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"Estetica e modernità" di Joachim Ritter, Sintesi del corso di Estetica

Riassunto del manuale di estetica

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 05/03/2021

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riassunti_uni 🇮🇹

4.2

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Scarica "Estetica e modernità" di Joachim Ritter e più Sintesi del corso in PDF di Estetica solo su Docsity! Introduzione “l’estetica è conservazione o non è” Ritter: tradizionalista della modernità Riprende la teoria di Aristotele della razionalità della società civile e delle sue istituzioni etiche, e utilizza l’arte come punto di riferimento conservativo di un mondo visto come cosmo unitario (tutt’uno) La teoria estetica di Ritter influenzò molti pensatori di rango (Spaemann, Lubbe, Marquard, Rohrmoser); egli si chiedeva ogni volta che leggeva una teoria, quale fosse il significato descritto da tale teoria, e lo scopo del suo studio è quello di definire il ruolo dell’arte all’interno della modernità. Dopo aver analizzato e studiato tutti i concetti dei più grandi pensatori del passato, Ritter arriva alla conclusione dicendo che l’estetico mantiene in vita, in primis attraverso un’estetizzazione del non estetico. Cosa significa? L’ uomo, specialmente nella modernità, è più libero di ragionare, e può osservare meglio la realtà naturale e artistica. Ecco quale è il compito dell’estetica (nata nel Settecento) quello di annullare e conservare l’unità dell’essere, rivendicando una soggettività finalmente libera a se stessa. -Ritter nemico della scuola di Francoforte, e a favore della teoria Metafisica Il bello e il gusto sono i criteri alla base della comprensione di questo testo Compito di questo libro è quello di far comprendere a chi legge, che la verità scientifica non può piu fare a meno della verità estetica. Cap.1 “l’incontro di filosofia e arte” Stimolare e catturare L’estetica ha investito un ruolo importante per Ritter solo dopo la Seconda guerra mondiale. R è uno storico della filosofia molto attento a capire il suo tempo. Tutti i suoi studi sono approfondimenti del suo tempo. Afferma che la filosofia parla sempre del proprio tempo. I suoi interessi per l’estetica e quello dell’età moderna. R vede l’estetica come il frutto dell’età moderna. L’estetica ha avuto tante definizioni. Il termine viene coniato in Germania e viene dal greco e significa conoscenza sensibile. L’estetica nasce come disciplina filosofica a metà del 700. Bello e arte sembrano essere i due fulcri fondamentali dell’estetica ma non lo sono. L’estetica ha anche a che fare con la conoscenza sensibile. Ritter si attiene alla definizione del periodo dopo Kant “l’estetica è filosofia dell’arte”. Invece l’estetica può essere tante altre cose. L'estetica è filosofia delle arti e dell’arte. Negli ultimi 80 anni si sono avuti diversi tentativi di costruire un sistema che ritenesse di potersi rappresentare con una pretesa di universalità e questi tentativi con tutte le loro differenze coincidono nell’utilizzare i concetti di un'esperienza già data. L'arte viene vista come un oggetto che può essere fondato in una “realtà” che si dà anche senza l'arte e tramite un metodo teorico già altrettanto dato. l'arte stessa dice qualcosa di questa realtà e lo fa pretendendo di fornire una verità che in sua assenza non sarebbe visibile. il punto d'incontro tra filosofia e arte sembra il fatto che l'arte ci stimola in quanto conoscenza della realtà e affermazione sulla realtà. essa ci dice ciò che esiste. la sua essenza e di essere a sua volta un’interpretazione speculativa nel quadro di un mondo già interpretato. Ci dice qualcosa su ambiti che senza l'arte resterebbero inesplorati e per questo è una via verso la verità in quanto senza l'arte l'uomo vivrebbe nella non -verità. Nell'incontro di Goethe con la cattedrale di Strasburgo vediamo come è la cattedrale a colmarlo di sé e non lui a comprenderla. l'opera d'arte cattura e trascina verso nuovi orizzonti. Il genio entra in un mondo conosciuto e vi fa valere qualcosa di finora sconosciuto. l'uomo vero affronta i segreti e “accoglie la lezione del genio”. così l'incontro con lo sconosciuto produce la conoscenza di qualcosa di estraneo mettendo in questione la realtà data. La verità dell’arte Goethe Osservando la cattedrale di Strasburgo ritrova un elemento essenziale e cioè che la cattedrale è l’ineffabile (ciò che non può essere definito a parole). Ehi guarda la cattedrale come un'opera d'arte e osserva che come opera d'arte non porta più ad espressione il proprio contesto originario e cioè il fatto che sia opera per il culto finalizzata la funzione sacra e alla venerazione di Dio. la connessione tra la modernità e l'arte appare qui in maniera chiara in quanto l'opera d'arte è sottratto al suo significato originario, immagine sacra viene portata nel museo. Hegel Intuisce quali problemi comporta questo slittamento di senso e cioè l'arte che si pone nella sfera comune con la religione e la filosofia. A.W. Schlegel Parla di arte bella NON come ozioso divertimento ma come un'inclinazione basilare originaria dell'animo umano. F. Schlegel Parla dell’artista come rappresentante dello spirito più del filosofo. Nella “Repubblica” di Platone il filosofo conosceva la via verso la verità. il genio e un figlio degli Dei e un mortale con forza divina. all'artista viene attribuita la forza creativa e si tratta di determinazioni che altrimenti spetterebbero solo a Dio. La filosofia è al di sopra dell’arte. Platone nel suo dialogo “la Repubblica” si occupa degli artisti, descrive una società ideale per lui dove gli artisti non ci sono e se ci sono vanno cacciati perché per lui l’artista figurativo è un imitatore della realtà e crea delle illusioni che allontanano l’uomo dalla serietà es. chi va a teatro piange per cose illusorie. Per lui solo il filosofo conosce la verità, l’artista è quasi un mistificatore. La musica serve perché è matematica e la poesia è come fosse un ventriloquo degli Dei. Per Platone l’arte è tutto tranne che vera, mentre i romantici gli attribuiscono importanza per rivelare il divino. Per i romantici (fine 700 inizio 800) l’arte o l’estetica è un ambito autonomo con il suo ordine e la sua verità. Ritter dice che tutto questo sarebbe stato incomprensibile precedentemente. Nel medioevo l’arte non è una forma di verità e lo diventa solo quando l’arte cessa di essere considerata tecnica ma una forma di creazione. Ritter dice che disinteressata. Puro dal piacevole. Distingue anche il bello dal buono morale, per Plotino bello ha a che fare con il giudizio virtuoso e Kant lo rifiuta. K dice che il bello è puro e disinteressato ma perché allora mi piace? Evidentemente sulla base di qualcosa che non è solo mio, quindi mi aspetto che piaccia a tutti. Chiunque giudica bella una cosa sente che anche altri la giudicheranno così. K si chiede se quell’oggetto che chiamo bello abbia un fine e quindi distingue fine e scopo. A me piace che un oggetto abbia la finalità senza la rappresentazione dello scopo. Es. il pesce che guizza nell’acqua ha una certa finalità naturale ma non ho chiaro lo scopo per cui lo fa e non deve essere chiaro perché se lo fosse uscirei da un campo estetico. Se non ci appartiene un ordine finalistico le cose non ci risultano belle ma questo ordine non deve essere chiaro. Il bello suscita nell’uomo un libero gioco delle facoltà. Gioco libero delle facoltà vuol dire che tra intelletto e immaginazione nessuna delle due vince. Le due facoltà si vivificano a vicenda. Sono in conflitto giocoso in cui ciascuna delle due vuole il predominio senza averlo. Kant dice che questo produce nell’essere umano un sentimento di felicitazione dell’animo. Cos’è il bello per Kant? Un libero gioco delle facoltà conoscitive in quanto il bello piace in quanto le facoltà si vivificano a vicenda. K si chiede: una cosa mi piace e poi la comunico a tutti o viceversa? Io quando provo che una cosa è bella provo la comunicabilità universale di questo sentimento. Come se K dicesse io vado a teatro non per l’opera in sé ma perché ci vanno gli altri uomini. Per K trascendentale vuol dire la condizione di possibilità di qualcosa. Estetica trascendentale vuol dire: estetica che studia le condizioni di possibilità della percezione sensoriale (spazio e tempo) K distingue: - Bellezza libera, libera da qualunque adeguatezza concettuale - Bellezza aderente, aderisce ad un concetto che possediamo Nel dire che una casa è bella siamo legati ad un concetto di adeguatezza concettuale. La bellezza libera no, la bellezza pura è quella libera come ad es. conchiglia, fogliame. Il bello è un sentimento prodotto nell’animo del soggetto che percepisce qualcosa. Sono le forze dell’animo ad essere determinanti e non la realtà. K dopo aver parlato del bello, parla del sublime. Il sublime è diviso in: - Sublime matematico dato da forme e entità della natura estremamente grandi rispetto alle quali c sentiamo infinitamente piccoli (cielo stellato, cosmo etc.) percepisco la mia nullità - Sublime dinamico sono le entità della natura potenti rispetto alle quali mi sento una nullità (tempesta, terremoto, vulcano etc.) Mi terrorizzano tutti e due, quindi il mio piacere non è tranquillo, prima sono spaventato e poi mi piacciono. Perché mi piace ciò che inizialmente mi terrorizza? Kant dice che posso provare il piacere del sublime solo se posso vederlo a distanza e sono riparato, in sicurezza. Si, ma perché mi piace se mi spaventa? Kant dice che l’uomo difronte a fenomeni grandiosi della natura è spinto a produrre in sé stesso delle idee della ragione ancora più elevate. Kant distingue le idee della ragione da quelle estetiche Bellezza libera Bellezza aderente Sublime Le idee della ragione sono idee dell’intelletto e sono idee di qualcosa di cui noi non possiamo avere una verifica sensibile. Sono idee a cui nessuna intuizione sensibile può essere adeguata. Es. infinito è un’idea che la ragione pensa ma non ci può essere una rappresentazione sensibile dell’infinito Le idee estetiche sono intuizioni sensibili a cui nessun concetto intellettuale può essere adeguato. Un’idea estetica non si può mai portare a concetto. K dice che il sublime suscita in me la capacità di andare oltre i sensi. L’uomo viene esaltato dal sublime e le idee della ragione sono superiori a qualsiasi manifestazione sensibile. “il viandante sul mare di nebbia”, l’uomo si emerge al di sopra della nebbia, del burrone etc. La svolta soggettivistica di K si vede proprio nel sublime perché è più soggettivo del bello perché è più improprio attribuire il sublime che il bello Secondo K l’artista è un pezzo di natura, non si impara la genialità in quanto è qualcosa di innato. L’arte bella deve sembrare natura cioè deve sembrare prodotto in maniera priva di finalità, fatto in modo spontaneo. La natura bella deve sembrare arte perché deve sembrare che abbia un senso, una finalità ma non bisogna sapere quale sia questo scopo. Immagine e somiglianza L'opera d'arte e immagine e l'essere immagine appartiene alle cose in generale. le cose sono immagini sia dove sono visibili, sia dove trovano la loro visibilità in qualcos'altro e cioè nella copia che le rende visibili e lo si dimostra con l'uso stesso della