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Estetica del Cinema e dei Media APPUNTI DEL CORSO, Appunti di Estetica del Cinema

Appunti del corso di Estetica del cinema e dei media, comprende appunti su Stanley Kubrick; James Naremore, Su Kubrick (2009) e Michel Chion, analisi di “2001: Odissea nello spazio”

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 12/12/2020

AriannaTempone
AriannaTempone 🇮🇹

4.5

(13)

43 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Estetica del Cinema e dei Media APPUNTI DEL CORSO e più Appunti in PDF di Estetica del Cinema solo su Docsity! di 1 55 ESTETICA DEL CINEMA E DEI MEDIA LEZIONE #1 7 ott Origini dell’estetica -> branca della filosofia e termine usato per la prima volta da Baumgarten nel 1750 circa “ahestetica est scientia cognitionis sensitivae” l’estetica è la scienza della conoscenza sensibile PRIMA si occupava della conoscenza attraverso i sensi POI è stata ritenuta teoria dell’arte Cos’è un medium? -Antonio Somaini Porta l’esempio di Paul Valery che si focalizzò su come siano state trasformate le forme della produzione e della ricezione dell’arte concentrandosi soprattutto sella fotografia (il visibile) e il grammofono (l’acustico). Si fa quindi riferimento alle tecnologie degli anni 20 che modificano il concetto di arte. Il discorso si estende a un’analisi della relazione tra media ed esperienza sensibile in generale. *Il telefono modifica la nostra percezione dello spazio e del tempo, è un medium a tutti glie effetti anche se non ha a che fare con l’arte. Possiamo considerare “medium” qualsiasi strumento che dà forma all’esperienza sensoriale, configurandola, rendendola condivisibile, comunicabile e trasmissibile. “Laocoonte e i suoi figli” 20-40 a.C. Con la sentenza pseudo-aristotelica dell’ut-pictura-poesis (la poesia come la pittura) si sosteneva che la pittura fosse come la poesia e che, di conseguenza, le arti figurative dipendessero dalle stesse regole della poetica. Se l’artista avesse rappresentato le braccia chiuse, strette al corpo, l’intero gruppo scultoreo avrebbe trasmesso freddezza e morte. Quelle scolpite sono delle mani impegnate al massimo per difender il corpo di un uomo laddove il dolore è più forte. Altrimenti se avessero fatto avvinghiare le spire del serpente intorno al collo del Laocoonte avrebbero perso quell’equilibrio di proporzioni che rende il gruppo piacevolmente osservabile. Perciò le spire sono per lo più concentrate sulle gambe e sui fianchi, suscitando così l’idea di una fuga impedita per via dell’immobilità delle gambe. Lessing sostiene che mentre la poesia espone i fatti in successione e quindi descrive un azione in movimento, l’arte figurativa deve rappresentare un unico momento fissato in qualcosa di statico. Il Laocoonte cerca di superare i limiti della scultura, riproducendo il movimento. La scultura è per Lessing arte dello spazio e non del tempo, in quanto non può riprodurre un movimento ma lo può soltanto suggerire. La scultura è statica -> “movimento raggelato in un gesto istantaneo” di 2 55 ARTI DELLO SPAZIO -> architettura, pittura e scultura (o arti plastiche) * l’essenza dell’arte risiede nei materiali utilizzati La scultura risponde anche a criteri estetici. La disarmonia e la bruttezza nell’arte figurativa non sono ammesse perché ostacola il cammino dell’arte verso la bellezza. ARTI DEL TEMPO -> musica, poesia e danza Nella poesia invece, la rappresentazione del brutto è concesso perché il suo scopo è la compassione. Una compassione frutto di un contrasto tra due sentimenti misti: la repulsione e il piacere. CANUDO Il merito di aver aperto una prima fondamentale prospettiva teorica viene generalmente attribuito a Ricciotto Canudo, giornalista e scrittore. È spesso considerato il primo intellettuale a compiere un pensiero critico e sistematico sul cinema, per cui coniò il termine "settima Arte”, in quanto è sintesi di spazio e tempo. 1911 -> “Manifesto delle sette arti”, il primo scritto a rivendicare esplicitamente per il cinema un posto tra le arti 1921 -> "La nascita della settima arte” in cui previde che il cinema avrebbe unito in sintesi le arti dello spazio e del tempo: il cinema, si configura come "nuovo mezzo di espressione", "officina delle immagini", "scrittura di luce". Spesso si fa confusione tra cinema e teatro, ma il teatro ha realizzato questa sintesi in modo effimero e non poteva essere considerato tra le grandi arti. «Al cinematografo tutto è fatto per mantenere l’attenzione tesa, quasi sospesa, per non allentare la morsa con cui la mente dello spettatore è inchiodata allo schermo animato. Il gesto celere, che si afferma qui con una precisione mostruosa, come su un orologio a figure, esalta il pubblico moderno abituato a vivere sempre più velocemente possibile. La vita ʽʽrealeʼʼ è dunque rappresentata nella sua quintessenza, stilizzata nella rapidità». di 5 55 Se la prende con i cinematografari dell’epoca che non sanno cos’è la fotogenia, per loro è qualcosa di grazioso, la proprietà del volto di un attore o di un’attrice. “Se si continua a volere il grazioso si otterrà il brutto” Si tende ad apprezzare un attore fotogenico e non un attore fotogenico di talento. “Non ho mai visto un solo film francese di una completa bellezza fotografica. Il fatto è che si crede di trovare la bellezza nella complicazione, quando essa è così nuda. Di qui l’aria falsa di tutti i nostri film” “La fotogenia è l’accordo tra il cinema e la fotografia!” Questo perché secondo lui sono due cose separate “Ma come far capire che una buona fotografia cinematografica è proprio quella che non ha un aspetto artistico?” Jean Epstein, Bonjour cinéma (1921) Si formò nello stesso periodo, parte della stessa ondata, intellettuale che si è espresso attraverso saggi sul cinema e che poi sarebbe diventato un regista. Libretto che aveva a che fare con la riflessione teorica di Epstein sulla fotogenia e sul cinema. Formazione filosofica e visionario. Anche se appartiene allo stesso clima culturale di Delluc, i due sono molto diversi: Delluc —> ha raccolto in volume interventi critici di riviste e giocarlki Epstein —> scrittore, poeta, poco polemico, metafore ardite FILM Jean Epstein, Coeur Fidèle 1923 Ambientazione simile —> bar mal frequentati, porto Primi piani, attenzione al dettaglio, fino ad arrivare al campo totale Montaggio veloce, come aspetto ritmico (durante la rissa) Trovatella che lavora nel bar con lo sguardo perso mentre serve ai tavoli, diversa dalla donna seduta Per intensificare l’spressività decide di ambientare una sequenza su una giostra: i sentimenti della donna appaiono come tumulto e ritmo visivo Jean Epstein, Essenza del cinema e fotogenia Secondo lui esiste l’emozione cinematografica, il cinema non p altro che un’arte imprevista. Le “Mysteres de New York” è un racconto seriale che ha elementi eccessivi di avventure di tipo popolare, di melodramma, di basso livello -> segna un’epoca, uno stile, una cultura non più a gas. “Il cinema è vero, una storia è menzogna. Non ci sono storie. Ci sono situazioni, senza capo né coda, senza principio, senza mezzo e senza fine” di 6 55 Il melodramma ci può essere ma non è ciò che conta, lui realizza dei grandi melodrammi ma non è tutto nella trama ciò che si gioca, la trama è solo l’occasione per far emergere situazioni fotogeniche. La bellezza fotogenica è così forte da farci dimenticare la storia. Anche Epstein, come Delluc, non definisce il termine fotogenia, è un gusto delle cose, sono immagini che tengono a sfuggire al linguaggio. Il cinema è psichico, distillato due volte, mondo prima guardato dalla macchina e poi da noi. “Il primo piano è l’anima del cinema” La sceneggiatura è mille volte più minuziosa di quella dei miglior film americani, la sceneggiatura non adatta ci fa perdere la bellezza cinematografica. La bellezza è il viso che sta per sorridere e non il riso in sé, la fotogenia non ammette immobilità, ma movimento, si coniuga al futuro e all’imperativo. Ecco perché il primo piano è l’espressione massima della fotogenia. L’enfasi sul primo piano come specificità espressiva propriamente cinematografica —> il primo piano aiuta a percepire le minime mimiche che portano a uno stato d’animo “Amo ai primi piani americani” Il paesaggio può essere uno stato d’animo, il cinema interpreta il dinamismo del mondo moderno con i mezzi di trasporto ad esempio. Epstein intende anche il paesaggio come volto, un tutto fatto di piccoli movimenti. “Vorrei un dramma a bordo di una giostra con i cavalli di legno” *sequenza della giostra di “Coeur Fidèle” di 7 55 LEZIONE #3 14 ott Il primo piano —> qualunque oggetto ingrandito Restituisce agli spettatori un’intimità con ciò che rappresenta “Il primo piano modifica il dramma grazie all’impressione di prossimità. Il dolore è vicino. Se allungo il braccio ti tocco, intimità. Conto le ciglia di quella sofferenza. Potrei sentire il gusto delle sue lacrime.” DIFFERENZA QUALITATIVA —> L’esperienza non è più soltanto visiva, ma anche tattile. Gli stati d’animo diventano osservabili, si percepisce una sofferenza concreta e non astratta (primi piani di “Coeur Fidèle”). “Il cinema crea davvero uno stato di coscienza particolare, a senso unico.” Epstein riconosce il potere del cinema, che diventa una specie di bisogno come il tabacco o il caffè. Come se creasse dipendenza, notiamo che quello che vediamo manca nella realtà e quindi ritorniamo sul cinema. In Delluk la fotogenia si dirige sul documentario. Per Epstein la fotogenia porta una differenza qualitativa rispetto alla vita quotidiana. L’arte vuole far presa sul pubblico dovrà stupire sempre più, cercare il sensazionalismo in grado di portare nuove forme espressive in competizione con il cinema. Tutto ciò aiuta il cinema a smorzare le sensazioni “teatrali” e di qualsiasi altra forma espressiva. “Il giostraio per continuare ad incassare deve perfezionare le vertigini; l’artista, stupire e commuovere.” Il cinema ci porta su un’altra dimensione, l’esperienza cinematografica è una sorta di estasi. Lo spettatore non pensa di essere al cinema, ma di stare in contatto con un’altra realtà molto concreta. “Non ci saranno più attori ma uomini scrupolosamente vivi. Sullo schermo sono tutti nudi, ma di una nudità nuova. Il cinema è mistico. Il cinema nomina, ma visivamente, le cose, e io, spettatore, non dubito nemmeno un istante della loro esistenza.” FILM “Jean Epstein, La Chute de la Maison Usher” - Extrait 1 Il personaggio sordo diventa il personaggio non sintonizzato con l’ambiente, al contrario di Roderic. Uno dei primi capolavori che riesce a diventare espressivo con l’utilizzo di un immaginario gotico. Restituire un’atmosfera e uno stato d’animo attraverso le immagini. di 10 55 LEZIONE #4 16 ott Il futurismo