sua parentela con la democrazia, risale alla discriminazione fatta fra i valori che ineriscono alle diverse esperienze. Il criterio discriminante è il principio di continuità dell’esperienza. Questo principio poggia sull’abitudine: ogni esperienza fatta modifica chi agisce e l’esperienza seguente. Comprende la formazione di abitudini che sono emotive e intellettuali e si può affermare che ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che l’hanno preceduta e modifica la qualità di quelle che seguiranno. Il principio di applicazione è universale: il processo educativo può essere identificato con la crescita a patto che questa sia espressa col participio presente "crescente". La crescita è un esempio del principio di continuità e può prendere molte direzioni diverse, pertanto la sola crescita non basta, bisogna specificare la direzione in cui cresce, il fine verso cui tende. Si tratta di vedere se la crescita in una determinata direzione promuova o ritardi la crescita in generale. Quando e soltanto quando lo svolgimento in una direzione particolare conduce alla continuazione della crescita, esso risponde al criterio dell'educazione come crescita. Difatti questa concezione deve trovare un'applicazione universale e non limitata a casi speciali. Ogni esperienza influenza in bene o in male quelle che seguiranno, il modo di approcciarle e di agire: la qualità dell’esperienza presente influenza il modo in cui il principio si applica. Promuovere un atteggiamento che agisce come un’automatica richiesta al soddisfacimento dei desideri induce il ragazzo a cercare il genere di situazione che lo metta in grado di fare ciò che vuole, quando vuole, rendendolo ostile e incompetente in situazioni che esigono sforzo e perseveranza nel superare gli ostacoli. Se un’esperienza invece suscita curiosità, rafforza l’iniziativa e fa nascere desideri, la continuità opera in modo del tutto diverso, fungendo da forza propulsiva. La maggior maturità di esperienza che dovrebbe possedere l’adulto lo mette in condizione di essere in grado di saper valutare ogni esperienza del giovane, per poterlo aiutare a organizzare le condizioni dell’esperienza. Mancare di ciò significa essere infedeli al principio dell’esperienza medesima: venendo meno alla comprensione che avrebbe dovuto trarre dalla sua esperienza passata e al fatto che ogni esperienza è comunicazione e contatto. comunicazione. La persona matura, per esprimermi in termini morali, non ha il diritto di sottrarre al giovane in date circostanze qualsiasi capacità di comprensione simpatica che la sua esperienza ha fornito. Bisogna anche dire qualcosa riguardo al modo in cui l’adulto può esercitare l’accorgimento che gli procura la sua più apia esperienza senza imporre un controllo meramente esterno: deve essere in grado di comprendere le attitudini e le tendenze del ragazzo, avendo cura di osservare anche ciò che accade nel suo spirito. L’esperienza però non si compie solo all’interno della persona, si svolge lì perché influenza la formazione di attitudini e desideri, ma ogni esperienza autentica modifica anche le condizioni obbiettive sotto cui si compie l’esperienza. Noi viviamo dalla nascita alla morte in un mondo che è il frutto delle azioni e di ciò che ci è stato trasmesso dal passato: quando dimentichiamo ciò, consideriamo l’esperienza come qualcosa che si compie all’interno di individui, ma esistono delle esperienze al di fuori dell’individuo ed è fondamentale coglierne l’importanza pedagogica. Uno dei compiti dell’educatore è conoscere il che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a promuovere esperienze di valore. La scuola tradizionale non aveva questo problema, non richiedeva che il maestro si informasse delle condizioni di vita circostante per utilizzarle a fini educativi, mentre un sistema di educazione che si basi sul nesso tra educazione ed esperienza deve prendere costantemente in considerazione queste cose. Questa partecipazione attiva che si chiede all’insegnante è un’ulteriore difficoltà rispetto alla scuola tradizionale. Bisogna che esista una sorta di interazione fra l’interno e l’esterno: Permettetemi di chiarire la cosa con l'esempio di un bimbo. I bisogni che ha un bimbetto, di nutrirsi, di riposare, di agire sono certo di primaria importanza e decisivi sotto un certo rispetto. Si deve provvedere di che nutrirlo, gli si deve procurare un sonno tranquillo e così via. Ma questo non significa che il genitore nutrirà il bimbo ogni volta che egli mostra stizza o malumore, che non ci sia un orario regolare per la nutrizione, per il sonno ecc. La madre avveduta tien conto dei bisogni del bambino senza però sottrarsi alle sue responsabilità per regolare le condizioni oggettive sotto le quali i bisogni sono soddisfatti. E se essa è una madre accorta