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esperienza ed educazione, Dispense di Didattica generale e speciale

Si tratta di appunti completi di Esperienza ed Educazione

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 03/07/2023

eleonora-mastrogiacomo-2
eleonora-mastrogiacomo-2 🇮🇹

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Scarica esperienza ed educazione e più Dispense in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! 1 Esperienza e didattica. 1. Esperienza ed educazione. Il termine metodologia didattica non ha una definizione precisa attualmente, anche perché fino al ‘700 le attività di insegnamento erano identificate con la spiegazione dell’insegnante e la ripetizione degli allievi. Erasmo da Rotterdam propone di accompagnare l’insegnamento dei bambini nella prima infanzia con immagini e racconti; ma il primo a porsi il problema di quali strategie didattiche ed educative rispondano meglio alle esigenze del bambino è Comenio. Riconosciuto come “sistematore del discorso pedagogico”, nella sua Didactica magna, egli anticipa Rousseau illustrando i fondamenti della sua visione metodologica e didattica, partendo dal rapporto tra apprendimento ed esperienza diretta. Evoluzione del concetto di esperienza. Per lungo tempo la riflessione pedagogica ha coinciso con la riflessione filosofica. La filosofia greca identifica il mondo dell’esperienza con il mondo del divenire, di cose che nascono, vivono e muoiono e che sono oggetto dell’esperienza quotidiana; già a partire dal significato etimologico di “esperienza” (prova, tentativo e anche conoscenza), si nota subito la separazione tra pensiero ed esperienza, tra mente e corpo. - Anassagora: la conoscenza non può esistere se non a partire dal corpo. - Eraclito: l’esperienza e il senso comune sono il mondo dei “dormienti”, perché per conoscere la vera natura delle cose bisogna superare l’esperienza quotidiana. - Parmenide: il mondo sensibile (corporeo) è pura apparenza, il dominio dell’esperienza è il verosimile (ed è cmq imperfetta). - Protagora: V secolo a.C., ricollega esperienza e conoscenza. L’uomo è misura di tutte le cose, la verità esiste ma è relativa. La materia diventa esperienza e quest’ultima si manifesta entro limiti di tempo e spazio. - Platone: concezione dualistica della realtà, da un lato il mondo dell’esperienza e del divenire (dimensione dell’inganno dei sensi), dall’altro il mondo delle idee e la conoscenza (dimensione della verità); il corpo è descritto come tomba dell’anima, una sorta di prigione. - Socrate: insieme a Platone, si avvale della maieutica e dell’ironia per educare il soggetto. - Aristotele: riporta la filosofia a un rapporto meno conflittuale con l’esperienza: tramite un processo che va dal sensibile e visibile all’intellegibile e invisibile, il filosofo fa esperienza e conosce tutto ciò che è; i sensi sono alla base della conoscenza. Ciò che caratterizza il pensiero nel mondo antico è la dicotomia dialettica tra mondo sensibile (conoscenza che nasce dall’esperienza) e mondo delle idee (conoscenza innata a prescindere dal contatto con il mondo reale). Il concetto di esperienza nel mondo moderno. Nel XVI secolo assistiamo a nuove riflessioni e ricerche sull’uomo, in cui si afferma la sua supremazia sulla natura: questi indirizzi di pensiero sono riconducibili al razionalismo e all’empirismo (entrambe affrontano l’esperienza sensibile come problema). Cartesio si occupa dell’inganno dei sensi, incapaci di fornirci certezza: i loro errori sono connessi a limiti fisici e soggettivi della nostra percezione della realtà. Si mette in dubbio l’appartenenza dei sensi ai corpi stessi: l’empirismo afferma che l’uomo può avere conoscenze valide del mondo e della natura solo a partire dall’esperienza diretta e sensibile. - Comenio elabora un metodo per rinnovare la scuola ponendo al centro il superamento del verbalismo (le parole devono essere associate alle cose che devono essere dimostrate) e l’attenzione per i ritmi e le modalità dei processi educativi. Il suo metodo di insegnamento si fonda su materiali illustrativi e sull’esperienza diretta e tende a formare un pensiero autonomo del bambino, di un’intelligenza fondata sulla propria conoscenza. - Con Locke nasce una nuova psicologia empirica, secondo cui il cervello è una tabula rasa che ricava idee e conoscenze solo dall’esperienza. L’esperienza di cui parla è di due tipi: la sensazione (esperienza esterna) e la riflessione (esperienza interna), le quali producono idee semplici che se combinate originano idee complesse. l’esperienza è l’unica fonte del nostro conoscere e agire. - Hume (XVIII) introduce una visione nuova: afferma che le conoscenze più certe che la ragione può trarre dall’esperienza sono le percezioni o impressioni; la conoscenza si distingue in: astratta (si esplica mediante la relazione tra idee; è una conoscenza necessaria, propria della matematica) empirica (stabilisce un legame tra impressioni e cose o materie di fatto; è una conoscenza probabile perché tutto ciò che accade potrebbe non accadere). Dal punto di vista pedagogico, tutte queste riflessioni empiriste si traducono così: • Stravolta l’idea di insegnamento: l’esperienza diretta è l’accesso primario alla conoscenza della realtà; • Centralità del corpo, critica al verbalismo e l’apprendimento senza le cose; • Specificazione dell’esperienza: quando se ne parla si intende anche la riflessione su di essa, attraverso il passaggio dal pensiero empirico ad astratto (Hume) e dalle idee semplici a quelle complesse (Locke). 2 Il sensismo settecentesco riconduce ogni atto del conoscere al sentire, si oppone all’innatismo e al razionalismo, ma si differenzia dall’empirismo che fa derivare la conoscenza da due fonti (sensazione e riflessione). Condillac, sulla scia di Locke, sostiene che l’intera vita psichica (dalla memoria fino alle operazioni più complesse) ha origine dalla sensazione e che l’esperienza è l’origine sia della conoscenza sia di tutte le funzioni umane. In sintesi, nel sensismo il processo cognitivo è concepito come sviluppo graduale generato da bisogni fisiologici e dai sentimenti di piacere e dolore che lo accompagnano. Se da un lato le nuove teorie sensiste danno un contributo per contrastare l’idea verbalista e astratta dell’insegnamento, dall’altro non riescono a minare la concezione innatista della conoscenza e a cambiare il sistema scolastico. Rousseau. È il vero scopritore dell’infanzia e del ruolo che l’esperienza può esercitare sulla crescita fisica e psicologica del fanciullo. Attraverso il racconto dell’esperimento operato con Emilio, Rousseau parla di educazione naturale e illustra il ruolo dell’esperienza nel processo educativo: bisogna lasciare agire la natura, non dare lezioni verbali perché la conoscenza formalizzata non può prevenire quella concettuale. Egli parla inoltre di educazione indiretta, secondo la quale il maestro deve trasformare le sensazioni in idee ( per mezzo degli oggetti sensibili si deve arrivare a quelli intellettuali) e non deve attribuire agli allievi le proprie modalità di conoscenza. La soluzione per evitare di impartire nozioni lontane dal bambino, è l’esperienza diretta che farà nascere nel bambino il desiderio di imparare e lo introdurrà al metodo della ricerca. “non sappia mai nulla perché glielo avete detto ma perché l’ha capito da solo” I bambini selvaggi. Gli studi relativi ai bambini selvaggi (es: “bambino-lupo” di Hesse; “sauvage” di Manovre) hanno provocato discussioni sull’origine dell’apprendimento e sul ruolo dell’ambiente e dell’educazione nella formazione di processi cognitivi. Questi studi ricevono maggiori impulsi con il ritrovamento di Victor da parte del medico Itard: i suoi esperimenti, poi sviluppati dal suo allievo Seguin, hanno portato ad alcune conclusioni che costituiranno la base per la costruzione della pedagogia moderna. Entrambi hanno sottolineato l’importanza dello sviluppo metodico dei sensi e degli aspetti conativi, sociali e cognitivi della personalità. Dewey e le scuole attive. Nell’800 inizia ad esserci l’attenzione alla cura degli spazi e dei materiali posta dai pedagogisti di tutta Europa: un esempio è Pestalozzi, il quale evidenzia l’importanza del rapporto tra bambino e natura (“è la vita concreta ad educare gli uomini”); un altro è Froebel che dedica molta cura alla predisposizione di spazi e all’ambiente esterno al bambino, e concretizza degli oggetti elaborati (i doni) per accompagnare l’operazione di simbolizzazione della realtà. Sarà Dewey a riprendere il tema dell’esperienza, criticando i modelli filosofici che mirano a fissare la concreta esperienza in teorie astratte; egli elabora la teoria dell’esperienza secondo cui l’esperienza rappresenta la transazione tra soggetto e natura. Dewey vuole superare il modello tradizionale per giungere a quella che definisce educazione e scuola progressiva; egli richiama l’attenzione sul fatto che le scelte di una scuola progressiva non si limitano a passare dalla parola alle azioni, ma costituiscono scelte complesse che necessitano di riflessioni. Secondo lui l’esperienza può rivelarsi diseducativa quando si limita al campo delle future esperienze, si riduce a una serie di noiose attività, manca di connessioni con la realtà del soggetto. Invece le esperienze costruttive dovrebbero avere queste caratteristiche: 1) continuità con le esperienze precedenti, perché ognuna di quelle vissute influisce su quelle seguenti; 2) interazione tra soggetto