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ESSERE E TEMPO MARTIN HEIDEGGER, Sintesi del corso di Filosofia Teoretica

ESSERE E TEMPO. Il testo presenta il pensiero di Martin Heidegger con l'aggiunta delle riflessioni di Fabris e Vattimo.

Tipologia: Sintesi del corso

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Naruto-Uzu
Naruto-Uzu 🇮🇹

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Scarica ESSERE E TEMPO MARTIN HEIDEGGER e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! MARTIN HEIDEGGER ESSERE E TEMPO INTRODUZIONE -1) Concetto di Essere\Ente -2) La struttura del problema dell’essere -3) Comprensione dell’Esserci\L’analitica ontologica dell’esserci -4) Confronto con la tradizione -5) Fenomenologia -6) Fenomeno -7) Essere nel mondo -8) la spazialità dell’esserci -9) concetto di logos Essere e tempo, l’opera che impose Heidegger nel 1927 all’attenzione sul mondo filosofico. Il problema dell’essere, proprio per quell’ovvietà che la nozione sembra possedere, suona come qualcosa di estraneo, quanto meno astratto. In questo, la situazione culturale e filosofica in cui Essere e Tempo vide la luce nel 1927 non era dissimile dalla nostra; e anzi, come si vedrà, Heidegger considera come elemento costitutivo dello stesso problema dell’essere proprio anche questo fatto, apparentemente esteriore e accidentale, che esso suoni come estraneo e remoto, o addirittura come un non-problema. Heidegger precisa che il tempo della povertà estrema è il nostro tempo in cui si assiste al tramonto dell’Occidente (Abend-land= terra del tramonto), ossia di quella terra in cui l’uomo, familiarizzatosi con l’ente, ha lasciato tramontare dal suo sguardo l’essere. In assenza dell’essere, l’ente rimane senza fondamento (Grund) e l’uomo, che tra gli enti aveva posto la sua dimora, per rassicurare l’ente, e quindi il proprio soggiorno, andò alla ricerca di pseudo fondamento (Urgrunde) che ne garantiscono la stabilità. Nacque così il mondo sovrasensibile che, nella forma dell’Iperuranio platonico, del Motore Immobile aristotelico e dell’Atto puro tomista, aveva il compito di salvaguardare e trattenere nell’essere quel mondo sensibile che, a causa della sua contigenza, era costante possibilità di essere preda del nulla. Nella sua sete di potere, dice Heidegger, L’uomo ha bevuto il mare. Ogni distinzione è assorbita dalla soggettività dell’ego cogito. Quest’ultima, che nell’idealismo diverrà coscienza assoluta, partorirà la scienza volta a garantire all’uomo il possesso e la disponibilità degli enti, e infine, con la volontà di potenza, oltrepasserà ogni norma per annunciarsi ‘ al di là del bene e al di là del male’. Siamo al capovolgimento dei valori. Il CONCETTO DI ESSERE E’ il più generale e vuoto di tutti, e resiste perciò a qualsiasi tentativo di definirlo. D’altra parte, in quanto generalissimo, e come tale indefinibile, non ha neppure bisogno di esser definito. L’essere è il concetto più generale di tutti, ma la generalità dell’essere non è quella del genere: l’essere non delimita la ragione suprema dell’ente per il fatto che questa si articola concettualmente secondo generi e specie. La generalità dell’essere oltrepassa ogni generalità del tipo dei generi. L’essere, secondo la denominazione dell’ontologia medioevale, è un trascendens. Già Aristotele aveva riconosciuto l’unità di questo generale trascendentale, contrapposta alla molteplicità reale dei sommi concetti di genere. - Il concetto di essere è indefinibile. Questo carattere fu dedotto dalla sua estrema generalità. Di conseguenza l’essere NON può essere concepito come ente. Non è possibile determinare l’essere mediante l’attribuzione di predicati ontici; non è possibile definire l’essere muovendo da concetti più alti né da quelli bassi; l’essere non è qualcosa come l’ente. - l’essere è un concetto ovvio. In ogni asserzione, in ogni conoscere, in ogni comportamento che ci pone in rapporto con noi stessi si fa uso dell’essere, e l’espressione è senz’altro comprensibile. - l’essere è l’ultima esaltazione di una realtà che si dissolve. - l’essere è considerato come a priori trascendentale rispetto a ogni sua determinazione concreta, ovvero rispetto ad ogni ente IL PROBLEMA DEL’ESSERE DEVE ESSERE POSTO. Ogni posizione di un problema è un cercare. Porre un problema significa cercare di conoscere l’ente in quanto al suo che-è e al suo esser così. Il cercare di conoscere può divenire una ricerca. Quando il cercare assume i caratteri di una vera e propria ricerca, il cercato deve essere determinato e portato a livello concettuale. Nel cercato si trova, dunque, quale vero e proprio oggetto intenzionale della ricerca, Il RICERCATO, ciò che costituisce il termine finale del cercare. Il cercare stesso, in quanto comportamento di un ente, il cercante, ha un carattere d’essere suo proprio. Un cercare può esser condotto in modo casuale o assumere il carattere della posizione esplicita di un problema. Ciò che caratterizza quest’ultima è il cercare, la cui modalità d’azione, diviene trasparente a se stesso solo dopo che lo siano divenuti tutti i caratteri costitutivi del problema sopra elencati. - Non sappiamo che cosa significa essere. Ma per il solo fatto di chiedere: che cosa è l’essere? Ci manteniamo in una comprensione dell’‘è’, anche se non siamo in grado di stabilire concettualmente il significato di questo ‘è’. Questa comprensione media e vaga dell’essere è un fatto. carattere temporale(1.3) ed infine è prevista un indagine dell'essere specifica su tempo ed essere pensata come una temporalità dell'essere in quanto tale! 1 parte. Per la seconda parte si era annunciata l'intenzione di vari approfondimenti sulla storia del pensiero soffermandosi sulle modalità attraverso cui la storia del pensiero tradizionale ha affrontato La nozione di essere e la sua connessione col tempo. Tale seconda parte è stata indicata sotto il titolo di “Distruzione fenomenologica della storia dell'Ontologia”. La seconda parte avrebbe dovuto prevedere un (2.1) confronto con la dottrina dello schematismo trascendentale in Kant (Critica R.P) Una discussione sul fondamento ontologico del cogito cartesiano (2.2) ed infine un'analisi della concezione aristotelica di tempo (IV Libro della fisica di Aristotele) Come emblema della concezione del tempo degli antichi. L'opera si arresta alla seconda sezione della prima parte (Analisi dell'esserci nel suo costitutivo carattere temporale) concludendo con una serie di interrogativi che aprono ulteriori trattazioni. Il carattere di incompiutezza dell'opera è da intendersi in termini di Apertura e non va mai perso di vista; detto ciò è possibile affermare che la nozione di essere (e del suo senso generale) non è stata neanche presa in analisi, posta. Il pensiero di M. Heidegger si configura come Denkweg, una via sulla quale il suo pensiero si pone in cammino e dalla quale si dipartono “ulteriori sentieri) a volte percorribili altre volte ininterrotti, rispetto ai quali la riflessione filosofia ha il compito di porre dei segnavia: Gli stessi testi di H. devono essere concepiti come “Vie, non Opere” Lo stesso H. lo affermò sul frontespizio della Gesamtausgabe (edizione delle opere complete,1975) prima di morire. Importanti sono anche i corsi universitari (Friburgo 1919-1923; Marburgo 1923-1928) dove vengono in luce Tre motivi fondamentali che , intrecciandosi e sovrapponendosi, troveranno una maggiore espressione in Essere e tempo. 1) Il motivo della trascendenza che si esprime nel confronto con il Neokantismo e con la Fenomenologia di Husserl allo scopo di riformularli in maniera diversa rispetto ai fondatori. 2) Il motivo ermeneutico che si concretizza con l'attenzione ad alcuni testi cristiani e documenti. Il terzo motivo che conduce ad una vera e propria resa dei conti con la tradizione ontologica che si concretizza nella riproposizione della nozione di essere nella sua intrinseca Temporalità a partire, per giungere allo scopo iniziale, da un'analisi dell'ente che noi stessi sempre siamo, l'uomo(l'esserci) e dei suoi modi d'essere. E' paradossale sì che nonostante lo scopo del filosofo il problema dell'essere non sia neanche posto ma, come fa notare A.Fabris, La riflessione filosofica di Heidegger nasce in un contesto(quello culturale del 900 tedesco) Dove predominanti risultano essere diversi indirizzi filosofici. C'è la ripresa di alcuni motivi presi dalla filosofia di Kant (Neokantismo o Neocriticismo) della scuola del Baden e della scuola di Marburgo. Ci sono riflessioni filosofiche intorno ad alcuni motivi ripresi dalle filosofie di Kierkegaard, Dostoevskij, Nietzsche; Gli sviluppi nell'ambito della fenomenologia, di Husserl, con la pubblicazione nel 1900-01 delle Ricerche Logiche. Un elemento comune di tutte queste tendenze filosofiche è il rifiuto all'approccio dello “Psicologismo” volto a sostenere la possibilità di riportare le leggi logiche al funzionamento della psiche umana! In risposta a tale approccio Rickert che era rappresentante della scuola del Baden elabora una “Dottrina pura dei valori” e identifica in una filosofia dei valori il fondamento delle scienze positive. Husserl si propone di sviluppare una dottrina dell'intenzionalità in grado di cogliere le leggi pure, irriducibili alla modalità psicologica del loro attingimento, che sono alla base di ogni PENSARE! Heidegger in contrapposizione a Husserl propone una sua posizione originale sin da subito. Al progetto husserliano di voler cogliere le leggi” pure” heidegger contrappone una logica “Impura” Radicata nella vita e con l'intenzione di cogliere, nella vita, la vita stessa. Viene meno dunque la distinzione tra Soggetto e oggetto e si supera il presupposto dell'indagine Kantiana e Neokantiana. La vita andrà, in Heidegger, a configurarsi come quel fenomeno privilegiato che non richiede lo sviluppo di una scienza originaria ma piuttosto di una scienza dell'origine; tale scienza sarà poi identificata con la fenomenologia accuratamente rielaborata in Heidegger. La Filologia husserliana nell'intento di Husserl mirava a cogliere il che cosa(cos'è) di qualcosa, il contenuto noematico e la stessa fenomenologia si configurava come quell'ambito filosofico in cui i vissuti della coscienza( o atti noetici) trovano il loro fondamento nella struttura dell'Io puro. Nell'ottica heideggeriana la fenomenologia è chiamata a descrivere come la vita si articola in se stessa e a partire da se stessa nella sua fatticità. §7 La fenomenologia indica il metodo dell'indagine filosofica articolandosi in una Pars destruens e in una pars costruens che contemplerà (oltre all'elaborazione della connessione Essere-Tempo) Anche il confronto con alcune posizioni dominanti dell'epoca in virtù di una loro distruzione (in termini di riproposizione e rielaborazione.) In conseguenza al rifiuto di H. per il “Metodo oggettivante” di husserl risulta necessaria l'elaborazione di una “nuova logica” in grado di cogliere la vita nella sua dimensione pre-teoretica (Pre conoscitiva). “Il confronto con Aristotele: I temi “ I temi del confronto saranno ritrovati al centro dell'opera e sono: Il tema della verità intesa in senso ontologico come Apertura e scoprimento di senso non come VALDITA'DEL GIUDIZIO. Il problema della costituzione ontologica della vita umana intesa come Dasain(esserci) Il problema della temporalità intesa in senso Originario come costituzione dell'esistenza nel suo POTER-ESSERE. L'orizzonte entro cui questi problemi vengono affrontati è quello entro cui si esplica la questione dell'essere dell'ente compresa nel senso della questione dell'essere dell'ente, cioè dei modi fondamentali in cui l'ente è seguendo il filo conduttore del problema della Polisemia dell'essere e della ricerca del suo senso unitario. (Questo è l'intento fondamentale). Di questi tre problemi(1,2,3) è anzitutto presa in esame il 2; (Il modo d'essere proprio dell'esserci). In che modo Heidegger giunge a trattare questa problematica?? Heidegger ritenendo insufficiente la dottrina tradizionale della analogia entis (in ambito filosofico l'analogia ha per oggetto l'analisi del rapporto fra enti di natura diversa, cioè delle loro somiglianze e dei tratti in comune, in religione l'analogia entis designa il trasferimento di quest'analisi all'eventuale nesso fra i singoli enti e l'Ente supremo, quale è Dio o l'Uno. Il tema dell'analogia entis affronta così la questione, che si estende dalla filosofia logica e ontologica alla religione e alla teologia, dell'analogicità come via intermedia fra univocità ed equivocità, ossia della possibilità di utilizzare la similitudine come concetto equidistante dall'identità e dall'alterità, dall'omogeneità e dall'eterogeneità, per arrivare a comprendere l'Uno a partire dai molti, il Creatore a partire dalle sue creature.) E La soluzione “ Ousiologica” proposta da Brentano; Secondo brentano i diversi modi in cui l'essere può esser detto sono riconducibili a quattro modi fondamentali teorizzati da Aristotele di dire l'essere; I significati sono: L'essere per accidente o in sé ; L'essere come vero o falso; L'essere secondo le figure delle categorie; L'essere secondo la potenza o l'atto. Brentano non si limita ad esporre i significati ma tenta di ricondurli ad un “ Significato fondamentale,un senso unitario, primo da cui questi possano derivare; “ Egli identifica tale senso unitario nell'essere secondo le figure delle categorie(nella categoria della sostanza) L'essere si configura come ousia, o sostanza; La dottrina dell'essere è detta Ousiologia ( dottrina della sostanza e dei suoi attributi). Heidegger negli anni venti esamina il significato dell'essere in quanto “ Vero” per saggiare(In relaz.alla polisemia dell'essere) se esso possa essere il significato fondamentale che regge gli altri. Allo stesso scopo indagherà il significato dell'ente secondo atto e potenza come attesta il semestre estivo del 1931'. Si tratta di comprendere come H. arrivi a riprendere la filosofia Pratica di aristotele! H. vi giunse analizzando il significato dell'essere in quanto vero(attraverso un'interpretazione del iv libro dell'etica Nicomachea;semestre invernale 1924- 5) a partire da un confronto con Husserl nel corso del quale Heidegger fa propria e trasforma la prospettiva fenomenologica. “Aristotele muovendosi nell'orizzonte metafisico della presenza rimane attaccato ad una concezione Naturalistica del tempo; Egli è impossibilitato nell'articolazione della sua comprensione dell'essere in relazione all'esplicarsi TOTALE delle ESTASI del tempo (PASSATO PRESENTE E FUTURO) e di cogliere la temporalità come radice ONTOLOGICA unitaria dell'esistenza umana. Lo stesso Heidegger in un corso degli anni 20' propone il connubio tra “ Dasain e praxis” nonostante l'apparente paradossalità dell'accostamento tra La visione Heideggeriana e quella Aristotelica del problema. Questo perchè Heidegger determina il Dasain (Essere dell'esserci) muovendo da un orizzonte pratico; Sfruttando i caratteri che aristotele attribuisce alla praxis e trasformandoli in tratti ontologici! Arriverà (1920') a defnire l'episteme pratike di A.come “Ontologia della vita umana”. Il Dasain come determinazione pratica. La caratterizzazione del Dasain come aver-da-essere (Zu-Sein) §4 §9 è da interpretare in termini anzitutto e per lo più pratici. Tale caratterizzazione indica la modalità attraverso cui l'esserci sta e si riferisce a se stesso. L'esserci si rapporta al proprio essere non attraverso un mero atteggiamento contemplativo e di osservazione; L'esserci lo fa attraverso un atteggiamento di tipo pratico-morale in cui ne va e si decide del suoproprio pote essere. Egli ha da sostenere il peso di tale decisione; Egli si rapporta al proprio essere anzi tutto e per lo più per decidere del suo essere,per scegliere tra le tante possibilità quale sia la propria , assumerla, realizzarla. (Peso ontologico dell'esistenza) L'esserci è compreso a partire da se stesso (In essere e tempo). Successivamente H. cancellerà ogni traccia di tale connotazione quando l'esserci sarà concepito a partire dall'apertura dell'essere entro la quale egli sempre si trova calato. La cura come radice della struttura PRATICA dell'esserci. Solo interpretando in senso pratico- morale l'autoriferirsi dell'esserci al proprio essere è possibile cogliere le altre connotazioni dell'esistenza nella loro unità strutturale. Si capisce perchè Heidegger “carica” il carattere di apertura dell'esserci e l'Unità delle determinazioni che la definiscono con un concetto derivato dall'ambito della filosofia pratica come quello di CURA(SORGE) La sorge è la riformulazione ontologizzata di quel tratto della vita umana per mezzo del quale la vita stessa è un “ Tendere a” (Husserl intendeva il concetto in termini di intenzionalità) Non solo percettivo-osservativo , ma pratico- appetitivo ( che spinge a desiderare)che Aristotele riconduce alla appetitività. Perchè,inoltre H. connota come Besorgen -prendersi cura in cui si radicano l'atteggiamento manipolante/produttivo della poiesis e quello osservativo della theoria- la modalità d'essere nella quale l'esserci si apre e si riferisce alle cose e come Fursorge la modalità d'essere nella quale l'esserci si relaziona agli altri? Queste determinazioni hanno il loro fondamento unitario nel carattere pratico della sorge. H.individua questo fondamento sulla base del fatto che l'esserci non si realizza nella stabilità di un essere e di un atto PURI ma esso è – essendo finito- un poter essere che tende in avanti. Ed è dunque sospinto fuori dalla stabilità della presenza; In quanto tale esso è esposto alla INSTABILITA' dell'estas temporale del futuro in cui progetta e dispiega le sue possibilità. Così, il poter essere si definisce come una modalità caratterizzata da un'essenziale “estaticità” temporale ed ontologica cioè da una DISPOSIZIONE AL DIVENIRE che connota l'esserci in quanto esso è finitudine aperta e libera- per. L'esserci non sceglie di avere questa libertà e la avverte dunque come un qualcosa di cui non può sbarazzarsi, un peso( IL PESO ONTOLOGICO DELL'ESISTENZA) tale peso gli si rivela nel sentimento ontologico fondativo dell'angoscia. Le quattro tesi fondamentali ricavate da Heidegger dall'ontologizzazione della PRAXIS Contro il predominio della metafisica della PRESENZA(PRESENTE) egli