sotto questo aspetto, si baserà sulle passate esperienze degli esperti non meno che sulle proprie per rendersi conto quali sono le esperienze che meglio promuovono lo svolgimento normale dei bambini. Queste condizioni, invece di essere subordinate ai subitanei impulsi interni del piccolino, sono predisposte in modo che ci possa essere una particolare specie di interazione fra esse e questi subitanei stati interni. La parola interazione esprime il secondo principio essenziale, che permette di interpretare una esperienza nella sua funzione ed efficacia educativa. Essa assegna eguali diritti ai due fattori dell’esperienza: le condizioni obbiettive e le interne, perché ogni esperienza è un gioco reciproco di queste due serie di condizioni. Il problema dell’educazione tradizionale era la poca attenzione riservata ai fattori interni e pertanto si violava il principio dell’interazione da una parte, ma allo stesso modo questa non è una buona ragione perché la nuova educazione violi il principio dall’altra parte. L’esempio sopra riportato indica che i genitori hanno la responsabilità di sistemare le condizioni in cui si compie l’esperienza di nutrimento, sonno ... e in secondo luogo che assolvano il proprio dovere con l’utilizzare l’esperienza accumulata del passato, rappresentata, ad esempio, dal consiglio di medici competenti. Sotto quale rispetto la regolamentazione delle condizioni oggettive limita la libertà del piccolo? Dire che gli individui vivono in un mondo significa dire che vivono in una serie di situazioni, in un’interazione tra gli uni e gli altri e la situazione e l’interazione non si possono concepire l’una senza l’altra. I due principi della continuità e dell'interazione non sono separati l'uno dall'altro. Essi si collegano e uniscono. Essi sono, per così dire, gli oggetti longitudinale e laterale dell'esperienza. Situazioni differenti si succedono l’una a l’altra ma in virtù del principio di continuità qualcosa passa da quella che precede a quella che segue: quello che si acquisisce in conoscenza e abilità in una situazione diventa strumento di comprensione e azione nella situazione che segue. Quando questo non avviene il corso dell’esperienza è disordinato e quando questa scissione raggiunge un certo punto noi diciamo che l’individuo è pazzo. La continuità e l’interazione nella loro unione reciproca pongono la misura del significato e del valore educativo di un’esperienza. L'immediata diretta preoccupazione di un educatore è la situazione in cui ha luogo l'interazione. L'individuo, che entra a far parte di essa, è quel che è in quel dato momento. È l'altro fattore, quello delle condizioni oggettive, che può essere fino ad un certo punto regolato dall'educatore. Come ho già notato la frase "condizioni oggettive" ha un senso molto lato. Implica quel che è fatto e il modo in cui è fatto, non soltanto le parole dette, ma il tono della voce con cui sono dette. Implica arredamento, libri, attrezzi, giocattoli, giochi. Implica i materiali con cui l'individuo interagisce e, più importante di tutti, il totale assetto sociale delle situazioni in cui una persona è impegnata. Ma la vita in società non si organizza in modo semplicemente spontaneo, nonostante la natura dei ragazzi sia socievole: esige pensiero e piani precisi. L’educatore deve conoscere tanto gli individui quanto la materia di studio. Non tutti gli alunni risponderanno positivamente in ogni occasione poiché è possibile che siano già stati vittime di condizioni esterne sfavorevoli, diventando passivi e non in grado di collaborare oppure indisciplinati e presuntuosi. Ma questi non possono mettere in forse il principio generale del controllo sociale e l’insegnante deve regolarsi nei loro riguardi e caso per caso. L’esclusione è forse l’unica misura che conviene in questi casi, ma non è una soluzione (Può difatti rafforzare proprio le cause che hanno dato origine all'indesiderabile atteggiamento antisociale, per esempio al desiderio di richiamare l'attenzione su di sé o di mettersi in evidenza). Io non so a che servirebbe la maggiore maturità dell'insegnante e la sua più estesa conoscenza del mondo, delle materie di studio e degli individui, se egli non fosse in grado di disporre le condizioni che promuovono, l'attività della comunità e l'organizzazione che esercita controllo sugli impulsi individuali per il mero fatto che tutti sono impegnati in progetti comuni. Non bisogna respingere ogni idea di piano, è all’educatore che spetta la responsabilità e il dovere di predisporre un piano intelligente di una mera organizzazione di attività imposte dall’alto: deve esaminare le capacità e i bisogni del gruppo di allievi e disporre al tempo stesso le condizioni che forniscano materia di studio e contenuto per esperienze che soddisfino questi bisogni