parola “immagine”. In un primo senso l'immagine è ciò che si offre alla vista, nella quale un ente mostra se stesso a un altro ente. Ad esempio, il paesaggio e le stelle offrono un immagine e quindi non si tratta della copia di qualcos'altro ma ciò che le cose rendono visibile. La fotografia è allora una copia delle immagini del paesaggio. Una fanciulla e l'immagine della giovinezza e quindi in qualcosa di visibile può rendersi visibile qualcosa di nascosto. Immagine che le cose ci offrono può ingannarci (facciata) poiché qualcosa è celato dal loro aspetto. In un secondo senso l'immagine è un ente copia di qualcos'altro. essa non ha il proprio essere in sé ma in ciò di cui è copia. immagine ha il suo essere nell’archetipo. Sostiene Tommaso che la archetipo racchiude l'essere dell'immagine e lo conserva e quindi l'uomo, fatto a immagine di Dio, ha il proprio senso solo in relazione a Dio. Prima del romanticismo l’arte è stata pensata come una imitazione della natura (tutto il 700 è dominato da questa idea). Riuscire ad imitare cioè cogliere l’essenza di ciò che viene imitato. Ritter fa notare che la parola somiglianza è ambigua (es. l’opera d’arte somiglia all’artista di per sé questa frase non significa nulla). Nell’ottica antica è somigliante quando è come il suo archetipo Immagine come ciò che vediamo Immagine come archetipo Parola somiglianza Ritter passa a parlare dell’idea del classico nell’arte. Certe volte l’immagine focalizza l’immagine a cui si ispira creando un modello. (es. Don quichotte, Madame Bovarie). Cos’è un classico? Qualcosa che duri nel tempo ma anche qualcosa che stimoli l’archetipo (dice il prof). Il soggetto non crea le cose, non crea il bello (creazione disinteressata dell’essere) e tutti questi fenomeni di imitazioni, somiglianza non sono vere produzioni dell’uomo. L’arte lo può fare ma trascende la soggettività. Un’immagine fallisce quando si vede solo la corrispondenza banale con la verità. Una foto quanto più riproduce esattamente il soggetto tanto meno è artistica. La somiglianza dell’immagine e quindi una nuova interpretazione della realtà e in un certo senso proveniente direttamente dall’essere. Ritter dice che attraverso la storia dell’arte si impara a guardare determinate cose, conosciamo il mondo attraverso gli artisti. Imitare è una funzione normale dell’esistenza e quando viene elevata diventa artistica, archetipo e immagine si fondono. La critica di R è chiara: NO alla somiglianza puramente esteriore SI ad una somiglianza che coglie l’essenza del fenomeno imitato e lo rende archetipo. Somiglianza data dalla NON somiglianza. Una dissomiglianza esteriore può anzi significare talvolta la massima somiglianza. R vive nell’epoca dell’espressionismo (esprimere l’animo e il sentimento dell’artista). Gli espressionisti producono dissomiglianza esteriore per rappresentare qualcosa di autentico. Espressionismo vuole rappresentarci il mondo in un modo diverso da come lo vediamo, è la ricerca dell’essenza delle cose. Gli artisti sono mossi dalla passione per la rappresentazione di qualcosa. Van Gogh dipinge sempre la stessa cosa ma in modo diverso (Ponte di Arles). La tesi di Ritter è che il ponte cattura Van Gogh e non il contrario. Per R l’estetica è apatica cioè al centro c’è il pathos cioè come il soggetto creatore viene rapito dall’oggetto che vuole raffigurare in immagine. Gli artisti si dichiarano sempre rapiti dalle cose e sono spinti a riprodurne una somiglianza. È il fatto che l'artista sia colpito dalle cose a produrre la somiglianza, la cui origine però non è il creatore ma l’essere. L’idea dell’artista folle si diffonde nell’800. Schopenhauer lo descrive come un folle, senso alto della parola, diverso dagli altri che fa cose che gli altri non possono. Un artista non è sicuro che possa trasmettere quello che sa fare ad un altro. Tutto ciò tranne a Wagner (compositore), il quale si costruisce una carriera posata e non pare folle ma fin troppo scrupoloso nel costruirsi una carriera da artista. Il ritratto può diventare un problema per colui che viene ritratto. può infatti accadere di essere sopraffatto dall' estraneità e inaccessibilità del proprio volto. niente è un prodotto dell’opinione e della convenzione quanto l'immagine che noi abbiamo di noi stessi. essa costituisce un punto di tensione della nostra esistenza. Le rappresentazioni che ha di se stesso colui che viene ritratto devono essere esplicitamente espresse come l'aspetto, il rango e il portamento sociale. L’ordine dell’essere e l’opera d’arte Prima dell’età moderna è l’essere che chiede all’artista di essere rappresentato. Questa relazione si interrompe nell’età moderna a partire Somiglianza data dalla NON somiglianza espressionisti XR Estetica apatica Artista folle Burckhardt svolta nella visione della natura ragione. Per gli antichi la musica sta nella ragione e non si limita ai suoni che le orecchie sentono, il matematico è il primo che percepisce la musica dell’essere. Ritter dice che il fondamento della musica nell’età moderna è l’essere. PROMETEO: L’artista come rappresentante del mondo moderno Così termina il primo capitolo delle lezioni, il secondo capitolo si intitola “Prometeo” Per capire il mondo moderno dobbiamo prendere le distanze da ciò che è stato detto fino ad ora. Non si pensa più che l’artista debba conoscere l’essere per poterlo rappresentare. Emergono problemi più soggettivi (lamento d’amore dell’artista) oppure si inizia a pensare che il duomo è costruzione dell’uomo, non è più Dio il fondamento dell’edificare. R dice che è venuta meno la consapevolezza che l’arte derivi dall’ordine dell’essere ma è in funzione dell’uomo. Bello non è più un carattere dell’ente ma qualcosa che viene pensato dall’uomo, una produzione umana. E venuta meno la consapevolezza del contesto ontologico dell'arte. l'arte vale anzitutto come manifestazione dell’uomo in funzione dell'uomo e si sviluppa in questa direzione. L'artista e poeta, artefice e come tale si arroga la pretesa di fornire l'interpretazione del mondo della propria epoca collocandosi così al posto tradizionalmente occupato dall’uomo che sa, dal filosofo e dal teologo. e questo il presupposto della storia dell'arte come storia dello spirito. L’estetica dell’arte moderna si contrappone a quella dell’arte antica. Secondo Hegel l’arte evolve nella storia dello spirito perdendo il peso e la funzione primaria che aveva nell’epoca antica. Dal 17 secolo fino al 20 l’arte pretende di essere lei a rappresentare lo spirituale. L’arte moderna si vanta di essere rappresentazione della verità perché la crea. Per l’uomo moderno l’artista non rappresenta la società ma qualcosa che eccede, che va al di là del sociale perché è qualcosa di estremamente individuale e non ha a che fare con il sociale. Il mondo che un artista crea è il suo mondo. Il mondo moderno è scisso: - oggettivazione scientifica - soggettivazione estetica Cambiamento di pensiero Artista e poeta sul piano del filosofo e del teologo Mondo moderno scisso la rappresentanza collettiva (era la scienza, oggi l’economia) e quella individuale (era l’artista, oggi il mondo mediatico) si scindono. Le scienze e l’arte non possono pretendere di rappresentare tutto l’uomo e quindi da una parte la scienza e altra l’arte si scindono il compito di questa rappresentanza. Goethe come Leonardo sono due dimostrazioni di fusione tra scienza e arte. Dante è un uomo antico per la concezione di Ritter ma non pensava di creare un proprio mondo come Goethe. Nell’antichità la visione del mondo era unica e l’uomo può solo capirlo mentre nella concezione moderna pensiamo che in ognuno di noi ce ne sia una diversa. Goethe concilia individuo e mondo in quanto vuole esprimere sé stesso ma va a cercare anche la verità nel cosmo esterno. Questo dopo Goethe non succederà più. Dice Ritter nella modernità l’arte raffigura il mondo non come mondo ma come mondo riflesso nella soggettività. Prima l’artista riflette il mondo così com’è ed è soltanto un tramite l’artista dell’essere, ora l’artista raffigura un mondo che è il suo. Ritter non è mai nostalgico, per lui è importante che il mondo sia sempre più oggettivato (è quello che accade, è scienza) ma è anche importante che sia sempre più soggettivato attraverso l’arte. Nell’epoca moderna c’è un conflitto tra esistenza e oggettività e per poter trovare una qualche tipo di conciliazione, l’estetica nasce nell’età moderna. Perché l’estetica nasce nell’età moderna secondo Ritter? Perché il mondo moderno è scisso e l’oggettività non può pretendere di raffigurare l’uomo nella sua interezza, l’uomo deve anche essere raffigurato dal modo individuale e creativo dall’arte. Tutti i problemi che la scienza non tocca devono essere affrontati dal mondo estetico. Ritter afferma bruscamente che non è August Comte (primo scienziato sociale, quello che fonda la sociologia) ma Balzac a rappresentare la Francia del 1830. L’idea di un’affinità tra scienza e arte è stata trattata. Esempio del matrimonio: la scienza non ci dice nulla riguardo a questo e quindi lo fa l’arte “il principio della soggettività estetica: il paesaggio” L’artista antico faceva qualcosa che non era indispensabile, non era specifico; invece, nell’arte moderna, nell’età moderna ciò che l’arte esprime non può essere espresso da nessuna altra forma di sapere anche per quanto riguarda la scienza, la quale, ad esempio non può essere espressa dall’arte. Espressione estetica ed espressione razionale coesistono lo si vede, secondo Ritter, nel rapporto con la natura. La natura come mondo della vita (concetto coniato da Husserl, quando si parla di mondo della vita si intende il mondo della nostra vita quotidiana sottratto alla scienza, estraneo alle leggi scientifiche) dell’uomo sarebbe il paesaggio. La natura come paesaggio è un luogo dove noi cerchiamo noi stessi. Per Ritter il paesaggio è qualcosa che non ha a che fare né con la storia dell’arte né con la vita urbana. Per paesaggio lui intende quello che l’uomo cerca come natura incontaminata, ciò che non può trovare in città. Il terreno coltivato Perché l’estetica nasce nella modernità? La natura come mondo della vita dell’uomo è il paesaggio dall’uomo non è paesaggio per R. Paesaggio è natura incontaminata ma l’uomo ci deve essere per contemplarlo. Nell’antichità si pensava che qualcosa fosse bello indipendentemente dall’uomo mentre nell’età moderna ci deve essere un osservatore, qualcuno che percepisce. Quindi il paesaggio è una scoperta della modernità. Aspetto moderno: c’è bisogno di qualcuno che contempli la bellezza in modo estetico. Parlavamo del paesaggio. Per R è un concetto moderno, parallelo al sorgere dell’estetica in quanto la nozione di natura come paesaggio è moderna ed era impossibile in epoca medievale. Con il Rinascimento le cose cambiano. Per poter apprezzare la natura esteticamente è necessario che l’uomo si distanzi e ci vada solo in modo estetico. Ci vuole un atteggiamento contemplativo che chi vive e lavora con la natura non può avere. L'arte del giardinaggio appartiene all'architettura. il paesaggio all'inglese e natura stilizzata ed è diverso dai giardini alla francese anche.se comune entrambi e il fatto che la natura è qui assorbita nella sfera dell’esistenza umana. Qui la natura è paesaggio. Anche dove nella natura grandiosa