Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Esperienza ed educazione, Sintesi del corso di Didattica Pedagogica

Dewey, più importante filosofo dell'educazione del Novecento, contrappone la sua posizione a quella dei conservatori, che criticavano le "scuole nuove" ispirate dal suo credo e auspicavano il ritorno dalla tradizione e al principio di autorità come fondamento pedagogico.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 21/06/2018

sara-percoco
sara-percoco 🇮🇹

4.6

(5)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Esperienza ed educazione e più Sintesi del corso in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! Esperienza ed educazione John Dewey Introduzione di Francesco Cappa Gli studi universitari di Dewey furono influenzati dalla tradizione neohegeliana; a seguito di questi studi costruì le premesse della sua interpretazione del pragmatismo strumentalistico con riferimenti all’evoluzionismo, fondando in quel periodo (XX secolo), con Mead, quella che verrà chiamata la “Scuola di Chicago”. Dewey diede inizio al movimento dell’”educazione progressiva” che portò le politiche educative ad una svolta democratica che giungerà a prendere il nome di “attivismo”. Egli spostò l’attenzione verso gli scopi sociali in educazione e la pedagogia – che fino a quel momento era considerata un’attività teorica fondata sulla filosofia, sull’etica e sulla teologia – iniziò ad essere studiata e pensata come una vera e propria scienza autonoma. Con Dewey la pedagogia attingerà pienamente dalla psicologia, dalla biologia, dall’antropologia e dalla sociologia. Le posizioni teoriche e pratiche di Dewey (riferimenti all’evoluzionismo e al pragmatismo di Peirce e William James) pongono l’esperienza concreta dell’uomo come base fondamentale della cultura e della conoscenza. Esperienza considerata come qualcosa che tende a modificare attivamente l’ambiente naturale e quello sociale. Per Dewey l’esperienza non è mai esperienza di un oggetto da parte di un soggetto, ma interazione fra soggetto e oggetto, “transazione”, relazione in cui i termini non sussistono mai per sé, ma solo nei termini della relazione stessa. L’esperienza rinvia sempre a situazioni di precarietà e di problematicità in cui l’uomo è coinvolto nel suo sforzo di adattamento e di evoluzione. Rispetto a tali situazioni lo strumento fondamentale di cui il soggetto dispone è la ragione, l’attività intelligente, come la chiama Dewey, da considerare come un’attività simbolica di ricerca secondo un metodo fatto di ipotesi e sperimentazioni. Esperienza ed educazione viene pubblicato nel 1938 e rappresenta la sintesi del pensiero filosofico e pedagogico di Dewey sull’educazione e sulla scuola. In Esperienza ed educazione Dewey contrappone la sua posizione a quella dei conservatori che criticavano “le scuole nuove” e auspicavano il ritorno alla tradizione e al principio di autorità come fondamento pedagogico. Dewey non parla mai di pedagogia in questo scritto, ma di una filosofia dell’educazione basata sull’esperienza. L’esperienza è la chiave di volta per pensare e fare educazione, per criticare sia i punti deboli delle scuola tradizionali che l’applicazione sbagliata dei programmi delle scuole nuove. Educare significa accrescere l’ambito dell’esperienza del docente e del discente. Rivoluzione pedagogica di Dewey nel XX secolo l’originalità di questa posizione non può essere ridotta al fatto che al centro del campo educativo ci siano le relazioni fra insegnante e alunno, ma queste relazioni vanno considerate come effetti del reticolo di interazioni fra la Storia e le storie dei soggetti, considerando la trama della “situazione”. Con Dewey l’accento viene messo sulla centralità dell’esperienza del discente, sulle sue esigenze vitali, generando una conversione dello sguardo che costringe a considerare le scuole o le istituzioni educative come comunità educanti. Dewey ci ha permesso di pensare la scuola come una comunità di pratica educante. Si apprende grazie all’esperienza, per questo l’insegnamento deve essere centrato sulle possibilità dell’alunno e la scuola deve essere per tutti. L’esperienza deve costituire sia il punto di inizio per l’elaborazione della teoria sia il punto di arrivo (confronto critico con l’esperienza). L’esperienza non è primariamente “conoscenza”, ma “modi di fare e di patire”, nell’esperienza infatti si intrecciano elementi di attività e di passività. Non tutte le esperienze però sono educative: la differenza è data dalla qualità dell’esperienza