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Esperienza ed educazione, Dispense di Pedagogia

Esperienza ed educazione - Dewey Esame Zamengo Riassunto dettagliato

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 21/04/2020

desire-falqui
desire-falqui 🇮🇹

4.3

(17)

6 documenti

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Scarica Esperienza ed educazione e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Esperienza ed educazione Capitolo 1: Educazione tradizionale ed educazione progressiva La storia della teoria dell’educazione è caratterizzata dall’opposizione fra l’idea che l’educazione sia sviluppo dal di dietro e l’idea che essa sia formazione dal di fuori; quindi fra la tesi che essa sia basata sulle doti naturali e la tesi che l’educazione sia un processo di soggiogamento delle inclinazioni naturali e di sostituzione al loro posto di abiti acquisiti mediante la pressione esteriore. Attualmente l’opposizione tende ad assumere la forma di contrasti fra l’educazione tradizionale e quella progressiva. Le idee che stanno alla base della prima sono:  La materia dell’educazione consta di corpi di informazioni e di abilità che sono stati elaborati in passato e, quindi, il compito della scuola è quello di trasmetterli alla nuova generazione  L’addestramento morale consiste nel formare abiti di azione conformi a queste regole e norme generate nel passato  L’organizzazione scolastica fa della scuola un tipo di istituzione del tutto diverso da quello delle altre istituzioni sociali Lo scopo principale è quello di preparare il ragazzo alle responsabilità future e al successo nella vita mediante l’acquisizione di un insieme di conoscenze e di forme di abilità ben fondate che costituiscono il materiale dell’istruzione. Il sorgere della nuova educazione o scuole progressive è di per sé un effetto del disagio che suscita l’educazione tradizionale. E’ quindi una critica di essa, e quando questa critica da implicita si tramuta in esplicita formulando che il sistema tradizionale, nella sua essenza, consiste in un’imposizione dall’alto e dal di fuori. Impone norme, programmi e metodi di adulti a individui che si avviano lentamente alla maturità. Infatti l’abisso fra i prodotti di chi è maturo e le abilità del ragazzo è così profondo da impedire così un partecipazione attiva degli alunni a ciò che viene loro insegnato. In questo modo imparare significa acquisire ciò che è incorporato nei libri e nelle teste degli adulti. Inoltre ciò che è insegnato è pensato come essenzialmente statico, come se fosse un prodotto finito. Le scuole progressive attualmente esistenti hanno in comune una serie di principi, come:  All’imposizione dall’alto si oppongono l’espressione e la cultura dell’individualità  Alla disciplina esterna si oppone la libera attività  All’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza  All’acquisizione di abilità e di tecniche isolate attraverso l’esercizio di oppone il conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali  Alla preparazione di un futuro remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente Tutti questi principi si fanno concreti soltanto nelle conseguenze della loro applicazione e al modo in cui si interpretano quando si applicano. Il rischio che si può correre è che si venga a creare una filosofia dell’opposizione che non tenga presente nessun tipo di problema e che respinga in toto l’organizzazione della vecchia educazione, invece di sforzarsi di scoprire cosa esso significa e come si può pervenire muovendo dall’esperienza. Per il fatto che l’educazione di un tempo imponeva ai discendenti la conoscenza, i metodi e le norme di condotta degli adulti, non ne segue che la conoscenza e l’abilità degli adulti non possono servire da guida all’esperienza degli immaturi. Anzi, basare l’educazione sull’esperienza personale può darsi che si moltiplichino i contatti fra il maturo e l’immaturo, accrescendo così il valore di essere guidati. Allora bisogna domandarsi: come si possono istituire questi contatti senza violare il principio dell’imparare mediante l’esperienza? La soluzione a questo quesito esige una filosofia al passo con i fatti sociali che operano nella costituzione dell’esperienza individuale. Molte delle scuole nuove tendono a dare un peso minimo o nulla alla materia di studio organizzata, comportandosi come se qualsiasi forma guida da parte degli adulti fosse un’usurpazione della libertà individuale. Se una filosofia dell’educazione professa di essere fondata nell’idea della libertà può diventare dogmatica quanto l’educazione alla quale reagisce. La nuova educazione pone l’accento sulla libertà dell’allievo, ma il problema è: che cosa significa libertà e, quali sono le condizioni sotto le quali essa si realizza? Tuttavia il bisogno primario è quello di scoprire il nesso che esiste attualmente dentro l’esperienza fra i risultati del passato e i problemi del presente. Dobbiamo accertare in che modo la conoscenza del passato può essere trasformata in un potente strumento per agire effettivamente sul futuro. Abbiamo dunque a che fare con un problema