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ETIENNE GILSON - LA FILOSOFIA NEL MEDIOEVO - Schemi completi, Sintesi del corso di Storia Della Filosofia

Schemi completi del libro "La filosofia nel Medioevo" di Etienne Gilson.

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 25/02/2021

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Scarica ETIENNE GILSON - LA FILOSOFIA NEL MEDIOEVO - Schemi completi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! LA FILOSOFIA NEL MEDIOEVO Etienne GILSON Legenda H = uomo / uomini INDICE PATRISTICA: DA DIONIGI A GIOVANNI DAMASCENO 3 DIONIGI L'AREOPAGITA 3 MASSIMO IL CONFESSORE (580-662) 4 GIOVANNI FILIPONO 5 GIOVANNI DI DAMASCO 5 IL PLATONISMO LATINO DEL IV SECOLO 6 CALCIDIO 6 MARIO VITTORINO 7 SANT'AGOSTINO (354-430) 8 BOEZIO 11 CASSIODORO 13 ISIDORO DI SIVIGLIA 14 CHIESA E SOCIETÀ 15 Profeti d’Israele 15 CULTURA PATRISTICA LATINA 17 DALLA RINASCITA CAROLINGIA AL X SECOLO 17 LA TRASMISSIONE DELLA CULTURA LATINA 17 GIOVANNI SCOTO ERIUGENA (810-877) 20 DA EIRICO D'AUXERRE A GERBERTO D'AURILLAC 23 LA FILOSOFIA NEL SECOLO XI 25 Dialettici e teologi 25 ROSCELLINO 26 ANSELMO DI CANTERBURY 26 GAUNILONE 27 1 Cristianità e società 28 LA FILOSOFIA NEL XII SECOLO 30 LA SCUOLA DI CHARTRES 30 PIETRO ABELARDO 33 MISTICA SPECULATIVA 36 UNIVERSO DEL XII SECOLO 40 SACERDOZIO E REGALITÀ 40 IL BILANCIO DEL XII SECOLO 41 LE FILOSOFIE ORIENTALI 42 La filosofia araba 42 FILOSOFIA EBRAICA 47 L'INFLUENZA GRECO-ARABA NEL XIII SEC E LA FONDAZIONE DELLE UNIVERSITÀ 50 L'influenza greco-araba 50 La fondazione delle Università 51 L'esilio delle Belle Lettere 52 LA FILOSOFIA NEL XIII SECOLO 55 Da Guglielmo d'Auvergne a Enrico di Gand 55 Da Alessandro di Hales a Raimondo Lullo 58 Da Roberto Grossatesta a Giovanni Peckham 62 Da Alberto Magno a Teodorico di Vrigberg 67 Da Tommaso d'Aquino a Egidio Romano 69 Dal peripatetismo all'averroismo 73 Sapienza e società 74 Il bilancio del XIII secolo 76 La filosofia nel XIV secolo 76 Duns Scoto e i realisti del XIV secolo 76 Guglielmo di Ockham 79 2 dell'immobilità di Dio. Muoversi verso Dio significa impegnarsi per conoscerlo e l'uomo conoscendo Dio inizia ad amarlo. L'uomo è tratto fuori di sé, come in estasi e non ha allora più niente da desiderare se non questo avvolgimento che lo salva. Non è più l'uomo che vive, ma, allora, è Dio che vive in lui. Ogni uomo è veramente una parte di Dio, la sua essenza preesiste in lui; ma l'uomo si è distaccato dalla causa divina da cui dipende, allora l'estasi è il momento precorritore dell'eternità futura in cui si effettuerà la divinizzazione. Massimo prevede il giorno in cui, alla fine dei tempi, l'universo ritornerà così alla sua causa. L'uomo è al centro di tutte le nature create: il suo ritorno a Dio trascinerà quello del mondo intero. (→ cornice della dottrina di Giovanni Scoto Eriugena). GIOVANNI FILIPONO Cristiano e commentatore di Aristotele. I suoi commentari su diversi scritti di Aristotele saranno conosciuti nel medioevo solo parzialmente e tardivamente. Questione dell'unità o pluralità degli intelletti umani: secondo Filipono si concorda nel credere che ogni uomo possegga un proprio intelletto possibile; si è discordi su quello agente. 4 soluzioni: 1. Intelletto agente è universale, poche egli è divino creatore 2. Int. Ag. non è Dio, ma è un essere inferiore a Dio e superiore all'uomo. 3. Altri pongono il principio della conoscenza intellettiva nell'anima stessa, ma dicono che Arist. attribuisce a ogni anima due intelletti, uno possibile e uno agente (si introduce dall'esterno). 4. Ogni uomo possiede il proprio intelletto ed è il medesimo intelletto che è ora in potenza, ora in atto. Questo punto di vista dava prova dell'immortalità dell'anima razionale. GIOVANNI DI DAMASCO opera fondamentale La fonte della conoscenza, la cui terza parte è una raccolta di testo sulle verità fondamentali della rivelazione cristiana (sarà tradotta da Burgundio di Pisa nel 1151 col nome De fide orthodoxa). >> comoda raccolta di nozioni filosofiche utili ai teologi. Non esiste un solo uomo in cui naturalmente non si sia inserita la conoscenza che Dio esiste. Non sta parlando di una conoscenza innata, ma la fonte di questa conoscenza sta nella vista delle cose create, nella loro conservazione e ordine, nella Legge, nei Profeti, nella rivelazione stessa di Gesù Cristo. Nell'opera inizia a fare dimostrazione dell'esistenza di Dio perché sostiene che la malizia di Satana ha talmente oscurato la conoscenza di Dio che lo stolto è giunto a dire in cuor suo che Dio non esiste. Dimostrazione di Dio: tutto ciò che ci è dato in questo mondo è creato e, di conseguenza, esiste un suo creatore in-creato. Un secondo argomento, tratto dalla conservazione e dal governo delle cose, conferma il primo, e la dimostrazione termina con un terzo, che prova che l'ordine e la distribuzione delle cose non possono risultare dal caso (vs. Epicuro). Questo Dio, la cui esistenza è così provata, è per noi inconoscibile. Il Dio di Giovanni damasceno è al di là della conoscenza perché è al di lá dell'essenza. "Io sono colui che è" è già un nome che designa l'incomprensibilità di Dio, perché significa che Dio possiede e raduna in sé la totalità dell'essere. Giovanni D. ebbe un ruolo considerevole come trasmettitore di idee. 5 Impressione d'insieme che lascia la patristica greca è che in essa l'influenza di Platone e dei neoplatonici fu dominante. I padri della Chiesa furono essenzialmente dei Cristiani, ma hanno preso posizione apertamente di fronte alle filosofie e Platone è quello che raccolse i maggiori suffragi. La filosofia platonica si immaginava come quella più assimilabile dal pensiero cristiano. IL PLATONISMO LATINO DEL IV SECOLO IV sec: due grandi scritti (importanti per capire linguaggio dei platonico di Chartres del XII sec). Il primo è il commento di MACROBIO al Somnium Scipionis. Cicerone nel suo De Repubblica attribuisce a Scipione Emiliano (il secondo Africano) il racconto di un sogno: vede apparire in sogno suo padre, Scipione l'Africano, che gli mostra Cartagine predicendogli la vittoria e rivelandogli che le anime di chi ha ben servito la patria sono ricompensate dal Dio supremo, che conferisce loro dopo la morte una vita felice (la via lattea è la loro dimora, Dio abita la più alta di nove sfere celesti). L'Africano invita il figlio a volgersi alle cose celesti → il corpo dell'uomo è mortale, non la sua anima; l'anima si muove da sè, quindi vivrà più felice liberandosi del corpo e preoccupandosi dell'eterno. Su questo tema Macrobio, tra III e IV secolo ha composto delle variazioni filosofiche conosciute come In Somnium Scipionis. Si richiama a Plotino e a Platone → pone il Bene, che è la causa prima, alla sommità della scala degli esseri, poi viene l'Intelligenza (se si volge a se stessa produce l'anima, se si rivolge al Bene resta simile alla sua origine). Fino all'anima l'unità del primo principio è salva. Come le specie e i numeri sono contenuti nell'Intelligenza, le anime lo sono nell'Anima. Mentre alcune anime non se ne distaccano mai, altre vengono colte dal desiderio dei corpi e della vita terrestre, così - distolte dalla contemplazione delle realtà superiori- cadono dal loro originario e si lasciano imprigionare dai corpi. Un'ebbrezza fa dimenticare la loro origine e avviene - come per Platone- uno sforzo di reminiscenza. La materia (o ulè) le trattiene. L'anima cadendo attraversa le sfere celesti e acquista le facoltà che eserciterà una volta incarnata (chiudendosi in un corpo che >> la sua tomba). Grazie alla parte superiore che ha conservato mantiene una conoscenza innata del divino, la quale è il mezzo per riunirsi ad esso con l'esercizio delle virtù (poste in gerarchia). Per definire l'anima, Macrobio è indeciso: anima è - come per Platone- un'essenza che si muove da sola, o - come per Aristotele- l'atto o perfezione del corpo organizzato? Platone: se si muove da sè però non si vede la necessità per cui dovrebbe cessare il suo movimento e quindi esistere. Aristotele: non avviene lo stesso per Platone, perché l'anima riceve il suo movimento dall'esterno. Allora per Macrobio anima è fonte di movimento, derivata da una fonte ancora più abbondante, ma dalla quale germogliano senza interruzione le sue conoscenza, le sue volontà e anche le sue passioni. CALCIDIO tradusse invece il Timeo di Platone. Non si dubita del fatto che Calcidio fu cristiano. Egli distingue tre primi principi: Dio, la materia e l'idea. • Il Dio supremo è il Bene sovrano, incomprensibile ad ogni intendimento, in sè perfetto, autosufficiente e oggetto di desiderio universale. • Dopo Dio, vi è la provvidenza, per i greci Intelletto (vous). 6 • Dalla provvidenza dipende il Destino (fatum), doppiamente cristianizzato: sottomesso alla provvidenza; rispetta le nature e le volontà. • Subordinate alla Provvidenza altre potenze: Natura, Fortuna, Caso, Angeli. • Sopra queste potenze l'Anima del mondo, chiamata Seconda Intelligenza. Il mondo è quindi l'opera di Dio, l'origine causale del mondo. Il mondo sensibile, dato che è fatto da Dio, è eterno almeno nelle sue cause. Esistono due tipi di esseri, i modelli e le copie. Il mondo dei modelli (exempla) è il mondo intellegibile, quello delle copie o immagini è il mondo sensibile. Nome tecnico di un modello è Idea (causa degli esseri che partecipano di lei; sono le opere proprie di Dio che produce comprendendole). Allora il mondo è eterno in quanto Dio pensa eternamente alle idee e il mondo sensibile riproduce perpetuamente l'immagine di esse nel corso del tempo. Allora si riduce a due il numero dei principi: Dio (con idee a lui annesse) e materia. Esistenza materia dimostrabile per analisi e sintesi. Analisi: vi sono due modi distinti di conoscere: i sensi e l'intelletto; i loro oggetti sono il sensibile e l'intellegibile. Gli intellegibili sono anteriori ai sensibili, ma i sensibili ci sono più facilmente accessibili. L'analisi parte dai dati immediatamente percettibili. Se noi col pensiero distinguiamo il fatto che gli elementi formino i corpi e che i corpi posseggono anche le qualità delle forme e figure diversamente composte, allora troveremo ciò che cerchiamo: la materia. Sintesi: riunendo in ordine le specie, le qualità, le figure, saremo portati a spiegare questo ordine con una provvidenza. Non c'è provvidenza senza intelletto, nè intelletto senza pensiero. Il pensiero di Dio dunque ha abbellito tutto ciò che forma i corpi: la materia è allora il principio al quale l'analisi si ferma, ma le idee sono il principio al quale arriva la sintesi (risalendo dalla materia alla causa prima delle sue determinazioni). La materia, presa in se stessa è senza qualità, dunque è semplice: essa è un principio e quindi è sempre esistita → inoltre è potenzialità pura, in quanto è la possibilità di essere o non essere un corpo. Tra la materia e le idee esiste il mondo delle cose generato nella materia dalle idee: le forme che nascono assieme ai corpi vengono chiamate species nativae (poi formae nativae, scuola di Chartres). Allora l'idea esiste sotto due aspetti: in sè, come forma primaria (primaria species), e nelle cose, come forma nata dall'idea eterna. La materia invece ha il suo essere dalla sua forma propria. A questi tre gradi d'essere corrispondono: intelletto, natura sensibile, materia. Calcidio rifiutò la definizione aristotelica, per cui anima è forma del corpo. Egli fa dell'anima una forma nativa, cioè l'intermediario tra l'essere dell'idea e il non essere della materia. La vera natura dell'anima non è di essere una forma, ma una sostanza spirituale dotata di ragione. Calcidio, come Macrobio, Nemesio e molti altri, contribuiranno a ritardare il momento in cui la concezione aristotelica di anima sembrerà accettabile per gli spiriti cristiani. MARIO VITTORINO (morte 363ca), soprannominato l'Afer (Africano). Essenzialmente egli si convertì, conquistato dal cristianesimo, a furia di leggere le Sacre Scritture per combatterle (tanto che poi combatterà l'arianesimo). Ci resta solo parte delle sue numerose opere, che toccavano gli argomenti più diversi. Come avversario ebbe l'ariano Candido, che gli dedicò uno scritto Sulla generazione divina: descriveva tutte le impossiblità che un filosofo trovava nella generazione di un Dio da parte di un Dio. Candido conferma che non si può concepire niente che sia prima di Dio e da cui Dio possa essere generato. Dio è semplice e non potrebbe essere concepito con un soggetto che riceverebbe 7 Immutabilità di Dio implica: • Questa dottrina implica l'idea di una CREAZIONE. Perché ? Se Dio è l'immutabilità, l'immutabilità sarà proprio ciò che il cambiamento richiede come causa → allora le cose, per la loro mutabilità, non cessano di proclamare: non ci siamo fatte da sole, è Lui che ci ha fatte. Esse ricevono da Dio tutt ociò che possiedono di essere, mentre hanno per se stesse il non-essere. In breve, sono state fatte dal nulla da Dio, ed è ciò che si dice creare. • Essendo immutabile, Dio contiene in sè i modelli archetipi di tutti gli esseri possibili, che si chiamano Idee. Tutti gli essere futuri sono così stati prodotti fin dall'origine, con la stessa materia, ma sotto forma di germi (rationes seminales), che devono ancora svilupparsi nella successione dei tempi. L'uomo è incluso (salvo che per l'anima). Agostino ha quindi concepito la storia del mondo come uno sviluppo perpetuo, come un'evoluzione , ma che sarebbe il contrario di una evoluzione creatrice (in quanto tutto è già stato "creato" da Dio, anche se come germi). Le più nobili creature di Dio sono gli angeli, l'uomo viene dopo, non di molto. L'uomo è costituito da anima e corpo. L'anima è unita al corpo da una inclinazione naturale che la porta a vivificarlo, a reggerlo e a vegliare su di lui e per lei la materia diventa un corpo vivente e organizzato. Così si forma quell'unità che è l'uomo. Agostino non rispose a questo interrogativo: Dio creò fin dall'origine i germi spirituali delle anime o ne ha affidato i germi agli angeli aspettando di riprenderli da loro per unirli ai corpi? Da notare è l'ottimismo metafisico cui s'ispira questa dottrina della creazione. Ag. non ha mai ammesso che la materia è cattiva e che l'anima vi ci si ritrova per castigo del peccato. Il corpo dell'uomo non è la prigione dell'anima, ma lo è diventato per effetto del peccato originale e lo scopo della vita morale è quello di liberarcene (ma in sè il corpo non è una prigione!!). PROBLEMA DEL MALE Dio è immutabilità, pienezza d'essere e quindi bene assoluto. Creata dal nulla, la materia dell'uomo è buona per quel tanto che essa è. Infatti il bene è proporzionale all'essere. Ma Agostino afferma che il male non esiste, perché ciò che chiamiamo male è l'assenza di un certo bene in una natura che dovrebbe possederlo. → Riassumento il male è privatio boni. Ciò permette di spiegare la presenza del male in un mondo creato da un Dio buono. Dal punto di vista morale il male si trova solo nelle creature razionali → le colpe morali derivano dal cattivo uso che l'uomo fa del suo libero arbitrio. Così il libero arbitrio non è un bene assoluto, giacchè comporta un rischio. La condizione più grande dei beni è la beatitudine. Essere felice è la meta di ogni uomo e per esser felice occorre che egli si volga verso il Bene sovrano; ma l'uomo si è distolto da Dio per godere di sè e delle cose stesse che gli sono inferiori. In ciò consiste il PECCATO. Quando l'anima, rivolta alla materia, si appaga del sensibile, sfinita da una grave perdita di sostanza, rivestita da una crosta di immagini sensibili, l'anima cessa di riconoscersi, crede solo nella realtà materiale e così il corpo diventa la tomba dell'anima e il male da cui si deve liberare. Il libero arbitrio dell'anima non le basta per risollevarsi. Rimarrà incapace di risollevarsi a meno dell'intervento della Redenzione. Si comprende così la necessità della GRAZIA: è necessaria al libro arbitrio dell'uomo per lottare efficacemente contro gli assalti della concupiscenza sregolata dal peccato. Grazia è un aiuto concesso da Dio al libero arbitrio dell'uomo. Il potere di usare bene del libero arbitrio è precisamente la LIBERTà. L'uomo che più completamente è dominato dalla grazia di Cristo è quindi anche il più libero. In termini di conoscenza questo sforzo di traduce in quello della ragione che lavora a volgersi dal sensibile verso l'intelligibile ( e questa ragione si chiama ragione superiore; quella inferiore si rivolge al sensibile). Il cristiano può elevarsi a tanto con l'aiuto della grazia, ma presto egli ricade in 10 se stesso, accecato dal fulgore insostenibile della luce divina. Il cristiano si rivela filosofo, in quanto la carità lo porta a gravitare verso Dio per aderirgli, goderne e trovare in lui la sua beatitudine e mentre i pagani dissero solo quello che si doveva fare, il cristiano lo fa ed è l'unico felice, perché egli solo possiede il vero Bene, fonte di ogni beatitudine. Ogni cristiano lo possiede, allora si ritrova un popolo, una società unita nella ricerca e nell'amore di uno stesso bene. Questi vivono in città temporali, ma si rifanno alla sede mistica detta Città di Dio. Le due città sono mescolate e verranno separate nel giorno del giudizio. Agostino ne parla nel De Civitate Dei: espone questa sua teologia della storia, in cui tutti gli avvenimenti importanti della storia universale sono altrettanti momenti della realizzazione del piano voluto e previsto da Dio. Questa storia è attraversata da un grande mistero che è quella divina carità incessantemente all'opera per restaurare una creazione guastata dal peccato. Noi non sappiamo perché alcuni sono eletti e altri no, è un mistero di Dio, ma possiamo confidare nella sua equità pienamente giustificata. San Tommaso d'Aquino disse che Agostino compì uno sforzo per "seguire i platonici quanto più la fede cattolica lo consentiva". Il grande merito di Agostino è stato quello di aver spinto l'interpretazione di Dio fino all'immutabilità dell'essere, interpretazione verissima. BOEZIO Biografia. Opere. Grande contributo in logica: egli divenne il professore di logica del Medioevo fino al momento in cui, nel XIII sec, l'Organon completo di Aristotele fu tradotto in latino e direttamente commentato. Scritti di Boezio di logica si divideranno in logica vetus e in logica nova. Egli si assegnò il ruolo di intermediario tra filo greca e mondo latino. La sua prima intenzione era di tradurre tutti i trattati di Aristotele e i dialoghi di Platone, portando avanti argomenti che accordassero le due dottrine. Lasciò definizione chiara della FILOSOFIA: essa è l'amore della sapienza, intesa come una realtà. La sapienza è questo pensiero vivente, causa di tutte le cose, che sussiste in se stessa. Divide filosofia in teorica/speculativa e in pratica/attiva. • Filosofia speculativa si divide in tante scienze quante sono le classi degli esseri da studiare e distingue intellettibili (Dio, angeli, forse anime separate da corpi)i, intellegibili (anime → intellettibili degenerati a intellegibili a contatto con il corpo) e naturali. Rispettivamente si legano a teologia, psicologia e fisiologia (a cui si ricollega il Quadrivium). • Filosofia pratica si divide secondo gli atti che si devono compiere, comprende: una parte che insegna a comportarsi da soli mediante la virtù, quella che consiste nel far regnare nello stato queste stesse virtù e quella che presiede all'amministrazione della società domestica. Alla filo pratica si lega il Trivium. Per quanto riguarda la logica si chiede se sia arte o strumento e cerca di conciliare le posizioni aristoteliche e platoniche: come arte discerne il falso e il verosimile dal vero, come strumento è utile a tutte le altre parti della filosofia. La logica di Boezio è un commento alla logica di Aristotele, ma spesso traspare il desiderio di interpretarla secondo la filosofia di Platone. Cruciale è il problema sugli UNIVERSALI: punto di partenza, le Isagoge di Porfirio (3 interrogativi). 