che l’educatore propone: un’esperienza è educativa se vivrà creativamente nelle esperienze che seguiranno, secondo Dewey. Gli ordinamenti sociali della democrazia promuovono una qualità superiore dell’esperienza umana, più largamente accessibile e possibile di quelle non democratiche. Solo questa qualità superiore dell’esperienza può avere come effetto la libertà (tesi di fondo del libro). La libertà è generata da fattori esterni e interni, ossia che riguardano i contesti, materiali e simbolici, e quelli psicologici dei soggetti in formazione. Dewey insiste sull’attenzione che l’educatore deve dedicare all’allestimento dell’ambiente educativo per generare la possibilità per tutti gli attori di accedere a un luogo, a uno spazio di gioco dell’intreccio delle relazioni che sia disponibile ad ampliare le possibilità dell’esperienza. SPECIFICITA’ DEL SETTING PEDAGOGICO MASSIMA INTENSITA’ DELL’ESPERIENZA EDUCATIVA Il setting pedagogico è “l’assetto interno degli insegnanti e dei ragazzi, a partire da un insieme di regole che rendono possibili i ruoli reciproci”. A partire dal setting si può entrare in contatto con la qualità dell’esperienza. Il setting permette di organizzare il gioco relazionale orienta dolo in modo educativo. Lo sfondo formativo è ciò al quale continuamente rimanda il discorso di Dewey che intreccia le dimensioni organizzative, politiche, sociali, di potere con i propositi e gli effetti che ogni progetto educativo deve saper immaginare, allestire e valutare. Riflettere sul setting scolastico aiuta a pensare la formazione e l’educazione come un dispositivo, come scriveva Riccardo Massa nel testo Cambiare la scuola. Perché nella scuola la questione del setting sembra completamente rimossa e viene barattata con la “disposizione” dei banchi e l’allestimento dei laboratori didattici, con l’uso dei nuovi strumenti o dei new media. L’importanza del setting permette di comprendere perché sia necessario, per cambiare la forma della scuola, pensare l’educazione come dispositivo. Il dispositivo è un sistema di procedure in atto, di discorsi in cui i contenuti e la relazione vengono giocati all’interno di una certa strategia pedagogica. Se l’educazione è un dispositivo, la scuola non può essere interpretata come il luogo del palcoscenico in cui l’attore – educatore è massimamente esposto e illuminato dalla luce, ma deve essere pensata e praticata come una scena, da osservare e frequentare in tutta la sua profondità. Una scena in cui ci sia una relazione e una comunicazione orientata educativamente in modo da evitare che l’educazione e la formazione si limitino a essere un atto in sé, una performance in sé. Paradossalmente nell’educazione tradizionale gli effetti erano tutti votati a generare performance anziché esperienze. La scuola viene intesa come “scena educativa”. È l’autentica frequentazione di questa scena che permette a Dewey di condurre la sua critica alle vecchie posizioni sulla materia di studio. La scena rende visibili e percepibili le zone d’ombra dell’esperienza che ognuno vive a scuola. L’immagine che si “produce” nella scuola attraverso l’interpretazione del proprio ruolo è importante, ma chiama ad una responsabilità che ci supera. Siamo responsabili, insieme agli altri, che occupano con noi lo spazio educativo, della scena “creata” dalla nostra azione. Si tratta di allestire una scena che permetta anche di sperimentare l’attraversamento del campo affettivo invece di rappresentare l’affettività come mera/pura emotività. A questo pensa Dewey quando parla del “significato del proposito”. Un proposito differisce da un impulso e da un desiderio per il fatto di venire tradotto in un piano e un metodo d’azione, basato sulla previsione delle conseguenze dell’operare sotto certe condizioni generali, storiche e specifiche del settore pedagogico. Solo se l’affettivo e il cognitivo si intrecciano realmente si può dare esperienza educativa. La “riflessione” sull’esperienza assume per Dewey una funzione formativa fondamentale poiché conduce la teoria e la pratica fino al punto in cui devono includere l’esame delle fondamenta dei sentimenti e delle convinzioni agenti negli attori sociali e nel campo in cui essi intervengono. Un’esperienza educativa dev’essere in grado di offrire un’elaborazione affettiva e cognitiva di secondo livello delle rappresentazioni di tutte le altre realtà sociali che i soggetti, studenti e docenti, attraversano e che li formano nuovi media compresi. Solo dalla sperimentazione del desiderio di