Vertov, Münsterberg Due manifesti importanti: Filippo Tommaso Marinetti, "Il teatro di varietà” (1913) Marinetti, Corra, Settimelli, Ginna, Balla, Chiti, “La cinematografia futurista” (1916) * I manifesti avevano forma diversa dalle recensioni o dai saggi. I manifesti erano testi brevi, composti da frasi numerate brevi, incisive, che potevano fare un utilizzo espressivo della tipografia. Filippo Tommaso Marinetti, Il teatro di varietà (1913) Marinetti capisce Cher per veicolare una nuova sensibilità serviva: 1) sperimentazione formale dei linguaggi e reinvenzione delle forme espressive 2) intenzioni e ambizione politica delle avanguardie con impatto sulla società Grazie all’avvento di questa nuova sensibilità anche la distinzione tra cultura alta (d’élite) e bassa (popolare) comincia ad affievolirsi. In generale il teatro di varietà era considerata una forma deteriore, popolare, volgarizzata, di spettacolo teatrale. Oltre ad essere una forma di intrattenimento popolare e vivace, il teatro di varietà interessa a Marinetti perché è una forma di spettacolo che interpreta bene la nuova sensibilità elettrica: “Il teatro di varietà, nato con noi dall’elettricità non ha fortunatamente tradizione alcuna, né mastri, né dogmi, e si nutre di attualità veloce.” “La sensibilità elettrica” —> la diffusione dell’elettricità era la base per al nuova sensibilità del tempo A Marinetti interessa il dinamismo —> il teatro di varietà è il solo che utilizza il cinematografo con un numero incalcolabile di visioni e di spettacoli irrealizzabili (tumulti, corre, circuiti di automobili…) *Il teatro di varietà faceva uso anche delle nuove tecnologie dell’epoca e a quel tempo era il cinematografo. “Il teatro di varietà è oggi il crogiuòlo in cui ribolliscono gli elementi di una sensibilità nuova che si prepara.” Il teatro di varietà è il solo che utilizzi la collaborazione del pubblico che partecipa rumorosamente all’azione che avviene sul palcoscenico, palchi e platea. ANTI PSICOLOGISMO: alla psicologia oppone la fisicofollia. “Mentre il teatro attuale esalta la vita interna, la psicologia, il tetra di varietà esalta l’azione, l’eroismo, la fisicofollia” di 11 55 Il manifesto sulla cinematografia si apre con una riflessione sull’arretratezza del libro: “Il libro, mezzo assolutamente passatista di conservare e comunicare il pensiero, era da molto tempo destinato a scomparire come le cattedrali, le torri ecc… il libro, statico compagno dei sedentari, dei nostalgici e dei neutralisti, non può divertire né esaltare le nuove generazioni futuriste ebbre di dinamismo rivoluzionario e bellicoso” Il libro è uno strumento che ormai interpreta il passato e non il presente, utile solo per la propaganda. Il cinematografo sostituisce la rivista, il dramma e uccide il libro. Il cinematografo non è futurista perché è nato come teatro senza parole e ha ereditato tutte le più tradizionali spazzature del teatro letterario. “Il cinematografo futurista che noi prepariamo, deformazione gioconda dell’universo, diventerà la migliore scuola per i ragazzi.” “Il cinematografo futurista acutizzerà, svilupperà la sensibilità, velocizzerà l’immaginazione creatrice, darà all’intelligenza un prodigioso senso di simultaneità e di onnipotenza.” Marinetti vede nel cinematografo la possibilità di un’arte futurista e adatta alla plurisensibilità futurista. “Occorre liberare il cinematografo come mezzo di espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte immensamente più basta e più agile di tutte quelle esistenti” Deve essere la sintesi nuova di tutte le forme espressive già rinnovate dal futurismo. Non si parla di letteratura mia di parole in libertà. I film saranno: 1) Analogie cinematografate 2) Poemi, discorsi, poesie cinematografate 3) Simultaneità e compenetrazioni di tempi e luoghi diversi cinematografate 4) Ricerche musicali cinematografate 5) Drammi d’oggetti cinematografati 6) Congressi, flirts, risse e matrimoni di smorfie, mimiche ecc cinematografati 7) Ricostruzioni irreali del corpo umano cinematografate 8) Equivalenze lineari, plastiche, cromatiche ecc. PITTURA + SCULTURA + DINAMISMO PLASTICO +PAROLE IN LIBERTA’ + INTONARUMORI + ARCHITETTURA + TEATRO SINTETICO = CINEMATOGRAFIA FUTURISTA “Scomponiamo e ricomponiamo così l’universo secondo i nostri meravigliosi capricci, per centuplicare la potenza del genio creatore italiano e il suo predomini assoluto nel mondo.” di 12 55 Vertov, Noi (1922) Vertov, I kinoki. Un rivolgimento (1923) Il futurismo russo correva parallelo a quello italiano. In Vertov ritroviamo la stessa sensibilità e la stessa attitudine a realizzare film e a esprimersi attraverso manifesti. Questi sono due manifesti scritti da Vertov e firmati dai Kinoki —> gruppo di tre persone (regista, montatrice e operatore). Il tema della mescolanza tra la visione umana e quella della macchina che crea una propria forma di percezione di verità diverse è ampiamente sviluppato. 🎥 Vertov, “L’uomo con la macchina da presa” 1929 - presa in giro di no spettacolo tradizionale - operatore che va in giro - sovrimpressione di inquadrature diverse - continuo riferimento tra schermo e spettatori e sullo schermo mette in relazione lavoratori e macchine - con il cinema l’operatore diventa un gigante che riprende dall’alto - adotta con la macchina svariati punti vista, come le ruote del treno, o dell’aereo che vede dall’altro - non era comune piazzare la cinepresa in luoghi così estranei dalla vita umana Il film ci parla quindi del potenziamento percettivo che il cinematografo portava con sé. Per Vertov era importante la reinvenzione del cinema e i due manifesti in questione anticipano “L’uomo con la macchina da presa” e sono in linea con i suoi film precedenti, I kinoki vogliono distinguersi dai cineasti —> profondamente disprezzati per ragioni commerciali ed espressive Prediligono la successione delle immagini, i primi piani ringraziando gli americani per questi elementi “il film americano e studiando rigorosamente il movimento, tralasciato dal cinema americano —> va bene, meglio di quello italiano, ma no ci basta” “NOI dichiariamo che il futuro dell’arte cinematografica è la negazione del duo presente. NOI lanciamo un appello per affrettare la morte. NOI epuriamo il kinokismo dagli intrusi: musica, letteratura e teatro, cerchiamo il nostro ritmo senza rubarlo a nessuno e lo troviamo nei movimenti delle cose e no più delle persone.” Vertov è il principale interprete della visione in senso cyborg. Lo psicologismo blocca l’uomo ad essere preciso in senso scientifico, quindi va escluso e l’uomo pene la sua centralità. Ciò che è dentro l’animo umano non interessa più. Ecco perché al cinedramma si preferisce il cinema d’azione americano. dinamismo vita quotidiana dinamismo città di 15 55 Dopo aver visto “Neptune’s Daughter” di H. Brenon (1914), in quel tempo erano diffusi film fantastici di ambientazione marittima, che sollecitavano l’immaginazione degli spettatori e i proprio desideri, recitare nudi o in bikini era un’ulteriore attrattiva, ha capito che il cinema è un fenomeno potente e che il suo essere intellettuale gli aveva impedito di apprezzare pienamente. Estratto da un testo del 1915 che anticipa i contenuti del libro del 1916 e nel quale parla in prima persona della propria attrazione per il cinema —> “why we go to the movies?” cerca di capire perché noi andiamo al cinema, qual è il piacere che il cinema ci sollecita “Posso con franchezza confessare che ero uno di quelli snob, ultima arrivati, fino a un anno fa non avevo mai visto un film, sebbene sono sempre stato uno spettatore appassionato di teatro, ritengo indegno per un professore dell’Università di Harvard andare a vedere uno spettacolo cinematografico, così come non sono mai andato mai a vedere uno spettacolo di varietà o a visitare un museo delle cere…” Il cinematografo non era degno di un professore di Harvard perché era un tipo di spettacolo volgare, banale, non artistico. “…lo scorso anno (1914) io e un mio amico ci siamo azzardati a vedere il film “Neptune’s Daughter” e la mia conversione fu immediata. Mi accorsi subito che erano aperte eccezionali possibilità e cominciai ad esplorare con impazienza quel mondo che per me era nuovo.” Da lì diventa un cinefilo, vede quanti più film riesce e scrive che la figura del professore di Harvard, per il quale non era nemmeno dignitoso andare al cinema, sparisce. “Mi sono accalcato con la folla per vedere Anita Stuart, Mary Pickford, Chaplin, ho vistato la Pathé, la Paramount, ho letto libri su come scrivere sceneggiature e finalmente ho cominciato a sperimentare da me.” Non è più l’intellettuale che guarda con sdegno, ma si accalca per vedere i grandi divi. 1915 —> cerca di capire in che modo e perché il film riusciva ad aver una tale presa sugli spettatori. 1916 —> “Il film. Uno studio psicologico” Uno dei primi studi sistematici dedicati al cinema di taglio psicologico, un vero studio scientifico. Contrario al manifesto d’avanguardia e mirato a capire come funziona il cinema, muore poco dopo la pubblicazione del libro, aveva incominciato due anni prima a interessarsi di cinema. Conosceva il cinema americano e di Griffith che appariva in quel tempo molto coinvolgente, non statico. A lui non interessa studiare forme espressive del futuro o l’uomo del futuro, bensì in che modo il cinema americano del suon tempo riesce ad avere un impatto così forte. Si interessa al rapporto tra la costruzione del film e la mente umana. Bisogna mettere da parte l’idea di teatro e studiare cosa produce in noi. Il libro è diviso in due parti: 1) si occupa di psicologia del film —> parla da psicologo 2) Si occupa di estetica del film —> parla da filosofo che valuta l’artisticità del cinema di 16 55 La sua grande intuizione è quella secondo cui l’arte cinematografica non imita la realtà ma perché imita la mente umana. La mente umana è alla base dal’artisticità cinematografica, pensiero opposto a Vertov. Il cinema è un simulacro della mente, andare al cinema significa visionare pezzi di realtà ordinati secondo gli stessi meccanismi che operano nella nostra mente. I meccanismi fondamentali della mente umana sono: 1) la PERCEZIONE DELLA PROFONDITA’ —> il film è formato da immagini piatte, ma ciò non esclude la percezione effettiva della profondità. 2) La PERCEZIONE DEL MOVIMENTO —> il movimento che lòo spettatore vede sembra reale, ma è una creazione mentale. 3) l’ATTENZIONE —> può essere volontaria o involontaria, tutto ciò che attrae la nostra attenzione diventa più vivido, si modifica e accresce di precisione. - importanza del primo piano - tutto ciò che non ci interessa resta sullo fondo 4) Il RICORDO e l’IMMAGINAZIONE —> utilizzo del flashback, oggettivazione della funzione della memoria e dei flashforward, anticipazione del futuro che interrompe il corso degli eventi. Quindi il cinema può funzionare come la nostra immaginazione. 