11 Boezio aderisce a una soluzione che prende a prestito da Alessandro d'Afrodisia. I sensi ci danno le cose in stato di confusione; il nostro spirito gode del potere di separare e di ricomporre questi dati e può distinguere nei corpi delle proprietà che non si trovano che in stato di mescolanza. I generi e le specie sono tra questi. O lo spirito li scopre incorporei e li trova astratti, oppure li scopre corporei e allora estrae dai corpi ciò che essi contengono di incorporeo, per considerarlo a parte. È ciò che noi facciamo traendo dagli individui corporei dati enll'esperienza le nozioni astratte di uomo e animale. Nulla impedisce di pensare a parte i generi e le specie, l'unico errore consisterebbe nell'unire come congiunte delle cose che non lo sono in realtà (busto uomo, treno posteriore cavallo). Tale è la soluzione del problema degli universali → essi esistono in unione con le cose sensibili, ma li si conosce separatamente dai corpi. Anche se la questione non era completamente risolta perché nel testo di B. manca la teoria aristotelica di intelletto agente, che dà il suo pieno significato alla nozione di astrazione (spiega come si possa pensare separatamente ciò che separatamente non esiste) → egli ci dice solo che lo spirito preleva l'intellegibile dal sensibile. Nel De consolatione philosophiae si trova una dottrina quindi molto differente. Un essere qualcunque (es: H) può essere conosciuto in diversi modi, con i sensi, l'immaginazione, la ragione, l'intelligenza. Per Boezio, la realtà che corrisponde agli universali è quella dell'idea. Come anche per Agostino, B. sostiene che la sensazione non è una passione subita dall'anima, ma è l'atto attraverso il quale l'anima giudica le passioni subite dal suo corpo. Le impressioni sensibili ci invitano a rivolgerci verso le idee. La più alta delle scienze per Boezio è quella dell'intellettibile e l'intellettibile per eccellenza è Dio, quindi parliamo della TEOLOGIA. Boezio parte dicendo che di Dio abbiamo una conoscenza innata, che ce lo rappresenta come il bene supremo e utilizzando una definizione che ritroveremo in Sant'Anselmo afferma che Dio è un essere tale che non si può concepire nulla di migliore. Dimostra l'esistenza di Dio dicendo che l'imperfetto non può essere che una diminuzione del perfetto; noi vediamo che l'esistenza degli esseri imperfetti è manifesta quindi non si può dubitare di quella di un essere perfetto e questo perfetto è Dio. Dio è il bene e la beatitidine. Boezio definisce la beatitudine come lo stato di perfezione che consiste nel possedere tutti i beni. Allora se Dio è la beatitudine, gli uomini non possono diventare beati che partecipando di Dio e diventando essi stessi degli dei, ottenendo una beatitudine che sarà comunque partecipazione di quella di Dio. Dio trinitario → ragione dell'unità delle tre parti è la loro non-differenza (se è perfettamente uno, sfugge a tutte le categorie, cfr. G.S.Eriugena). Tutto ciò che si può dire di Dio è legato alla sua azione di amministratore del mondo; si parlerà di lui come di motore immobile delle cose. Tutte queste nozioni teologiche Boezio le diede senza l'appoggio delle Sacre Scritture e ciò non ha nulla di sorprendente perché è la filosofia che parla. Le coincidenze tra la dottrina del De consolatione philosophiae e quelle di Agostino non sono fortuite, perché Boezio pensa da cristiano, anche se parla soltanto da filosofo. PSICOLOGIA Dopo l'intellettibile che è Dio, vi è l'intellegibile che è l'anima. Per parlare dell'origine dell'anima vi sono due testi, il commento a Porfirio e il De consolatione philosophiae: nel primo si dice che se le anima sono state unite agli angeli, hanno dovuto preesistere ai corpi; nel secondo collega la sua 12 CHIESA E SOCIETÀ Il cristianesimo è sorto dal popolo ebraico, in un periodo in cui esso era parte dell'impero romano. Il popolo ebraico era un organismo complesso, infatti la sua unità non è solo quella di una razza, i cui membri sono tenuti insieme da un legame di sangue (Jahvè annuncia ad Abramo che da lui discenderà una numerosa stirpe, i cui membri sono tutti uniti da un comune antenato), ma - insieme al legame di sangue- assicura l'unità dei figli di Israele anche la circoncisione. Così il popolo ebraico era un popolo e non una semplice razza e lo è divenuto dal giorno in cui è stato possibile aggregarvisi sottomettendosi a dei riti e partecipando a un culto, pur non essendo discendente di Abramo. Ma come si è costituita questa società? Essa è il risultato di un patto, di cui il Signore ha liberamente preso iniziativa: la promessa, fatta prima ad Abramo (per premiare la sua fede) e poi anche al figlio Isacco (Jahvè ricompensa anche il figlio per l'obbedienza del padre), finisce in un vero trattato in cui i diritti e i doveri delle parti contraenti sono accuratamente specificati. Il patto sembra dunque escludere tutti gli altri popoli! Una tale società può prender solo il nome di teocrazia. (nb: il popolo di Israele tra l'altro non si raccomanda al Signore per il numero, anzi di tutti i popoli è il più piccolo → ma Jahvè l'ama e questo è sufficiente). Tanto che il primo atteggiamento del popolo ebraico fu "Dio per la nazione e con la nazione", per cui esso ha condotto guerre contro i suoi nemici, le quali furono spesso guerre di sterminio → Israele alla conquista degli altri popoli, per una comunità religiosa sempre più ampia. Profeti d’Israele I Profeti d'Israele predicarono invece una religione più larga e comprensiva che indica un progresso sulla via dell'universalismo religioso. Difficile per gli Ebrei era concepire una società in cui il solo legame sarebbe stato la comune adorazione del vero Dio, al di là della nazionalità dei membri che ne facevano parte! L'allargamento della religione condotto da parte dei Profeti ha comunque come caratteristica l'irriducibile opposizione ad ogni sincretismo → il vero Dio non cerca nemmeno di "assorbire" gli altri dei, ma semplicemente nega la loro esistenza e li elimina. L'allargamento dello Jahvismo non è stato una progressiva contaminazione con gli altri culti, ma anzi una progressiva purificazione. Jahvè si trovava così ad essere Dio di tutti gli uomini, non solo degli Ebrei. Isaia ha sottolineato come sia stato Dio che ha creato il cielo e la terra e non è un Dio tra gli altri, solo lui merita il nome di Dio. Con il Profeti la salvezza voluta da Jahvè non è più quella di un popolo contro gli altri ma quella di "tutte le nazioni". Bisogna capire come mai questo ideale universalistico dei Profeti non abbia immediatamente sostituito il nazionalismo religioso dell'antica Israele. La risposta consiste nel fatto che comunque l'aspirazione verso una società religiosa universale non ha escluso che questa società dovesse formarsi attorno al popolo di Israele (per tutta la serie di motivi: Jahvè si rivelò a loro, egli aveva stabilito presso di loro la sua dimora ecc.). Isaia espresse inoltre il duplice carattere di questa società → Jahvè è il solo salvatore e il popolo ebraico è il testimone vivente di questo, ma allo stesso tempo tutti i popoli e sovrani che collaborano all'opera di salvare Israele si trovano associati all'opera di Dio come strumenti della volontà divina. Missione di Israele è estendere all'universo la salvezza che Dio le ha promesso. Anche nel secondo ciclo di Isaia, l'universalismo del profeta resta essenzialmente un giudaismo.Il nazionalismo religioso del popolo ebraico si esasperava. Vi era dunque una contraddizione, un 15 conflitto tra l'universalismo del fine cui si tendeva e il particolarismo dei mezzi impiegati per conseguirlo → il messaggio d'Israele non poteva farsi capire dal mondo se non degiudaizzandosi e mettendosi al servizio della società universale. Il dilemma per Israele fu: o integrarsi come un popolo tra gli altri, con la società veramente universale che Cristo stava per fondare nel mondo, o ostinarsi nel compito di allargare ai limiti dell'umanità un gruppo etnico particolare. Un'idea di una società veramente universale stava per diventare concepibile attraverso il realizzarsi della chiesa. Le due forme di universalismo che si possano scoprire al di fuori del popolo ebraico sono quella di Alessandro Magno (imperialismo universale) e degli Stoici (cosmopolitismo : città comune per uomini e dei). Però occorre distinguere queste imprese di conquista del mondo con la forza dall'ideale di una società vera e veramente universale fondata sul libero accordo delle intelligenze e delle volontà. Grazie all'apostolato di San Paolo, la nozione cristiana di una società religiosa veramente cattolica trionfò definitivamente. Il privilegio del popolo ebraico si ridusse all'esser stato scelto da Dio come testimone. Così Paolo ebbe il compito di annunciare questo: non una società nazionale, né internazionale, nè sovranazionale, ma il nuovo regno non era di questo mondo, bensì viverci era vivere nei Cieli ("Gentili con Ebrei, non c'è più greco, né ebreo, né schiavo ecc.."). I cristiani però, come riportato dalla lettera a Diogneto (anonimo), "vivono nelle loro patrie, ma come vi sarebbero domiciliati degli stranieri. [...] Ciò che l'anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo". → Posta sin dall'origine in un impero che la respingeva, la chiesa si è come trincerata nella sua spiritualità essenziale, non rivendicando che le funzione di un'anima che vivificherebbe il corpo dello Stato. La situazione cambiò da Costantino in poi: membri della gerarchia ecclesiastica divennero influenti e l'imperatore, come cristiano, era loro sottomesso. L'impero e la chiesa allora hanno fatto lega e la fedeltà dell'uno si confonde con la fedeltà dell'altro. Agostino parla della Città di Dio. Dio ne è fondatore e re. I cristiani fanno parte necessariamente sia della civitas terrena sia della civitas dei. La città di Dio deve condurre gli uomini a quella felicità che tutti cercano e che la città terrestre è incapace di dar loro. I filosofi stessi ammettono questa incapacità della città terrena, in quanto la sapienza che doveva render l'uomo felice è stata cercata solo per mezzo della ragione! NB: il nome mistico per la città terrestre è Babilonia → il nome sta ad indicare che lo stato pagano non favorì mai una setta di filosofi rispetto alle altre. I filosofi che erano nel giusto erano i Profeti. Il magistero divino che la chiesa esercita ha come fine il mantenimento dell'unità della sapienza rivelata, che è la legge costitutiva della città di Dio. Anche per Agostino, la città di Dio è pronta a ridiscendere sulla terra per riprendere, attraverso la chiesa, la direzione del mondo (anche se la caduta di Roma fu una catastrofe che segnò che anche per i cristiani non vi è felicità in terra ma nei cieli). Per Agostino la Città di Dio doveva in ogni caso continuare il suo pellegrinaggio attraverso la città terrena e reclutarvi membri di ogni condizione. Agostino chiese a un sacerdote spagnolo, Paolo Orosio, di elencare tutte le disgrazie e i flagelli subiti nel passato dai popoli pagani (gentili/pagani). I flagelli erano tanto più crudeli quanto più essi erano lontani dalla vera religione. Avendo provato ciò, Orosio dovette provare, malgrado i disastri recentemente subiti, che l'impero aveva piuttosto guadagnato a diventare cristiano. Orosio scrisse le Historie che arrivavano fino al 418 e ancora non veniva delineata la teocrazia pontificia che prednerà progressivamente piede nel Medioevo. Gelasio I, papa tra il 492 e il 496, 16 disse che l'imperatore è figlio della chiesa → il re è sottomesso al vescovo nell'ordine spirituale come il vescovo è sottomesso al re nell'ordine temporale. Per porre in atto questo dualismo di Gelasio (ripreso da Dante nel De Monarchia) occorre che la Città di Dio si confonda con la Chiesa, poi che il temporale venga inglobato nello spirituale (Stato della chiesa). Difficilmente nell'antichità si troverebbe l'idea di una società creata da Dio stesso per associare gli uomini alla sua beatitudine. → antiche definizioni di società subivano una radicale trasformazione di valore. CULTURA PATRISTICA LATINA Patristica latina differisce da quella greca. La metafisica produsse a Roma moralisti notevoli, tra cui bisogna contare i suoi oratori e storici. Letteratura latina era stata ampiamente dischiusa alle influenze greche, da cui aveva tratto grande profitto. La più chiara espressione dell'ideale che domina questa cultura si trova nelle opere di Cicerone. Per Cicerone l'uomo si dintingue dall'animale soltanto nella sua capacità di parlare, è un animale parlante. L'eloquenza dunque ai suoi occhi è l'arte suprema. Chi coltiva la sua eloquenza coltiva anche la sua umanità. Il beneficio di questa cultura è la politior humanitas. Come bisogna intendere l'eloquenza? Sbagliano coloro che pensano che la retorica vada nisegnata o acquisita imparando la retorica. Cicerone sosteneva che fosse la regola a nascere dall'arte e non viceversa. Bisogna dunque reinsegnare ai filosofi a parlare, oppure reinsegnare agli oratori a pensare. L'ideale umano che bisogna perseguire è quello del DOCTUS ORATOR (oratore istruito). Egli deve essere istruito di tutte le arti liberali e in più possedere conoscenze di natura variabile (poichè ad esempio un avvocato deve saper parlare di tutto, deve imparare rapidamente qualsiasi cosa per poterne parlare). Anche Quintiliano, con la sua Institutio Oratoria, sostenne vivamente l'alleanza tra filosofia ed eloquenza → il suo ideale era "VIR BONUS DICENDI PERITUS". Quintiliano però accostò un'idea tutta pratica della sapienza a quella più speculativa della Nuova Accademia di Cicerone. In ogni caso i Padri della chiesa latini ebbero tutti la stessa educazione di un qualsiasi giovane romani di buona nascita. La tecnica della cultura classica era ancora buona, ma bisognava modificarne lo spirito. Dalle due formule di Cicerone e Quintiliano, Agostino compie una riforma, per cui diventano: vir christianus dicendi peritus e l'eloquentia christiana (un'eloquenza in senso ciceroniano, ma dove la sapienza cristiana rimpiazzava quella dei filosofi). Proprio quest'ultima vedremo sopravvivere fin verso la metà del XIII secolo. DALLA RINASCITA CAROLINGIA AL X SECOLO Carlo Magno compì uno sforzo per migliorare la situazione intellettuale e morale dei popoli che governava. L'impero carolingio amava considerarsi come un prolungamento nel tempo dell'antico impero romano → sebbene vi sia discontinuità politica, si nota una notevole continuità nella storia della cultura. LA TRASMISSIONE DELLA CULTURA LATINA 17 Discepolo di Alcuino e suo successore come abate di Saint-Martin de Tours, Fredegiso (morte 834) fu uno spirito di tono più speculativo e avventuroso. Gli si deve una Epistola de nihilo et tenebris, dove sostiene che il nulla e le tenebre sono qualcosa e non soltanto l'assenza di qualcosa. Egli nega il ragionamento secondo cui dire "nihil" non vuol dire nulla perché "nihil" significa il nulla. Il "nihil" a cui pensa è quello da cui Dio ha creato il mondo, cioè una sorta di materia comune e indifferenziata. Inoltre egli viene posto tra i sostenitori della preesistenza delle anime. L'influenza di Alcuino si estese in Germania, dove si trova Rabano Mauro, la cui influenza sullo sviluppo della cultura germanica fu immensa (>> praeceptor Germaniae; anche se il precettore del precettore rimane Alcuino). Egli scrisse commenti biblici, alcuni poemi, una Grammatica, De Anima, glosse all'Isagoge di P. e al De Interpretazione di Aristotele. Rabano superò Alcuino in due opere: nel De clericorum institutione, una specie di trattato di studi ecclesiastici ad uso dei chierici tedeschi del IX sec (programma comprende arti liberali); poi scrisse un'ampia enciclopedia, chiamata De Universo, in cui afferma che le nature degli esseri non sono nulla più di ciò che esse significano e che basta quindi conoscere l'etimologia dei loro nomi per sapere ciò che esse significano. Più un essere ha significati simbolici, più esso è utile da conoscere. Candido di Fulda, scrisse breve trattato Dicta Candidi, verte sul tema agostiniano dell'immagine della Trinità nell'anima e sulle condizioni d'applicabilità delle categorie a Dio. Qui l'autore espone una prima dimostrazione dell'esistenza di Dio (universo si distingue in tre generi: ciò che esiste, ciò che vive, ciò che è intelligente. Ordinati gerarchicamente → ciò che conosce intellettualmente deve, prima, vivere ed esistere, ma non l'inverso. L'uomo è al sommo di questa gerarchia, si chiede se è onnipotente, ma non lo è perché non può fare tutto ciò che vuole → L'onnipotenza è Dio, che è l'onnipotenza al di sopra dell'uomo). In Francia altri nomi da ricordare sono Pascasio Radberto e Ratrammo di Corbie. Grande scontro dottrinale dell'epoca è la discussione del problema della predestinazione. Nel IX sec, sembra aver avuto luogo una vera emigrazione di maestri irlandesi verso la Francia (e sembrano esser stati i più eccellenti maestri di arti liberali), tra questi ... GIOVANNI SCOTO ERIUGENA (810-877) Biografia. Nato in Irlanda, giunse in Francia attorno all'840. Fu professore della Scuola Palatina e visse alla corte colta e brillante di Carlo il Calvo. Egli scrisse il De praedestinatione per rispondere a due vescovi che lo invitarono a contestare gli errori di Gotescalco, il quale sosteneva che c'è una predestinazione divina all'eterna perdizione. Tradusse il Corpus Areopagiticum, gli Ambigua di Massimo il Confessore e De hominis opificio di Gregorio di Nissa. Più altre opere. Il significato della dottrina di Eriugena consiste nella sua concezione dei rapporti tra fede e ragione. Per comprender ciò, è necessario distinguere le posizioni dell'uomo rispetto alla Verità. Natura umana prova innato desiderio di conoscere la verità, ma tra il peccato originale e la venuta di Cristo la ragione viene oscurata dalle conseguenze dell'errore. La ragione così oscurata potrà allora iniziare cercando di conoscere la Natura e stabilire l'esistenza del creatore che ne è la causa. La fede deve precedere l'esercizio della ragione perché la verità è rivelata da una fonte la cui certezza è assoluta, la saggezza consiste per lei nell'accettare questa verità quale Dio gliela rivela. Quando vedremo la verità, la fede sparirà di fronte alla visione. Allora la nostra ragione è una ragione istruita dalla rivelazione. 20 La fede è condizione di intelligenza (si ricollega al "Nisi credideritis non intelligetis")→ La fede passa per prima e per prima raggiunge l'oggetto dell'intelligenza. Esempio di Pietro e Giovanni: P. è simbolo della fede, mentre G. quello dell'intelligenza. P. passa per primo e lo stesso deve fare la nostra fede, perché per capire la verità, bisogna in primo luogo crederla. Maestri preferiti di Eriugena sono Agostino e Dionigi. → ogni ricerca della verità deve prendere le mosse dalle Sacre Scritture. Dunque è Dio stesso che dando la fede ordina di andare più lontano. Esempio Samaritana: ella rappresenta la natura umana in cerca del vero con la sola ragione che incontra Cristo sulla sua strada → notiamo che è Gesù che le chiede da bere, come se la fede domandasse alla ragione di abbeverarla. La fede è dunque un principio che tende a svilupparsi in una conoscenza più perfetta. Ragione e fede svelano le Scritture (se non ci fosse la fede leggeremmo alla lettera le Scritture) e così esse sono termini equivalenti. La vera filosofia prolunga lo sforzo della fede per raggiungere il suo oggetto → Eriugena si sforza di esprimere l'intrinseca unità della sapienza umana. Il fine della sua felicità è cercare Dio nelle parole che egli ci ha lasciato → una luce illumina l'anima cristiana, ed è quella della fede. Non è luce piena, perché sarà tale nella visione beatifica. Ma in mezzo a queste due vi è la speculazione filosofica che conduce dall'una all'altra e illumina progressivamente l'oscurità della fede. Quello che segue è il modo per interpretare le scritture di Eriugena sul primato della ragione: davanti alle Scritture la ragione si deve inchinare. Egli si ribella dinnanzi all'autorità dell'uomo, data dalla ragione, la quale rimane passibile di giudizio. Ciò che dice Dio è vero, che la ragione lo comprenda o no (influssi patristica). ERRORE di Eriugena fu il fatto di non aver criticato abbastanza le sue autorità, poichè egli fu il primo erede della Patristica greca in Occidente e ha vissuto abbagliato dalla sua scoperta, incapace di equilibrare tradizione latina e quella greca → un certo razionalismo in Eriugena fu quindi contro le sue intenzioni (anzi proprio il suo legame con i precedenti lo esime da eresia). Egli non ha separato ciò che la ragione più assimilare della rivelazione e ciò che le resta irriducibilmente trascendente, per questo i dogmi religiosi sembrano razionalizzarsi, mentre la sua filosofia si perde nell'esegesi/teologia. Egli è profondamente convinto del Credo ut intelligam, così che la sua filo si riassorba nella Sapienza cristiana. Per Eriugena, il modo in cui la ragione si serve per conseguire l'intelligenza di ciò che crede è la DIALETTICA, le cui due operazione fondamentali sono la DIVISIONE e la ANALISI (sono due momenti complementari dello stesso metodo, si possono considerare come un solo movimento di andata/ritorno che discende dall'unità del genere alla molteplicità degli individui e poi risale all'unità prima da cui essi sono discesi). → però non sono semplicemente dei metodi astratti di decomposizione e composizione delle idee (non è una regola puramente formale del pensiero), ma la legge stessa degli esseri → l'universo è una vasta dialettica. La dialettica si impone come vera alla ragione. Nozione di natura è la più comprensiva di tutte quelle che si offrono al pensiero. Include tutto ciò che è (ontica) e tutto ciò che non è (deontica). Riguardo all'ontica, vengono effettuate quattro distinzioni, che però potrebbero essere ridotte a due i creanti e i creati (cfr. appunti!!). Per la meontica, Eriugena afferma che la nozione di essere e di non-essere hanno valore relativo e infatti l'essere è il non-essere di qualcosa. Il non-essere è ciò che sfugge a intelletto e sensi (le due forme di conoscenza). Vengono distinti 5 tipi di non-essere: 1. sfugge ai sensi/intelletto per eccellenza 2. l'affermazione dell'inferiore è la negazione del superiore e viceversa 3. non essere della potenza rispetto all'essere dell'atto 21 4. non essere degli esseri soggetti a corruzione e generazione 5. uomo è in quanto somigliante a Dio, non è in quanto si allontana dalla somiglianza con Lui. Dunque, la divisione dell'essere non è per Eriugena una semplice divisione logica, ma di una reale divisione della realtà. NB: la natura non è un genere comune alle diverse divisioni dell'essere, come Dio non è in rapporto con le cose secondo la distinzione generi/specie (nel senso che Dio non è il tutto della creatura, né la creatura è una parte di Dio). Il concetto di divisione della natura è equivalente a quello di CREAZIONE, che equivale alla produzione della molteplicità da parte dell'Uno. Divisione creanti/creati: - Dio è ineffabile ed Eriugena applica a Lui teologia affermativa, negativa e superlativa (cfr. Dionigi). Eriugena pone Dio al di là di tutte le cose, superiore ad ogni affermazione e negazione. - Nei creati invece comprende quelle che sono le idee archetipe delle cose. Dio ha creato le idee (sempre considerando creazione come passaggio da Uno a molteplice). Dunque le idee sono coeterne a Dio, ma eterno è solo Dio perché non ha principio. Le idee sono creature, quindi sono finite: come si identificano con Dio? La risposta sarà che non può trattarsi allora di una vera creazione → le idee sono partecipazioni di Dio. Con qualunque nome le si chiami sono inferiori a Dio e vengono dopo di Lui. La soluzione è quindi una TEOFANIA, poichè creare per Dio significa rivelarsi. E se la soluzione del problema è la teofania, allora le idee sono la prima autocreazione di Dio (teofania è il manifestarsi di Dio, quindi crea se stesso creando gli esseri). Eriugena si presenta la natura divina come inconoscibile, non solo per noi ma anche per se stessa, senza una rivelazione che sia una creazione. Per conoscersi gli è quindi necessario iniziare ad essere. Da qui parte la moltiplicazione degli esseri che continua senza interruzione sino agli individui. Questa processione del molteplice partendo dall'uni è l'opera della terza persona della Trinità, lo Spirito Santo → fecondatore e distributore della generosità divina. La teofania porta ad introdurre il tema dell'illuminazione → tutti gli esseri sono creati come dei lumi, poichè la creazione non è che una illuminazione destinata a far vedere Dio. → azione comune di grazia e natura. La stessa sussistenza degli esseri è un'illuminazione → ogni cosa è quindi essenzialmente un segno, un simbolo. → SIMBOLISMO MEDIEVALE. La natura è il linguaggio con cui il suo autore ci parla. (Dio è la realtà stessa delle cose, dunque ogni cosa non è che il dono divino dell'essere stesso ch'essa è). Insieme delle teofanie si distingue in angeli, corpi, uomini. Angeli cfr. appunti. Uomo → Dio, prevedendo il peccato originale, ha diviso gli uomini in sessi preventivando una maniera di moltiplicazione della specie umana diversa dalla pullulazione istantanea e analoga a quella degli angeli (tramite irradiazione). Separandosi da Dio, l'uomo trascinava nella sua caduta l'intero mondo dei corpi. Ciò avviene perché l'universo corporeo esiste dapprime nel pensiero dell'uomo → gli esseri esistono nel pensiero dell'uomo, come tipi intelligibili, più perfettamente che nella materia in cui poi si sparpagliano. Il corpo sensibile ha principio al punto di incontro di due elementi intelligibili, la qualità e la quantità. In un corpo si trova la sostanza che è la sua causa intelligibile e considerata in Dio stesso prende il titolo di essenza, presa in quanto realizzata in un corpo si dice forma e genera una natura. Le nature ci sono comprensibili, ma sono composte da elementi intelligibili, ciascun elemento costitutivo è intelligibile. I corpi sono fatti di cose incorporee: nulla quindi si oppone al fatto che l'universo sensibile sia stato creato da Dio nell'uomo. La materia è concepibile come fatta di intelligibili coagulati. Noi (teofanicamente) facciamo parte di Dio e la sostanza stessa di ogni creatura è la sua essenza intelligibile. L'essenza è dunque un puro intelligibile, che contine ein sè questi due altri intelligibili, la quantità e la qualità, la coi congiunzione produce la materia oggetto dei nostri sensi. 