nuovo nella storia dell’educazione: in che modo il ragazzo deve imparare a conoscere il passato per fare di questa conoscenza un potente ausilio per giudicare la vita presente? Capitolo 2: Bisogno di una teoria dell’esperienza fondamentali e i modi di rispondere a tutte le condizioni in cui ci imbattiamo nella vita. Da questo punto di vista, il principio della continuità dell’esperienza significa che ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che l’hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno. La crescita, ovvero il crescere come svolgimento non soltanto fisicamente ma anche intellettualmente moralmente inteso, è un esempio del principio di continuità. L’obiezione fatta è che quella crescita può prendere molte direzioni differenti. Da qui si è tratta la conclusione che la crescita non è sufficiente; dobbiamo dunque specificare la direzione in cui cresce, il fine verso cui tende. Dal punto di vista della crescita come educazione e della educazione come crescita si tratta di vedere se la crescita in una direzione promuove o ritarda la crescita in generale: soltanto quando lo svolgimento in una direzione particolare conduce alla continuazione della crescita, esso risponde al criterio dell’educazione come crescita. Ritornando al problema della continuità bisogna aggiungere che ogni esperienza, oltre influenzare in bene o in male le attitudini che aiutano a decidere la qualità delle esperienze che seguiranno, influenza in qualche grado le condizioni obiettive sotto le quali saranno fatte le esperienze future. Ma mentre il principio di continuità si applica in qualche modo in ogni caso, la qualità dell’esperienza presente influenza il modo in cui il principio si applica. Il principio di continuità dell’esperienza può operare in modo da arrestare un individuo su un basso livello di sviluppo, incapace di un’ulteriore crescita. D’altra parte, se un’esperienza suscita curiosità, rafforza l’iniziativa e fa nascere desideri e propositi che sono sufficientemente intensi per trasportare un individuo al di là dei punti morti nel futuro, la continuità opera in un modo molto diverso. La maggior maturità dell’esperienza che dovrebbe possedere l’adulto in quanto educatore lo mette in grado di valutare ogni esperienza del giovane da un punto di vista in cui non può porsi chi possiede un’esperienza meno matura. Tocca allora all’educatore rendersi conto in quale direzione si muove un’esperienza. Mancare di cogliere la forza propulsiva di un’esperienza allo scopo di conoscerla e di indirizzarla sulla base di ciò a cui muore significa essere infedeli al principio dell’esperienza medesima. Questa infedeltà opera in due direzioni:  L’educatore è venuto meno alla comprensione che avrebbe dovuto trarre dalla sua esperienza passata  Esiste una tendenza a reagire verso l’altro estremo e a prendere quel che è stato detto come la difesa di una qualche specie di imposizione dal di fuori L’adulto può esercitare l’accorgimento che gli procura la sua più ampia esperienza senza imporre un controllo meramente esterno. Per fare ciò da un lato occorre stare all’erta per vedere quali attitudini e tendenze abituali si stanno creando e giudicare quali di queste attitudini avviano di fatto a un aumento di crescita e quali altre l’ostacolano. Deve poi avere quella comprensione simpatica dell’individuo in quanto individuo che gli dà un’idea di quel che sta accadendo effettivamente negli spiriti di coloro che stanno imparando. L’esperienza non si compie semplicemente all’interno della persona, ma ogni esperienza autentica ha un aspetto attivo che cambia in qualche modo le condizioni obbiettive sotto cui si compie l’esperienza. Noi viviamo dalla nascita alla morte in un mondo di persone e di cose che in larga misura è quel che è in virtù di ciò che è stato fatto e trasmesso dall’attività degli uomini che ci hanno preceduto. Quando lo si dimentica, l’esperienza viene considerata come qualcosa che si compie dentro un corpo e una mente individuali. Quindi l’esperienza non si compie nel vuoto e ci sono fonti dell’esperienza fuori dall’individuo. Essa è costantemente alimentata da tali fonti. Talvolta queste fonti vengono considerati luoghi comuni, ma a chi ne colga l’importanza pedagogica, essi indicano il secondo modo di dirigere l’esperienza degli alunni senza ricorrere all’imposizione. Una delle principali responsabilità dell’educatore è che egli non solo deve essere attento al principio generale della formazione dell’esperienza mediante le condizioni circostanti, ma che conosca in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a promuovere esperienze di valore. Questa partecipazione attiva che l’educazione progressiva esige dall’insegnante è un’altra ragione della sua maggiore difficoltà rispetto al sistema tradizionale. E’ possibile tracciare progetti educativi che in modo discretamente sistematico subordinano le condizioni oggettive a quelle che risiedono negli individui da educare. Questo accade ogni volta che il posto e la funzione di tutto ciò che rappresenta i prodotti della più matura esperienza degli adulti, è sistematicamente