5) l’EMOZIONE —> alcune emozioni sono trasmesse dai personaggi, con cui condividiamo i sentimenti altre dalle scene. Il primo tipo è più diffuso mentre il secondo è a malapena proiettato sullo schermo. La psicologia era lo studio di meccanismi cognitivi fondamentali come questi. Il cinema ha un impatto così forte perché funziona secondo stessi procedimenti. I MEZZI DEL CINEMA —> nel cinema la libertà delle forme fisiche di spazio, tempo e causalità non significa anche libertà del legame estetico se l’unità estetica fosse trascurata tutto andrebbe a pezzi. “Il film ci mostra un conflitto significante di azioni umane in immagini animate che, liberate dalle forme fisiche di spazio, tempo e causalità, si adattano al libero gioco delle nostre esperienze mentali e raggiungono un completo isolamento dal mondo materiale, attraverso la perfetta unità dell’intreccio e dell’aspetto visivo.” di 17 55 LEZIONE #5 21 ott • Ejzenstejn, Benjamin Riflessione sul montaggio Ejzenstejn non soltanto ha continuato a fate film dopo gli anni ’20 ma anche a scrivere di cinema, difendendo la propria tesi sul primato del montaggio. Ha ragionato sempre più in profondità rivedendo i suoi progetti precedenti e cercando di andare oltre il montaggio intellettuale. FILM Ejzenstejn, Il vecchio e il nuovo (1929) Si sentiva il bisogno di film che sensibilizzassero il pubblico, costituito principalmente da contadini, sospettoso verso la collettivizzazione degli strumenti e della modernizzazione in generale. Quindi serviva un film che sensibilizzasse la bontà e il successo del nuovo regime dei kolchoz (proprietà agricola collettiva). Ejzenstejn vuole sottolineare il salto qualitativo che la tecnologia porta nella produzione agricola. La protagonista è una contadina Marfa che vuole mostrare ai più diffidenti la macchina, una scrematrice (per scremare il latte). La macchina viene inizialmente guardata con sospetto e quando poi funziona (aiuta molto la produzione del burro) Ejzenstejn pone enfasi sull’entusiasmo dei contadini, tutto in un’atmosfera di tensione e attesa. Il tutto viene comparato all’esperienza dell’orgasmo. Il funzionalmente della macchina attraverso il montaggio viene indirettamente assimilato a una grande eiaculazione. Essendo il pubblico non particolare colto e diffidente, Ejzenstejn si rende conto che deve fare leva su aspetti diversi dell’esperienza meno sofisticati. La sequenza visionata inizia con un personaggio che somiglia a Lenin che scopre la nuova macchina, togliendo il velo che la copre. Ejzenstejn insiste sull’abbassamento del velo, sui primi piani dei contadini stupiti e diffidenti, insiste sui dettagli della macchina, mostrata come se fosse un organismo, un corpo. Appare anche Marfa, la contadina protagonista del film. Non a caso ci sarà un giovane nel momento dell’eiaculazione. Difronte al vortice della macchina, al movimento quasi astratto i vecchi iniziano a sorridere. C’è chi aspetta con entusiasmo chi diffidente. Inserimento di immagini non diegetiche che evocano il movimento di fontane che zampillano. Finalmente l’entusiasmo dei presenti cresce e il latte si è addensato. Ejzenstejn va oltre inserendo il non-diegetico, i personaggi sono in estasi e il numero degli aderenti al kolchoz proiettando i numeri che crescono anche nella dimensione. “Il vecchio è stato sradicato.” Ejzenstejn non pone differenza tra il realizzare un film e scrivere trattati e articoli sul funzionamento del cinema o dell’arte. E quando ha delle nuove idea riguarda i lavori precedenti. Molte delle analisi che si fanno normalmente dei suoi film sono fatte da lui stesso. Il film è denso di allusione di carattere sessuale e questa è la più nota. di 20 55 Ejzenstejn, La natura non indifferente (1945) Ejzenstejn si pone il problema di come far emozionare lo spettatore, forme di pathos per coinvolgere. “Non ci proponiamo qui di approfondire la natura del pathos in quanto tale. Ci limiteremo a esaminare l’opera patetica dl punto di vista della percezione dello spettatore.” “Il pathos si definisce come qualcosa che costringe lo spettatore a balzare in piedi dalla sua sedia, in una parola: tutto ciò che lo costringe a uscire da se stesso.” Questo implica il passaggio a qualcosa di qualitativamente diverso o contrario. Si tratta di “essere fuori di se” o “uscire dallo stato abituale”: “L’azione patetica di un’opera consiste nel portare lo spettatore in uno stato di estasi.” * la scrematrice “Sarebbe possibile classificare le opere d’arte a seconda del grado di intensità con cui raggiungono questo effetto. Avremmo così una scala sulla quale le costruzioni patetiche dovrebbero occupare il giardino più alto.” Perciò non si pone l’accento sul contenuto patetico, ma si parla dei procedimenti che consentono di ottenere il pathos nella composizione. Il pathos è ottenuto da esperienze di tipo estatico. “La composizione è il primo procedimento costruttivo per mezzo del quale comincia a porsi in opera l’atteggiamento dell’autore nei confronti del contenuto. Quello stesso atteggiamento che sarà poi assunto anche dallo spettatore.” ESEMPIO Ejzenstejn sa che la scena della scrematrice non è entusiasmante di per sé, perciò sente che deve emergere l’atteggiamento dell’autore nei confronti del contenuto, in questo caso vuole sottolineare gli elementi euforici legati al progresso tecnologico. Perciò riesce a mostraci il suo atteggiamento nei confronti dell’ascesa rappresentata. Sarà sempre la composizione ad essere cruciale, attraverso questa il cinema presenta allo spettatore un modello di reazione,. È la componente filmica che dice allo settore “qui devi emozionarti, qui devi piangere, qui devi ridere”… “Per ottenere dallo spettatore un massimo di uscita da sé gli si dovrà presentare nell’opera un modello corrispondente, seguendo il quale egli possa pervenire alla condizione voluta.” Ejzenstejn non fa un cinema che lascia agli spettatori la libertà di reagire come vogliono, ma si tratta di una sorta di propaganda, costruisce il film in modo tale da dare allo spettatore il modello da seguire per giungere alla conduzione voluta. di 21 55 LEZIONE #6 22 ott Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935-1939) Il saggio è un piccolo libro, ma uno dei più importanti del ‘900. Un working progress dove ha sintetizzato riflessioni di cui esistono diverse versioni, simili ma differiscono l’una dall’altra. Esistono delle prime versioni del ’35 anche se la prima volta che è stato pubblicato era il ’36, Benjamin ha continuato ad apportare modifiche fino alla versione del ’39, considerata la definitiva. Questa venne pubblicata dell’editore Einaudi ed ebbe particolare successo in Italia, ma non va considerata propriamente definitiva perché si tratta di una visone semplificata delle versione precedenti. Lui nel corso del tempo aveva bisogno di mettere da parte una serie di riferimenti all’inconscio, al pensiero magico che avrebbero reso meno credibile la sua teoria Benjamin è diverso infatti da Ejzenstejn, non scrive per un pubblico vasto, ma per gli intellettuali (n particolare Horkheimer e Adorno). FILM The Barn Dance, Walt Disney (1929) Ha Micky Mouse come protagonista. = sovversivo (incrocio tra l’umano e l’animale) sovverte le regole della percezione dal punto di vista del rapporto con gli oggetti. - l’animato che diventa inanimato, - il ritmo di jazz che spesso segue in questi brevi film - il copro elastico, quasi composto da parti assemblate così come il mondo che lo circonda *Carlo Sanzani ha raccolto frammenti sul pensiero di Benjamin riguardo Micky Mouse. Micky Mouse negli anni ’20-‘30 —> era un fenomeno culturale Benjamin lo nomina più volte nei suoi scritti Considerato una specie di rappresentante di una nuova avanguardia cinematografica, in grado di parlare al popolo e realmente sovversiva, prodotto della grande industria cinematografica italiana. Strumento di opposizione al regime nazista che lo considerava una figura che avrebbe indebolito i giovani tedeschi (grande potere di impatto sulle nuove generazioni) quindi una figura deteriore (il topo non era un buon modello, il ratto era associato agli ebrei). La nuova avanguardia doveva essere in grado di rappresentare una nuova barbarie culturale, all’altezza dei tempi che non vivevano di lunghe narrazioni, ma di storie frammentate. Tutto ciò perché o vecchi valori culturali, l’atteggiamento isolazionista dell’intellettuale… non erano più adatti. Ambivalenza: 1) da un lato c’era il senso di perdita rispetto al mondo che era vivo pochi decenni prima 2) dall’altro l’entusiasmo politico, di chi riesce a mettere da parte la cultura che l’ha formato per rendersi conto che ci sono potenzialità anche nella nuova cultura. Nell’ultima versione del saggio i riferimenti a Micky Mouse spariscono. —> probabilmente agli intellettuali non piacevano molto i oppure perché voleva rendere il suo lavoro sempre più riferimenti alla Disney e alla scientifico il suo lavoro. grande industria Inoltre negli anni ’30 entra in vigore il Codice Hays che limitò la produzione cinematografica negli USA. Benjamin fa riferimenti a Chaplin, che come Micky Mouse anche lui rappresenta una nuova barbarie che sia all’altezza dei tempi. di 22 55 Le pagine in dispensa sono tratte dalla versione più semplice del saggio. ARTE e RIPRODUCIBILITA’ TECNICA sono due cose diverse. Benjamin era interessato alla cultura popolare e ai dispositivi ottici antecedenti al cinema, perciò si interessa alla fotografia e quindi al cinema. Esiste una relazione tra arte e tecnologia che lo porta a modificare i propri criteri e a proporre concetti nuovi e ammette la possibilità di riprodurre tecnicamente un’opera d’arte: “In linea di principio l’opera d’arte è sempre stata riproducibile. La riproduzione tecnica è invece qualcosa di nuovo che si afferma nella storia a intermittenza e tuttavia con una crescente intensità.” Poi la grafica poteva accompagnare in forma illustrativa e tenere il passo alla stampa. Con la diffusione della stampa e della litografia, inoltre, parole e imagini potevano circolare presso un pubblico più ampio. Ma fu superato il tutto dalla fotografia. “Con la litografia, la tendina riproduttiva raggiunge un grado nuovo, la grafica accompagna in forma illustrativa la dimensione quotidiana. Ma fin dall’inizio venne superato dalla fotografia.” “Verso il 1900 la riproduzione tecnica aveva raggiunto u livello che le permetteva anche di conquistarsi un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici. Per lo studio di questo livello nulla è più istruttivo del modo in cui le sue due diverse manifestazioni, la riproduzione dell’opera e l’arte cinematografica, hanno