sostiene il primato del FUTURO. La modalità attraverso cui l'esserci si rapporta al proprio essere (di tipo pratico) mette in gioco un essere che è sempre futuro>Parallelismo con quanto affermato da Aristotele rispetto agli atteggiamenti pratici (Decisione e deliberazione) vertono sempre sul futuro L'essere al quale l'esserci si rapporta nell'Autoriferimento pratico è il mio proprio essere (Jemeinigkeit) un essere-sempre-MIO; è infatti del mio essere che io progetto l'esistenza (L'esserci è progettualità). >> La jemeinigkeit è un ontologizzazione di una caratteristica propria del sapere pratico della phronesis che aristotele definisce:sapere riguardante sé stessi. Heidegger in considerazione di questi elementi stabilisce una differenza radicale tra la costituzione ontologica dell'esserci e quella di tutto ciò che è difforme dall'esserci con la convinzione che solo l'esserci è un aver-da-essere , possiede cioè un caratteri pratico. Egli su questa distinzione basa il primato ontico e ontologico dell'esserci criticando così le demarcazioni UOMO/NATURA SOGGETTO/OGGETTO COSCIENZA/MONDO perchè esse non si radicano in un coglimento autentico della struttura pratico-esistenziale della vita umana ma su categorie oggettivanti che la tematizzano privilegiando l'atteggiamento teoretico- descrittivo!!! La determinazione pratica dell'essere dell'esserci porta con sé l'abbandono della teoria tradizionale dell'”Autocoscienza” concepita come un sapere relativo a se stessi di tipo riflessivo ottenuto attraverso un ripiegamento su se stessi. L'identità dell'esserci si cosituisce secondo una modalità pratica secondo cui l'esserci si relaziona al proprio essere curandone il PESO e la responsabilità! Questo autoriferimento di tipo pratico-decisionale non è attuato soltanto a livello degli atti intellettivi superiori ma anche inferiori(passioni,stati d'animo) l'autoriferimento coinvolge la struttura emotiva della vita umana nei suoi strati profondi. Heidegger prende le distanze dalla tradizione della metafisica nella quale la specificità della vita umana era ricondotta entro le categorie oggettivanti della pura osservazione ed era concepita in modo teoreticistico, coscienzialistico (venivano privilegiati gli atti conoscitivi razionali superiori) Il rapporto ambivalente di Heidegger con aristotele. E' incontestabile la critica mossa da Heidegger alla definizione dell'uomo quale animale dotato di logos e al primato assegnato al discorso dichiarativo dato da Aristotele. Tuttavia egli più volte ha dichiarato il suo “debito” verso Aristotele anche se in essere e tempo cancella l'assimilazione produttiva da A. Riprende come già detto l'atteggiamento della “ Praxis” come movimento specifico della vita umana(concepita non come poiesis - (atteggiamento scoprente di tipo produttivo) Nella concezione aristotelica : “ l'atteggiamento della vita non è atto alla semplice conservazione della vita ma si apre essendo progetto di vita- al problema “ della scelta della forma di vita preferibile per l'uomo” ; essendo praxis la vita umana si apre al problema del vivere bene(eu zen) e dei mezzi per conseguire tale fine. Ora l'uomo saggio e prudente, può, attraverso scelta, deliberazione e decisione messe in atto con la phronesis (saggezza pratica) arrivare ad agire bene, vivere bene, essere felice. Heidegger ripropone (con un ontologgizzazione della stessa) l'intuizione aristotelica. L'esserci è quell'ente per cui nel suo essere ne va del suo più proprio poter essere. L'esserci nel senso pratico esistenziale deve decidere che fare di sé, attraverso quali forme modalità proggettarsi, realizzarsi anche nella forma estrema del “ Non decidere”. E Come per Aristotele è il Phronimos colui che riesce a decidere in quell'agire che è la vita così per heidegger l'esserci si realizza in maniera autentica solo quando si dispone a riconoscere questo dover-decidere come il suo compito specifico e anz il suo essere stesso, assumendosene il peso e non rifugiandosi presso quel “SI “ impersonale inautentico . Nella sua ricerca mirante a cogliere l'esistenza umana nella sua fatticità heidegger vede nell'affermazione della praxis come movimento della vita umana(Aristotelica)una conferma quando negli anni 20'mira a definire la motilità della vita umana (capacità di muoversi e modificare la propria posizione rispetto all'ambiente). Nel concetto di Praxis Heidegger scorge un duplice senso: Ontico Il termine indica le pratiche particolari legate alla poiesis e alla theoria. Ontologico , filosofico; secondo il quale il termine indica una modalità d'essere. *(2) In questa seconda accezione si fa riferimento alla concezione della vita umana nella sua costituzione d'essere,nella sua motilità. Il concetto di praxis subisce un notevole mutamento in Heidegger : La trasfigurazione del problema. Tale chiarificazione può avere luogo SOLO attraverso la connessione di questi concetti con il problema generale del senso dell'essere ed è qui che si radica L'ISTANZA HEIDEGGERIANA DI DISTRUGGERE LA RADIZIONE!!!!!!! L'essere è stato definito da Nietzsche qualcosa di “fumoso” inutile, generalissimo (Hegel). La colpa dello “scadimento” è da attribuirsi ad una tradizione che si è sempre mossa in una serie di pregiudizi facendo si che l'essere divenisse una parola oscura o priva di senso. Attraverso il domandare fenomenologico Heidegger vuole dar vita ad una ripetizione del problema dell'essere lasciando che il “fenomeno possa in se stesso manifestarsi” ( vedi dunque concetti di fenomenologia e fenomeno”: Solo attraverso una chiarificazione del senso dell'essere dell'ente sarà possibile porre il problema dell'essere in generale(§2) Il domandare che qui è utilizzato non può essere inteso come “struttura pura” che vede soggetto e oggetto come semplicemente-presenti; La struttura a due propria della teoria della conoscenza dei filosofi neokantiani e che dottrina dell'intenzionalità elaborata da Husserl mette in questione è sostituita da una struttura a TRE: Chiesto-interrogato-richiesto. L'essere si configura come ciò che da SENSO ad ogni connessone (non solo a quelle concernenti il pensiero ma anche l'ambito pratico (PRIMATO ONTICO DELL'ESSERE) : l'essere è la condizione di comprensione di ogni ente. F.Volpi così sintetizza la struttura a tre: Ogni domanda (Frage) che mira a sapere qualcosa (Erfragtes)domanda di qualcosa (Getfragtes) Interrogando qualcuno (Befragtes) Così la domanda dell'essere ha il proprio domandare di qualcosa nell'essere stesso; ll proprio mirare a sapere qualcosa nell'essere stesso e il proprio Befragtes nell'uomo(esserci) L'esserci può rapportarsi a tutto ciò che è solo perché tale rapporto è mediato, è aperto da una precomprensione dell'essere! L'esserci risultando sempre relazionato all'essere (aver-da-essere) può rivolgersi agli enti e ciò che orienta tale incontro è la comprensione. Heidegger individua tre modi di dire l'essere(polisemia): Utilizzabilità (Zuhandenheit) Presenza (Vorhandenheit) Esserci (Dasain) L'utilizzabilità è il modo d'essere degli enti che si incontrano nella quotidianità e sono noti per la loro UTILITA'! Quando invece, si intende l'ente come ciò che semplicemente sussiste, e che è oggetto di un attenzione che ha come scopo la sua determinazione CONCETTUALE l'incontro con l'ente ha il modo della teoria e l'essere dell'ente sarà la presenza. Quando la relazione riguarda l'esserci in se stesso, l'essere ha il modo d'essere del Dasain (esserci). L'esserci in particolare è quell'ente a cui già sempre si dà una comprensione dell'essere; è di fatti solo “presupponendo” l'essere che è possibile cercarlo. Si delinea attraverso l'analisi dell'ente al cui essere appartiene il ‘domandare” in quanto tale lo scopo di porre in analisi l'esserci nel quale essere stesso si determina una (pre) comprensione dell'essere originariamente data. Ma la ricerca così posta non assume un andamento circolare (non è forse un circolo vizioso quello in cui cade una ricerca che presuppone già una comprensione data di quello che cerca)? Sì, ci si imbatte ma la circolarità è quella tipica del procedere ermeneutico! FENOMENOLOGIA E FENOMENO Dopo aver caratterizzato l'oggetto tematico della ricerca (L'essere dell'ente o il senso dell'essere in generale) che risulta essere il problema fondamentale della filosofia, ci soffermiamo sul metodo della ricerca. La fenomenologia è lontana dall'essere un “punto di vista” o una “corrente filosofica” è piuttosto un metodo. Non sta a determinare il che cosa degli oggetti di cui tratta la filosofia/riflessione filosofica ma il COME. La fenomenologia è un “concetto di metodo”. Tanto più un concetto di METODO incide in maniera genuina nella ricerca tanto più si radica “ nelle cose stesse” e si allontana dall'essere un semplice artificio tecnico. L'espressione fenomenologia rimanda ad una massima” Alle cose stesse!” che chiarisce l'esser lontani da proporre pseudo-problemi o problemi giustificati solo apparentemente. Il carattere di ovvietà della massima (si potrebbe dire che alle cose stesse sia il principio di ogni conoscenza scientifica) si risolve nell'analisi dell'espressione FENOMENOLOGIA. L'espressione è composita; I due elementi sono il fenomeno e il logos; è necessaria un analisi dei due. Fenomenologia non sta a significare Scienza dei fenomeni (è fuorviante la costituzione; può rinviare a Teologia, Biologia- Scienza di Dio, Scienza della vita. L'espressione Phainomenon a cui risale il termine fenomeno deriva dal verbo phainesthai che significa manifestarsi; Phainomenon significa ciò che si manifesta, il manifesto/manifestantesi. Anche se Heidegger nega che ci sia una realtà dietro quella che si rende manifesta (Interpretata in termini del noumeno kantiano; una realtà Noumenica) ma è convinto che sia necessario estorcere la verità dei fenomeni contro ogni pregiudizio fuorviante che vi si pone davanti. Phainesthai è una forma di phaino; illumnare, porre in chiaro. Phaino deriva dalla radice fa come phos, la luce il chiaro; ciò in cui qualcosa può rendersi visibile com'è in se stesso. I fenomeni sono l'insieme di ciò che alla luce del giorno può essere portato alla luce, ciò che i greci spesso identificavano con l'ente; L'ente può dunque manifestarsi da se stesso in maniere diverse, a seconda del modo di accedere ad esso. L'ente può anche manifestarsi come ciò che esso in se stesso non è (Schein) (1) (1) In questa forma l'ente >Pare così come..< Questa forma di manifestazione è detta Parvenza. Così anche in greco l'espressione “ Phainomenon-fenomeno” sta a significare qualcosa che pare in un determinato modo: Il parvente. Mettendo insieme i due significati del termine > Fenomeno come ciò che si manifesta(2)/ Fenomeno come ciò che pare < si ha una terza comprensione del concetto. Noi assumiamo il concetto nella sua accezione positiva(2) considerando la seconda come modificazione della prima. Entrambi i termini non hanno niente a che fare con l'apparenza o la semplice- apparenza! Perché apparenza come apparenza di qualcosa non è manifestazione di sé ma è l'annunciarsi di qualcosa che dà se non si manifesta attraverso qualcosa che si manifesta : L'apparire è un non manifestarsi( I sintomi sono i manifestantesi della malattia che non si manifesta di per sé) proprio di sintomi, simboli, presentazioni. L'apparire (Schein) è possibile solo sul fondamento del manifestarsi di qualcosa;(Lo Schein presuppone il Phanomen come automostrarsi e ne è una modificazione) il manifestarsi che rende possibile l'apparire non è apparire! Apparire è annunciarsi attraverso qualcosa che si manifesta. Annunciarsi è un non manifestarsi! I fenomeni non sono mai apparenze anche se ogni apparenza rinvia al fenomeno! La parola “Apparenza” sta per automanifestazione; L'automanifestarsi appartiene a quell'in-cui entro cui qualcosa si annuncia. Non si deve definire il fenomeno con il concetto OSCURO di apparenza! Analizziamo l'espressione apparenza. Può significare due cose: L'apparire come annunciarsi/non manifestarsi; L'annunciante stesso che, nel suo manifestarsi, indica qualcosa di non manifestantesi ( Concetto di Erscheinuung)-( Sintomi della malattia) Se l'annunciante stesso che nel suo manifestarsi invia al non manfestantesi è inteso come qualcosa che scatursice dal non- manifesto ed è da esso emanato-dato ciò rinvia al fatto che il non- manifestantesi per essenza non possa manifestarsi (non si esprime l'essere autentico del producente e l'apparenza assume il significato di semplice-apparenza.) L'annunciante manifesta sì se steso ma in modo che emanando ciò che annuncia lo vela costantemente! Questo “Velante NON manifestare non è parvenza! Kant così si esprime” I fenomeni sono per lui da un lato “oggetti dell'intuizione empirica” ciò che si manifesta nell'Intuizione empirica; Questo automanifestantes è apparenza come annunciante emanazione di qualcosa che al contempo, nell'apparenza, si NASCONDE. Apparenza nel significato dell'annunciarsi attraverso un automanifestantesi presuppone un fenomeno capace di tramutarsi in parvenza, l'apparenza come già detto sopra può divenire semplice- parvenza. Apparenza è dunque un rapporto di rimando nell'ente stesso tale che ciò che rimanda (che annuncia) è in grado di assolvere la sua funzione solo se si manifesta in se stesso (solo se è fenomeno!!) ‘dis-allontanamento’ dell'utilizzabile ambientale in una prossimità pre-scoperta dalla visione ambientale preveggente che è uguale > Un avvicinamento dell'utilizzabile messo in atto dalla Prendente-cura visione ambientale preveggente in una direzione che la stessa visione ambientale preveggente innanzitutto e perlopiù SCOPRE. L'esserci comprende il suo ”qui“ a partire dal “là“ del mondo ambiente; esso è sempre in quel “là” a partire dal quale ritorna al suo “qua” poiché esso interpreta il suo esser-prendente-cura di a partire da quello che “là è utilizzabile.” Il qui significa dunque un “Presso-che“( presso che cosa, il “ Là “ ) di un Disallontanante (avvicinante) Esser-presso (l'ente di cui ci si prende cura/prossimità) unito al Dis-allontanamento (avvicinamento) stesso. L'esserci è per essenza dis-allontanamento, cioè spaziale. In che modo? Nel modo dello scoprimento ambientale preveggente dello spazio. Solo in quanto si rapporta a quest'ente che in contra nella spazialità disallontanandolo (avvicinandolo) dell'Orientamento direttivo! Che significa? Ogni avvicinamento ha nella prossimità assunto una direzione lungo la quale il dis-allontanato (l'ente utilizzabile) si avvicina e risulta così determinato il suo posto! Si può affermare quindi che: Il prendersi cura ambientalmente preveggente è un dis-allontanare (Avvicinare) per Orientamenti direttivi (che determinano il posto in cui è l'ente utilizzabile (mezzo.) In questo prendersi cura che è l'essere nel mondo proprio dell'esserci è necessario che ci siano dei SEGNI. Il segno assolve il compito di dare un indicazione delle direzioni. Il “ verso-dove” dell'andare, del portare, del prendere è mantenuto e dato dai segni. Dacché l'esserci è, in quanto dis-allontanante secondo Orientamenti direttivi ha già sempre scoperto la sua Prossimità (Direzione). Si può affermare che Orientamento direttivo1 e Dis-allontanamento2 sono Modi di essere dell'essere nel mondo guidati dalla visione ambientale preveggente propria del prendersi cura. La spazialità costitutiva dell'esserci non è dunque da intendersi come Recipiente/spazio. L'esserci è diverso da quel modo di essere nello spazio che chiamiamo “l'esser- dentro “. L'ente che “è dentro” e ciò che lo racchiude sono entrambi assimilabili al concetto di “Semplice presenza/Presenzialità. Negando dunque all'esserci un tale Esser-dentro un “Recipiente - Spazio” si mira a tenere aperta la via per la comprensione della spazialità costitutiva dell'esserci. Necessario porre in analisi tale spazialità essendo anche l'ente intramondano nello spazio e avendo tale spazialità una connessione ontologica con il mondo. Sarà necessario pertanto mostrare come l'ambientalità del mondo ambiente e la spazialità dell'ente intramondano che per primo si incontra nel mondo- ambiente si fondino nella Mondità del mondo e che dunque il mondo non sia una semplice-presenza nello spazio. L'indagine verte intorno alla Spazialità dell'esserci e alla determinazione Spaziale del mondo a partire dall'analisi dell'utilizzabile intramondano (mezzo) che è nello spazio. L'utilizzabile nella sua caratterizzazione ontologica è stato definito “Intraspaziale” In che misura? E in che connessione con l'essere dell'ente intramondano? Per ente che è innanzitutto Utilizzabile non si fa riferimento solo all'ente intramondano ma anche all'ente che è nelle vicinanze. Per definizione, la vicinanza del mezzo è insita nel termine volto a definirlo ontologicamente( Definizione del suo essere) . L'utilizzabilità (Zuhandenheit). L'ente alla mano (Zur-Hand) è sempre ad una certa distanza (vicinanza) calcolata dall'uso e dalla funzione che calcolano in base alla visione ambientale preveggente che è propria del prendersi cura; Tale visione determina la vicinanza anche in base alla direzione in cui il mezzo è accessibile in ogni momento. La vicinanza che si caratterizza anche in base alla direzione sta a far intendere che il mezzo non è considerabile quale semplicemente-presente nello spazio. Ma che,in quanto mezzo,è collocato,situato. Ogni mezzo ha il suo posto. Il rispettivo posto si caratterizza come posto di questo mezzo per.. ( dunque in base all'uso e alla funzione) a partire da un insieme di posti i quali sono propri degli utilizzabili intramondani. Il posto è sempre il determinato “ Là” e “ Qui” dell'esser al suo posto di un mezzo. L'esser-al- suo – posto corrisponde al carattere di mezzo dell'ente intramondano (utilizzabile) il quale rientra in una totalità di appagatività (struttura dell'utilizzabile in quanto rimando-a.) di mezzi . L'esser-al-suo-posto trova la sua possibilità solo in base ad un “IN DOVE” in generale , in base al quale è assegnato il posto ad una totalità di mezzi. Noi chiamiamo prossimità l'in-dove dell'esser al suo posto possibile di un mezzo. L'in-dove è sempre osservato-sorvegliato dalla visione a preveggente del commercio prendente cura. “Nella prossimità di” non significa solo nella direzione- di ma anche nei dintorni/presso ciò che è