22 LA FILOSOFIA NEL SECOLO XI Dialettici e teologi La pratica delle arti liberali divenne tradizionale e si impose come una necessità, tanto che alcuni chierici avevano disposizioni di spirito che si inclinavano alla sofistica e Pier Damiani si lamentava poiché ci si interessava di più allo stile e all'eloquenza delle lettere edificanti più che al loro contenuto. Ciò portò anche a una violenta reazione da parte dei teologi. Anselmo di Besate e Berengario di Tours furono due di questi dialettici intransigenti. Anselmo di Besate era italiano e scrisse Rhetorimachia. Il suo opuscolo è tale da giustificare le espressioni severe dei teologi riguardo a persone della sua specie. Il maestro di Berengario di Tours fu Fulberto, allievo di Gerberto d'Aurillac e fondatore della scuola di Chartres. Berengario non esitava a tradurre le verità di fede in termini di ragione (negò transustanziazione e la presenza reale) → per lui la dialettica era il mezzo d'eccellenza per scoprire la verità. Scrisse il De sacra coena in cui spiega che fare appello alla dialettica significa fare appello alla ragione e dato che per la ragione l'uomo è stato fatto a immagine di Dio, non fare ricorso ad essa significa rinunciare al proprio titolo d'onore. È persuaso dalla superiorità della ragione sull'autorità. Applica questa sia dottrina al dogma dell'Eucarestia: in ogni composto di materia e forma bisogna distinguere il fatto della sua esistenza e ciò che esso è. Per essere una cosa certa, bisogna che questo composto esista. Se la sostanza del pane scomparisse al momento della consacrazione, sarebbe impossibile la sussistenza degli accidenti del pane, ma gli accidenti del pane esistono dopo la consacrazione, dunque permane la sostanza stessa. L'ardore dialettico di Berengario di limitò a queste incursioni teologiche indiscrete (questo portava a una reazione contro la logica e contro ogni studio filosofico. Per Gerardo, vescovo di Czanad, l'applicazione della filosofia alla teologia sembrava particolarmente dannosa. Otloh di Saint-Emmeram esprime un'analoga diffidenza verso ciò che non è pura teologia. Scrisse Liber de tentationibus suis et scriptis: liberato con la grazia dalle miserie spirituali che lo attanagliavano, Otloh non conosce altro maestro che Cristo. Manegoldo di Lautembach sostiene tesi simili sottolineando il disaccordo tra le dottrine filosofiche e il contenuto della rivelazione e insiste sull'impossibilita di sottomettere la fede alle regole della dialettica. Il più forte difensore della teologia contro la scienza profana è Pier Damiani (1007-1072). Scrisse De laude flagellorum per incoraggiare certi monaci che il demonio rendeva esitanti riguardo al frustarsi in pubblico. Ciò che importa è il conseguimento della salvezza che si ottiene facendosi monaco: non serve la filosofia, basta il contenuto delle Scritture. Nel De ordine eremitarum compila un elenco di libri che bastano per un monaco non solo per salvare la sua anima ma per salvare quella degli altri. Nel De sancta semplicitate afferma che Dio avrebbe mandato dei filosofi per convertirli, invece ha mandato dei pescatori e delle persone semplici. La filosofia dunque è una invenzione del diavolo, corrotta dalla grammatica. Pier Damiani ha usato la filosofia contro se stessa nel suo De divina onnipotentia. Questo parte con una conversazione conviviale in ciò cita le parole di San Gerolamo: Dio può fare tutto ma non che ciò che sia accaduto non sia accaduto. Pier Damiani protesta contro San Gerolamo dicendo che la volontà di Dio è la sola causa dell'esistenza di ciò che esiste. Le necessità logiche delle nostre conclusioni non valgono per Dio, infatti egli vive in un eterno presente. Il teologismo dell'onnipotenza divina fiorirà più tardi con Ockham. 25 Lanfranco (1005-1089), Monaco e poi abate di Bec, morto arcivescovo di Cantebury, adottava un atteggiamento più conciliante verso la filosofia. La dialettica non contraddice i misteri divini e se la si usa correttamente essa può andare a sostegno e conferma di essi. È la stessa tesi che l'intera dottrina di Anselmo vorrà dimostrare. ROSCELLINO Il problema degli universali approda nel secolo XI al nominalismo. Roscellino è considerato l'instauratore di questa dottrina. Nei filosofi precedenti il problema degli universali non era ancora posto nella sua cosciente complessità. Di lui ci rimangono pochi testi ed è difficile posizionarlo filosoficamente distinguendo ciò che ha insegnato da ciò che gli avversari l'hanno accusato di aver insegnato. Per il nominalista di reale non ci sono che gli individui umani. Il termine uomo non designa alcuna realtà che sarebbe, in grado qualsiasi la realtà della specie umana. Vi è il termine inteso come FLATUS VOCIS, vi sono gli individui umani che questa parola ha il compito di significare e nient'altro. Questa sua interpretazione lo portò un'interpretazione TRITEISTA del dogma della Trinità. In Dio sono gli individui ad essere reali. La Trinità si compone di tre sostanze distinte, benché esse abbiano una sola potenza e una sola volontà. Egli chiamò col termine di sostanze, all'uso greco, ciò che i Latini chiamavano persone. Così ha avuto l'imprudenza di andare contro una terminologia acquisita usandone una che presentava un senso inquietante. ANSELMO DI CANTERBURY Biografia. Opere. Monologion: parla dei rapporti di ragione e fede. Lo scrisse su incitazione da parte dei monaci, che gli chiesero di riflettere sull'essenza e sull'esistenza di Dio dimostrando tutto a partire dalla Scrittura. Due fonti di conoscenza per l'uomo: ragione e fede. La fede è il punto di partenza e si rifiuta di sottomettere le Scritture alla dialettica. Credo ut intelligam. Una volta che ci si è fondati nella fede, non c'è nessun inconveniente nello sforzarsi di comprendere razionalmente. Capire la propria fede significa avvicinarsi alla vista stessa di Dio. Sant'Anselmo non si è tirato indietro nel cercare di dimostrare la necessità della Trinità e dell'Incarnazione. Nel secolo XI la filosofia si riduceva alla dialettica di Aristotele → capire il testo sacro significava cercarne l'interpretazione con le risorse di cui dispone il dialettico. La parte più feconda e robusta dell'opera di Anselmo sono le dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Esse presuppongono l'ammissione di due principi: - le cose sono ineguali in perfezione - Tutto ciò che possiede più o meno una perfezione ce l'ha dalla sua partecipazione a questa perfezione, presa nella sua forma assoluta. (Matrice platonica-agostiniana). A. Noi sentiamo con i sensi e discerniamo con la ragione che c'è una grande quantità di beni differenti. Sappiamo che ogni cosa ha una causa e ci chiediamo se ogni cosa buona ha una causa particolare o se vi è una causa sola per tutti questi beni. È evidente che tutto ciò che possiede una perfezione lo deve al fatto che partecipa ad un solo e medesimo principio. Allora se tutti i beni particolari sono buoni in modo non eguale, non possono esserlo che per la partecipazione a 26 un medesimo bene. C'è un essere primo, superiore a tutto ciò che esiste, e ciò è noi che chiamiamo Dio. B. Si può inoltre argomentare sulla perfezione che i beni differenti posseggono in comune, per quanto a diversi gradi, e che è l'essere. Bisogna capire Se l'universo ha parecchie cause, o se esse si riducono a una sola, o se esistono per sé, oppure si producono le une dalle altre. L'unica ipotesi che rimane intelligibile è che tutto ciò che esiste esiste in virtù di una causa, che esiste per sé, che è Dio. C. Terza dimostrazione si fonda sui gradi di perfezione che le cose possiedono. È evidente che l'universo è composto da essere più o meno perfetti. Vi sono due possibilità: o si ammette che esiste un'infinità di esseri e che non si incontra mai un essere così perfetto che non ce ne sia un altro ancora più perfetto, o che c'è un numero finito di esseri, e di conseguenza un essere più perfetto di tutto il resto. Affermare la prima possibilità - che esiste un'infinità di esseri- é assurdo; esiste dunque una natura tale da essere superiore alle altre. Le tre prove partono tutte da un reale dato e rendono ragione di uno degli aspetti dell'esperienza. Sant'Anselmo cerca di fornire delle prove il più possibile evidenti. Corona le precedenti dimostrazioni con l'argomento ontologico sviluppato nel PROSLOGION: Parte dal fatto che noi crediamo che Dio esista e che egli é l'essere di cui non si può concepire uno maggiore. Lo stolto però in cuor suo dice "Dio non esiste". Cfr appunti. GAUNILONE Egli obiettava che non ci si può fondare sull'esistenza nel pensiero per concludere all'esistenza fuori del pensiero. Anselmo rispose lui che il passaggio dall'esistenza nel pensiero all'esistenza nella realtà non è possibile e necessario che quando si tratta dell'essere più grande che si possa concepire. Anselmo ha sottolineato con forza irresistibile la nozione di essere assoluto che chiede in certo modo la posizione della sua esistenza da parte del pensiero che la concepisce. (Anselmo)Una volta dimostrata l'esistenza di Dio si può facilmente dedurne gli attributi principali: gli si dà il titolo di essentia perché egli è realtà plenaria. Notiamo poi che esistere per sé e esistere per altro sono due modi differenti di esistere: in Dio essenza e essere si confondono (diverso per esseri che ricevono la loro esistenza da altro, perché occorre che il loro essere gli venga conferito da Dio). Dio è la causa produttrice dell'universo; bisogna dunque ammettere che il mondo sia stato creato dal nulla → l'universo giunge all'essere senza nessuna preesistente materia. Esisteva già nel pensiero del suo creatore. Secondo Anselmo le creature preesistono in Dio, ma è anche giusto aggiungere che esse sono e sussistono in Dio più effettivamente che in se stesse. Tutto ciò che non è l'essenza di Dio è stato creato da Dio. Dio le sostiene e le conserva per permettere loro di persistere nell'essere. Dovremmo quindi attribuire a Dio tutti nomi che designino una perfezione positiva, a due condizioni: - attribuir glieli assolutamente e non relativamente - Non è legittimo attribuirgli indifferentemente tutte le perfezioni positive, ma soltanto quelle che, parlando in assoluto, sono migliori da tutto ciò che è diverso da loro. Tutte queste perfezioni si riuniscono in Dio senza alterarne la semplicità. Egli non ha principio né fine ed é immutabile. L'UOMO è una delle creature in cui più facilmente si ritrova l'immagine di Dio. L'anima umana si ricorda di se stessa, si comprende e si ama. 27 LA FILOSOFIA NEL XII SECOLO LA SCUOLA DI CHARTRES La celebrità della scuola è dovuta a Fulberto (morte 1028), vescovo di Chartres. Ma ricordiamo anche Ivo e Bernardo di Chartres. Quest'utilmo era considerato un professore di valore, preoccupato di formare l'intelligenza e il gusto dei suoi allievi; inoltre riteneva indispensabile lo studio dei grandi scrittori dell'antichità classica. Diceva: "noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti", perché gli antichi "ci sollevano e innalzano di tutta la loro gigantesca altezza". (Informazioni su di lui grazie al Metalogicon di Giovanni di Salisbury). Dal punto di vista della sua dottrina egli era considerato il più platonico dei suoi tempi. Gv di Salisbury lo presenta come un grammatico (grammaticus!) e come con Anselmo abbiamo visto la logica invadere al teologia, così ora con Bernardo vediamo la logica invadere la grammatica. Il XII sec vede un sensibile progresso nell'invasione della grammatica da parte della logica. Due conseguenze: - decadenza della cultura classica propriamente detta nelle scuole francesi del XIII sec - nascita di una nuova scienza → filosofia della grammatica, o grammatica speculativa (XIV sec) Bernardo rappresentava a meraviglia l'insegnamento degli studi umanistici classici secondo la tradizone di Quintiliano. Bernardo divenne platonico prima in logica, insegnando che niente è un genere o una specie al di fuori delle idee, poi in grammatica, dove sosteneva che gli individui mancano troppo della stabilità delle idee per essere designati con sostantivi. Per lui, tutti i nomi derivati significavano principalmente ciò che significava la loro radice, ma sotto differenti rapporti → rapporto tra nome primitivo e nomi derivati è dello stesso genere di quello dell'idea platonica con ciò che di essa partecipa. (a conferma del suo platonismo). Mentre gli Stoici credevano che materia e idea fossero coeterne a Dio, mentre gli epicurei negano Provvidenza ed eliminano idee, Bernardo conserva entrambe ma rifiuta di considerarle coeterne a Dio. Dio ha creato la materia (= Padri), ma la coeternità è da attribuire solo alle persone divine e l'idea non raggiunge con Dio questo grado di uguaglianza, la natura dell'idea è posteriore, eterna ma non coeterna a Dio. Bernerdo cristianizzava Platone come fece Agostino. Gilberto de la Porrèe (1076-1154), condusse la battaglia vittoriosa per gli studi disinteressati contro i Cornificiani (imponevano studio del trivium). Scrisse De sex principiis, che è un'intepretazione metaficia del trattato di logica di Aristotele, le Categorie. Gilberto divise le categorie in due parti. Considera come forme inerenti il primo gruppo di quattro (sostanza, quantità, qualità, relazione) e come forme accessorie le altre sei (luogo, tempo, stato, habitus, azione, passione). Le forme inerenti sono sia la sostanza, sia inerenti alla sostanz ain quanto essa è considerata indipendentemente dai suoi rapporti con altre. Le forme accessorie non sono che delle determinazioni adiacenti alla sostanza. Tesi metafisiche più importanti di Gilberto si trovano nel suo commento dal De Trinitate di Boezio. Anzitutto: - sostanza: il "sostante" è un individuo eisstente attualmente, di cui si dice che è una sostanza perché sostiene un certo numero di accidenti; - "sussistenza" è semplicemente la proprietà di ciò che, per essere ciò che è, non ha bisogno di accidenti. 30 Allora tutte le sostanze sono delle sussistenze, ma non tutte le sussistenze sono sostanze. Come sussistono generi/specie e come ne derivano le sostanze? Greci le chiamavano idee, Latini forme. Queste idee sono delle sostanze pure, cioè esistono al di fuori della materia senza mai mescolarvisi (le fondamentali sono gli elementi, non in quanto sensibili, ma gli ideali di essi). Per spiegare la produzione delle cose bisogna tener conto della materia prima e di due forme prime, che sono l'ousia dell'Artefice e le idee delle cose sensibili. Le forme che sono nei corpi sono immagini di queste sostanze pure ed eterne che sono le idee. Così Gilberto riprende la distinzione delle idee divine dalle forme generate ("nativae"), ovvero le copie delle originali. Partiamo da queste forme per formare gli universali. Prese in se stesse non sono sostanze, ma le sussistenze in virtù delle quali ci sono le sostanze (formae substantiales). La ragione umana è capace di considerare separatamente ed astrattamente ciò che nella realtà è dato insieme: così considera una forma nativa, l'astrae mentalmente dal corpo in cui essa è impegnata, la paragona ad altre forme generate (nativa) e così consegue la prima sussistenza specifica, poi lo stesso lavoro fatto su un gruppo di specie simili permette di ottenere la sussistenza del genere. Pensiero deve trascendere tutte le forme generate per raggiungere i loro modelli. Per Gilberto, si tratta di ritrovare nelle cose della stessa specie e dello stesso genere questa omogeneità naturale che esse ricevono esattamente dalla deductio conformativa per le quali le forme generate vengono dalle idee eterne. Già Boezio distinse la cosa che è dal principio per il quale essa è ciò che è (in Dio id quod est e quo est coincidono). Gilberto pone Dio alla sommità di tutto ciò che è. L'essenza divina è l'essere di tutte le creature. Ogni essere creato non è puro e semplice, ma è composto (da "essere" e da "ciò che è"). Questa forma generica, o essenza, determina l'unione d'una certa materia (ulè) con la sua forma particolare. La creatura è una sostanza; essa non è l'essenza stessa, perché è "ciò per cui" la sostanza è. Ogni realtà creata è concreta, formata da una concrezione di diverse forme , fissate in una sostanza di cui essere stesso è essenza generica. Mentre uomo non è identico alla sua umanità, in Dio la sua essentia e la sua divinitas sono una cosa sola. Dio è ciò che Dio è. Teodorico di Chartres, fratello di Bernardo, scrisse il suo Heptateucon, raccolta di testi e manuali su cui si fonda insegnamento delle sette arti liberali. Ci mostra quanto fosse vasto l'orizzonte intellettuale dei filosofi del XII secolo. Egli difese ideale delle scuole di Chartres riguardo alla cultura classica. Egli si è piuttosto interessato di problemi cosmogonici, tentando di accordare Genesi con fisica e metafisica. Tratta di ciò nel suo Hexameron (vertono sull'opera dei sei giorni della creazione). Egli intraprende ad esporre la lettera del testo biblico secondo i dati della fisica, secundum physicam ad litteram. "In principio Dio creò il cielo e la terra", due questioni: cause dell'universo e l'ordine dei giorni della creazione. Per quanto riguarda le cause dell'universo dice che sono quattro (formale, materiale, efficiente, finale) e la creazione propriamente detta si fonda sui quattro elementi, che la Scrittura indica col nome di cielo e terra e che Dio ha creato dal nulla per pura bontà e carità e per produrre esseri che partecipassero della sua beatitudine. Per quanto riguarda l'ordine dei giorni descrive ogni singolo giorno. Tutti gli esseri creati dopo il sesto giorno non sono stati propriamente creati, ma prodotti o dagli elementi che agiscono o da un germe (ratio seminalis) introdotto da Dio 31 negli elementi durante l'opera dei sei giorni. Identificando cielo e terra con elementi si ha quasi un ritorno ai Naturalisti. Famosa teoria dell'impetus impresso ai corpi mobili sembra una spiegazione naturale dello stato dei corpi in movimento per Teodorico. Un matematismo generale ispira il suo pensiero: per capire la Genesi la teologia ha bisogno delle scienze del quadrivium. Il loro elemento comune è il numero, il cui principio è l'unità, che è stabile, immutabile ed eterna. Il dominio delle nature è quello del cambiamento → la creazione è il dominio del numero come il divino è quello dell'unità. L'unità è principio di conservazione degli esseri e genera la verità. Unità prima e assoluta è Dio, la sua perfetta eguaglianza è anch'essa Dio → per rispettare identità/eguaglianza teologi usano termine "persona". Il principio col quale Teodorico spiega la generazione di un Verbo unico è che l'Unità non può generare che una unità che le sia uguale. Dall'Uno non può procedere che l'Uno, dove l'Uno è superiore all'essere perché ne è la causa. Gli esseri che non sono l'Uno sono esseri soltanto per l'Uno, che non è nessuno di questi esseri. Bernardo Silvestre, o di Tours, scrisse De mundi universitate sive Megacosmus et Microcosmus: qui la Natura si lamenta con Provvidenza e la prega di ordinare il mondo con minor confusione e maggior bellezza, così questa acconsente e distingue in seno alla materia i quattro elementi; poi Provv. si rivolge alla Natura celebrando l'ordine che ha appena introdotto nel mondo e forma l'uomo come coronamento dell'opera. Guglielmo di Conches (1080-1145) fu un grammatico, platonizzante in filo e avversario dei Cornificiani. Ricordiamo Philosophia mundi. Egli considerava le tre parti del trivium come costituenti l'eloquenza, quelle del quadrivium rientrano nella sapienza o "conoscenza vera del reale". Conoscenza del reale è opera dello spirito umano, la "ragione" del quale ha per oggetto il corporeo, "l'intelligenza" l'incorporeo. Osservando l'ordine che regna nel mondo, il filosofo conclude all'esistenza di un artefice, la cui saggezza ordinatrice ha prodotto la natura. Per lui, come per il suo maestro Bernardo (Chartres), il Timeo è una descrizione del modo in cui Dio ha creato il mondo (cristianizzata la sua cosmogonia! → mondo delle idee di Platone >> Sapienza