subordinata alle inclinazioni e ai sentimenti immediati degli educandi. Ogni teoria che ritiene possa essere assegnata importanza a questi fattori oggettivi solo a patto di imporre un controllo esterno e di limitare la libertà degli individui, si fonda alla fin fine sulla nozione che l’esperienza è vera esperienza solo quando le condizioni oggettive sono subordinate a ciò che si verifica nell’interno degli individui che hanno l’esperienza. L’osservazione di ciò che accade in certe famiglie e in certe scuole rileverebbe che certi genitori e certi insegnanti agisco nono con l’idea che le condizioni oggettive devono essere subordinate a quelle interne. In questo caso si ammette non solo che queste ultime sono le più importanti, ma che nella loro durata fissano l’intero processo educativo. Ad esempio, i bisogni che ha un bambino piccolo, di nutrirsi, di riposare, di agire sono certo di primaria importanza e decisivi sotto un certo aspetto. Ma questo non significa che il genitore nutrirà il bimbo ogni volta che egli mostra stizza o malumore, che non ci sia un orario regolare per la nutrizione, per il sonno ecc. La madre avveduta tiene conto dei bisogni del bambino senza però sottrarsi alle sue responsabilità per regolare le condizioni oggettive sotto le quali i bisogni sono soddisfatti. Queste condizioni, invece di essere subordinate ai subitanei impulsi interni del piccolino, sono predisposte in modo che ci possa essere una particolare specie di interazione fra esse e questi subitanei stati interni. La parola interazione esprime il secondo principio essenziale, che permette d’interpretare un’esperienza nella sua funzione ed efficacia educativa. Essa assegna eguali diritti ai due fattori dell’esperienza, le condizioni obiettive e le interne. Prese insieme, e nella loro interazione, costituiscono quella che io chiamo situazione. Il guaio dell’educazione tradizionale è che si faceva poca attenzione ai fattori interni. Si violava il principio dell’interazione da una parte. Ma questa violazione non è una buona ragione perché la nuova educazione violi il principio dall’altra parte. L’esempio tratto dal bisogno di regolare le condizioni obiettive dello sviluppo di un bimbo indica, in primo luogo, che i genitori hanno la responsabilità di sistemare le condizioni in cui si compie l’esperienza del nutrimento, del sonno ecc, e in secondo luogo, che assolvano il proprio dovere con l’utilizzare l’esperienza accumulata del passato. Sotto quale aspetto la regolamentazione delle condizioni limita la libertà del piccolo? Certo si limitano i suoi movimenti e le sue inclinazioni immediatamente, quando lo si pone nella culla nel momento in cui desidererebbe continuare a giocare, per esempio. Ma per libertà si deve intendere qualcosa che si collega con incidenti relativamente fuggitivi o se essa si deve riporre nella continuità di svolgimento dell’esperienza. Dire che gli individui vivono in un mondo significa che essi vivono in una serie di situazioni. E quando si dice che essi vivono in queste situazioni significa che è in corso un’interazione fra individuo e oggetti e altre persone. La situazione e l’interazione non si possono concepire l’una scissa dall’altra. Un’esperienza è sempre quel che è in virtù di una transazione che si stabilisce fra un individuo e il suo ambiente, sia che quest’ultimo consista in persone con cui sta parlando, sia che consista in giochi cui attende, in un libro che sta leggendo. L’ambiente, in altre parole, sono le condizioni, quali esse siano, che interagiscono con i bisogni, i desideri, i propositi e le capacità personali per creare l’esperienza che si compie. In due principi della continuità e dell’interazione non sono separati l’uno dall’altro. Essi si collegano e uniscono. Situazioni differenti si succedono l’una all’altra, ma in virtù del principio della continuità qualcosa passa da quella che precede a quella che segue. Quando un individuo passa da una situazione a un’altra, il suo mondo si espande o si contrare. Egli non si trova già a vivere in un altro mondo, ma in una diversa parte del suo medesimo mondo. Quello che ha acquistato in conoscenza e abilità in una situazione diventa strumento di comprensione e di effettiva azione nella situazione che segue. Il processo continua quanto la vita e l’apprendere. Se non è così, il corso dell’esperienza è disordinato, poiché il fattore individuale, che è parte dell’esperienza, è spezzato. Un mondo diviso è a un tempo sintomo e causa di una personalità scissa. Quando questa scissione raggiunge un certo punto noi diciamo che l’individuo è folle. D’altra parte una personalità è pienamente integrata nel caso che le successive esperienze si siano integrate l’una all’atra. Essa può essere costruita soltanto come è costruito un mondo di oggetti che sono in relazione vicendevole. La continuità e l’interazione nella loro attiva unione reciproca offrono la misura del Capitolo 4: Controllo sociale Se si considera l’educazione come un’esperienza di vita, i piani e i progetti educativi devono ispirarsi a una teoria intelligente. Il bisogno di questa teoria richiama