agito sull’arte nella sua forma tradizionale.” Il nuovo contesto tecnologico ha agito sull’arte nella sua forma tradizionale e Benjamin è un autore che non valuta il presente a partire dalle categorie del passato, ma il contrario. Benjamin valuta il presente e in base a ciò che il presente offre ripensa il passato. Tema principale —> perdita dell’aura: “Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova.” La riproduzione tecnica non mantiene la piena autorità di fronte alla riproduzione manuale, essa attraverso la fotografia può rilevare aspetti dell’originale che sono accessibili all’obiettivo. Inconscio ottico = l’occhio tecnologico consente di vedere altre cose ed esperienze diverse. “L’hic et nunc dell’originale costituisce il concetto dalla sua autenticità.” “L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che può venire tramando, dalla sua durata materiale alla sua virtù di testimonianza storica. Nella riproduzione in cui la prima è sottratta all’uomo, vacilla anche la seconda.” È l’opera ad andare incontro al fruitore e non il contrario. “Ciò che viene meno è insomma quanto può essere riassunto con la nozione di “aura” e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’aura dell’opera d’arte.” “La tecnica della riproduzione sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione e attualizza il riprodotto. Entrambi i processi sono strettamente legati ai movimenti di massa dei nostri giorni. Il loro agente più potente è il cinema. Il suo significato sociale anche nella forma più positiva non è pensabile senza quella distruttiva: la liquidazione del valore tradizionale dell’eredità culturale.” di 25 55 Esperienza ottica (pittura) vs esperienza tattile Secondo Benjamin il percorso mediale tende a dirigersi dall’ottico al tattile, dall’aura allo shock: “Il Dadaismo cercava di ottenere con i mezzi quegli effetti che oggi il pubblico cerca nel cinema. Coi dadaisti l’opera d’arte diventò un proiettile. Venne proiettata contro l’osservatore. Assunse una qualità tattile. Il dipinto invita l’osservatore alla contemplazione. Di fronte all’immagine filmica non può farlo. Non appena la colei visivamente essa si è già modificata. Su ciò si basa l’effetto shock del film, che riesce a liberare l’effetto shock fisico che il Dadaismo manteneva nell’effetto di shock morale.” Benjamin parla poi della massa, citando Duhamel che definisce il film “un passatempo per iloti”. Perché le masse cercano distrazione. Tutto ciò che ci sembra interessante è nato e ha cominciato a diffondersi nella forma del passatempo sciocco e all’invio il cinema era un passatempo facile. Per Benjamin inoltre l’architettura ha sempre fornito il prototipo di opera d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione ed a parte della collettività. “Anche colui che è distratto può abituarsi, più ancora: il fatto di poter assolvere certi compiti anche nella distrazione dimostra innanzitutto che per l’individuo in questione è diventata un’abitudine assolverli. Il singolo sarà sempre tentato di sottrarsi a questi compiti, l’arte affronterà quello più difficile e importante quando riuscirà a mobilitare le masse.” L’esperienza sarà sempre più collettiva, meno auratica, sempre più distratta e a portata di mano, perciò l’arte deve farsi carico di tutto ciò cercando di offrire dei modelli ai suoi fruitori che funziona un po’ come un training, ad esempio il cinema aiuta gli spettatori a reagire meglio e digerire meglio la sovrabbondanza di stimoli indigesti che la vita moderna offre. Come Micky Mouse, aiuta a produrre anticorpi. Tra qui il compito politico, è compito della nuova arte che si occupa della nuova percezione mobilitare le masse. Siamo negli anni on cui i regimi totalitari considerano il cinema come l’arma più importante. “Attualmente l’arte mobilita le masse attraverso i cinema , la ricezione della distrazione trova nel cinema lo strumento più autentico su cui esercitarsi. Grazie al suo effetto di shock il cinema svaluta il valore cultuale non soltanto indicendo il pubblico a un atteggiamento valutativo, ma anche per il fatto che al cinema l’atteggiamento valutativo non implica attenzione, il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto.” Il valore culturale è il valore originario, quello che precede il suo valore espositivo. Il fruitore non è più quello contemplativo in grado di dare valore all’opera d’arte. Il cinema è il contrario del culto, favorisce la ricezione distratta. di 26 55 LEZIONE #7 23 ott Eugenio Giovannetti, Il cinema e le arti meccaniche (1930) Mentre il resto dell’Europa produce autori importanti, l’Italia non riusciva ad avere un proprio teorico del cinema o dei media in generale. Probabilmente per motivazioni culturali. Giovannetti era un intellettuale, scrittore, che si occupava anche di cinema, e che aveva un’attività di critico che lo portava a riflettere sull’essenza del medium. Il suo libro è sicuramente interessante in quanto precede anche Benjamin, tratta del cinema e dei cambiamenti estetici che era necessario operare. Secondo lui se si vuole comprendere l’impatto di una tecnologia sulla società, non è possibile concentrarsi su uno strumento soltanto, perché uno strumento fa parte di una rete mediale. Il cinema va pensato nel contesto di quelle che chiama arti meccaniche, definizione inusuale all’epoca. La natura meccanica del cinema impediva a molti intellettuali di considerare arti cinema o fotografia. Non può essere definito artista colui che si limita a premere un bottone lasciando che sia la macchina a fare il tutto. Questo era un pregiudizio particolarmente diffuso nel ‘900, ma soprattutto in Italia. Uno dei suoi limiti e della cultura del tempo è stato l’idealismo così diffuso all’epoca concentrato sulle cose come dovevano essere piuttosto su com’erano davvero. Giovannetti cercava di difendere l’artisticità del cinema, in alcuni punti è molto attuale e bisogna tener conto del modo in cui si esprime. “Non tipiche dell’organizzazione tecnica ma da essa enormemente potenziate, chiamansi “arti meccaniche” quelle in cui la subiettività artistica, determinandosi e obiettivandosi attraverso un sistema meccanico, si diffonde per riproduzione attraverso un sistema meccanico correlativo al primo.” Le arti meccaniche non sono tipiche del contemporaneo ma sono molto potenziate. Simile a ciò che diceva Benjamin riguardo l’opera d’arte riproducibile. Le arti meccaniche non sono nuove ma potenziate. La soggettività artistica —> è importante che ci sia ancora un artista e che sia romanticamente un artista che pone la propria soggettività e creatività al materiale della sua espressione. Ci dimostra inoltre che il cinema non è soltanto un sistema meccanico ma consente anche alla soggettività dell’artista di venir fuori. Nella sua definizione di arte meccanica il cinema prevede due fasi: 1) Fase artistica: il cineasta realizza il film; il cinema è un’arte al pare delle altre, il creatore si esprime soggettivamente padroneggiando il suo strumento così come fa il pittore con il pennello, ad esempio. È l’artista che domina lo strumento e non ne è dominato. “Queste arti collaborano a presentarci la realtà nella sua idea animatrice, cioè non come opera compiuta ma come organicità spirituale. In questo sforzo comune, tendono ogni giorno di più a unificare la loro meccanicità, tanto che non sarebbe ormai più possibile studiare una di queste arti senza considerarle simultaneamente tutte.” “L’artista deve presentarle la realtà in modo che la macchina, pur deformandola, non possa distruggerla e debba anzi esaltarne lo spirituale significato.” “Il momento creativo presuppone quindi una rielaborazione della realtà spirituale. di 27 55 2) Fase divulgativa: la diffusione avviene attraverso la riproduzione tecnologica, momento sicuramente meccanico privo di soggettività artistica, diffusione verso pubblici vasti “Il secondo momento assicura alla obiettivata creazione artistica l’enorme facilità di riproduzione.” “Qui la meccanicità è tutta a favore dell’arte, perché la mette a portata di tutti e in ogni casa e in ogni paese del mondo. Il mondo sta diventando, per effetto delle arti meccaniche, un’unica immensa democrazia artistica.” Dopo essersi concentrato sulla definizione di arti meccaniche, si concentra sul cinema: “Fra le arti meccaniche, quella del cinema è indubbiante la più ardita, la punta più audace verso il mistero dell’essere.” Il cinema è l’arte che riesce ad avere maggiore impatto sociale e opera sul nostro spinto attraverso una suggestione che è di triplice grado: veristica, spirituale e ultraveristica. “L’occhio ritrova un’inaspettata giovinezza. Nelle città sempre brumose e abbaglianti, tiranne della retina, il cinema è l’improvviso riposo, l’improvvisa difesa dell’occhio.” Ciò è dovuto a questi elementi: 1) mirabile meccanicità del cinema, 2) prodigiosa sensibilità delle sue lenti 3) ingegnosa potenza dei suoi apparecchi da presa e da proiezione “Il cinema si prepara meccanicamente ad afferrare l’inafferrabile, a percepire l’impercettibile. Il film ci suggerisce l’idea di una realtà precisata e in quanto fotografia è un appello continuo alla nostra scientifica infantilità.” Ma il cinema non è solo occhio che vede ma anche spirito che fruga. Il genio del cinema non è fotografico ma spirituale. “Con i suoi ralentis, quest’arte ci ha rivelato in uno stesso atto spirituale una varietà di costruzioni prodigiosamente bella. Il tempo cinematografico è sostanziale cioè contratto ed estratto secondo un logos del tutto interiore.” di 30 55 McLuhan ha anche parlato dell’idea di medium come metafora attiva, in quanto ha il potere di tradurre l’esperienza in forma nuove. “La parola parlata è stata la prima tecnologia…Le parole sono complessi sistemi di metafore e simboli che traducono l’esperienza nei nostri sensi. Sono una tecnologia della chiarezza.” Non dimentichiamoci che lui nasce come studioso di letteratura e poi si interessa più profondamente ai media. Per lui studiare un medium significa studiare un sistema di media dove i soggetti sono immersi. Nel suo libro “Capire i media. Gli strumenti del comunicare” ogni capitolo è dedicato a un media diverso. Grazie all’elettricità avremo tecnologie che estendono i n ostro corpo e i nostri sensi, ma la caratteristica principale è che le nuove tecnologie ci estendono in un modo sempre più totale e compatto. Parla di “docilità”, l’uomo deve essere docile e servire la tecnologia. Indurre il training per capire le funzionalità delle tecnologie e in che modo possano estenderci senza intorpidirci. Ogni volta che viene introno sin nuovo medium si riconfigura il sistema dei nostri sensi. Come nel caso della malattia, nel momento in cui cessiamo di avere sintomi possiamo considerata passata la fase di