divina, la Provv stessa). Giovanni di Salisbury (1110-1180) era inglese, istruito in Francia che morì vescovo di Chartres. Scrisse il Policraticus e il Metalogicon → sforzo dell'umanesimo di Chartres fiorisce. Non avrebbe accettato distinzione dell'eloquenza di Guglielmo di Conches: egli era legato al mondo latino (avrebbe voluto far rivivere Cicerone e Quintiliano...). Come del resto fece Cicerone, iniziò ad isolare un certo numero di verità acquisite, abbandonando tutto il resto: noi possiamo attingere delle conoscenze sicure da 3 fonti: sensi, ragione, fede. Niente è quindi più ridicolo che essere incerti di tutto e tuttavia pretendersi filosofi. La modestia degli accademici è l'esempio più saggio che noi possiamo imitare. Essi riconoscono la loro ignoranza e sanno dubitare di ciò che ignorano. Bisogna dubitare di tutti gli argomenti di cui né i sensi/ragione/fede ci danno una sicurezza incontestabile. Del resto non significa trascurare gli argomenti col pretesto che la soluzione certa sfugga alla nostra presa → ignoranza produce filosofia dogmatica, erudizione fa l'accademico. Per questo è vs ai Cornificiani che sostengono invece il mantenimento degli studi. Gv >> maggior difensore dell'umanesimo di Chartres. Problema insolubile per lui è quello degli universali. I filosofi ne hanno discusso abbonantemente e hanno lasciato un ricco materiale di controversia per successori. In realtà noi ignoriamo la maniera di essere o il modo di esistere degli universali: tuttavia, se non qual è la loro condizione reale, 32 Abelardo sostiene che è l'intenzione che decide: chi non conosce il Vangelo non commette alcun errore non credendo in Cristo (come si può peccare contro una leggere che si ignora?!). Ma Abelardo urta contro questa difficoltà teologica supplementare: in qualunque maniera moralmente si qualifichino i loro atti, quelli che muiono senza aver conosciuto il Vangelo sono dannati. Ma come spiegarlo? Abelardo rimase a corto di argomenti ma non per molto. Nel suo Theologia Christiana riesce in parte a risolvere questa difficoltà. Chi sono gli infedeli? Poichè Dio ha rivelato l'essenziale delle verità salutari agli Ebrei attraverso i Profeti, ai pagani attraverso i filosofi, essi non sono scusabili se non hanno ascoltato gli insegnamenti dei loro maestri. Abelardo ritiene che alcuni pagani ed Ebrei sono stati salvati, avendo seguito la loro dottrina: essi hanno seguito la legge naturale che il Vangelo non ha fatto che portare alla sua perfezione. Tanti si sono salvati senza i sacramenti, perché rifiutare ai veri filosofi il nome di cristiani? Dovremmo apprezzare come hanno saputo vivere questi uomini ammirevoli senza la rivelazione del Vangelo né l'aiuto della Grazia. Nel Dialogo tra un Filosofo, un Ebreo e un cristiano concepisce il cristianesimo come la verità totale che in sè comprende tutte le altre: il cristiano deve impegnarsi a convincere l'Ebreo e il pagano. La rivelazione cristiana non è mai stata per Abelardo la barriera insormontabile che divide gli eletti dai dannati e la verità dall'errore. Conosce dei passaggi segreti dall'una all'altra parte e gli piace pensare che già gli antichi ch'egli ama li avessero già trovati. Ad Abelardo la ragione dei filosofi gli sembrava troppo simile alla sua fede perché la sua fede non sembrasse troppo simile alla ragione dei filosofi, anche se la sincerità della sua fede non è messa in discussione. L'influenza di Abelardo fu davvero immensa per il Medioevo. Per il suo dominare tanto dall'alto l'insegnamento logico, spesso si dimenticano i suoi avversari, ma uno va ricordato: Guglielmo di Champeaux, che fu tutt'altro che un maestro rimbambito e geloso della nascente gloria di un allievo che lo cacciava da tutte le sue posizioni. Conosciamo le sue soluzioni sugli universali attraverso il racconto di Abelardo, nell'Historia calamitatum: la prima coincideva pressappoco con quella di Boezio, infatti insegnava una dottrina della communitas universalium, intendendo che l'essenza delle specie sarebbe comune agli individui; per la seconda domanda Guglielmo ripiegò su quella nozione di "in-differenza" che invece Abelardo non accettò; per quanto riguarda la terza, nel Metalogicon Giovanni di Salisbury attribuisce a Josselino di Soissons una dottrina che rifiutava l'universalità agli individui presi singolarmente, ma la attribuiva loro presi collettivamente. Nell'individuo stesso la specie si presenta allora come una sorta di materia la cui individualità è la forma (in Socrate "uomo" sarebbe la materia di cui "socraticità" è la forma → si tratta di realismo degli universali). Abelardo obietta a Josselino che il gruppo è posteriore agli individui che lo compongono. Vediamo Abelardo combattere contro una schiera di realisti. Ricordiamo anche Adelardo di Bath, un inglese che può considerarsi - per i suoi innumerevoli viaggi - uno dei primissimi intermediari tra la scienza araba e le scuole d'Occidente (insieme a Gerberto d'Aurillac). Adelardo definisce genere/specie come nomi delle cose che essi contengono: Aristotele aveva ragione ha dire che essi non esistono negli individui. Adelardo non cerca nessun eclettismo, ma suggerisce la distinzione di due piani, su ciascuno dei quali le due tesi opposte risulterebbero vere. 35 Vediamo prepararsi fin dal XII sec le sintesi cristiane del XIII che s'ispireranno ad Aristotele per interpretare l'ordine del sensibile e a Platone per interpretare l'ordine del divino. MISTICA SPECULATIVA San Bernardo di Chiaravalle (1091-1153) è uno dei fondatori della mistica medievale. Ritiene che la conoscenza delle scienze profane è di infimo valore rispetto a quella delle scienze sacre. Esprime il suo vero pensiero quando dichiara: la mia vera filosofia è di conoscere Gesù Cristo. Per quanto riguarda il suo rapporto coi dialettici, si rivela nella sua lotta contro Abelardo e Gilberto Porretano. Elaborò a fondo la dottrina dell'amore mistico. La via che conduce alla verità è Cristo eil grande insegnamento di Cristo è l'umiltà. L'umiltà può definirsi la virtù per la quale l'uomo, conoscendosi esattamente qual è, si sminuisce ai suoi propri occhi. Virtù viene a coloro che nei cuori dispongono di gradini e di momenti di ascesa per elevarsi fino a Dio. Sab Bernardo ammette 12 gradini per la scala dell'umiltà, tre gradini per la scala della verità e ce ne sono anche per la scala dell'orgoglio. Punto culminante della conoscenza umana è raggiunto dall'anima nell'estasi: anima si separa dal corpo e perde se stessa per godere di una specie di rapporto con Dio. Anche allora la sostanza dell'uomo rimane infinitamente distinta dalla sostanza divina. Solo la carità può operare questa meraviglia di una unione perfetta in una distinzione radicale degli esseri: accordo di volontà, ma non confusione di sostanze. Nella lunga serie dei suoi sermoni sul Cantico dei cantici, egli affermò che quella dell'estasi era una esperienza familiare, incomunicabile. Si può parlare però delle cause e condizioni che la rendono possibile. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza e questa somiglianza di trova soprattutto nella sua volontà, cioè nel libero arbitrio. Come Dio ama naturalmente se stesso, così la volontà dell'uomo ama naturalmente Dio. Accordo perfetto della sua volontà con quella divina. Peccato consiste nell'atto per cui l'uomo vuole se stesso e per se stesso, o vuole per sé le altre creature di Dio, invece di volere se stesso o il resto per Dio. Ciò ha reso l'uomo dissimile a Dio e Redenzione serve per restaurare questa somiglianza. Vita cristiana = mistica = rieducazione all'amore. Nel suo De diligendo Deo, parla di un amore disinteressato verso Dio. Condotto a questa purezza d'intenzione, l'amore che l'uomo porta naturalmente a se stesso non si oppone all'amore di Dio per Dio, l'uomo è ritornato lui stesso l'immagine di Dio. Quindi estasi = punto estremo di questa unione di volontà e di questa coincidenza d'un amore con l'amore divino. Guglielmo di san Teodorico (morte, 1148): come la dottrina di san Bernardo, anche la sua si sviluppa interamente nel quadro della vita monastica. Dunque sarà anch'essa una scienza dell'amore, ma differisce da quella di s. Bernardo per il ruolo importante che vi gioca la dottrina agostiniana della memoria. Amore umano dovrebbe tendere a Dio, ma il peccato originale distoglie l'uomo da ciò, dunque la vita monastica riconduce l'amore dell'uomo verso il suo creatore. Metodo da seguire: sforzo per conoscere se stesso. L'anima conosce se stessa come fatta ad immagine di Dio nel suo pensiero. Nel pensiero si trova un punto segreto in cui Dio ha come lasciato la sua impronta, così che possiamo ricordarci di lui. La nostra "memoria" segreta genera la nostra ragione e che la volontà procede dall'una e dall'altra → questa trinità rappresenta la trinità creatrice in noi (memoria = padre, ragione = verbo, volontà = spirito santo). L'effetto della grazie divina è di raddrizzare le facoltà dell'anima guastate dal peccato. 36 Isacco della Stella (monastero cistercense), ci ha lasciato una serie di sermoni sul Cantico dei Cantici: usa più metafisica che estasi per elevarsi a Dio. In otto di questi sermoni eleva il pensiero a Dio con un'analisi dialettica ad un tempo solida e sottile della nozione di sostanza. Opera più celebre è l'Epistola ad quemdam familiarem suum de anima: un vero trattato sull'anima. Vi sono tre realtà: corpo, anima e Dio. Di nessuna conosciamo l'essenza. Per quanto riguarda l'anima, essa è posta tra Dio e il corpo, essa conviene in qualcosa sia con l'uno che con l'altro. La ragione è quella facoltà dell'anima che percepisce le forme incorporee. Isacco non considerava certamente gli universali come cose e inoltre non sono solo dei nomi; rimane ancora lontano dalla soluzione di s. Tommaso. Distingue poi l'intellectus che intende come facoltà dell'anima che percepisce le forme delle cose veramente incorporee dall'ingelligentia, la facoltà di conoscere il solo supremo e puro incorporeo che è Dio. (riprende qui diversi temi platonici e autori precedenti; Boezio, Eriugena, Massimo ecc). Ci giunge infine il De spiritu et anima, che viene ammesso comunemente come opera di Alchiero di Chiaravalle e che sarebbe la risposta all'Epistola di Isacco. Fu una replica assai povera, ma rimane importante come documento storico. Esso è una compilazione di innumerevoli nozioni sull'anima e di classificazioni delle sue facoltà, prese a prestito da tutte le fonti latine allora accessibili. Era prezioso perché ognuno poteva trovarvi in ogni circostanza proprio la psicologia di cui aveva bisogno. Passò anche come opera di Agostino e questo le conferì un'autorità eccezionale. Secondo focolare della mistica speculativa del XII sec è l'abbazia parigina dei canonici agostiniani di san Vittore. Ugo di san Vittore (1096-1141), nato in Sassonia, lo troviamo perfettamente d'accordo con Bernerdo e Guglielmo di San Teodorico. Egli era un mistico molto istruito e preoccupato di volgere il sapere stesso in contemplazione. La vita del monaco come egli l'ha concepita è riempita da una serie di esercizi disposti in ordine gerarchico: la lettura o l'insegnamento, la meditazione, la preghiera, l'azione e la contemplazione. Ugo riteneva la arti liberali come salutari e il suo motto era "Omnia disce!": imparate tutto e vedrete che non c'è niente di inutile. Scrisse De sacramentis e il Didascalion. Le scienze della filosofia sono 4: teorica, pratica, meccanica, logica. La meccanica a sua volta divisa in sette scienze (e anche le altre si suddividono in altre scienze). Tra tutte queste le più importanti sono le 7 arti liberali (sono inseparabili!) perché conducono l'anima alla sapienza. Ugo è in primo luogo un maestro desideroso di vedere i suoi discepoli seguire il corso ordinario delle scienze profane. La sua teoria della conoscenza è la teoria aristotelica dell'astrazione (nulla di mistico!) Astrarre consiste per lui nel fissare l'attenzione su un elemento del reale per considerarlo a a parte. Ugo corona con una dottrina mistica una filosofia che si richiama ai poteri ordinari dell'intelligenza. Metafora arca di Noè = anima. Arca galleggia sulle acque del diluvio come l'anima sull'oceano del mondo, in attesa che la malvagità passi e che cessi il diluvio; noi dobbiamo "abitare" nell'arca, poi ne usciremo quando il mondo esterno non avrà più nulla di perituro e l'uomo interiore nulla di corrotto → entreremo nella pace perpetua e nella casa di Dio. De sacramentis è già una vasta somma teologica: vi si trova posta tutta la teoria del mondo e vi si ordina attorno a due fatti che ne segnano i momenti critici, la sua creazione (scienze profane) e la sua restaurazione (Scritture). Le Scritture per operare la Redenzione hanno anche dovuto spiegare come è fatto il mondo e il racconto della Scrittura può essere utilmente rischiarato dalla ragione. 37 UNIVERSO DEL XII SECOLO Medioevo ha ereditato dall'antichità classica l'idea di un certo genere di opera scientifica che riassume e classifica l'insieme delle conoscenza umane in una data epoca, cioè quella che oggi è l'enciclopedia. Di sec in sec si sono trovati dei compilatori per comporre o per rifare queste somme di ogni conoscenza umana: Origini (o Etimologie) di Isidoro di Siviglia (morte, 636) inaugurò questa serie; Venerabile Beda con De rerum natura; nel IX sec Rabano Mauro con il suo De rerum naturis. Si possono trovare elementi comuni a tutte. • Il mondo è visto come un "ovunque in movimento", perché esso è un movimento perpetuo. • L'origine del mondo è la creazione da parte di Dio. • Il mondo è fatto di 4 elementi. Elemento significa contemporaneamente ulè (materia) e legamento. Infatti gli elementi si legano l'un l'altro nel corso di un'incessante rivoluzione circolare. • Mondo, come si estende nello spazio, dura nel tempo. MOLTO IMPO: Per noi il Medioevo si oppone all'antichità di cui il Rinascimento fu la riscoperta: per i medievali il loro tempo continuava l'antichità senza che niente lo separasse da quella! Enciclopedie come quelle di Onorio d'Autun e Guglielmo di Conches sono interessanti, esprimono l'immagine del mondo vista dal loro autore e dalla media degli spiriti colti del suo tempo. Ad esempio si notano certi modi di ragionare ben diversi dai nostri: etimologia delle parole, interpretazione simbolica e il ragionamento per analogia. Il significato simbolico era talmente importante che talvolta ci si dimenticava di verificare l'esistenza stessa di ciò che lo simbolizzava. Alessandro Neckam (1157-1217) scrisse La natura delle cose e le lodi della natura divina, in cui avverte che egli scrive per elevare gli spiriti dei lettori verso l'Autore di tutte le cose pensando a Cristo, non ad Aristotele. L'uomo si definisce come un albero a rovescio, per l'etimologia stessa del nome greco. Alessandro si indigna della curiosità inutile che domina nelle scuole di Parigi. SACERDOZIO E REGALITÀ Otto secoli dopo Agostino e Paolo Orosio, sembrava necessario riprendere la storia delle due città mistiche. Fu questa l'opera di Ottone di Frisinga, che nel suo trattato De duabus civitatibus, dice lui stesso che ha condotto il libro fino al 1146, ben sapendo che la storia avrebbe continuato dopo di lui, poichè la fine delle due città coinciderebbe con la resurrezione dei morti, allor quando sarà distrutto l'impero Romano, non prima. Descrive le due città allo stesso modo di Agostino (una nel tempo, una nell'eternità; una terrestre, l'altra celeste; una Babilonia, l'altra Gerusalemme). Ottone tuttavia identifica la città terrestre con gli imperi che si sono succeduti dall'inizio del mondo (organizza la storia secondo questa serie provvidenziale dei regna → vedendola come una lunga decadenza). Sebbene si sia ispirato ad Agostino e Orosio, si trovava in uno stato di cose totalmente differente: il Sacro impero Romano Germanico con Carlomagno si presentava come una specie d icorpo terrestre della città di Dio (giustificato, ma sbagliando, fa risalire questo cambiamento dalla conversione di Costantino). Dopo aver notato che la chiesa cresce in proporzione alla decadenza dell'impero, Ottone inizia a parlare non più di due, ma di una sola città. Caratteristico del XII sec sembra essere l'assorbimento della città terrestre da parte della città di Dio. Ugo di san Vittore giustificò ciò nel suo De sacramentis, poichè parla dell'uomo posto all'inizio del mondo nel peccato, poi salvato dalla 40 grazia di Dio. Questo è precisamente la Chiesa, il corpo di Cristo, vivificata da uno spirito e unita da una sola fede; così essa è l'insieme dei credenti e al suo interno vi sono laici e chierici, che sono come due lati dello stesso corpo. Per ordniare queste due vite si è dovuto costruire due ordini di autorità: il potere secolare per laici, il potere spirituale per chierici. Anche se la vita spirituale supera quella terrena: per questo il papa gode di due prerogative: conferire l'esistenza al potere temporale e giudicarlo se sbaglia. Potere spirituale dunque domina su quello temporale. Si può dire che l'origine più sicura per la teocrazia pontificia del XII sec è la teocrazia ebraica dell'Antico Testamento (guidato dall'ispirazione divina, il profeta Samuele sceglierà lui stesso il re Saul, e l'ungerà di olio santo). Onorio d'Autun, nel suo Summa gloria, espone questa tesi: re ha moglie e spada, dunque è laico, ma è un laico che riceve la sua autorità sugli altri laici dal sacerdozio! Questa influenza della teocrazia ebraica si estende non meno largamente nel Polycratus di Gv di Salisbury: il re è l'immagine di Dio in terra, ma deve lui stesso seguire la leggere, la giustizia e l'equità. L'equità vuole che il re sia sottomesso ai sacerdoti → la chiesa infatti non porta la spada ma la affida al principe, così che egli se ne serva per reggere i corpi. Principe deve leggere ogni giorno la leggere divina. Queste tesi sono contenute in un gruppo di trattati conosciuti sotto nome di Trattati di York (Tractatus Eboracenses), (chiamati così perché attribuiti a Gerardo, vescovo di York). In uno di questi trattati (Apologia ecc.) è stabilità l'assoluta uguaglianza dei vescovi nella chiesa: dunque il papa non ha alcun diritto di scomunica su nessuno di loro. Dunque autorità dottrinale del papa non supera quella di un vescovo qualunque. In un altro trattato, il De consacratione pontificum et regum, la chiesa è sposa di Cristo, essa è la sposa di Cristo come re. Quindi è principalmente nella e con la figura del re che si compirà l'unione di Cristo e della sua chiesa: questo è il senso della consacrazione dei re da parte della chiesa. E dato che non si possono reggere le anime, se non vengono retti i corpi, dunque non si può escludere i re dal governo della chiesa, perché sarebbe come dividere il popolo cristiano contro se stesso e devastarlo. Il sacerdote è un re e il re è un sacerdote, in quanto ognuno dei due è l'unto del Signore. Cristo è re eternamente, in quanto Dio ed eguale al Padre, mentre per diventare sacerdote, ha dovuto assumere la natura umana. L'autore sostiene così che il potere regale sia più grande ed elevato di quello sacerdotale. Il Trattato di York non faceva che volgere a profitto del re quel principio → colui che regna sui laici regna per questo stesso fatto anche nella chiesa e presto o tardi il problema di sapere s'egli non regni sulla chiesa non può mancare di porsi. IL BILANCIO DEL XII SECOLO Movimento intellettuale del XII secolo si presenta come la preparazione di un'era nuova nella storia del pensiero cristiano e come la fioritura in Occidente della cultura patristica (sopratt. in Francia). Grazie alla teologia di Anselmo, dei Vittorini, di Gilberto Porretano esiste un platonismo aperto a tutte le nuove suggestioni che gli verranno da Proclo e Avicenna. Si chiamerà nel XIII secolo "agostinismo" il gruppo di dottrine che s'ispirerà a sant'Agostino → miglior esempio sarà quella di san Bonaventura. Mentre in teologia l'autorità di Agostino preparava un terreno favorevole all'influenza di Platone/ neoplatonismo, l'ultima conclusione di Abelardo circa gli universali sembrava presagire i futuri successi della filosofia di Aristotele. Più ci si avvicina al XIII secolo, più si sente questa tendenza che porrà l'autorità di Aristotele in concorrenza con quella di sant'Agostino. 41 Fin dal XII secolo Parigi e le sue scuole godono di una celebrità universale, soprat. per insegnamento di dialettica e teologia (successo di Abelardo come professore fu clamoroso) e la superiorità delle scuole di Parigi è universalmente riconosciuta. Un tratto tipico del XII secolo è un'eleganza, una spigliatezza nell'accettare la vita, di cui l'epoca successiva - più pedante e formale- non ha conservato le tradizioni. Abbiamo insistito sull'umanesimo di Gv di Salisbury e anche i suoi contemporanei sono stati più sensibili alle bellezze della civiltà greco-latina di quanto non lo saranno i contemporanei di s. Tommaso. Nelle opere di Abelardo constatiamo che questo dialettico cita costantemente autori latini e altri suoi contemporanei si sono proposti di imitare gli antichi, come Bernardo Silvestre e Alano di Lilla. Altri erano solo poeti come Ildeberto di Lavardin, di cui un poema è passato per lungo tempo per l'opera di un classico latino: certo è peggiore dei suoi modelli, ma davvero pochi sono stati i poeti latini da quando il latino fu considerato una lingua morta e anche Petrarca fallirà nel suo intento. Il piacere di un letterato nell'imitare dei classici è comunque segno di un umanesimo, a precscindere dal risultato che ottiene. E poeti latini, come Adamo di san Vittore, facevano di meglio che ricominciare l'antichità, essi la prolungavano! XII sec è un epoca di intenso fermento intellettuale: sviluppo delle Chansons de geste, ornati scultorei degli abbaziali cluniacensi, costruzione delle prime volte gotiche, fioritura scuole, trionfo della dialettica → epoca di UMANESIMO RELIGIOSO: tanto che il cristianesimo non odierà questo passato latino, ma volle conservarlo unendolo a sé: un'umanità cristiana ordini quello che di bello ha l'umanità pagana, mettendolo al giusto posto, gli conferisca il suo giusto valore e l'arricchisca di verità come di nuova bellezza. (XIII secolo invece sarà più represso e concentrato su studi puramente filosofici e teologici). Legato a questo vi è anche l'UNIVERSALITÀ DEL PENSIERO: Abelardo ad esempio non prende spunto solo dall'antichità greca, ma considera anche i gimnosofisti e i bramini indiani → si rifiuta di sacrificare qualsiasi valore spirituale ed umano. Uomini di quest'epoca però hanno ignoranza pressoché totale di ciò che possono essere le scienze della natura: molti celebrano la natura, ma nessuno pensa di osservarla. Si capisce ancora perché il simbolismo del XII secolo seduca i peti e gli artisti. Manca al XII secolo - per porre una realtà concreta sotto questo mondo di simboli - la concezione di una natura che abbia una struttura in s* e una intellegibilità per sé. Questa si formerà nel XIII sec, grazie alla fisica di Aristotele. LE FILOSOFIE ORIENTALI La filosofia araba 529 d.C.