e ambiente, quest’ultimo inteso come contesto sociale e scolastico, ma anche come materia di studio, materiali, libri; bisogna inoltre creare le condizioni adeguate affinché l’esperienza sia positiva; 3) continuità e adattamento devono andare insieme. Altro punto su cui Dewey conduce gli studi, è quello del ruolo dell’esperienza nella definizione del controllo sociale: i bambini sperimentano il controllo sociale in tutte le loro attività, compresi i giochi, che implicano regole che pongono un ordine nella loro condotta. L’insegnante agisce ma riduce al minimo l’esercizio dell’autorità in nome del gruppo. Dewey aggiunge che l’esperienza deve essere guidata da un proposito, cioè la visione di un fine delle nostre azioni; da qui distingue l’attività in generale (il fare senza un determinato scopo) e ciò che definisce attività intelligente (azione intenzionale che verifica le condizioni e le conseguenze dell’azione). L’osservazione è la condizione perché l’impulso possa trasformarsi in proposito. L’insegnamento di Dewey si concretizza nell’idea che il metodo scientifico è l’unico mezzo autentico a nostra disposizione per cogliere il significato delle nostre esperienze quotidiane; compito dell’educatore è quello di adattare il metodo agli individui di varie età e scegliere le esperienze. Il pensiero di Dewey si ricollega alle scuole attive, e in un’accezione generica designa i principi della pedagogia idealistica: indica il rinnovamento dei metodi di insegnamento e dell’organizzazione scolastica che tendono a promuovere la libertà del soggetto, già avviato da Ferrière (prende il nome di scuola progressiva). Secondo Dewey il punto più debole delle scuole progressive è la non sufficiente analisi, classificazione e valutazione delle esperienze. Gli insegnanti e poi gli allievi devono appropriarsi di un proprio metodo di ricerca. 5 osservano l’esperienza da un punto di vista soggettivo e lo stesso fa l’insegnante.  Se ogni lettura della realtà è interpretazione, da un’idea di scienza lineare proveniente dal positivismo passiamo a una concezione sistemica complessa: l’attenzione va sul soggetto che analizza l’esperienza, si passa dalla ricerca della verità alla ricerca-costruzione di una conoscenza in continuo divenire.  l’esperienza diviene protagonista del processo di insegnamento-apprendimento e specifica il suo ruolo in modo sempre più complesso e articolato. 2. Dalla valorizzazione dell’esperienza alla didattica sociocostruttivista. A partire dalle opere di alcuni filosofi greci fino ad arrivare all’empirismo settecentesco, la ricerca della conoscenza si riconnette al mondo dell’esperienza e cerca un rapporto più collaborativo e meno conflittuale tra esperienza del mondo reale e la concettualizzazione astratta di esso. Il ruolo didattico dello spazio e dei materiali. A stravolgere l’idea di insegnamento della scuola tradizionale, è l’accento posto sul ruolo dell’ambiente nella costruzione della personalità dell’uomo. - Rousseau: come già aveva fatto Comenio, esorta a lasciar agire la natura, a non dare lezioni verbali perché l’allievo deve riceverne solo dall’esperienza. - Froebel: richiama l’importanza che le “maestre giardiniere” creino nei giardini dell’infanzia un ambiente simile a quello familiare in modo che i bambini riconoscano il calore delle relazioni affettive primarie e possano “fare”. Attraverso il gioco e i materiali didattici (doni di gioco-lavoro) il bambino imparerà a costruire le forme simboliche e mentali utili per acquisire le conoscenze e abilità. - Sorelle Agazzi: tengono all’ambiente educativo in cui il bambino può fare esperienza attraverso il materiale (cianfrusaglie senza brevetto), le scoperte personali e gli esercizi di vita pratica; esse classificano i materiali in funzioni delle fasi e dello sviluppo del bambino, ordinandoli secondo i principi della continuità e gradualità. - Montessori: la cura dell’ambiente può favorire lo sviluppo e apprendimento del bambino, spazi privi di ostacoli. - Decroly: l’ambiente deve permettere ai bambini di soddisfare autonomamente i bisogni di osservazione, classificazione (associazione), esplorazione. - Piaget: il rapporto tra apprendimento ed esperienza si esprime come rapporto tra individuo e ambiente, tra mente e ambiente; l’intelligenza è il risultato del tentativo del bambino di conoscere la realtà concreta, tramite l’esplorazione. - Canevaro: introduce il concetto di conflitto sociocognitivo, afferma che gli strumenti sono tanto operativi quanto concettuali e hanno la funzione di strutturare i percorsi cognitivi e di organizzare il gruppo (mediatori di conflitti). - Malaguzzi: con lui si sancisce e realizza concretamente l’idea che l’organizzazione dell’ambiente e dello spazio ci parla delle scelte pedagogiche e didattiche che stanno alla base di un processo educativo; la scelta dei materiali e la loro presentazione sono pensati con la previsione di creare comunicazioni. - Dewey: l’esperienza rappresenta la transazione, lo scambio tra organismi e ambiente; gli spazi riflettono le modalità di comunicazione che ne derivano e i significati che i soggetti assegnano agli oggetti e alle azioni. La scelta di una didattica attiva presuppone quindi un’organizzazione degli spazi che: tenga conto dei bisogni cognitivi e sociali degli individui, promuova l’osservazione e l’esplorazione diretta dell’ambiente, documenti il lavoro dei bambini, realizzi continuità tra dentro e fuori (scuola e famiglia). La centralità dell’esperienza consegna centralità anche al corpo, inteso come ciò attraverso cui l’educazione può giungere allo spirito. Per molti educatori il corpo viene visto come elemento slegato dai processi mentali e di apprendimento; sono la filosofia e la pedagogia del ‘900 ad affrontare definitivamente il rapporto tra corpo e mente. -Piaget ha studiato come l’esperienza e dunque il pensiero, segua canali di carattere psicomotorio. -Wallon afferma che attraverso lo sviluppo di corpo e mente il soggetto può accedere alla conoscenza di sé e degli altri (teoria confermata dalla psicologia contemporanea, Gamelli). - Rimondi afferma che è attraverso l’esperienza del corpo che i bambini costruiscono le loro conoscenze. - Ponty: il corpo non solo dischiude il mondo materiale, ma anche il tempo, la temporalità è l’esistenza del corpo. - Pikler: concretizza l’idea che il bambino vada inserito in ambienti che favoriscano la relazione col proprio corpo, i suoi tempi sono i tempi del suo corpo e della sua mente per arrivare alle tappe di sviluppo. Quindi una didattica attiva richiede spazi che promuovano l’azione autonoma del soggetto, coinvolgendo il corpo e i sensi, così come la collaborazione tra individui; i materiali devono essere stimolanti ma non troppo strutturati. L’introduzione degli atelier (laboratori) costituisce la possibilità di demolire la rigidità delle classi e permette ai docenti di usufruire di ambienti che favoriscano l’approccio alla ricerca e all’esplorazione, alla sperimentazione e l’espressione creativa. In realtà la differenza non sta nel luogo in sé, ma nel modo di condurre l’attività didattica, la sfida è quella di trasferire l’approccio laboratoriale in aula. 6 Esperienza e processi cognitivi. L’empirismo tramanda anche la visione secondo cui l’esperienza diretta del discente è l’accesso primario alla conoscenza della realtà. Molte situazioni scolastiche non hanno ancora assunto questa consapevolezza, mentre nei contesti che hanno assunto una prospettiva empirica attiva vengono proposte esperienze poco stimolanti. Secondo Dewey il punto più debole delle scuole progressive è stato lo scarso approfondimento dell’analisi, della classificazione, della valutazione delle esperienze che variano a seconda del luogo, tempo, gruppo, e l’insufficiente riflessione sui materiali. Dewey è il primo pensatore a ribadire tale questione, sottolineando come non tutte le esperienze costituiscono una proposta educativa, ma richiamano addirittura l’approccio accumulativo-trasmissivo. Per lui le esperienze costruttive sono caratterizzate da tre criteri:  la continuità inteso come collegamento con le esperienze precedenti che permette di superare la frammentazione del sapere e della realtà  l’interazione tra il soggetto e l’ambiente inteso sia come contesto sociale e scolastico ma anche la materia di studio, i materiali  la sinergia tra continuità e adattamento, in quanto devono procedere insieme. Dewey critica l’educazione tradizionale che ha frainteso l’idea della continuità proponendo attività nei termini della preparazione verso quello che veniva dopo, pertanto riprende Claparède sostenendo che l’attività deve essere sempre suscitata da un bisogno; è la qualità dell’esperienza proposta e le modalità di condurla che determinano se la continuità gioca in positivo o negativo. Questi discorsi si ricollegano a Claparède, il quale distingue due tipi di attività: 1) il primo viene pensato per rispondere a un reale bisogno socioaffettivo o cognitivo dell’allievo, e richiede la partecipazione attiva del bambino alla risoluzione di problemi (qui il ruolo dell’adulto è quello di non pre-delineare la risposta o la modalità di risoluzione); 2) il secondo modo è legato alla mera esecuzione che suscita spesso ribellione, resistenza e noia. Montessori approfondisce il rapporto tra esperienza/attività / bisogni del bambino richiamando la necessità, per l’adulto, di adottare il metodo di osservazione e di suscitare il desiderio di conoscere nel bambino; per