l’attenzione su due principi fondamentali nella costituzione dell’esperienza: i principi dell’interazione e della continuità. Questi due principi sono intimamente connessi che non è facile dire con quale problema educativo speciale si debba cominciare. Dewey comincia con il problema della libertà individuale e del controllo sociale per passare ai problemi che scaturiscono naturalmente. Dewey considera pacifico che il buon cittadino media sia notevolmente soggetto al controllo sociale e che una considerevole parte di questo controllo non sia sentita come una restrizione della libertà personale. Un esempio di controllo sociale che opera nella vita quotidiana che esamina Dewey è quello del gioco. In tale situazione ci sono certi tratti che caratterizzano un ovvio controllo. Il primo è che le regole sono parte del gioco; fino a che il gioco si svolge ragionevolmente liscio, i giocatori non avvertono di essere sottomessi a un’imposizione esterna. In secondo luogo può accadere che uno di essi senta che la decisione non è giusta e può anche darsi che se ne irriti; egli però non si oppone alla regola ma a quella che ritiene una violazione di essa. In terzo luogo, le regole e di conseguenza la condotta del gioco sono per così dire elevate a modello. Da ciò Dewey trae la conclusione che il controllo delle azioni individuali è fatto dall’intera situazione in cui gli individui sono compresi, di cui sono parte e di cui sono cooperatori e interattori. Ciò vuol dire che i soggetti non avvertono di dover sottostare a un individuo o di essere soggetti alla volontà di una persona che sovrasta dal di fuori. Non sorgono dispute violente, di solito. Questo fatto da Dewey è l’esempio particolare che illustra un principio generale. Con ciò però non intende che non ci siano occasioni in cui l’autorità, per esempio dei genitori, non debba intervenire ed esercitare un controllo diretto. Ma intende che il numero di queste occasioni è limitato a paragone di quelle in cui il controllo si trova esercitato non da un’autorità personale ma da situazioni cui tutti prendono parte. E l’autorità di cui si parla quando viene esercitata in una casa ben regolata non è manifestazione di volontà meramente individuale. Inoltre quando è necessario agire fermamente lo si fa in nome dell’interesse del gruppo, non per far mostra di un interesse personale. Ecco cosa differenzia l’azione arbitraria da quella che è giusto e leale. Tale differenza non deve essere formulata con le parole per essere avvertita nell’esperienza, ed è piccolo il numero dei ragazzi che non avvertono la differenza fra un’azione motivata dal potere personale e dal desiderio di imporla e l’azione che è giusta perché suggerita dall’interesse di tutti. In quelle che denominiamo scuole nuove, la fonte principale del controllo sociale è risposta nella natura stessa del lavoro inteso come un’impresa sociale, a cui tutti gli individui hanno modo di poter prender parte e di cui si sentono responsabili. Ma la vita di comunità non si organizza durevolmente in modo meramente spontaneo; l’educatore deve conoscere tanto gli individui quanto la materia di studio, conoscenza che gli permette di trarre le attività che si prestano all’organizzazione sociale, a un’organizzazione cui ogni individuo può portare il contributo e nella quale le attività, cui tutti partecipano, sono i mezzi principali del controllo. L’educatore, se vuole che il processo di educazione faccia il suo corso, può permettere agli allievi turbolenti e spiritualmente assenti ostacolino di continuo le attività educative degli altri. L’esclusione forse è l’unica misura che ne conviene ma non la soluzione. Tuttavia Dewey non crede che l’insufficiente disciplina nelle scuole progressive derivi da questi casi eccezionali. E’ molto più probabile che si debba far risalire alla mancata predisposizione del genere di lavoro suscettibile di creare situazioni che tendono automaticamente a esercitare controllo su ciò che fa ogni alunno e sul modo in cui lo fa. Questa omissione per lo più risale a insufficiente meditazione del piano che ci si è preposti. Le cause di questa insufficienza sono varie. Una è l’idea che non occorre predisporre un piano, che anzi esso contrasti intimamente con la legittima libertà di coloro che vengono istruiti. Tuttavia, non è perché un dato piano è stato predisposto in forma così meccanica da lasciare poco spazio al libero gioco del pensiero indipendente o ai contributi dell’esperienza individuale, che si deve respingere ogni idea di piano. Al contrario, incombe sull’educatore il dovere di predisporre un genere di piano molto più intelligente, e di conseguenza molto più difficile. Il piano deve essere abbastanza flessibile per permettere il libero gioco dell’esperienza individuale e abbastanza fermo per indirizzare verso un continuo esercizio del potere. Il principio che lo sviluppo dell’esperienza si compie attraverso l’interazione indica che l’educazione è essenzialmente un processo sociale. Essa lo diventa tanto meglio quanto più gli individui formano un gruppo comunitario. L’insegnate è il membro del gruppo più