e selvaggia troviamo un paesaggio, si tratta di una natura che rientra nell’orizzonte dell'uomo, il quale ne è sempre parte come osservatore. In un certo stadio di sviluppo l'uomo e allora un accessorio del paesaggio dipinto. Non è un mero ornamento figurativo ma rappresenta colui che contempla il paesaggio. Quando uno è minacciato dalla natura, non può avere un atteggiamento estetica, di contemplazione. La natura bruta è quella che noi chiamiamo fatalità, ordine naturale delle cose. Quando qualcosa ci minaccia o scappiamo o la attacchiamo. La scienza naturale riduce il soggetto. Riduzionismo cioè ridurre qualcosa ad un elemento di base. (es. non c’è nient’altro che la felicità è riduzionismo perché riduce tutti gli aspetti della vita alla felicità) Ridurre il soggetto vuol dire ridurne la portata, il soggetto è dipendente dalle leggi della natura. A partire da Copernico il centro del mondo non è più la terra. Ritter contrappone la concezione copernicana e quella tolemaica del mondo. Natura come paesaggio è il simbolo della nascita dell’estetica moderna. L’estetico moderno riabilita e preserva l’atteggiamento metafisico dei greci verso la natura, cioè la contemplazione disinteressata della natura, ossia la teoria ma la conserva sotto la specie estetica che ha un carattere moderno in quanto questo sguardo estetico sul mondo dipende dal soggetto. Ritter non è nostalgico, pur vedendo i difetti dell’età moderna. L’età moderna è una scissione: scienza della natura ed estetica della natura. Nel momento in cui l’uomo non contempla quel paesaggio, quest’ultimo diventa scienza della natura. “Scissione tra verità estetica razionale nell’estetica del XVIII secolo” La scienza riduce il soggetto Estetico moderno riabilita e preserva l’atteggiamento metafisico dei greci Ora l’arte si fonda sulla soggettività dell’artista viene ripresa da Kant, il genio non può insegnare. Ma Schiller rende più artistico il pensiero di Kant, mette l’artista al vertice del sapere rispetto al filosofo. Il genio non può spiegare quello che fa e il dotto non può essere geniale. il genio è il talento dell’arte bella, l’arte è la via reale per raggiungere la virtù. Shaftesbury, in ambito politico, insiste che a corte ci debbano essere gli artisti in modo tale che il politico possa essere consigliato da loro. Schiller sostiene che l’artista sia il modello ideale dell’uomo perché l’uomo è sempre scisso tra la tendenza formale e la tendenza materiale, cioè una tendenza a dare forma alle cose e una tendenza passiva a subire gli effetti esterni. L’artista è l’unico che con l’istinto del gioco riesce a unire queste due tendenze, il gioco è il modello dell’arte. L’umanità perfetta è quindi quella artistica e cioè quando tutti hanno una visione estetica per S. Secondo Ritter l’artista esprime una sfera di verità che non è riducibile alla verità scientifica in quanto è piena di presupposti ed essenzialmente basata sui sensi. La verità matematico scientifica non si riduce a quella estetica ovviamente perché è basata su astrazioni come i concetti, segue un metodo privo di presupposti e punta a qualcosa di universale e non di particolare Il problema dell'estetica di Baumgarten e che il concetto razionale non esprime il mondo che vediamo direttamente e quest'ultimo viene essere eliminato attraverso il metodo ma ciò che così viene eliminato resta libero e non trova più alcuna rappresentazione sul piano della ratio. Baumgarten si muove di per sè ancora sul terreno dell’uso razionale e didattico dell’arte. L'estetica non previene ha la certezza Suprema e tuttavia non ha in sé nulla di falso quindi l'arte si presenta come la forma perfetta della conoscenza sensibile anche.se questa definizione è correlata a l'essenza della verità logica. alla logica appartiene l'astrazione dove deve necessariamente eliminare tutto ciò che nella realtà non è riconducibile a concetti. Nell'arte viene rappresentazione ciò che è unico e la parte non razionalmente comprensibile della realtà è l’ambito dell’estetica. Il principio dell'estetico e quindi per Baumgarten nella sensibilità e da questo momento in poi l'arte risulta connessa a sentimento, gusto e immaginazione. Baumgarten attribuisce un’autonomia alla verità estetica. La verità estetica non perde aspetti della realtà che in realtà vengono perduti nell’astrazione concettuale tipica della logica e quindi della scienza Secondo R, B coglie il problema che verrà sviluppato e compreso a pieno solo dopo. Come lo si vede e come lo si pensa sono due cose diverse. La natura vista è patrimonio dell’estetica; la natura pensata è patrimonio della scienza. L’universo Copernicano non è più Verità artistica diversa dalla verità scientifica Per R il mondo moderno deve tenere i piedi in entrambe le verità: quella estetica e quella scientifica. Per Kant il problema: io giudico se qualcosa è bello. K distingue il giudizio determinante, quello di cui si serve la scienza in cui determino la natura di quella natura; e quello riflettente dove nel giudizio che esprimo manca l’universale ed esprimo un mio stato d’animo avanti a quell’oggetto. Per K noi giudichiamo in modo riflettente sulle forme della natura che la scienza non coglie come ad esempio la bellezza. Nel giudizio riflettente lui distingue due tipi di giudizi: 1. il giudizio estetico 2. il giudizio teleologico (giudizio sulle finalità della natura anche se non possiamo indicare quale sia) Da qui emergono alcuni problemi. In K l’arte non è ancora fondamentale, il suo problema è ancora quello del bello naturale. Per K il bello è fondato sulla sensibilità. K non dirà mai che c’è un parallelismo tra verità estetica e verità scientifica. Per lui il giudizio estetico si riferisce sempre ad un particolare e quindi la frase “tutte le rose sono belle” non andrebbe bene perché è universale. È la scienza ad occuparsi dei grandi numeri e quindi dell’universale. Ecco, quindi, l’unione tra arte e storia in quanto la storia si occupa di un singolo evento come l’estetica si occupa di quel determinato particolare, della sensibilità. Secondo B dice Ritter le cose ci si danno come fenomeni, cioè non come esse sono ma come si mostrano. Fenomeno vuol dire ciò che si mostra e cioè ciò che percepiamo attraverso la sensibilità. Non ci riferiamo all’estetico come le cose in sé ma come le cose ci si mostrano. Non ci importa cosa c’è dentro l’artista ma cosa l’artista ci mostra. Per K il bello è un giudizio libero, puro e disinteressato. Io giudico però se lo faccio in maniera libera, pura e disinteressata vuol dire che non dipende solo da me questo giudizio e che gli altri uomini la vedono come me. Ma come si fa ad essere sicuri di esprimere un giudizio libero, puro e disinteressato? K distingue sensibilità (le cose per come appaiono non ai sensi ma all’intelletto e quindi tramite spazio, tempo e 12 categorie logiche) e intelletto (leggi) affermando che non hanno niente in comune. Mentre per B sono sulla stessa linea in quanto si tratta della stessa natura. Se B avesse avuto il successo di K oggi parleremmo di verità estetica come una verità logica ma parleremo di una continuità tra i sensi e l’intelletto. Kant spacca in due la cosa: da un lato c’è l’intelletto e dall’altra c’è la sensibilità L’estetica precedente a K pensava che il bello fosse una proprietà delle cose. Per K non è così, ma è una proprietà dello stato d’animo del soggetto che percepisce. Teoria per i greci vuol dire contemplazione disinteressata dell’essere. Questo modo di contemplare in maniera disinteressata è rimasto nell’estetica secondo Ritter perché la scienza contempla l’essere ma soltanto per fini strumentali cioè per costruire, manipolare e modificare la natura. Nel momento in cui la scienza diventa tecnica perde il proprio carattere teorico che invece l’estetico mantiene. XK il giudizio estetico si riferisce ai particolari La scienza si occupa dell’universale Unione tra arte e storia XB le cose ci si danno come fenomeni Teoria per i greci Hegel ci fa capire che il mondo moderno è cambiato. Prima il boschetto “sacrale” è diventato legna da ardere. R ripete questa frase di Hegel. Se quel boschetto non fosse diventato legna da ardere oggi l’arte non sarebbe importante. “Il boschetto sacro è distrutto e non restano che legna e sentimento”: se prima il boschetto sacro era un pezzetto di natura adorato per il suo ordine cosmico, è diventato da un lato oggetto strumentale, materia, legna e dall’altro un flusso sentimentale del poeta, del musicista o del pittore. Quindi il sentimento soggettivo dell’artista dell’età moderna si incarica di salvaguardare quello che nell’antichità era salvaguardato dalla visione filosofica metafisica, della teoria. Non è più un’imitazione della natura ma una creazione prometeica. Prima l’arte era immagine di un mondo esistente mentre ora l’artista realizza un’immagine che crea un mondo. ciò che è stato ripudiato dal mondo scientifico, viene ripreso dal mondo artistico. Il gusto è un concetto che nasce in modo riflessivo nel 500/600. L’uomo di gusto è colui che sa comportarsi in maniera adeguata in diversi contesti. Questo concetto diventa via via sempre più teorico entrando sempre più a far parte di arte. Con il gusto si intende una facoltà di giudizio individuale e sociale che rientra nella soggettività e la cui origine è data da un je ne sais quoi (non so che) Il “non so che” è qualcosa che non si può spiegare concettualmente. Io non so cosa sia ma sento che. Il gusto in origine è un non so che in quanto giudica le cose senza specificare ulteriormente cosa sia. Il “non so che” viene usato alla specificità del gusto non riconducibile ad un concetto. È una logica ma non saprei dire il perché. Baltazar Gracian dedica al gusto un intero volume, fondato sull’uomo di corte che sa stare al mondo, qualcuno che si comporta bene, sa come parlare, come comportarsi ed ha gusto. Lui dice che il filosofare è privo di utilità nel mondo. determinate cose sono proprie del gusto che non si apprende nei libri o nelle scuole. Il gusto è basato sulla soggettività, sulla sensibilità. Il gusto è pieno di pregiudizi, i presupposti contano, cosa che non succede nella scienza. Secondo K quando sento che una cosa è bella, sento che è una bellezza universalmente comunicabile, non devo andare a comunicarla perché ho giudicato in modo disinteressato e quindi mi aspetto che gli altri lo vedranno come me. Se invece io trovo qualcosa “bello” e lo vado a comunicare non è bello ma piacevole perché vorrebbe dire che io puramente soggetto soggettivo trovo bello qualcosa e poi cerco di universalizzarlo dicendolo agli altri. Secondo K non c’è la fase in cui vado a dire agli altri che quella cosa è bella in quanto fa parte del trovare la bellezza trovare la comunicabilità universale. Montesquieu dice che il gusto è svincolato dalla ragione, dalle regole che ci dà la ragione. Il gusto invece ci vincola al sentimento. il gusto si sviluppa a partire dalla nostra natura psico-fisica. Noi applichiamo una regola ma non sappiamo quale dice Kant e Montesquieu approfondisce. Non c’è più il boschetto sacro Il gusto Je ne sais quoi Baltazar Gracian Pregiudizi XK bello universale Montesquieu Arte e religione si implicano a vicenda in questo mondo moderno e tardo romantico. L’arte vive di illusioni, nell’arte conta ciò