apprendere può nascere un reale apprendimento dall’esperienza. Un desiderio che riguarda la capacità di generare un’esperienza che mostri in tutta la sua materialità la forza di attrazione che l’esperienza stessa dell’apprendimento può generare nel campo esistenziale e nella vicenda formativa dei soggetti. L’esperienza può quindi divenire mezzo e fine dell’educazione; è sulla scena educativa che si muovono i corpi materiali e immaginari degli studenti e dei docenti. Per vivere il pieno significato di ogni esperienza educativa presente dobbiamo comprenderla a partire da una prospettiva temporale che tematizza la qualità della nostra “presenza” e non il nostro utilitario proiettarci sulle esigenze del prossimo futuro. La conoscenza, il principio di autorità, la libertà, il fine che ognuno si pone agendo nascono dall’esperienza e si sviluppano su questa scena, presa tra il passato da conoscere e un futuro differente da costruire e da vivere. Rispetto a questa visione della temporalità educativa si fa sentire l’importanza del rapporto tra Dewey e Mead. Il principio della continuità dell’esperienza educativa di Dewey va compreso anche alla luce della nozione di “prospettiva temporale” elaborata da Mead. Nelle riflessioni di Mead viene da un lato confermata l’importanza degli aspetti socioculturali nella costruzione degli habiti e dall’altro evidenziata nella nozione di “prospettiva temporale” un’attenzione al processo di costruzione e formazione del sé. Per Mead non si può comprendere la natura del tempo se non si tematizza il rapporto originario che “l’emergente” intesse con il flusso temporale, modello della costruzione di sé. Il presente è il luogo dell’emergenza. L’emergente ha le stesse caratteristiche di quello che potremmo chiamare, con Dewey, l’evento educativo. L’emergente, l’evento educativo, porta sempre una discontinuità, ma una traccia della continuità dell’esperienza rimane visibile a partire dal fatto che il presente “accade in una prospettiva”. Per situazione non deve intendersi né un oggetto singolo, né un gruppo di oggetti o eventi. Non sono possibili “né giudizi d’esperienza, né giudizi formali circa oggetti ed eventi se sono isolati, ma solo se sono connessi in un contesto complessivo. Quest’ultimo è ciò che si chiama situazione. Inoltre Mead afferma che l’emergente che ristruttura l’esperienza educativa sarà solo quello praticato da un soggetto e da un ambiente relativamente estranei (stessa posizione di Dewey). Il mondo diventa incessantemente ciò che esso significa. Quando Dewey parlava dei rapporti tra pensiero ed esperienza, aspetti dipendenti dal rapporto fra soggetto e temporalità educativa, e pensava a una formazione come “ricostruzione”, aveva in mente il nesso comprensione che avrebbe potuto trarre dalla sua esperienza passata ed è infedele al fatto che ogni esperienza implica contatto e comunicazione. La persona matura non ha il diritto di sottrarre al giovane qualsiasi capacità di comprensione simpatica che l’esperienza ha fornito. In che modo l’adulto può intervenire senza imporre un controllo meramente esterno? avere la comprensione simpatica dell’individuo in quanto tale o stare all’erta per vedere quali tendenze abituali si stanno creando. Deve saper giudicare quali abitudini favoriscono la crescita e quali la impediscono. L’esperienza non si compie semplicemente nell’interno della persona (avviene lì perché influenza la formazione di attitudini e desideri). Ma ogni esperienza autentica ha un aspetto attivo che cambia le condizioni obbiettive sotto cui si compie l’esperienza. Noi viviamo in un mondo che è quel che è in virtù di ciò che è stato fatto da colore che ci hanno preceduti. Ci sono però fonti dell’esperienza fuori dall’individuo l’esperienza è costantemente aumentata da queste (ad esempio: un ragazzo di mare ha un’esperienza diversa rispetto ad un ragazzo di montagna): spesso consideriamo questi fatti luoghi comuni ma hanno un’importanza pedagogica: 2° modo di dirigere l’esperienza senza ricorrere all’imposizione. L’educatore deve conoscere in che modo usare la situazione circostante per far in modo che si verifichino esperienze di valore. L’educazione tradizionale non si poneva questo problema: non si chiedeva che il maestro si informasse sulle condizioni della vita circostante, per usarle a scopo educativo. Tuttavia un sistema di educazione basato sul nesso esperienza – educazione deve tener conto di queste cose. La partecipazione attiva dell’educatore una delle difficoltà rispetto al sistema