maturo ed egli ha la specifica responsabilità di dirigere le interazioni e le intercomunicazioni, che costituiscono la vera vita del gruppo in quanto comunità. Se l’educazione è basata sull’esperienza e l’esperienza educativa viene concepita come un processo sociale, l’insegnate perde la sua posizione esterna di padrone o di dittatore per assumere quelle di direttore di attività associate. Prima si è accennato alla presenza fattore convenzionale standardizzato. Nella vita della scuola a questo fattore fa riferimento il problema delle maniere, specialmente delle buone maniere nelle manifestazioni di garbatezza e di cortesia. La forma particolare di convenzione non ha nulla di fisso né di assoluto. Ma l’esistenza stessa di qualche forma di convenzione non è una convenzione. Essa accompagna ogni relazione sociale. Respingere le forme vuotamente ritualistiche delle relazione sociali non significa rinunciare a ogni elemento formale. Attesta piuttosto l’esigenza che si sviluppino forme di relazione fra gli uomini che siano intrinsecamente appropriate alle situazioni sociali. Capitolo 5: La natura della libertà L’altro lato del problema del controllo sociale è dato dalla natura della libertà. La sola libertà che ha durevole importanza è la libertà di osservare e di giudicare esercitata nei riguardi di piani che hanno un valore intrinseco (libertà dell’intelligenza). Il più comune degli errori è quello di identificare la libertà con quella di movimento o con il lato esterno e fisico dell’attività. C’è da dire che questo lato esterno e fisico dell’attività non può essere separato dal lato interno di essa, dalla libertà di pensare, di desiderare, di fare progetti. Infatti la limitazione imposta esternamente dalle disposizioni immutabili della tipica aula scolastica tradizionale poneva una grave restrizione alla libertà intellettuale e morale. Non è meno vero però che una maggiore libertà di moto è un mezzo, non un fine. Il problema educativo non è risolto quando si è ottenuta questa forma di libertà. Esistono dei benefici nell’accrescere la libertà esterna:  Senza di essa è praticamente impossibile che un insegnate impari a conoscere l’individuo con cui ha a che fare. La calma e l’obbedienza imposte impediscono agli allievi di rilevare la loro natura. L’uniformità meccanica degli studi e dei metodi genera una specie di immobilità uniforme e questa, a sua volta, contribuisce a perpetuare l’uniformità imposta, le tendenze individuali operano in forme irregolari e più o meno proibite  Aumentare la libertà esteriore comporta benefici nella natura stessa del processo di apprendimento. Gli antichi metodi premiano la passività e la recettività. L’immobilità fisica accentua paurosamente questi tratti. L’unico modo di sottrarsi a essi in una scuola standardizzata è l’attività irregolare e, forse, indisciplinata Può esistere un’intensa attività intellettuale non accompagnata da attività esteriore del corpo. Ma questa capacità intellettuale è una conquista relativamente tarda, in seguito a un lungo periodo di tirocinio. La libertà di movimento è dunque importante come mezzo per mantenere la normale salute fisica e mentale. Ma sotto tutti gli aspetti la libertà di azione esterna è un mezzo in vista della libertà di giudizio e del potere di eseguire fini deliberatamente scelti. La quantità di libertà esterna necessaria varia da individuo a individuo. Naturalmente essa tende a diminuire con il crescere dell’età, sebbene la mancanza totale di essa impedirebbe anche a un uomo maturo di avere quei contatti che gli fornirebbero i nuovi materiale sui quali egli potrebbe esercitare la propria intelligenza. Non ci può essere il più grande errore che quello di considerare questa libertà come un fine in sé. Esso tende a distruggere le attività che si svolgono a gruppi e fa della libertà qualcosa di negativo. Gli impulsi e i desideri costituiscono in ogni caso il punto di partenza. Ma non c’è crescita intellettuale senza qualche ricostruzione degli impulsi e dei desideri, nella forma in cui si manifestarono la prima volta. Questo implica inibizione dell’impulso nella sua forma prima. C’è fra l’inibizione imposta dall’esterno e l’inibizione conseguita attraverso la riflessione e il giudizio individuale. Gli impulsi e i desideri che non sono disciplinati dall’intelligenza compie fuori della scuola e di quella che si è soliti chiamare educazione. E’ un precetto cardinale della nuova scuola, che gli inizi dell’istruzione si colleghino all’esperienza che gli educandi già posseggono; che questa esperienza e le capacità che sono state sviluppate per suo mezzo forniscano il punto da cui muovere tutto il sapere posteriore. Non sono sicuro che l’altra condizione, lo svolgimento ordinato verso l’espansione e l’organizzazione del sapere attraverso l’esperienza, riceva altrettanta attenzione. Tuttavia il principio di continuità dell’esperienza educativa esige che eguale pensiero e attenzione siano dedicati alla soluzione di questo aspetto del problema educativo. Indubbiamente questa fase del problema è più difficile dell’altra. Coloro che hanno a che fare