inserimento del medium nella nuova società. Questa immunità ci è offerta dall’arte. Al ruolo dell’artista dedica molto spazio per la sua importanza sociale. “Per evitare un’eccessiva catastrofe l’artista tende ora a spostarsi dalla torre d’avorio a quella di controllo, nella nostra epoca l’artista è indispensabile per formare, analizzare e comprendere le forme e le strutture create dalla tecnologia elettrica.” Quindi per McLuhan è grazie agli artisti se noi non siamo vittime dello sviluppo tecnologico. “L’artista può correggere i rapporti tra i sensi prima che i colpi di una nuova tecnologia abbiamo intorpidito i procedimenti coscienti, può correggerli prima che cominci il torpore e l’annaspare subliminale.” di 31 55 LEZIONE #8 28 ott Francesco Casetti, L’occhio del Novecento (2005) - IL CINEMA E LE SUE NEGOZIAZIONI Il cinema per Casetti è stato un medium in grado di interpretare e riflettere problemi della cultura del Novecento. Il cinema ha anche offerto delle soluzioni alle contraddizioni dell’epoca. Il cinema è perciò un grande negoziatore, che ha negoziato la tensione tra spinte opposte. PREMESSA Cent’anni, un secolo Il libro inizia con una premessa nella quale l’autore individua alcune linee che verranno poi sviluppate. Il problema del libro è capire in che modo un mezzo di espressione e comunicazione è considerato nella sua doppia natura di medium tecnologico e forma d’arte. Quello che interessa è come il cinema sia diventato il protagonista di una storia culturale, quella della modernità, delineando un tipo di sguardo, cioè dei criteri che servivano per interpretare tutto. Un modo di pensare cinematograficamente l’esperienza. Gli interessano 3 cose principali: 1) il cinema è un medium (capacità comunicativa) 2) Il cinema ha costruito riti e miti (capacità di messa in forma) 3) Il cinema ha negoziato tra diverse istanze della modernità (capacità negoziale) Lo sguardo proposto è molto articolato e sempre all’insegna dell’ossimoro. Ha prodotto una frammentazione dell’esperienza ricomposta in totalità. A lui interessano soprattuto i primi 30 anni del Novecento, con un modello di testimone che meglio di altri poteva accogliere la modernità. Alla fine della premessa si discute del cinema come luogo di pensiero e di disciplina. I CAPITOLO Lo sguardo di un’epoca Fin dall’inizio troviamo citati nomi importanti, come Balàzs, il qual individuava nell’immagine una grande frattura sul piano culturale. Lui sosteneva che l’uomo e la cultura torneranno ad essere visuali dopo anni di cultura basati sulla aprila scritta. Viene nominato anche Epstein che come Balàzs è stato un interprete del cinema che portava con se un nuovo tipo di visibilità e che la rivoluzione del cinema riguardava soprattutto l’occhio e il vedere. Più in particolare parla di un’idea comune a tanti per cui il cinema riscatta uno dei nostri sensi e lo restituisce potenziato. Il cinema ha così riscattato tutti gli aspetti del visibile che una cultura basta troppo sulla parola aveva portato a dimenticare e ce l’ha restituito addirittura potenziato. Accanto a Balàzs ed Epstein pone riflessioni di Gance, altro protagonista della stagione dell’impressionismo, e Luciani. Come lui vengono menzionati molti autori italiani non particolarmente conosciuti, ma attenti a ciò che interessa a Casetti. Presenta anche diversi riferimenti a Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica) sul fatto che la riproducibilità tecnica ci ha reso le cose più disponibili. Questo portava a una percezione poco contemplativa e più distratta. di 32 55 Introduce anche Delluc, come interprete dell’ambivalenza tra nostalgia ed entusiasmo. Analizza tre saggi di Delluc: 1) Delluc, La quinta arte, perfezione dell’arte e del traffico del commercio Da qui uno dei principali ossimori che la storia del cinema del novecento ha dovuto elaborare, da un lato l’arte e dall’altro l’industria. 2) Delluc, Messa in forma, capacità di evocare miti e riti come nella tragedia greca In questo caso prende in esame un articolo nel quale parla di cinema come arte popolare, altro ossimoro, l’arte non era popolare ma erano due mondi diversi. Arte popolare perché era in grado di costruire nuovi immaginari e secondo lui significherà per il Novecento ciò che ha significato la tragedia greca nel V secolo. 3) Delluc, Azione attiva sul suo tempo, la fotogenie riscatta e sublima la nudità Riguarda la capacita negoziale del cinema e la questione della fotogenia, c’è un articolo nel quale Delluc riflette sul nudo al cinema, che sicuramente affascina gli spettatori. La nudità non è pornografia grazie alle capacità fotogeniche del cinema, il cinema la mostra in modo preciso e sensuale, la trascende secondo l’estetica fotogenica. Perciò il cinema negozia tra la bellezza e la volgarità. Dopodiché Casetti si concentra sulla questione della negoziazione e propone una riflessione che gira attorno a coppie di termini oppositivi. II CAPITOLO Inquadrare il mondo Si concentra su una particolare negoziazione del cinema che riguarda non soltanto il sentire del Novecento ma anche i limiti del cinema. Riguarda soprattutto i limiti dell’immagine cinematografica: l’inquadratura. Il film non era una sfilza di fotografie ma un montaggio di inquadrature e punti di vista diversi per restituire un’idea di totalità e racconto. Si tratta di una presa di coscienza della parzialità della visione e della totalità del mondo. Fa un’ampia riflessione anche sul punto di vista. Balazs, il Primo Piano e il tutto, la fisionomia e il punto di vita Anche questo capitolo si apre con delle considerazioni su Balàzs e sulle sue teorie degli anni 20 riguardo il primo piano. L’uomo visibile celebrava una nuova cultura e le possibilità offerte dal primo piano. Ma in un libro successivo (1930) sembra interessargli un altro aspetto, ovvero che non esiste un volto in sé perché ogni dettaglio è ancorato a un punto di vista. James, La casa del racconto e le sue mille finestre con osservatori e binocoli Scrittore che ha riflettuto molto sulla letteratura e che ha ricordato l’importanza di un centro percettivo e di un punto di vista. La sua immagine più celebre è quella della casa del racconto che ha centinai di finestre che affacciano sullo stesso alto. Da queste finestre ci sono vari osservatori, alcuni osservano ad occhio nudo altri con binocoli. Gli eventi da guardare sanno gli stessi ma cambierà il punto di vista degli osservatori. Gance, Napoleon (1927), il destino e gli episodi di vita Gance nel capitolo pretendete appare come scrittore, qui come come cineasta. Analizza il film per analizzare meglio la relazione tra frammento e totalità, fra la parte e il tutto. Molti lo considerano come un’antologia di tutte le prodezze formale che il cinema sperimentò fin lì. Ci sono dei momenti del film che sono passati alla storia del cinema e che Casetti prende in esame: - scena della battaglia di neve —> importante perché restituisce una visione frammentaria attraverso l’uso della sovrimpressione - scena della battaglia dei cuscini —> sperimenta la tecnica dello screen, con più inquadrature all’interno di una sola - trittici finali —> le tende si aprivano e si scoprivano altri due schermi come prolungamenti (panoramica) di 35 55 Daves, Dark Passage (1947): soggettività / oggettività latenti, tipi di sguardi, linguaggio e grammatica È un film noto soprattutto per le grandi sperimentazioni formali in un’epoca ancora florida per Hollywood. Racconta di un evaso che per non farsi riconoscere deve farsi una plastica facciale. Dopo l’operazione assume le fattezze di Humphrey Bogart. Per tutta la prima metà del film del protagonista non vediamo il viso, soprattutto perché questa parte è costruita come una lunga soggettiva del personaggio. Vien ripreso in campo ma i suoi tratti sono sempre nascosti da qualche escamotage. Costruzione della cinepresa che agisce come un corpo, difficile calcolare le distanze tra la cinepresa e quei frammenti di corpo che invece sono ben visibili, come le mani e i piedi. A volte si trattava di gambe finte, due bastoni con sopra dei pantaloni, e braccia di due attori diversi. Il lavoro è perciò faticoso e complesso. Quindi siamo un po’ oltre una semplice soggettiva. Per comprendere se siamo difronte a una soggettiva abbiamo sempre bisogno di un segnale o di un’altra inquadratura. Come nel caso in cui viene prima ritratto un personaggio che guarda fuoricampo e l’inquadratura che segue sarà la porzione di campo guardata dal soggetto. È proprio nella natura cinematografica avere una doppia visione: soggettività e oggettività. Quindi in questa prima fase non abbiamo lo sguardo del personaggio che ci fa capire che si tratta di una soggettiva, ma ci sono altri elementi: - posizione della cinepresa - sguardo in macchina dell’autista, come se stesse guardando negli occhi il personaggio - mani e piedi - attraversamento di ostacoli Daves deve ricordarci continuamente che si tratta di una soggettiva, anche quel corpo in realtà non c’è, ma è la cinepresa che lo sta mimando. Ma questa soggettiva qualche volta assume la funzione di un establishing shot in un decupage normale. Il rapido guardarsi a destra e poi a sinistra. Al massimo tra le due avremmo avuto un’inquadratura del personaggio che gira il collo. Le inquadrare soggettive / oggettive corrispondono a due tipi di sguardi, questo è frutto del linguaggio calcistico che ha creato le condizioni per cui un certo tipo di sguardo fosse percepito dagli spettatori come più soggettivo e un altro come più oggettivo. Il contesto ci fa capire di che tipo di sguardo si tratta. I grammatici hanno studiato prima della semiologia le potenzialità del linguaggio cinematografico e hanno cercato di individuare diversi tipi di sguardo. Ford, The Man Who Shot Liberty Vallance (1962): doppio flashback, mediazione della memoria, azione come rievocazione Qui Casetti si limita ad esplicitare quello che il film vuole dire e struttura un film come un lungo flashback. Inizia con un personaggio anziano davanti a dei giornalisti racconta una storia che coincide in parte con il film e finisce allo stesso modo. C’è anche un doppio flashback, all’interno del primo flashback ci viene esposto il ricordo di un altro personaggio chiave, un flashback nel flashback. Il film ci fa comprendere l’importanza della mediazione della memoria, quindi mediazione soggettiva. Il problema principale è capire chi è stato ad uccidere Liberty Vallance, il bandito della cittadina. Con questo film cerca di mettere in luce due personaggi: 1) John Wayne —> rappresenta l’uomo d’azione e il vero cowboy 2) James Stuart —> rappresenta ragione e riflessione, fa valere la cultura e le leggi Quindi il valore dell’azione viene in un certo senso relativizzato, non c’è un protagonista vero e