nella direzione. Il posto è fissato anche attraverso la lontananza e la direzione è orientato sempre secondo una prossimità. Solo se la prossimità è scoperta è possibile l'assegnazione dei posti di una totalità di mezzi ambientalmente disponibile. Quest'orientamento di posti che trova fondamento nella prossimità definisce l'ambientalità, l'esser-attorno-a – noi dell'ente intramondano che si incontra per primo. Non c'è prima una molteplicità di posti e poi un occupazione degli stessi da semplici-presente. Tutto ciò che è utilizzabile in maniera permanente e di cui l'utilizzabile tiene conto nella V.A preveggente ha sempre il suo posto (il suo dove) deciso dalla stessa V.A. P preveggente in base ad altri utilizzabili. Il prendersi cura proprio dell'esserci (a cui nel suo essere ne va sempre di quest'essere stesso) scopre PRELIMINARIAMENTE le prossimità e scruta in esse un appagatività (rimando-a) decisiva. Scoprimento determinato cooriginariamente dalla totalità di appagatività cui il mezzo è lasciato nel suo incontro con l'esserci. L'utilizzabilità della PROSSIMITA' ha in sé il carattere della familiarità senza sorprese. Lo spazio che nell'essere nel mondo della guidato dalla v.a preveggente è scoperto come spazialità dell'insieme dei mezzi è sempre di un ente di cui costituisce il posto. Lo spazio puro, dunque, frantumato in “ Posti” è ancora Nascosto. La mondità specifica del mondo ambiente articola, nella sua significatività (modo d'essere attrv. Cui l'esserci fa esperienza del mondo),il complesso appagativo di una totalità di posti assegnati dalla V.A preveggente. L'incontro con l'utilizzabile nel suo spazio ambientale è onticamente possibile solo perché l'esserci, nel suo ESSERE-NEL-MONDO, è spaziale. “l'esserci crea lo spazio”. Il fenomeno della spazialità del mondo risulta possibile di analisi avendo determinato L'esserci come quell'ente che ha da essere nello spazio prendendo cura e preveggendo ambientalmente. L'esserci in quanto essere-nel-mondo ha già sempre scoperto un mondo. In che modo? Ciò rispetto a cui lo spazio è fin dall'inizio scoperto nell'esserci è stato indicato con il fenomeno della “Prossimità” Per prossimità s'intende l'in-dove dell'appartenenza possibile di un complesso di utilizzabili; L'in-dove deve poter essere incontrato secondo il dis- allontanamento e l'orientamento direttivo, cioè in un Posto. L'appartenenza possibile degli utilizzabili si determina in base alla significatività costitutiva del mondo. Essa articola nel possibile” in dove” il “verso-qui” e il “verso-là” L'in-dove è delineato attraverso una totalità di rimandi fissata dall'in-vista-di- cui proprio del prendersi cura. (Ofjénheit) che appartiene all’essere, in cui l’uomo è "gettato" dall’essere stesso. L’esserci è quell’ente per cui nel suo essere ne va del suo più proprio poter essere. Cio a vale a dire che: l’essere essendo nel modo del non ancora non si può dire che è, ma che può essere. Attraverso questo modo d’essere che gli attribuisce l’aggettivo di ‘progetto gettato’, l’esser avanti a se, come struttura del poter essere, è definita da Heidegger: progetto. L’uomo è l’unico che, scegliendo tra le sue possibilità, può realizzare la propria esistenza anche nella modalità estrema della non-scelta. L’esserci è l’unico responsabile della realizzazione del ‘divieni ciò che sei’. L’ente che ci siamo proposti di esaminare è il medesimo che noi stessi sempre siamo. L’essere di questo ente è sempre mio. Su queste prime due affermazioni dobbiamo soffermarci un attimo, e da ciò prendiamo in considerazione ciò che ci dice ADRIANO FABRIS a riguardo alla prima frase. La prima è ‘noi stessi’. L’uso da parte di Heidegger della prima persona plurale intende coinvolgere autore e lettore in un percorso comune, un percorso che, più ancora, interessa individualmente proprio colui che lo vuole interpretare. Heidegger descrivendo l’esserci, gli affida due modalità, che non sono proprietà, ma sono sempre e soltanto possibili maniere di essere dell’esserci: -1) JEMEINIGKEIT  l’esserci è sempre mio. Nell’essere di questo ente, l’esserci, è data la possibilità per lui di rapportarsi al proprio essere. D’altronde l’esserci, come Heidegger dice, è rimesso al suo proprio essere. Non è che possediamo l’essere, noi siamo l’essere del nostro tempo. Non si può uscire fuori dall’essere dell’esserci. -2) JEWEILLIGKEIT  L’essere mio di volta in volta. Vale ad intendere che è un essere dinamico, non è statico, non è legato ad un tempo stabile. L’ESSENZA DELL’ESSERCI CONSISTE NELLA SUA ESISTENZA. Qua utilizziamo di nuovo FABRIS: Ciò significa che non si può affatto dire ciò che l’esserci è: una sua definizione non è propriamente possibile. Il ‘che cos’è’ di questo ente si risolve infatti nel suo come è, nelle sue diverse modalità di essere. E tali modalità debbono essere messe in opera e realizzate. Né il concetto di ‘ essenza’ né la nozione di ‘esistenza’ così come sono usati qui, possono avere il significato che è invalso nella tradizione metafisica. Nel caso dell’esserci, nel suo da-essere (come Volpi, sulla scia di Chiodi, traduce con ‘aver da essere’) di volta in volta, l’’essenza’ non può venir intesa come un essentia, come un contenuto stabile in grado di permettere la definizione di che cosa qualcosa è, ma dice piuttosto, nel suo senso verbale, i dinamismo che contraddistingue l’essere di questo ente privilegiato. Ente privilegiato: l’esserci considerato nella sua gettatezza. Allo stesso modo, l’’esistenza’ non indica il semplice fatto che qualcosa è, il suo esser sotto mano, la sua semplice presenza, ma esprime il suo poter-essere dell’esserci. L’esserci, a differenza di altri enti, non solamente può essere, ma è in grado di realizzare un rapporto o meno con se stesso: in altre parole, questo ente particolare può, nel suo essere, ‘scegliere’ o no se stesso, conquistarsi o perdersi in ciò che propriamente è. In breve può scegliere se essere AUTENTICO O INAUTENTICO. -1) EIGENTLICHKEIT  AUTENTICITA’ (realizzare a pieno le proprie potenzialità). Vuol dire: se noi pensiamo l’essere, no come l’essere dell’ente, allora realizziamo le nostre potenzialità. -2) UNEIGENTLICHKEIT  INAUTENTICITA’ (non realizzare a pieno le proprie potenzialità). Passaggio necessario per pensar l’essere. Sempre FABRIS. Vi è dunque da fare una netta differenza tra L’ESSERE DELL’ESSERCI E L’ESSERE DELL’ENTE. Il primo (l’essere dell’esserci) è quello nel quale, muovendo da un’analisi dell’esserci considerato nella sua ‘quotidianità media’, è possibile esplicitare le strutture di fondo di questo ente. A tali strutture, Heidegger, dà il nome di ESISTENZIALI. Al secondo (l’essere dell’ente) gli conferisce le CATEGORIE (In un implicito riferimento a Kant nella critica della ragion pura). Detto in breve: Heidegger non privilegia assolutamente le categorie bensì gli esistenziali. Egli definisce gli Esistenziali: categorie applicate all’esserci Egli definisce le categorie: le caratteristiche teoretiche legate agli enti. L’ente è tutto ciò che è oggetto del nostro pensiero. PARAGRAFO 10 \ 11 Hanno come scopo quello di far vedere l’analitica dell’essere come essa non abbia nulla a che fare con le scienze positive (antropologia, psicologia, biologia) che hanno al centro l’uomo (il soggetto). C’è una critica al soggettivismo in particolare a CARTESIO Secondo Heidegger, Cartesio non si è posto nessun problema ontologico. A partire dal concetto di Res Cogitans e Res Exstensa, la critica di Heidegger rivolta a Cartesio è quella di aver ridotto il concetto del mondo a pura Res Exstensa conoscibile solo attraverso la scienza matematica. Heiddeger critica alcune forme: -) Antropologia -) psicologia -) biologia Sono i tre modi di pensare l’uomo. Queste tre hanno sempre pensato al soggetto, mai all’essere. L’antropologia  L’uomo  E’ condannato al teoreticismo per due motivi: l’uomo considerato sempre e solo come l’anima razionale (è il modo con cui viene considerato l’essere dell’esserci) e anche perché c’è un filo conduttore teologico. VORMANDENMEIT  SEMPLICE PRESENZA (Questa traduzione è di Chiodi, non ha nulla a che fare con il termine tedesco ma va bene). Il semplice stare avanti alla nostra mano, qualcosa che noi guardiamo, contempliamo. E’ il rapporto teoretico che noi abbiamo con gli oggetti (vuol dire che possiamo categorizzare). Ma il rapporto teoretico non è l’unico, ma c’è anche l’ATTEGGIAMENTO PRATICO. In questo caso parliamo di ZUMANDENOEIT  UTILIZZABILITA’. Ad esempio: il libro è un oggetto che ha le sue forme (colore, forma), ma il libro serve anche per studiare (atteggiamento pratico). VORMANDENMEIT e ZUMANDEZNOEIT sono le modalità con cui gli elementi degli enti diversi dall’esserci, si presentano al mondo. ESSERE E TEMPO HA UN ATTEGIAMENTO PRATICO CHE PRIMARIO RISPETTO A QUELLO TEORETICISTICO. L’antropologia filosofica considera l’esserci come semplice presenza ma facendo così rende l’uomo una categoria del pensiero e questo avviene dato che il suo fondamento (il fatto che l’antropologia filosofica consideri l’essere come semplice presenza) derivi da un atteggiamento: teoreticistico e teologico. Teologico rende il concetto di trascendenza, in Heidegger non c’è la dicotomia finito (uomo)\ infinito (Dio), tutto è umano. La psicologia e la Biologia sono messe sullo stesso piano anche se forzatamente. Queste tre scienze, mettendo al centro l’uomo come oggetto di indagine, perdono il concetto di esserci… perché? -) l’uomo è dotato di ragione universale -) c’è il concetto di trascendenza che giustifica varie cose FABRIS Da queste analisi deve derivare la struttura originaria dell'essere dell'esserci secondo il cui contenuto FENOMENICO devono essere articolati i concetti ontologici. Tale struttura non è desumibile dalle categorie ontologiche tradizionali dunque il concetto dell’:”Esser presso” (bin bei – sono presso; non so se si può dire ma così me lo ricordo meglio) richiede altri chiarimenti. Il fenomeno sarà analizzato in contrapposizione ad un rapporto categoriale, cioè n contr. A un rapporto d'essere totalmente diverso. Dunque “ L'esser-presso “ un mondo come esistenziale è del tutto diverso dall'esser -presente -insieme di cose che si presentano Nel mondo. Non è possibile dire “ L'essere” l'uno accanto all'altro” di due enti quali sono l'esserci e il mondo. È possibile esprimere la vicinanza di due semplici presenze: “la sedia tocca la parete” ma non si può con chiarezza parlare di “Toccare”; c'è sempre un interspazio tra sedia/parete. Perché? Perché la sedia non può incontrare la parete? Semplicemente perché l'incontro presuppone il tocco che a sua volta presuppone il “poter essere incontrato”. La sedia non può toccare/ incontrare la parete. Un ente può toccare una cosa semplicemente presente solo se è nel modo dell'in-essere, cioè dell'esser-ci, solo se gli è svelato un mondo entro il quale è possibile che un altro ente gli si riveli al tocco e dunque sia accessibile nel suo esser-semplicemente-presente. Due enti (tavolo e sedia) sono semplicemente presenti e in se stessi senza mondo; non sono dunque capaci d'incontro perché incapaci di tocco. Anche l'esserci in un certo modo è semplicemente presente ma lo è effetivamente di fatto: L'esserci comprende il suo esser semplicemente presente di fatto. La fatticità (realtà concretezza) di quel fatto che è l'esserci è diversa dal presentarsi di fatto di un minerale (o semplice presenza) La fatticità di quell'esserci che è è definita effettività. Il concetto di effettività implica una delucidazione degli elementi esistenziali apparsi come costitutivi fondamentali dell'esserci. L'effettivita come concetto implica: L'essere nel mondo di un ente Intramondano tale da poter comprendersi come LEGATO (nel suo destino) all'essere dell'ente che incontra nel proprio mondo. INTRODUZIONE AL CONCETTO DI PRENDERSI CURA Concetto di CURA: - Tramite questa, troviamo il senso temporale dell’esserci - Costituzione ontologica - Trattare ciò da un punto di vista ontologico; ciò vuol dire che heidegger non si muove da un punto di vista morale, non vuole giudicare nessuno; infatti non si parla della ‘cura del cane ‘ o di qualcos’altro. Heidegger riteneva che: noi ci prendiamo cura degli altri anche ignorandoli; siamo tutti dispersi nel mondo. Perché succede questo? Perché noi siamo dominati dal distacco, dall’indifferenza (ma ciò non vuol dire che non siamo con-esserci). Definibili come modificazioni dell'in-essere avente il modo d'essere del PRENDERSI CURA(1) Modi di prendersi cura sono anche i modi difettivi dell'omettere, trascurare, riposare, rinunciare. Il termine prendersi cura vuol dire anzitutto: Concludere, portare a termine, venire a capo di “ qualcosa” L'espressione(1) può anche voler dire prendersi cura di qualcosa come “procurarsi qualcosa” In contrapposizione a queste interpretazioni ONTICHE E PRESCIENTIFICHE qui il termine è in teso nel modo di un Esistenziale; Indicante cioè l'essere di un possibile essere-nel-mondo. L'essere dell'esserci deve anzitutto essere reso visibile come cura! Il termine deve qui assumere valenza ontologica. Non ha nulla a che fare con “le preoccupazioni” della vita quali si trovano onticamente in ogni esserci. Queste cose sono onticamente possibili così come la serenità o ancora come la gioia proprio perché l'esserci è ontologicamente inteso: Cura. Paragrafo 14-15-16-17-18 MONDITA’ ESSERE-NEL-MONDO: L’espressione indica l’originaria coappartenenza di Esserci e Mondo: l’esistenza umana non è qualcosa che stia dapprima isolata in sé e a cui successivamente si aggiunga un mondo, ma è originariamente costituita come un’apertura. In tal modo Heidegger vuole superare la separazione moderna tra: res cogitans – res exstensa, soggetto e oggetto, psiche e realtà esterna, mente e corpo. All’inizio del paragrafo 14, Heiddeger intende prendere in esame il fenomeno del mondo attraverso un’analisi in cui esso risulti considerato per sé. Ciò significa, con maggior precisione, due cose. Da un lato, con una tale impostazione egli mira a porre l’accento sul ‘mondo’ in quanto tale, considerandolo in ciò che esso è e mettendo provvisoriamente tra parentesi quegli altri elementi che contribuiscono alla costituzione del’ essere nel mondo’. Dall’altro lato ci aiuta a delineare il concetto di mondità. Il mondo non può esser ricavato da una semplice descrizione di cose che sono nel mondo; il mondo non è solo ad esempio: somma di cose, alberi, uomini. Mondo, invece, è un fenomeno in senso autentico; esso si colloca su di un piano ontologico, vale a dire si mostra in quanto essere e struttura d’essere. Il mondo è primariamente un carattere dello stesso esserci, bensì come l’espressione di quell’’essere sempre già in rapporto” che costituisce l’ente che siamo noi. (FABRIS) E’ necessario dunque distinguere i diversi sensi che il termine ‘mondo’ può assumere -) Mondo è un concetto ontico quindi legato all’esserci dell’ente, significa allora alla totalità degli enti -) Mondo è un concetto ontologico quindi legato all’essere dell’ente, oppure Mondo può anche indicare una regione di enti (come accade nel linguaggio della matematica). -) Mondo può assumere un senso ‘esistentivo’ (di nuovo ontico) venendo a significare li contesto in cui, di fatto, l’esserci si trova a vivere: il mondo comune, pubblico, oppure il mondo proprio, l’ambiente più familiare. -) Mondo è in grado di esprimere il concetto ontologico-esistenziale della mondità. La mondità è un concetto ontologico e intende la struttura di un momento costitutivo dell’essere-nel-mondo. Ma questo ci è apparso come una determinazione esistenziale dell’Esserci. La mondità è quindi essa stessa un esistenziale. (HEIDEGGER) La mondità non è l’essenza del mondo, ma è essa stessa un esistenziale. (Noi non riusciamo ad uscire dal concetto di mondo come: contenitore e soggetto come res cogitans.) Quali sono i particolari rapporti in cui comunemente siamo coinvolti nella nostra vita di tutti i giorni? Le cose con cui di solito abbiamo a che fare non sono anzitutto gli oggetti di una conoscenza che si determina secondo una forma teorico-percettiva, non sono propriamente delle cose (res) assunte nella realtà. Esse si configurano, piuttosto, come ciò che viene maneggiato, manipolato dalle nostre pratiche. Si tratta, cioè, di quegli entri intramondani dei quali ‘ci prendiamo cura’, che ci ‘precuriamo’ e con cui abbiamo a che fare nel nostro quotidiano ‘commercio’ (umgang) con essi. (FABRIS) Analizzando il fenomeno del mondo, si scopre che il mondo non è affatto una determinazione dell’ente, ma è un carattere dell’esserci stesso, ossia che il mondo è un esistenziale. Che cosa sono infatti, nella quotidianità media, le cose che si incontrano nel mondo? Prima di essere delle semplici presenze, Si parla di Enti Intramondani: I ‘Pragmata’ (degli enti intramondani che popolano il mondo-ambiente) che già i Greci avevano definito. I greci parlavano di pragmata di ciò che s’incontra nell’atteggiamento della praxis: quella pratica nella quale, appunto, ci si cura di essi. Heidegger, dal canto suo, introduce il termine ZEUG  che può indicare un indistinto ‘coso’, genere ‘affare’, al fine di distinguere nettamente il tema della propria indagine da ciò, invece, che è indicato dal vocabolo DING, vale a dire nella sua materialità. Con il termine Zeug, Heiddeger supera la visione finalista. L’oggetto non è chiuso in se stesso ma attiva un rimando (qualcosa che serve per fare qualcosa). Per ----> deve dare un rimando. Il riferimento ai Pragmata mette Heiddeger a confronto con il Pragmatismo (corrente filosofica del 800’) che ritiene la filosofia non sia solo teoretica ma anche pratica. Il pragmatismo di essere e tempo è ontologico. Esso permette di pensare gli oggetti senza renderli oggetti o sostanze perché la soggettività che la pensa è un soggetto aperto. Non c’è opposizione tra prasi e teoria Il senso della nostra esistenza è un progetto, la realizzazione delle nostre possibilità. RIMANDO\SEGNO\SIGNIFICATIVITA’ (17-18) Per quelli del 900’ il segno è un concetto fondamentale. Il concetto di segno è al centro di dibattiti. Il concetto di segno nasce con Sant’Agostino  aliquid stat pro aliquo (qualcosa che sta per qualcos’altro) VERWEISUNG: ‘RIMANDO’  Un significato che apre a qualcos’altro. Noi siamo all’interno di una totalità