che appare non cosa c’è dietro. L’arte continua a fare quello che la religione ha fatto per secoli: illudere per dare un senso all’esistenza. La lotta tra classici e romantici c’è in tutte le culture. Nei quadri di Friedrich l’uomo quasi scompare “monaco in riva al mare” è differente dal “viandante in un mare di nebbia”. Hegel è un nemico dei romantici e Ritter sta dalla sua parte (filosofia razionale) e da quella di Goethe e Schiller (classicisti). Ritter dice che Hegel la pensa come Goethe cioè non si può restituire tramite il sentimento ciò che la tradizione aveva presente nella forma della religiosità. Per Hegel l’arte ha vissuto 3 grandi periodi: 1. l’arte simbolica orientale 2. l’arte classica greco romana 3. l’arte romantico cristiana La tesi di Hegel è che l’arte non sia più in grado di esprimere la verità assoluta. In passato ha avuto questa forza, ora non più. H è contrario al romanticismo, non può recuperare il boschetto sacro. Per Ritter l’età moderna è età della scissione e l’uomo deve stare in questa scissione compensando il lato che manca. L’arte è conservazione e ripetizione dell’essere che è stato rimosso. Questo spiega l’arte nell’età moderna. Viviamo in un mondo spinto sulla razionalizzazione e sull’estetizzazione. “fantasia e genio” Fantasticare è considerato dalle persone razionali come un difetto. La fantasia ci rappresenta qualcosa che non esiste o che non è qua. Il principio dell’estetico moderno diventa la fantasia. Il romanticismo fa della fantasia l’organo della poesia e del divino opponendosi all’ascoltare tipico della tradizione, non si sta ascoltando il divino ma lo si sta creando. Il mondo della fantasia è il mondo degli Dei. L’idea che l’uomo imiti ciò che già c’è salta, ora l’uomo crea qualcosa che non c’è. Il rapporto della fantasia con la realtà è romantico. Per il mondo antico Dio ha creato il mondo e si esprime attraverso le cose della natura, per l’uomo moderno Dio si esprime attraverso l’artista. Il genio per i romantici è un pezzo della natura, per Kant è colui che non può spiegare quello che sa e che fa. C’è Dio e poi c’è l’artista. Nell’antichità è messaggero di un dono e poi ne diventa il creatore. Estetico è da un lato conservazione di un mondo metafisico che se no andrebbe perduto e dall’altro c’è la fantasia e quindi creazione di mondi nuovi. Non si tratta quindi di rammemorare solo un mondo perduto ma anche di sostituirlo con dei miti della fantasia. Il poeta diventa per definizione un veggente. L’artista per i romantici era: Ritter e Hegel Fantasticare L’uomo crea qualcosa che non c’è Il poeta è anche veggente - il sapiente per eccellenza - il sacerdote - il medico dell’umanità - il veggente dell’umanità un mondo privo di Dio o Dei ha bisogno di una compensazione di un mondo che si mantiene legato a forme divine o mitologiche e cioè il mondo dell’arte. In Hegel ci sono sempre i conflitti che però poi hanno una conciliazione, un happy end e Ritter è accusato di essere troppo Hegeliano, accetta troppo il mondo moderno, è troppo conciliativo Siamo nel ’46-’48 quando dice queste cose. Per R è fondamentale che ci sia alienazione purché ci sia esteticità. Come se per apprezzare davvero una forma d’arte sarebbe meglio che il lavoro ci maltrattasse perché poi noi vediamo l’arte come qualcosa di liberatorio al contrario di come potremmo vederla se fossimo tutto il giorno inglobati nell’arte. È un ragionamento che rischia di essere male interpretato. Fa un excursus su Don Chisciotte il quale sogna un mondo che non esiste. È una ripetizione di un mondo fantastico. “la morte dell’arte geniale (Nietzsche e Wagner)” La teoria è che il mondo moderno si trova in uno stato di scissione: riduzionismo scientifico dove vengono a mancare aspetti della vita che vengono invece presi dall’arte geniale. L’artista romantico rappresenta una figura socialmente compromessa, qualcuno che la società borghese tende a mettere ai margini. “la morte dell’arte geniale: Nietzsche e Wagner” (ultimo paragrafo) N si rende conto che la genialità dei romantici è puramente qualcosa di teatrale ma non ha toccato niente nella sostanza. N aveva fatto 4 considerazioni inattuali pamphlet contro le tendenze della sua epoca. N 1888 prende le distanze da W, il quale è una figura rilevante per l’estetica. Ha lasciato il concetto di “opera d’arte totale”, nell’opera lirica lui cerca di riunire tutte le varie arti. W è un tardo romantico però questa idea dell’arte come redenzione gli viene anche da aspetti politici in quanto è un teorico a tutto tondo. W diventa il musicista della Germania del tempo e questo a N non va bene. Nel primo scritto di N su W c’è il dubbio che un uomo sofferente non possa trovare sollievo nell’arte. La cultura gli pare sempre più un abito, qualcosa che ci si mette solamente addosso. Prima grande opera di N è la “nascita della tragedia” dove spera nella rinascita tramite W della tragedia greca in terra tedesca. Tutto N è tranne che un nostalgico, c’è sempre eroismo nell’azione. L’arte perde valore nel secondo periodo di N. Lui è un filologo, il quale non smetterà di amare il mondo greco ma pensa che la tragedia greca non possa rinascere nel mondo moderno. N va cercando la vera arte attraverso la scienza, la fisiologia, l’astronomia etc. la critica di N è verso un’arte che si limita Alienazione purchè ci sia esteticità Nietzsche e Wagner a giocherellare. W è considerato un autore tragico, rappresenta l’eroismo tragico. N ha come riferimento Kant (idea secondo cui conosciamo solo le apparenze del mondo) e Schopenhauer (il mondo è sorretto da una forza di vivere irrazionale, cieca, non ha alcun senso. Non c’è Dio e non c’è ragione dietro al mondo). N volge in positivo il pessimismo di Schopenhauer, gesto eroico, che consiste nell’accettare nella vita tutti gli aspetti anche quelli dolorosi e negativi. Perciò esalta i greci con le loro tragedie. La tragedia greca muore quando subentra il razionalismo che riesce a spiegare. La tragedia è anche quello che accade non essendone colpevole, Edipo (tragedia greca) è colpevole di cose che non sa: uccide suo padre e va a letto con la madre ma è stato abbandonato da neonato. Questo senso del tragico è ciò che spinge N a vedere la vera arte nella tragedia greca. Per Platone gli artisti andavano eliminati, per N l’arte è l’unica forma di redenzione, solo attraverso questa è capibile la vita. N poi inizia a pensare che l’arte sia solo un divertimento, un supplemento non serio della vita seria. 1870-1890 scrive tutte le sue opere. N saluta le parole d’ordine del romanticismo in quanto gli pare una mascherata priva di incidenza sulla vita reale. R ha detto qual è la sua posizione nel 1946-48: dice che l’arte geniale è finita e che dovrebbe tornare ad occuparsi di una visione estetica presente nel mondo antico. Posizione non modernissima, R torna indietro. Genio e tiranno si somigliano Secondo ciclo di lezioni 1962, guerra finita, Germania in ripresa 3 citazioni: 1. Hegel disinteressato al bello naturale. Il bello artistico viene descritto come una domanda rivolta ad un animo e allo spirito 2. Schelling, dice che l’arte non è passata come per Hegel l’arte non è più il modo supremo di manifestazione dello spirito 3. Niezsche Lontano dagli antichi maestri che guardano solo con gli occhi In questo secondo ciclo di lezioni abbiamo quattro capitoli. 1.cap L'estetica come filosofia del bello e dell'arte e lo smarrimento del suo problema originario L’estetica si presenta come teoria del bello e teoria dell’arte nel corso del XIX sec. Esistono le cose ed esiste un loro lato cioè la bellezza di cui si occupa l’estetica. (ontico= di ciò che esiste) La bellezza è una qualità delle cose ma non è indipendente dal soggetto, la bellezza è colta dal soggetto. La bellezza sussiste per qualcuno che la contempla. Io assumo un atteggiamento estetico e quindi vedo il bello delle cose, se non lo assumo vedo la funzionalità e altre caratteristiche. R parla di Hartmann Hartmann dice che lui non scrive l’estetica per gli artisti ma per il pensatore, è un’estetica filosofica che cerca l’elemento filosofico nell’arte. È qualcosa per chi assume un atteggiamento filosofico. L’estetica del 700 indaga i sentimenti suscitati nello spettatore, l’estetica romantica è quella dell’artista, della sua genialità. È possibile distinguere un’estetica dell’opera che non si concentra né Hartmann Estetica filosofica Musei e gallerie d’arte trasformano le cose, le mettono tutte insieme in quanto sono accomunate dall’artisticità. Allo spettatore si chiede di avere lo stesso tipo di atteggiamento contemplativo per tutte le opere. André Malraux scrive “il museo immaginario”: gli oggetti diventano opere d’arte grazie al museo. Attraverso le sue citazioni Ritter ci fa vedere come le opere d’arte vengono guardate meno come opere in sé ma ci importa come l’artista le ha realizzate. Questo comporta l’assolutezza e l’astrattezza dell’arte. L’assolutezza e l’astrattezza dell’arte Nella trasformazione dell'immagine antica, che una volta trasportato nello spazio dell’arte perde la propria antica collocazione storica, per acquisire nel museo o nella mostra, un proprio spazio specifico come opera d'arte, e esemplare manifesto quello che l'arte è e diventa nel mondo moderno. Immagini: quello che si mostra, è un’immagine di un archetipo (primo esemplare assoluto). Dall’archetipo si distingue l’immagine prodotta come copia. L’immagine va usata per vedere l’archetipo e non l’immagine in quanto tale. L’immagine sembra procedere per somiglianza. Ritter parla di questo. Immagine è copia di qualcosa di superiore per quanto riguarda la religione e presentifica qualcosa che altrimenti sarebbe invisibile (il mondo sacro). Le immagini hanno un potere e l’hanno sempre avuto. L’arte iconica presuppone che sia il creatore che il fruitore conoscano ciò che viene rappresentato. L'immagine non è autonoma ed ha il proprio essere nel contesto per il quale e nel quale deve presentificare e rappresentare visibilmente qualcosa. In un certo senso la storia dell'arte fornisce dunque al presente, anche.se storicamente a posteriori, la conoscenza storica del contesto dell'archetipo su cui si fonda tanto la produzione quanto la contemplazione dell’immagine. Rilke “le cose… ricordo”: le cose per come le hanno conosciute gli uomini del passato noi le abbiamo conosciute in modo diverso. Immagini usate per vedere l’archetipo Le immagini NON sono autonome Rilke Paul Klee Rilke parafrasa Goethe, l’artista conserva per definizione. Per Ritter l’arte è conservazione. Ritter cita Cezanne (pittore) … Paul Klee dice che la pittura non dipinge cose ma rende visibili le cose. Rendere visibile come se senza pittura le cose non fossero visibili. Questa è la genialità di interpretazione dell’arte. L’arte perde il ruolo figurativo in quanto diventa creatrice di mondi. Viene citato Elliot il quale afferma, parlando di un fiume, che possa essere divino mentre la vita di tutti i giorni ce lo presenta come un luogo normale da sorpassare con un ponte etc.