= Imperatore Giustiniano decreta la chiusura delle scuole filosofiche di Atene. Ma il pensiero greco aveva iniziato ben prima di questa data a guadagnare terreno verso l'Oriente. Speculazione ellenica beneficiò infatti della diffusione della religione cristiana in Mesopotamia e in Siria. I Siriani convertiti al cristianesimo ebbero la necessità d'imparare il greco per leggere Antico/ Nuovo Testamento e scritti dei Padri della chiesa, così si iniziarono alla scienza e alla filosofia greca. Così le scuole siriache sono state gli intermediari attraverso i quali il pensiero greco è giunto agli Arabi, aspettando il momento in cui doveva passare dagli Arabi agli Ebrei e ai filosofi dell'Occidente cristiano. Questa tradizione era costituita in gran parte dalle opere di Aristotele ed era filosoficamente la parte più feconda. Vi furono due celebri errori di attribuzione: due trattati essenzialmente neoplatonici - 42 L'esperienza non ci fa conoscere che degli oggetti la cui esistenza dipende da certe cause; ciascuno di essi quindi è semplicemente "possibile" e tale è la serie totale degli esseri → se esistono i possibili esiste anche un necessario, causa della loro esistenza, cioè Dio. Dio è il necesse esse: possiede l'esistenza in virtù della sua sola essenza, o, come si dice, esistenza ed essenza coincidono in lui. Tutto ciò che è possibile, invece, ha un'essenza e la sua esistenza è in un certo modo un accompagnamento accidentale della sua essenza. Vi è distinzione di essenza ed esistenza in tutto ciò che non è Dio. Avicenna ha concepito la produzione del mondo da parte di Dio come l'attualizzazione successiva di una serie di esseri, ciascuno dei quali diventa necessario in virtù della sua causa. La sola priorità del Primo sul resto è quella del necessario sul possibile. Il Necessario è semplice e uno (essenza autosufficiente) e dall'uno non può che uscire che l'uno → Dio è semplice e uno perché è una sostanza intellegibile; la sostanza intellegibile (il Primo), conoscendo se stessa, costituisce il Primo causato, anch'esso sostanza intellegibile, che è possibile per se stesso, ma necessario in virtù della sua causa. Il Primo causato, pensando in primo luogo a Dio, genera la seconda intelligenza separata, mentre pensando a se stesso, genera l'anima della sfera celeste. Questo processo continua fino all'ultima intelligenza separata, che presiede alla sfera della luna e che noi già conosciamo perché è il nostro intelletto agente. Essa però non ha più la forza per produrre un'altra intelligenza e così, irradiando le forme intellegibili che ne sono come gli spiccioli, si impadronisce delle materie terrestri, disposte a riceverle e vi generano gli esseri che noi percepiamo con i sensi. Tra questi esseri, vi è l'uomo: l'anima che anima il suo corpo è una sostanza intellegibile emanata dall'anima dell'ultima sfera. Non tutti gli uomini hanno la medesima capacità ad unirsi all'intelletto agente. Alcuni si elevano grazie alla purezza della loro vita fino a comunicare facilmente con questa intelligenza divina. Questo stato dell'intelletto è l'intellectus sanctus, il cui vertice è lo spirito di profezia. Avicenna ha realizzato una felice fusione tra aristotelismo e neoplatonismo ad uso del pensiero arabo conservando il principio del loro accordo con la religione. Al-Ghazzali (morte, 1111) tentò uno sforzo di reazione contro questo sviluppo straordinario della spiegazione razionale usata per la fede. Emerge dal titolo delle sue opere: Restaurazione delle conoscenza religiose, La distruzione dei filosofi, Le intenzioni dei filosofi (in cui espone dottrine di al-Farabi e Avicenna e cerca di confutarle). Egli professa una specie di scetticismo filosofico, di cui si propone di fare beneficiaria la religione. Il suo grande avversario è Aristotele, il principe dei filosofi, ma spesso include nei suoi attacchi al-Farabi e Avicenna. Le sue critiche vertono sia su fisica sia su metafisica: filosofi sbagliano affermando l'eternità della materia; non si può dimostrare l'esistenza del Demiurgo, ecc. Alcune di queste critiche sono verament epenetranti e provano quanto questo avversario dei filosofi fosse dotato di spirito filosofico. Questa critica non arrestò lo sviluppo della filosofia, ma anzi fece emigrare la filosofia musulmana dall'Oriente in Spagna, ove avrà ancor aun vivo splendore con Avempace, Ibn Tufail e Avveroè. (Spagna) Avempace (morte, 1138) era un arabo di Spagna, egualmente versato nelle scienze e nella filosofia, ha lasciato trattati di logica, un libro Sull'anima, la Guida del solitario e uno scritto Sul legame dell'intelletto con l'uomo. Ultimo titolo mostra bene quale fosse il problema per i filosofi: stabilire contatto tra individuo razionale e Intelletto agente separato da cui egli trae la sua beatitudine. La guida del solitario era una specie di guida dell'anima verso Dio, o diciamo piuttosto l'intelletto agente separato. NB: la semplice conoscenza dell'essenza astratta dell'uomo o di un cavallo verte 45 già su un'essenza comune ai diversi intelletti possibili che la conoscono. La conoscenza di un intellegibile qualunque raggiunge di colpo una sostanza separata e l'uomo è capace di farlo, perché lo fa! Si incontra poi un certo Abubacer (1100-1185), uomo dal sapere enciclopedico, → per i cristiani egli era colui che aveva identificato l'intelletto possibile dell'uomo con l'immaginazione (phantasia). Questa, una volta convenientemente preparata, potrebbe ricevere le forme intellegibili, senza che vi sia luogo a supporre nessun altro intelletto. Nome più importante per la filo araba è quello di Averroè (1126-1198): i suoi commenti ad Aristotele gli valsero il titolo di "Commentatore" per eccellenza (Dante: "Averrois che il gran commento feo") e giungono a noi in traduzione latina e in tre differenti redazioni (lunghi-medi- brevi). Uno dei suoi primi sforzi fu quello di determinare con precisione i rapporti tra filosofia e religione. Averroè attribuì ogni male al fatto che si autorizzavano ad accedere alla filosofia degli spiriti incapaci di capirla: il rimedio era un'esatta definizione dei diversi gradi possibili dell'intelligenza dei testi del Corano. Il Corano, in effetti, è la verità stessa, dato che viene da un miracolo di Dio; ma esso è destinato alla totalità degli uomini. Quindi si rivolge a tre generi di spiriti: ha un senso esteriore e simbolico per gli ignoranti, un senso interiore e nascosto per i sapienti. Il pensiero centrale di Averroè è che ogni spirito ha il diritto e il dovere di comprendere/interpretare il Corano nel modo più perfetto di cui è capace. Tre dunque sono gli ordini d'interpretazione e d'insegnamento: al vertice filosofia, poi teologia e poi fede/religione. Ma cosa si deve fare quando filo dice una cosa e la fede un'altra? Averroè in casi simili parla come se lui stesso fosse insieme filosofo e credente, tanto che gli fu attribuita la dottrina detta "della doppia verità", secondo la quale due contraddittorie potrebbero essere simultaneamente vere. MA egli constata che una certa conclusione s'impone necessariamente alla ragione, ma in caso di contrasto, egli aderisce all'insegnamento della fede. Senza dubbio, egli pone la conoscenza filosofica alla sommità della gerarchia del sapere (=s.Tommaso: scienza è un sapere più pf della fede!). Importante è che Averroè dice che nel Profeta, fede e ragione, religione e filosofia coincidono. Il pensiero di Averroè si presenta come uno sforzo cosciente di restituire alla sua purezza la dottrina di Aristotele, corrotta da tutto il platonismo precedente. Anche se era conscio che questa operazione comportava escludere dalla filo tutto ciò che in essa meglio si accordava con la religione. Averroè stesso partì dalla convinzione che la filosofia aristotelica fosse vera e comunque in Averroè rimane del platonismo. In logica, Averroè ebbe il ruolo di interprete penetrante e fedele all'aristotelismo autentico. La metafisica è la scienza dell'essere in quanto essere e con il termine "essere" bisogna intendere la sostanza stessa che è: ogni sostanza è un essere, ogni essere è o una sostanza o un accidente che partecipa dell'essere della sostanza. L'essere di ciascuna cosa le è proprio; non si può quindi predicare l'essere univocamente di tutto ciò che è. Ciascuna delle categorie dell'essere ha in comune con le altre il fatto di designare qualcosa che è: qualunque cosa esse siano e in qualunque maniera siano, tutte le categorie hanno un "rapporto" con l'essere. Logica non viene più utilizzata come semplice insieme di regole del pensiero corretto, ma come un mezzo per esplorare la natura reale dell'essere e delle sue proprietà. Perché la nostra logica si applichi al reale occorre che le cose sensibili siano anche intellegibili ed è così, perché la loro intellegibilità è loro essenziale e ciò che è essenziale non esiste che per una causa efficiente necessaria. Sarebbe un errore credere che gli 46 universali esistano in sé, al di fuori degli individui. L'universale non è una sostanza, ma opera dell'intelletto: così la scienza non ha per oggetto una realtà universale, essa consiste invece nel conoscere le cose particolare in un modo universale. Universale non è altro che "ciò che può essere predicato di parecchi individui". Gli individui non sono semplici, ma hanno forma (atto) e materia (potenza attualizzata). Muovere senza essere mosso significa essere un atto scevro di ogni potenzialità: un Atto puro. Perché l'azione motrice di questi atti puri sia continua, bisogna che anche il movimento e le cose mosse lo siano. Il modno è dunque sempre esistito e sempre esistera: la durata del mondo nel tempo è eterna. Essendo privi di potenzialità, questi atti lo sono anche di materia e ne porremo quanti sarà necessario per spiegare i movimenti primi, cause di tutti gli altri dell'universo → come possono muovere questi motori, che sono immobili? Per muovere essi non hanno da fare altro che esistere. Gli atti che così muovono i corpi celesti non danno loro soltanto il movimento, ma la forma da cui ciascuno riceve la sua essenza. I motori dunque sono anche la cause eternamente agenti dei corpi celesti. Dato che motori sono anche l'oggetto del loro desiderio, ne diventano anche il fine → le intelligenze motrici dei corpi sono di conseguenza le cause finali, agenti e motrici dei corpi celesti. (motori in GERARCHIA). Per sapere come queste intelligenze sono le une in rapporto con le altre, occorre esaminare il rapporto dell'intelletto con l'intellegibile nell'intendimento umano. Ns intelletto capace di riflettere il suo atto su se stesso, nel tal caso l'intelletto e il suo intellegibile fanno una cosa sola. A maggior ragione per le intelligenze separate: ciascuna è identicamente conoscenza e ciò che essa conosce. Ciascuna di queste intelligenze separate conosce dunque contemporaneamente, conoscendosi, se stessa e la sua causa, salvo la prima di tutte che non avendo causa non conosce che sé. Non vi è mancanza di conoscenza in Dio. Intelligenze motrici sono anche viventi e capaci di felicità: la prima è felice e le altre non hanno gioia se non da lei, in proporzione al grado di ciò che esse conoscono. Dio è la causa dell'esistenza dell'intelligenza motrice della sfera più alta, quella delle stelle fisse. Al centro di questo universo stanno i quattro elementi, causati dal movimento più rapido che è quello della sfera delle stelle fisse. Fisica spiega come le qualità di questi elementi e i movimenti delle sfere generino pianeti e esseri viventi. Forme di questi esseri vengono conferite loro dall'intelligenza agente -ordinatrice della materia e priva lei stessa di ogni forma. Perché queste forme devono esistere nella materia? Perché è come una seconda esistenza che s'aggiunge alla prima ed è meglio del nulla. Tale è la situazione dell'uomo: Averroè non concede all'individuo che un intelletto passivo, semplice "disposizione" a riceve gli intellegibili (del tutto corporea, questa disposizione muore col corpo). Perché la conoscenza sia possibile occorre il contatto dei due intelletti e la combinazione produce l'intelletto materiale. Questo intelletto non è in alcun modo corporeo, dalla materia riceve solo la sua potenzialità. L'immortalità dell'uomo non può quindi essere quella d'una sostanza intellegibile capace di sopravvivere alla morte del corpo. FILOSOFIA EBRAICA 47 L'INFLUENZA GRECO-ARABA NEL XIII SEC E LA FONDAZIONE DELLE UNIVERSITÀ L'influenza greco-araba Il progresso filosofico del XIII secolo ha fatto seguoti all'invasione dell'Occidente latino da parte delle filosofia arabe ed ebraiche e delle opere scientifiche, metafisiche e morali di Aristotele. Opera dei traduttori ha preceduto quella di filosofi e teologi. Tra i primi traduttori dominano Domenico Gundissalino, Ibn Dahut e Giovanni Ispano. Il loro lavoro si svolgeva in condizioni difficili: quando si trattava di Arist., le traduzioni arabe di cui si disponeva erano state a loro volta tradotte dal greco e al siriaco, poi all'arabo. Traduzioni in Italia iniziarono un po' più tardi. Queste traduzioni hanno esercitato sul pensiero del secolo successivo un'influena profonda, durevole e relativamente omogenea. Ricordiamoci che giunse all'Occidente un Aristotele fortemente platonizzato! Ricordiamoci l'errore di attribuzione dei due libri. Liber de causis contiene 32 proposizioni e riguarda l'ordine gerarchico delle cause partendo dalla prima. La prima è anteriore all'eternità e all'essere stesso. Tutto ciò che non è questa prima causa è molteplice, non è l'uno. L'essere compare come primo causato, è un'intelligenza pura → non è uno perché contiene la totalità delle forme intellegibili. Le forme causate dalle prima intelligenze generano a loro volta tutte le anime. Così l'efficacia di queste proposizioni è più quella di una un'informazione che una creazione propriamente detta. Gundissalino ha lasciato il suo De divisione philosophiae, una specie d'introduzione alla filosofia; De processione mundi, dove intraprende l'interpretazione del problema della creazione come cristiano; De immortalitate animae e De Unitate. Opera personale di G. è un documento prezioso sulle prime reazioni dei cristiani a contatto delle filo arabe ed ebraiche anteriori ad Averroè. Si chiamino "complesso teologico" l'insieme di posizioni dottrinali che hanno molte fonti e uniscono più tesi teologiche fondamentali. Prima spinta araba venuta dalla Spagna s'è esercitata in effetti nel senso di al-Farabi, di Avicenna e di al-Ghazzali conosciuto dai latini (aristotelismo neoplatonizzato). Tutto il platonismo che si ritrova sparso nel XII secolo trovava qui il sistema del mondo che precisava le sue opinioni e gli dava un consistenza scientifica. Il successo di Avicenna fu immediato presso i cristiani (si parlò di avicennismo latino). Al-Farabi e Avicenna insegnano che esiste un intelletto agente separato, lo stesso per tutta la specie umana → dei cristiani avevano il dovere sia di andare oltre questa intelligenza per arrivare fino a Dio, sia di identificarla con Dio. Verso l'ultimo terzo del XII sec compaiono opere curiose in cui la dottrina di Avicenna si combina con tutti i platonismi già noti: Agostino, Dionigi, Calcidio, Boezio, Eriugena e altri. Vi è un altro testo: Liber Avicennae in primis et secundis substantiis, o De fluxu entis: l'opera non è certamente di Avicenna, ma brani del filosofo sono ricuciti con quelli che l'autore anonimo prende dagli autori poco sopra citati. Rimane un fatto: il pensiero cristiano si è piegato dapprima sotto la spinta araba; smarrita in questo contesto filosofico, la dottrina biblica della creazione sparisce sotto la metafisica lussureggiante delle "processioni del mondo" a partire da Dio. Noi comunque conosciamo queste dottrine tramite brevi frammenti. Almarico di Béne (morte, 1206) fu accusato in vita di insegnare tesi pericolose. Esisteva allora un gruppo di "almariciani" le cui dottrine furono oggetto della censura ecclesiastica. Almarico avrebbe insegnato che Dio era tutto → l'essere di Dio è essenzialmente lo stesso di quello delle cose → pieno panteismo! Si è accusato Almarico di intender ciò come Eriugena. Un altro almariciano, 50 Bernardo, spiega che: tutto è uno, poichè tutto ciò che è, è Dio, allora, in quanto io sono, non mi si pò bruciare perché in quanto sono, sono Dio! Si trattava di paradossi metafisico-dialettici e di eccessi verbali. Altra testimonianza viene da Davide di Dinant, autore di De tomis id est de divisionibus → dottrina di Davide consisteva, come quella di Eriugena, nel "dividere" l'essere. Diviso in tre indivisibili: corpi, anime, sostanze separate. Questi tre indivisibili sono una sola e medesima cosa, donde risulta che tutto è essenzialmente uno. Sembra che Davide unifichi tutto, compreso Dio stesso, con l'essere. Dio, intelletto e materia sono una cosa sola in quanto il nostro intelletto è capace di concepire contemporaneamente Dio e la materia, dunque concipire una cosa significa assimilarla. Ora, anche potenza pura e materia pura fanno una cosa sola → Davide non intende che tutto sia corpo, ma voleva dire che se si va oltre i corpi per raggiungere il loro principio, si trova una potenzialità pura (materia che sfugge a tutte le categorie, anteriore ad esse). → Nulla era più agevole dell'arrivare a questa conseguenza argomentando logicamente sul "Dio non essere" di Dionigi. Conflitto tra filo araba e teologia cristiana avviene all'inizio del XIII sec, all'Università di Parigi (allora appena costituita) → qui fanno apparizione le traduzioni di Arist. e dei suoi commentatori arabi. Illustri maestri non ignorano questo complesso di nuove idee che iniziano ad affluire. Negli anni successivi giunge Averroè e Alberto Magno e Ruggero Bacone iniziano a citarlo (senza capire ancora il senso esatto della sua dottrina). Incomincia allora la grande epoca della teologia e della filosofia scolastica → coincide con lo sforzo dei pensatori cristiani per incanalare l'ondata greco- araba, o per arginarla. Consideriamo l'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica: il piano su cui si muove è quello della prudenza dottrinale e della disciplina. Inizia a proibire anche per concedersi il tempo di discernere questa massa di concezioni nuove. Dal 1210 fu vietato insegnare a Parigi - in pubblico e in privato - le opere di Aristotele sulla filosofia naturale, o i loro commenti. Nel 1215 l'Organon di Aristotele resta autorizzato, ma non la Metafisica e i libri di fisica/scienza naturale. Mentre l'insegnamento di Arist veniva proibito a Parigi, restava autorizzato a Tolosa → la fisica di Aristotele era la sola fisica sistematica che esistesse. Il 13 Aprile 1231 Gregorio IX rinnova il divieto posto vs Arist. ma soltanto finchè la Fisica non fosse stata sottoposta a censura e purgata dai suoi errori. Ma in realtà, gli scritti di Arist. di fisica e metafisica s'infiltravano da ogni parte e guadagnavano continuamente terreno. Interventi di Innocenzo IV nel 1245 e di Urbano IV nel 1263 per vietare Arist. a Tolosa arrivarono troppo tardi e resteranno inoperanti. Più illustri maestri commentavano, interpretavano e assimilavano la dottrina del filosofo greco → 1366 autorità pontificia chiederà ai candidati alla licenza delle Arti lo studio degli stessi trattati di Aristotele ch'essa aveva così a lungo proibito. Filosofia del XIII secolo può essere definita dai diversi atteggiamenti assunti riguardo ad Aristotele. Anche Domenicani e Francescani ebbero importantissimo ruolo nell'interpretazione della filo aristotelica. Incontriamo in primo luogo l'agostinismo francescano; scuola domenicana fa grande passo avanti verso l'aristotelismo (a questa appartiene s. Tommaso); la scuola averroista (Sigieri di Brabante); Oxford. La fondazione delle Università Universitas = insieme delle persone, maestri e scolari, che partecipano dell'insegnamento impartito in questa stessa città. 