di rimandi (VERWEISUNGSGANZHEI), la costituzione della UmWelt. Heidegger si chiede in che modo l’esserci dell’ente incontra il suo essere-nel- mondo ambiente. Il rimando è insito nel segno stesso. Il segno non è oggetto di pensiero, ma è qualcosa che rimanda a qualcos’altro. Ci sono due personaggi che parlano del segno: PEIRCE (americano) e SAUSSURE (svizzero) Agostino è criticato da Saussure in quanto lo svizzero dice che nella definizione di sant’Agostino c’è un significante ed un significato, divisi; ritenendo che il segno opera attraverso la voce. SAUSSURE  ritiene che il segno è un’unità psichica (non c’è la voce né la scrittura) composta da significato e significante insieme. Propone una visione dualistica del segno (il modo con cui ci relazioniamo linguisticamente al mondo). Il segno è: qualcosa di primario. Non è esterno, ma interno (due cose). (il mondo-ambiente è dove ci muoviamo, ci muoviamo attraverso la familiarità. Infatti non abbiamo un solo mondo-ambiente). PEIRCE  Segno pragmatico  segue il modello americano. Il pragmatismo americano poneva il pratica sopra il teoretico. Essere e tempo è un connubio di teoria e prassi, non c’è qualcosa di primario. Segno pragmatico  è un qualcosa che sta a qualcosa per qualcuno sotto qualche aspetto o capacità. Propone una visione con tre punti -) è un qualcosa che rimanda non solo a altro -) ma anche per qualcuno -) sotto qualche aspetto HEIDDEGER COSA DICE RIGUARDO AL SEGNO? Il filosofo vuole descrivere il rapporto di come ci rapportiamo al mondo. Il segno (ZEICHEN) è un mezzo (ZOIGEN); qualcosa che serve per fare qualcosa. Per capire il rimando dobbiamo capire il segno; e come se partiamo dall’ente per arrivare all’essere; questa è la struttura analitica dell’essere Heidegger ci fa capire che il ‘rimando’ operato dal ‘segno’ non è esso stesso un segno, non è quindi un ‘segno di’, ma coincide con l’utilizzabilità stesso del mezzo. La svolta di Heidegger sul segno è proprio che il mezzo ha una specifica funzione indicare. Il segno ci fa capire che esso è ontico, il rimando è ontologico ed entrambi si fondano sull’utilizzabilità. In questo caso parliamo di ZUMANDENOEIT  UTILIZZABILITA’  l’Esserci, rapportandosi alle cose del ‘mondo-ambiente’ nell’atteggiamento del ‘prendersi cura’ secondo la ‘visione ambientale preveggente’, le incontra innanzi tutto e per lo più come cose utilizzabili. L’ente che si incontra nel mondo-ambiente si presenta dunque nel modo d’essere che Heidegger chiama ‘essere alla mano’, ‘essere utilizzabile’. Questo è quanto dice FABRIS A RIGUARDO. Grazie a tali segni si verifica uno specifico tipo di rimando. L’indicare, il mostrare, è infatti una specie di rimandare. Quest’ultimo, poi, è stato interpretato come un porre in relazione; a sua volta la relazione (come accade in Husserl) è quella determinazione generalissima che può esser riscontrata in ogni contesto, in ogni connessione. Heiddeger però, differenziandosi dall’impostazione husserliana, non vuole affatto analizzare il piano formale delle relazioni a scopo di elaborare ciò che Husserl chiama una ‘ontologia formale’. Al contrario, egli intende rovesciare quella subordinazione del materiale al formale che viene proclamata, mirando piuttosto a ricondurre la relazione alla dimensione concreta del rimando proprio del mezzo. Al chiarimento del fenomeno del rimano, Heiddegger intende giungere attraverso l’analisi del segno. Ma in cosa consiste questo rimandare? Facciamo un esempio: la freccia degli automobili. Tutti sappiamo che il suo lampeggiare, alla destra o sinistra del veicolo, indica in certi casi quale direzione prenderà la vettura. In tal modo il guidatore dichiara la propria intenzione, e gli altri, automobilisti e pedoni, regolano la propria marcia sulla base di quanto viene indicato dalla freccia. Nella freccia dell’automobile, così come in tutti i segni, si sovrappongono due modalità diverse del rimando. Da un lato, essa è un oggetto d’uso (serve per indicare la direzione che l’automobilista imboccherà); in pratica rimanda al ‘l’essere utile a…’ del segno in quanto mezzo. D’altro lato, la freccia appunto indica, mostra la direzione che l’automobilista vuole prendere. Il suo rimandare è qui da intendersi come l’ulteriore determinazione di cui può essere casualmente fatto carico un mezzo particolare: non già in quanto mezzo, bensì come quel mezzo che può fungere da indicazione. In breve: La freccia (mezzo di cui l’auto è dotata) -) serve a qualcosa -) indica anche qualcosa Non dobbiamo pensare univocamente al rimando, ma contestarlo in un qualcosa. Il segno non è una semplice presenza. Il paragrafo 18 si suddivide in due parti: la prima è dedicata a chiarire il senso del rimando nei termini di un ‘appagamento’. L’altra legata al concetto di ‘significatività’. BEWANDTNIS  APPAGAMENTO. Heidegger introduce la nozione di Bewandtnis allo scopo di elaborare quella logica diversa che è in grado di far comprendere il processo del rimando. Sbaglierebbe infatti chi considerasse il rapporto tra un mezzo e il suo rimandare nei termini di una proprietà o di un attributo. Invece, il senso del rimandare, è dato dal suo trovar appagamento. Vi è tuttavia un momento in cui la catena dei rimandi, motivata dall’appagamento, finisce per interrompersi. Il martello trova il suo appagamento nel martellare. Il martellare trova il suo appagamento nel costruire una casa. La costruzione di una casa ha il suo appagamento nel riparare le crepe. Ma in vista di che cosa si realizza tutto questo processo? E’ l’esserci. Come ultimo scopo di questa totalità di appagamento. Non abbiamo bisogno di qualcosa o qualcuno di esterno che ci debba far soffrire o gioire, ma è qualcosa di nostro. Il peso quindi non è qualcosa che ci fa stare bene, che ci solleva. Ciò che ci solleva è il ‘SI’. Il ‘SI’ ci dà sicurezze (dato che noi ci vogliamo far consolare); ci fa sentire meno il peso ontologico. Il ‘SI’ è impersonale, indistinto e questa impersonalità ci allieva, ci fa stare meglio; DITTATURA DEL SI. Il ‘SI’ ci protegge, siamo al sicuro in questo, ma non siamo autentici, scegliamo volutamente il LIVELLAMENTO delle nostre potenzialità. Il livellamento non c’è nulla di psicologico, è tutto ontico-ontologico. Nel rapporto CHI-SI; non c’è contrapposizione. Non è detto che tutti dal CHI passano al SI; succede il più delle volte. Ma porsi già questa domanda è un qualcosa. Il ‘SI’ è un esistenziale e appartiene, come fenomeno originario, alla costituzione positiva dell’esserci. IL SE-STESSO DELL’ESSERCI QUOTIDIANO E’ IL SI-STESSO Vivendo nel contesto del mondo siamo portati alla MEDITA’. Il ‘SI’ che non è un esserci determinato ma tutti (no come somma) decreta il modo d’essere della quotidianità (MEDITA’); La medità è un carattere esistenziale del SI. CONCETTO DI IN-ESSERE COME TALE L’in-essere come tale, in rifermento alla mondità. Noi già parlammo dell’in-essere, ma aggiungiamo ora il ‘come tale’; lo aggiungiamo dato che il nostro obbiettivo è quello di arrivare ad una definizione ontologica che ci fa capire il concetto di APERTURA. Perché ne riparliamo? Perché da quando ne avevamo già parlato, si sono aggiunti altri concetti come: mondità, spazialità, con-essere. L’in-essere è apertura ERSCHLOSSENHEIT: APERTURA  Indica il carattere costitutivo per il quale l’Esserci si apre a tutto ciò che è, al mondo e a se stesso, nel senso che esso è al tempo stesso aperto e aprente. Ciò significa che l’esserci è intrinsecamente un esporsi al mondo e dunque un ‘essere- nel-mondo’. Heidegger vuole superare il dualismo ontologico, non ponendo più contrapposizione di sostanze, ma un’apertura. Abbiamo sempre detto che l’essere è una cosa, l’ente non è un’altra; L’essere è aperto a noi, ma non è l’ente. Heidegger parla di ‘cooriginarietà’  l’essere e l’ente sono cooriginari ma con delle differenze. Non è che l’apertura derivi dall’in-essere, ma Heidegger pensa che l’in-essere sia alla base della struttura dell’apertura e che introduca il concetto di COORIGINARIETA’. Heidegger non sta dicendo che l’uno (l’essere) derivi o deduca l’altro (l’ente) ma che il superamento è grazie al concetto di APERTURA, che è proprio dell’in- essere. Si parla di: LUMEN NATURALE che riprende da: -) Scolastica  capacità umana di tingere alla verità -) Cartesio  capacità di distinguere il falso ed il vero -) Dalla metafisica tradizionale Heidegger parte dal concetto di Lumen naturale e di apertura per parlare di un altro concetto  quello dello SVELAMENTO  VERITA’ (ALETEIA). Dunque in contrapposizione al tradizionale “Lumen naturale” quale tendenza dell'intelletto al raggiungimento della verità, Heidegger affida al pensiero il compito di portare a compimento la Manifestatività dell'essere, cioè pensare l'apertura, la Lichtuung, la disvelatezza, come condizione di possibilità di ogni nostro riferirci agli enti; Non c'è dunque alcuna “Luce” senza la Lichtuung; “ Il lumen naturale”( la filosofia- in Pensiero sull'ente ; Oblio dell'essere- ha sempre guardato ad esso come principio di illuminazione propriamente umano) può rischiarare l'aperto ma non lo COSTITUISCE , anzi, ne ha bisogno per poter illuminare ciò che è presente. CONCETTO DI LICHTUNG: ‘RADURA’- ‘APERTURA ALLA RADURA’. La parola indica ‘l’apertura’ costitutiva dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo, nel senso che l’Esserci è aperto e rischierato di per se stesso e non per mezzo di altro. Soltanto perché l’Esserci è caratterizzante di questo ‘essere aperto alla radura’ coiè solo perché è una tale ‘radura aperta’ gli è possibile ‘visione’ (sicht) dell’ente entramondano. Per spiegare questo concetto ne utilizza un altro quello del LUMEN NATURALE. Heidegger vuole distinguere in tal modo LUMEN da LUX (entrambi resi in tedesco con la parola ‘Licht): mentre LUX ha un significato specifico, indica la luce vista, invece la parola LUMEN indica la luce stessa nella sua luminosità ed è sempre riferita all’anima. SICHT: VISIONE  non e apprensione percettiva e contemplativa, ma è trasparenza. E’ l’ennesimo tentativo di riformulare la tradizione della metafisica. La visione deriva dalla comprensione e non è intuizione. GELICHTETHEIT: “L’ESSERE APERTO NELLA RADURA”.  E’ la connotazione della Erschlossenheit (Apertura) del ‘Ci’ dell’ Esserci, ossia il peculiare schiudersi in uno “spazio di tempo” generato dal suo “poter essere” e dalla sua temporalità originaria (Zeitlichkeit). PARAGRAFO 29 L’ESSERCI COME SITUAZIONE EMOTIVA -) Situazione emotiva (Befindlichkeit) -) Comprensione (Verstehen)  sono cooriginate dal DISCORSO (Rede). Si parla del logos, dato che Heidegger vuole sottrarre quella esistenzialità per darla all’uomo. La situazione emotiva caratterizza la vita dell’esserci, ci condizionano tanto (la paura è la più forte). Le situazioni emotive non le possediamo, siamo collocate in esse. Noi non possediamo nulla. Per comprendere l’apertura, Heidegger intende caratterizzare l’esserci con due modi: Situazione emotiva e comprensione; dipendono dal Discorso. Delle situazioni emotive, la più rilevante è la paura (quella che caratterizza di più la vita) insieme all’angoscia. Paura e angoscia sono correlate, ci aiutano a pensare l’essere (poi ne parleremo più avanti). Attraverso il concetto della situazione emotiva si aprono altri concetti: -) gettatezza -) possibilità -) visione ambiente Ricordiamo che: l’apertura è anche chiusura. L’apertura è una struttura ontologica che è alla base del relazionarsi agli altri ed anche del suo distacco; la totalità emotiva caratterizza l’apertura (emotivamente totalizzante). Il peso ontologico: non è solo sofferenza e distacco, ma anche gioia. -) quando siamo gioiosi, quando ci sentiamo felici, allo stesso tempo il dolore c’è sempre -) il peso ontologico è un qualcosa che non si può togliere -) non c’è dualismo tra gioia e dolore, entrambe fanno parte dell’esistenza. -) gioia e dolore vanno insieme, ci fanno capire la nostra identità. - TERRORE Sono tutte superate dall’angoscia. - Per quanto riguarda il primo punto; facciamo esempio: carattere della vicinanza (Vulcano). Quando questa vicinanza irrompe nella nostra vita, ci provoca SPAVENTO (IMPROVVISO). - Il problema della minacciosità può divenire da imprevedibile a reale e quindi da spavento a ORRORE (qualcosa che non possiamo immaginare diventa reale). - L’unione di spavento e orrore dà vita al TERRORE Da come abbiamo visto la paura ha molte sfaccettature mentre l’angoscia è una sola. Altre varianti sono: Inquietudine, stupore; Questo stato emotivo è da intendersi come la possibilità esistenziale essenziale della situazione emotiva dell'esserci in generale, non è però l'unica. Già in quest'analisi della paura è possibile delineare i caratteri che l'allontanano dall'angoscia (Dove non è presente alcun ente intramondano che procura affezioni). La paura è dunque un fenomeno derivato dall'angoscia. L'esserci quando ha paura ha paura per se stesso; L'aver paura è anche paura per ni stessi; Non riusciamo a non averne anche quando non c'è (Dasfur c'è sempre)! Investe tutta la nostra persona perchè la paura pensa il Chi dell'esserci come fenomeno Unitario. L'angoscia di cui parla HEIDEGGER (La cui apertura è originaria) è paralizzante; è un esperienza di autentica verità da cui rifuggiamo (attraverso fuga, diversione, allontanamento) poiché è un PESO ONTOLOGICO (caratterizzante le esperienze autentiche) Si può affermare (distinguendo strutturalmente la paura dall'angoscia) che il davanti-a-che dell'angoscia è l'essere nel mondo in quanto tale; il semplice fatto di esistere (non è possibile trascendere tale esperienza/peso ontologico). L'ontologicità dell'angoscia è importante! Analisi del fenomeno e non solo da > (Che cos'è metafisica). Il testo riproduce una conferenza tenutasi a Friburgo (Dove H. insegna dal 19- 23) nel luglio del 29'. Poscritto del 1943: La capacità di lasciarsi meravigliare dall'esistenza e di lasciarsi angosciare dal niente sono proprie caratteristiche dell'esserci (essere umano) La disponibilità all'angoscia (ad aprirsi all'esperienza del Niente come negazione dell'ente nel suo insieme-totalità) è il Sì all'insistenza nel soddisfare il richiamo sommo da cui solo l'essenza dell'uomo è colpita. “L'uomo, chiamato dalla voce dell'essere, esperisce la meraviglia di tutte le meraviglie, che l'ente è.” ANGOSCIA L’angoscia (ANGST) è più originaria della paura. L’angoscia è un fenomeno originario; è totalizzante. ( no come una somma di cose, ma nel senso che ci appartengono, come l’esserci). Quando parliamo di Angoscia non è qualcosa di malinconico (non ha nessuna accezione letteraria). L’angoscia è una esperienza, sensazione estrema. Per capire l’angoscia, facciamo una differenza con la paura; nella paura troviamo una divisione strutturale Il DAVANTI A CHE (della paura) è un ente. Nell’angoscia il davanti a che non è un ente, ma è l’essere nel mondo in quanto tale DAVANTI A CHE PER LA PAURA  E’ UN ENTE PER L’ANGOSCIA  L’ESSERE NEL MONDO IN QUANTO TALE (a minacciarci non è più il singolo ente, ma il fatto che noi esistiamo, quindi un qualcosa da cui non possiamo scappare). La paura è una paura di qualcosa; l’angoscia non è di qualcosa, non è l’ente, è in nessun luogo ma no il nulla; l’angoscia ci opprime, non possiamo separarci. L’ANGOSCIA E’ RELATIVA AL FATTO CHE NOI SIAMO AL MONDO, SIAMO COINVOLTI DALL’ANGOSCIA L’ANGOSCIA NON E’ UN SENTIMENTO. L’ANGOSCIA CI AIUTA A RIVELARCI IL NIENTE. Il ‘niente’ non si svela come un ente; per il concetto di ‘niente’ non dobbiamo pensare ad un ‘non-ente’; Il niente non è un non-ente; il non-ente sarebbe la negazione dell’ente (e non va bene). L’angoscia ci apre ad un niente originario. UN NIENTE  E’ un essere originario; ci viene incontro prima ontologicamente parlando; non è un ente, non è un oggetto, non è una categoria del pensiero. Il niente, attraverso l’angoscia, è dimensione ontologica. La paura e la gioia hanno una direzione; l’angoscia è una paura senza direzione. Heidegger sulla metafisica: la metafisica è l’accadimento fondamentale dell’esserci e dell’essere stesso. (L’angoscia è quella costituzione ontologica più vicina al concetto di essere; dato che l’angoscia ci mette in relazione con il niente, e se si vuole considerare il niente come un non-ente, ed essendo l’essere, per definizione un non-ente, l’angoscia ci mette in relazione con l’essere. Cit.marco). Attraverso l'angoscia si fa diretta esperienza del nulla. Il concetto di niente così tematizzato è esposto nel poscritto : Che cos’è metafisica della prima metà degli anni trenta dove è ripresa la questione dell’essere che viene pensato come evento che (Nella radura, Lichtuung) Si da e si toglie. Heidegger parte dalla totalità degli enti, intesa come Mondo nella sua totalità, di cui si può fare esperienza solo nella situazione emotiva (Indifferenza della noia e Spaesamento nell’angoscia) ma che , dal punto di vista razionale , si presenta quale “ Indeterminabile ; Indeterminatezza). Il niente è più originario del Non; Il non è un operazione dell’intelletto intesa come Negazione; Dall’analisi modi difettivi del niente originario (Niente come assenza di ciò che è presente; Niente come modificazione di ciò che è presente> Togliere a.; Niente come mancata presenza di una funzione di ciò che è presente)Heidegger giunge ad affermare che solo sulla base del niente originario è possibile ogni affermazione( difettiva e dunque derivata) ed ogni comportamento “ Nientificante dell’Uomo” Dove per nientificante s’intende di tipo privativo : Impedimento, Negazione di qualcosa etc. A partire dalla totalità indeterminata che svela il Niente è possibile quel comportamento “ Nientificante” di cui si è detto , è necessario dunque che l’unità d’essere, il mondo come totalità , venga assunto e posto come dato; Quest’unità preliminare si manifesta nell’immediatezza di essere e nulla, uno “ Stare in mezzo al tutto” avvertibile solo nella situazione emotiva. Si ha una sospensione della totalità dell’ente che coincide con il nulla; Il nulla equivale alla totalità stessa, è sentito. Mentre invece se si sradica tale stato d'animo da una TALE condizione se cioè la transizione viene a mancare e qualsiasi particolarità viene assorbita da una totalità che pian piano si viene a dissolvere nella noia si può fare esperienza del nulla come condizione