… Ritter analizza le poesie di Elliot le quali sono conservazione di un mondo sacro che altrimenti sarebbe perduto e R è consenziente a questa visione. Ritter dice che la filosofia deve indagare perché l’età moderna ha bisogno di arte assoluta e astratta, perché se no sarebbe perduto. Hans Sedlmayr : pensatore che respinge l’arte moderna dopo essere diventata stratta e assoluta e quindi la classifica come decadente. Decadenza come perdita del centro, abbandonare il centro dice che è abbandonare l’umanità. Per lui l’arte moderna assoluta è una patologia, decadenza moderna, è un aspetto della rivoluzione interiore che precede la Rivoluzione francese. La chiama “immensa catastrofe interiore”. Sin dal 1760 dice Sedlmayr un’interpretazione della storia dell’arte moderna come sintomo di un declino. Ritter è sensibile a questi argomenti ma da buon Hegeliano dice che non è compito del filosofo essere nostalgico, il filosofo deve guardare il proprio tempo e capirlo e in questo caso capire a quale bisogno l’arte assoluta e astratta risponde. S vede anche il museo come un declino poiché collabora. Il museo dissolve le religioni e le sostituisce con l’estetico. Ritter dice che è vero che accade questo, tuttavia la resurrezione dell’opera d’arte del passato non è la sua negazione ma acquisizione di autonomia. Le opere del passato diventano arte in quanto assumono una presenza estetica che prima non avevano. Il concetto tradizionale di arte Il “poeta divino” e la filosofia Stando all’uso linguistico ordinario nel mondo moderno arte vuol dire innanzitutto “Arte figurativa” e cioè le mostre d'arte. il termine art design però anche sinteticamente tutte le arti come l'arte poetica e quella figurativa, l'architettura, la musica eccetera. questo duplice significato del termine arte ha cominciato a essere in connessione con il processo che vede le arti trasformarsi in arte assoluta e, come afferma Hegel, in arte vera. La funzione guida dell’arte figurativa si connette e contrappone in modo ancora poco osservato, alla prima emergenza di quel principio interpretativo in virtù del quale per quasi due millenni la filosofia stabilito la collocazione comune alla poesia e alle Belle Arti. questo principio interpretativo e la “mimesi” cioè limitazione. Un principio adottato dalla filosofia all’indomani del paragone platonico tra la poesia e l'opera figurativa dei pittori in quanto tanto il poeta quanto il pittore sono “mimetes”. R è favorevole alla resurrezione delle opere Stando all’uso linguistico di “arte” Pittore e poeta Mentalità greca pittore è artigiano L'opera sia del poeta sia del pittore consiste nel realizzare una copia di qualcosa, così come il pittore anche il poeta si limita a ravvivare i colori servendosi di nomi e frasi. Per la mentalità greca il pittore e un artigiano e quindi inferiore alla sfera sia dello spirito sia della cultura in quanto il pittore produce quadri come il falegname fabbrica una sedia. questo nesso è fatto valere espressamente da Platone il quale afferma che ciò che il pittore fa riproducendo in immagini l'essenza delle cose lo spiega rimandando al falegname il quale in quanto maestro e artefice fabbrica una sedia concreta. Anzi non è neppure come il falegname ma solo una mimesi e quindi inferiore anche il falegname. La poesia svalutata è così trasferita nella sfera del lavoro manuale e delle arti produttrici un gesto segno di rottura è una provocazione tramite cui Platone mette in dubbio la sua stessa provenienza e cioè l'antica cultura greca. Conflitto tra poesia e filosofia nell’avvicinamento Platonico. P fa notare che è un conflitto memorale. Nell’antichità era la poesia la forma principale di educazione, ora non è così. Omero era la fonte educativa per eccellenza. Il conflitto più che filosofico è pedagogico: chi ha il diritto di insegnare? Tutti tranne la poesia per Platone. Platone non dimentica mai di lodare Omero, sa di doversi confrontare con lui però lui è realista e si chiede cosa insegna davvero e come fa a sapere cosa insegna? Il motivo del conflitto per P è la Polis: chi deve guidare la città ideale? La filosofia per P Il filosofo più avere parte del compito poetico ma non il contrario. “il simposio” dialogo di P dedicato all’amore dove parla il filosofo Socrate. I poeti erano rapsòdi, cioè uno che girava di città in città recitando a memoria le poesie altrui, soprattutto i versi di Omero. Non solo, come diceva Platone, non era un cantante di verità ma come diremmo noi era un cantante di repertorio, non era roba sua. Per Platone conta la verità e solo il filosofo vi può mirare. C’è un continuo tra poesia e filosofia prima di Platone. Esiodo (primo grande tragediografo) racconta la teogonia (origine degli Dei) dove troviamo un atteggiamento filosofico. Fin dall’origine la poesia si presenta come una memoria che se no andrebbe persa. La poesia era per Esiodo tutto, era voce degli Dei, memoria di un ordine altrimenti perduto e educatrice di verità e di valori. Quindi il compito che è sempre stato della poesia era di mostrarsi a servizio di un Dio, mostrare l’ordine divino delle cose e quale sia la retta via nell’epoca in cui questo ordine non è così immediato ed evidente per tornare ad un ordine razionale. Tra una filosofia che si richiama agli Dei e una Platonica (come quella di Esiodo) c’è molta differenza. Perché P espelle i poeti? Perché la poesia non sarebbe più in grado di fornire ciò che è comune. Nella “Repubblica” P dichiara che l’ordine della città ideale della Polis ci sarà quando i regnanti saranno filosofi: I filosofi devono regnare (volenti o nolenti) perché vengono considerati da P uomini perfetti. P afferma che o i filosofi diventano regnanti o i figli dei re imparano la filosofia. Questa dottrina dei re filosofi oggi è un po' esagerata dice Ritter. Il poeta lascia il posto al filosofo. Conflitto pedagogico Poeti rapsodi Prima di P c’è continuo tra filosofia e poesia Esiodo Perché P espelle i poeti? storia ci racconta dei fatti puntuali mentre l’opera d’arte, secondo Aristotele (quindi la tragedia), descrive ciò che può accadere, qualcosa di essenziale nella vita umana. L’arte si innalza verso l’essenza dell’umanità e non verso i particolari. Per Aristotele l’arte ha un significato filosofico ed universale. Schopenhauer dice che l’opera d’arte raffigura l’idea di qualcosa. Per Platone è solo copia. Per Aristotele è qualcosa di universale. Tipico della mimesi è presentificare coi diversi strumenti delle arti rappresentative e cioè colore e forma, storie e suoni, ritmo e armonia eccetera quello stesso oggetto che la filosofia e le scienze che le appartengono colgono scientificamente come teoria. Ritter ha sempre in mente la concezione greca di “teoria” quindi contemplazione disinteressata degli Dei, del cosmo. Teoria in origine voleva dire contemplazione di una vicenda religiosa. Ritter è difensore di quello che l’arte contemporanea può avere in comune con la filosofia. Aristotele dice che imitare le cose non significa imitare cose che non esistono come diceva Platone, ma che non importa cosa rappresenti basta che si possa conoscere l’essenza. L’arte liberale come mimesi nell’essere nel mondo fondato sulla ragione Le arti liberali sono le ortiche come arti rappresentative mirano al sapere. Essere nel mondo traduce un’espressione della filo di Heidgher, vuol dire esser qui. Che cos’hanno tutte le arti liberali in comune? Le arti liberali erano poesia, musica, dramma, teatro, danza, arte figurativa. Manca il romanzo, il cinema il quale non nasce come arte. Il significato della fondazione delle arti liberali tramite la mimesi risiede da un lato nel fatto che questa nazione da unità al fondamento e allo scopo delle arti liberali, dall'altro il concetto di mimesi definisce ciò che le arti liberali sono in un mondo il cui soggetto è l'uomo come essere razionale e il cui presente e di conseguenza la prassi sviluppatasi in arte e scienza, ossia la regione divenuta realtà effettuale. È qui la potenza del concetto di mimesi nella storia europea. Koller ha mostrato che la mimesi appartiene originariamente ha la stessa sfera della poesia divina. Essa proviene dalla danza culturale, dalla danza di guerra, dai riti di iniziazione eccetera. Egli osserva che le consuetudini di danza dei primi avi, ad esempio, la danza circolare intorno ad oggetti sacri del mondo greco, contengono una rappresentazione del comportamento e delle azioni degli animali. Così come il poeta entusiasta e invasato dalla presenza di un Dio che si serve della sua voce, così la mimesi significa originariamente quella presentificazione diretta che è la possessione (in questo caso, Il Opera d’arte per Schopenhauer, Platone e Aristotele Koller: mimesi come possessione danzatore perderebbe l'auto controllo acquisendo posseduto nella maschera sia il potere sia le qualità degli Dei rappresentati nella danza). Scienza e arte si dividono il mondo e sono in qualche modo complementari. La svolta tra Platone e Aristotele: P considera le cose del mondo imitazioni delle idee, ma non di tutte le cose ci sono imitazioni (?) A sa che molte nostre cose sono imitazioni della natura ma evidentemente la tecnica dell’uomo produce qualcosa che in natura non può esserci. Esiste la lana ma non la maglia di lana, esiste il legno ma non la sedia. In A c’è la teoria dell’atto e della potenza. La sedia diventa l’atto di ciò che il legno è in potenza. Imitare significa in questo caso che l'uomo nel fabbricare guarda alla natura come a un modello affinché il prodotto come artefatto possa rappresentare qualcosa di già dato in natura. Per A la natura è quello che si produce da sé. Per i greci la distinzione tra natura ed artificio era questa: natura è ciò che si produce da sé e non si dovrebbe toccare. L’albero è naturale, la sedia no. L’arte secondo Ritter nell’età moderna è presentare l’essenza delle cose ma non in maniera astratta, attraverso forme sensibili che sono quelle che noi percepiamo o anche quelle che non percepiamo (es. Don Chisciotte). La mimesi accomuna tutte le arti liberali. Il tratto comune per Ritter è questo, presentificare l’essenza delle cose attraverso forme sensibili e non astratte. Mentre la scienza cerca l’essenza delle cose in forma astratta. Per Aristotele la natura è ciò che si produce da sé. Cosa si sviluppa da sé? Un fiore. Ciò che si sviluppa da sé e non si dovrebbe toccare. Platone ci ricorda che la sedia fabbricata è secondaria dall’essenza della sedia che (ammesso che esista) è già presente in natura. La mimesi di cui Ritter parla è cambiata, ora si produce un’opera che rappresenta qualcos’altro che risulta fittizio. Bisogna cogliere l’essenza dei fenomeni e l’arte lo fa in un modo tutto suo: nel sensibile (forme, colori…) Il concetto di mimesi definisce quindi il compito delle arti liberali nel mondo divenuto prassi razionale: l'arte rappresentativa fa apparire sensibilmente la verità nel rappresentato, l'arte liberale può fare apparire ciò che la scienza e cioè la condizione presente del mondo, comprendere il concetto razionale solo sensibilmente nella rappresentazione. Il concetto di scienza costituisce la verità delle arti liberali così come il concetto della struttura numerica dell'essere è la verità manifestata dalla musica. Le arti liberali rappresentano analoga mente come questa sedia come coppia rappresenta l’universale “sedia” presupposto dall'arte produttiva e compreso in quanto tale dalla Scienza e arte si dividono il mondo A sa che le nostre cose sono imitazioni della natura La natura è quello che si produce da se L’arte è