con gli istituti prescolastici e con il ragazzo e con la ragazza dei primi anni della scuola elementare non incontrano molta difficoltà a determinare quale è stata l’esperienza del passato o a trovare attività che si connettano con essa in modo vitale. Con ragazzi di età più avanzata ambedue i fattori del problema offrono maggiori difficoltà all’educatore. E’ erroneo supporre che il principio che ogni esperienza avvia a qualcosa di diverso sia adeguatamente soddisfatto con il dare agli alunni delle nuove esperienze. E’ essenziale che i nuovi oggetti ed eventi siano intellettualmente riferiti a quelli delle esperienze precedenti, il che significa che ci deve essere qualche progresso nella consapevole articolazione di fatti e di idee. In tal modo il compito diventa quello di discerne, nell’ambito dell’esperienza attuale, quelle cose che contengono la promessa e la possibilità di presentare nuovi problemi, i quali con lo stimolare nuove vie d’osservazione e di giudizio allargheranno il campo dell’esperienza futura. Egli deve costantemente considerare quello che è già acquisito non già come un possesso statico, ma come un mezzo e uno strumento per aprire nuovi campi, i quali esigono nuovi sforzi da poteri dell’osservazione e dall’intelligente uso della memoria. Continuità nella crescita deve essere la sua parola d’ordine costante. Più di qualsiasi altra attività l’educazione esige che si guardi lontano. L’educatore per la stessa natura della sua attività è costretto a considerare il suo compito attuale in funzione di ciò che esso produrrà o meno in un avvenire i cui oggetti sono strettamente congiunti con quelli del presente. Qui, di nuovo, il problema per l’educatore progressivo è più arduo che per l’insegnante della scuola tradizionale. Anche quest’ultimo doveva guardare avanti a sé. Ma poteva contentarsi di pensare al prossimo periodo d’esami o alla promozione alla classe superiore. Pesa sull’insegnante che congiunge educazione ed esperienza effettiva un compito ben più serio e duro. Egli deve conoscere quali possibilità ci sono di introdurre gli allievi in nuovi campi che appartengono a esperienze già fatte, e deve servirsi di questa conoscenza come di un criterio per scegliere di disporre le condizioni che influenzano la loro presente esperienza. Siccome gli studi della scuola tradizionale consistevano in argomenti che venivano scelti e ordinati sulla base del giudizio degli adulti circa ciò che sarebbe stato utile per i giovani nel futuro, il materiale da studiare aveva a che fare con il passato. Per reazione si è caduti in un eccesso opposto: la sana idea che l’educazione dovrebbe derivare il suo materiale dall’esperienza attuale e mettere chi impara in condizione di far fronte ai problemi del presente e del futuro è stata spesso trasformata in quest’altra, che le scuole progressive possono ampiamente ignorare il passato. Se il presente potesse essere tagliato fuori dal passato, questa conclusione sarebbe ragionevole. Ma soltanto quel che ha compiuto il passato ci offre mezzi per intendere il presente. In altre parole, il sano principio che gli obiettivi dell’apprendere sono nel futuro e i suoi immediati materiali sono nell’esperienza presente, può realizzarsi solo nel grado in cui l’esperienza presente si allunghi, per così dire, all’indietro. Si può espandere nel futuro solo a patto che essa sia tanto ampia da comprendere il passato. Le situazioni e i costumi che esistono oggi e provocano i malanni e le perturbazioni sociale del presente non sono nati d’un tratto. Hanno una lunga storia dietro di sé. Tentare di comportarsi con essi semplicemente sulla base di quel che appaiono oggi significa adottare misure superficiali che alla fin fine non faranno che rendere gli attuali problemi più acuti e più difficili da risolvere. L’unica via per uscire dai sistemi scolastici che fanno del passato un fine in sé è quello di imparare a conoscere il passato come un mezzo per intendere il presente. Che fino a oggi il punto più debole nelle scuole progressive sia stato la scelta e l’organizzazione della materia di studio penso sia inevitabile nelle circostanze in cui ci troviamo. E’ altrettanto inevitabile quanto è giusto e ovvio che esse debbano farla finita con il materiale disorganico e inaridito che ha costituito il nucleo della vecchia educazione. Il campo dell’esperienza è molto ampio ed esso varia nel suo contenuto da luogo a luogo e da tempo a tempo. Un singolo corso di studi per tutte le scuole progressive è fuori discussione; significherebbe l’abbandono del principio fondamentale della connessione con le esperienze della vita. Le scuole progressive sono di nascita recente, era del tutto ovvio quindi che si verificassero incertezze e indeterminatezza nella scelta e nell’organizzazione della materia di studio. Non c’è ragione di far critiche radicali o di dolersene troppo. Le critiche sono invece legittime quando il movimento dell’educazione progressiva non riconosce che il problema della scelta e dell’organizzazione della materia d’insegnamento è fondamentale. Ma il materiale di studio fondamentale non può