lei l’esperienza educativa deve essere intesa come attività vera, che fa parte della vita quotidiana e che ha uno scopo reale. Invece con Leont’ev si giunge a un’idea più articolata di attività che non fa riferimento solo ai bisogni e interessi del bambino, ma pone al docente il problema di definire con più precisione la struttura dell’attività da proporre in tutte le sue articolazioni (es un’uscita didattica non consiste solo nel pensare ai dettagli tecnici, ma anche nell’articolare la sua organizzazione). Quindi con la scuola russa si capisce che il termine attività comprende anche operazioni logico-formali e compiti cognitivi complessi. L’esperienza riflessiva. Quando l’empirismo parla di esperienza, intende anche il successivo riflettere su di essa attraverso i ricordi, i desideri, il passaggio dal pensiero empirico a quello astratto (Hume). La riflessione sull’esperienza, secondo Dewey avviene attraverso:  la presa di coscienza del dubbio,  la formulazione di una previsione congetturale,  un esame analitico della situazione e la conseguente elaborazione di ipotesi  la decisione dell’azione conseguente. Ovvero riflettere significa prendere in esame la propria esperienza e le convinzioni per risalire alle assunzioni di base. La ricerca didattica più recente ha contribuito a specificare e approfondire questo concetto affermando che il processo di insegnamento/apprendimento deve partire dalle situazioni-problemi. Una situazione- problema:  deve provocare un conflitto cognitivo attraverso un ostacolo che il discente vive come contraddizione;  deve riguardare un ambito del sapere o dell’esperienza personale che sia familiare al discente in modo che possa formulare ipotesi in modo autonomo;  deve suscitare dubbi e domande;  deve aprire ipotesi e percorsi cognitivi differenziati e non predeterminati. Può essere rappresentata da una domanda aperta che non conduca la classe verso una risposta convergente, ma che dilati il confronto e la riflessione verso orizzonti non previsti. Oppure può essere costituita da una consegna. Oppure si può partire dall’osservazione e dalla sperimentazione diretta e dall’uso di strumenti simbolici. Per Piaget l’esplorazione e la conoscenza della realtà è costruzione di significato inteso come la capacità di rappresentare, connettere le diverse parti e stabilire un ordine gerarchico. Il bambino quindi non si limita a prendere contatto con la realtà, ma la conosce mediante la costruzione attiva di un’idea che ha di essa: ciò avviene attraverso un complesso impianto di organizzazione e strutturazione della realtà che, secondo Piaget, passa attraverso varie fasi (il contatto in sé con la realtà, l’astrazione empirica, l’astrazione riflettente). Sarà l’insegnante che a partire dal confronto collettivo potrà condurre la classe verso la costruzione di una conoscenza sistematica che sottende “l’astrazione riflettente”. Ad esempio: se voglio promuovere l’educazione all’immagine o la creatività, non basta lasciar “pasticciare” i bambini con i colori, ma bisogna superare questa fase di “fare spontaneo” proponendo azioni strutturare secondo una sequenza, come riflettere su cosa accade se si mischiano i 7 colori. In altre parole, Piaget precisa che il soggetto non si limita ad avere un’esperienza, ma la rielabora procedendo per diversi livelli di astrazione, fino ad attribuire un significato autonomo. Esempio: progettare/realizzare un orto nel giardino della scuola: se i bambini sono molto piccoli, si può partire dal contatto diretto con la terra, lasciando che sperimentino per poi raccogliere in gruppo le diverse esperienze; oppure si può partire dalle conoscenze precedentemente costruite per ragionare su dove e come progettare l’orto, quali materiali acquistare, come procedere. A seguito del raccolto il maestro può anche coinvolgere i bambini in un’attività di assaggio. Il ruolo dell’adulto sarà anche quello di comprendere l’osservazione, l’accompagnamento e il sostegno del processo mentale con cui il bambino passa dall’esperienza diretta del mondo alla costruzione di significato che comporta. Partire dall’esperienza vuol dire credere nell’apprendimento per prova ed errore; l’insegnante che adotta un approccio attivo lascerà perdere la “risposta giusta” e un pensiero omogeneo dei singoli bambini, ma si troverà di fronte a un disegno della realtà fatto con le idee di molti fanciulli. Piaget spiega che di fronte a un ostacolo cognitivo, la costruzione dei processi di apprendimento richiede che la mente incorpori la nuova esperienza nel precedente schema mentale per ritrovare una nuova forma di adattamento tramite l’accomodamento. Definizione recente di apprendimento attraverso un esperienza riflessiva: insieme coordinato di attività didattiche tese allo studio e alla realizzazione di complessi progetti innovativi di cambiamento organizzativo; le conoscenze non devono essere conosciute a priori e i partecipanti sono chiamati a confrontarsi. Il ruolo del gruppo. La psicologia culturale, il sociocostruttivismo e gli studi interculturali ci accompagnano nel percorso che ci conduce al concetto di esperienza come esperienza sociale. A partire da Durkheim e dal positivismo dell’Europa occidentale, si inizia a dedurre l’idea che l’origine della conoscenza è nelle attività quotidiane, che sono attività sociali. - Freinet: attività intellettuale e artigiana sono legate e devono essere elaborate in comune dalla classe; - Cousinet/ Decroly: ruolo centrale al gruppo classe/ attività preparate e svolte in comune; - Bruner: la conoscenza è una costruzione culturale di significati, dove la cultura è un insieme significati condivisi da un gruppo che si manifesta nella conversazione quotidiana. E’ con Vygotskij e la psicologia culturale da un lato, e il costruttivismo dall’altro che si arriva all’idea che l’esperienza si qualifica in funzione del contesto più in generale, definito in termini relazionali e socioculturali. Se per Piaget l’ambiente è prevalentemente la realtà naturale e artificiale, per Vygotskij si tratta del mondo sociale e culturale. Dalla psicologia culturale si possono dedurre alcuni spunti di riflessione : 1) il gruppo classe deve essere inteso come gruppo di lavoro, contesto culturale; la costruzione del gruppo classe costituisce la condizione per poter utilizzare una didattica attiva; compito del docente è costruire ambienti che favoriscano il confronto, sarà utile l’utilizzo di tecniche sociometriche e strumenti di osservazione. 2) Il clima della classe influirà sulla conduzione dell’attività, perciò deve essere creato un clima di rispetto e accettazione reciproca, o non sarà facile esprimersi liberamente. 3) Si può proporre una gara a squadre per imparare tabelline o verbi, senza intaccare il clima collaborativo e l’approccio cooperativo; è importante la valutazione, di cui bisogna illustrare alcuni criteri: si valuta sia l’impegno individuale che i processi sociali e il prodotto finale del gruppo, bisogna definire in anticipo gli obiettivi e quali aspetti saranno valutati e quali no, è necessaria una riflessione complessiva del team docente. 4) L’idea dell’apprendimento come partecipazione comporta che la situazione di apprendimento sia organizzata in modo tale da consentire ai discenti di partecipare in forma progressivamente sempre più centrale, ad un sistema di attività; l’ambiente del laboratorio dovrebbe favorire la costruzione di gruppi di discussione, dove si propongono attività ad “alta intenzionalità collettiva” che riescono a indurre capacità di partecipazione e responsabilizzazione verso gli altri e anche di ragionamento e argomentazione. 5) Secondo la psicologia culturale e il costruttivismo, è la condivisione della conoscenza e il confronto con opinioni, ipotesi e schemi degli altri componenti del gruppo che ci permette di assegnare un significato all’esperienza stessa mediante i modelli simbolici che sono sociali e culturali. L’esperienza non è mai individuale. 6) Per poter inserire nuove esperienze nei nostri schemi mentali, dobbiamo essere in grado di riconoscere i nostri modelli di interpretazione, le procedure di pensiero che stiamo applicando, le nostre rappresentazioni mentali: solo attraverso il rapporto con l’altro, il confronto con modelli e rappresentazioni altrui, con esperienze e vissuti differenti, l’individuo è obbligato a mettere in discussione i propri. 7) Se rimango all’interno del mio schema, dei miei modelli mentali, difficilmente riuscirò a modificarli. Questo avviene se considero che tutti facciano riferimento allo stesso schema culturale di interpretazione. 