51 Studium generale, o universale, o commune = centro di studi dove possono venire accolti anche studenti di origini diverse. Prima università diventata un corpo regolarmente organizzato e collettivo analogo alle nostre moderne uni è quella di Bologna, ben presto superata in prestigio dall'Università di Parigi. Due differenti poteri avevano interesse a proteggere questa massa di uomini di studio per meglio dominarli, i re di Francia e i papi. Re di Francia tutelano lo studio affinchè l'università conferisse prestigio alla capitale e accrescesse la loro influenza all'estero. Perché lo studium parisiense fosse prospero, bisognava assicurare la tranquillità degli studi, dunque la tutela fisica e l'indipendenza spirituale dei suoi membri → organizzarlo. Papi diedero un grande contributo → vero fondatore dell'uni di Parigi fu Innocenzo III. Vediamo due tendenze contraddittorie nell'università di Parigi: A. farne un centro di studi puramente scientifici e disinteressati B. subordinare questi studi a dei fini religiosi e a metterli al servizio di una vera teocrazia intelletuale. Diritto romano e dialettica/filosofia furono spesso affrontati da maestri che si dedicavano esclusivamente a questa scienza e si rifiutavano di valicarne il confine per arrivare fino alla teologia. Dal momento in cui si conoscono la fisica, la morale e la metafisica di Aristotele vengono conosciute dai maestri delle arti non solo un metodo logico e formale, ma hanno anche da trasmettere delle conoscenze positive e da insegnare delle scienze che possiedono un contenuto reale. Alcuni maestri non domandavano altro che esser liberi di insegnare queste discipline. Altra tendenza, quella della Facoltà di teologia la cui importanza e la crescente influenza ben presto relegarono la Facoltà delle arti in secondo piano. Alla teologia Aristotele non offriva nient'altro che procedimenti di discussione, per questo non aveva nessun desiderio di modificare questa sua tradizione. Ma per il fatto che si insegnava teologia, l'Università di Parigi dipendeva da una giurisdizione più alta di quella della ragione individuale → papi colsero occasione e attivarono politica universitaria. Lo studium parisiense è una forza spirituale e morale il cui significato più profondo non è né parigino né francese, ma cristiano ed ecclesiastico. Università di Oxford : maestri che le diedero lustro s'erano formati tutti secondo l'antica disciplina agostiniana, che univa al tradizionalismo in materia di teologia il gusto del platonismo. Oxford ebbe dunque la sua originalità. Si interessava soprattutto dell'elemento empirito dell'aristotelismo e fece passare il metafisico dopo lo scienziato. QUadrivium insegnato con la massima cura. NB: lezione = lettura e spiegazione di un testo dato. Disputa = giostra dialettica che si svolgeva sotto la presidenza e responsabilità di uno o più maestri (alcune alla fine di ogni due settimane, alcune una o due volte l'anno). L'esilio delle Belle Lettere La tradizione romana dell'eloquentia si è perpetuata dall'arrivo di Alcuino in Francia fino alla fine XII sec. Contro i Cornificiani, che no vedevano nell'eloquenza altro che un dono naturale, Gv di Salisbury sostiene che questo dono deve essere coltivato con lo studio. Questo era stato l'esempio di Marciano Capella (Mercurio - l'eloquenza- sposa Filologia- l'amore della ragione). Situazione cambia intorno al XIII secolo. Cultura di un nuovo tipo in seguito alla traduzione di Aristotele e al suo inserimento nei programmi dei maestri di logica: cultura costituita dal minimo di grammatica, costituita dallo studio della logica e della filosofia di Aristotele e coronata da quello di una teologia la cui tecnica s'ispira a questa logica e filosofia. Più vigorosa protesta venne da Ruggero Bacone: nel suo Opus maius non vuole sconsigliare lo studio di Aristotele ma avverte di non dimenticarsi del quadrivium. Insiste sulla necessità della 52 LA FILOSOFIA NEL XIII SECOLO XIII secolo: età della teologia scolastica propriamente detta ed epoca in cui si elabora filosofia che porterà lo stesso nome. Filo scolastica presenterà soprattutto nella fase finale un sorprendente carattere di unifermità (si parlerà di aristotelismo cristianizzato e di metodo essenzialmente dialettico contro cui si scaglierando Francis Bacon e Descartes). XIII sec è epoca di questa formazione, che presenta diversità di punti di vista su quasi tutti i problemi. All'origine di questo movimento di idee ci sono i commenti e le letture dei testi fatti dai maestri della Facoltà delle Arti → testi/commenti: molti ancora inediti e relativamente pochi seriamente studiati. Filo del XIII sec fu qualcosa di diverso da una semplice esegesi di Aristotele, essa ne fu la reinterpretazione da parte dei cristiani! Scintilla creatrice sprizza generalmente col contatto tra filosofia greca e rivelazione cristiana. Da Guglielmo d'Auvergne a Enrico di Gand Gundissalino, cercando di assimilare le filo ebraiche ed arabe, mostrò il rischio che correva la fede cristiana. Gregorio IX ammonì nel 1228 i teologi di insegnare una teologia scevra da ogni scienza del secolo → ma non poteva essere rispettato, visto l'ambiente scolastico in cui queste fantasie venivano di fatto insegnate. Nulla poteva fermare lo slancio degli studi filosofici, così i teologi non videro di meglio che prenderne la direzione. Sforzi più antichi sembrano risalire al Commento alle Sentenze di Pietro di Poitiers, Summa teologica di Simone di Tournai, Summa aurea di Guglielmo d'Auxerre, Summa de Bono di Filippo il Cancelliere. Quest'ultimo fu il primo trattato sulle proprietà trascendentali dell'essere. Nome dominante: Guglielmo d'Auvergne (1180ca-1249), muore lasciando un'opera teologica considerevole. Per quanto riguarda la storia della filo scrisse un De anima, De primo principio, De universo. Posizione che occupa porta a considerarlo un precursore , comunque si ricollega alla fine del XII sec, di cui egli esprime la reazione platonizzante e agostiniana dinanzi a un mondo arabo. Guglielmo non scrive che in funzione dell'insegnamento ed era gran narratore di racconti. (è francese, e per questo si sarebbe tentati di dire che è del XII sec! cfr. Abelardo e Bernardo di Chiaravalle, → francesi invece non dominano il XIII sec, sebbene l'univ di Parigi, non vi è un nome francese da ricordare!). Si presentano fisiche, psicologie, metafisiche e morali non cristiane che i dottori cristiani non possono permettersi d'ignorare: Guglielmo non perdona questa ignoranza e sostiene che si può trionfare sulla filosofia solo da filosofi, non si possono combattere idee sconosciute (così faranno A. Magno e Tommaso). Guglielmo vide l'importanza di Avicenna e l'interesse che offriva per un teologo cristiano la sua distinzione di essenza ed esistenza. Il termine essere ha due significati: • l'essenza o sostanza presa in se stessa (spogliata da accidenti) • essere significa anche ciò che il verbo est designa quando lo si predica di una cosa qualunque. Questa regola ha un'eccezione che è Dio: essenza ed esistenza coincidono in lui. Questo principio è anche la base della prova dell'esistenza di Dio (l'affronta nel De primo principio): ogni essere è tale sia che la sua essenza includa o non l'esistenza. Ogni essere è tale ed esiste per se stesso o per altro (inconcepibile che esistano esseri solo per altro). Resta dunque posto solo per 3 ipotesi: 55 1. ammettere che la serie degli esseri che esistono per altro è in effetti infinita → inconcepibile 2. ammettere una serie circolare di esseri che si causano l'un l'altro → assurdo (esseri si causerebbero da se stessi) 3. ammettere esistenza di un essere che esiste per sè → Dio. Dio concepito da Guglielmo è assolutamente semplice ed in lui l'essere non è separato dall'essenza. Per questo Dio non è definibile, non ha "quidditas". Unico nome che possa convenirgli è l'Essere. Con la nozione di essere Guglielmo sembra intendere il Dio come necesse esse di Avicenna → considera questa nozione come in grado di farci cogliere Dio soltanto come essere e non come Dio. Con la nozione di ens Dio si esprime immediatamente al nostro intelletto. Egli supera senza esitazione Avicenna e Maimonide, avvicinandosi già più al tomismo → distinzione di essenza/ esistenza create considerata non come distinzione di materia/forma, ma come distinzione reale. L'esistenza è accidente dell'essenza. Così l'esse della creazione è una partecipazione dell'esse divino. Egli unisce così direttamente a Dio l'essenza creata. Egli ha un senso acutissimo dell'importanza primordiale dell'atto di esistere → non si deve intendere con "accidente" un'appendice senza importanza (grave errore) → l'esistenza vale più dell'accidente e anche più della sostanza, perché perdendola si perde tutto. Nella dottrina di G, Dio presta l'esistenza piuttosto che darla, e la creatura sembra non averne nessun'altra che quella per la quale è, piuttosto che non è. Anche se manca una chiara concezione della propria autonomia, che ha ogni atto particolare di esistenza. Povertà ontologica si riscontra anche nella cosmologia/cosmogonia. Egli si oppone a concezione avicenniana di un'eterna emanazione dei possibili retta dalla necessità dell'intelletto divino. La volontà di Dio è eterna, ma libera, le sue decisioni sono eterne, ma non ne consegue che siano eterni anche i loro effetti. Dio ha voluto eternamente e liberamente che il mondo incominciasse nel e col tempo. Il mondo, creato dal nulla, fu dopo il nulla. (G. rovescia argomento di Avicenna → Dio non è intaccato dalle cose, quindi sono sempre esistite, NO!). Tutto ciò che le creature fanno dipende dalla volontà divina. A ciò si aggiunge l'assoluta potenza di Dio: le creature non sono che i canali in cui essa circola. (Guglielmo trovò nella dottrina volontaristica di Gebirol di che giustificare filosoficamente la nozione cristiana di una libera creazione). Cosmologia: G. dà un posto a quell'anima del mondo che aveva conquiastato nel XII sec numerosissimi spiriti. Prima preoccupaz. di G. è di eliminare gli intermediari posti da Avicenna → l'anima è una sostanza spirituale assolutamente semplice, scevra da ogni composizione. Rimane una e indivisa, qualunque siano le operazioni che compie. Nessuna facoltà distinta da essa si interpone tra lei e le operazioni che compie. Così attua una critica radicale alla teoria aristotelica e avicenniana della conoscenza → dato che anima è una e indivisibile, non vi è intelletto agente e possibile. Questo intelletto è l'anima stessa che svolge le sue funzioni conoscitive (così questo intelletto non può che essere agente). Allora come l'anima conosce? Riconosce estrema difficoltà del problema. Non esistono gli universali, quindi non possono esercitare influenza sull'anima. Bisogna trovare causa realmente esistente e attiva → questa è l'oggetto che trae l'universale dal particolare tramite l'astrazione. Le nostre immagini sono tutte vaghe come percezioni di oggetti visti da lontano. Anima ricava conoscenza dal creatore (essendo nella sua parte inferiore legata alle cose senbili e quella superiore legata a Dio) → tutto viene dall'interno, in occasione degli stimoli che il corpo subisce dall'esterno e sotto l'azione interna della luce divina (occorreva ammettere universo piene di forme intellegibili). Anima: in presenza di intelligibili col pensiero, in presenza dei sensibili coi sensi → intelligibili 56 sono causa dei sensibili. Per G. tutto si riduce a una specie di intuizionismo dell'intellegibile che duplica quello del sensibile e che si spiega con l'illuminazione del mondo archetipo. Non si trovano altre opere francesi davvero originali. Abbiamo un Memoriale rerum difficilium (1230 ca) di un ignoto autore, forse Adamo Belladonna. Opera interessante che deriva principalmente dal tema dionisiano dell'illuminazione gerarchica. Adamo parte da una sostanza prima, che è un'intelligenza e non si può definire il resto che in rapporto ad essa. Questa è il primo conoscibile e causa dell'esistenza attuale di tutti gli esseri → questo essere primo è la luce. In più ciò che non è Dio, non esiste che in partecipazione di Dio. La luce è forma, o perfezione, di tutto ciò che esiste; è fonte di vita. Posti questi principi si può costruire la gerarchia delle sostanze conoscitive. Quest'opera è un quadro dell'illuminazione universale dove sono raccolti e fusi abilmente elementi di ogni provenienza. Teologi francescani ebbero notevole interesse per i trattati di ottica arabi, le Perspectivae e si può facilmente capire il perché . Luce simboleggiava ai loro occhi la luce invisibile con cui Dio illumina ogni uomo. Abbiamo un De Luce di Bartolomeo da Bologna (francescano). Per lui la Scrittura è somma di ogni verità. Metafora Luce-Dio è la migliore: integra scienza a teologia. Autori di trattati di ottica distinguono: • lux: natura della luce considerata nella sua fonte • radius: raggio, è l'analogo diametralmente generato nell'ambiente dalla sorgente luminosa • lumen: luce diffusa in maniera sferica • splendor: splendore degli oggetti tersi resi brillanti dalla luce. Dandosi il nome di LUX Dio quindi ci avverte ch'egli è la fonte illuminatrice stessa di tutte le creature fornite di intelletto. Dal momento in cui grandi ordini mendicanti si insediano nelle Università di Parigi e Oxford, grandi nomi della filo/teologia sono quelli di Domenicani e Francescani. Pochi maestri secolari però richiamano l'attenzione. Enrico di Gand (morte, 1293), la cui opera fu a lungo e ingiustamente trascurata, appartenne all'ordine dei Serviti. Scrisse Quodlibera e Summa theologica. Ricordando lo schema della metaficia di Avicenna come scienza dell'essere in quanto essere, esaminando le relazioni nella coppia "essere necessario / essere possibile", occorre capire come attraverso una serie di atti necessari gli esseri possibili emanino gerachicamente partendo dal necessario, che è il Primo. Divisione di Enrico di Gand: invece di essere diviso in necessario e possibile, lo distingue in "qualcosa che è l'essere stesso" e "ciò che qualcosa a cui l'essere conviene". Il primo è l'essere increato, l'altro contiene ogni cosa creata. Enrico precisa che se si vuole, si può dimostrare Dio partendo dal sensibile, ma che vi si giunge meglio partendo dall'idea di essere. Il secondo tipo di essere che ha distinto comprende tutto ciò che rientra o piò rientrare nelle categorie. Enrico con cura cerca di evitare la dottrina dell'univocità dell'essere che suggeriva Avicenna (Duns Scoto accetterà). Infatti, egli pone come prima la nozione di essere per sè e a farne di conseguenza contemporaneamente il primum cognitum e la ratio cognoscendi di tutto il resto per la conoscenza umana. Tra il creatore e la creatura pone le idee divine; esse sono le idee divine, quindi non possono essere concepite che come dotate di una propria sussistenza. L'Idea rappresenta una creatura sensibile, quindi bisogna che essa si distingua da Dio → Dio conosce prima se stesso, poi la creatura creabile, poi l'essere di qst creatura creabile. Infatti, essere proprio della creatura è la sua essenza, che è 57 Egli incorpora quasi come tale l'argomento ontologico di Anselmo. Noi conosciamo Dio perché egli ci è già presente → Se è la presenza di Dio che fonda la conoscenza che di lui abbiamo è sottinteso che l'idea che noi abbiamo di Dio ne implica l'esistenza. Nozione stessa di Dio implica la sua esistenza. Così che si dirà.. → "SI DEUS EST DEUS, DEUS EST". L'affermazione dell'esistenza di Dio non implica assolutamente la nostra comprensione della sua essenza. Quale concezione dell'anima e della conoscenza implicano tale dimostraz dell'esistenza di Dio? Anima è essenzialmente una, ma le sue facoltà variano a seconda degli oggetti ai quali essa si applica. Anima è essa stessa animatrice del corpo, ma reagisce -dando un giudizio- sull'azione che ha appena subito, e questo giudizio è la conoscenza sensibile. Astrazione è opera dell'intelletto possibile. Dunque esso è facoltà attiva dell'intelletto che prepara le nozioni intellegibi e le accoglie in sè. Intell. agente illumina quello possibile e lo rende capace di effettuare l'astrazione. Due funzioni distinte della medesima anima. Ricorso alla conoscenza sensibile è necessario all'intelletto per conoscere tutto ciò che gli è estraneo. Ma tutto è diverso quando intelletto si volge all'anima → facciamo appello ad una luce interiore. Formula abituale in Bonaventura è chiedersi come l'intelletto umano possa raggiungere una conoscenza certa. Le idee divine stesse illuminano l'intelletto umano nella sua conoscenza degli oggetti corrispondenti. Proprio perché le idee divine stesse giudicano il nostro intelletto, che esso è capace di giudicare. Complessa dottrina della conoscenza: ogni vera conoscenza dell'intellegibile è spiegata con l'azinoe la presenza in noi di un raggio affievolito della luce divina. Anche se non raggiungamo mai l'apice della conoscenza. Noi abbiamo conoscenze certe e chiare, ma questa conoscenza non è completa: le manca sempre il suo fondamento ultimo. Ma ciò non è inconveniente. Questo duplice aspetto della conoscenza umana è dovuto al fatto che l'uomo si trova in una situazione intermedia, senza dubbio più vicino alle cose che a Dio. Mondo è eterno o ha avuto inizio nel tempo? Ciò che per Bonaventura è dimostrato come contraddittorio è ammettere che il mondo sia esistito dall'eternità. (si dovrebbe ammettere che l'infinito aumenta, data l'aggiunta di giorni nuovi a quelli vecchi; si dovrebbe ammettere un'infinità di oggetti e individui). Non soltanto per fede, ma anche per ragione, dobbiamo ammettere come impossibile che l'universo sia stato creato come coeterno a Dio. Struttura stessa dell'universo: da essa constatiamo che in tutte le cose create l'essenza è realmente distinta dall'esistenza. Inoltre tutti gli esseri creati sono composti di materia e di forma, cioè di possibile e atto. Il principio di individuazione è l'unione di materia e forma. L'uno e l'altra non sono delle sostanze incomplete: anima è forma completa per se stessa e si impadronisce di un corpo già costituito. Sostiene altre due dottrine che definiscono la fisica di Bonaventura: la pluralità delle forme, per cui ogni essere implica altrettante forme quante sono le diverse proprietà che egli possiede (molteplicità forme si dispone in ordine gerarchico così da costituire un'unità!); la concezione stoica delle ragioni seminali, la materia sarebbe passiva e riceve immediatamente una determinazione virtuale dalle forme sostanziali che sono in sè allo stato latente, aspettando che più tardi esse, sviluppandosi, la informino. 60 Dottrina di Bonaventura è stata designata col nome di agostinismo (concezione di Dio, conoscenza umnaa, natura delle cose). Il suo misticismo non è banale come quello di san Bernardo, esso è teorico. Egli usa tante fonti diverse ma con una base comune. I rappresentanti di qst complesso agostiniano si trovano un po' ovunque nel XIII sec a Parigi, a Oxford, in Italia. Questi agostiniani appartengono tutti a ordini religiosi. Per la maggior parte sono dei Padri Minori. Vediamo loro e quelli che poi se ne distaccarono gradatamente. • Eustachio di Arras (morte, 1291): fu un risoluto sostenitore della dottrina dell'illuminazione divina. • Gualtiero di Bruges: (m. 1307) le sue opere sono testimonianza della sua fedeltà ai principi di Sant'Agostino. • Matteo di Acquasparta (1240ca-1305): le sue opere lo mostrano preoccupato di difendere e puntualizzare la dottrina di san Bonaventura. Nelle sue Questioni si ritrovano tesi classiche dell'agostinismo del XIII sec. Egli sostiene la composizione ilemorfica dell'anima (da sostenere perché distinzione essenza/esistenza non basta a distinguere creatura e creatore); spiegazione bonaventuriana dell'individuazione per la materia e la forma; dottrina delle ragione seminali che si oppone in lui alla dottrina tomista della cuasalità; cerca di chiarire nei dettagli tesi bonaventuriana e agostiniana dell'illuminazione divina. • Ruggero Marston fu un risoluto sostenitore dell'illuminazione agostiniana. Interpretando Aristotele come al-Farabi e Avicenna dichiara che l'intell. agente è una sostanza separata, ma che questa sostanza separata e illuminatrice è Dio. Comunque ogni uomo ha proprio intelletto agente. Ma occorre intervento della luce divina per una conoscenza certa. Difficile cmq precisare la sua posizione: sembra segnare la fine dell'agostinismo. • Pietro Olieu: migliore testimone di questa difficoltà dottrinale(agostinismo). Egli è sostenitore della pluralità delle forme e altri temi del complesso agostiniano (composiz. ilemorfica dell'anima). Ne consegue che, benchè costituisca un'unità sostanziale con il corpo, l'anima intellettuale non ne è la forma → tesi condannata nel 1311 al concilio di Vienna. Sostiene in generale tesi accolte nell'ordine dei Frati Minori: nega con Agostino che il corporeo possa agire sullo spirituale; abbandona dottrina delle ragioni seminali; si dichiara nell'imbarazzo per dottrina dell'illuminazione, perché incapace di risolvere molte obiezioni che essa sollevava. Si lodava di essere il primo sostenitore della teoria dell'impetus, ovvero di aver sostenuto contro Aristotele che l'impulso impresso ad un proiettile continua a muoverlo in assenza di ciò che causa il suo movimento. Rifiutò di ammettere che l'inferiore possa agire sul superiore e così la sensibilità sull'intelletto. Per spiegare come da sensazione si passi ad intelletto parla della colligantia, cioè la solidarietà delle facoltà dell'anima. • Petrus de Trabibus (Pietro di Trabes) nega esplicitamente che Dio sia la luce dell'intelletto in ogni conoscenza, perché per lui implicherebbe che ogni essere intelligente vede naturalmente l'essenza di Dio. Si separa così da Agostino. Accetta dottrina dell'unione anima-corpo (condannata da concilio di Vienna); mantiene composizione ilemorfica dell'anima razionale e nega che sia forma del corpo, perché anima vegetativa e sensitiva adempiono da sole a questa funzione. Accetta colligantia. Afferma che intelletto non è mai né completamente attivo né completamente passivo. Di qui si orienta versoo la descrizione psicologica del processo conoscitivo. • Vitale di Four (m. 1327). Da lui non ci si deve aspettare pensiero originale perché si rifà ai precedenti. Egli tiene all'idea che l'essenza degli esseri coincide con la loro esistenza. Anche se questo privilegio non appartiene che a Dio, egli insegna che l'esistenza della creatura non aggiunge alla sua essenza null'altro che un rapporto con la sua causa efficiente. Esistenza non è un 61 assoluto che sopraggiungerebbe all'essenza, ma l'essenza stessa attualizzata per la sua partecipazione all'essere divino. Esistenza è quindi principio di individuazione. Ogni conoscenza intellettuale si fonda sul singolare esistenze: da questa conoscenza dell'individuale esistente, l'intelletto si eleva con astrazioni successive alle consocenza più alte, fino alla conoscenza suprema che è quella del bene in quanto bene. Ogni sapere si fonda dunque su questo primo contatto esistenziale. Ogni vera conoscenza intellettuale richiede l'illuminazione divina e concepisce qst'ultima come un'intima penetrazione dell'anima da parte di Dio (così anche in lui si risolve come l'esperienza di una presenza divina. • Riccardo di Middleton fu uno spirito molto libero, senza partito preso, pronto ad accogliere la verità da qualunque parte. Riccardo segue una via propria rispetto a quella che ci si aspetterebbe da un domenicano influenzato da Tommaso d'Aquino. Noi conosciamo i singolari non soltanto