sensibile, la scienza è razionale scienza. È in questo far apparire il vero che risiede la grandezza e la profondità dell’arte liberale ma tutte le cose che le arti liberali fanno apparire nel sensibile catturando l'uomo e impressionandolo, il concetto razionale produce come tali traendole dalla realtà effettuale che di tali cose è il fondamento. Baumgarten dice che c’è una Veritas estetica e una Veritas cognitiva ed è la tesi anche di Ritter. Le arti liberali rinviano al di là di sé stesse. Solo se il filosofo riflette sulle arti è in grado di capirne questa essenza mimetica. Ritter cerca in queste pagine disordinate di salvare anche Platone. Le arti liberali giungono alla loro verità tramite il concetto filosofico. C’è un passo in cui Platone caccia i poeti. Dice che ci sarebbe utile una poesia che sia politicamente utile. Lui descrive una Polis ideale dove la poesia spieghi cosa è bene e cosa e male. Parla di una poesia che dice di cose che la ragione ha già stabilito. Ma se un’arte dicesse le stesse cose che la ragione ha già stabilito non avrebbe ragione di esistere. A noi serve un’arte che dice cose diverse dalla ragione se no ci basterebbe la scienza. All’interno della Polis è la musica il modello di arte liberale. Platone dice che anche la musica è cambiata in quanto è fatta più per piacere. P riflette sul fatto che la capacità dell’uomo di imitare le cose è connaturata all’uomo. Noi impariamo le cose spesso imitandole, per P la mimesi sarebbe il modo in cui si impara tutto. Questa diventa arte. Anche la retorica sarebbe lo sviluppo di qualcosa di innato nell’uomo: noi accusiamo gli altri e difendiamo noi stessi con degli argomenti già nella vita quotidiana, il retore non fa che sviluppare come capacità specifica questa dote dell’argomentare sempre per Platone. Non accetta che l’arte si veda come una forma di riposo, lo vede come degrado. Non si può svalutare la musica come mero divertimento, veniva considerata come la ginnastica, il disegno, la grammatica etc. La musica è un’arte liberale. Aristotele associa la musica all’uomo libero. È l’associazione che si faceva per le opere frutto di libertà è per quelle NON frutto di libertà (se uno costruisce una sedia su comando non è un’opera libera, la musica si). BANAUSICO: è un’arte non libera, attività puramente strumentale, finalizzata a qualcosa. La musica era un esercizio libero, per l’amore, per gli amici… Dalla musica non si producono cose necessarie o utili, essere esclusi dalla sfera della necessità significa essere uomini liberi. (sempre parole di Aristotele) non ha nessuno scopo, è solo libera e bella. I greci amavano molto l’ozio, segno di libertà, e la musica ne contribuisce. L’ozio era possibile in una società in cui non si doveva lavorare. Nel momento in cui però non ci sono più gli schiavi non c’è più distinzione tra liberi e NON liberi. Nel tempo c’è stata la condanna dell’ozio soprattutto nel cristianesimo. Ozio = tempo libero = perdizione = peccato. Per Aristotele tanto più un’attività si può svolgere nell’ozio tanto più è elevata. È un lavoro libero, in quanto tale non è un lavoro. È ozio. Fare attività senza alcun fine. La musica non è divertimento banale in senso basso, il riposo e il piacere che ne derivano non sono quelli dell’ozio (?) L’ozio non è inattività ma libertà. La felicità per A è il piacere, come uno stato interiore di libertà. Il vertice delle attività libere per Aristotele è la filosofia, la vita filosofica, l’uomo è felice solo quando filosofeggia. Oggi un problema filosofico è qualcosa di negativo, quando qualcosa non funziona nella tua testa nasce una domanda filosofica. Per i Greci la filosofia nasce dalla meraviglia per l’essere, l’ordine cosmico. Per noi nasce da un problema. Aristotele mette il vertice della felicità nella teoria, contemplare la beatitudine degli Dei, partecipare alla comprensione del tutto. Vertice delle attività libere è la filosofia paesaggio. Secondo Burck noi italiani saremmo stati i primi ad arrivare a questo godimento della natura, visione rinascimentale del mondo. Il punto iniziale non è Dante in quanto dice che un poeta se non sa esprimere quello che dice anche in maniera filosofica non è un poeta. Per capire Dante bisogna conoscere tante cose filosofiche e quindi non è una poesia autonoma. Petrarca sarebbe stato il primo a manifestare questo nuovo sentimento della natura secondo Burck. Petrarca scrive delle lettere ai familiari perché fa una scalata al Monte Ventoso 1336 (a cavallo tra medioevo e rinascimento). Nelle lettere descrive questa ascesa. Petrarca dice il motivo per cui ascende al monte Ventoso: è abituato alla vista di questo monte e ci sale per contemplare dall’alto per contemplare il paesaggio. Lui ripete quello che si legge nella storia romana di Tito Livio: Filippo Re dei Macedoni ascende dal monte X per poter vedere come da un monte si può controllare un eventuale conflitto militare. Questo è un lato non moderno di Petrarca, imitare quello che è già stato fatto dagli antichi. Per Petrarca quello che Filippo fa lo poteva fare perché era un re, un normale cittadino non avrebbe potuto ascendere il monte per gli stessi motivi nell’antichità mentre oggi si, può contemplare il paesaggio. Racconta la scalata, incontra dei montanari che gli chiedono cosa stesse facendo e risponde che è normale che per chi vive nella natura non può contemplarla. Petrarca continua a salire nonostante il montanaro gli dica che su non ci sia nulla da vedere. Altro elemento non moderno di Petrarca è che ha bisogno, per accettare ciò che sta facendo, un motivo allegorico dargli un significato ulteriore. Sente il bisogno di vedere la sua ascesa anche come un viaggio religioso: interpretazione allegorica di una semplice scampagnata. Per giustificare sé stesso si rende conto di dover interpretare la sua scampagnata allegoricamente come una forma di elevazione dell’anima. Salire in montagna significa purificarsi dalle cose corporee. La montagna sacra è comune in tutte le religioni e chi ci sale sta facendo un’ascesa mistica. Quando arriva alla vetta si trova in difficoltà da uomo non completamente moderno. In cima comincia ad avere dei dubbi su quello che ha fatto. Di fronte al paesaggio si sente in colpa, invece di godersi la vista, si tortura chiedendosi cosa ha fatto in questi dieci anni, prova un senso di colpa per la propria vita precedente. Quella che doveva essere una contemplazione esterna si tramuta in una contemplazione interna. Dice di aprire un libro che si era portato (cosa difficile perché il libro è pesante) e legge una pagina a caso (dice): una pagina di Agostino il quale afferma che gli uomini erano già curiosi e andavano in giro alla ricerca di cose nuove ma li accusava perché così facendo trascuravano sé stessi, la propria anima. Petrarca quindi si sente colpevole e criticato da Agostino. Si sente in colpa in quanto quello che vede dalla cima è terreno, da importanza ancora alle cose puramente terrene anche dopo l’ascesa. Accontentarsi del mondo vuol dire accontentarsi di ciò che esiste, mentre un cristiano dovrebbe aspettarsi dal futuro cose migliori. Con la scalata di Petrarca inizia la grande storia del nostro andar fuori nella natura come paesaggio, l’ascesi al divino e alla totalità come natura che si offre alla vista, diviene essenziale per la natura come paesaggio. La pittura Ascesa mistica Senso di colpa quando arriva in cima Criticato da Agostino e la poesia anche hanno aiutato ad orientarci verso la natura. Nella filosofia la natura è sin dall’inizio oggetto della teoria. È in primo luogo tutto quel ciò che esiste per natura: gli animali e le loro parti, le piante e le parti elementari dei corpi come terra, fuoco, aria e acqua. In secondo luogo è la totalità onnicomprensiva di tutto quanto esiste per natura e vi è presente come fondamento(arche). Comprendere la natura, ovvero quello che esiste già da sempre, vuol dire comprendere il divino, la natura nella sua totalità. La natura nel suo insieme, assunta ora nel tempo mondano, secolarizzato, sotto l’influsso stoico come universum e anche come corso delle cose, è concepita da un punto di vista cristiano come opera di Dio e come creazione. Per Agostino è un segno della creaturalità l’essere buono di tutto ciò che esiste in quanto esiste, come la diretta appartenenza dell’essere bello all’essere buono. Tutto ciò che esiste rinvia a Dio quale proprio fondamento. Nel contemplare la natura intera presente come bellezza l’uomo si eleva alla visione di Dio e alla bellezza stessa. Si potrebbe dire che questa scalata sia un’estensione in una nuova forma di questo volgersi alla natura come totalità in quanto ascesi a Dio. L’elemento nuovo sarebbe solo il paesaggio. Il senso del paesaggio quindi risiede nella tradizione della teoria filosofica e religiosa della natura. Nella natura nella sua interezza così come nell’unità e nella bellezza dell’universo è ravvisabile il divino che sta a fondamento di ogni cosa solo perché lo spirito grazie al concetto razionale di scienza, si svincola dal riflesso sensibilmente percepibile e si innalza all’ordine e struttura numerica dell’ente. L’ unità e la struttura riflesse nel sensibile sono ora concepite come tali in forza del concetto razionale della teoria scientifica, sia che tale teoria ascenda platonicamente a ciò che esiste sempre come essenza separata dal sensibile, sia che essa colga nel sensibile un’ essenza universale preclusa alla percezione ancorché presente nel sensibile. Quando vede e contempla la natura l’uomo non presta attenzione a se stesso; Agostino afferma dunque che il decoro delle cose non può essere colto dall’intelligenza dell’uomo, poiché il senso con cui si coglie la bellezza sarebbe più elevato del senso umano, e le si da il nome di fede. Petrarca assume l’atteggiamento di Agostino, non è legittimo ammirare le cose terrene. Quello che prima era un rivolgersi a Dio diventa un’ammirazione per le cose terrene. Trascendendo il sensibile, comprendendone la struttura si rimanda a Dio, il senso che si limita al riflesso della bellezza resta invece cieco per la bellezza in sé, per la cui conoscenza è necessaria la fede. La natura quindi diviene di conseguenza paesaggio, implicando così che lo spirito volga il proprio sguardo, passando dall’ascesa all’incorporeo e al solo concettualmente accessibile al sensibile, per aprirsi nel divino. Con la sua scalata Petrarca ha dato inizio a quel processo storico in cui la natura come paesaggio coesiste con la natura concettualmente compresa, per poi diventare la totalità che sia decisiva per l’interiorità dell’uomo. Il nostro senso comune ci dice che il mondo così com’è deve essere migliorato se no non crederemmo alla scienza e tante altre cose. Secondo Burck. dopo questa scalata di Petrarca inizia la storia del paesaggio in occidente. L’idea di paesaggi belli c’è sempre stata. Il luogo ameno (bello, che rallegra la vista, idea di luogo perfetto) c’è sempre stato come il boschetto. L’idea di scalare luoghi reali senza fini è nuova. Petrarca è a metà tra Medioevo e Rinascimento. Agostino Petrarca X Burckhardt l’idea di paesaggi belli c’è sempre stata Da Petrarca a paesaggio moderno passano due secoli. Il paesaggio non c’è fino alla pittura moderna. Paesaggio: la natura della “vita terrestre” esteticamente