10 Esperienze concrete di brainstorming. Il brainstorming implica una doppia dimensione, cognitiva e socioemotiva: il doppio binario della sua azione risveglia le preconoscenze che ogni allievo possiede e permette di mobilitare le rappresentazioni che ognuno ha. La legittimazione delle differenze è uno dei punti cardine per un lavoro di gruppo realmente propositivo e per la creazione di quell’ambiente di apprendimento denominato community of learners: è solo con l’ascolto reale dell’altro che questo passaggio può essere attuato (se ascolto il compagno, lo conosco, lo valorizzo). La scuola attualmente risente del bisogno di porsi come luogo per esercitare modalità di riflessione aperta, per questo il brainstorming può essere una soluzione. A quale età proporlo? Se si riprende Piaget, lui afferma che fino ai sette anni i bambini non sanno discutere tra loro; invece gli studi successivi hanno ridimensionato questa prospettiva, ad esempio la Pontecorvo sottolinea come anche nella cultura dei pari ci sia spazio per dimostrare il disaccordo e per offrire spiegazioni. Si scontrano così il monologo interiore (Piaget) e il ragionamento collettivo (Pontecorvo, spiega i procedimenti della mente che si attivano tramite la discussione nella costruzione di conoscenza). Lo scambio comunicativo e intellettivo è un apprendimento sperimentato dai bambini a piccoli passi, che necessita della presenza di un adulto che è garante della qualità comunicativa: non giudica né deride, gestisce i turni di parola, evita le prevaricazioni, insegna ad ascoltare, sviluppa gli argomenti. Mentre Osborn propone il brainstorming esclusivamente per la soluzione di problemi creativi, numerosi insegnanti lo hanno reinterpretato e utilizzato ad esempio all’apertura di un’attività come indagine delle preconoscenze su un determinato argomento. In questa indagine è utile riflettere anche sulla potenza di tali preconoscenze che spesso agiscono senza che nemmeno il soggetto ne sia consapevole; De Vecchi afferma che una nuova conoscenza per poter essere integrata al sapere preesistente deve modificarsi e il sapere già esistente deve riorganizzarsi. Un esempio di brainstorming parola biologico: classe quinta, il brainstorming è avvenuto con una variante, una prima fase individuale in cui hanno scritto sui post it e poi li hanno attaccati su un cartellone spostandoli a seconda delle connessioni e ragionando insieme sui significati delle parole. Esempio: classe 5, tematiche delle collezioni dei bambini e del collezionismo, l’interesse era conoscere cosa pensavano i bambini dell’argomento, prima dell’attività viene fatto il brainstorming, prima individuale poi collettivo; poi per approfondire sono stati utilizzati altri metodi come questionari, disegni, discussioni. Esempio: brainstorming sulla parola arte chiedendo a bambini, giovani adulti e adulti; per i bambini si è trattato di un pensiero più meditato. Per i giovani era all’inizio di un laboratorio di didattica dell’immagine con lo scopo di capire l’idea di ogni studente a cui ha fatto seguito un confronto intenso e reale; l’ultimo brainstorming ha coinvolto insegnanti: è stato un lavoro a tappe: B, discussione condivisa, ulteriore riflessione, proposta di punti di vista di vari artisti, lavoro concreto dail quale sono nate proposte di attività mirate per bambini. Il significato di questa indagine sta in una riflessione più condivisa, la scoperta di vari punti di vista che nella velocità di una discussione si colgono difficilmente. 4. Discutere per apprendere. Cos’è la discussione. Nel linguaggio comune, il termine discussione ha un accezione negativa (litigio, disputa, contrasto); altre volte viene utilizzato come sinonimo di “conversazione” (colloquio amichevole) e si pensa che abbia un aspetto disimpegnato e informale, invece prevede regole rigorose e complesse. Invece quello che caratterizza la discussione è l’esame approfondito di un problema specifico, da parte di due o più persone che espongono e confrontano idee, ipotesi, pareri diversi e li elaborano attraverso un ragionamento collettivo. Uno dei contributi più significativi sull’uso didattico della discussione è stato dato dalla Pontecorvo: affermando che è una situazione in cui si elabora e si costruisce la soluzione di un problema attraverso il ragionare insieme, ne sottolinea la valenza positiva sia a livello cognitivo che emotivo, perchè permette ai bambini di condividere le proprie conoscenze, di giungere insieme a un sapere condiviso, di confrontarsi (mettere in gioco capacità sociali) ed essere stimolati alla riflessione. La discussione risulta oggi poco utilizzata nelle attività didattiche come specifica strategia di apprendimento, questo perché non è del tutto condivisa l’immagine del bambino come soggetto attivo, competente, in grado di costruire le proprie conoscenze in situazioni collettive oppure perché si pensa che non sia in grado di sostenere un confronto di opinioni e si pensa possa sfociare in un conflitto; altri credono sia una perdita di tempo; inoltre la lingua scritta è preferita a quella orale anche come oggetto di valutazione; per altri ancora la discussione è la “panacea di tutti i mali” vista in contrapposizione al modello trasmissivo e autoritario di insegnamento. Le ragioni teoriche. Il riconoscimento della funzione educativa della co-costruzione della conoscenza non ha origini recenti. Dewey ha rivolto un notevole interesse agli aspetti sociali dell’apprendimento e al ruolo della scuola che per lui è quello di promuovere nei bambini la cooperazione verso obiettivi comuni orientati verso la società (“pratica di democrazia”). Negli anni successivi queste riflessioni sono state riprese dalla scuola attiva:  Cousinet: importanza del lavoro per gruppi, della funzione sociale del linguaggio nella costruzione 11 della conoscenza e dell’opposizione: il bambino impara a proporre le proprie interpretazioni invece che imporle, impara a vivere socialmente.  Piaget: importanza dello scambio sociale a favore dello sviluppo del pensiero, devono essere privilegiati gli scambi tra bambini e non tra bambini e adulti. Concetto di conflitto cognitivo: quando il bambino si imbatte in un’esperienza che non corrisponde alle strutture mentali già elaborate, si troverà in una situazione di disequilibrio che cercherà di risolvere; la discussione può offrire in questo caso una possibilità di soluzione.  Vygotskij: la costruzione della conoscenza avviene prima su un piano sociale, poi il sapere viene interiorizzato a livello individuale. Importanza dei processi sociali nella zona di sviluppo prossimale (differenza tra il livello di sviluppo di un bambino nel risolvere un compito da solo e il livello di sviluppo potenziale con un sostegno).  Bruner: per lo sviluppo sono fondamentali le relazioni sociali sostenuto dall’adulto attraverso lo scaffolding, e gli strumenti culturali (es linguaggio). Una delle applicazioni più fedeli a queste riflessioni è il cooperative learning, approccio che considera il gruppo come mezzo per lo sviluppo cognitivo e sociale dell’individuo; un altro esempio è la teoria delle intelligenze multiple di Gardner: valorizza le numerose e diverse forme di intelligenza presenti all’interno di una classe, riconosce ad ogni alunno uno stile cognitivo differente e invita tutti a contribuire all’apprendimento dei compagni condividendo con loro le proprie idee e opinioni; il ricorso alle molteplici intelligenze è efficace quando si affrontano compiti complessi. La cura dello spazio. Le diverse modalità di organizzazione dell’ambiente influenzano lo sviluppo cognitivo e la qualità dei rapporti sociali; quindi per la buona riuscita di una discussione l’insegnante dovrà predisporre adeguatamente lo spazio, che dovrà essere caratterizzato da flessibilità (strutturazione non rigida), personalizzazione (costruzione di un senso di appartenenza) e coerenza (tra strutturazione e comunicazione; es: banchi in file parallele = centralità docente; banchi a gruppi = suggerisce il rapporto tra pari privilegiato). Un suggerimento è quello di disporre le sedie dei partecipanti e del docente in cerchio per essere tutti “sullo stesso piano”. In alcune scuole sono stati organizzati degli angoli in cui ci si ritrova a parlare e discutere di problemi e conflitti, a condividere esperienze personali; si tratta spesso di angoli morbidi (materassi, cuscini) che favoriscono la comunicazione e benessere fisico. È inoltre importante creare un clima che faccia sentire gli allievi liberi di esprimersi perché non giudicati per ciò che dicono. Quando e perché discutere. La discussione è una delle possibili strategie di apprendimento a cui ricorrere e può essere utilizzata solo quando risulta essere la modalità più efficace per raggiungere determinati obiettivi.  All’inizio di un percorso può essere utile per individuare le conoscenze pregresse degli studenti in merito al tema in questione, allo scopo di garantire il collegamento e la continuità tra le conoscenze nuove e quelle già consolidate. Se l’argomento non è conosciuto, sarà difficile partecipare alla discussione, al massimo si può fare un brainstorming. È necessario che i bambini trovino qualche aggancio emotivo, cognitivo o esperienziale. (es. realizzare un orto, bisogna discutere per conoscere cosa già sanno sui materiali, la terra, la semina…)  L’emergere di errori permetterà all’insegnante di conoscere le caratteristiche delle strutture cognitive e dei processi mentali dei bambini; il docente riprenderà l’argomento per cercare di risolvere i problemi emersi, in questo modo l’errore diventerà una tappa necessaria nel processo evolutivo degli studenti. La discussione avrà la funzione di aiutare ad esplicitare l’errore e di rimandare la questione a tutti i compagni.  La discussione deve essere utilizzata anche quando è necessario approfondire un concetto o argomento, con la finalità di ripensare a conoscenze pregresse, rielaborarle e utilizzarle in una nuova situazione (Domenis parla di “metabolizzazione delle idee”).  Al termine di un percorso didattico è possibile riproporre una discussione, dalla quale dovrebbero emergere le nuove conoscenze raggiunte dagli studenti, un esempio è chiedere cosa è stato imparato e in che modo. Se ben organizzata, la discussione è in grado di promuovere riflessioni metacognitive sui propri processi di apprendimento e sulle nuove conoscenze.  Domenis suggerisce di organizzare quanto emerge in mappe cognitive per far emergere le strutture e i processi di elaborazione delle conoscenze. Quindi è molto importante prevedere momenti di sistematizzazione delle conoscenze.  Numerose ricerche dimostrano che la discussione può essere utilizzata come strumento di apprendimento in diversi ambiti disciplinari, come quelle di Ferreiro e Teberosky in ambito linguistico, di Lo Duca per l’insegnamento della grammatica dell’italiano; la discussione in matematica viene utilizzata nella risoluzione collettiva di problemi in modo da comprendere le diverse strategie(es: come misuriamo il 12 tappeto?), in storia per tentare di interpretare i fenomeni storici, in scienze per la spiegazione dei fenomeni (es: gli animali hanno il cervello?).  i bambini si sentono costruttori attivi del sapere: hanno la possibilità di esprimere pareri e conoscenze, di confrontarli con quelli altrui e di correggerli se necessario, di dare ragione e di argomentare meglio la propria posizione. Il ruolo dell’insegnante è quello di facilitatore rispetto alla capacità di riflettere sull’esperienza e di confrontarsi con gli altri. Come discutere: l’interazione verbali in classe. Il comportamento comunicativo del docente esercita un ruolo fondamentale nella realizzazione degli obiettivi didattici ed educativi. Per lungo tempo si è provato a studiare la comunicazione tramite categorie predefinite, che sono diventate oggetto di numerose critiche, ad esempio: Flanders il FIAC, orientato alla codifica del comportamento comunicato dell’insegnante; Amidon e Hunter proposero un sistema di categorie chiamato SCIV che considerava maggiormente il ruolo degli alunni. Una delle modalità di comunicazione più frequenti a scuola è quella che Sinclair e Coulthard hanno denominato IRF (Initiation, Response, Feedback): l’insegnante rivolge una domanda a tutta la classe, un alunno risponde e l’insegnante esprime un apprezzamento in merito alla risposta (es: di che colore dipingiamo il sole? Di giallo. Bravo, di giallo). Lo stesso scambio è indicato con la sigla IRE, evaluation, quando il terzo turno è costituito da una valutazione. Nel contesto scolastico la battuta iniziale dell’insegnante è spesso una domanda, a volte una frase da completare. Nel caso in cui manca una valutazione positiva e l’insegnante ripete la domanda, gli alunni capiscono che la risposta non era corretta; invece l’assenza di valutazione seguita da una nuova domanda funge da feedback positivo. L’aspetto negativo è che non tutti possono prendere la parola, date le regole di comunicazione della classe (es l’alzata di mano, ma è l’insegnante che decide chi far parlare); il docente decide se accettare, correggere o ignorare gli interventi, e questo porta gli alunni a cercare di individuare la risposta giusta senza dar spazio ai punti di vista. Numerosi studi hanno evidenziato le conseguenze negative dell’uso frequente di domande retoriche e a risposta chiusa (es. da dove viene la neve?): l’insegnante dovrebbe evirare quelle che Foerster definisce “domande illegittime” di cui si conosce già la risposta, ma dovrebbe fare domande aperte: ciò consente di compiere nuove scoperte e costruire nuove condizioni dell’apprendimento. Inoltre consente di rafforzare l’autostima degli studenti, stimola la curiosità e li educa all’ascolto e al lavoro di gruppo. Il ruolo dell’insegnante. Per la buona riuscita di una discussione, l’insegnante deve creare un clima favorevole, sostenere il dialogo e favorire lo scambio reciproco intervenendo nell’area dello sviluppo prossimo degli interlocutori. Questa competenza deve essere acquisita attraverso percorsi di formazione specifici. È importante sapere che non tutte le situazioni in cui le persone parlano possono considerarsi momenti di crescita cognitiva; le vere discussioni in classe richiedono la creazione di una serie di condizioni: o Individuare un argomento o problema su cui discutere, è indispensabile che abbiano almeno qualche conoscenza in merito. Di solito si prende spunto da avvenimenti di cui gli alunni sono stati protagonisti. o Prima della discussione può essere utile far condividere agli alunni un’esperienza comune (es film, visita guidata) in modo da attivare un ambito di conoscenza comuni sulle quali confrontarsi. Inoltre gli alunni devono poter compiere una lettura diversificata di tale esperienza se si vuole favorire l’avvio della costruzione di una conoscenza comune. o È importante che venga condiviso dai partecipanti il significato di alcune parole-chiave per evitare che allo stesso termine vengano attribuiti significati diversi. o L’insegnante deve far acquisire agli alunni una serie di competenze linguistiche, sociali e comunicative specifiche; oltre ai turni, saper discutere vuol dire esprimere nel modo più corretto e chiaro possibile il proprio pensiero, essere capaci di ascoltare. Gli interventi dell’insegnante devono ridursi il più possibile (ruolo di regista).Deve trasmettere interesse e curiosità, accettazione, empatia (Rogers). Utile registrare e riascoltare le discussioni (utile per analizzare I propri interventi e quelli degli alunni, vedere I vari stili cognitive, l’andamento della discussione e progettare nuovi interventi). Per quanto riguardo l’interazione verbale docente/alunni, un importante contributo è stato offerto dalle ricerche di Lumbelli (sulla scia delle proposte di Rogers): il rispecchiamento verbale consiste nella ripetizione, da parte del conduttore, di una parola o di una frase pronunciata da un membro del gruppo (interlocutore). Tale ripetizione viene pronunciata solo con l’intento di confermare positivamente l’interlocutore, per incoraggiare l’altro a proseguire e precisare, per dare rilievo a un concetto. La riformulazione favorisce la comprensione da parte dei pari di quanto affermato dal singolo in modo che l’intervento risulti comprensibile a tutti. La selezione, che consiste nel rispecchiare solo alcune parti di quanto espresso, 15 • L’attività proposta dovrebbe comportare l’uso del pensiero concettuale piuttosto che l’apprendimento dell’applicazione di una regola; • Il gruppo deve avere le risorse per poter completare il compito con successo. È importante essere consapevoli della differenza che intercorre tra i compiti routinari e i compiti concettuali. Compiti routinari Compiti concettuali Hanno una sola risposta esatta Hanno più di una risposta e più percorsi di soluzione Possono essere eseguiti più velocemente ed efficacemente dal singolo che dal gruppo Richiedono una varietà di abilità quindi tutti goli studenti possono dare un contributo competente Richiedono un impegno basso a tutti i livelli (cognitivo, metacognitivo, emotivo) Richiedono un impegno alto a tutti i livelli Implicano la ripetizione di procedure o la memorizzazione Implicano l’impiego di processi complessi come il problem solving, varietà di codici (verbali, iconici, musicali), e di strumenti e materiali diversi che coinvolgono più sensi. Esempi: fare una ricerca compilativa, eseguire addizioni e sottrazioni, trasformare i verbi al passato… Comprendere la relazione fra la struttura della cellula e la sua funzione, individuare i valori fondanti della costituzione di uno stato, indagare il concetto di biologia, rispondere alla domande “cos’è l’ombra?”  dimensione individuale e collettiva non sono in contrasto ma si intrecciano e integrano nelle esperienze di apprendimento. Un aspetto cruciale è rappresentato dalla consegna, ovvero la spiegazione di cosa gli studenti devono fare e in quali fasi: il grado di dettaglio delle istruzioni varia a seconda del lavoro, dell’età e dell’esperienza di lavoro cooperativo della classe. Compito e consegna hanno anche la funzione di orientare il gruppo verso la costruzione di un prodotto (il progetto della città, un foglio comune con la soluzione di un problema matematico)., ma non bisogna finalizzare il lavoro alla sua esclusiva costruzione o si perderanno di vista gli obiettivi di cooperazione e impegno sul processo. 4) Insegnante, studenti, ruoli: l’insegnante ha un ruolo da protagonista nel lancio dell’attività grazie al quale permette di conoscere gli obiettivi, competenze acquisite e necessarie, regole, criteri di verifica. L’incipit può essere una breve lezione frontale in cui il docente dimostra di avere un progetto didattico preciso in mente; la fase introduttiva è fondamentale perché vi è l’assegnazione dei ruoli, tramite cui l’insegnante delega l’autorità al gruppo e la descrizione di come devono fare. I ruoli vanno assegnati pubblicamente e devono essere chiari, in questo modo il gruppo potrà subito iniziare a lavorare sapendo che compito hanno. Nella fase di progettazione l’insegnante, nell’assegnazione dei ruoli, deve tener conto dell’età dei bambini, l’esperienza di cooperazione, il tipo di compito. Dato che i ruoli sono opportunità di apprendimento e consolidamento di competenze, è fondamentale che ciascun bambino sperimenti tutti i ruoli che periodicamente l’insegnante elabora e propone. Un’altra fase è la conclusione: l’insegnante deve fare domande stimolanti che aiutino gli studenti a esplicitare i propri apprendimenti e sistematizzare i concetti emersi collegandoli al lavoro svolto. Durante lo svolgimento, invece, l’insegnante assume un ruolo defilato, in quanto deve limitarsi ad intervenire solo se richiesto e focalizzarsi sull’osservazione delle discussioni, le relazioni, in generale vedere i comportamenti e le difficoltà che spesso sfuggono nei momenti di conduzione della classe. 