spirituali, ma anche sensibili, con una sola e medesima specie intellegibile, nella quale il nostro intelletto attinge direttamente l'universale, poi con la sua mediazione l'individuale. Vi può quindi essere una scienza del singolare. Poi sostiene il primato del bene, rifiuta la distinzione tomista di essenza/esistenza (è solo distinzione di ragione); conserva la distinzione di materia e forma in ogni creatura spirituale o corporea; pluralità forme. Non fu innovatore in fisica. Sostiene la possibilità di un universo capace di crescere o di dividersi al di là di ogni limite attualmente dato. Riccardo sostiene anche la pluralità dei mondi. Riccardo fu uno dei primi a trarre profitto dalla condanna del 1277 → nascono nuovi interessi intellettuali di cui egli è uno dei primi testimoni. Egli è l'ultimo rappresentante della scuola serafica (Bonaventura), per cui si impegno a discostarsi dal complesso agostiniano. • Guglielmo di Ware fu un altro che abbandonò a sua volta l'interpretaz agostiniana dell'illuminazione divina, la composizione ilemorfica e la pluralità delle forme. Concorda con Agostino solo nell'insegnare che l'impressione della specie nella memoria/intelletto non basterebbe senza il concorso attuale della volontà che li unisce. Volontà sopra intelletto. • Raimondo Lullo (1235-1315) → persona dotata di grande immaginazione e chiamato Dottore Illuminato. Crede di ricevere la sua dottrina da una rivelazione divina. Inventò un suo metodo di apologetica: consiste in tavole sulle quali sono scritti i concetti fondamentali e combinando le diverse posizioni possibili si ottengono meccanicamente tutte le relazioni di concetti corrispondenti alle verità essenziali della religione. Ebbe vivo sentimento per opera apologetica per convincere infedeli. Musulmani negano rivelazione, averroisti per principio non la prendono in considerazione → dunque vi è abisso tra filo e teologia. Si deve poter stabilire accordo tra le due. Occorre partire da principi che siano evidenti a tutti. Alla sua lista egli aggiunge le regole che permettono di combinare correttamente questi principi (domande molto generali applicabili a tutte le combinazioni). Sostiene antica idea cristiana secondo cui Dio si è manifestato in due libri: Bibbia e Libro del mondo. • Raimondo di Sebond (m. 1436) illustra a meraviglia la profonda continuità di epoche e di forme di cultura forse meno contrastanti di quanto non si sia creduto. Scrisse Theologia naturalis, il prologo della quale fu censurato ed era importantissimo. Egli intraprende ad esporre la "scienza del libro delle creature", che ogni cristiano deve conoscere per poterla difendere e per poter morire per essa. Caratteristica di questa scienza è la sua facilità. La scienza che egli propone permette di conoscere infallibilmente tutta la fede cattolica e di provare che essa è vera. Aggiungiamo che questa fede è autosufficiente. Come Anselmo si impegna a non citare mai la Scrittura. I due libri che ci ha dato Dio non possono mai contraddirsi. Da Roberto Grossatesta a Giovanni Peckham 62 propri; infine, consiste nella potenza che permette alle altre scienze di frugare i segreti della natura, di scoprire il passato, ecc. L'Opus maius non si presenta come un'esposizione della scienza totale, perché questa scienza rimane da acquisire. Piuttosto è un invito alla ricerca e soprattuto alla pratica dell'esperienza. Tutto dipende dall'esperienza. La sua opera (Opus) ha un carattere enciclopedico. Lo spirito che anima la dottrina di Bacone le conferisce l'interessa e le garantisce un posto duraturo nella storia delle idee. Anche se varie difficoltà ostacolarono la sua genialità. Primo maestro domenicano di Oxford fu Riccardo Fishacre di cui ci giunge il Commento alle sentenze. Dall'opera si comprende che il suo autore non voleva azzardare nuove vie. Per spiegare la causalità fisica, egli ammette che la forma dell'effetto deve in qualche misura preesistere nella materia. → una causa che producesse un effetto non assolutamente preesistente nella amteria non sarebbe solo efficiente, ma creatrice: essa produrrebbe ex nihilo. La sua noetica si ispira a quella di Agostino e forse di Guglielmo d'Auvergne: ogni conoscenza risulta dall'attitudine dell'anima a rendersi simile all'oggetto per imitationem. E quindi, tutte le verità sono iscritte nell'anima. Niente era così più facile che sviluppare sotto forma di prove la conoscenza latente che noi abbiamo di Dio. Roberto Kilkwardby fu il successore a Fishacre alla cattedra domenicana di Oxford.(m. 1279). Egli era uno spirito di classe superiore e apparteneva alla stessa generazione di Aquino. Scrisse varie opere. Volle conservare ad Oxford la tradizione di Sant'Agostino. Nel suo De ortu scientiarum si ha una classificazione delle scienze, ispirata a quella di Aristotele e su alcuni punti si lasciano indovinare le sue posizioni principali, affermate nel suo Commento alle Sentenze. Il 7 Marzo 1277 Stefano Tempier aveva condannato una lunga lista di proposizioni, nella speranza di arrestare il movimento averroista e la diffusione di teologie che si ispiravano a Aristotele (come quella di Aquino). In qualità di arcivescovo di Canterbury, anche Kilkwardby condannava a sua volta una lista molto più breve (16 proposiz). Soprattutto tra i giovani vi erano simpatie per il tomismo, mentre i maestri autorevolissimi - che rappresentavano il presente continuando il passato- diffidavano di queste novità. Le 16 proposiz condannate da Kilkwardby ci fanno capire le sue idee: imponeva l'insegnamento di una dottrina della causalità analoga alle ragioni seminali di Agostino; tutta l'antropologia e la psicologia erano colpite, così che si era costretti a insegnare la pluralità delle forme nell'anima e nell'uomo. Egli dà prova di iniziativa personale nella sua giustificazione delle tesi che sostiene. Pone la forma come causa attiva e la materia come causa passiva dell'individuazione. Nel 1271 il ministro generale dei frati predicatori, Gv di Vercelli, inviò 43 domande a S. Tommaso e a Kilkwardby → alla domanda "è provato infallibilmente che gli angeli sono i motori dei corpi celesti? Kilkwardby rifiutò l'idea che i corpi celesti siano mossi da degli spiriti angelici: mentre Tommaso s'accontenta che essa sia ritenuta come provata presso i filosofi senza essere negata dai Padri, egli la dichiarava priva di valore filosofico e contatava che nex Padre l'ha accettata come sicuramente vera. Non siamo ancora alle soglie della sicenza moderna - egli non si occupa di meccanica- ma pone sicuramente il principio filosofico necessario (movimenti celesti e movimenti sublunari mossi dalla stessa meccanica). Giovanni Peckham (m.1292) era francescano e rinnovò la condanna dottrinale fatta dal suo predecessore. Egli non disapprova la filosofia, ma un certo uso indiscreto di una falsa filosofia. 65 L'opposizione delle due dottrine si traduce per lui nell'opposizione dei due Ordini: agostinismo dei francescani e aristotelismo dei domenicani. Si tratta anzitutto di sapere se l'H può fare a meno di Dio per conoscere il vero → egli concede ad ogni H un intell. agente creato, ma aggiunge ad esso un intelletto agente superiore che è Dio. (posizione diversa da Avicenna, anche se tra quest'ultimo e Aquino, sceglierebbe piuttosto intell. agente separato di Avicenna!). Per lui l'unico che abbia posto la verità almeno essenziale è stato Agostino. Egli continua la tradizione di Ruggero Bacone e Roberto Grossatesta (non vi fu scuola, ma uno spirito di Oxford del XIII sec; tranne Grossatesta, tutti i pensatori inglesi del XIII sec appartengono ad un ordine mendicante). Una summa philosophiae del XIII secolo Opera in cerca di autore. La si attribuiva a Grossatesta, ma ipotesi insostenibile. Essa può essere di origine inglese e il suo contenuto è quello di un'opera filosofica e non teologica, che riassume con ordine, chiarezza e in modo vivacissimo una visione dell'universo comunemente accolta nel XIII sec. Essa è divisa in trattati: 1. Curiosa storia della filosofia: da Abramo, inventore del monoteismo, fino al XIII sec, passando per Greci e Latini. Tutti i migliori filo antichi hanno commesso errori su Dio/anima umana/vita futura. Platone gli sembra migliore di Aristotele (filosoficamente più solido; hanno metodi diversi). Si chiede perché tutti gli antichi abbiano preferito Platone fino all'epoca degli Arabi → Platone era visto come privo di arroganza e molto informato sui problemi umani, mentre Aristotele risultava pieno di arroganza e dallo stile trascurato. Classifica poi gli autori distinguendo filosofia, teologia e teosofia. Quest'ultima è la Saggezza di Dio, che si è rivelata pienamente con Gesù Cristo. I teosofi sono infallibili perché ispirati da Cristo. Implicito che tutto il sapere filosofico sia contenuto nelle Scritture. Fede cattolica non ha bisogno della ragione umana, ma può difendersi con la filosofia contro i miscredenti → filosofia a servizio della teosofia. 2. Secondo trattato verte sulle verità, che è necessariamente eterna e incausata. Vi sono due tipi di verità: quella incomplessa, che è la stessa entità di ogni cosa e la sua comunione con l'esistenza e qll complessa che è l'adeguazione della cosa e dell'intelletto che afferma o nega un predicato di un soggetto. 3. Scienza. Definisce la "anità" come il termine che corrisponde alla "quiddità" → Anità risponde ad "an sit?", "esiste la cosa?". Se esiste la verità, esiste la scienza. Scienze differiscono dalle arti in quanto una scienza prende in considerazione le cuase della sua verità, mentre un arte è piuttosto una maniera di operare secondo una verità già stabilita. 4. Il fatto che ogni arte abbia una materia, implica il fatto che ci sia della materia nella natura. La materia assolutamente prima è sostanza priva di forma, ma tuttavia conoscibile solo in relazione alla forma. Materia prima e unica si caratterizza per essere universalmente in potenza rispetto ad ogni forma ed essere in relazione con la forma per quell'inclinazione a riceverla che si chiama privazione. Materia è incorporea, diventa corporea con la forma della corporeità. Forma che costituisce la sostanza determinando la materia si chiama forma sostanziale. La Summa rifiuta poi la distinzione di essenzaa/esistenza (introdotta da Boezio), è solo di ragione. Per trovare l'origine delle forme bisogna risalire alle idee che per Platone esistono nel pensiero divino, nelle intelligenze e nelle specie delle cose naturali. Dio e solo Dio è causa creatrice dell'esistenza 66 attuale delle forme naturali e delle anime. Le idee divine vanno considerate rispetto all'intelletto che le osserva e in rapporto alla volontà che attualizza in effeti reali le loro possibilità. La moltiplicazione dell'idea è opera della volontà (= Eriugena). Esseri intelligenti non unibili ai corpi si chiamano intelligenze, quelli unibili ai corpi sono anime. Sulla definizione di anima non ci si intende, ma afferma che i moderni non vanno oltre la materia estesa, così non includono la mataria in esseri spirituali. Anima è naturalmente immortale perché non c'è nessuna contrarietà interna tra la materia e la forma di cui si compone. Summa presenta vasta gamma di argomenti e il resto dell'opera è consacrato a psicologia, astronomia, ecc. Chiunque sia il suo vero autore, quest'opera esprime con notevole chiarezza la concezione filosofia media che si potevano fare, verso la fine del XIII sec degli spiriti capaci di assimilare un nuovo sapere, ma attaccati alla tradizione. Da Alberto Magno a Teodorico di Vrigberg Adozione del peripatetismo da parte dei teologi fu una vera rivoluzione nella storia del pensiero Occidentale. Dal XIII secolo la solidarietà tra aristotelismo e cristianesimo sarà tale che la filo peripatetica entra presto a far parte della stabilità del dogma. Ma occorreva che la fede cristiana non se subisse alcun danno. XIII sec è epoca in cui cristianesimo ha preso finalmente coscienza delle sue implicazioni filosofiche più profonde ed è riuscito per la prima volta a formularle distintamente. Realizzazione di quest'opera avvenne grazie a due geni: Alberto Magno e Tommaso D'Aquino. Opera id Alberto Magno (1206-1280; detto anche Alberto di Colonia) ha preparato quella di Tommaso e senza il maestro, l'allievo non avrebbe prodotto ciò che lo rese grande. Merito principale di Alberto: ha visto per primo quale enorme aumenti di patrimonio rappresentassero scienza e filosofia greco-arabe per i teologi cristiani, anche se per essa occorreva lavoro di interpretazione e assimilazione. Alberto inoltre era dotato di gioioso appetito nel conoscere tutto il sapere greco-arabo e scrisse trattati de omni re scibili. Suo scopo: mettere alla portata dei latini tutta la fisica/metafisica/matematica e tutta la scienza accumulata dai Greci e dai loro scolari Arabi/Ebrei fino ad allora. Alberto compì un vero lavoro di restauro sulle opere di Aristotele, egli era un vero e proprio autore (ancor più del commentatore!). Ruggero Bacone lo ammette come uno dei più illustri sapienti tra i cristiani. A fronte delle tante resistenze che incontrò (anche all'interno dell'ordine), rivendicava il diritto alla speculazione filosofica, che pose su un terreno più solido rispetto ai precedenti, perché delimitato a quello della religione. Momento a cui siamo giunti può esser considerato decisivo nella storia del pensiero occ. Si attua progressiva separazione tra filo e teologia → nel XIII secolo la filosofia moderna è fondata con Alberto Magno, che prende coscienza dei suoi valori e diritti. L'anima umana esaminando se stessa, si coglie come un'essenza e non scopre in sé nessuna traccia di una Trinità di persone → ciò viene dalla rivelazione. Il dominio della natura è talmente vasto da non dar motivo di compromettere la ragione cercando di farla uscire da esso. Questo è il senso d'autorità riconosciuto ad Arist da Alberto. Ammettere che qst pagano era l'autorità suprema, significava togliere alla rivelazione l'autorità concessa al filosofo. Alberto considera Ippocrate, Galeno e Arist. come i simboli della libertà di pensiero → autorità con cui si poteva discutere ed eventualmente rifiutare. Non tutte le opere di Alberto sono già state pubblicate e la loro considerazione urta contro considerevoli difficoltà (per la tendenza fortemente assimilatrice del pensiero di Alberto Magno). 67 Tommaso d'Aquino (1224-1274), biografia. Le sue opere più importanti risalgono al suo insegnamento in Italia e al suo secondo soggiorno a Parigi. Opera contiene i modelli di tutti i generi di opere filosofiche allora conosciuti. Per sommi capi distinguiamo: Commenti ad Aristotele, le Summae, le Quaestiones disputatae. I Commenti sono contemporaneamente opere di interpretazione e di critica. Bisogna distinguere i momenti in cui interpreta da quelli in cui espone. Commento alle Sentenze ci fa conoscere il suo pensiero in formazione; Commenti ad Arist. e allo pseudo-Dionigi ci offrono le due fonti da cui il suo pensiero si alimenta, teologia e filo; Summae sono lo studio diretto del suo pensiero. Esposizione completa della filosofia tomista si trova nella prima e seconda parte della Summa theologiae. Nella Summa contra Gentes si ha una discussione approfondita dei problemi risolti nella Summa theologiae e un nuovo approfondimento lo si trova nelle Quaestiones disputatae e nei Quodlibeta. Duplice condizione domina lo sviluppo della teologia tomista: distinzione tra ragione e fede e necessità del loro accordo. Filo dipende da ragione, teologia da rivelazione. Bisogna constatare che esse dominano in comune un certo numero di posizioni. Nè la ragione (usata correttamente) né la rivelazione potrebbero ingannarci → ogni volta che una conclusione filo contraddice il dogma, la conclusione è falsa. Filo deve partire dai suoi principi e criticarsi se nell'errore e contraria al dogma. Ma un suo secondo compito consiste nell'applicare la ragione alla teologia per quanto possibile, perché nelle Scritture vi sono cose intellegibili e dimostrabili. Allora vi è la teologia rivelata che parte dal dogma e la teologia naturale elaborata dalla ragione. Grandezza di Tommaso sta nel parlare della genesi delle cose e del loro ritorno verso Dio! Quando tratta di fisica, meteore ecc, non è che allievo di Aristotele. Egli invece sa per fede verso quale fine si dirige, mentre la ragione lo fa progredire. Filosofia tomista, profondamente influenzata dalla teologia. Le prime cose che noi conosciamo sono le cose sensibili, ma la prima cosa che Dio ci rivela è la sua esistenza. L'universo quale è, con Dio come principio e come fine, che la teologia naturale ci invita a contemplare. Ci conviene allora partire da Dio, la dimostrazione della sua esistenza è necessaria, dato che non è evidente. Cerchiamo nelle cose sensibili un punto per elevarci a Dio. Prove tomiste mettono in gioco due elementi distinti: la constatazione di una realtà sensibile e l'affermazione di una serie causale di cui questa realtà è la base e Dio il vertice. 1. Nell'universo c'è movimento. Ogni movimento ha una sua causa, che deve essere esterna all'essere mosso. Ma il motore stesso deve essere mosso da un altro. Bisogna ammetter eo che la serie delle cause è infinita, o che è finita e c'è un primo termine, ed esso è Dio. 2. Le cose prima di muoversi esistono. Niente più essere causa efficiente di se stesso. Ogni causa efficiente ne suppone un'altra e così via. Queste cause si condizionano per un certo ordine. Se così, la causa prima spiega quella nel mezzo della serie e quella nel mezzo della serie spiega l'ultima. Occorre una causa prima, che è Dio. 3. Consideriamo l'essere stesso. Poter esistere o non esistere significa non avere una esistenza necessaria. Ora, il necessario non ha bisogno di alcuna causa per esistere, ma il possibile non ha in sè la ragione sufficiente della sua esistenza. Se c'è qualcosa, da qualche parte dunque c'è il necessario. Questo necessario richiede una causa o varie cause in una serie non infinita, e l'essere necessario per sè, causa di tutti gli esseri che gli devono la loro necessità, non può essere che Dio. 70 4. Gradi gerarchici di perfezione che si osservano nelle cose: il più o il meno suppongono un termine di paragone che è l'assoluto. Esiste un vero e un bene per sè, cioè un essere in sè che è la causa di tutti gli altri esseri e che noi chiamiamo Dio. 5. Ordine delle cose: tutte le operazioni dei corpi naturali tendono ad un fine. La regolarità con la quale essi conseguono il loro fine dimostra che essi non vi giungono per caso e questa regolarità non può essere che intenzionale e voluta. Essi sono però privi di conoscenza, e occorre un'intelligenza prima - ordinatrice della finalità delle cose- che è Dio. Queste vie hanno tra di loro un legame segreto. Partono dal fatto che un certo essere dato nella realtà non contiene in sè la ragione sufficiente della sua esistenza. Ogni essere è qualcosa che è, ma non è mai la sua essenza. (H,cavallo→ Esiste in quanto "qualcosa che sono", ma non come essenza!). Essenza diversa da esistenza. Ciò che ha essenza diversa da esistenza, occorra che riceva da altro la sua esistenza → Dio. Il metafisico è qui arrivato con la ragione a una conclusione, ma partendo dalla Rivelazione, dato che nell'Esodo Dio stesso si è fatto conoscere come "Ego sum qui sum". Dio è l'esistere stesso posto in sè, senza nessuna aggiunta. Ciò che negli altri esseri si chiama essenza, in lui è l'atto stesso di esistere. Non si tratta qui di unire Dio ai suoi attributi, vi è infatti una deficienza del linguaggio: la prima via è la negazione, la seconda va per analogie che sussistono tra lui e la cosa. Noi attribuiremo a Dio, ma portandole all'infinito, tutte le perfezioni di cui avremo trovato qualche ombra nella creatura. Dimostrando Dio col principio di causalità, stabiliamo che egli è creatore del mondo. Creazione = modo secondo cui tutto l'essere emana dalla causa universale. Dire che creazione è emanatione di totius esse, significa porla ex nihilo. Quella di Dio è una creazione possibile e libera → Dio non manca di nulla se il mondo non esiste. Il rapporto tra creatura e creatore è quello della partecipazione (no panteismo!) → partecipare significa possedere il proprio essere e riceverlo da un altro essere, ma non ci si identifica con lui e non vi è nessun cambiamento nell'essenza divina!! Ordine e finalità poste nel mondo mostrano che non una natura posta a caso ci creò. Avicenna diceva che da un'unica causa non può uscire il molteplice (ricorreva a una prima creatura da cui se ne creava un'altra e così via!). Ma Agostino da tempo ci ha fornito la soluzione: Dio è intelligenza pura e possiede tutti gli intellegibili: queste forme delle cose che noi chiamiamo idee, preesistono in Dio come i modelli delle cose che saranno. Quando è stato creato l'universo? D'accordo con Alberto Magno, Tommaso ritiene che non è dimostrabile nè che il mondo sia coeterno a Dio, nè che sia stato creato in un dato tempo. La nostra ragione in nessuno dei due casi trova di che fondare una vera prova. Definizioni dell'essenza sono atemporali. Dio ce lo insegna, noi dobbiamo credere che il mondo ha avuto un inizio, ma non possiamo dimostrarlo e noi non lo sappiamo. L'imperfezione dell'universo non è imputabile al suo autore. Il male è una mancanza di essere. Male deriva inevitabilmente dall'inevitabile limitazione che ogni creatura comporta. Tutte le creature si dispongono secondo un ordine gerarchico di perfezione. Al vertice gli angeli (creature incorporee e immateriali). Uomo con la sua anima appartiene ancora alla serie degli esseri immateriali → Anima non è un'Intelligenza pura come lo sono gli angeli, ma semplice intelletto. All'anima è essenziale essere la forma del corpo e costituire con esso un composto di materia e forma. Anima si trova all'ultimo gradino delle creature intelligenti, ma in quanto forma di un corpo essa lo domina→ in generale segna il confine e come la linea d'orizzonte tra il regno delle intelligenze pure e il regno dei corpi. A ogni grado di essere corrisponde un grado di conoscere → l'anima umana perde il diritto all'apprendimento diretto dell'intellegibile, anche se resta in noi