tradizionale. Certe famiglie e scuole presuppongono che l’esperienza è vera esperienza solo quando le condizioni oggettive sono subordinate a ciò che si verifica negli individui che hanno esperienza (fissano l’intero processo educativo). Con questo Dewey non vuole sminuirle, devono comunque essere considerate. Non devono essere subordinate agli improvvisi bisogni interni del bimbo ma essere predisposte in modo che ci possa essere interazione tra esse e questi stati interni. La parole “interazione” assegna uguali diritti ai due fattori dell’esperienza: 1. Le CONDIZIONI OBBIETTIVE con la loro interazione costituiscono la cosiddetta “situazione” 2. Le CONDIZIONI INTERNE Errore della scuola tradizionale: dalla poca importanza ai fattori interni violando il principio di interazione da una parte (tale violazione non è una buona ragione perché la nuova educazione lo violi dall’altra). Per regolare le condizioni obbiettive dello sviluppo del bimbo i genitori hanno la responsabilità: • Sistemare le condizioni in cui si compie l’esperienza del nutrimento, sonno, ecc.. • Far riferimento alle esperienze del passato (ad esempio: consiglio di medici specializzati) Per certi aspetti tale regolazione limita la libertà del bambino: si limitano i suoi movimenti e le sue inclinazioni quando lo si pone nella culla quando vorrebbe continuare a giocare o anche quando la madre/ istruttrice afferra il bambino che sta per cadere nel fuoco. Un’esperienza è tale in virtù di una transazione che si stabilisce tra individuo e il suo ambiente = condizioni che interagiscono con i bisogni, desideri, propositi e capacità personali per creare l’esperienza. I 2 principi della continuità e dell’interazione si collegano e uniscono. Secondo il principio della continuità: situazioni ≠ si susseguono ma qualcosa passa da una situazione all’altra. Via via che un individuo passa dall’una all’altra il suo ambiente si espande o si contrae. Quello che ha acquistato in conoscenza diventa strumento per comprendere e agire nella situazione successiva il processo continua e se non accade il corso dell’esperienza è disordinato, la personalità è scissa e quando tale scissione raggiunge un certo punto l’individuo è definito folle. La continuità e l’interazione (unione reciproca) offrono la misura del significato e del valore educativo di un’esperienza. Preoccupazione dell’educatore: situazione in cui avviene l’interazione --> può regolare (fino ad un certo punto) il fattore delle condizioni oggettive --> influenza direttamente l’esperienza: deve determinare l’ambiente che interagisce con abilità e bisogni di chi impara per far sì che l’educazione abbia valore. L’educazione tradizionale non teneva conto dei propositi dell’educando! Questo rendeva accidentale l’insegnamento e l’apprendimento. Coloro per cui le condizioni erano adatte imparavano, gli altri se la cavavano come potevano. Scegliere le condizioni oggettive comporta anche comprendere attitudini degli individui che imparano in un dato tempo, non basta utilizzare metodi che furono efficaci in altri tempi per altri individui. • Scuola tradizionale: idea che certi metodi e materie hanno valore educativo in sé e per sé --> conseguenza: materiale ridotto a una dieta di materiali predigeriti (piano di gradualità quantitativa). L’alunno apprende in base alle dosi imposte dall’esterno; se si rifiuta per ripugnanza per l’argomento lo si imputava una sua colpa. La mancanza di adattamento (sia del materiale alle attitudini dell’individuo che di quest’ultimo ai materiali) rende un’esperienza non educativa. • Altra idea travisata dalla scuola tradizionale: idea che il futuro debba essere tenuto presente nel processo educativo (principio di continuità) la scuola tradizionale prepara comunque gli alunni ad affrontare le esigenze del futuro, ma non è detto che la mera acquisizione di argomenti abbia questo effetto; non è detto nemmeno che imparare le nozioni metta l’alunno in grado di saperle usare correttamente. Le materie di cui si parala sono state apprese isolatamente! Se si ripetessero le diverse condizioni se ne può servire; altrimenti no perché sono scisse dalla vita attuale. Grande errore pedagogico: credere che l’individuo impari solo quel dato particolare che studia in quel momento. Molto più importante è la formazione di attitudini durature: la più importante è il desiderio di apprendere e di applicare quanto appreso! Se tale impulso viene indebolito l’alunno viene privato delle capacità che gli permettono di cavarsela nella