entro la quale la totalità si annienta. *La noia profonda perde significato psicologico per ricevere un significato metafisico; *La totalità viene così intesa come un diffondersi su ogni particolarità di un velo di nebbia sempre più fitta. Si ha una TRASVALUTAZIONE dal piano psicologico al metafisico (vedere il concetto di totalità). Così anche la gioia, intesa come sentimento volto alla totalità quale indeterminata, priva di differenze interne. Nell'angoscia oltre a fare esperienza del nulla s'incontra il fenomeno dell'ente ricondotto alla totalità (Entimganzem). Il problema della “totalità” si ripresenta come problema del farsi TOTALITA' dell’ente > ciò significa Sommersione, scomparsa dell'ente nella totalità e dunque scomparsa della totalità stessa. Con la scomparsa della totalità stessa non si presenta il problema di un “idea astratta della totalità” a cui contrapporre, per negazione, un Idea astratta del nulla. La tematica svolta si muove entro la considerazione che l'esperienza del nulla sia esperienza dell'essere, di un essere che scompare; E' lecito utilizzare l'espressione Hegeliana: “Il puro essere e il puro niente sono dunque lo stesso” che viene però qui reinterpretata. In Heidegger tale “identificazione “è fatta tenendo conto della totale vuotezza dei concetti. L'essere trapassa nel nulla e viceversa essendo entrambi indeterminati. Qui si parla di un esperienza che (lontana dall'esser considerata concettualmente vuota) è manifestazione al contempo dell'essere e del nulla. ANALISI DEI PARAGRAFI 31 A 39 -) COMPRENSIONE -) POTER ESSERE \ POSSIBILITA’ \ PROGETTO -) INTERPRETAZIONE \ IN-QUANTO \ SENSO -) DISCORSO \ LINGUAGGIO -) DEIEZIONE -) CHIACCHIERA \ CURIOSITA’ \ EQUIVOCO LA COMPRENSIONE LA COMPRENSIONE NON E’ UNA SEMPLICE NOZIONE CONOSCITIVA; CON QUESTO CONCETTO, HEIDEGGER UTILIZZA  l’ERMENEUTICA (HERMENEUTIK). Con questo gesto ermeneutico, Heidegger si allontana dalla fenomenologia di Husserl. Usa l’ermeneutica per far capire che noi siamo aperti al mondo da un punto di vista COMPRENDENDE. Prima comprendiamo il mondo, poi lo conosciamo. La comprensione ha un modo d’essere originariamente esistenziale; io posso conoscere il mondo da vari punti di vista (fenomenologico, storico, pratico) ma vengono dopo la comprensione ermeneutica. Io nel mondo già mi trovo e ciò coincide sulla mia conoscenza; ma ciò non è un pregiudizio negativo, è una pre-conoscenza. La comprensione ermeneutica viene prima della conoscenza. HERMENEUTIK: ‘ERMENEUTICA’. Heidegger usa questo termine per connotare il proprio programma filosofico in un’analisi della vita umana che ne salvaguardi, a livello concettuale, il peculiare movimento, considerandolo nel suo puro ‘come’, nella mondità fondamentalmente ‘pratica’, senza perdersi nella considerazione teoretica dei suoi concetti. Heidegger svilupperà la propria ‘ermeneutica della fatticità nel 1923, affermerà che con la sua ‘ermeneutica’ aveva inteso ‘pensare in modo più originario l’essenza della fenomenologia’. E’ appena il caso di ricordare che Heidegger riprende questo termine da Aristotele e da una tradizione in cui però l’ermeneutica era intesa e sviluppata come ARS INTERPRETANDI, cioè come tecnica per interpretazione dei testi (classici, giuridici). Heidegger assegna invece al concetto un valore nuovo, filosofico, in quanto fa del comprendere, da semplice operazione conoscitiva messa in atto di fronte a un testo, il modo stesso in cui la vita umana si articola nel suo essere nel mondo e nella storia. Dopo l'analisi della paura dell'angoscia della tecnica della scienza e una chiarificazione dell'indagine ontologico-esistenziale. L'esserci come comprensione. La situazione emotiva è una delle strutture esistenziali entro le quali il ci dell'esser-ci si mantiene. Un ulteriore carattere di apertura dell'esserci, cooriginario al sentirsi – situato, è il comprendere (Verstehen). Questa nozione è stata pensata (ad esempio da Dilthey) in contrapposizione allo spiegare- esplicare: Il comprendere riguarderebbe Il modo di conoscere le scienze dello spirito; l'esplicare quello relativo alle scienze della natura. In Heidegger la comprensione non è assolutamente una forma di conoscenza parallela allo ”spiegare” ma è un modo d'essere dell'esserci attraverso cui l'essere dell'ente e l'essere-nel-mondo risultano APERTI in quanto tali. La situazione emotiva ha sempre la sua comprensione; la comprensione è sempre “emotivamente tonalizzata”. Che l'esserci esistendo sia il suo ci significa innanzi tutto che il mondo “CI E'” e il suo esser-ci è l'in-essere. Tale in-essere ci è come ciò- in- vista- di- cui- l'esserci è. Nell' dell'in-vista-di-cui l'essere-nel-mondo è aperto come tale e questa apertura è definita COMPRENSIONE. L'apertura; la significatività, l'essere-nel-mondo, la cooriginarietà caratterizzano l'esserci come comprensione (come struttura ontologica; non come CATEGORIA) Ma che vuol dire comprendere? Heidegger non da una spiegazione teorica del termine; In tedesco si usa l'espressione (etwas verstehen) comprendere qualcosa nel senso “di essere in grado di affrontare qualcosa, “di saperci fare, “intendersi di qualcosa” (etwas konnen). Il verbo konnen viene utilizzato in una particolare accezione rinviando ad una capacità specifica nell'ambito del sapere pratico. L'esserci è quell'ente che ha il potere di fare qualcosa, realizzando delle possibilità, realizzare se stesso. L'esserci non tanto “è” quanto può essere, si configura come quell'ente che per sua costituzione è caratterizzato dal poter-essere (Sein-konnen). La comprensione non è mai immediata, è intuita. Solo quando l’Esserci è possibilità, comprende. POTER ESSERE \ POSSIBILITA’ \ PROGETTO Che significa poter-essere? E che connessione ha con la comprensione? Io interpreto qualsiasi fenomeno sempre a partire da qualcos'altro che mi è NOTO, lo considero sempre in base ad un idea che mi orienta: lo colgo in quanto qualcosa. L'interpretazione si articola dunque secondo la struttura dell’ “IN- QUANTO”. DAS ALS: IN-QUANTO interpretare qualcosa in quanto qualcos’altro (ci fa capire che c’è la possibilità di superare la tradizione metafisica). l’In-quanto vuole indagare i fenomeni nella loro struttura primaria (cioè in quanto fenomeni appunto). Ciò non vuol dire l’abbandono della realtà trascendentale moderna (che intende i fenomeni come qualcosa di isolato) ma considerare il fenomeno nella sua dimensione originaria che non è fondamento ma è l’apparenza originaria che noi condividiamo con l’essere. Il logos apofantico (giudizio assertivo per eccellenza) deve essere sostituito dal logos ermeneutico (quello della comprensione); e questa sostituzione avviene sostituendo l’in-quanto apofantico con quello ermeneutico. Cos’è l’in-quanto apofantico? -) E’ logico -) E’ predicativo MA CIO’ NON VUOL DIRE CHE E’ VERO, PER HEIDEGGER NON E’ COSI’, A LUI INTERESSA LA VERITA’ ONTOLOGICA. L'In-quanto apofantico appiattisce la pluralità di modi di vedere le cose che vengono portate sulla dimensione della semplice-presenza. Problema: il logos apofantico è stato sostituito alla verità. Il logos apofantico si fonda sull’Asserzione; è un modo derivato dell’interpretazione; analizza (l’asserzione) la storia della filosofia e ci dà 3 modalità: -) MANIFESTAZIONE  COMUNICA I CONCETTI -) PREDICAZIONE  INDICA LA POSIZIONE DEL SOGGETTO (NON E’ IL LUOGO PRIMARIO) -) COMUNICAZIONE  COSA DETERMINA L’ASSERZIONE Nell’antichità l’asserzione era considerata il luogo autentico e primario, per Heidegger non è così. La struttura dell’in-quanto, struttura l’interpretazione e permette di indagare su 3 aspetti importanti dell’interpretazione: -) PRE-DISONIBILITA’  L’interpretazione ha già delle strutture comprensive di base, non nasce dal nulla, ha delle basi -) PRE- VISIONE  Quando interpretiamo abbiamo una visione in prospettiva -) PRE-COGNIZIONE  E’ disponibile dal momento in cui interpretiamo Detto ciò, Heidegger parla del: SENSO e del CIRCOLO ERMENEUTICO. Heidegger parla del SENSO definendolo così: Il senso è il rispetto-a-che del progetto in base a cui qualcosa diviene comprensibile in quanto qualcosa; tale rispetto-a-che è strutturato secondo la pre- disponibilità, la pre-visione e la pre-cognizione. Il senso è fondamentale per l’ermeneutica; non esiste nulla di intuito e immediato nella nostra conoscenza, c’è sempre un riferimento ai sensi. Il senso è aperto alla comprensione; è ermeneutico; ci dirige verso un contenuto ma non ci prescrive nulla. Heidegger parla del circolo ermeneutico Nasce in età alessandrina e si trova nell’ambito della retorica Cos’è il circolo ermeneutico? L’unità del testo può esser compreso con singole parti e le singole parti possono esser comprese attraverso l’unità del testo. Il circolo ermeneutico è considerato nella sua ontologicità > Siamo in un circolo ermeneutico di Interpretazione e comprensione che attiva ed è attivato dalla nostra relazione con il MONDO. Il circolo del “comprendere” appartiene alla struttura del senso; è una modalità attraverso cui la comprensione si dà). DISCORSO\ LINGUAGGIO RADE: DISCORSO  Cooriginario alla comprensione e alla situazione emotiva; è una determinazione esistenziale dell’esistenza, corrispondente a ciò che nell’antropologia tradizionale è designato come Logos. Essa implica che la “significatività”, ovvero l’insieme dei contenuti e dei significati che riempiono l’esistenza, sia un tutto articolato discorsivamente, linguisticamente. Nel discorso si esprime quella totalità di significato che si ricollega all'appagamento degli enti intramondani e che risulta condizione dell'apertura dell'esserci come essere-nel-mondo. La comprensibilità (anche prima dell'interpretazione appropriante) è già sempre ARTICOLATA attraverso il discorso che quindi sta alla base dell'asserzione e dell'interpretazione. Il senso è ciò che dirige l'articolabile dell'interpretazione e ancora più originariamente del discorso. Ciò che risulta così articolato (nell'articolazione discorsiva) è scomponibile in significati. I significati (articolato dell'articolabile) sono sempre forniti di SENSO. Il discorso come articolazione della comprensibilità del CI è un esistenziale originario. Il linguaggio è così espressione del discorso. La totalità delle parole viene a essere disponibile come un utilizzabile, un ente intramondano. Il linguaggio può essere scomposto in parole-cosa-semplicemente-presenti. Il discorso è linguaggio in senso esistenziale, l'ente di cui articola l'apertura è l'esserci. Il discorso ha carattere sempre APRENTE ed è costitutivo dell'esistenza dell'esserci. Il sentire e il tacere sono possibilità del linguaggio discorrente. Il discorso è l'articolazione in significati della comprensibilità dell'essere-nel- mondo di cui fa parte il con-essere che si mantiene sempre nella modalità dell'essere-assieme-prendente-cura. Il con-essere discorre sempre nella forma dell'invito o del dissenso o della discussione. Tiene insomma discorsi, infatti il discorso è sempre “ discorso su..” Il sopra-che -cosa del discorso (non ha il carattere di un asserzione) è “sempre preso di mira e determinato”. La connessione del discorso con la comprensione e la comprensibilità si fa chiara in base al fenomeno del sentire (possibilità esistenziale del discorso). Non a caso se diciamo ”non ho sentito bene” intendiamo il non aver “ capito”. Il sentire è costitutivo del discorrere. Lo “ stare a sentire” è l'aprimento dell'esserci in quanto con-essere all'altro L'ascolto addirittura costituisce l'apertura autentica dell'esserci al suo poter- essere più proprio! Come? Come ascolto della voce dell'amico che ogni esserci porta con sé. L'esserci sente perché comprende e comprende a partire dall'essere nel-mondo-con- altri, l'esserci è nella soggezione dello “stare a sentire” e nella soggezione appartiene loro(altri). Lo starsi a sentire reciproco è il luogo in cui si forma il con-essere ha come sue modalità il dare ascolto, il concordare e i modi privativi del non voler sentire, sfidare, avversare. Sul fondamento di questo poter sentire è possibile l'ascoltare (più originario di ciò che la psicologia definisce come UDITO) Anche l'ascoltare ha il carattere del “sentire comprendente” Noi non sentiamo mai innanzi tutto un insieme di suoni e rumori ma “la bicicletta che cigola; Il vento del nord etc.) questo perché l'esserci in quanto essere-nel-mondo si mantiene sempre presso l'utilizzabile intramondano; in quanto comprendente l'esserci è già sempre presso ciò che comprende. Anche quando il discorso è incomprensibile non udiamo” un insieme di dati sonori” ma parole In- COMPRENSIBILI. Discorrere e sentire si fondano nella comprensione; solo chi ha compreso può ascoltare ed è su questo stesso fondamento esistenziale che si fonda il tacere, una possibilità del discorso. Chi tace più far capire/promuovere la comprensione più autenticamente di chi parla senza sosta. La "Cura" è la struttura fondamentale dell'esistenza ed la totalità delle determinazioni d'essere dell'Esserci ("esistenzialità, effettività e deiezione), o, come si esprime lo stesso Heidegger, "la totalità formale esistenziale del tutto strutturale ontologico dell'Esserci significa: avanti-a-sé-esser-già-in in quanto esser presso. Questo essere è espresso globalmente dal termine Cura". Manifestazioni concrete della Cura sono poi il "il prendersi cura", degli oggetti, e l'"aver cura", verso gli altri. La Cura, dunque, è proprio la struttura dell'essere dell'Esserci: esprime la condizione di un essere che progetta, come "essere-avanti-a-sé", le sue possibilità, le quali lo riducono alla sua situazione originaria, cioè al suo essere-gettato. Perciò l'essere-nel-mondo è per Heidegger un esistenziale fondamentale, perché non si può essere se non in virtù di una co-implicazione (relazione) L'esserci, che è l'essere che ci è (che siamo) è cooriginariamente un essere-con quale condizione formale di possibilità dell'apertura agli altri. Il dasain è strutturalmente con altri. L'esserci proprio e l'esserci di altri con-esserci si incontrano a partire dal mondo………. La struttura dell'esser-avanti-a-sè-già-in-in-mondo se resa chiara fa trasparire anche il fatto che risulta esserci una concatenazione tra l'insieme dei rimandi (rapporti del per) della significatività (modalità attraverso cui l'uomo fa esperienza concreta del mondo) propria della mondità ad un in-vista-di. La concatenazione dell'insieme dei rimandi e dei rapporti “del per” non significa la forzata saldatura di un mondo di “cose presenti” e un soggetto. Essa è l'espressione dell'esserci COORIGINARIAMENTE unitaria ora resa nota dalla struttura dell'esser-avanti-a-sé-essendo-già in. L'esistere è sempre effettivo (per effettività (1) s'intende l'esser-gettato; gettatezza) L'esistere effettivo dell'esserci non è solo quello*(1) ma è già sempre immedesimato con un mondo di cui SI PRENDE CURA. In questo deiettivo esser-presso si rende nota la fuga dallo spaesamento il quale (come l'angoscia latente) resta coperto dalla pubblicità del SI. Nell'esser-avanti-a-sé-già-in-un-mondo è incluso il deiettivo esser-presso l'ente intramondano. Di cui ci si prende cura. La totalità delle strutture ontologiche dell'esserci deve essere colta così: Esser- avanti-a-sé-già-in (un-mondo) in quanto esser presso(l'ente). Questo essere è espresso dal concetto di cura(Sorge)in senso ontologico- esistenziale. La cura non indica (neanche se usata nell'espressione “aver cura di sé”) un comportamento verso se-stesso perché il se-stesso è già caratterizzato ontologicamente dall'esser-avanti-a-sé (1) (l'esserci strutturalmente non può essere se non con gli altri). In questa determinazione sono inclusi altri due momenti strutturali della cura (L'essere già in; esser-presso). E' un essere per il più proprio poter-essere; in tale struttura è posta la condizione di possibilità dell'essere libero per le possibilità esistentive autentiche. Il poter essere è ciò in vista di cui l'esserci è sempre ciò che è; l'essere-per il poter-essere è determinato dalla libertà, l'esserci può rapportarsi alle proprie possibilità anche in maniera INAUTENTICA. L'in-vista-di-cui autentico resta Inafferrato ed è abbandonato al libero arbitrio del SI. Nell'esser-avanti-a-sé (essere per le proprie possibilità autentiche) il sé diventa il SI STESSO L'esserci è avanti a sé anche nell'inautenticità La cura per la sua totalità strutturale unitaria viene prima di ogni comportamento o situazione (è sempre dentro ognuno di essi) La cura non esprime il primato del comportamento pratico rispetto a quello teoretico. Teoria e prassi sono possibilità dell'esserci solo perché quest'ultimo è determinato come cura. La cura è il mio stesso esserci. L'essere dell'esserci è la cura e comprende in sé effettività (esser-gettato) esistenza (progetto) e deiezione. L'esserci, essendo, è stato gettato, non si portano volutamente nel suo CI. Essendo, l'esserci è determinato come un poter-essere che appartiene a se stesso, non in quanto esso stesso si sia conferito il possesso di sé. Esistendo, l'esserci è determinato come un poter essere che appartiene a sé. Solo essendo quell'ente che esso può essere esclusivamente in quanto consegnato ad essere (essendo per le proprie possibilità più autentiche) può essere che, esistendo, esso sia il fondamento del proprio essere. Volere, desiderare, impulso e inclinazione sono radicati nell'esserci in quanto cura non sono semplici “esperienze vissute” La cura è anteriore a questi fenomeni. Il poter-essere in vista di cui l'esserci è ha il modo d'essere dell'essere nel mondo; In esso è implicito il riferimento ad un ente intramondano. Dunque ad un volere corrisponde un voluto, già determinato a partire da un in vista di che. La possibilità ontologica del volere chiede costitutivamente l'apertura dell'in- vista-di-che (l'esser-avanti-a-sé) l'apertura di ciò di cui si può prendere cura (il mondo come l'in-essere che è già) e il comprendente autoprogettamento dell'esserci nel poter-essere per la possibilità dell'ente voluto. NEL FENOMENO DEL VOLERE TRASPARE LA TOTALITA’ DELLA CURA, che ne costituisce il fondamento. L'esserci trae le proprie possibilità da un mondo che è già sempre scoperto. Le possibilità sono tratte sulla base dello stato interpretativo del si; L'interpretazione ha ristretto le possibilità