essere raccolto frettolosamente. Se c’è libertà intellettuale, non mancano le occasioni, che non sono e non possono essere previste. Ma c’è differenza tra l’adoperare lungo una linea di attività che si svolge ininterrottamente e l’affidare a esse il compito di fronte gran parte del materiale di studio. Che le condizioni trovate nell’esperienza presente debbano essere adoperate come fonti di problemi è una caratteristica che differenzia l’educazione basata sull’esperienza dall’educazione tradizionale. In quest’ultima difatti i problemi erano posti al di fuori. Tuttavia la crescita dipende dalla presenza di difficoltà da superare mediante l’esercizio dell’intelligenza. Ancora una volta, fa parte della responsabilità dell’educatore di tener presenti due cose a un tempo: in primo luogo, che il problema nasca dalle condizione dell’esperienza presente e si contenga entro il raggio della capacità degli alunni; in secondo luogo, che esso sia di tal natura da suscitare nell’educando una richiesta attiva di informazioni e da stimolarlo a produrre nuove idee. I nuovi fatti e le nuove idee che si ottengono in tal modo diventano la base per ulteriori esperienze che danno origine a nuovi problemi. Il processo è una spirale senza fine. La vita sociale contemporanea è quel che è in gran parte in seguito ai risultati dell’applicazione della scienza fisica. L’esperienza di ogni ragazzo e di ogni giovane è quel che è oggi, in virtù delle applicazioni che utilizzano elettricità, calore e processi chimici. E’ buon principio educativo che gli alunni siano introdotti allo studio delle scienze e siano iniziati a fatti e alle leggi di esse muovendo dalle quotidiane applicazioni che la società ne viene facendo. L’attenersi a questo metodo non è soltanto il mezzo più diretto per intendere la scienza in sé, ma per l’alunno cresciuto in età è anche la via più sicura per sollevarsi alla comprensione dei problemi economici e industriali della società attuale. Questi difatti sono in larga misura il prodotto dell’applicazione della scienza alla produzione e alla distribuzione di beni e di servizi, mentre queste ultime sono il fattore più importante nel determinare le presenti relazioni reciproche fra gli esseri umani e fra i gruppi sociali. E’ assurdo, allora, pensare che processi simili a quelli studiati in laboratori e in istituti di ricerca non siano una parte dell’esperienza della vita quotidiana dei ragazzi e non debbano quindi rientrare nell’ambito dell’educazione basata sull’esperienza. Poiché, se è vero che l’esperienza presente nei particolari e anche nel suo complesso è quel che è in virtù dell’applicazione delle scienze, in primo luogo, ai processi di produzione e di distribuzione dei beni e dei servizi, e poi alle relazioni sociali reciproche fra gli esseri umani, è impossibile imparare a comprendere le forze sociali attuali senza un’educazione che conduca i discenti alla conoscenza di quegli stessi fatti e principi che nella loro organizzazione finale costituiscono le scienze. Né l’importanza del principio che gli educandi dovrebbero essere familiarizzati con l’insegnamento scientifico viene meno per il fatto che si addentrano nei problemi della società presente. Ci si ripete quasi ogni giorno e da molte parti che è quasi impossibile per l’essere umano dirigere intelligentemente la sua vita quotidiana. Ci dicono che, da un lato, la complessità delle relazioni umane, domestiche e internazionali, e dall’altro il fatto che gli uomini sono per lo più creature emotive e abitudinarie, rendono impossibile pianificare la società su larga scala e affidare la direzione della nostra condotta all’intelligenza. Questo punto di vista sarebbe più accettabile se si fosse già tentato qualche sforzo sistematico, muovendo dalla prima educazione e salendo su ininterrottamente sino allo studio e all’insegnamento rivolto ai giovani, per fare del metodo dell’intelligenza, che vediamo esemplificato nelle scienze, il metodo supremo dell’educazione. Non c’è nulla nella natura intrinseca dell’abitudine che impedisca al metodo intelligente di diventare esso stesso abituale; e non c’è nulla nella natura dell’emozione che impedisca all’emozione di subordinarsi al metodo. Il caso della scienza è adoperato qui come un esempio della progressiva selezione della materia di studio, tratta dall’esperienza presente, verso l’organizzazione: un’organizzazione che è libera, non imposta dall’esterno, perché procede problema si pone con una forza particolare per le scuole progressive. Se non si dedica un’attenzione constante allo svolgimento del contenuto intellettuale delle esperienze e al conseguimento di un’organizzazione incessantemente crescente di fatti e idee, in fondo non si fa che rafforzare la tendenza a un ritorno reazionario verso l’autoritarismo intellettuale e morale. Certi tratti del metodo scientifico sono così strettamente legati con qualsiasi progetto educativo basato sull’esperienza che essi non possono non essere noti. Anzitutto, il metodo sperimentale della scienza dedica non minore, ma maggiore importanza alle idee in quanto idee di qualsiasi altro