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Etica e infinito riassunto e appunti, Appunti di Etica Sociale

Riassunto "Etica e infinito" di Levinas e appunti delle lezioni del prof Riva

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 14/04/2022

michela-cirillo-5
michela-cirillo-5 🇮🇹

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Scarica Etica e infinito riassunto e appunti e più Appunti in PDF di Etica Sociale solo su Docsity! ETICA E INFINITO La distrazione da sé, ovvero: la prossimità, il sociale LA DISTRAZIONE Nel libro compare due volte un’immagine astronomica: - Sole: il cogito riesce a coglierne l’immagine solo facendo di sé quella stella del firmamento Dis-astro di questo fare di sé stessi la leva sulla quale sollevare il mondo. Dis-astro≠ catastrofe. Il dis-astro rende possibile che l’uomo si arrocchi solo su sé stessi. Disastrarsi da sé= etica/sociale. Se la distrazione da sé è possibile, lo sono anche - La libertà - Un mondo che sfugge alla necessità - L’umano diventa possibile trascendere da sé stessi Solitamente della distrazione si considera solo il lato negativo e pericoloso, ma c’è un distrarsi che rimanda a un’attenzione diversa, che allontana da sé rimanendo presso di sé in un altro modo, un modo diverso di essere che non è più un semplice prolungamento scontato di sé. - Essere distratti: caduta di lucidità mentale, disattenzione - Distrarsi da sé: inaugurazione di un mondo diverso, il mondo dell’umano. La distrazione da sé accade nel quotidiano, senza accorgersene, accade: - Nella lettura - Nel discorso - Nell’Eros - Nel figlio - Nella responsabilità per altri Distrazione da sé= ingresso dell’infinito nell’esistenza perché rompe con ogni definizione, è lo sgretolarsi della ripetitività delle proprie faccende, è quindi la socialità stessa. LA LETTURA Leggiamo per ogni cosa, le indicazioni, per studio, un leggere di tipo strumentale, spesso leggiamo ma non ci accorgiamo di farlo, lo facciamo come scambio di informazioni, una lettura informativa. È differente quando, stanchi di questa lettura, si legge qualcosa che ci assorbe, non è più una lettura strumentale, il tempo scoppia, si trova un altro tempo, la vita si distrae, ci si accorge di vivere un’altra vita, quella dei personaggi. C’è dunque una differenza tra i due tipi di lettura, nella lettura strumentale si continua ad essere noi stessi, nel secondo tipo ci si distrae da sé, ci si accorge che esistono gli altri, appare una capacità di umanità. LEGGERE È UN MODO DEL NOSTRO ESSERE, da soli e con gli altri. La lettura - Smentisce la fiera indipendenza degli esseri: mostra che pensare solo a sé stessi non è umanità. L’esperienza della lettura solleva in alto, allontana da sé e dal proprio essere centrati su sé stessi, fa incontrare l’altro - È una rottura nell’essere, un buon libro disturba, interroga, perché la lettura è esperienza di distrazione, riesce a mettere in discussione. Il distrarsi è una rottura con la chiusura in sé stessi. - Interiorità che non si riflette su sé stessa L’esperienza della lettura distoglie da sé perché conduce verso le parole e i pensieri comuni dell’umano. Quindi ogni libro appartiene al grande libro dell’umanità, perché l’umanità dell’uomo consiste nella responsabilità per gli altri. Si pone allora una domanda: c’è un libro “più libro”, più autentico degli altri? Levinas parla del “libro dei libri”, un libro sacro: la Bibbia. È un libro sacro perché per la prima volta si pronuncia la parola “responsabilità per l’altro”, un concetto laico, messa sulla bocca di Caino, l’assassino. Quella della Bibbia è una sacralità alternativa perché in essa si deposita la distrazione da sé, una messa in discussione dell’egoismo. La Bibbia giunge alla chiarezza etica della responsabilità con l’altro, attraverso un linguaggio narrativo, poetico, giuridico e non concettuale; giunge quindi a un’università ancor più universale. IL PENSIERO DEL COME = pensiero del modo di essere. Quando interviene questo pensiero, tutto cambia. Questo può essere inteso in due modi: - Rottura con la dimensione dell’essere generico - Presa di coscienza di un modo tipico e non confondibile di essere, cioè quello dell’umano. In ogni caso qualcosa si rompe. Il pensiero del come rappresenta l’ingresso della libertà nella vita. Solitamente tutto è concentrato sul “che cosa”, pensare al “come” costringe a riflettere sul modo in cui si