e capacità. Il piano deve essere abbastanza flessibile per permettere il libero gioco dell'esperienza individuale e abbastanza fermo per indirizzare verso uno svolgimento continuo del potere. Il principio che lo sviluppo dell’esperienza si compie attraverso l’interazione indica che l’educazione è essenzialmente un processo sociale ed è assurdo escludere l’insegnante dai membri del gruppo, in quanto egli ha la responsabilità di dirigere le interazioni e le comunicazioni che costituisco la vera vita del gruppo. Pensare di poterlo eliminare da questa relazione significa andare da un estremo all’altro: l'insegnante perde la sua posizione esterna di padrone o di dittatore per assumere quella di direttore di attività associate. 5. La natura della libertà A rischio di ripetere quello che è stato detto spesso desidero fare qualche osservazione circa l'altro lato del problema del controllo sociale, vale a dire la natura della libertà. La sola libertà che ha vera importanza è la libertà dell’intelligenza. Libertà non si deve confondere con la libertà di movimento, esterna, perché questa non può essere separata dalla libertà di pensare, di desiderare e di fare progetti. La limitazione imposta esternamente dalle disposizioni della scuola tradizionale (file di banchi e regime militare degli alunni) poneva grande restrizione alla libertà morale e intellettuale. Allo stesso modo, una maggiore libertà di moto esterno è un mezzo, non un fine. Il problema educativo non è risolto quando si tutela questa forma di libertà, nonostante apporti grandi benefici: senza di essa infatti l’insegnante non potrebbe conoscere l’individuo con cui ha a che fare, poiché la calma e l’obbedienza imposta impediscono agli allievi di rivelare la loro vera natura premiando l’uniformità all’artificiale. Eppure, senza questa conoscenza è un mero caso se il materiale di studio e i metodi adoperati nell’istruzione si adatteranno all’alunno in modo tale da assicurare lo sviluppo del suo intelletto e del suo carattere. L’altro beneficio dell’aumentata libertà consiste nella natura stessa del processo di apprendere, infatti la libertà di movimento è importante come mezzo per mantenere la normale salute fisica e mentale (come affermavano i Greci). La quantità di libertà necessaria varia da individuo a individuo, tende a diminuire con il passare dell’età ma non arriverà mai alla completa assenza. La quantità e la qualità di questo genere di libera attività come mezzo di crescita è un problema che deve esser presente al pensiero dell'educatore in ogni stadio di svolgimento. La libertà non è fine a sé stessa. Gli impulsi e i desideri costituiscono il punto di partenza e non ci sarebbe crescita intellettuale senza qualche rifacimento a questi. Questo rifacimento implica inibizione dell’impulso nella sua forma prima: c’è alternativa tra l’inibizione imposta dall’esterno e l’inibizione conseguita attraverso il giudizio individuale. Pensare è posporre l’immediata azione ed effettuare all’interno del controllo dell’impulso, mediante un’unione di osservazione e memoria. La meta ideale dell'educazione è la creazione del potere di autocontrollo, ma la mera rimozione del controllo esterno non basta a far nascere l'autocontrollo. Può essere una perdita piuttosto che un guadagno sottrarsi al controllo di un'altra persona soltanto per abbandonarsi all'impero della stravaganza e del capriccio immediato, cioè alla mercé di impulsi nella cui formazione non è entrato il giudizio dell'intelletto. 6. Il significato del proposito Coglie dunque giusto l'istinto che identifica volontà e potere di concepire propositi e di eseguirli o di portarli a compimento. Ma il significato dei propositi e dei fini non è di evidenza immediata e non si coglie da sé. Più si accentua la loro importanza educativa, più importante è intendere che cosa è un proposito, come sorge e come funziona nell'esperienza. Un autentico proposito trova sempre il suo punto di partenza in un impulso. L’impedimento all’immediato appagamento di un impulso lo converte in un desiderio, tuttavia né impulso né desiderio sono in sé un proposito. Il proposito è la visione di un fine, involge una previsione dalle conseguenze che risulteranno dall’operare in base a un impulso. La previsione delle conseguenze implica attività dell’intelligenza, che richiede osservazione delle condizioni e delle circostanze obbiettive. L’esercizio dell’osservazione è una condizione della trasformazione dell’impulso in proposito, ma non basta. Dobbiamo comprendere il significato di ciò che vediamo, udiamo e tocchiamo e questo significato risulta dalle conseguenze dell’azione che si intraprende e possiamo essere avvertiti dalle conseguenze soltanto in base alle esperienze anteriori. Nei casi resi familiari da numerose esperienze antecedenti