proprio, mas viene comunque dato molto spazio a James Stuart. di 36 55 Dopodiché Casetti si concentra su un’altra coppia: documentazione e testimonianza. Documentazione —> un evento non filtrato da un punto di vista Testimonianza —> un evento che presenta un punto di vista Analizza la veridicità di un racconto e bisogna capire quel è la differenza tra testimonianza storica e invenzione. Esiste la constatazione che corrisponde alla documentazione, esiste la ricostruzione che corrisponde alla testimonianza e poi c’è l’invenzione che corrisponde al regime del racconto. Sia la testimonianza che il racconto sono mediati dalla soggettività e non possiedono nulla di oggettivo. Pero mentre la testimonianza è l’offerta di fatti realmente accaduti, il racconto tratta di fatti probabili. Hitchcock, Vertigo (1958): riconoscimento, scoperta e spaesamento “La donna che visse due volte”, è un film che può essere considerato come una specie di allegoria della relazione ambivalente tra reale e immaginario. Morin (1956): il reale e l’immaginario e la loro definizione reciproca Il film di Hitchcock può essere messo in relazione a un libro di Edgar Morin “Il cinema o l’uomo immaginario”, la cui tesi centrale riguarda l’ambivalenza di reale e immaginario nel cinema. di 37 55 LEZIONE #10 4 nov IV CAPITOLO L’occhio di vetro Capitolo che raccoglie testimonianze intorno a un’altra dialettica del ‘900: naturale-artificiale. Pirandello (1915): macchina che rende la vita artificiale e asservisce l’uomo Ci riferiamo al romanzo “Si Gira” poi diventato “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”, romanzo che riflette a pieno il rapporto tra uomo e macchina. Serafino è un operatore che si sente una persona limitata a girare la manovella, si sente lui il meccanismo che consente alla macchina di vedere e lavorare. Come se l’umano fosse asservito alla macchina. Serafino capisce che la qualità più importante di un operatore è l’impassibilità, affinché si possano esprimere le qualità espressive della macchina. Avviene una spersonalizzazione dell’umano difronte alla macchina, così Serafino per recuperare la propria personalità decide di scrivere un diario in prima persona. Il diario è una forma molto personale che soprattutto fa a meno delle tecnologie moderne. Anche in questo caso c’è di mezzo il cinema, il negoziatore, tra due problemi: 1) rifiutare la tecnologia 2) diventare succubi della tecnologia Giovannetti (1930): cinema, arte e tecnologia Il suo contribuito non guarda alla natura soggettiva e frammentata dello sguardo cinematografico, ma a quella meccanica, artificiale, che non è umana. Giovannetti va alla ricerca di eredi di Serafino Gubbio, perlopiù operatori, cioè di film e testimonianze che propongono questa sensazione di lotta per il dominio tra umano e macchina. Buster Keaton & Edward Sedgwick, Il Cameraman (1928) Primo operatore rintracciato. Questo film è conosciuto in Italia anche come “Io e la scimmia”. Qui funziona proprio come l’operatore impassibile che Serafino non riusciva ad essere. È la vicenda di un operatore, di un fotografo che vende le lastre sui marcia piedi ai passanti pii assunto dalla Metro-Goldwyn-Mayer e diventa un reporter di attualità. Involontariamente realizza un filmato d’avanguardia sulla vita da città che non è ciò che gli ha chiesto di fare la MGM che lo licenzia. Così gli viene data un’altra possibilità e nel ghetto cinese (China Town) riesce a trovarsi in mezzo a una rissa e capisce che poteva così amplificare le qualità spettacolari della rissa essendone coinvolto, viene riassunto. Passiamo così da un operatore inesperto a un altro che trova un proprio equilibrio all’interno di un evento spettacolare. C’è nel frattempo una storia d’amore tra il protagonista e una donna. Alla fine lui la salva dall’annegamento, ma nessuno lo sa perché ha millantare il salvataggio è il compagno della donna. Poi troverà una scimmia che lo accompagnerà nelle sue avventure. La scimmia vedrà così tanto l’operatore nel suo lavoro che sarà in grado di girare la manovella. Sul finale la reputazione del protagonista nei confronti della donna amata è salvata grazie a un filmato realizzato da una scimmia. Un’impassibilità massima, la scimmia non sapeva cosa stava effettivamente facendo. di 40 55 Ejzenštejn, Staroe i novoe (1926-1929): ebrezza del cambiamento Secondo film rilevato. Oltre che sul montaggio, ha riflettuto sulla capacità del cinema di sollecitare a livello sensoriale il pubblico per raggiungere un nuovo senso. È un film sul progresso (abbiamo visto la scena della scrematrice), celebra i nuovo, la rivoluzione, la produzione agricola… Riferimenti alla sessualità e all’erotismo caratterizzano tutto il film. Il problema fondamentale è restituite l’entusiasmo del nuovo e la negazione del vecchio in due modi: 1) sollecitando sul piano sensoriale ed erotico 2) attuare una trasfigurazione che doveva portare il pubblico a celebrare il progresso tecnologico LeRoy, Gold Diggers of 1933 (1933): ebrezza del ritmo Terzo film rilevato. Celebra l’ebrezza del ritmo, non poteva non essere un musical. Si apre e si chiude con due numeri musicali che sono ali entro dell’analisi di Casetti. All’inizio c’è un numero che corrisponde al brano “We’re In The Money” che riflette bene il culto dell’esteriorità e al nuovo bombardamento di sensazioni di cui parlava Kracauer. Celebra il lusso e lo sfarzo e il tripudio scenografico è solo un’inizio, in quanto il film tratterà di tutt’altro. La riflessione di Casetti sta tra l’ebrezza ritmica del primo numero musicale e le sensazioni sensate e meditative dell’ultimo numero musicale che s’intitola “Remember my Forgotten Man”. Anche questo è molto ricco a livello sensoriale, ma riflette più una presa di coscienza della gravità. Si aggiunge il significato e la consapevolezza della storia. La narrazione ha sempre integrato la sensazione e ha fatto in modo che gli spettatori potessero godere sia di sensazioni che di senso. Ejzenštejn, montaggio delle attrazioni L’ultimo paragrafo è una sorta di sintesi, come nella maggior parte dei capitoli di Casetti. Qui viene sottolineata la natura negoziale del cinema e la dinamica che consente al cinema di rimanere in equilibrio tra sovreccitazione e controllo. A tal proposito viene citato Ejzenštejn e il suo montaggio delle attrazioni. Bisogna prendere le attrazioni, gli elementi più spettacolari, dinamici e montarli. di 41 55 LEZIONE #11 6 nov VI CAPITOLO Il posto dell’osservatore Capitolo particolarmente legato a quello precedente. Si concentrano entrambi sull’esperienza dello spettatore. Nella capitolo precedente si fa girare la testa allo spettatore ma si offrono anche gli strumenti per non fargli perdere il senso dell’orientamento. Nel VI capitolo si parla più precisamente della dialettica tra l’esperienza immersiva e il ritorno in sé. Il trasferimento immaginario fa si che lo spettatore si senta solo e che dimentichi la sala. Altro problema affrontato in questo capitolo è quello della collettività. Epstein (1926): Il cinematografo visto dall’Etna Il suo saggio si occupa dell’uscita da sé e poi del ritorno in sé. Racconta una sua visita in Sicilia e parla di due momenti importanti: 1) racconta la salita sull’Etna con la sua troupe e si ritrova immerso in una natura appena incendiata e si concentra sull’immersione in questo spettacolo naturale 2) racconta di quando arriva e decide di fare un’ampia scalinata piena di specchi per andare a fare colazione. Si rende conto che gli specchi diversi per grandezza e angolazione gli mostra nuovi aspetti di sé… così il cinematografo con svariati specchi inclinati mette a nudo gli individui. Si tratta di esperienze estranianti, come lui davanti allo specchio che diventa spettatore di se stesso. Porter, (1902): Uncle Josh at the Moving Picture Show (1902) Zio Josh è uno spettatore troppo ingenuo che va al cinema e finisce per rovinare lo spettacolo. A sinistra si vede lui che assiste, a destra si vede ciò che lui sta guardando. In un punto scende dal suo loggione e inizia a ballare con una ballerina, in secondo momento al passaggio di un treno, si spaventa e torna nel suo loggione. È talmente immerso che finisce per innamorarsi di una contadina ed è geloso dell’uomo che l’abbraccia tanto che si precipita contro il telo e lo fa cadere. Il film ci parla di immersione (ballerina) e distanziamento (treno) e viene utilizzato l’esempio di zio Josh anche a scopo educativo, far capire come ci si comporta in sala. Nel terzo caso (contadina) l’eccessiva vicinanza lo porta a rovinare lo spettacolo cinematografico, quindi bisogna mantenere una giusta distanza. Questo tema viene affrontato anche da Freeburg (1918) e da tutti coloro che usavo il primo piano come Epstein (1921) che disse “nessun viso era mai stato tanto vicino al mio”. Il problema della vicinanza non appartiene solo al cinema , ma è tipico della modernità: flussi migratori, trasporti pubblici, turismo… Il vero problema è quello dell’accessibilità e della disponibilità delle cose. di 42 55 Vidor (1928): The Crowd Ma il soggetto al cinema non è solo scopico ma è anche un soggetto sociale. L’aspetto che interessa a Casetti è l’ultimo movimento diverso in 3 inquadrature. Si parte dai primi piani di John e Mary e poi un movimento all’indietro verso l’alto vien ripresa l’intero uditorio immerso nello spettacolo e ridono. Ciò che interessa a Casetti è proprio la gru con lo spostamento. Se questa inquadratura venisse isolata sarebbe lo spunto per estrapolare questioni che animavano sai il cinema che problemi sociali della modernità. Emerge il confronto tra individualismo e collettività, tensione che la modernità portava con sé. Questo era dovuto ai nuovi mezzi di trasporto, alla metropoli, all’evoluzione tecnologica… Si tratta quindi del rapporto tra il soggetto e il suo ambiente, non più assorbimento immaginario che avviene attraverso lo sguardo, ma è l’esperienza della città, del traffico… Anche Freeburg riflette sul questo argomento. Riguardo all’arte di fare film ricorda che le categorie e i criteri di chi li realizza devono essere diversi perché bisogna rivolgersi a soggetti che dimenticano se stessi e si immergono negli eventi. Altro fattore tipicamente moderno che il cinema intensifica e rielabora è l’opinione pubblica. I mezzi di comunicazione e le nuove arti generano un’opinione pubblica che prima non esisteva. Un nuovo modo di pensare la relazione tra soggetto e collettività. Antonioni (1966): Blow Up Primo film che Antonioni gira all’estero, precisamente a Londra. Si fa carico della relazione tra chi guarda e chi è guardato. Infatti il film “filosofico” si concentra proprio sul tema del guardare e sulla capacità dell’occhio meccanico di osservare e il comprendere. Il fotografo Thomas, che non