è. Il come costringe ad allargare lo sguardo, riguarda quindi non solo il sapere le cose, ma anche il viverle e sentirle, praticarle effettivamente. Il pensiero del come ha tre funzioni, che si fanno parte della crisi: 1. Muta il significato dell’essere: prima che appaia il come l’essere viene interpretato come un sostantivo, come una natura che permane identica a sé stessa. Quando appare il come dall’essere si passa all’esistere (da sostantivo a verbo). Con l’apparizione del come risulta insufficiente prendere in considerazione soltanto gli aspetti esplicitamente intenzionali dell’esistenza, diventano importanti gli stati d’animo, che registrano la modalità del nostro essere; tra questi stati d’animo è fondamentale l’angoscia: sentimento intimo e improvviso che porta il nulla vicino a noi che siamo, e rende quindi difficile fare del nulla un derivato dell’essere. L’apparire del come cambia il significato dell’essere e oltrepassa l’essere stesso.  HEIDEGGER 2. Fa emergere l’essere ingombrati da sé stessi: è il motivo del “c’è” (Il y a), del ritrovarsi come si è. Siamo troppo ingombrati, presi da noi stessi. Bisogna interrompere l’ingombro di sé. Levinas parla dell’esperienza dell’insonnia, che testimonia l’esistenza di situazioni oggettive che non dipendono da sé, ma che insistono sulla coscienza al modo di una depersonalizzazione a volte capita che non riusciamo né a dormire, né a stare svegli, non abbiamo nulla che ci turbi, ma ci sentiamo strani, sono dei sentimenti dell’esistenza che ci dicono che c’è qualcosa che non va, siamo noi che siamo talmente appesantiti da noi stessi, che non ci poniamo il pensiero di come fare le cose che facciamo. L’esperienza della fatica e dello sforzo si trova a metà tra l’esistere e l’essere al modo di qualcosa che c’è (Il y a). Il come denuncia che siamo troppo pieni di noi stessi, per questo ci sono i sentimenti dell’esistenza, come l’angoscia, esperienze strane, o un sottile senso di nausea, perché l’oggetto di questa cosa è dentro di noi. 3. Interrompe con l’essere dato così com’è: ritrovarsi ad essere in un mondo di cose che ci circondano ci invita ad assumere la cura per queste cose, che ingombra l’esistenza e porta all’anonimato. Ciò che fa uscire dall’anonimato dell’esistenza non è una posizione, ma una deposizione da sé stessi, la quale coincide con la responsabilità per l’altro. Solo la responsabilità per l’altro, che coincide con la relazione sociale, permette di uscire dall’oscurità anonima dell’esserci. Le parole del sociale sono le stesse dell’etica e della filosofia. I segnali di questa equiparazione si possono raggruppare in tre categorie: 1. Parole della dissociazione: mettono in tensione dimensioni alternative (essere e esistere, comunicare e dire, società e sociale, centratura su di sé e distrazione da sé) 2. Parole dell’equivalenza: fanno apparire nello stesso luogo termini appartenenti alla stessa famiglia di significati (filosofia come etica) 3. Parole dell’immersione Il senso di tutte queste parole è il sociale. Queste parole rappresentano lo sforzo di dire ciò che è umano per eccellenza. Problema della filosofia: comprendere, dare unità. Fare filosofia non è creare un sistema dove tutto venga ricondotto a un’unità di sintesi, ma si tratta di restituire dignità a ciò che rimane diverso e che, in quanto tale, suscita l’etica, apre al sociale. il modo dell’unità del pensiero rispecchia i modi dell’unità dell’umano: a un sapere assoluto e totalizzante corrisponde una socialità di omologazione, mentre a un pensiero dell’Infinito corrisponde una socialità del faccia a faccia. L’INSIEME E IL COMUNE Le parole della filosofia, dell’etica e del sociale hanno una vicinanza sia teorica che pratica. Il problema rimane sempre lo stesso: il problema dell’insieme, di come pensare l’unità dell’umano, dell’uno e del molti, del medesimo e del diverso. Il problema dell’esistere attraversa - Teoria: questione della sintesi - Etica: questione dell’io e dell’altro - Sociale: modalità della convivenza Tutti questi problemi si possono raggruppare nel problema del fare e pensare l’unità. L’insieme dell’umano non si può intendere - al modo naturalistico riduce le differenze tra gli individui ad accidenti; dunque, le rende irrilevanti - al modo della sintesi hegeliana supera le differenze annullandole in un’unità superiore va quindi cercato in un modo diverso dalla totalità e