vita. Molte persone che hanno frequentato poco le scuole hanno tratto beneficio positivo: capacità di apprendere dalle proprie esperienze. Un individuo deve trarre dalla sua esperienza presente tutto ciò che essa gli offre in quel momento. È contradditorio l’ideale di adoperare il presente solo come preparazione al futuro perché elimina le uniche condizioni che permettono all’individuo di preparare il proprio avvenire. Solo estraendo in ogni momento il pieno significato di ogni esperienza presente ci prepariamo a fare ugualmente nel futuro. La relazione presente – futuro non è un “aut – aut”, il presente fa sempre sentire la sua influenza sul futuro! Comprendere ciò = essere maturi. Capitolo 4: Il controllo sociale Se si considera l’educazione come un’esperienza di vita, i progetti educativi devono ispirarsi ad una filosofia dell’esperienza. Nella costituzione di essa sono fondamentali due principi: 1. Principio della continuità 2. Principio dell’interazione Ci sono però dei problemi educativi effettivi uno dei quali è: il controllo sociale e della libertà individuale. Un esempio della vita quotidiana è il gioco! Esso implica regole che a loro volta implicano una condotta; esse sono parte del gioco, senza regole niente gioco. Esse hanno la sanzione della tradizione. Se c’è un contrasto ci si appella ad un arbitro. Fino a quando il gioco scorre liscio, i giocatori non avvertono di essere sottomessi ad un’imposizione esterna, a meno che un individuo tenti di imporre la sua volontà. Il controllo delle azioni individuali è fatto dall’intera situazione in cui gli individui sono compresi, in cui sono interattori e cooperatori. Non è la volontà di una persone a mettere ordine, ma lo spirito motore dell’intero gruppo. Il controllo è sociale, ma gli individui sono parte della comunità, non fuori di essa. L’autorità esercitata da genitori e insegnati non è manifestazione di volontà individuale, ma è nell’interesse del gruppo (ciò che è giusto è leale ≠ azione arbitraria) --> pochi sono i ragazzi che non avvertono tale ≠. Essi sono inclini ad accogliere i suggerimenti di un ragazzo e a farlo capo, ma si risentono contro ogni suo tentativo di imposizione. La scuola non era un gruppo tenuto assieme dalla partecipazione alle attività comuni --> mancavano le condizioni per il controllo sociale, l’ordine era nelle mani dell’insegnante. Nelle scuole nuove la fonte principale del controllo sociale è riposta nella natura stessa del lavoro inteso come un’impresa sociale a cui tutti prendono parte e di cui sono responsabili. Compito dell’educatore: conoscere sia gli individui della materia di studio e trarre attività che si prestano all’organizzazione sociale, in cui attività = mezzi di controllo. Non tutti i ragazzi rispondono! Alcuni sono già vittime di condizioni esterne sfavorevoli e sono diventati passivi, altri a causa di esperienze anteriori sono ribelli. L’educatore deve indagare sulle cause dell’atteggiamento antisociale, talvolta occorre ricorrere all’esclusione --> non è la soluzione! Che però può rafforzare le cause. La mancanza di disciplina in certe scuole progressive non deriva da questi casi eccezionali ma dalla mancata predisposizione del genere di lavoro --> creando situazioni che tendono ad esercitare controllo su ciò che fa l’alunno e sul modo in cui lo fa --> tale omissione risale a un’insufficiente meditazione del piano che ci si è proposti --> varie cause! Una di esse: idea che non occorre fare un piano in quanto contrasta intimamente con la libertà degli educandi. L’educatore deve: tener conto delle capacità/bisogni dell’allievo e porlo nelle condizioni di sviluppare tali capacità. Il piano deve pertanto essere: abbastanza flessibile per permettere il libero gioco dell’esperienza individuale, ma anche abbastanza fermo per indirizzare verso un continuo esercizio del potere. Capitolo 5: La natura della libertà Altro lato del problema del controllo sociale è la natura della libertà. Unica libertà di durevole importanza: libertà dell’intelligenza --> di osservare e giudicare esercitata nei riguardi di piani che hanno un valore intrinseco. Errore comune: identificarla con il lato esterno o fisico dell’attività --> non può essere separato dal lato interno di essa (= libertà di pensare, agire, fare progetti..) Tipica aula scolastica tradizionale = grave restrizione della libertà intellettuale e morale --> per creare un terreno propizio allo sviluppo occorre farla finita con i metodi della camicia di forza! Una maggiore libertà di moto esterno