5) Verifica e valutazione: la verifica (attività di raccolta di dati) a cui successivamente si può attribuire un valore (valutazione) implica una serie di condizioni: • un livello sia individuale che di gruppo: le due dimensioni non si escludono a vicenda; non va mai valutata la partecipazione al gruppo poiché dipende dal suo funzionamento relazionale e sociale; i criteri di valutazione vanno esplicitati prima dell’avvio dell’attività. • bisogna valutare tutti gli apprendimenti sollecitati: bisogna verificare e valutare sia i processi che i prodotti, il rispetto delle norme cooperative, i risultati, la qualità delle relazioni. È importante anche che l’insegnante attui un’autovalutazione così da procedere alle operazioni di continuo riadattamento delle proprie proposte. • La dimensione temporale: la verifica rappresenta un monitoraggio in itinere che consente di fare riaggiustamenti in corso d’opera. L’insegnante può utilizzare una serie di strumenti di osservazione e monitoraggio o questionari di autovalutazione delle dinamiche cooperative. Infine il lavoro di gruppo, come ogni altra metodologia attiva, possiede un potenziale educativo consistente a condizione che venga inserito all’interno di una progettazione più ampia di cui l’insegnante abbia ben chiari gli obiettivi e i ruoli dei soggetti coinvolti. Delegando l’autorità, lascerà lavorare autonomamente gli alunni, ma saprà anche accompagnarli a riflettere su quanto fatto. Prerequisito fondamentale: conoscenza di ogni specifico gruppo classe. 16 6. Imparare giocando. Ruoli, apprendimento e didattica. Una dimensione fondamentale dell’apprendimento è quella ludica; la tradizionale separazione tra gioco e apprendimento è un’operazione artificiosa sorretta da una rappresentazione erronea del gioco visto come svago. In realtà il gioco, e quello di ruolo in particolare, ha un altissimo potenziale educativo. La funzione formativa del gioco mimicry. Un punto di riferimento classico dell’analisi del gioco è la teoria di Huizinga che lo descrive come un’azione libera, situata al di fuori della vita consueta, si svolge con ordine secondo delle regole e suscita rapporti sociali […]. Nella sua definizione è interessante sottolineare gli aspetti del coinvolgimento totale del giocatore, del setting (tempi, spazi, regole) e della socialità dell’esperienza ludica. È’ importante anche la classificazione dei giochi elaborata da Caillois che li divide in: • Agonisti: giochi che rispondono al bisogno umano di competizione (es sport); • Di fortuna: giochi di sfida alla sorte (tombola); • Di vertigine: il piacere risiede nella sensazione di stordimento che provocano (montagne russe); • Di finzione: tutti i giochi del “far finta” (gioco simbolico). Quest’ultima forma di gioco si presta all’approfondimento di un aspetto del gioco, ovvero il suo rapporto tra il reale e il vero; spesso si è definito il gioco utilizzando le categorie di finzione e falsità. Le ipotesi di Lotman e Bateson sulla relazione tra realtà e gioco evidenziano come il secondo non sia una “falsa realtà”, ma la realtà che viene però modellizzata o incorniciata. Se il gioco offre un modello, il giocatore può comprenderne le regole, sperimentare le sue mosse e individuare le prevedibilità e gli imprevisti in una situazione protetta.  Lotman: il gioco costituisce uno dei mezzi più importanti della vita per apprendere certi tipi di comportamento umano. (es bimba che accudisce bambola apprende i comportamenti di cura).  Bateson: tramite il gioco non si imparano solo dei comportamenti, ma anche la variabilità degli stili comportamentali che dipendono dal modo in cui la realtà è incorniciata dai soggetti ( es. i modi di accudire cambiano a seconda dell’ambiente, della cultura, dei ruoli); ciò implica l’apprendimento anche dei modi di guardare, rappresentarsi e condividere con gli altri la realtà (deuteroapprendimento). Nel gioco il bambino sta dentro la tradizione culturale, infatti rielabora e combina gli schemi comportamentali che il suo gruppo di appartenenza gli mette a disposizione. La psicologia evolutiva ha visto nel gioco una forma di esercizio preziosa che consolida e crea abilità e competenza in tutte le aree di sviluppo (motoria, cognitiva, emotivo affettiva, sociale); questo grazie al potenziale automotivante dell’esperienza ludica che porta il bambino a ripetere schemi comportamentali fino a raggiungere un certo livello di padronanza. Osservare il gioco di finzione permette di comprendere il livello di evoluzione di una serie di capacità non ancora padroneggiate con sicurezza ma che sono in costruzione. Il gioco di finzione ha mostrato di sostenere e promuovere: • Lo sviluppo del pensiero (il bambino manipola mentalmente i significati) • La creatività (l’attività mentale favorisce lo sviluppo del pensiero creativo) • La narrazione (inventare trame di gioco e metterle in atto potenzia il linguaggio narrativo) • La metacomunicazione (capacità di uscire dai ruoli) • L’affettività (il bambino elabora emozioni) • Lo sviluppo sociale (assumere ruoli implica decentramento, empatia e i savoir faire per accordarsi) Il ruolo è un oggetto complesso che presenta diverse definizioni a seconda della disciplina che se ne è occupata. Nella lettura sociologica: il ruolo è l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione: vengono privilegiate le caratteristiche di prevedibilità e stabilità del ruolo che garantiscono agli individui senso di sicurezza in cambio dell’adeguamento alle aspettative del gruppo di appartenenza. In ambito psicologico un riferimento proviene dallo psicodramma di Moreno (approccio terapeutico e formativo basato sull’azione scenica), dal quale deriva la metodologia didattica attiva del role playing. Secondo lui il ruolo è la forma operativa che l’individuo assume nel momento specifico in cui egli reagisce ad una situazione specifica nella quale sono implicati altre persone e oggetti. Il ruolo esiste solo in relazione con altri ruoli (oggetti o persone) e in contesti specifici. Una differenza tra le due concezioni è relativa al fattore S/C (spontaneità/creatività): Moreno lega i due concetti perché quando la spontaneità trova la sua concretizzazione, la creatività si rende visibile; Moreno lega i due concetti in un “fattore”: perché sono interdipendenti e la spontaneità catalizza e favorisce l’esplicazione della creatività. Il margine di apertura e flessibilità insito nel concetto di ruolo è molto più ampio nella lettura di Moreno rispetto alle teorie sociologiche. Il role playing si differenzia dallo psicodramma a partire dalla finalità: il primo lavora sui ruoli connessi a profili professionali e/o a situazioni specifiche con l’intento di favorire consapevolezze individuali e di gruppo, rielaborazioni del problema e acquisizione di competenze comunicative e relazionali, mentre il secondo lavora sul vissuto emotivo e affettivo 17 di un protagonista a scopo terapeutico. Con il Role Playing si può riprodurre una situazione già vissuta o inventata e mettere alla prova in un contesto protetto, con un setting definito, i propri ruoli. Questo processo di apprendimento termina con la fase di debriefing: fase in cui il gruppo riflette su quanto emerso dall’azione. Giochi di ruolo e apprendimento. De Vecchi: afferma che troppe volte il gioco è utilizzato in modo strumentale per rendere divertenti e piacevoli alcune attività considerate necessarie ma noiose, depotenziandone il valore. Se invece la proposta ha senso, e quest’ultimo è condiviso dagli apprendimenti, allora il gioco trova la sua collocazione ideale come metodologia didattica integrata. Dewey: le ragioni per inserire il gioco nel curricolo scolastico sono fondate su motivazioni di tipo psicologico e di giustizia sociale, tra le prime vi è la tendenza giocosa innata del bambino a esplorare il mondo, a utilizzare materiali diversi e a esprimere emozioni. In entrambe le posizioni vi sono riferimenti espliciti alla dimensione emotiva e affettiva di cui sono intrisi i processi educativi. L’apprendimento implica un rischio, un abbandono di certezze consolidate, pertanto è necessario della guida di qualcuno che dia fiducia L’holding (l’abbraccio che contiene e sostiene) richiama un’altra dimensione: il corpo. L’integrazione di corpo e mente nel processo di conoscenza è un dato di realtà ineludibile, in quanto l’essere umano si relaziona attraverso i sensi, esprime i propri bisogni ed emozioni attraverso la comunicazione non verbale, costruisce pensieri manipolando oggetti. Il gioco di ruolo si configura come una metodologia didattica attiva che fa del corpo, delle emozioni e delle relazioni il centro e il catalizzatore degli apprendimenti. Il gioco di ruolo offre l’occasione di integrare l’esperienza nella propria storia personale, di poter dire “ho imparato”; per poter ricostruire la propria storia di apprendimento, è necessario utilizzare il pensiero narrativo, un modo di funzionamento cognitivo che Bruner ritiene complementare al pensiero logico scientifico, pensiero a cui l’essere umano ricorre per dare senso alla realtà che lo circonda. Il gioco di ruolo utilizza, sviluppa e potenzia questa tipologia di pensiero, in quanto sono la soggettività, l’intenzionalità, la capacità di costruire trame e di coordinarle con quelle di altri, di risolvere problemi, di utilizzare la comunicazione verbale e non a essere coinvolti e sollecitati. Nell’ambito delle relazioni sociali, queste metodologie contribuiscono a sviluppare strategie cooperative in quanto connesse con la situazione di gioco, funzionali alla vita del gruppo. La didattica attraverso il gioco di ruolo. • Il role playing è un’occasione per mettere in azione uno o più ruoli sui quali il gruppo si interessa per le più svariate motivazioni (trovare una soluzione, acquisire competenze comunicative, esplorare i punti di vista dei ruoli in gioco). La scelta del ruolo permette di sperimentare quelli che più interessano a ciascuno garantendo maggiore significatività dell’esperienza formativa. Il debriefing finale promuove un tipo di apprendimento per insight sia individuale che di gruppo, grazie al confronto. (es. r.p. sulla rivoluzione francese) • I role playing games sono giochi in cui un direttore (chiamato master) crea un mondo dove i giocatori costruiscono il proprio personaggio e interpretano avventure, determinate da un sistema di regole, di istruzioni operative e dal lancio dei dadi. ( es. rpg su ambientazione rinascimentale). Il role playing realizzato in contesto scolastico si distingue per una focalizzazione maggiore su obiettivi di apprendimento specifici e per una dimensione temporale più contenuta. Può essere utilizzato per: • Educazione affettiva e relazionale: il r.p. è stato adottato all’interno di progetti sul bullismo, ed sessuale.. • Ed. interculturale, alla legalità, alla pace: percorsi che mirano a sviluppare ascolto attivo, empatia, tolleranza • Ed. ambientale: quest’ambito transdisciplinare connette geografia, biologia, ed interculturale, ed alla cittadinanza con la finalità di formare un cittadino del mondo. • Lingua straniera e italiano LNM: l’interazione orale in contesti reali implica un utilizzo socioculturale della lingua, cioè connesso alla comprensione del contesto sociale (ES simulare mercato). • Competenze linguistiche orali: circle time, assemblee del mattino, discussione, portano ad apprendimenti di tipo sociali (negoziazione, mediazione) e interculturali (flessibilità cognitiva, decostruzione pregiudizi). • Filosofia, storia, letteratura, scienze: interpretare personaggi storici fa vivere le grandi questioni culturali. Le risorse principali che il role playing (r.p) offre sono: ■ Coinvolgimento globale dello studente: il r.p. richiede una partecipazione diretta e attiva, una creazione e messa in gioco di sé; è un’occasione di esercizio della propria soggettività, richiede di vivere un’esperienza; ■ Costruzione sociale della conoscenza: il r.p. valorizza questo aspetto non solo nel momento dell’azione, ma anche in quello della preparazione alla “messa in scena”, spesso svolta in sottogruppi; le conoscenze non riguardano solo i contenuti disciplinari, ma anche tutta un’altra serie relativa al contesto storico-culturale, al personaggio, alle strategie comunicative…; ■ Utilizzo sensato della conoscenza: l’incremento visibile della motivazione all’apprendimento dipende anche dal senso dell’impegno nella ricerca di informazioni/contenuti che “servono per..”; si tratta di creare un ambiente di 20 autentica e libera, a scuola tutto viene fatto in funzione di obiettivi etero centrati. Tuttavia, anche l’apprendimento eterocentrato, che ha come obiettivo la conoscenza della realtà, non può che partire dal soggetto, dalla sua esperienza e dalla consapevolezza che ha di sé. Gli studi sulla meta cognizione infatti mettono in luce i nessi profondi tra la conoscenza di sé e l’apprendimento. Autobiografismo = declinazione didattica mirata a valorizzare e promuovere la conoscenza e la cura di sé negli allievi e negli insegnanti. Più che un metodo, è quindi un atteggiamento. Dall’ oralità alla scrittura: la scuola è il luogo per eccellenza che marca il passaggio dalla modalità orale a quella scritta rendendo con questo passaggio il sapere fedele, oggettivo e tramandabile nel tempo e nello spazio. Nel passaggio alla parola scritta infatti il pensiero si amplia di nuove possibilità e diventa condivisibile, ma al tempo stesso si perde la voce, la spontaneità e la soggettività. Le pratiche scolastiche creano così un solco profondo tra il pensiero narrativo (Bruner), centrato sul soggetto, e il pensiero istituito. La scrittura in tal modo diventa un’estranea per molti, se non una nemica. Una scrittura fortemente espressiva, personale ed efficace non viene quasi mai colta nela sua potenza comunicativa ma prima di tutto viene valutata per la correttezza grammaticale, per la corrispondenza alle aspettative dell’insegnante. Delicatezza, sensibilità e rispetto sono le parole chiave dell’autobiografismo. I contributi dei bambini vanno ascoltati, valorizzati, rilanciati e sviluppati dall’adulto. Nella didattica a. l’accento non viene posto sui contenuti specifici, ma sul deutero apprendimento, ovvero ciò che si impara facendo esperienze ripetute di un certo tipo. Ricordi personali, ricordi collettivi: A. è un fare memoria, una narrazione retrospettiva che esplora i ricordi a breve, lungo e lunghissimo termine e nel fare questo la memoria a. si mostra ricostruttiva e costruttiva, oltre che educabile. La narrazione ha quindi un ruolo importante per ricordare e fissare gli eventi. La memoria è legata ai sensi (es ricordo grazie a quel profumo che rievoca …), al corpo (es. manipolare, assaggiare, cantare scatenano la memoria) ed è anche un evento sociale e collettivo, in quanto ricordare insieme diventa occasione di esperienze significative. La scuola intende accompagnare il bambino in un percorso che consente di passare dal racconto individuale a un sapere condiviso e socialmente codificato. L’obiettivo della proposta è favorire la connessione tra curricolo scolastico e esperienze di vita. Questo vale per ogni disciplina, ad es. per la storia, raccogliere racconti delle condizioni di lavoro dei nonni; l’insegnante deve resistere alla tentazione di correggere, dare risposte e lavorare bene sulle e con le domande. Anche il lavoro sulle preconoscenze che si svolge quando si introduce un nuovo argomento, contiene spesso forti connotazioni a. . Uno dei compiti della scuola primaria è proprio dedicare tempo al riannodare i fili tra le esperienze personali e i saperi istituiti, consolidare e promuovere le strutture cognitive soggiacenti. A partire dalle singole storie, l’insegnante chiederà di trarre gli elementi cruciali e ricostruire la storia collettiva, che non sarà però astratta, ma frutto di connessioni tra il mondo del bambino e il sapere scolastico (es. raccogliere racconti di guerra dei nonni x avere un quadro variegato e differenziato della guerra stessa). Rischi: le storie non hanno sempre un lieto dine e ricordare può significare rivivere emozioni sgradevoli, traumi e ferite. Importante che l’insegnante sia sensibile. Educare alla parola: l’insegnamento tradizionale -fondato su lettura, dettatura, grammatica, composizione- viene messo in discussione dalla didattica costruttivista che riprende il tema della soggettività. La costruzione del testo a. è un processo lento che si avvale di esercitazioni graduali. Educare alla parola significa sviluppare modi di comunicare efficaci e corretti perché autobiografismo non significa spontaneismo, pura espressività senza regole: gli aspetti tecnici dello scrivere sono connessi a quelli comunicativi ed espressivi e viceversa. Mentre l’espressione di sé è personale, ricera autenticità, descrive valori, emozioni, la comunicazione ha carattere sociale, è fatta per qualcuno. Espressività e comunicazione sono inversamente proporzionali alla noia e alla frustrazione. La composizione stereotipata, scritta per accontentare la maestra e fatta sempre e solo come compito o verifica non avrà mai il valore di un testo che parla di sé in modo autentico e condiviso. Animare le storie: è importante animare le storie perché le tecniche animative connettono la parola e il corpo, la storia raccontata e l’esperienza vissuta. Rivivere un ricordo raccontandolo attraverso una messa in scena, una canzone, un gioco può essere un modo per andare più a fondo negli aspetti emotivi. Le storie hanno valore terapeutico. Abbinare disegno e scrittura, scrittura e azione scenica, danza e poesia con la conoscenza di sé sono modi per ricreare l’unità dell’esperienza espressiva umana. Rituali: Molto vicina all’animazione è l’attenzione per i rituali: la conoscenza di sé ha bisogni di essere ritualizzata nei tempi, negli spazi e nelle relazioni perché a scuola i tempi e gli spazi sono rapidi, strutturati sulle regole dell’istituzione. Per riappropriarsi di sé il soggetto ha bisogno di vivere uno stacco marcato e riconoscibile: 5 minuti di silenzio, un luogo 21 diverso, un oggetto simbolico, la disposizione dei corpi in cerchio servono a ritrovare l’attenzione e a prepararsi. Il portfolio narrativo: esiste un modo a. di usare strumenti come il portfolio. I portfoli vengono spesso fatti in serie, come documenti da compilare, ma le vite e le persone sono uniche e diverse. Vengono compilati dal consiglio di classe e sottoscritti dal ragazzo in modo superficiale, senza che abbiano alcun senso per lui. Quando si scrive qualcosa che ha senso per sé invece, si ricerca in modo attivo la chiarezza, si cerca di dirlo in modo efficace. (es. io e la scuola primaria. Cosa ha imparato alla scuola primaria? correttezza ed efficacia al di sopra della media abituale). Compilare un portfolio narrativo = fare un bilancio (autovalutazione), rivedere il percorso fatto (memoria a.), proiettarsi nel futuro (immaginazione). Significa