dalla sintesi, perché tra gli uomini non c’è la sfera del comune presente nelle altre sintesi. Va pensato nel faccia a faccia, ossia nella pluralità essenziale, perché l’insieme dell’umano coincide con la sua stessa molteplicità. Per questo l’etica, ossia il pensiero della responsabilità per altri, è la filosofia prima, non è secondaria alla riflessione sule forme del sapere e sul modo di dare unità, ogni significazione morale è indipendente e preliminare. Il significato morale dell’esistenza non è secondario perché pone frontalmente il problema dell’unità dell’umano. Insieme e comune creano la stessa tensione che c’è tra dire e comunicare, sociale e socialità…  insieme= pluralità insormontabile dell’umano, che è il segreto della dignità umana. È nel faccia a faccia. È il modo di uno scarto che non si colma, però è il modo di una vicinanza, non di una distanza. Comune= sintesi e totalizzazione. 1. BIBBIA E FILOSOFIA Secondo Levinas il pensiero nasce da traumi o tentativi che non si riesce a esprimere (separazione, scene di violenza, un’improvvisa consapevolezza della monotonia del tempo…). Leggendo i libri questi choc iniziali diventano domande e problemi, danno da pensare. Il libro non è un utensile della conoscenza, un manuale, ma una modalità del nostro essere. Leggere= porsi al di sopra del realismo, della nostra preoccupazione per noi stessi. In questo caso la Bibbia è il libro per eccellenza, il “libro dei libri”. Nella Bibbia vengono dette le cose prime, quelle che dovevano essere dette perché la vita umana abbia un senso, e le dice in una forma che lascia aperte ai commentatori le forme della profondità. In Levinas filosofia e Bibbia si trovano in accordo perché il pensiero filosofico si posa sempre su esperienze prefilosofiche, e per lui la Bibbia rientra tra queste. Secondo Levinas la tradizione filosofica occidentale ha l’ultima parola, tutto deve essere espresso nella sua lingua, ma forse essa non coincide con il luogo del senso originario degli esseri. DURKHEIM: ha dato il via ad una sociologia razionale, un’elaborazione delle categorie fondamentali del sociale, il quale non può essere ridotto alla somma delle psicologie dei singoli individui. Il sociale è l’ordine stesso dello spirituale. Il sociale è l’ordine stesso dello spirituale, nuovo intrigo nell’essere al di là dello psichismo animale e umano. Il piano delle «rappresentazioni collettive» è in grado di aprire nella vita individuale la dimensione dello spirito, l’unica in cui l’individuo può essere riconosciuto e affrancato (teoria dei «livelli dell’essere»). BERGSON: Il suo contributo più importante alla filosofia è la teoria della durata, l’idea che il tempo della fisica sia solo derivato. Ha quindi il merito di aver liberato la filosofia dal modello del tempo scientifico. Contributo più importante: teoria della durata. Il tempo della fisica è solo derivato. Priorità «ontologica» – non solo psicologica – della durata, irriducibile al tempo lineare e omogeneo. Merito di aver liberato la filosofia dal prestigioso modello del tempo scientifico. Senza di lui Heidegger non avrebbe potuto osare la sua concezione della temporalità finita del Dasein. Perché Bergson? Per fuggire dal terrore di ritrovarsi in un mondo privo di possibili novità, senza futuro per la speranza, un mondo in cui tutto è già stabilito, tutto già accaduto (destino, meccanismo universale…). Ci insegna la spiritualità del nuovo, l’«essere» liberato dal fenomeno in un «altrimenti che essere». HUSSERL: Levinas ha scoperto Husserl per puro caso, quando un giovane collega mi propose un testo che stava leggendo, le Ricerche logiche.grazie a lui Levinas ha scoperto la possibilità di “lavorare in filosofia”, della filosofia come scienza. Poi ha scoperto la possibilità di un conoscersi, di iniziare una riflessione radicale, centrata su di sé. Leggendo Husserl – all’inizio molto difficile – pian piano mi si è rivelata la sua verità essenziale, alla quale credo ancora oggi sebbene, pur aderendo al suo metodo, non obbedisca a tutti i suoi. «Filosofia come scienza rigorosa» … che però non basta… non è con questa promessa un po’ formale che la sua opera mi ha conquistato. precetti di scuola. «Sich zu besinnen» (conoscersi/riconoscersi), «a che punto siamo?», fare il punto: significato più generale della fenomenologia (al di là della visione delle essenze, della Wesenschau che ha sollevato