all'ambito del: Noto, raggiungibile, sopportabile, conveniente, decente. La quotidianità media del prendersi cura non vede le possibilità e si accomoda sulla tranquillità del reale, che eccita l'irrequietezza del prendersi cura. Il voluto non è più costituito da possibilità nuove, positive ma da ciò che è disponibile. Il volere tranquillo guidato dal sì non costituisce di per sé una dissoluzione dell'essere-per il proprio poter essere (per il progetto), ma ne prevede una modificazione così che l'essere-per-le possibilità si manifesta come semplice desiderio. Nel desiderio l'essere viene progettato in possibilità non afferrate nel prendersi cura e la cui realizzazione non è attesa né progettata. C'è (nell'esser-avanti-a-sè) nella forma del desiderare un incomprensione delle possibilità effettive. L'essere nel mondo il cui mondo è progettato in desiderati si abbandona a ciò che è disponibile che però, non basta mai. Il desiderare è una modificazione della progettazione di sé comprendente la quale, deietta nell'esser-gettato, è un vagheggiamento di possibilità che di fatto chiude le possibilità. Ciò che c'è nel desiderare diviene mondo reale (il desiderio però presuppone ontologicamente la cura). Nel “ vagheggiamento, annebbiamento, nel desiderare” L'esser-avanti-a-sé- già.in è sostituito da un esser-già-presso(il disponibile) e ciò mostra l'inclinazione dell'esserci a lasciarsi vivere nel mondo in cui già è. L'esser-avanti-a-sé si è perduto in un esser-sempre-già-soltanto-presso; Si ha così una modificazione dell'intera struttura della cura e all'inclinazione sono subordinate tutte le altre possibilità. L'impulso alla vita è un “In-per ad ogni costo” può togliere di mezzo altre possibilità; l'esser avanti a sé come per l'inclinazione è inautentico. Inclinazione e impulso sono radicati nell'esser-gettato dell'esserci e non devono essere sradicati. L'uno e l'altro sono in quanto sono radicati nella cura, devono però essere modificati dalla cura autentica. La cura (fenomeno ontologico-esistenziale fondamentale) non è semplice nella sua struttura. La determinazione della cura come esser-avanti-a-sé (essendo già in) e come esser-presso rivela che è un fenomeno strutturalmente articolato. L'esplicazione dell'essere dell'esserci in Quanto cura non forza l'esserci in un idea astratta, conduce a chiarezza concettuale quanto era stato scoperto in sede ONTICO-ESISTENTIVA. Diventa fondamentale nell'analisi della cura una favola antica di Iginio, dove si trovano le radici dell'autointerpretazione dell'esserci come cura. FAVOLA DI IGINIO (pg 242) In sostanza c'è una disputa tra la cura, Giove, la terra e Saturno (Il tempo). La cura modella un pezzo di fango cretoso e incontrando Giove gli chiede di infondergli il suo Spirito, Giove vuole lo stesso e la terra (avendogli dando un po'del proprio corpo) voleva lo stesso. Saturno decise che Giove che gli aveva dato lo spirito, alla sua morte riceverà spirito. La terra che gli aveva dato il suo corpo riceverà corpo. Ma la cura, avendogli per prima dato forma, fintanto che quest'essere vivrà, lo possiederà la cura. “Poiché la controversia riguarda il suo nome si chiamerà homo(uomo) perché fatto di humus(terra).” appunto il soggetto sia qualcosa che si contrappone a un ‘oggetto’ inteso come semplice-presenza. L’esserci non è mai qualcosa di chiuso da cui occorre uscire per andare al mondo; esso è già sempre e costitutivamente rapporto col mondo, prima di ogni artificiosa distinzione tra soggetto e oggetto. La conoscenza come interpretazione non è lo sviluppo e l’articolazione delle fantasie che l’esserci come soggetto individuale può avere del mondo. L’idea della conoscenza come articolazione di una precomprensione originaria è la dottrina di quella che Heidegger chiama il CIRCOLO ERMENEUTICO. Tale circolo può apparire vizioso solo dal punto di vista di un ideale del conoscere che concepisce l’essere come semplice presenza. Heidegger: (Fabris) Un’interpretazione largamente dominante nella storia del pensiero è quella che considera il mondo come un insieme di cose (res), che cioè concepisce l’ente nei termini di una mera presenza, di una semplice sussistenza. E’ questo infatti il senso dell’essere della realtà; ma si tratta dell’ingiustificato privilegio di una particolare modalità di essere (quella della semplice - presenza) a scapito delle altre. In conseguenza di ciò, non solo ogni ente intramondano (gli oggetti utilizzabili) ma pure l’esserci stesso viene concepito come una ‘cosa’; e lo stesso processo della conoscenza è visto come il rapporto tra un ‘soggetto’ e un ‘oggetto’ ambedue indifferenziati quanto al loro carattere ontologico. (Heidegger) L’aggrovigliarsi del problema è dimostrato nella “Confutazione dell’idealismo” di Kant. Kant definisce uno “scandalo della filosofia e della ragione umana in generale” la mancanza a tutt’oggi di una prova dell”esistenza delle cose fuori di noi”. Egli stesso offre questa prova sotto forma di “tesi”: la coscienza semplice ma empricamente determinata della mia esistenza dimostra l’esistenza degli oggetti nello spazio fuori di me”. La prova dell” esistenza delle cose fuori di me” riposa sul fatto che alla natura del tempo appartengono cooriginariamente permanenza e mutamente. La mia semplice-presenza è un mutamento semplicemente-presente. Ma la determinazione del tempo presuppone qualcosa di semplicemente- presente che permanga. Siffatto permanente non può però essere “in-noi”, e perciò posta in necessita posta “fuori-di-noi”. A prima vista può sembrare che Kant si sia liberato dall’ammissione cartesiana di un soggetto isolato. Ma è soltanto un’apparenza. Il semplice fatto che Kant senta il bisogno di una prova dell”esistenza delle cose fuori di me” basta a dimostrare che egli ha posto il punto d’appoggio della problematica nel soggetto, nell’”in-me”. E’ infatti la dimostrazione è condotta partendo dal mutamento dato in-me. Esso funge da pedana per il salto dimostrativo nel “fuori-di-me”. Ne deriva che sia l’impostazione del “realismo” sia quella dell” idealismo” in filosofia risultano segnate dall’assunzione preliminare del modo d’essere delle semplice presenza (cambiando solamente la maniera in cui, nei due casi, gli enti semplicemente presenti che risultano coinvolti, il “soggetto” e l”oggetto”, si connettono fra di loro). L’idealismo, per quanto opposto al realismo e per quanto inaccettabile nei risultati, vanta un primato fondamentale. Quando l’idealismo osserva che l’essere e la realtà esistono solo nella “coscienza”, esso esprime in tal modo il principio che l’essere non può esser spiegato mediante l’ente. Ma poiché non chiarisce il FATTO CHE qui accade una comprensione dell’essere e CHE COSA significhi ontologicamente questa comprensione dell’essere, l’idealismo costituisce nel vuoto la sua interpretazione vuota. Il concetto di “Realtà” può essere adeguatamente compreso, invece, solo al riferimento del concetto della cura, ovvero, detto altrimenti, in relazione all’essere-nel-mondo dell’esserci. La realtà è resistenza, o meglio, resistenzialità. L’esperienza della resistenza, cioè la scoperta di qualcosa di resistenza nel corso dello sforzo, è ontologicamente possibile solo sul fondamento dell’apertura al mondo. Lo star “contro” o lo star “di fronte” trovano la loro possibilità ontologica nell’essere-nel-mondo già aperto. La realtà è in riferimento alla cura; solo un ente che abbia il modo di essere della Cura ha la possibilità di urtare contro resistenza intramondane. Se si definisce la realtà come resistenza si devono definire due cose: la resistenza non è uno dei molti caratteri della realtà e che la resistenza presuppone necessariamente un mondo già aperto. PARAGRAFO 44 LA VERITA’ UNVERBORGENHEIT: SVELATEZZA, NON NASCONDIMENTO  E’ il termine con il quale Heidegger intende rendere il senso del greco “A- LETEIA”, sottolineando che per esprimere il concetto di “verità” i Greci usavano un concetto negativo, mentre per il filosofo non è così, ha un’accezione positiva. La verità è il fenomeno del portare a manifestarsi, dello svelamento. Heidegger sottolinea con forza la stretta connessione che lega “la verità” ed “essere”. Rispetto al modo in cui, soprattutto nel pensiero greco, un tale nesso è stato individuato ( Heidegger fa riferimento a Parmenide e Aristotele), è necessario prendere in esame un ulteriore elemento all’interno di tale contesto, quello cioè rappresentato dall’Esserci, nella misura in cui solo fintato che l’esserci è si dà essere. Anche la questione della verità dovrà dunque venir ricondotta al particolare rapporto che lega l’esserci, l’ente e l’essere in generale. L’analisi muove dal concetto tradizionale di verità, tentando di chiarire i fondamenti ontologici. Sulla scorta di questi fondamenti, sarà presto in luce il fenomeno originario della verità. In base ad esso si potrà stabilire la provenienza del concetto tradizionale di verità. La ricerca farà vedere che al problema dell’essenza della verità è legato necessariamente quello del modo di essere della verità. Tre tesi caratterizzano la concezione tradizionale dell’essenza di verità: -) il luogo della verità è l’asserzione (giudizio) -) l’essenza della verità consiste nella “adeguazione” del giudizio al suo oggetto -) Aristotele, il padre della logica, ha considerato il giudizio come luogo originario della verità e ha introdotto il termine “adeguazione”. (Problema: il logos apofantico è stato sostituito alla verità. Il logos apofantico si fonda sull’Asserzione; è un modo derivato dell’interpretazione; analizza (l’asserzione) la storia della filosofia e ci dà 3 modalità: -) MANIFESTAZIONE  COMUNICA I CONCETTI -) PREDICAZIONE  INDICA LA POSIZIONE DEL SOGGETTO (NON E’ IL LUOGO PRIMARIO) -) COMUNICAZIONE  COSA DETERMINA L’ASSERZIONE Nell’antichità l’asserzione era considerata il luogo autentico e primario, per Heidegger non è così) Secondo Heidegger, i filosofi presocratici, indagando il problema dell’essere, hanno compreso che la questione della verità andava posta come «svelatezza»: per questo hanno usato la parola a-lètheia che, secondo Heidegger, indica ciò che esce dall’oblio (lèthe) e si lascia vedere, dopo essere stato nascosto. Questa idea, consonante con il modo indicato da Heidegger per rapportarsi all’essere, è un sapere che è stato occultato dalla filosofia di Platone e Aristotele. Da qui ha inizio la storia della metafisica, caratterizzata dalla convinzione che all’uomo sia dato conoscere la verità come corrispondenza, o conformità, tra pensiero, linguaggio ed essere. Con l’etimologia di alètheia, Heidegger esprime l’esigenza di ritornare al rapporto orginario di verità, ponendosi in attesa dei momenti in cui l’essere si lascia intravedere. Domandiamo ora, senza alcun riguardo per questa definizione abituale, come venne intesa la verità all’inizio della filosofia occidentale, e cioè che cosa pensassero i Greci di ciò che noi chiamiamo «verità». Quale parola avevano per nominarla? La parola greca che sta per «verità» – non lo si sarà mai ricordato SECONDA SEZIONE CONCETTO DI MORTE\ ESSERE PER LA MORTE PARAGRAFI 46-47-48-49-50-51-52-53 L'analisi dell'esistenza sinora condotta presenta un insufficienza: Se l'essenza dell'esserci risulta essere l'esistenza e il termine può esser così designato: L'esserci è un comprendente poter essere per cui nel suo essere ne va di quest'essere stesso. L'insufficienza risiede nel fatto che l'esistenza, essendo un poter essere, è tale anche per le proprie possibilità autentiche, dunque per l'esistenza autentica. L'analisi esistenziale ci ha permesso di asserire che l'esserci nella sua quotidianità si estende “fra“ la nascita e la morte; Se l'esistenza determina l'essere dell'esserci e la sua essenza risiede nel poter essere ne consegue che l'esserci, fintanto che è , ha sempre qualcosa da essere. L'analisi (la situazione ermeneutica) dell'esistenza dell'esserci finora condotta perde per un insufficienza essenziale il carattere dell'originarietà: Tale insufficienza risiede nell'impossibilità e nel dubbio che possa essere considerato l'esserci nella sua interezza, totalità. Nasce l'esigenza di realizzare la pre-disponibilità dell'esserci come TOTALE dato che l'esserci nella sua inautenticità considerato non totale. Ciò significa impostare il problea del poter-essere un tutto da parte di quest'ente dato che, fintanto che esso è, manca sempre qualcosa che esso può essere e sarà. Di questo qualcosa che manca fa parte anche la Fine: La fine dell'essere nel mondo è la morte; E appartenendo al poter-essere (esistenza)determina la possibile totalità dell'esserci. E' possibile aggiungere fenomenicamente il concetto di morte nel problema del poter essere un tutto da parte dell'esserci solo se si è raggiunto un concetto ontologicamente adeguato della morte > La morte è adeguata all'esserci solo in quanto essere per la morte esistentivo. Come sarà possibile considerare l'esserci come un poter-essere-un-tutto in maniera autentica? Si può determinare l'esistenza autentica solo in riferimento all'esistere(esistente)autentico? E dove rintracciarlo? L'attestazione di un poter-essere autentico è dato dalla coscienza (Gewissen): Un poter-essere autentico dell'esserci consiste e si realizza nel voler-aver- coscienza. E questa possibilità raggiunge la sua determinazione esistentiva attraverso l'essere per la morte. L'analitica esistenziale può assicurarsi della costituzione originaria dell'esserci solo esibendo un autentico poter-essere-un-tutto da parte dell'esserci, che si rivela un modo della cura. Il fondamento ONTOLOGICO dell'esistenzialità dell'esserci è la temporalità. Dunque le analisi circa le strutture ontologiche di quest'ente devono essere ricondotte al loro senso temporale; La stessa quotidianità si rivela quale modo della temporalità . Muovendo dalla temporalità sarà possibile comprendere la storicità che sta alla base dell'essere dell'esserci e che rende possibile l'elaborazione da parte di quest'ente di una storiografia. Il chiarimento del “momento in cui” s'incontra l'ente intramondano, ovvero dell'intratemporalità consente una temporalizzazione della temporalità entro cui è possibile una comprensione dell'essere dell'esserci. Il progetto di un senso dell'essere in generale può così essere posto nell'orizzonte della temporalità. PARAGRAFO 46 La possibilità di essere-un-tutto da parte dell'essere e l'essere per la morte Quest'ente è in grado di rendersi accessibile nel suo essere-un-tutto? Nella stessa costituzione d'essere dell'esserci sembrano fondarsi le ragioni di una supposta impossibilità, di fatti c'è nella costituzione una certa INCOMPIUTEZZA data dalla struttura fondamentale d'essere dell'esserci: L'esser-avanti-a-sè. L'esserci è nel modo del non-ancora, dunque nell'esserci c'è sempre qualcosa che manca, che può essere ma che non è ancora divenuto reale.(essere-per). La non-totalità significa una MANCANZA rispetto al poter essere. Nel momento in cui nella costituzione d'essere dell'esserci tale incompiutezza trova risoluzione e l'esserci risulta ESISTERE in modo che in esso non manchi nulla esso è giunto al suo non-esserci-più. Si giunge con l'eliminazione di una tale mancanza d'essere all'annichilimento dell'essere stesso. Raggiunta una siffatta totalità l'esserci non è più esperibile come ente, non lo si può più determinare ontologicamente come essere-un-tutto: Si ha così la perdita della struttura ontologica fondamentale attraverso cui L'ESSERCI ESISTE: L'essere-nel-mondo. PARAGRAFO 47 L'esperibilità della morte degli altri e la possibilità di cogliere un esserci INTERO Il conseguimento della totalità da parte dell'esserci comporta la perdita dell'essere del ci. E l'esistenza stessa dell'esserci non consente a quest'ultimo di esperire il passaggio dall'esser-ci al non-esser-ci-più e di concepirlo in quanto “esperito”. Risulta importante la morte degli altri come esperienza che fa vedere OGGETTIVAMENTE la fine dell'esserci ed essendo strutturalmente l'esserci un essere-con può esperire la morte degli altri. La pretesa che il tema dell'esperibilità della morte degli altri possa condurre alla comprensione del poter-essere-un-tutto da parte della morte. Perchè? Perchè sebbene il fenomeno della “sostituzione” sia costitutivamente parte dell'essere dell'esserci in quanto essere-nel-mondo (per intenderci un esserci può sostituirsi ad un altro esserci in diversi ambiti) è impossibile ASSUMERSI il morire di un altro. Nel fenomeno del morire, nel passaggio di un Esser-ci al non esser-ci più in quanto non essere più nel mondo non si è più-con l'esserci che muore (l'esserci non ci-è più) Perchè l'essere assieme è possibile solo come essere nello stesso mondo. E dal momento che l'esserci è tale a partire da ciò di cui si prende cura e ha cura,”Si è ciò di cui ci si prende cura”. Tuttavia non è possibile considerare come “Analoghi” i concetti dell'exitus (semplice “ uscita” dalla vita; cessazione della vita propria del mondo animale, la morte biologicamente intesa; )Dal morire(fenomeno i cui caratteri sono l'esistenza e l'esser-sempre-mio). Io, quando qualcuno muore, non tratto quello alla stregua di una “semplice presenza” prendendomene cura; Le esequie, l'inumazione e il culto funerario sono modi dell'aver cura. Tuttavia solo a partire DA QUESTO MONDO si può ancora essere con il defunto. La morte è sempre “la mia morte” non è esperibile fenomenicamente. Bisogna dunque per non confondere il morire con la cessazione della via analizzare i fenomeni costitutivi DELLA FINE E DELLA TOTALITA’. PARAGRAFO 48 E' necessario analizzare i concetti di fine e totalità in riferimento alle loro modificazioni strutturali considerate in base all'ente reale, che è “L'esserci”. Bisogna aver chiare le strutture ontologiche essenziali dell'esserci, bisogna avere una nozione generale dell'essere e comprendere in che misura le nozioni di fine e totalità risultano inadeguate all'esserci. -1) Un fenomeno della vita -2) il vivere è da intendersi come un modo d'essere cui appartiene l'essere nel mondo-ambiente -3) la vita può esser determinata ontologicamente solo successivamente ad un orientamento negativo nell'esserci Anche l'esserci può essere considerato come un semplice vivente in quella regione d'essere che può essere chiamata mondo animale e vegetale. Su