mediata Nella geografia del 19 secolo si è soliti parlare dei paesaggi come di tipiche strutture formali della superficie terrestre, i cui elementi decisivi sono la crosta terrestre di pietra, acqua ecc. Non viene associato al paesaggio un significato filosofico come quello di Kant ( unità di fenomeni secondo regole e leggi) ma di un osservatore che appunto osserva una determinata porzione della superficie terrestre: quindi il paesaggio si costituisce nello spettacolo offerto all’osservatore che si trovi in una certa posizione. I paesaggi secondo Alexander von Humboldt sono delle vedute della natura. Il paesaggio è natura, presente nell’orizzonte di un soggetto che la contempli. Il paesaggio si dà come spettacolo per colui che fuoriesce nella natura stessa e in questo andar fuori si lascia alle spalle la natura strumentalmente concepita, ossia la natura sfruttata per far fronte ai bisogni e scopi che tali bisogni suscitano. Prima della scoperta del paesaggio nella scalata di un monte si vedeva solo un pellegrinaggio alla residenza di Dio o degli dèi. La natura come paesaggio esiste solo per chi va fuori per usufruire di una libera contemplazione sensibile, distinguendosi così anche dalla teoria della natura come totalità. L’arte si distacca nel mondo moderno come arte vera dalla tradizione della mimesi e si assume l’onere di esprimere una verità inesprimibile coi concetti della filosofia e scienza. La storia del paesaggio mostra che la sua categoria è quella estetica, che vi scopre una natura che la poesia e l’arte devono esprimere. Nel XVIII secolo è Henry Home il primo a elaborare nei suoi Elements of Criticism il concetto di paesaggio come presenza estetica della natura, mediata dall’arte bella. L’arte in cui rientra la natura come paesaggio è l’arte del giardino intesa come arte bella e come l’arte prediletta dell’epoca. Il giardino in quanto opera dell’arte del giardino non è l’orto, ma il giardino del piacere. Nozione di giardino riflette abbastanza la concezione di paesaggio. Il paesaggio diventa arte. Il giardino offre uno spettacolo di varietà ma limitato in quanto è circoscritto. Deve essere percepito in una sola veduta (la natura non lo è mai). Henry Home parla di un giardino che può suscitare vari tipi di sentimenti. La scelta di allestire certe parti del giardino in un certo modo è Natura come paesaggio per chi va fuori Henry Home prima che elabora il concetto di paesaggio Arte del giardino La natura presente (cielo e terra) come paesaggio è materialmente la natura a cui variamente accede la vita degli uomini: tra l ‘eterna altezza ed il baratro interno un sentiero protetto accompagna il viandante. Questo sentiero mette in comunicazione il monte per il viandante che va fuori con l’agro animato del mondo contadino che vive nella natura e la cui unità è data dalle strade che uniscono le terre e dal fiume. Colui che s’inoltra nella natura come paesaggio, trovando nella natura che abbraccia la vita terrestre il proprio rifugio, non è tra coloro che vivono nella natura. Per chi abita in campagna la natura non è ancora quindi un paesaggio, il cui presupposto è il libero andar fuori (transcensus) ma l’ambiente circostante; chi vive circondato dalla natura è per Schiller “gente felice dei campi”. Diversa è la natura quando viene intesa come paesaggio; non appartiene a chi ancora vive nella natura, ma a chi, uscendo fuori e dando accoglienza alla natura, fugge dalla propria esistenza ormai scissa dalla natura. Abbandona così un esistenza scissa dalla natura circostante e a essa ormai estranea: il viandante viene derubato della dolce visione, il suo spirito è estraneo alla natura che abbraccia l’abitato ed è estromesso dalla natura circostante. Si fonda così la scissione e l’andar fuori nella natura; Schiller chiarisce che il potere che bandisce in luoghi selvaggi i fauni del bosco innalzandosi dal cuore di roccia è la città turrita. Il paesaggio della Passeggiata così facendo però potrebbe sembrare una semplice separazione tra città e campagna, ma sarebbe una conclusione superficiale. Secondo Schiller la città è in quanto luogo della civiltà la condizione della libertà e della convivenza umana; guardando retrospettivamente all’antica polis, la città è detta il mondo etico, in cui arde il senso per la legge degli avi. In esso dal cielo discendono in terra le divinità beate e vi prendono dimora. È nella vita urbana, nella lotta ardente delle forze in contesa che la libertà dei coloni del genere umano produce qualcosa di grandioso. La libertà include oltre alla proprietà e al libero scambio, la sottomissione della natura allo sfruttamento dell’uomo. Altrettanto fondamentale è la scienza; la società ha bisogno di persone istruite che colgano lo spirito creativo, saggino della materia la forza, ed è questa scienza ad aver emancipato l’uomo dalla natura circostante, e trasformata la natura in oggetto, lo ha reso un soggetto, cioè un essere libero. Decisiva per Schiller è la nascita della società borghese e della sua concretizzazione politica nella Rivoluzione francese (si parla sempre di libertà). Sul piano astratto queste due cose si fondano sul rapporto oggettivante con la natura reso possibile dal lavoro. Schiller lo definisce “stato di natura” nello stesso senso in cui Hegel parla della società come sistema dei bisogni. Limitandosi alla natura come oggetto di sfruttamento e alla soddisfazione dei bisogni col lavoro, la società lascia fuori di sé l’esistenza etica e personale dell’uomo nella sua soggettività. L’ uomo diventa così legislatore della natura: l’uomo esiste come uomo fisico e non come uomo morale, poiché quest’ultimo è solo problematico. Finchè l’uomo nel suo primo stato fisico, accoglie in sé solo passivamente il mondo sensibile, egli è ancora affatto una cosa sola con esso, e proprio perché è semplicemente mondo, per lui non c’è ancora un mondo. Egli deve cessare di essere schiavo della natura. La necessità della metamorfosi della natura in oggetto della legislazione pratica e teoretica dell’uomo quale suo soggetto implica l’estraniamento della natura circostante, da terra e cielo come elementi della vita terrestre dell’uomo inteso come soggettività e come identità con se stesso. Schiller utilizza la formula dello spegnersi delle stelle perenni: la natura perduta nello spegnersi delle stelle perenni è la natura della vita terrestre in senso Distinzione superficiale tra tolemaico, la natura che è al di sotto del cielo visibile e che appartiene all’uomo in quanto natura della vita terrestre. La scissione della natura è quindi la scissione tra natura copernicana e natura tolemaica, oppure come dice Kant, tra la natura secondo concetti e la natura come la si vede. La scissione è determinata dal fatto che la natura tolemaica della vita terrestre non è più espressa dal concetto di natura delle scienze naturali; la natura come oggetto presuppone anzi che l’uomo, tanto per conoscerla quanto per sfruttarla, si sbarazzi dell’esistenza etica dell’uomo. Dove quindi la natura diventa la natura copernicana della scienza e della prassi sociale, alla concettualità scientifica è estranea la natura della vita terrestre. La verità dell’essere e della natura come totalità non è più la verità della vita terrestre. La concettualità della scienza teoretica e della filosofia spezza quindi la tradizione secondo cui ci si eleva dalla bellezza visibile alla bellezza in se stessa. La natura secondo concetti, portata cioè al proprio concetto, non ha più nulla a che fare con la natura della vita terrestre presente nella vista; è su questa scissione che si fonda storicamente la scoperta della natura come paesaggio estetico. Il paesaggio è la natura della vita terrestre, nel suo rapporto con la soggettività; quando la ragione non comprende più la natura con i propri concetti, è la soggettività a mantenerne viva la presenza, subentrando alla teoria razionale nell’ascensione dal sensibile alla totalità. La soggettività accoglie questa natura, e ne diviene il supporto. La natura come totalità, ora presente in qualità di paesaggio alla libera soggettività( fuoriuscita dal contesto che lega la società e la natura per essa oggettiva) e alla sua sensibilità , non trova più il proprio concetto nella scienza. La soggettività sensibile si assume il compito di rappresentare ed esprimere, quella natura che rientra nella vita terrestre della soggettività. La natura sopravvive come paesaggio grazie alla mediazione estetica e poetica. Lo sviluppo dell’arte paesaggistica e della poesia sul paesaggio appartiene, stando a Burckhardt alla costruzione della moderna scienza della natura e della prassi sociale che sulla natura si basa. Il mondo della soggettività trova espressione e rappresentazione estetica nella poesia e arte. Quando la scissione tra la natura oggettiva e la natura circostante, tra la vita terrestre dall’uomo nella sua soggettività e il suo essere sociale, diviene la condizione d’esistenza della libertà, sarà la categoria estetica, fondata sul sentimento, ad affiancare la categoria concettuale della natura oggettiva. Nella passeggiata di Schiller l’uomo che non abita più nella natura, non ne riceve più il suo sostegno; ciò che per la società preserva la natura è solo la soggettività. L’andar fuori nella natura può come processo estetico spingersi al di là di questa natura. Colui che è andato fuori è ora sospinto in una natura che gli è estranea, e trovaFare clic o toccare qui per immettere il testo. solo una sicurezza apparente nella soggettività della natura terrestre. Rilke concepisce il paesaggio come “natura etranea”; questo perché l’uomo è diventato più piccolo, non è più il perno dell’universo. È perché si dà un uomo di questo tipo che l’arte valorizza come paesaggio la natura esterna. Chi avesse a scrivere la storia del paesaggio resterebbe anzitutto abbandonato ad un elemento estraneo. La natura richiesta dall’arte paesaggistica è la natura come totalità, una natura estranea che nulla sa di tutte queste cose e di noi, poiché l’uomo la pratica da secoli unilaterale: la natura estranea, dove si colloca ora l’uomo, non è dunque la natura agreste ma la natura che si presenta come estranea nella forma di esistenza con cui la sfruttiamo. Il grande paesaggio che si lascia alle spalle l’elemento idilliaco tipico del romantico, è la natura estranea. L’arte deve condurre l’uomo al mondo che Natura secondo concetti e natura della vita terrestre gli è proprio e a se stesso in modo tale da condurlo alla presenza della natura estranea, da riportarlo in questa natura. Nell’ arte paesaggistica l’uomo è raffigurato come se fosse privo di una propria vita specifica e come se la sua vita fosse la medesima di quella pianura, di quel cielo e di quegli animali da cui è circondato. La natura ora è estranea, privata della familiarità, e l’uomo sta cercando in tutti i modi di poterci rientrare. Non essendo il paesaggio una natura definita, ma una natura in rapporto con la soggettività ancorchè non espressa in questo rapporto, in quanto categoria estetica include l’essere nel mondo della soggettività come non identico né alla società né al concetto di natura proprio della società. La natura agreste, un tempo rivelata esteticamente dall’arte con la fatica propria di ogni scoprire, può e deve