viene mai nominato, osserva le sue foto realizzando una sorta di montaggio. Ma nota qualcosa di strano e comincia a realizzare una vera e propria sequenza cinematografica (Antonio quindi allude al cinema). Una sola immagine non basta, lui è alla ricerca di un raccordo. Riesce a capire che mentre lui stava scattando le foto c’è stato un omicidio. Lui le foto le scatta di nascosto ma viene scoperto dalla donna che poi lo raggiunge e gli chiede di avere il rullino e questo lo insospettisce. In una foto si vede una donna che guarda fuori campo, così cerca di capire la soggettiva, ovvero ciò che la donna stava guardando. In un’altra foto noto che tra dei cespugli c’è nascosto qualcuno e ingrandendo noterà una pistola, che doveva uccidere l’uomo che stava abbracciando la signora. Questa è la scena più importante del film, il Blow Up (l’ingrandimento) che Casetti analizza. A lui interessa la dinamica degli sguardi che si viene a creare. Sono poche le inquadrature: il fotografo appende le foto alla parete e pi le osserva con movimenti del capo e soggettive realizzate dalla macchina che imitano i suoi movimenti. Quindi il montaggio corrisponde al meccanismo di pensieri di Thomas che sta cercando di interpretare e rendere sensate le sue foto scattate ore caso. Ma si ricorre spesso alla falsa soggettiva o semi soggettiva , come nel momento in cui alla fine di un’apparente soggettiva Thomas viene inquadrato. Questo è voluto da Antonioni che gioca spesso sullo spostamento dello sguardo dall’occhio della cinepresa allo sguardo del personaggio e viceversa. Un altro momento simile lo ritroviamo alla fine del film quando Thomas torna nel parco alla ricerca del cadavere senza trovarlo. Ad un certo punto si china, perlustra, guarda verso il cielo e poi viene ripreso il cielo. Anche questa sarà una falsa soggettiva perché immediatamente dopo ricompare Thomas nell’inquadratura. Quindi Antonioni ci consente di riflettere su un altro concetto: il vedere e l’essere visti. Nel mondo noi siamo soggetti del nostro sguardo ma allo stesso tempo oggetti dello sguardo altrui. Sartre approfondisce questo tema della reversibilità tra se e l’altro. di 45 55 Il suo primo film “Fear and Desire” (1953), indipendente e imperfetto (questo dovuto anche al basso budget con cui è stato realizzato), porta un gusto particolare: quello della sua formazione intellettuale, riflessione sull’esistenza, impulsi sessuali studiati dalla psicoanalisi, guerra come metafora della condizione dell’uomo… James Naremore gli attribuisce il primato di primo film d’autore di un regista americano del dopoguerra. Questo film fece capire a Kubrick che se voleva realizzare dei film credibili per gli spettatori aveva bisogno di pur soldi. Difatti la sua filmografia dagli anni ’50 agli anni ’60 può essere letta come un progressivo innalzamento del livello ella produzione a servizio dell’espressività, stando in forte contatto con le major. Kubrick ci dimostra quindi come arte e mercato non si oppongono, pensi uno sostiene l’altro. Il grande salto lo fa nel momento in cui la su società di produzione incontra l’interesse della società di produzione che aveva appena fondato Kirk Douglas che all’epoca era una star ma che guadagnava perché, come molti altri, lavorava come produttore indipendente. Doveva realizzare un film e Kubrick scrive la sceneggiatura perché gli serviva un divo. Realizzar Sun film interessate per le major necessitava di un personaggio forte. Kubrick riscrive cosi la sceneggiatura di “Orizzonti di Gloria” (1957) perché presentava delle ideologie non facilmente accettate dalle major di quegli anni. Quindi la riscrive appositamente per Douglas e ci riescono. Il divo si fece veicolo della visone problematica che voleva esprimere Kubrick con questo film di guerra, mostrandoci che c’era bisogno di seguire la logica della grande industria per realizzare film credibili. Dopo questa collaborazione con Douglas viene chiamato come regista di “Spartacus” (1960), finalmente mostra di riuscire a realizzare un grande colossal con un metodo di lavorazione industriale maneggiando un alto budget, producendo un lavoro mainstream a tutti gli effetti. Dopodiché si dedica a un progetto più personale come “Lolita” (1962), portava una forte problematica sugli schermi infatti questo portò molte volte la censura e l’auto censura. “Il dottor Stranamore” (1964) portò ulteriore successo, fino ad arrivare a “2001: Odissea nello spazio” (1968) che lo innalzò a cineasta a tutto tondo e indipendente continua a collaborare con le major hollywoodiane per lavorare sul un livello mainstream. Kubrick cercava infatti di portare su un piano mainstream i valori della sua formazione intellettuale e un proprio modo di vedere le cose. Non si fa ricorso al regime emozionale dominante che domina nelle produzioni mainstream che è basato sul sentimentalismo e su forme forti di identificazione con i personaggi. Interessante è questa immersione a distanza, misto di partecipazione e distanziamento. Bisognava trovare un equilibrio come dicevamo prima tra Chaplin ed Ėjzenštejn, tra il troppo contenuto e la troppa forma. Kubrick stabilisce la propria forma. il proprio gusto e il proprio sguardo a servizio della storia raccontata. Spesso ha alternato progetti che prevedevano una maggiore partecipazione emotiva a ad altri più raffinati, basti pensare che a “2001: Odissea nello spazio” segue “Arancia meccanica” (1971), “Barry Lyndon” (1975), “Shining” (1980), “Full Metal Jacket” (1987), “Eyes Wide Shut” (1999). Ovviamente tra un film è un altro c'è una grande quantità di film e progetti intermedi, molti abbandonati. I film più amati come Arancia meccanica e Shining la partecipazione e il tipo di esperienza è molto particolare, oscilla sempre fra immersione e distacco. Lui ha sempre lavorato da cineasta indipendente che collaborava con le major, approfondito poi un tipo di esperienza che non prevedeva una fondamentale partecipazione o immersione nella vicenda. Era questa la scommessa di Kubrick ovvero stabilire sempre un equilibrio tra il dentro il fuori tra la vicinanza e la lontananza. di 46 55 LEZIONE #12 11 nov James Naremore, Su Kubrick (2009) I CAPITOLO Kubrick: l’ultimo modernista Un elemento di complessità ha a che fare con un regime emotivo complesso e ambivalente. In alcuni film ci sono protagonismi forti, in altri passivi e per comprendere questo aspetto è utile il libro di James Naremore intitolato “Su Kubrick”, di cui sono presenti estratti in dispensa. È un cineasta che appartiene sia alla prima modernità che alla tarda, considerato perciò l'ultimo modernista. È importante perciò considerare il suo ultimo film “Eyes Wide Shut” (1999) come chiave. Ma molti suoi film possono essere considerati chiave dipende da quali aspetti si considerano. Ma il film “Eyes Wide Shut” ha reso palpabile l’ispirazione modernista di Kubrick proto-novecentesca ed ebraica, sviluppata a Vienna prima della guerra, ammirazione per Ophüls e il fasto viennese fin-de-siècle. Ophüls è stato un cineasta che ha spesso riportato atmosfere viennesi di fine ‘800 e anche lui è stato un cineasta che si è ispirato a due autori viennesi come Swayze e Schnitzler (autore da cui Kubrick trae “Eyes Wide Shut”. Il capitolo inizia con la testimonianza di un amico e collaboratore Michael Herr: “E così, se mi sono venuti gli occhi lucidi quando hanno cominciato a scorrere i titoli di coda alla fine di Eyes Wide Shut mentre il valzer risuonava ancora una volta, non era solo perché il film era finito o perché era l'ultima opera di un uomo che ho ammirato e amato, ma perché quella cultura, con la sua innocenza o quantomeno con la sua ingenuità, e con una purezza che solo qualcuno nato prima del 1930 poteva continuare ad avere, era arrivata alla fine, come succede a quasi tutte le tradizioni.” Questo ci fa capire che la biografia conta e che il suo porto faceva di Kubrick un cineasta propriamente novecentesco. Naremore dice che Kubrick è stato uno dei pochi registi modernisti forse l'ultimo ad aver lavorato per le major hollywoodiane. Il modernismo al quale si fa riferimento non corrisponde a Godard o Warhol ma all'arte moderna della prima metà del 900, alla letteratura anglo europea e al canone filosofico con Nietzsche Freud e Jung. Un altro studioso, Elsaesser, sostiene che i capolavori di Kubrick siano manifestazioni tardo moderne dell'estetica dello straniamento di Kafka o Joyce. Quindi come è possibile che tutto questo sia diventato popolare mainstream? Naremore ricorda la sua predilezione per tendenze estetiche o ideologiche moderniste: - cura per la natura materiale del medium reinventandolo in un certo senso - resistenza alla censura - predilezione per satira e ironia (forme ambivalenti) a scapito del sentimento - avversione per il realismo narrativo convenzionale - riluttanza a consentire una piena identificazione - attenzione al conflitto fra regione e inconscio irrazionale (soprattutto maschile, da cui interesse per guerra e tecnologia, nonché satira del patriarcato Oltre gli autori viennesi, autori importanti per Kubrick erano Pudovkin, Freud e Stanislavskij, che consigliava vivamente ai giovani registi. Pudovkin come manuale per il cinema classico, Freud come modello da seguire se si vuole conoscere la mente e Stanislavskij in quanto primo grande teorico del teatro moderno. di 47 55 Kubrick è stato sicuramente influenzato dalla cultura newyorkese: cinema, arti visive e fotografia (in particolare la New York School, con Diane Arbus e Wegee). Ricordiamo che Kubrick ha iniziato la sua carriera grazie alla fotografia. Era particolarmente interessato ai miti e alle fiabe, a quelle atmosfere emotive che generano effetti correlati al fiabesco: perturbante, humour nero, strano, assurdo, surreale, fantastico e grottesco, intensificati dal realismo fotografico. Si allontana dalla commedia classica che si avvicina alla commedia nera per parlare ai giovani dell’epoca. C'è un libro sul significato psicologico delle fiabe per bambini scritto da Bet Haim che Kubrick ha tenuto in considerazione per “Shining”. II CAPITOLO L’estica del grottesco Secondo Naremore la categoria che più rispecchia Kubrick in quanto modernista è quella grottesca. L'estetica del grottesco è legata allo stile e alle qualità emotive dei film di Kubrick che sono spesso in cognito con la dimensione intellettuale e fredda, legata alla sua personalità, che molti rivedevano nei suoi film. La nozione di grottesco e antica nasce nel ‘500, ha cambiato significato nel corso dei secoli può significare tante cose. Mescola il comico e lo spaventoso, il carnevalesco e il disgustoso. Ha una struttura duale con figure come l'ambiguità, l'ironia e il paradosso. Lascia lo spettatore in bilico tra sentimenti conflittuali, incerto sulla