questo terreno è possibile in media attraverso il raccoglimento di dati e statistiche determinare la durata della vita, le cause della morte, la riproduzione, l'accrescimento. Alla base di tali costatazioni c'è una problematica ontologica: In che modo la morte determina l'essenza della vita? La Ricerca ontica intorno alla morte ha già sempre deciso a tal proposito. In essa sono già presenti preconcetto intorno alla vita e alla morte, preconcetti che bisogna però delineare attraverso l'ontologia dell'esserci, preordinata all'ontologia della vita subordinata ad una caratterizzazione essenziale dell'esserci. E' bene ora chiarire che, dato che anche l'esserci ha la sua morte fisiologica in quanto essere vivente, distinguerla dalla “cessazione della vita “. Definendola DECESSO. Morire è il termine utilizzato per esprimere il modo in cui l'esserci è per la sua morte. Dal che consegue: L'esserci non cessa mai semplicemente di vivere, e può decedere soltanto in quanto muoia. E' così assicurato l'orientamento di fondo in vista d un interpretazione esistenziale della morte, La quale, precede ogni ontologia e biologia della vita. Di fatti una caratterizzazione delle diverse tipologie della morte presuppone già il concetto di morte. La psicologia del morire, di fatti, verte più sul vivere del morente che sul morire stesso. L'analisi ontologica dell'essere-per-la-morte non indica ne presuppone soluzioni valide in campo ontico: Se l'esserci sia Immortale, se dopo la morte esista un essere superiore o sull'Aldilà. Giacché essa interpreta il fenomeno come esso si radica nell'esserci in quanto possibilità d'essere di ogni esserci. L'interpretazione ontologica della morte orientata nel DI QUA precede ogni speculazione ontologica orientata nell'al di là. D'altra parte l'analisi non può attenersi ad un concetto della morte casuale o arbitrario; E 'Necessario dunque riandare alle strutture della quotidianità esaminate n precedenza. La problematica tende esclusivamente a chiarire la struttura ontologica di essere-per-la-fine propria dell'esserci. PARAGRAFO 5O Schizzo della struttura ontologico-esistenziale della morte. Morte=Essere per la fine. E' necessario analizzare il fenomeno della morte partendo dalla costituzione essenziale dell'esserci per capire in che modo l'esserci può costituire, essendo un essere-per-la-fine, la totalità. La cura essendo la costituzione fondamentale dell'esserci(dato il suo significato ontologico>esser-già-avanti-a-sé-nel-mondo) in quanto esser presso l'ente che viene incontro come intramondano. Con tale definizione sono espressi i caratteri propri dell'essere dell'esserci Nell'avanti a sé dell'esistenza nell'esser già in l'effettività nell'esser presso la deIezione Se la morte appartiene all'essere dell'esserci è necessario che essa(l'essere per la fine) sia determinabile attraverso questi caratteri. Inadeguata è stata l'interpretazione del non-ancora e quindi dell'estremo non- ancora dell'esserci, della sua fine nel senso di mancanza (perchè implicherebbe un capovolgimento dell'esserci in semplice-presenza) Essere alla fine=essere per la fine. L'estremo non ancora rappresenta qualcosa cui l'esserci si rapporta poiché la fine incombe sull'esserci, dunque, la morte è un imminenza che incombe non è una semplice presenza non ancora attuatasi. Il carattere d'imminenza della morte non è lo stesso che parimenti è attribuibile ad un fenomeno ontico: Un temporale può incombere; La morte no. La morte è una possibilità d'essere che l'esserci deve sempre assumersi da sé. Ed è nella morte che l'esserci stesso incombe a se stesso nel suo poter essere più proprio. La morte è per l'esserci la possibilità di non poter più esserci. Ed incombendo in questa possibilità a se stesso viene rinviato al suo poter essere più proprio. Questa è la possibilità ESTREMA, cui l'esserci non può fuggire. La morte si rivela come la più propria, incondizionata, insuperabile delle possibilità ed è un imminenza così ECCELSA. La possibilità della morte si rivela nel fatto che l'esserci è aperto nel modo dell'avanti-a-sè. Questo momento della struttura della cura ha la sua concrezione più propria nell'essere-per la morte(si attua con e per essa). L'esserci, se esiste, è già da sempre gettato in questa possibilità. L'esserci non ha alcuna conoscenza neanche teorica di essere consegnato alla morte e che essa fa parte dell'essere-nel mondo. L'esser-gettato nella morte gli si rivela perciò nella situazione emotiva dell'angoscia L'angoscia davanti alla morte è angoscia davanti al poter essere più proprio. Il davanti a che dell'angoscia è l'essere nel mondo stesso; Il per-che dell'angoscia è il poter essere puro dell'esserci. Angoscia non è paura del decesso: Non è una tonalità di depressione. L'angoscia costituisce l'apertura dell'esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine. Si fa chiaro il concetto del morire come esser gettato nel poter essere più proprio e si fa netta la differenza dal semplice cessare vivere. L'esser-per-la fine fa parte dell'esser-gettato dell'esserci quale si rivela nella situazione emotiva. L'effettivo sapere o non sapere che si afferma nell'esserci circa il suo più proprio essere per la fine è l'espressione della possibilità esistentiva di mantenersi in quest'essere in diversi odi. Molti uomini non sanno nulla della morte ma ciò non significa che essa non sia universalmente appartenente all'esserci ma è la prova che l'esserci copre il più proprio poter essere per la morte fuggendo davanti ad esso. L'esserci muore nella maniera della deiezione L'esistere effettivo non solo è un gettato poter essere nel mondo ma è già sempre immedesimato con il mondo di cui si prende cura; In questo deiettivo esser-presso si fa esplicita la fuga davanti al più proprio poter-essere per la morte. Dunque, esistenza, effettività e deiezione caratterizzano l'essere per la fine e sono costitutivi del concetto della morte. IL MORIRE IN QUANTO ALLA SUA POSSIBILITA’ SI FONDA NELLA CURA. Ma se l'essere per la morte fa parte dell'essere dell'esserci (nel modo inautentico) esso deve essere rintracciabile nella quotidianità. E se l'essere per la fine dovesse fornire la possibilità di un tutto esistentivo da parte dell'esserci ciò sarebbe da conferma al concetto per cui la cura intesa come la totalità delle strutture d'essere dell'esserci. #CONNESSIONE FRA ESSERE PER LA MORTE E CURA; Il rapporto è da intendersi e da rendersi visibile nella concrezione (attuazione) dell'esserci nella quotidianità. PARAGRAFO 51 L'essere per la morte e la quotidianità dell'esserci. Nell'esplicitazione del Quotidiano poter-essere-per-la-morte si è compreso che l'esserci si rapporta se stesso come un poter-essere EMINENTE. Tuttavia sappiamo che il se-stesso della quotidianità muta nel Si (che si costituisce attraverso gli stati interpretativi pubblici) quale si esprime nella chiacchiera. È dunque la chiacchiera a rivelare in qualche modo L'esserci quotidiano interpreta il suo essere per la morte. Della morte noi siamo certi e tale modalità di certezza è affiancata e contestualizzata nel fenomeno della verità(§44) come “disvelamento” Tuttavia il sentimento di certezza è sfumato da caratteri indeterminati quali ”l'ora indeterminata in cui si morirà, si dice infatti “ che la morte verrà ma per il momento no ancora” Tuttavia una tale fuga, coprimento e la stessa sfumatura sottolineano come alla base dell'inautenticità vi sia un rapporto autentico, rapporto grazie al quale: La stessa morte – come fine dell'esserci- rinvia l'esserci alla sua possibilità più propria. ineludibile, insuperabile, indeterminata, certa. L'analisi dell'essere quotidiano per la fine deve completarsi per rendere esplicito il concetto esistenziale della morte. La certezza di cui si è detto “si è certi che si morirà” non necessariamente presuppone un “ esser-certo” quale possibilità eminente dell'esserci. La quotidianità ha un interpretazione equivoca della certezza della morte, e la utilizza per coprire ancor di più il morire e render leggero l'esser-gettato nella morte. Esser-certi di un ente significa: tenerlo per vero in quanto vero > verità è l'esser-scoperto dell'ente; ma ogni esser-scoperto getta le sue radici ontologiche nella verità originaria: L'apertura dell'esserci(§44)265 L'esserci-aperto, aprente, scoprente, è nella verità. Ma la certezza si fonda nella verità appartenendole in modo cooriginario. La verità ha un doppio significato, il secondo derivante dal primo. Originariamente la verità caratterizza l'essere aprente come comportamento dell'esserci,e poi denota l'esser-scoperto-del-ente. Analogamente la certezza può essere intesa come modo d'essere dell'esserci e come l'esserci in quanto certo dell'ente. Un modo della certezza è la persuasione. Nella persuasione l'esserci fa dipendere il rapporto di comprensione con la cosa dalla testimonianza della cosa scoperta(VERA). Il tener-per-vero per dirsi fondato si misura dalla pretesa di verità che esso cerca. E questa muta a seconda del modo d'essere dell'ente da aprire(Scoprire) e dalla direzione dell'aprire. Con la diversità dell'ente e in conformità alla direzione e alla portata dell'aprire mutano verità e certezza. L'esserci quotidiano copre la sua possibilità più propria; Questa tendenza al coprimento conferma la tesi per cui l'esserci in quanto effettivo è nella non verità. La certezza inerente a questo coprimento dell'essere per la morte dev'essere un tener-per-vero (Considerare come vero) inadeguato. La certezza inadeguata mantiene così coperto ciò di cui essa è certa. “Si sa della certezza della morte ma non si è autenticamente certi della propria” e questo perché si dice che la morte verrà certamente ma per ora non ancora” ed è proprio questo ma a contestare alla morte la sua certezza. Si dice che la morte è certa e si dà così all'esserci l'illusione che esso ne sia certo. Il modo in cui tale certezza è così data si manifesta quando l'esserci tenta di “pensare” la morte: Tutti gli uomini muoiono; la morte è incondizionatamente certa, ma la certezza è solo certezza empirica, inferiore a quella apodittica talvolta raggiungibile con la conoscenza teoretica. In questa determinazione critica della “certezza della morte” viene in luce Il disconoscimento caratteristico della quotidianità nei riguardi del modo d'essere dell'esserci e del suo essere per la morte. Tuttavia che il decesso sia certo, essendo un accadimento, solo empiricamente non è decisivo nei riguardi della certezza della morte; Ma fintanto che resta in una tale certezza l'esserci non può rendersi conto della morte nel modo in cui essa è. IL SI NASCONDE ciò che la morte ha di caratteristico: che essa è possibile in ogni attimo. Dunque la certezza si accompagna alla indeterminatezza del suo Quando. L'indeterminatezza viene dall'essere-per-la-morte elusa attribuendole carattere di determinatezza. Il prendersi cura quotidiano mette innanzi alla morte le urgente immediate e le possibilità della quotidianità per rendere determinato il suo carattere d'indeterminatezza. Il coprimento dell'indeterminatezza inquina la certezza e i caratteri più propri della morte: Il suo esser possibile ad ogni attimo, il suo esser certa, il suo essere indeterminata. La delimitazione e analisi della struttura esistenziale dell'essere-per-la-fine è condotta in vista dell'elaborazione d un modo d'essere dell'essere in cui esso, in quanto esserci, possa costituire in tutto Il fatto che l'esserci quotidiano sia già sempre per la propria fine, sia in un costante seppur fuggente confronto con la propria morte mostra che, quella fine, che determina l'essere-un-tutto non si può far coincidere con ciò a cui l'esserci perviene solo con il suo decesso. L'esserci, in quanto esistente per la propria morte è già sempre quel non- ancora estremo di se stesso a cui tutti gli altri sono subordinati. Il problema della totalità dell'esserci sussiste solo se la cura, costituzione fondamentale dell'esserci, si connette alla morte come possibilità estrema dell'esserci. L'essere-per-la-morte si fonda nella CURA. Esistendo per la propria morte l'esserci muore costantemente fin quando non sia pervenuto al proprio decesso. Che significa che muore costantemente? Significa che l'esserci si è già sempre deciso quando al suo essere-per-la- morte. L'elusione quotidiana e deiettiva davanti alla morte è però un essere per la morte inautentico. L'inautenticità caratterizza un modo d'essere in cui l'esserci può e si è già disperso, ma in cui non è necessariamente costretto a farlo. Giacché l'esserci esiste, si determina come quell'ente che è sempre partendo dalla possibilità che esso “ è” e comprende. Può, dunque, l'esserci comprendere autenticamente la sua possibilità più propria, certa, insuperabile, indeterminata? Può mantenersi in un essere-per-la-fine autentico? Per dirsi completa l'interpretazione dell'esser-per-la-fine tale essere-per-la- morte autentico deve essere stato evidenziato e determinato ontologicamente. L'essere per la morte autentico significa una possibilità esistentiva dell'esserci. Questo poter-essere ontico deve, esser possibile ontologicamente. Quali sono le condizioni esistenziali di questa possibilità? PARAGRAFO 53 Progetto esistenziale di un essere-per-la-morte AUTENTICO. Il paragrafo 53 risponde agli interrogativi citati e a quello fondamentale relativo al modo d'essere dell'essere-per-la-fine nella quotidianità. E ci dice, inoltre, in che modo l'esserci può comprendersi nella sua totalità. Il compito è quello di progettare la struttura esistenziale di un essere-per-la- morte autentico, sulla base delle analisi precedenti che ci dicono ciò che un essere-per-la-morte autentico non può essere. Un autentico essere-per-la-morte non può eludere ne coprire la possibilità più propria, certa, incondizionata. Dunque prima di tutto bisogna caratterizzare l'essere-per-la-morte in quanto essere-per-una-possibilità. La morte ha il carattere della possibilità. Tuttavia essere-per-una possibilità, cioè per un possibile, significa mirare ad un possibile in vista della sua realizzazione e dunque prendersene cura. Nel campo dell'utilizzabile s'incontrano SEMPRE possibilità di questo genere. Il mirare ad una possibilità prendendosene cura per la sua realizzazione annulla il carattere della possibilità del possibile stesso rendendolo disponibile. E 'un tipo di analisi guidato dalla visione ambientale preveggente che guarda al possibile come tale per-che-cosa-possibile. L'essere per la morte di cui si discute non può avere il carattere del prendersi cura in vista della realizzazione stessa in quanto la morte non è un possibile utilizzabile ma è una possibilità d'essere dell'esserci. E un prendersi cura siffatto comprenderebbe il SUICIDIO. Ma l'esserci così facendo sottrarrebbe a se stesso la sua possibilità di assumere esistendo l'essere per la morte. Non s'intende dunque né la realizzazione concreta della morte con l'espressione essere-per-la-morte che annienterebbe il carattere di possibilità della “meta-possibilità” che è la morte. L'indifferenza della certezza apodittica (evidente in sé, che non ha bisogno di dimostrazione) Il fatto che l'esser-certo della morte non abbia questo carattere non lo rende inferiore rispetto alla certezza apodittica, ma significa che l'esser certo non rientra nell'evidenzia delle semplici presenze; La certezza che attesta il tener- per-vero riguardante la morte è più originaria, è la certezza circa l'essere-nel- mondo. Essa non richiede un comportamento particolare dell'esserci ma l'esserci nell'autenticità totale della propria esistenza. La possibilità più propria incondizionata, insuperabile, certa, è indeterminata. Nell'anticipazione della morte, indeterminatamente certa, 'esserci si apre a una minaccia costante proveniente dal suo ci; Ogni comprensione è emotivamente situata. La tonalità emotiva porta 'esserci dinanzi all'esser gettato del suo che c'è (che è). La situazione emotiva che tiene aperta e assoluta la minaccia incombente sul se-stessi ed emergente dal più proprio essere dell'esserci è l'angoscia. Nell'angoscia l'esserci si trova di fronte al nulla della possibile impossibilità della propria esistenza- dove ogni particolarità è assorbita da una totalità che però, dandosi, si annienta. L'essere per la morte è essenzialmente angoscia. Ciò che caratterizza l'essere per la morte autentico progettato sul piano esistenziale si può riassumere_ L'anticipazione svela all'esserci la dispersione nel SI STESSO e sottraendolo all'aver cura che si prende cura, lo pone davanti alla possibilità di essere se stesso, in una libertà affrancata dalle illusioni del si, certa di se stessa e piena di angoscia: LA LIBERTA'PER LA MORTE. La definizione dell'anticipazione ha mostrato la possibilità ontologica di un essere-per-la-morte esistentivamente autentico. Tuttavia rimane una possibilità ONTOLOGICA fin ché non è stato rintracciato un poter-essere Ontico che corrisponda a questa possibilità (da parte dell'esserci). La questione dell'essere-un-tutto autentico da parte dell'esserci e della sua costituzione essenziale può esser portata su un adeguato terreno fenomenico solo se potrà attenersi (la questione) a un'autenticità possibile dell'essere dell'esserci, attestata però dall'esserci stesso. Se si scopre un attestazione di questo genere si porrà il problema, da capo, di capire se l'anticipazione della morte ora progettata solo come possibilità ontologica si connetta esistenzialmente con il poter-essere autentico attestato. PARAGRAFO 54 Il problema dell’attestazione di una possibilità esistentiva autentica CONCETTO DI COSCIENZA Ciò che si va cercando è un poter essere autentico dell'esserci che sia attestato dall'esserci stesso nella sua possibilità esistentiva. Noi abbiamo risposto alla domanda relativa al Chi dell'esserci con l'espressione “Se-stesso” L'attestazione di un poter-essere-autentico deve far comprendere un poter-esser-se-stesso-autentico. L'ipseità (io,soggettività)dell'esserci non è un ente-semplicemente-presente ma è una maniera di esistere e per lo più l'esserci(Il chi dell'esserci) non sono Io stesso ma è il Si-stesso L’esser-se-stesso-autentico si determina come una modificazione del SI. In che consiste questa modificazione esistentiva? Perdendosi nel “SI”, all'esserci risulta tutto