non dobbiamo fermarci a ricordare quali sono state codeste esperienze, ma nei casi straordinari, è difficile dire con precisione quali potranno essere le conseguenze delle condizioni osservate, a meno di richiamare alla memoria le esperienze passate. La formazione di propositi implica l’osservazione delle condizioni circostanti, la conoscenza di ciò che è accaduto in passato in situazioni analoghe, e giudizio, che raccoglie insieme quel che è stato osservato e quel che è stato richiamato per vedere cosa significhino. Un proposito differisce da un impulso e da un desiderio per il fatto di venire tradotto in un piano e metodo d’azione basato sulla previsione delle conseguenze dell’operare. Il desiderio può essere così intenso da impedire un’esatta valutazione delle conseguenze che deriverebbero dal soddisfacimento di esso: il problema cruciale dell'educazione è quello di ottenere che l'azione non segua immediatamente il desiderio, ma sia preceduta dall'osservazione e dal giudizio. L'anticipazione intellettuale, l'idea delle conseguenze deve mescolarsi al desiderio ed all'impulso per acquistare forza propulsiva. Ognuno di noi ha dei desideri che sono le vere spinte all’azione e l’intensità del desiderio misura l’intensità dello sforzo che sarà fatto. Ma i desideri sono vuoti castelli in aria sino a che non vengono trasformati in mezzi con cui possono essere realizzati. Il problema del quando o dei mezzi prende il posto del fine progettato nell'immaginazione, e poiché i mezzi sono obbiettivi, occorre studiarli e comprenderli se si deve formare un autentico proposito. L’educazione tradizionale tendeva a ignorare l’importanza dell’impulso e del desiderio personale come spinta iniziale all’azione, ma questa non è una buona ragione perché la nuova educazione identifichi impulsi e desiderio con i propositi, trascurando il bisogno di osservazione. In un piano educativo, l'esistenza di un desiderio e di un impulso non è lo Ancora una volta, fa parte della responsabilità dell'educatore di tener presenti due cose ad un tempo: in primo luogo, che il problema nasca dalle condizioni dell'esperienza presente e si contenga entro il raggio della capacità degli alunni; in secondo luogo, che esso sia di tal natura da suscitare nell'educando una richiesta attiva di informazioni e da stimolarlo a produrre nuove idee. Il metodo migliore per lo studio della scienza è partire proprio dall’esperienza: è assurdo pensare che processi simili a quelli studiati in laboratori non siano una parte dell’esperienza della vita quotidiana dei ragazzi e non debbano rientrare nell’ambito dell’educazione basata sull’esperienza. Ovviamente l’alunno non potrà studiare fatti e principi nel modo in cui li studia l’adulto competente, ma questo fatto da all’educatore la responsabilità di condurre gradualmente il discente all’esperienza di ordine scientifico. Ci si ripete quasi ogni giorno e da molte parti che è quasi impossibile per l'essere umano dirigere intelligentemente la sua vita quotidiana, fatta da abitudini e complesse relazioni emotive. Non c'è nulla nella natura intrinseca dell'abitudine che impedisca al metodo intelligente di diventare esso stesso abituale; e non c'è nulla nella natura dell'emozione che impedisca all'emozione di subordinarsi al metodo. Nella pratica, se non con tanta abbondanza di parole, si tiene spesso per certo che siccome l'educazione tradizionale si basava su un concetto dell'organizzazione della conoscenza che disprezzava in modo quasi assoluto l'esperienza presente della vita, l'educazione fondata nell'esperienza della vita dovrebbe disprezzare l'organizzazione di fatti e idee. L’educatore non può prendere la conoscenza già organizzata e distribuirla in pillole, ma il processo attivo di organizzazione di fatti e idee è un processo educativo che non può mancare. Non è vero che l’organizzazione è un principio estraneo all’esperienza, perché in questo caso l’esperienza sarebbe meno dispersiva. Uno dei problemi più grandi dell’educazione è la modulazione che, in questo caso, significa movimento da un centro sociale e umano verso un piano intellettuale più obiettivo di organizzazione. La materia del sapere organizzato dell’adulto non è il punto di partenza, ma la meta verso la quale l’educazione dovrebbe tendere. Fondamentale, fin da subito, è il principio di causa effetto: le esperienze più elementari dei ragazzi sono riempite di casi, di relazione, di mezzi e conseguenze. L’inconveniente nell’educazione risiede nell’incapacità di sfruttare le situazioni per condurre gli alunni a cogliere la relazione in quei determinati casi dell’esperienza. Questo principio determina l'ultima fondazione per l'utilizzazione delle attività nella scuola. Nulla è più assurdo da un punto di vista educativo che insistere per una