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Età giolittiana - Storia italiana durante il governo di Giolitti, Appunti di Storia Contemporanea

Riassunto cap 13 'Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi'

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 29/04/2017

lauraiax97
lauraiax97 🇮🇹

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Scarica Età giolittiana - Storia italiana durante il governo di Giolitti e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 13 Giolitti Dopo le dimissioni di Crispi ci fu il ritorno al potere di Rudinì. Il suo governo fu caratterizzato da una spinta conservatrice e da un regime di tipo autoritario. Le prime tensioni esplosero nel 1898 dopo l'improvviso aumento del prezzo del pane ed i conseguenti tumulti popolari. Rudinì proclamò lo stato d'assedio e l'8-9 maggio il generale Bava Beccaris sparò contrò la folla a Milano provocando un centinaio di morti. Dopo un periodo di ostruzionismo si susseguirono una serie di governi fino all'attentato che uccise il re Umberto I. Il governo Zanardelli-Giolitti si caratterizzò per la municipalizzazione dei servizi pubblici (gas, elettricità,..) e per la neutralità nel campo dei conflitti del lavoro. In concomitanza con l'aumento delle organizzazioni sindacali si verificarono una serie di scioperi che portarono ad un sostanziale aumento salariale per gli operai. . In realtà egli non resse il governo in tutti questi anni: faceva parte del suo modus operandi passare il testimone della politica ai suoi avversari politici, in modo tale che trapelasse la loro incapacità governativa e potesse tornare indisturbato al governo. L’ età giolittiana coincise con il decollo industriale italiano: in questo periodo l’ industria italiana vede lo sviluppo di alcuni suoi settori (principalmente siderurgico, elettrico e meccanico) e il sorgere di alcune importanti industrie nazionali, come la Fiat, la Lancia e l’ Alfa Romeo. L’ attività industriale era circoscritta in particolare in un’ area di grande fermento, denominata “triangolo industriale” e i cui vertici erano le città di Genova, Torino e Milano. Anche l’ agricoltura conosce un notevole sviluppo, in particolare nell’ area padana, grazie all’ introduzione di più recenti e efficienti tecniche produttive. Tale sviluppo economico è da ricondurre all’ intervento statale operato dal governo Giolitti. Venne adottata una politica economica di tipo protezionistica, attuata con l’ imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, in modo tale da dare impulso all’ economia nazionale: il risultato fu che l’ industria settentrionale crebbe, mentre economia del sud fu danneggiata in quanto fu ridotta l’esportazione delle sue colture nel mercato europeo. A questo sviluppo industriale contribuì anche il finanziamento delle nascenti banche miste, fondate con l’ aiuto di capitali esteri, soprattutto tedeschi. Il progresso economico proiettò sia luci che ombre nella realtà italiana: migliorò il tenore di vita degli italiani, evidente nelle città, dove si poteva usufruire dell’ illuminazione elettrica e di efficienti sistemi di trasporto pubblico; nelle case circolava l’ acqua corrente e il gas; migliorarono in generale le condizioni igieniche in seguito ai provvedimenti presi in campo sanitario, il che portò ad un’ estensione della vita media della popolazione. Effetto del decollo economico fu il trapianto di masse popolari dalle campagne nelle zone industriale, che si riversavano nelle città nella speranza di condizioni di vita migliori: ciò comportò il sovraffollamento di quartieri, spesso malsani e degradati, in cui si concentravano principalmente gli operai delle fabbriche. Nel partito socialista italiano si scontravano due ideologie diverse tra loro per l’ approccio con il quale la società doveva essere riformata: i riformisti (guidati da Filippo Turati) ambivano ad un gradualmente miglioramento della società con le riforme, mentre i massimalisti, tra le cui personalità spicca quello di Benito Mussolini, erano dell’ opinione che il cambiamento della società poteva ottenersi ricorrendo ad una rivoluzione e non scendendo a patti con il governo borghese. L’ azione politica di Giolitti fu denominata “del doppio volto” per la sua ambiguità e la contraddizione nel modo in cui operava: egli infatti affrontava in modo diverso i comuni problemi che attanagliava sia il nord che il sud della penisola. Al nord, il suo atteggiamento nei confronti delle rivendicazioni operaie era piuttosto permissivo. Giolitti pensava infatti che l’ Italia non possedeva in sé il gene della rivoluzione, e comunque non si sarebbe espresso se si poteva ricorrere a forme di protesta legali come lo sciopero. Per questa ragione, nel primo decennio del XX secolo le rivendicazioni operai trovarono ascolto, e con il varo di alcune riforme la classe operaia potè beneficiare di alcune migliorie, come lo stabilimento dell’ orario di lavoro massimo a 10 ore, la Cassa nazionale per l’ invalidità e la vecchiaia dei lavoratori, diversi provvedimenti volti a tutelare la maternità delle lavoratrici e i fanciulli (l’ età minima per poter lavorare fu innalzata a 12 anni) e un cospicuo aumento salariale (che ebbe anche un riflesso economico in quanto incrementò il potere d’ acquisto della popolazione). Conseguentemente, al nord si diffuse un clima generale di benessere economico. Meno pacifico fu l’ approccio nei confronti dei tumulti meridionali, che furono prontamente stroncati dall’ intervento delle forze dell’ ordine: agli occhi di Giolitti, il sud appariva soltanto come un serbatoio di voti da riscuotere in periodo di elezioni ed estorti con la corruzione e le minacce. Giolitti perseguì nel programma espansionistico italiano, messo in atto anche dai precedenti governi della Destra e della Sinistra Storica. Due furono i principali motivi che spinsero il leader a prendere questa decisione: Vigeva ormai la necessità di aumentare il prestigio internazionale del paese, per poter aumentare la risonanza del paese presso l’ opinione internazionale e sancire quel nuovo status d’ importanza che gradualmente stava raggiungendo il paese in seguito ai più recenti successi in ambito economico e socio-politico; Dare ai braccianti del sud un’ estensione di terra di cui poter usufruire e quindi creare occupazione nel Meridione. Fu cambiato il bersaglio delle mire espansionistiche italiane: non più l’ Etiopia, bensì la Libia (questa terra era già diventata meta d’ emigrazione di vari concittadini). Pertanto, nel 1911 ci fu una terza campagna espansionistica che fruttò al paese la firma del trattato di Losanna, che cedeva il dominio della Libia all’ Italia. In realtà l’ opinione pubblica non fu
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