reazione più appropriata. Per Naremore il grottesco è un elemento culturale accomuna diverse esperienze artistiche modernistiche prevalentemente letterarie, importante soprattutto per le sue qualità emotive (paura, discusso ecc..). Gli aspetti formali del grottesco sono: Il grottesco sta in parte nell'occhio di chi osserva, corrisponde a esagerazioni stilistiche; si esprime in generi come la satira, la caricatura e la commedia nera; non coincide con l'assurdo né con il perturbante, pur mescolandosi ad essi; ha segnato fortemente il modernismo artistico. In ogni film di Kubrick si possono individuare dominanti grottesche, ad esempio: - Killer’s Kiss (1955): il duello tra i manichini - The Killing (1956): la rissa al bar dell’ippodromo Le modalità della rappresentazione del grottesco sono diverse; Kubrick ad esempio presenta travestimenti grotteschi e volti caricaturali. Ha a che fare con il grottesco anche la scatologia, ossia i rifiuti organici, e tutte le immagini volgari del corpo, ricorre anche l’immagine del bagno. Il senso del grottesco kubrickiano lo ritroviamo nel film full - Full Metal Jacket (1987): ingresso del sergente maggiore capo Hartmann. Il film è sospeso tra realtà e caricatura, e Hartmann disorienta perché è rivoltante, terrificante e insieme divertente. La maggiore ironia è nella somiglianza tra la reazione di Palla di Lardo e quella della maggior parte degli spettatori: una miscela di divertimento, disgusto e paura che diventa shock. Solo dopo si capisce che Kubrick fa sul serio. Kubrick suscita emozioni primarie ma aggregate (paura carica di humour e risata difensiva). Sentimenti esplosivi e infantili sono osservati in modo lucido attraverso la fotografia controllata. Il risultato è un conflitto di emozioni che rivelano una realtà paradossale e inquietante. - limpidezza lapidaria della fotografia - obiettivi grandangolari - movimenti geometrici della macchina da presa - angolazioni insolite della macchina a mano - interpretazioni attoriali lente e caricaturali - film satirici - no effetti melodrammatici e sentimentalismi di 50 55 Paolo Bertetto invece analizza Arancia Meccanica. Come Eugeni è particolarmente attento alla linea culturale dell’ermeneutica che costruisce appunto un universo di senso stratificato. Siamo praticamente di fronte a una realtà che rimanda a sua volta ad altre realtà (come alla fiaba). Analizza soprattutto le prime sequenze e all'interno di questa analisi il tema principale è l’artificio. Secondo lui non esiste un'inquadratura di Arancia Meccanica che non sia iper-connotata culturalmente o iper-semiotizzata con rimandi i riferimenti ad esempio la storia del cinema espressionista, alla cultura e all’arte pop ecc. Quindi tutto rimanda a qualcos’altro (musiche, costumi ecc). Citando Nietzsche il mondo in cui i personaggi di Arancia Meccanica si muovono è un mondo diventato favola. Nella sequenza del teatro abbandonato c'è un riferimento alla musica più precisamente all'ouverture “La gazza ladra” di Rossini che dà il rimo che viene seguito anche dal montaggio. La rissa viene seguita come una danza a ritmo di musica. Una altro concetto principale è la simulazione e fascinazione. C'è tutta una sezione dell’analisi che allude allo sguardo fascinativo e allo sguardo in macchina. È il tipico sguardo alla Kubrick, te lo sguardo con il cui dettaglio si apre il film. È uno sguardo che problematizza la distinzione tra identificazione e distanziamento, chi assomiglia più che altro allo sguardo di un ipnotizzatore, quindi uno sguardo che vorrebbe farci immergere più che distanziarci. Questo discorso ci rimanda a Casetti riguardo sguardo meccanico / sguardo umano. Esiste effettivamente una relazione tra gli sguardi dei personaggi di Arancia Meccanica e gli sguardi della falsa Maria in Metropolis. ——————————————————————————————————————————————— I TEMI DI KUBRICK (fonte: Eugeni, 2016) Crisi del modello occidentale di ragione —> tema che caratterizza tutti i film, in quanto il cinema di Kubrick attraversa alcuni nodi della cultura occidentale. Questa cultura si basa su un concetto pregnante di ragione che Kubrick in quanto autore del Novecento mette in crisi. Infatti questo modello ci dentale di ragione prende forma nella sua cinematografia. Questo pur essendo un concetto filosofico nei film di Kubrick non viene restituito in termini filosofici e argomentativi Eugeni dice che Kubrick è il fotografo, il narratore e il cineasta della crisi della ragione. Se Full Metal Jacket è il film chiave del contesto grottesco, Eyes Wide Shut per il modernismo, Arancia meccanica può essere inteso come film chiave per comprendere la crisi del modello occidentale. Nella sequenza del teatro abbandonato di Arancia Meccanica. All'interno di questa scena spettacolare e simmetrica avviene un evento di violenza carnale eseguito in modo ritmato. Fino a che i 4 drughi non entrano in scena c'è un senso di ordine e di grazia conferito dal ritmo stabilito dalla musica. Dopodiché la ragazza fugge e inizia la rissa che viene rappresentata come contrapposizione formalizzante e danzante fra due parti. temi filosofici attraverso racconti, favole, coglie l'istante dell'irruzione di un principio di sgretolamento messa in forma cinematografica, visivo dinamica e sonora, del nucleo tematico di 51 55 Le inquadrature vengono riprese da una macchina a mano quindi sono spesso “a schiaffo”, perciò molto brevi, rispecchiano il disordine. Questo tipo di riprese va a rovinare la geometria del teatro. Da un lato abbiamo l'ordine geometrico della rappresentazione e la simmetria delle inquadrature, dall'altro lato abbiamo un principio violento, dinamico e d’irruzione che a volte lo rovina e altre volte viene presentato con giusto equilibrio. Inoltre c’è sempre un problema del linguaggio. Il suo cinema si concentra sulle azioni non tanto sulle parole, sono i fatti concreti che gli interessano non i suoni. Ricordiamo anche la lingua parlata da Alex e dai drughi, la Nadsat, mescola l’inglese con parole dell’est Europa. Il principio del controllo —> altro tema importante che affianca la crisi della ragione. C'è sempre un elemento imponderabile che sfugge alla vigilanza e genera distruzione del sistema o lo mette in crisi. Si può perdere il controllo di se stessi, del mondo e del rapporto con gli altri. Inoltre molti dei suoi film raccontano dei progetti non realizzati, di personaggi che più che agire sembrano essere agiti dagli eventi o innescano il proprio fallimento. Possiamo trovarci di fronte personaggi caratterizzati da svuotamento oppure da una proliferazione delle azioni. Alla crisi del controllo su di sé corrisponde sicuramente la follia, la violenza, la sessualità, la regressione infantile ecc. Quindi questo porta non solo a perdere il controllo di se ma anche del rapporto con gli altri. Come l'azione che a volte manca a volte eccessiva e caratterizzata, così è l’identità dei personaggi che a volte prevede privazione altre moltiplicazione: 1) installazione di diverse identità dello stesso individuo 2) stessa identità per individui differenti —> Eyes Wide Shut è un esempio formidabile di geminazione perché ogni episodio viene ripetuto per due volte, oppure nel caso di Arancia Meccanica la seconda parte capovolge la prima Ma l'identità non è solamente visiva l'identità e anche racconto, storia, memoria. Avviene una vera e propria privazione della memoria, Kubrick presenta molti flashback non soggettivi. Shining invece è l'emblema della perdita del controllo del mondo, quindi dello spazio e del tempo. È un film basato sulla figura del labirinto, anche l'interno dell'hotel è rappresentato come labirinto, come spazio impossibile in cui ci si perde e che è difficile abitare. Nella rappresentazione dell'hotel infatti ci sono molte incongruenze spaziali, a prima vista non risaltano, ma nel momento in cui se ne nota una si notano anche le altre. Molti hanno infatti provato a costruire la mappa dell'hotel che effettivamente non funziona. Gli oggetti si spostano, le porte si aprono qualche volta verso l'interno altre verso l’esterno, all'interno dell'hotel è presente il modellino del labirinto che effettivamente è diverso dal labirinto stesso visto dall’alto. Quindi in generale in Shining la perdita del controllo avviene sì su se stessi ma soprattutto sullo spazio. In Kubrick è lo spazio a dominare i personaggi che sono solo dei puntini. C'è un'analisi di un noto architetto finlandese che si chiama Juhani Pallasmaa, un articolo intitolato “Il mostro nel labirinto”e che sottolinea lo spazio architettonico in Shining come riflesso di alcune idee umane. Ritiene infatti che l'orrore deriva più dall'architettura che dalle vicende. Così come lo spazio anche il tempo può essere svuotato o proliferante. C'è una tendenza a perdere la progressività lineare per adottare una ripetitività circolare. di 52 55 Il cinema può essere quindi considerato il medium che si fa carico e porta su di sé la crisi della ragione.ù La crisi di cui Kubrick ci parla è una crisi di cui noi facciamo esperienza. Lui infatti ci fa sperimentare cosa significa ad esempio avere allucinazioni o andare in giro per una città trasognati. Perciò se la crisi è sperimentabile l'uomo è come se la conoscesse in modo carnale, con tutto il corpo. Questa esperienza corporea lui l’affronta soprattutto in “2001: Odissea nello spazio”. Confusione tra interno ed esterno —> in Shining attraversare i percorsi del labirinto (esterno) sembra attraversare i corridoi dell'hotel (interno). Spazio e tempo come soggetti attivi, semi umani o antagonisti —> infatti grande nemico di Jack è soprattutto lo spazio che non si lascia abitare. Oppure HAL 9000 che è il supercomputer di bordo della nave spaziale Discovery nel film “2001: Odissea nello spazio”. Non ho un corpo, è un po' ovunque e corrisponde all’ambiente in cui si muovono gli astronauti. Sono inoltre molto presenti le lotte contro il tempo (basti pensare alla temporalità di “2001: Odissea nello spazio”) e la voracità spaziale che fa sembrare che i personaggi che attraversano il corridoio vengano inghiottiti, ad esempio. Un esempio sulla temporalità lo troviamo in Barry Lyndon. È un film composto da inquadrature di ispirazione pittorica alquanto statiche. Quindi si evince una temporalità svuotata come se ci trovassimo di fronte a dei quadri, infatti i personaggi sono spesso immobili. Barry Lyndon ci restituisce il sentire di un'epoca a partire da un’arte visuale E ci sono degli effetti pittorici che Kubrick non trovandoli nel '700 li ricerca nel ‘600. Quindi c'è un po' di anacronismo. Le rappresentazioni sono settecentesche ma l'utilizzo della luce in ambienti diurni e notturni è ispirato alla all'arte seicentesca europea.
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