varietà di occupazioni attive nella scuola e nello stesso tempo screditare il bisogno di organizzazione progressiva della documentazione e delle idee. È ovvio che quanto più immaturo sarà il discente, tanto più semplici saranno i fini e più rudimentali i mezzi, ma il principio di organizzazione vale anche per i più piccoli, perché altrimenti l’attività cessa di essere educativa. Il fine non è l’acquisizione di abilità meccaniche che avviano gli alunni a fare attenzione alle relazioni fra mezzi e fini. Se non si riuscirà a risolvere il problema dell'organizzazione intellettuale sulla base dell'esperienza, si verificherà certamente una reazione a favore dei metodi di organizzazione imposti dall'esterno. E le critiche al metodo progressivo e alle scuole sono molte e si ritiene che la scienza e il suo metodo debbano tenere un posto subordinato, preferendo la logica dei principi primi di Aristotele e San Tommaso d’Aquino, perché i giovani possano disporre di un saldo punto di appoggio nella loro vita intellettuale e morale. Due sono le vie tra cui l’educazione deve scegliere: una consiste nel tornare al vecchio metodo, prima del metodo scientifico; l’altra alternativa è la sistematica utilizzazione del metodo scientifico considerato come modello e ideale dell'intelligente esplorazione e sfruttamento delle possibilità implicite nella esperienza. Se non si dedica attenzione costante allo svolgimento del contenuto intellettuale delle esperienze e al conseguimento di un’organizzazione incessantemente crescente di fatti e idee si rafforza solo la tendenza all’autoritarismo intellettuale e morale. I tratti del metodo scientifico sono così legati con qualsiasi piano di educazione basato sull’esperienza che non possono non essere noti. Il metodo sperimentale della scienza dedica maggiore importanza alle idee di qualsiasi altro metodo: il fatto che le idee adoperate siano ipotesi e non verità definitive è il motivo per cui sono esaminate più che negli altri metodi. La ragione di esaminarle scrupolosamente cessa soltanto dal momento in cui sono accolte come verità. Come verità definitivamente fissate devono essere ricevute e non se ne parla più. Ma sino a che sono ipotesi devono essere costantemente soggette alla verificazione ed alla revisione. Il che implica che esse siano accuratamente formulate. In secondo luogo, idee o ipotesi sono verificate dalle conseguenze che provoca la loro attuazione. Il che significa che occorre osservare con cura e discernimento le conseguenze dell'azione. In terzo luogo, questo metodo esige che in ogni tappa vi si conservino tracce delle idee, delle attività e delle conseguenze osservate. Le esperienze per essere educative devono sfociare in un mondo che si espande in un programma di studio, programma di fatti, di notizie e di idee. A questa condizione si soddisfa solo a patto che l'educatore consideri insegnare e imparare come un continuo processo di ricostruzione dell'esperienza. Questa condizione a sua volta può essere soddisfatta solo a patto che l'educatore guardi lontano dinanzi a sé, e consideri ogni esperienza presente come una forza propulsiva per le esperienze future. Il metodo scientifico è l’unico mezzo autentico a nostra disposizione per cogliere il significato delle nostre esperienze quotidiane e l’adattarlo agli individui di vari gradi di maturità è compito dell’educatore: in tutti i gradi se l’esperienza è educativa si constata un processo di espansione dell’esperienza. 8. L’esperienza mezzo e fine dell’educazione I conservatori non meno dei radicali nell'educazione sono profondamente insoddisfatti della presente situazione dell'educazione presa nel suo complesso. C’è però una convinzione comune: il sistema educativo deve prendere o una via o l’altra. Un’eventualità per cui l’indirizzo della scuola progressiva possa fallire è nel caso in cui si concepiscano in modo errato esperienza e metodo. Ne consegue che l'unico motivo di una temporanea reazione contro le norme, i fini e i metodi della nuova educazione non potrà essere che l'incapacità degli insegnanti che l'hanno adottata a interpretarla in modo fedele nella pratica della loro scuola. Il punto essenziale non è già la contrapposizione di educazione nuova e vecchia, di educazione progressiva e tradizionale, ma il problema che cosa si deve fare perché il nostro fare meriti il nome di educazione. John Dewey Burlington (Vermont- USA) 1859 New York 1952 Contesto storico, vita e pensiero Contesto storico: 1861-1865, Guerra di secessione americana (detta anche guerra civile) Nordisti: Stati Uniti Sudisti: Secessionisti Finì con la vittoria degli Stati Uniti (Abram Lincoln era presidente degli Stati Uniti) 1865-1918: dopo la guerra di secessione gli USA erano ancora divisi.
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