già sempre deciso circa il poter- essere dell'esserci. Risultano decisi i compiti, le misure, l'urgenza dell'essere-nel-mondo prendente e avente cura. Il “SI” allontana l'esserci dall'afferrare queste possibilità d'essere, ed essendo” tutti e nessuno” il si nasconde la sottrazione che esso compie della scelta esplicita e propria di queste possibilità. Dunque, questo “non scelto” coinvolgimento nel nessuno, in virtù del quale l'esserci è nell'inautentcità può essere eliminato solo dell'esserci si riprende dalla dispersione nel si. Questo retrocedere per riprendersi -la modificazione del si-stesso in autentico se-stesso, deve aver luogo come recupero della scelta sottratta. Tuttavia l'esserci si è già perso nel “SI” deve ritrovarsi e per potersi ritrovare deve esser mostrato a se stesso nella sua autenticità possibile: La testimonianza di quell'autenticità che dev'essere già sempre possibile affinché l'esserci si rapporti a se stesso e alle proprie possibilità in maniera autentica è data da un fenomeno che Heidegger chiama “voce della coscienza”. E' Necessario operare un recupero, da parte dell'esserci, un recupero della sua capacità di scelta. L'esserci deve scegliere di scegliere sottraendosi al SI; Solo nello” Scegliere la scelta” l'esserci può essere il suo più proprio (autentico) poter-essere. L'analisi ontologica della coscienza precede ogni descrizione psicologica delle esperienze vissute, è estranea ad ogni spiegazione biologica nonché da ogni assunzione del fenomeno in virtù della dimostrazione dell'esistenza di dio o di una coscienza immediata di dio. Questo fenomeno (la coscienza) è un fenomeno dell'esserci e si dà a conoscere sempre e sono con l'esistenza e nell'esistenza stessa. Il fatto della coscienza in quanto tale non si lascia sottoporre a prove che ne mostrino la fatticità, né sente il bisogno di “una prova empirico – deduttiva”. La coscienza apre, dà a comprendere qualcosa e questa caratteristica indica che la coscienza dev'essere ricondotta all'apertura dell'esserci, che è costituita dalla situazione emotiva, comprensione, deiezione, discorso. Un'analisi più approfondita della coscienza la rivela una Chiamata; Il chiamare è un modo del discorso. La chiamata della coscienza ha il carattere del richiamo dell'esserci al suo più proprio poter-essere e nel modo del risveglio al suo più proprio essere-in-colpa. Quest'interpretazione è lontana dalla comprensione Ontica nonostante faccia emergere i fondamenti ontologici di ciò che l'interpretazione della coscienza ordinaria ha già sempre compreso e realizzato concettualmente (Teoria della coscienza). Si deve chiarire attraverso l'interpretazione esistenziale il fenomeno e capire in che modo esso attesti un poter-essere autentico dell'esserci. PARAGRAFO 55 I fondamenti ontologico-esistenziali della Coscienza. La coscienza come già detto “Apre” ed in quanto tale fa parte dei fenomeni che strutturalmente costituiscono il “Ci” Dell'esserci, ovvero la sua apertura: La Situazione emotiva (il sentirsi situato) La comprensione, Il discorso. La collocazione della coscienza è funzionale sia ad un ampliamento dell'analisi DEL CI (dell'apertura) e di una rielaborazione dell'analisi stessa più originaria in virtù dell'essere autentico dell'esserci. In virtù della sua apertura l'esserci è sempre nella possibilità di essere il suo CI. In quanto essere nel mondo l'esserci c'è per se stesso e in modo tale da aver aperto il suo poter-essere a partire dal mondo di cui si prende cura Il poter essere a cui l'esserci si è già sempre abbandonato ha aperte determinate possibilità, ciò perchè l'esserci è un ente(progetto)-gettato il cui esser gettato è reso chiaro dal sentirsi situato (attraverso le affezioni proprie di tale modalità l'esserci sperimenta già da sempre la totalità dei rimandi – appagatività- dell'essere nel mondo). Ricordo che a partire dalla chiarificazione del concetto di COMPRENSIONE Si ha chiaro un tale fenomeno. Comprensione è letteralmente tradotta dal tedesco Konnen ”potere” e signfica qui- se ci si chiede quale sapere apra la comprensione- poter fare qualcosa. L'esserci è quell'ente in grado di realizzare le proprie possibilità e si configura dunque come poter-essere. L'esserci (facendo parte cooriginariamente alla situazione emotiva, la comprensione) Sa” l'affar suo”nei propri riguardi, essendosi progettato in possibilità che esso, immedesimato nel si, ha anticipato a se stesso assumendole dallo stato interpretativo pubblico del SI-STESSO! L'esserci essendo con-essere, può stare a sentire gli altri. Tuttavia l'esserci deve essere sottratto da un tale stato di perdizione, perso nella pubblicità del “SI” e nelle sue chiacchiere l'esserci non sente più il proprio se-stesso, perso nel dar retta al si-stesso. Affinché possa essere sottratto a tale perdizione che non fa sentire il-si stesso, per poter ritrovare quel-se stesso che ha trascurato, questo dare ascolto deve essere interrotto! PARAGRAFO 57 La coscienza come chiamata della Cura. Analizzando il termine coscienza (Gewissen) come già fatto in precedenza, esso non viene usato così come nella corrente lingua tedesca, nei termini di una “Coscienza morale” che può essere “ sporca” “buona” o “cattiva”. Gewissen diventa in Heidegger l'espressione di una modalità di apertura che si collega ad un comportamento da attuare o che si è già attuato (ovvero il rapporto dell'esserci con sé stesso). L'esserci si è già sempre disperso nella dimensione della quotidianità, del “Si”. Dunque, esso risulta coinvolto nella dimensione del “si dice” e dà ascolto alla chiacchiera risultando chiuso nei confronti del proprio Sé stesso. La coscienza ha dunque la funzione di destare (svegliare) e richiamare l'esserci riportandolo a sé stesso, assumendo talvolta le sembianze di un “Urto” rispetto alle abitudini consolidate dell'esserci. Il modo in cui ciò avviene è attraverso una chiamata, una voce da intendersi in maniera ontologica: Questa voce si caratterizza anzitutto in maniera paradossale, come silenziosa. Si è caratterizzata la chiamata come un modo del discorso ed in quest'ottica bisogna domandarsi, in ordine: Che cos'è ciò di cui si parla nella chiamata? Chi è chiamato da un tale richiamo? A che cosa, questi, viene richiamato? E che cosa viene detto in una siffatta chiamata? Anzitutto è all'esserci che una tale chiamata si rivolge, ed è dell'esserci che in essa si parla. L'esserci è sorpreso dalla chiamata nei suoi modi d'essere quotidiano, forme del “SI” Muovendo da esse e in virtù di quel richiamo l'esserci è ricondotto innanzi al suo più proprio sé stesso. Il sé che la coscienza scopre non è oggetto di qualcosa conoscenza né si parla di un analisi introspettivo. E' Piuttosto ciò nel cui rapporto l'esserci attua se stesso, l'esserci “diviene ciò che è” non attraverso dei “comandi” esplicito attraverso uno specifico contenuto, ordine da realizzare; Ma solo attraverso la voce silenziosa (Chiamata della coscienza) Cosa è detto in una siffatta chiamata? Niente. La chiamata non dice propriamente nulla che possa essere espresso nella comunicazione verbale. Non comanda qualcosa di determinato (Com'era per l'imperativo categorico in Kant) ma il suo stesso parlare si attua al modo del tacere. Il silenzio stesso “dice” cioè risulta espressivo, ed è sintomo di un disagio. Dice in sintesi che non ogni rapporto deve essere pensato nei termini di una “oggettivazione”(espressione in forma concreta di stati d'animo o pensieri) che domina le relazioni quotidiane. Come però si manifesta una tale voce? Chi è a chiamare? È l'esserci che chiama, risulta così essere il chiamante e il chiamato. Ma Heidegger insistendo sulla comune identità tra i due si sofferma sulla loro radicale differenza: La chiamata proviene da me e tuttavia da sopra di me: non però come la manifestazione di una potenza divina. Abbiamo dunque detto che chiamato è l'esserci dispero nelle forme del Si, ed è esso stesso ad avvertire una tale dispersione nel suo sentirsi situato, con un senso di spaesamento e di estraneità; ed è proprio l'esserci in quanto spaesato, nella sua “ Unheimlichkeit”( Sensazione di angoscia particolare definita perturbamento; In psicanalisi e in particolare da Freud è definito come un “Accesso all'antica patria” a quel luogo lontano dall'essere quello familiare cui ogni uomo è stato (grembo materno). E' Definito Unheimlich ciò che a un tempo fu patrio e familiare, il prefisso Un designa una negazione interna, una rimozione e dunque l'insorgere del perturbante insorge quando il rimosso torna a ridestare complessi infantili rimossi.) Ed è in una tale Spaesatezza ciò da cui proviene, ciò in cui trova espressione la “chiamata della coscienza” dal non sentirsi mai a casa propria (Unheimlichkeit) proprio dell'esserci (più propriamente del suo esser-gettato già in un mondo) La chiamata si manifesta primariamente come chiamata della cura. L'esserci è dunque colui che chiama nella misura in cui si trova gettato nello spaesamento angoscioso difronte al suo poter-essere. L'esserci, colto nel suo decadimento (Il moto proprio dell'esserci è quello della caduta; decadere. L'esserci è “dejetto” è colui che è chiamato ad assumersi e attuarsi nel suo più proprio esser-finito. Però resta da chiarire: Cosa dà a comprendere la chiamata? PARAGRAFO 58 Comprensione del richiamo e colpa Da Fabris: Risulta necessario un chiarimento del termine qui usato da Heidegger: Il termine Schuld nel tedesco corrente significa: Colpa, obbligazione, debito, l'essere “causa responsabile” di qualche evento; Heidegger carica di una precisa valenza ontologica il termine, il risultato della trasformazione consiste nell ' intendere la COLPA nel contesto di Sein Und Zeit non può come “conseguenza di un agire” o in rapporto ad una “ responsabilità di qualche tipo” ma nei termini di una condizione, di uno stato. Heidegger nel §58 critica quei sensi della “colpa” e del” debito” che possono essere associati ad un comportamento di cui si può parlare nei termini di un concreto “rendersi colpevole”. Viene inoltre ribadita la scarsa chiarezza ontologica della nozione di “colpa morale” ed è rigettata ogni interpretazione della colpa a partire dalla logica “del prendersi cura” Questa non può essere l'ottica per una adeguata comprensione di questi fenomeni ma lo stesso riferimento all'ambito del dovere e della legge, violando i quali s'incorrerebbe in una colpa, non consente di cogliere la Schuld nella sua specificità. In che modo può essere preventivamente definita la nozione di colpevolezza? Esser colpevole significa essere strutturalmente attraversati da un non; Si tratta di un non che non sta a esprimere una “manchevolezza” si tratta di un non che è espressione di una negatività originaria, esistenziale! Non va confuso con l non della logica formale trasformatosi in negazione e reso qualcosa di utilizzabile, né va confuso con il non della dialettica Hegeliana ( Inteso come espressione di una negazione determinata, come passaggio). Tenendo conto di questo, e assumendolo in una prospettiva esistenzale ,” colpevole” significa esser : "Colpevole" significa "essere fondamento di un essere che è determinato da un non, cioè essere fondamento di una nullità. Da ciò risulta definitivo l'allontanamento da concezioni che intendevano la “colpevolezza” come conseguenza d un azione colpevole (trasgressiva nei confronti della legge) L'esserci risulta strutturalmente attraversato da una negatività e dunque colpevole nel suo stesso essere e NON sulla base o in conseguenza a determinate azioni. L'esser colpevole non deriva dunque da una qualche mancanza commessa, ma questa,è possibile solo sulla base di un tale esser colpevole originario. Resta da chiarire come siano esistenzialmente possibili e cosa significhino Nullità e colpa. L'esserci non può essere il fondamento del suo essere; L'esserci è gettato ed in quanto tale non ha potere sul suo essere più proprio! Ecco che è possibile definire la risolutezza Nei termini di un autoprogettarsi dell'esserci: Un autoprogettarsi tacito e disposto all'angoscia, il quale si attua nell'assunzione del più proprio poter esser colpevole da parte di quest'ente. L'esserci non si appropria solo di se stesso ma è anche in grado di rapportarsi autenticamente agli enti intramondani e agli altri esserci. Troviamo qui la manifestazione concreta di ciò che H nel par.54 aveva chiamato la “scelta della scelta” : la risolutezza proprio perché è Scegliere di scegliere, consente un distacco dal mondo del SI e la sua Messa in giudizio. L'esserci, in seguito a ciò, diviene davvero “libero” per il suo mondo: Libero di relazionarsi ad esso senza lasciarsi assorbire dalle incombenze del Si. La “decisione, così traduce chiodi” per se stesso pone l'esserci nella condizione di lasciare essere gli altri che ci-sono-con nel loro poter-essere più proprio e di con-aprire questo poter essere nell'aver cura preveniente-liberante. Il carattere autoreferenziale di un tale fenomeno, il ripiegarsi su se stessa della risolutezza, emerge anche nel fatto che non vi è in alcun modo qualcosa a cui la risolutezza si risolve. Da questo punto di vista (Ontico esistentivo) la risolutezza risulta indeterminata. Una tale indeterminatezza sta a conferma del fatto che questo atteggiamento si rapporta originariamente a sé: Ciò a cui esso si risolve non è altro che la risolutezza stessa. Ma ciò significa che l'esserci, scegliendo di scegliere, risolvendosi ad essere risoluto, si rivela principio autonomo del proprio agire, patire? Ciò sarebbe in contrasto con il suo esser-gettato; Ma l'espressione gettato significa che l'esserci si trova già sempre aperto nella risolutezza, collocato in essa. L'essere nel mondo è anzi tutto spazialità caratterizzata dai fenomeni del Dis- allontanamento e dell'Orientamento Direttivo. L'esserci” ordina nello spazio” in quanto esiste effettivamente. A questa collocazione preliminare (questo potersi risolvere a tutto, anche alla risolutezza stessa senza però esser mai in grado di dare origine ad un tale risolversi dato che esso è già sempre all'opera di ogni nostra risoluzione) Heidegger dà il nome di “Situazione”. Come la spazialità del Ci si fonda nella sua apertura così la situazione si fonda nella decisione (o risolutezza) La situazione è il Ci di volta in volta aperto nella decisione(aver-coscienza/risoluzione) quel Ci secondo il quale l'ente che esiste è qui. La situazione non è un telaio, ossatura,struttura semplicemente-presente in cui l'esserci si trova o si installa. La situazione è ben lontana dall'essere un insieme di circostanze o accidenti (fatto riconducibile all'ambito dell'imprevedibilità, del contingente) che capitano. La situazione è solo in virtù della decisione e in essa; Solo all'esserci che ha deciso per quel CI che il se-stesso ha da essere esistendo si apre il carattere di Appagatività che è proprio delle circostanze nella loro effettività; Solo alla decisione possono accadere, nel mondo ambiente e pubblico quelli che chiamiamo “accidenti”. Al si la situazione è preclusa, esso conosce soltanto la situazione generale, si perde negli accidenti che considera e spaccia come opera sua. La decisione porta l'essere del Ci nell'esistenza della sua situazione; La decisione(risolutezza) definisce la struttura esistenziale del poter-essere autentico attestato dalla coscienza, DEL VOLER AVER COSCIENZA. In esso abbiamo riconosciuto la corretta comprensione del richiamo. La chiamata della coscienza, risvegliando al poter-essere, non sveglia un vuoto “ideale” ma chiama innanzi dentro la situazione. L'interpretazione della comprensione del richiamo come decisione svela la coscienza come quel “ modo d'essere , rientrante nel fondamento dell'esserci, in virtù del quale l'esserci rende possibile a se stesso la sua esistenza effettiva(effettività=esser gettati),attestando il poter essere più proprio”. Dunque, finora con le analisi dell'essere-per-la-morte , della coscienza della colpa e della risolutezza sono state individuate le condizioni di possibilità in virtù delle quali l'esserci può rapportarsi autenticamente a sé stesso. L'idea di autenticità ora non appare come qualcosa di vuoto, né appaiono incomprensibili le motivazioni che possono spingere l'esserci a contrastare la sua tendenza a “perdersi” Inoltre, con l'introduzione della tematica della risolutezza è meglio definita anche la via che l'esserci deve seguire per cogliersi e realizzarsi nei modi che lo caratterizzano autenticamente. E' necessario esaminare ancora, come si attua la risolutezza dell'esserci in quanto apertura di sé nella propria finitezza. Bisogna individuare il collegamento tra il fenomeno della risolutezza e quello dell'essere-per-la-morte per approfondire l'essere dell'esserci nel suo senso e poter articolare la nozione di temporalità. Risolutezza: Carattere di chi, di ciò che è risoluto, pronto, deciso nel fare, nel volere qualcosa ; Assunzione da parte dell'esserci della propria finitezza. Si tratta di decidersi, esistendo, per la propria esistenza dal momento che l'esserci non ha un esistenza già predisposta: L'essenza dell'esserci in quanto esistenza è un continuo esser provocato dalla decisione, cioè dall'esistere; La decisione è un modo d'essere e una possibilità che l'esserci mette in atto quando ascolta la chiamata della coscienza e si fa carico della decisione intorno al proprio essere , risolvendosi a essere se stesso. Si traduce con risolutezza per intendere che non si tratta di un “atto” ma piuttosto di un “abito”( comportamento, modo d'essere) è una modalità dell'apertura dell'esserci. Per apertura (Erschlossenheit) s'intende il carattere costitutivo per il quale l'esserci si apre a tutto ciò che è , al mondo e a sé stesso , nel senso che esso al contempo è aperto e aprente : l'esserci è intrinsecamente un “ esporsi al mondo” e dunque un “ essere nel mondo”. SECONDA PARTE CAPITOLO TERZO IL POTER-ESSERE-UN-TUTTO AUTENTICO DA PARTE DELL’ESSERCI PARAGRAFI 61-62-63-64 PARAGRAFO 61 L'analisi del fenomeno (poter-essere-un-tutto autentico da parte dell'esserci) Ha chiarito l'essere per la morte autentico come anticipazione della possibilità. Il poter-essere-autentico è stato presentato come decisione (o risolutezza) e interpretato in senso esistenziale.
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