tanto clamore). - Una riflessione radicale, centrata su di sé, un cogito che si cerca e si descrive senza farsi ingannare da nessuna forma di spontaneità, da nessuna presenza già data. - Una diffidenza verso tutto ciò che si impone naturalmente al sapere: un mondo/oggetto la cui oggettività ingombra lo sguardo che la fissa. Spesso l’oggettività offusca e fa dimenticare l’orizzonte dei pensieri e delle intenzioni che mirano all’oggettività. La fenomenologia è il richiamo a questo orizzonte, a queste intenzioni scordate: piena coscienza del pensiero che è al mondo. - Presenza del filosofo presso le cose, riflessione necessaria alla verità, presenza che illumina il vero statuto delle cose, la loro oggettività, il loro essere: non solo sapere «cos’è» ma «com’è ciò che è, cosa significa che è». Nuovo vigore all’idea medievale (aristotelica) dell’intenzionalità della coscienza: ogni coscienza è coscienza di qualcosa, non può essere descritta senza riferirsi all’oggetto verso cui si protende. I modi della coscienza che accosta gli oggetti dipendono per essenza dall’essenza degli oggetti. L’essere comanda l’accesso all’essere: l’accesso all’essere appartiene alla descrizione dell’essere. Domanda di Nemo: Lei ha centrato tutta la sua opera sulla metafisica come etica… Dunque perché Husserl che privilegia invece il mondo e la sua costituzione piuttosto che l’uomo e il suo destino? - Spesso di Husserl si dimentica l’intenzionalità assiologica. Il valore non è attribuito agli esseri dalla modificazione di un sapere, ma deriva da un atteggiamento specifico della coscienza, da un’intenzionalità non teoretica, immediatamente irriducibile alla conoscenza. - Mira intenzionale che non è un sapere, ma che è qualificata «affettivamente» o «attivamente», nel suo dinamismo, in sentimenti o in aspirazioni. Una possibilità del pensiero di Husserl che può essere sviluppata al di là di ciò che lo stesso Husserl ha affermato a proposito dell’etica e della relazione con altri, ancorato al piano della rappresentazione. - La relazione con altri può venire indagata come intenzionalità irriducibile, anche se si arriva infine a scorgervi la rottura stessa dell’intenzionalità. 2. HEIDEGGER - Filosofare senza aver conosciuto Heidegger comporterebbe una parte di «ingenuità»: una novità assoluta, genialità, nuovo linguaggio. - Essere e tempo, scoperto a Friburgo, uno dei più bei libri della storia della filosofia. Ammirazione per Heidegger coincide soprattutto con l’ammirazione per Essere e tempo. Grazie a questo libro rimane valida l’opera successiva di Heidegger, non insignificante, ma meno convincente (non però a causa dei suoi coinvolgimenti politici, tuttavia mai dimenticati). Mi delude la scomparsa della fenomenologia vera e propria, il posto in primo piano per le etimologie nelle analisi di Heidegger. - Lévinas legge Husserl influenzato da Heidegger (Essere e tempo), nella misura in cui cerca di presentare Husserl come colui che ha intravisto il problema ontologico dell’essere. - Più che dedicarsi alla ricerca delle condizioni trascendentali nel senso idealistico del termine, l’analisi fenomenologica si interroga, nella ricerca della costituzione del reale per la coscienza, sul significato dell’essere degli «essenti» nelle diverse regioni della conoscenza. - Husserl proponeva ancora un programma trascendentale per la filosofia, Heidegger la definiva chiaramente con «ontologia fondamentale». - Ontologia = comprensione del verbo «essere». Si distingue da tutte le discipline che indagano ciò che è, gli essere, gli «essenti», la loro natura, i loro rapporti… dimenticando che quando esse parlano degli essenti presuppongono la comprensione del senso della parola essere, senza esplicitarlo. Heidegger risveglia la «verbalità» della parola essere. Non più un mero sostantivo, ma ciò che nell’essere è evento, «accadere». - Una vera e propria rieducazione del nostro orecchio. Filosofia è sempre stata un tentativo di rispondere alla domanda sul significato dell’essere come verbo. Angoscia, preoccupazione, affettività, emozione, essere-per-la-morte, finitezza… «stati d’animo» che prima di Heidegger erano considerati «ciechi», semplici contenuti, costituiscono ora un esercizio supremo di fenomenologia, brillante, convincente: il suo scopo è descrivere l’essere o l’esistere dell’uomo – non la sua natura.
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