quindi essere nuovamente abbandonata (come natura romantica) se si vuole realizzare il compito estetico, consistente nel far sì che la soggettività riconosca nella natura stessa il proprio mondo. Alla fine, il paesaggio romantico è quindi solo il bel paesaggio del riposo e del tempo libero. Cap.4 la soggettivazione del bello come categoria estetica Il concetto metafisico del bello Il tratto inquietante dell’estetica classica e della filosofia dell’arte è che in esse Kant, Schelling ed Hegel chiamano bello ciò che l’arte assoluta esprime e rappresenta. L’estetica di Kant ha come oggetto nel primo libro, Critica del Giudizio, l’Analitica del bello, a cui si aggiunge un analitica del sublime. Hegel esprime una forte attenzione verso il regno del bello e dell’arte; inquietante è il fatto che l’arte moderna post-romantica si definisce invece, sia nel trattare direttamente un oggetto, sia quando riflette su di sé, nell’emanciparsi dal vincolo del bello. L’arte moderna pare non avere a che fare niente con quello che era il fondamento dell’arte, il bello. Si cerca in Platone ed Aristotele l’origine dell’estetica, Alfred Baeumler fa perciò iniziare la sua “storia dell’estetica” con “l’idea platonica del bello”. In Platone la riflessione estetica scaturisce non dall’arte, ma dall’apparire del bello. La filosofia dell’arte ha quindi un inizio bizzarro, è figlia dell’Ellenismo, di Plotino, e per merito di Platone. L’estetica affermatasi nel XVII secolo come nuova scienza si sviluppa nel contesto del platonismo inglese (Cudworth, More,) e soprattutto in Shaftesbury, in stretto rapporto con la teoria neoplatonica del bello. Il concetto del bello in Kant e Hegel sarebbe quindi neoplatonico, avrebbe un origine platonica. L’arte diventa assoluta e vera. È solo con questa trasformazione e con le sue conseguenze che il concetto del bello diviene il concetto principale ed egemonico dell’arte. Tradizione neoplatonica Arte assoluta Kant Schelling e Hegel sorgere e a cui l’arte deve la superiore valutazione. L’arte che Kant ha in mente è in trasformazione; per lui, la poesia include ancora l’oratoria ossia l’arte di trattare un compito dell’intelletto come un libero gioco dell’immaginazione , anche se per lui è un arte che si sottrae alla sfera dell’arte estetica e della poesia. Egli ammette che la poesia è vera, leale, mentre la lettura di un oratore del popolo romano, o di un politico attuale è un arte subdola. Per Kant nella pittura rientra il giardinaggio, che combina l’adornamento del suolo con quella stessa varietà di cose ( prati, fiori, cespugli ecc) con cui la natura lo presenta all’intuire, solo composta diversamente e adeguata a certe idee. Sopra questo mondo, dove vi sono anche la bella musica, la bella natura, pittura, è associato un mondo sviluppatosi in Inghilterra fatto di pensieri di contenuto penetrante, di tragedia. Per Kant questo mondo è presente come natura quando si contemplano le alte querce, le ombre solitarie in un bosco sacro o nel calmo silenzio di una sera d’estate. Kant già nel 1764 muove alla definizione del bello: esso vi è definito in relazione alle differenti sensazioni del piacere, fondandosi per lui non tanto sulla costituzione delle cose esterne che lo suscitano, quanto sul sentimento, connaturale in ogni uomo, per cui le cose esterne suscitano piacere o dispiacere. Questi sentimenti vengono associati da Kant all’uomo, che è in grado di godere di un enorme piacere, che non è cosa da poco. I sentimenti più fini, sono invece riferiti all’eccitabilità dell’anima, la quale rende quest’ultima capace di emozioni virtuose, o anche perché denota capacità intellettuali. Questi sentimenti sono il bello e il sublime; entrambi suscitati dalla vista di qualcosa, ma tra loro distinti. Mentre il bello è un senso di piacere piacevole che è però giulivo e sorridente, il sentimento del sublime è caratterizzato da un elevato sentire di amicizia, di disprezzo del mondo, di eternità e tristezza. Il fondamento del bello e del sublime è cercato nel soggetto: per distinguere se qualcosa è bello oppure no, noi riferiamo la rappresentazione non all’oggetto per la conoscenza ma al soggetto e al suo sentimento del piacere e del dispiacere. Il principio di determinazione del giudizio estetico non è un concetto che fornisca la conoscenza di un oggetto, ma si fonda sempre su principi soggettivi. Un giudizio è quindi estetico perché il suo principio di determinazione è non un concetto, cioè una qualità dell’oggetto, ma il sentimento nel gioco delle facoltà dell’animo. Il fondamento del bello per Kant non sta nell’oggetto ma nel sentimento. Il sentimento del soggetto è il principio di determinazione, il sublime si fonda solo su noi stessi; Kant ne spiega il significato con l’esempio di un prato verde. Il suo colore verde è una sensazione oggettiva, cioè la percezione di un dato sensoriale, il suo essere bello viene invece concepito come la sua piacevolezza (sensazione soggettiva). Tutti questi concetti (sentire, soddisfazione, piacevole, ecc) sono da Kant direttamente mutuati dalla psicologia del sentimento e dalla psicologia della sensazione del suo tempo. A differenza della metafisica, l’estetica per Kant, cerca il suo principio non nell’ente ma nel soggetto. Così piacere e dispiacere, provare sentimenti e sentire, sono definiti delle forze dell’animo, nelle quali l’animo trova la propria inclinazione. Il sentire è definito il sentimento vitale dell’animo, in cui il soggetto si sente se stesso. Kant ravvisa così nella tonalità d’animo, nel moto e nel suo sentire, lo strato profondo della natura. Nella teoria di Kant centrale è il gusto; esso rientra, così come i concetti di piacere e dispiacere, non solo nella psicologia, ma anche nella sfera del comportamento sociale frutto di educazione: quando il bello ma anche il giusto e il doveroso non sono più trasmessi e legittimati socialmente tramite regole e ordinamenti etici fissati dalla ragione, è il gusto a fare e dire la cosa giusta. Con esso il sentimento e il sentire subentrano alla ragione quali organi del giudizio e della decisione. L ‘essenziale della teoria del gusto sta nel fatto che esso viene in primo piano come caratteristica di qualcosa che manca. Fondando il giudizio estetico sul gusto, Kant insedia l’arte in un ambito dell’esistenza non sottomesso alla ragione e alle sue regole. Quindi il gusto si riferisce alla soggettività, a sentire il piacere e il dispiacere, al senso. Gusto è la facoltà di giudicare un oggetto mediante un compiacimento, e tale oggetto è il bello. La soggettività si assume, nel sentire e provare sensazioni, il compito attribuito alla ragione. Ecco un primo risultato della teoria dell’arte bella; si è già ricordato che il problema dell’arte vera, vale a dire dell’arte non più in rapporto mimetico col mondo espresso nel concetto della ragione, consiste nella pretesa di esprimere nella medesima sfera della filosofia e della religione una verità rappresentabile con l’arte. La domanda sul fondamento dell’arte si trasforma nella domanda sul fondamento del bello artistico. Ora il bello è privo di ragione, di fondamento, il bello diviene estetico quando si esprime attraverso l’animo che sente e prova sentimenti, e che solo nell’animo si rapporta. L’arte ha il proprio fondamento nel senso, cioè nel sentire e provare sentimenti della soggettività. Il sentimento per Kant è fondamentale, come la soggettività e il sentire/senso. L’oggetto della filosofia non ha più la forza di includere quanto è essenziale per l’uomo in quanto uomo. La svolta della teoria estetica rispetto alla metafisica sta appunto nel fatto che il fondamento basato sull’ente, sull’essenza, viene abbandonato per abbracciare poi la soggettività, della sensibilità dell’animo. Cosa comporta questa trasformazione dalla filosofia dell’arte alla psicologia? Nel bello l’arte è ora generalmente estranea alla realtà come sfera dell’oggettività. Nella teoria ermeneutica circoscritta alla storia l’arte e la poesia hanno una funzione solo storica, sono espressione di nazioni, culture e di tipi di mentalità. Kant concepisce qualcosa di bello come la forma con cui in esso qualcosa ci parla. Nella vivace sensazione del bello si annuncia, nella serenità splendente l ‘attrattiva della natura, la quale ci parla attraverso le modificazioni della luce, o della vibrazione sonora; Kant può così dire che la lingua con cui la bella natura ci parla sembra avere un senso superiore, il canto degli uccelli annuncia gioia e contentezza della propria esistenza quasi che fosse il fine della natura. Di contro alla riduzione psicologica del bello a funzione espressiva di qualcosa di solo interiore, fondamentale per l’analitica kantiana del bello e del sublime, è che nonostante la svolta che li fonda nell’animo soggettivo, la metafisica correlata al sublime e bello non va affatto perduta. Sopravvive in relazione al sentimento di soggettività. Ciò che è bello e sublime nella contemplazione estetica sensibile non è quindi l ‘oggettività degli oggetti nel senso delle loro cose, ma proprio ciò che nell’oggettività rinvia al di là di sé: la lingua della natura ha un senso superiore. L’ordine della totalità, altra teoria di Kant, consiste nel fatto che la pianta di un prato in quanto pianta e l’animale in quanto animale divengono ciò che essi sono per natura, integrandosi di conseguenza nell’ordine unitario della totalità, conformandosi alla totalità in quanto fine. La metafisica emigra così nell’estetica. Il sublime viene anche detto l’infinito in senso assoluto: è in quanto vera e immutabile misura di base della natura il suo tutto assoluto, il quale nella natura in quanto fenomeno, è infinità raccolta in una comprensione. Il rapporto estetico con il sublime presente al sentire della contemplazione sensibile presuppone che l’animo senziente sia consapevole dell’inadeguatezza del proprio sentire rispetto alla ragione e alla sua idea. Il sentimento del sublime è quello dell’inadeguatezza. Il bello con questo passaggio da metafisica ad estetica è l’unico modo in cui possono presentarsi la totalità e l’esistenza umana in quanto totalità. L’essere e cioè la totalità in quanto metafisica, è presente solo nel bello, solo nel sublime. La differenza tra il bello e il sublime è che sul piano estetico, il sublime ha totalità e senso assoluto, nel bello vi è l’ente in quanto conforme alla totalità, come parte di un fine. Il cielo rappresenta da sempre la visibilità dell’onnicomprensivo ordine divino del mondo, ragion per cui la rappresentazione estetica si incarica di rendere presente quello che di per sé si esprime in modo metafisico nel mio mutevole essere in un mondo veramente infinito. Il mondo inteso come totalità può essere presente solo nella contemplazione del cielo stellato. Le arti diventano arte estetica, e hanno per oggetto sia il bello sia il sublime, perché hanno per contenuto quell’essere della soggettività nel mondo che non coincide né con la realtà oggettiva della scienza naturale né con la società fondata sulla natura. Scienza del bello e arte bella sono i concetti alla base dell’estetica di Kant. Portatore di questo mondo dell’arte l’artista è ora quindi il genio, l’arte non può essere assolutamente l’opera di un maestro.
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