metodo. Non ci può essere quel che si dice esperimento in senso scientifico senza un’idea che diriga l’azione. Il fatto che le idee adoperate siano ipotesi e non verità definitive, è la ragione per cui le idee sono più gelosamente esaminate e verificate nella scienza che altrove. La ragione di esaminarle scrupolosamente cessa soltanto dal momento in cui sono accolte come verità. Ma sino a che sono ipotesi devono essere costantemente soggette alla verifica e alla revisione. Il che implica che esse siano accuratamente formulate. Il secondo luogo, idee o ipotesi sono verificate dalle conseguenze che provoca la loro attuazione. Il che significa che occorre osservare con cura e discernimento le conseguenze dell’azione. In terzo luogo, il metodo dell’intelligenza quale si manifesta nelle diverse tappe del procedimento sperimentale esige che si conservino tracce delle idee, delle attività e delle conseguenze osservate. Conservare tracce significa che la riflessione riconsideri e compendi operazioni che comprendono tanto il discernimento quanto il ricordo dei tratti significativi di un’esperienza in corso. Riconsiderare significa riesaminare retrospettivmente quel che è stato fatto in modo da estrarne i significati netti, che sono il capitale di cui si vale l’intelligenza nelle esperienze future. E’ qui il cuore dell’organizzazione intellettuale e della disciplina mentale. Le esperienze per essere educative devono sfociare in un mondo che si espande in un programma di studio, programma di fatti, di notizie e di idee. Questa condizione si soddisfa sola a patto che l’educatore consideri insegnare e imparare come un continuo processo di ricostruzione dell’esperienza. Questa condizione a sua volta può essere soddisfatta solo a patto che l’educatore guardi lontano dinanzi a sé, e consideri ogni esperienza presente come una forza propulsiva per le esperienze future. L’accento che ho posto sul metodo scientifico vuol significare soltanto che esso è l’unico mezzo autentico a nostra disposizione per cogliere il significato delle nostre esperienze quotidiane del mondo in cui viviamo. Vuol significare che il metodo scientifico offre un modello efficace del modo in cui e delle condizioni sotto le quali sono adoperate le esperienze per ampliare sempre più il nostro orizzonte. L’adattare in metodo agli individui di vari gradi di maturità è un problema dell’educatore, e i fattori costanti del problema sono la formazione delle idee, operanti sulle idee, l’osservazione delle condizioni che ne risultano, e l’organizzazione di fatti e idee per l’uso futuro. Né le idee, né le attività, né le osservazioni, né l’organizzazione sono le medesime per un individuo di sei, di dodici o di diciotto anni. Ma in tutti suoi gradi, se l’esperienza è effettivamente educativa si constata un processo d’espansione dell’esperienza. Ne consegue che, quale sia il grado dell’esperienza, non abbiamo altra scelta: o agire in conformità del modello che essa ci offre o trascurare la funzione dell’intelligenza nello sviluppo e nel controllo di un’esperienza vivente e propulsiva. Capitolo 8: L’esperienza come mezzo e fine dell’educazione In quel che ho detto ho preso per concessa la solidità del principio che l’educazione per conseguire i suoi fini, così nei riguardi dell’alunno singolo come in quello della società, deve essere basta sull’esperienza della vita di qualche individuo. Il sistema educativo deve o retrocedere ai principi intellettuali e morali di un’età prescientifica o avanza verso un’utilizzazione sempre maggiore del metodo scientifico per promuovere le possibilità di un’esperienza in via di accrescimento e di espansione. Non credo sia necessario criticare la prima via né addurre argomenti a favore di chi prende la via dell’esperienza, in quanto ho tale fiducia nelle capacità di un’educazione che sia diretta intelligentemente a sviluppare le possibilità implicite nell’esperienza ordinaria. C’è una sola eventualità in cui l’indirizzo che io propugno potrebbe fallire, che si concepiscano in modo inadeguato esperienza e metodo sperimentale. Ne consegue che l’unico motivo di una temporanea reazione contro le norme, i fini e i metodi della nuova educazione non potrà essere che l’incapacità degli insegnanti che l’hanno adottata a interpretarla in modo fedele nella pratica della loro scuola. Il maggior pericolo, per il futuro della nuova educazione, è l’ideale che essa è una via agevole, così agevole che la si può improvvisare, se non all’istante, per lo meno di giorno in giorno, di settimana in settimana. Il punto essenziale non è già la contrapposizione di educazione nuova e vecchia, di educazione progressiva e tradizionale, ma sta nel porre il problema di che cosa si deve fare perché il nostro fare meriti il nome di educazione. Quel che desideriamo e che ci occorre è l’educazione pura e semplice, e faremo progressi più sicuri e definitivi quando ci applicheremo a scoprire che cosa sia propriamente l’educazione e a quali condizioni l’educazione cessi di essere un nome o uno slogan per diventare una realtà.
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