qualche bagliore affievolito del 71 raggio divino. Intell. agente che ogni anima possiede è la facoltà per cui noi più ci avviciniamo agli angeli. La sua più alta funzione è la conoscenza dei principi primi. Origine della nostra conoscenza sono i sensi! Uomo si trova in un universo composto di nature, cioè di corpi materiali, ciascuno dei quali ha la sua forma. L'elemento universale è la sua forma, mentre la materia individualizza queste nature. Conoscere significa liberare l'universale che è contenuto nella cosa → astrazione. Avviene grazie a intervento dell'intell. agente, che rende le specie sensibili attualmente intellegibili. Ogni forma è naturalmente attiva : in un essere dotato di intelligenza, l'inclinazione può rivolgersi a tutti gli oggetti che esso apprende. L'oggetto proprio della volontà è il bene in quanto tale. Noi non vediamo direttamente la somma perfezione, il Bene Supremo stesso. Siamo ridotti a cercare incessantemente di determinare tra i beni che si offrono ai nostri occhi quelli che si collegano al Bene Supremo con una connessione necessaria. E in ciò consiste la nostra stessa libertà. Così il destino totale dell'uomo si annuncia fin da questa vita con la permanente e feconda inquietudine d'un al di là. La nostra conoscenza è sufficiente a lasciarci indovinare e desiderare ciò che ci manca, cioè Dio, ma non ci lascia cogliere la sua essenza. Dottrina di Tommaso presentava varie novità agli occhi dei contemporanei: • ragione è invitata ad astenersi da certe speculazioni • si strappa alla ragione umana la dolce illusione di conoscere le cose nelle loro ragioni eterne • unita l'anima al corpo di cui essa è direttamente la forma • anima razionale, che è la forma unica del corpo, al punto di essere una sostanza incompleta, sopravvive tuttavia a questo corpo e non perisce affatto con lui. Deve ricavare dal sensibile ogni sua conoscenza e si vede chiuse le vie dirette che portano a Dio. Certi francescani ebbero l'impressione che un'opposizione completa e fondamentale separasse i filosofi dei due ordini. Questo trionfo di Aristotele su Agostino poteva esser visto come la rivincita del paganesimo sulla verità del Vangelo. Si vedeva affermarsi un aristotelismo integrale, che si poneva come assolutà verità in contrapposizione con la rivelazione. MA, ciò che in Tommaso poteva sembrare averroismo era ciò che egli considerava vero della filo di Aristotele, e cià che egli ritevena vero della filo aristotelica prendeva un significato nuovo entrando nella sua dottrina. Superando l'aristotelismo, Tommaso inseriva nella storia una filosofia che per il uso fondo più intimo era irriducibile ad uno qualunque dei sistemi del passato e che per i suoi principi resta perpetuamente aperta all'avvenire. Ebbe numerosi discepoli. Riforma tomista colpì intero ambito di filo e teologia, in particolare influenzò l'ontologia (essere concepito come una sostanza la cui forma stessa è in potenza rispoetto al suo atto di esistere). Tommaso aveva affermato con forza due tesi fondamentali: individuo come forma pura (esseri immateriali) o come unione di materia/forma (esseri materiali). La forma è l'atto supremo e unico per il quale l'individuo è quello che è. Ammise quindi l'unità sostanziale della forma nel composto. Si identificano con TOMISTI coloro che sostengono la dottrina dell'unità della forma nel composto, contro dottrina della pluralità delle forme. Alcuni discepoli di Tommaso furono: • Egidio di Lessines, scrisse De unitate formae (1278): sosteneva che ogni sostanza individuale non ha che una sola forma, che le dà il suo esse specificum, che la definisce cioè come una sostanza che ha un'essenza specificamente determinata. • Bartolomeo di Lucca completò l'opera del maestro De regimine principum • Tommaso di Sutton scrisse varie opere e sostenne la dottrina tomista dell'unità della forma e la distinzione essenza/esistenza. Più di Tommaso sostenne la passività dell'intelletto. 72 Due aspetti della società cristiana: Città di Dio e Cristianità gregoriana (in cui ordine temporale si distingue dallo spirituale). Nel XIII sec sono state tentate tutte le soluzioni possibili, senza che nessuna sia riuscita ad imporsi. >>>Incontriamo dapprima una concezione strettamente unitaria della sapienza cristiana: sapienza è l'insieme delle scienze disposte in gerarchia e tutte insieme ricevono i loro principi dalla rivelazione. Dio ha in primo luogo rivelato la sapienza ai Profeti, quindi è contenuta tutta intera nella Scrittura → quest'assoluta unità edlla Sapienza nella rivelazione si traduce socialmente nella repubblica dei fedeli, uniti sotto l'autorità del papa, custode del deposito della rivelazione. Capo della chiesa è capo di questa respublica fidelium che è sparsa nel mondo e di cui la sapienza costituisce il legame. La Sapientia esercita due funzioni: ordina, promuove e dirige la chiesa verso tutti i beni spirituali; regge tutta la respublica fidelium, provvedendo ai suoi bisogni temporali. L'opera di conversione consiste nell'estendere questa repubblica dei fedeli ai limiti dell'universo. Bacone prevede una società unica, in cui tutti gli Stati si integrano sotto la guida del papa. La respublica fidelium è la funzione sociale di questa sapienza cristiana. Bonaventura tratta di questo tema parlando delle "due spade", come san Bernardo. Tommaso non ha ancato di riconoscere la funzione sociale del sapere: il disordine compare nel corpo sociale quando, invece di essere governato dall'intelligenza, esso obbedisce alla forza fisica e alla cupidigia. Nel De regimine principum fa dei teologi i consiglieri dei principi. Il capo di ogni società è colui che ha il compito di condurlo al suo fine. Avremo quindi due ordini sociali, l'uno è vincolato all'altro e vi si subordina. Come si esercita questa autorità religiosa? I principi consultano i preti istruendosi presso di loro sulla legge divina. Anche se Tommaso non discute a lungo di ciò, sappiamo che per lui tutti i re del popolo cristiano devono essere sottomessi al Sovrano Pontefice. Siamo sul piano di una teocrazia pontificia. Anche Bartolomeo di Lucca, completando l'opera del maestro, scrive che ogni autorità politica viene da Dio sicut a primo dominante e lo prova con la nozione di essere, causalità e fine (pag. 654) → essenzialmente applica al problema del potere politico la teologia dionisiana dell'illuminazione. Occorre distinguere i poteri per porli in gerarchia. Posto più alto è quello del papa, che l'ha ricevuto da Gesù Cristo nella persona di Pietro. Questo potere è di natura spirituale e si estende a tutta la chiesa. Sotto il papa si trovano i principi e i re che non esercitano che il solo potere regale. → Finchè si è riconosciuta l'unità della Sapienza Cristiana, la teocrazia pontificia ha potuto giustificarsi con delle ragioni inespugnabili. >>>Ultimi anni del XIII sec e inizio XIV sec sono comparsi un gran numero di scritti che trattavano il problema delle relazioni tra il potere sacerdotale e gli stati. Alcune di queste opere meritano di fermare l'attenzione del filosof, proprio perché si vede la supremazia dottrinale del papa fondare la sua supremazia sui poteri temporali. Spirituale giudica il temporale, come la Scrittura giudica le scienze. Lo si ritrova nel De ecclesiastica potestate (1302) di Egidio Romano → arsenale quasi completo di tutte le armi di cui un teologo poteva far uso per difendere la tesi dell'autorità temporale dei papi sugli Stati. Alcuni pretendono che il potere dipenda immediatamente da Dio, ma non è vero. Corpi e anime sono uniti e i corpi sono sottomessi alle anime, quindi il papa non guida anime, ma uomo intero. Egidio rivendica i diritti del papa. Il potere temporale deve essere sottoposto a quello spirituale. Per superare questo argomento il solo metodo efficace era sottrarre la filosofia alla teologia ed era quello che avevano appena fatto gli averroisti latini → finendo per appellarsi a un capo diverso da 75 quello della chiesa. Quindi possibile che gli avversari della teocrazia pontifica siano stati i primi a fondare una separazione della chiesa e dello stato. Per Dante, nel De Monarchia, imperatore riceve autorità da Dio. Il bilancio del XIII secolo Ripasso autori antichi! Platone, Aristotele, Plotino, Proclo. XIII secolo ebbe pregio di ereditare il meglio del pensiero filosofico-greco. Due fondamentali atteggiamenti cristiani: il primo è quello di Sant'Agostino (il Dio cristiano è l'Essere) e Tommaso. Agostinismo costituisce forse l'elemento più stabile del pensiero del XIII secolo → Dio di Agostino, Uno e trino che è l'essere e immutabile, Sommo bene e Uno. Tommaso: la sua dottrina non è una filosofia dell'Uno, ma una dottrina dell'essere che ha saputo integrarsi tutto il sostanzialismo di Aristotele.L'atto dell'essenza non è più la forma, ma l'esistenza. Si parla anche di secolo di San Tommaso. Novità permanente del tomismo: esistenza concreta cui esso aderisce. La filosofia nel XIV secolo L'età aurea della filosofia e della teologia dette "scolastiche" fiorirono nelle scuole dal 1228 ca -inizio dell'insegnamento di Alberto Magno a Colonia- fino al 1350- data della morte di Guglielmo d'Ockham. Teologia scolastica non è durata più di un centinaio d'anni entro i quali essa ha sempre destato sospetti. Duns Scoto e i realisti del XIV secolo Giovanni Duns Scoto (1266-1308): si resta stupiti dall'immensità dello sforzo compiuto da un maestro morto a 42 anni. Morte prematura ci ha privato delle sue opere in cui leggeremmo l'espressione completa del suo pensiero. Comunque, l'ispirazione generale della sua filosofia è chiara. La filo si mette in rapporto con la teologia: l'oggetto proprio della teologia è Dio e quello della filosofia è l'essere in quando essere. Il primo limite che si incontra è che la metafisica non può trattare Dio in quanto Dio, ma Dio in quanto essere. Il secondo limite è che all'uomo accade di dover trarre la sua conoscenza dal sensibile, ma quindi l'intelletto umano non conosce veramente dell'essere che ciò che egli può astrarne dai dati dei sensi. Non possiamo sapere in cosa consistono sostante intellegibili come Dio e gli angeli. Ma cosa si deve fare perché la metafisica sia allora possibile? Darle per oggetto una nozione dell'essere così completamente astratta e indeterminata che possa applicarsi indifferentemente a tutto ciò che è. La metafisica deve considerare l'essere solo nel suo ultimo grado di astrazione, quello in cui essa si applica in un solo ed unico senso a tutto ciò che è. Ciò si esprime dicendo che per il metafisico l'essere è "univoco". Metafisica pone il problema di Dio → alcuni giudicano necessario partire dalle cose sensibili, ma con ciò non si uscirà dalla fisica. Il Dio che si trova non trascenderà l'ordine fisico. 76 Occorre fondarsi semplicemente sull'essere. La nozione univoca dell'essere è il punto di partenza obbligato della metafisica (come dice Avicenna, l'essere è ciò che per primo cade sotto la presa dell'intelletto). Essere non deve essere considerato né da logico né da fisico. L'essere in quanto essere ha delle proprietà, prime delle quali sono i suoi modi, che sono le sue determinazioni intrinseche possibili. Primi due modi sono l'infinito e il finito. Dimostrare l'esistenza di Dio significa per il metafisico dimostrare che "l'essere infinito" è, o esiste (lo dimostrerà prima provando che esiste un primo nell'ordine dell'essere, poi che questo primo è infinito). Altri modi sono possibile-necessario (occorre provare la necessità che ha il pensiero di porre un primo e poi mostrarne l'esistenza). Dimostrazioni di questo genere non possono essere fatte a priori, ma a posteriori, cioè dagli effetti alle cause. (se apriori si baserebbe su Dio e non sull'essere in quanto essere). Prima prova si mostra su queste proprietà complementari dell'essere, la causalità e la producibilità → capacità di produrre e di essere prodotto. Per essere prodotto deve esserlo da altro, mettiamo caso che sia A a produrlo, ma A sarà causato da B, così per una serie infinita (assurdo) o finita, se finita si arriva a causa assolutamente prima. Stessa argomentazione permette di dimostrare che è necessario porre un fine ultimo. Rimane da dimostrare che questo "primo" in tutti gli ordini è o esiste. Solo modo di arrivarvi è stabilire che esso non è un fatto, perché sarebbe provarlo empiricamente e in modo contingente. Due ipotesi: esiste o non esiste. Supponiamo che non esista, fors ein virtù di una causa della sua non esistenza? Ma la Prima causa non ha cause. Essa esiste allora per definizione → se una causa prima incausata è possibile, essa è possibile per sè poichè essa non ha causa. Allora l'essere, la cui non esistenza è impossibile, esiste necessariamente. Nerbo dell'argomento è esigenza interna di essere che la nozione di "primalità" (essere primo) nasconde nell'ordine della causalità. Se l'essere primo esiste, è possibile. Resta da stabilire che questo Primo è infinito. Stesse vie conducono a questa conclusione: • una causa prima non è da nulla limitata nella sua causalità: quindi è infinita • è il Primo intelligente, quindi l'Intelligente sommo e c'è dunque un'infinità di intellegibili nell'intelligenza prima. • La nostra volontà non tenderebbe verso un bene infinito come suo oggetto proprio, se questo oggetto infinito non esistesse o fosse contraddittorio. Certo è dunque che il Dio di cui abbiamo mostrato l'esistenza è infinito. Ci resta da comprenderlo. Duns ritiene relativa e caduca la nostra conoscenza degli attributi divini, ma comunque meglio fondata di quanto di solito la si consideri. Egli ammette l'unità di Dio e che tutti gli attributi divini si congiungono infine nell'unità dell'essenza divina, ma egli aggiunge che in Dio c'è almeno un elemento virtuale della distinzione che noi stabiliamo tra i suoi diversi attributi. Per quanto riguarda il rapporto degli esseri finiti con l'essere infinito egli si separa da Avicenna.→ per Avicenna il possibile emanava dal necessario per necessità, invece per Duns il possibile emana dal necessario per un atto di libertà. Scotismo instiste sulla libertà della volontà divina e il carattere contingente dei suoi effetti. Libertà divina non è l'arbitrio del monarca che decreta le leggi nel suo regno. Per Duns Dio conosce tutte le cose con le sue idee eterne. Ci si sforza poi si descrivere un'ipotetica generazione delle essenze in Dio: Dio conosce la propria essenza in se stessa e assolutamente, poi produce la pietra conferendole un essere intellegibile e la conosce, poi si paragona a questo intellegibile e si stabilisce una relazione fra loro. Vediamo una posteriorità delle essenze in rapporto all'essenza infinita di Dio → Dio crea se lo vuole e crea solo perché lo vuole. La volontà è padrona. 77 Egli è il punto d'arrivo filosofico e teologico dei movimenti legati intimamente alla storia della logica medievale fin dal tempo di Abelardo. Ockham ritiene come stringente e necessario solo un tipo di dimostrazione → provare una proposizione consiste nel mostrare sia che essa è immediatamente evidente, sia che essa si deduce necessariamente da una proposizione immediatamente evidente. Lo studio di Ockham permette di constatare un fatto storico interessante: critica interna condotta contro se stessa da quella che si chiama filosofia scolastica. L'evidenza è un attributo della conoscenza completamente diverso dalla scienza, o intellezione, o sapienza. Una conoscenza può essere astratta o intuitiva. La conoscenza intuitiva è la sola che verte sull'esistenza e che ci permette di raggiungere i fatti. La conoscenza sensibile è la sola sicura. La conoscenza intuitiva è il punto di partenza della scienza sperimentale. Ockham fa uso del principio di economia del pensiero: non bisogna moltiplicare gli esseri senza necessità. Cercherà di spiegare le cose del mondo nel modo più semplice possibile e sgombrare il campo della filo dalle cause immaginarie che l'ingombrano. Si vuol sapere se l'esistenza esiste. Se si vuol affermare con sicurezza la causa di un fenomeno è necessario e sufficiente farne l'esperienza.→ Ricorso all'esperienza. Ciò in rapporto alla teoria della conoscenza porta a distogliere la ragione dall'assegnarsi l'astratto come oggetto proprio → si dovrà quindi stabilire che l'universale è sprovvisto di realtà e attribuire all'intelletto umano le facoltà necessarie e sufficienti perché apprenda il particolare. Constatiamo che di reale c'è soltanto il particolare. L'universale esiste nell'anima del soggetto conoscente e soltanto in essa. Univ. non ha alcun genere di sussistenza fuori del pensiero. Si considerava il primo che riuscì a non attribuire nessuna esistenza reale all'universale. Sforzo più interessante è quello che volge contro il realismo di Duns Scoto → per lui l'unica unità è quella numerica dell'individuo e ciò che ha un'unità inferiore all'unità numerica non può avere nessun tipo di unità. Conoscenza → le proposizioni sono come il tessuto stesso di cui è fatto il sapere: tutta la nostra scienza consiste di proposizioni e non c'è nient'altro al di fuori di esse che possa essere saputo. I termini che compongono le proposizioni hanno un significato e si dice che un termine significa l'oggetto di cui esso "tiene luogo" → per questo prende il nome di suppositio. Si distingue la suppositio materialis (parola stessa che costituisce), personalis (individui reali), simplex (qlcs di comune). Su questi dati "logici" il metafisico si domanda che cosa corrisponda a questo dato "comune" che designa il termine di una proposizione in un caso di suppositio simplex. Realisti → universale diventa simile a idea platonica. Ockham inzia col dire che ciascuna cosa reale è individuale a pieno diritto. E lo è solo per il fatto che è. Difficile per una simile dottrina spiegare come il pensiero possa formare le nozioni di generi e specie. I due principi per Ockham sono: 1. poichè tutto ciò che è reale è individuale, i generi/specie non sono nulla al di fuori del pensiero; 2. gli individui si pretano nondimeno ad essere classificati dal pensiero in generi/specie. Sola soluzione del problema consiste nel non aggiungere niente a questi dati. 80 La sola realtà che corrisponde agli universali sono gli individui. Termini o nomi sono altrettanti segni e sostituti che nel linguaggio tengono il posto dei corrispondenti individui. Tutto si fonda sulla suppositio formalis → dottrina di O. spesso indicata come nominalismo. Che differenza c'è tra significare degli oggetti e significare le cose? Se esiste soltanto il singolare, le parole che indicano soggetti o non hanno significato o indicano un individuo di tipo diverso. Ogni oggetto può determinare l'intelletto a concepirlo sia confusamente sia distintamente. I termini che designano i concetti significano quindi degli oggetti confusamente conosciuti; quelli che designano delle cose significano gli oggetti stessi, ma conosciuti distintamente. Rapporto tra conoscenze generali e particolari dipende soltanto dal nostro modo di considerarle. Rapporto tra intelletto e cosa particolare che è il suo oggetto. Occorre sempre eliminare intermediari che si è creduto necessario invocare. I filosofi usavano come intermediario le "specie", ma per Ockham non c'è nessun motivo di affermare l'esistenza di esse. Non serve intermediario nemmeno tra Dio e la creatura → Esperienza non ci ha mai fatto vedere le specie → oggetto e intelletto sono sufficienti a spiegare l'intuizione sensibile. Applichiamo questo strumento della conoscenza ai problemi posti dalla teologia naturale. Egli non può sopportare che si trasformi in verità dimostrabile ciò che non è che un dato della rivelazione. Filosofo e teologo sono indipendenti, la fede va solo accettata. Nel Commento alle Sentenze egli ritiene sufficiente la prova della causa efficiente, e così consiglia di sostituire alla prova della Prima causa efficiente, la prova del primo dell'universo. Non si è sicuri che non sia possibile una serie indefinita di cause passate, ma si è sicuri che non è possibile una serie indefinita di cause attuali che conservino l'universo nel momento presente. Nel Centiloquium egli dichiara nettamente che la prova del motore primo non è una dimostrazione. Si afferma Esistenza di un primo motore perché sarebbe impossibile che una cosa si muovesse da sola. Ma ciò non è evidente in alcun modo! Unità di Dio allora non è che probabile → non è dimostrata in alcun modo! Per l'infinità divina i teologi insegnano che Dio è infinito per definizione poichè Dio è ciò di cui non si può concepire più grande. Ma ragioni addotte a favore di questa tesi non hanno niente di conclusivo. Stessa cosa per attributi di Dio. Applicando il suo metodo della certezza razionale egli mette sottosopra la psicologia non meno profondamente della teodicea. Anima sostanziale e immateriale di cui comunemente si dice siamo dotati è la prima vittima → niente ci autorizza ad affermarlo! Applicato ai precetti morali → Ockham sottomette tutte le leggi morali alla volontà di Dio. Non c'è nulla che non dipenda dalla semplice sua volontà. Non vi è alcun ostacolo all'arbitrio divino. Doppia critica → logica terminista e critica teologica fondata sull'affermazione dell'onnipotenza di Dio. Riprendere le posizioni di Abelardo in questo secolo significava contrastare Tommaso, Bonaventura ecc. Due critiche avevano l'effetto di dis-ellenizzare la filo e la teologia purgandole di tutto il platonismo. 81 Nulla meglio di un universo nominalista, si piega ai decreti di un Dio onnipotente. Così sopprime le idee, Dio non obbedisce a nulla, nemmeno a loro. Un universo in cui nessuna necessità intellegibile s'interpone tra Dio e il Creato → radicalmente contingente. Le cose vi accadono in una certa maniera, non è che uno stato di fatto. Intuizione sensibile è il solo fondamento sicuro della conoscenza scientifica → essa non garantisce esistenza → ma si può avere un'intuizione sensibile di ciò che non esiste. Influenza polimorfa dell'occamismo sul pensiero del XIV secolo. Teologia da qui fu capace di essere autosufficiente senza ricorrere ai buoni uffici della filosofia. (fideismo in teologia). 82
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