farsi un autoritratto e autovalutarsi. L’insegnante ha il ruolo di accompagnamento, sostegno e aiuto ma non può sostituirsi nella compilazione del portfolio; quest’ultimo dovrà essere letto, accolto e riconosciuto da tutte le persone implicate come un doc su cui riflettere e lavorare insieme all’allievo. Si rende così l’alunno partecipe del suo processo di sviluppo e apprendimento, lo si aiuta ad individuare vuoti e lacune da colmare, ma anche pregi e potenzialità. Inoltre, bisogna tener conto del fatto che non c’è modo di lavorare sulla narrazione di sé che non chiami in causa, più o meno direttamente, la famiglia. Il rapporto scuola-famiglia è un problema aperto: spesso l’incontro tra i due mondi è superficiale tanto che l’insegnante a volte non viene nemmeno a conoscenza di situazioni gravi o problematiche. La proposta autobiografica diventa occasione di incontro con le famiglie, i nonni si prestano a testimoni del passato volentieri. Sarebbe strategico garantirsi fin dall’inizio il coinvolgimento delle famiglie e ricercare attivamente quella relazione rassicurante che nasce dal coltivare un’autentica collaborazione. L’informazione ai genitori deve essere curata: un compito autobiografico che arriva a casa può creare dubbi, timori e obiezioni, ma un incontro preliminare con le famiglie è spesso sufficiente a fare decollare bene l’iniziativa. Il rispetto delle storie: le storie devono essere rispettate per quello che sono, quindi è da evitare ogni atteggiamento interpretativo ma anche superficiale, svalutante e giudicante. L’insegnante deve accompagnare l’altro dentro la sua storia con domande come “a te come sembra? Tu cosa pensi? Secondo te cosa vuol dire?”. È esattamente il contrario dell’atteggiamento diffuso dell’adulto che crede di sapere meglio del bambino che cosa lui pensa, sente e vuole dire. Ci vuole molta umiltà e capacità di stare sullo sfondo e saggezza di trattare le storie come eventi plurali, dagli sguardi multipli e dalle tante possibili letture evitando di fissarle in una versione unica e rigida (spesso si riduce tutto a un registro psicologico emotivo impoverendo le nostre capacità di comprendere la complessità delle storie) 8. La lezione come buona pratica dell’insegnamento. È modalità più diffusa di conduzione didattica e di trattazione di un nuovo argomento alla classe. In realtà è una vera e propria metodologia didattica, che presenta un’ampia gamma di modalità di conduzione e di variazioni. Termine ambiguo con numerosi significati. Spesso gli insegnanti nell’impostare una lezione fanno riferimento alle loro esperienze passate. Per indagare il rapporto tra esperienza personale e modello didattico che gli insegnanti mettono a punto nel momento di fare lezione è stato chiesto a un campione di insegnanti in formazione quali siano per loro gli elementi che qualificano positivamente una lezione. Sono emersi risposte che convergono in due poli: uno dominato dal modello di insegnamento come trasmissione del sapere e l’altro ispirato dal modello della pedagogia attiva. Infatti tra le risposte emergono elementi del modello di insegnamento adultocentrico (capacità, carisma, competenze dell’insegnante). Nella maggior parte dei casi però i modelli si sovrappongono, si intrecciano. Emergono infatti elementi appartenenti a un modello interattivo (accattivarsi l’attenzione degli allievi, interessarli e motivarli, creare una buona relazione) ma anche elementi relativi ai contenuti (capacità di organizzarli, suddividerli, graduarli) e infine viene data importanza agli aspetti organizzativo-istituzionali (spazi, condizioni ambientali, organizzazione oraria), l’uso di strumenti didattici (sussidi, materiali) e aspetti comunicativi. Dalla lezione frontale alla lezione partecipata: la lezione che tutti conosciamo ha origine nella lectio medioevale (lettura di un testo, ascolto delle opinioni del maestro, proposta e discussione di opinioni contrarie) che si teneva nelle Università. Questo tipo di lezione va in crisi nell’Illuminismo quando prevale la lezione frontale, cattedratica, espositiva e verbalistica: l’insegnante parla e gli studenti ascoltano, secondo il modello che vede l’apprendimento come conseguenza automatica dell’insegnamento. Vantaggi di chi la sostiene e motivi per cui viene scelta: può essere proposta a gruppi numerosi, supera vincoli organizzativi di spazio e tempo, evita le perdite di tempo, aiuta a controllare i contenuti trasmessi e fa giungere tutti alle stesse conoscenze, permette di trasmettere l’esperienza culturale emotiva dei docenti, dà occasione agli insegnanti di far ricorso ad espedienti retorico-comuncativi. Se però compito dell’insegnante è quello di rendersi superfluo e portare gli studenti all’indipendenza, rendere attivi e partecipi gli allievi, l’insegnante deve eliminare completamente la lezione- conferenza o può declinare la lezione diversamente? 22 L’importanza della comunicazione: la lezione frontale è basata sulla comunicazione verbale, questo genera diverse difficoltà: - non tutti gli alunni possono comprendere a causa della complessità linguistica, pertanto l’insegnante deve essere attento ad utilizzare un linguaggio idoneo e comprensibile. - Un altro limite è la comunicazione paraverbale (pause, tono ,sguardo, gesti...) incide fortemente sull’efficacia di quella verbale, a volte il messaggio viene disperso a causa di atteggiamenti di accettazione o rifiuto del docente o da parte del docente . - È necessario che l’insegnante osservi continuamente i messaggi di ritorno (feedback) degli alunni e si adatti in funzione di essi. È importante che attraverso il tono della voce, la postura venga comunicata la consapevolezza della propria competenza professionale e della propria disponibilità umana. Inoltre l’insegnante oltre ad essere esperto della formazione, è esperto della comunicazione, il cui compito è quello di comprendere, motivare, gratificare e sollecitare. Pertanto deve favorire la partecipazione attiva della classe, invitando gli alunni a parlare delle proprie esperienze relative agli argomenti trattati, a ragionare sugli avvenimenti, a confrontare dati, a risolvere problemi. L’organizzazione didattica: oltre che la comunicazione, l’organizzazione dei contenuti è un’altra condizione essenziale per raggiungere gli obiettivi di apprendimento. Errori da evitare (le 4 massime di Grice): – quantità: evitare informazioni superflue. – qualità: ogni informazione deve essere credibile e veritiera. – relazione: essere pertinenti. – modo: esporre in modo ordinato e chiaro. Massime utili, ma non sufficienti: cosa vuol dire chiarezza, pertinenza..? l’attività didattica richiede mete misurabili e chiaramente fissate, nonché strumenti per verificarne il conseguimento. Secondo le tassonomie educative del comportamentismo, che definiscono con chiarezza una gerarchia dei livelli di apprendimento, la valutazione si fonda su dati osservabili, su traguardi intermedi o finali, su obiettivi chiaramente definiti e sulla definizione precisa dei contenuti e delle modalità per esporli. Le azioni dell’insegnante nella lezione collettiva secondo Gagné sono invece: • attirare l’attenzione verso il contenuto da apprendere (“guardate qui, ascoltate bene”, scrivere alla lavagna …) e controllare. • informare gli alunni dei risultati attesi, cioè degli obiettivi da raggiungere. Ha funzione di rinforzo. • verificare e stimolare il ricordo delle preconoscenze. • Presentare la situazione-stimolo, a seconda dell’argomento si deciderà la metodologia (domande, brani, immagini, parole, brainstorming…). • fare da guida, ad es ponendo domande che indirizzino le risposte e i pensieri degli alunni. • Fornire feedback in itinere al soggetto per permettergli di verificare la correttezza di ciò che fa, rinforzando le risposte con cenni del capo, sguardi, rinforzi verbali. • valutare la performance, fornendo un test finale. • Provvedere al transfert, ovvero al trasferimento dell’abilità acquisita in situazioni diverse (competenze). • assicurare la ritenzione delle capacità/informazioni e il collegamento tra le informazioni nuove e quelle già apprese con richiami ecc. Anche i linguaggi con i quali si presentano i contenuti devono tener conto della gradualità. Per Bruner bisogna :  variare i linguaggi è utile per mantenere viva l’attenzione degli studenti: proporre argomenti alternandoli ad attività quali l’osservare, l’odorare, il gustare, l’esplorare.  Condannare gli apprendimenti ripetitivi e mnemonici e insistere sul “fare”.  Tener conto delle diverse capacità di ricezione dei soggetti e dosare la quantità di informazioni da trasmettere.  L’insegnante che parla senza ascoltarsi mette in atto un monologo. Quando scegliere di usare la lezione frontale: nessuna metodologia è giusta di per sé e efficace a prescindere: ognuna può essere usata a seconda degli obiettivi. Secondo Cage e Berliner, la lezione frontale è efficace nei seguenti casi: 1. Quando il docente vuole presentare dati non reperibili dagli allievi, fonti non disponibili o molto aggiornate. Dati recenti o molto tecnici infatti necessitano di essere interpretati, integrati con spiegazioni. Il docente si pone come mediatore culturale tra gli alunni e la realtà e sa andare oltre i dati dei libri. 2. Quando vuole presentare dati puramente informativi che richiedono solo di essere memorizzati, le metodologie attive risultano diseconomiche perché sono adatte per obiettivi più complessi.
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