è un mezzo, non un fine. Il problema educativo non è risolto una volta raggiunta tale libertà; tutto dipende da cosa ci si fa con essa. Benefici della libertà: 1. Senza di essa è impossibile che un insegnante conosca l’individuo con cui ha a che fare perché la calma e l’obbedienza imposte gli impediscono di rivelare la loro natura (uniformità artificiale pensieri, immaginazioni e attività clandestine continuano dietro a questa facciata il maestro si accorge quando un gesto maldestro lo mette allo scoperto); 2. Natura stessa dell’apprendimento: i metodi antichi premiano la passività e la ricettività: l’unico modo per sottrarsi ad essi è l’attività irregolare, indisciplinata. Ad esempio non c’è completa quiete in un laboratorio o in un’officina. L’educazione è un processo sociale e lo diventa tanto meglio quanto più gli individui formano un gruppo comunitario. L’insegnate in quanto membro più maturo del gruppo, di norma, deve dirigere interazioni e intercomunicazioni. Ma se l’educazione è basata sull’esperienza e esperienza = processo sociale l’insegnate perde la sua posizione di padrone e diventa direttore di attività associate. Carattere non sociale della scuola tradizionale: essa fa del silenzio una delle sue prime virtù. La libertà di movimento è un mezzo importante per mantenere la salute fisica e mentale (greci --> “mente sana in corpore sano”. La libertà di azione esterna è un mezzo in vista della libertà di giudizio e del potere di eseguire i propri fini. La quantità di libertà varia da individuo a individuo e tende naturalmente a diminuire con l’accrescere dell’età. La qualità e la qualità di tale libertà deve essere un problema che l’educatore si pone in ogni stadio dell’educazione. Grave errore: considerare tale libertà come un fine in sé. Esso tende a distruggere le attività che si svolgono in gruppi (sorgente del normale ordine) --> fa della libertà qualcosa di negativo. Impulsi e desideri naturali punto di partenza Tuttavia non c’è crescita intellettuale senza qualche rifacimento degli impulsi e desideri, nella forma in cui si presentano la prima volta. Tale rifacimento implica un’inibizione dell’impulso nella sua prima forma. Vecchio motto: “se vuoi pensare fermati” è esatto! Pensare infatti = arresto dell’immediata manifestazione dell’impulso, finché non è stato messo in rapporto con le altre tendenze attive, finché non si forma un piano coerente. Meta ideale dell’educazione creazione del potere di autocontrollo. Per farlo non basta la rimozione del controllo esterno. È facile sottrarsi ad una forma di controllo e incappare in una più pericolosa. Può essere una perdita non un guadagno sottrarsi al controllo di una persona abbandonandosi nella stravaganza e capriccio immediato --> una persona controllata in tal modo ha un’illusione di libertà (diretta da forze che non riesce a dominare). Capitolo 6: Il significato del proposito Libertà = potere di concepire propositi e portarli a compimento. Essa è uguale all’autocontrollo poiché la formazione di propositi e l’organizzazione dei mezzi per eseguirli è l’opera dell’intelligenza. È molto importante che l’educando partecipi alla formazione dei progetti del suo apprendimento. La scuola tradizionale è incapace di assicurare l’attiva cooperazione dell’educando. Un autentico proposito ha sempre come punto di partenza un impulso1 --> l’impedimento dell’immediato appagamento di esso lo trasforma in desiderio2. Né 1 né 2 sono propositi = è la previsione delle conseguenza che risulteranno dall’operare in base a un impulso* --> questo implica l’attività dell’intelligenza che richiede l’osservazione delle condizioni e delle circostanze, infatti *impulso e desiderio producono conseguenze anche attraverso l’interazione con le condizioni circostanti (meno attenzione terreno normale, più attenzione terreno impervio). L’esercizio dell’osservazione è una condizione della trasformazione dell’impulso in proposito! Ma l’osservazione da sola non basta, bisogna comprendere il significato di ciò che vediamo/ tocchiamo/udiamo. Tale significato risulta dalle conseguenze dell’azione che si intraprende. Nei casi straordinari è difficile dirle con precisione. Occorre richiamare alla memoria esperienza passate (sono simili a quelle presenti) e formulare un giudizio. Capitolo 7: Organizzazione progressiva della materia di studio Le condizioni oggettive: • di osservazione • di memoria = materia di studio • di informazione procurata dagli altri
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved